La Tecnica PAI - Le Ragioni

Protocollo
di Autoindagine Implosiva
La Tecnica PAI – Le Ragioni
D. – Se la mente, l’intelletto, la memoria e l’ego sono la medesima cosa,
perché vengono indicati, come loro sedi, luoghi diversi?
Sri Ramana Maharshi:
Maharshi
È vero che si dice che la gola sia la sede della mente, il volto o il cuore quella
dell’intelletto, l’ombelico quella della memoria, e il Cuore o sarvanga quella
dell’ego, tuttavia anche se sono così diversamente localizzati, la mente (l’organo
interno), che è l’insieme, l’aggregato di questi quattro, è localizzata soltanto nel
cuore. Questo è ciò che le Scritture sanciscono categoricamente.
[Sri Ramana Maharshi “Self-Enquiry”, answer to question 7]
Commento di Rajiv Kapur:
In senso assoluto tutto è mente, poiché senza la mente nulla può essere percepito,
vissuto, etichettato, classificato. Uno Jnani lo sa, ed è questo ciò che afferma il
Maharshi.
Ma finché si rimane attaccati all’identificazione col corpo-mente, le specifiche
sedi delle diverse parti della mente: la mente (Manas) [nel senso di facoltà di
ricevere le sensazioni prodotte dagli oggetti – n.d.t.], l’intelletto (Buddhi), la
memoria (Chit) e l’ego (Ahamkaar), denominate tutte assieme Antahkarana, entrano
in gioco.
È perciò nel nostro interesse conoscere questi centri e sapere come usarli per
ottenere più velocemente risultati stabili nella nostra sadhana, fino a quando
realizzeremo la Totalità. La tecnica PAI, un metodo scientifico, organico e
strutturato, opera proprio in questo senso al fine di garantire che la meta ultima sia
raggiunta.
Introduzione
Che cos’è l’Autoindagine?
In parole semplice, la meta dell’Autoindagine è dimorare e restare nel soggetto “Io”
lontano dalla distrazione degli oggetti, in profonda gioia e ininterrotta beatitudine
che sono la nostra intrinseca vera natura. Questa gioia non è qualcosa che si
acquisisce o che si raggiunge, è sempre presente e sempre accessibile… Ma non è
tutto così semplice.
A causa delle continue stimolazioni e interazioni che ogni giorno abbiamo con gli
oggetti, la gioiosa Coscienza Divina viene sostituita dalla limitata coscienza umana
in cui felicità e tristezza dipendono da situazioni e circostanze esterne. Il leone che
un tempo ruggiva si abituata a belare come una pecora. Trascorriamo le nostre vita
alla mercé di un’acquisita inveterata abitudine alla paura e all’avidità, e Ciò che
intrinsecamente siamo resta obliato. Per ritrovare Ciò che sembra essere stato perso
– e che è così tanto prezioso – bisogna dimorare senza distrazioni nella Verità e
dissociarsi da ciò che è irreale. In breve, dobbiamo invertire il processo.
La maggior parte dei maestri contemporanei di Advaita e non-dualità indica, come
pratica per rimanere nella Verità, il semplice riconoscere uno stato di consapevolezza
immobile che giace in background, che si può ottenere rimanendo nel presente ,
nell’adesso , o nel qui . Ma tale pratica non è abbastanza intensa e profonda per
arrivare fino alla fine . Nella migliore delle ipotesi offre un po’ di sollievo dallo
stress e alcuni momenti di tranquillità.
Il richiamo degli oggetti che ci distraggono è così forte da rende il “dimorare” nella
Verità assai difficile da sostenere per lungo tempo. Spesso ci rendiamo conto di
dover richiamare a noi stessi a ritornare al «qui», all’«adesso» solo dopo che siamo
catturati da qualche fantasia o qualche emozione, e perciò arriviamo a quella
presenza nello sfondo (che si presenta come un vasto spazio) un po’ troppo tardi.
Qualcosa ci butta fuori dallo “stare lì” ancor prima che il “riconoscimento” di quella
consapevolezza di fondo cominci ad albeggiare.
Questo “qualcosa” è il nostro abituale schema egoico – il meccanismo corpo-mente
– che è così condizionato da costringerci a seguire in automatico il proprio codice di
comportamento.
Il modello egoico è molto potente da opporre una forte resistenza contro qualsiasi
cambiamento al proprio codice. Perciò per sconfiggerlo abbiamo bisogno di un
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approccio più dinamico e radicale all’Autoindagine. Il Protocollo di Autoindagine
Implosiva (PAI) è stato sviluppato a tale scopo, attraverso l’intensa osservazione, la
pratica, l’esperienza personale e la percezione intuitiva.
Prima di approfondire ciò che PAI è e fa, dobbiamo capire che per invertire
veramente il modello egoico – cioè invertire la direzione dell’attenzione di 180°,
riportandola dagli oggetti dei sensi alla loro fonte – è necessaria la purificazione dei
nervi e delle nadi. Tale purificazione avviene quando l’energia vitale fluisce verso
l’alto attraverso Sushumna nadi (Amrit Nadi), il canale centrale. Allora la coscienza
umana viene elevata e trasformata, e il ricercatore può sperimentare la Coscienza
Divina.
Ma questo non è un processo facile perché esistono quattro nodi che ostacolano il
flusso dell’energia attraverso Sushumna.
Quali sono questi nodi e in che modo rappresentano un ostacolo?
Immaginate di voler far passare dell’acqua attraverso un tubo vuoto. Se all’interno
del tubo si è accumulato dello sporco, l’acqua non transiterà liberamente da un capo
all’altro.
La stessa cosa vale per l’energia che deve passare attraverso Sushumna. Nella nadi
centrale le impurità si accumulano sotto forma di quattro nodi che limitano l’ascesa
del flusso del prana da Muladara a Sahasrara, il 7° chakra. Poiché “dimorare” nel Sé
significa raggiungere l’altro capo di Sushumna, tutti i blocchi, i quattro nodi,
devono essere rimossi.
Due di questi nodi, della gola e dell’ombelico, sono di importanza minore; gli altri
due, del 3° occhio (nodo delle Nadi) e del Cuore, sono i principali.
Perché il puro Io Sono emerga e il “pensiero io” si ritiri nuovamente nella sua fonte
(il Cuore) è di fondamentale importanza sciogliere tutti e quattro questi nodi.
Che cos’è il Protocollo di Autoindagine Implosiva e come opera?
Il Protocollo di Autoindagine Implosiva è una pratica spirituale scientifica creata per
rompe i nodi della gola, dell’ombelico e del terzo occhio. Una volta che l’attenzione
è stata diretta al 3° occhio, l’energia vitale viene quindi lasciata salire a Sahasrara.
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In questo modo il flusso dei pensieri viene arrestato e l’energia vitale si ritira dagli
organi di senso. Ne consegue ciò che sembra un completo collasso del meccanismo
corpo-mente. Laya (il samadhi) viene raggiunto, e il nodo delle nadi è reciso.
Senza più distrazioni provenienti dal corpo-mente, la coscienza viene quindi
reindirizzato verso il basso – o all’indietro con un movimento a spirale (attraverso
un'estensione di Sushumna) – nel Cuore con una percezione intuitiva di
abbandono. Ne risulta lo scioglimento del nodo del cuore, ove anche il primo
principio “Io” si fonde nel senza tempo. Il sadhaka gode di periodi ininterrotti di
beatitudine, pace e felicità. La meta è stata raggiunta.
Perché nel PAI dirigiamo l’energia verso il basso o all’indietro e non
restiamo concentrati su Sahasrara?
Di seguito un passo tratto da “Sii Ciò che Sei – L’insegnamento di Sri Ramana
Maharshi” a cura di David Goldman, capitolo 13, risposta 15:
Sebbene lo yogi possa avere i suoi metodi di controllo del respiro, per
ascendere la sushumna il metodo degli jnani è unicamente quello dell’indagine.
Quando la mente si fonde nel Sé per mezzo di questo metodo, la shakti, o
kundalini, che non è separata dal Sé, sorge automaticamente.
Gli yogi attribuiscono grande importanza al far salire la kundalini fino al
sahasrara, il centro del cervello, il loto dai mille petali. Essi mettono in risalto
l’affermazione delle scritture secondo la quale la corrente vitale entra nel corpo
attraverso la fontanella ed arguiscono che siccome viyoga (separazione) è
avvenuta in quel modo, lo yoga (unione) deve essere raggiunto nel modo
opposto. Perciò, essi dicono, dobbiamo riunire i prana per mezzo delle pratiche
yogiche ed entrare nella fontanella per la consumazione dello yoga. Gli jnani
d’altro canto evidenziano che lo yogi presume l’esistenza del corpo e la sua
separazione dal Sé. Solo se si adotta questo punto di vista della separazione lo
yogi può consigliare lo sforzo per la riunione attraverso la pratica dello yoga.
In effetti il corpo è nella mente la quale ha il cervello come sua sede. Che il
cervello funzioni con luce presa a prestito da un’altra sorgente è ammesso dagli
yogi stessi nella loro teoria della fontanella. Lo jnani inoltre argomenta: se la
luce è presa in prestito, essa deve provenire dalla sua sorgente originaria. Vai
alla sorgente direttamente e non dipendere da risorse prese a prestito. Quella
sorgente è il Cuore, il Sé.
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Il Sé non viene da nessun altro luogo e non entra nel corpo attraverso la corona
del capo. È cosi com’è, sempre splendente, sempre stabile, immobile ed
immutabile.
L’individuo si confina entro i limiti del corpo mutevole o della mente che
ricavano la loro esistenza dal Sé immutabile. Tutto quello che è necessario è
abbandonare questa erronea identità e, fatto questo, si vedrà il Sé
perennemente splendente come la singola realtà non duale.
Se ci si concentra sul sahasrara non v’è dubbio che ne deriverà l’estasi del
samadhi. Le vasana, cioè le tendenze mentali latenti, non vengono però
distrutte. Lo yogi è perciò destinato a risvegliarsi dal samadhi in quanto la
liberazione dalla schiavitù non è ancora stata realizzata. Deve ancora cercare di
sradicare le vasana presenti in lui perché cessino di disturbare la pace del suo
samadhi. Così egli scende dal sahasrara al Cuore attraverso quella che è
chiamata jivanadi, che è soltanto un proseguimento di sushumna.
Sushumna in questo modo è una curva. Parte dal chakra più basso, sale al
cervello attraverso la spina dorsale e da lì si curva in giù e termina nel Cuore.
Quando lo yogi ha raggiunto il Cuore il samadhi diventa permanente. In
questo modo vediamo che il Cuore è il centro finale.
Perché nel PAI cantiamo mentalmente OM mentre ci concentriamo
sul Terzo Occhio?
In “Ramana Maharshi - Il Vangelo” edizioni “I Pitagorici”, capitolo 13, pagina 136,
Sri Ramana dice:
La pratica di concentrazione sul centro tra le sopracciglia ha la funzione di
controllare i pensieri in quel momento. Ciò accade perché tutto il pensiero è
un’attività estroverso della mente, e il pensiero segue innanzitutto la “vista”, sia
essa fisica o mentale.
Va tuttavia notato che la sadhana di fissare la propria attenzione tra le
sopracciglia dev’essere accompagnata da japa, in quanto per controllare o
distrarre la mente l’orecchio fisico viene subito dopo per importanza all’occhio
fisico, così come l’orecchio mentale (cioè l’articolazione mentale della parola)
viene dopo l’occhio mentale (visualizzazione mentale dell’oggetto). È attraverso
questi “sensi” che si può contribuire a controllare e quindi rafforzare la mente,
oppure distrarla e quindi disperderla dietro i pensieri.
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Pertanto mentre si fissa l’occhio della mente su un centro, come ad esempio
quello tra le sopracciglia, occorre anche l’articolazione mentale un nāma
(nome) o mantra (sillaba o insieme di sillabe sacre), altrimenti si perderà presto
la presa sull’oggetto di concentrazione.
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