L’esperienza di una volontaria presso il Centro di Ascolto aperto nelle Carceri di Latina Ero carcerato… Ludovica D’Alessio Dal 3 marzo la Casa Circondariale di Latina ha aperto le porte agli operatori del Centro di Ascolto della Caritas. Si tratta, per ora, dei primi cinque volontari che, dopo aver seguito un corso di formazione lo scorso anno, sono stati chiamati dall’Ufficio diocesano della Caritas. Naturalmente il tutto è avvenuto gradualmente, dopo che la direttrice del Carcere, dott.ssa Nadia Fontana e don Angelo Buonaiuto, Direttore della Caritas, hanno stipulato un Protocollo d’intesa. Un lavoro di preparazione è stato fatto da Amalia Bianconi, referente Caritas per il carcere, che ha preparato l’evento mantenendo contatti con la direttrice, gli educatori, gli agenti di custodia e quanti hanno a che fare con i detenuti. Tutto ciò per studiare le modalità, le necessità e i servizi che i volontari possono offrire a chi ne ha bisogno. In sintesi, il Centro d’ascolto offre i seguenti servizi: colloqui di sostegno alla persona, organizzazione di attività di animazione culturale, religiosa, formativa e ricreativa, sostegno spirituale e morale, animazione liturgica e catechesi, assistenza burocratica. «È un’esperienza forte, che ti lascia il segno, che ti cambia – dice una volontaria –. Da tanto io aspettavo questo momento, eppure, il giorno prima di iniziare, stavo per rinunciare. Mi chiedevo: sarò capace? Cosa mi succederà là dentro? Se dovessi fallire? Cosa devo dire? La notte quasi non ho dormito. La mattina dopo, però, alle 9 in punto ero là con Amalia e Sara. Dopo i vari accertamenti, abbiamo depositato negli appositi armadietti borse, cellulari, tutto. Abbiamo varcato la prima, la seconda, la terza, la quarta, la quinta porta, forse anche la sesta, e ad ogni passaggio sentivamo le chiavi chiudere le serrature: e ti viene un brivido nella schiena insieme ad un’angoscia profonda. Finalmente siamo arrivate in una saletta polifunzionale dove avremmo avuto i colloqui con le detenute. C’erano quattro macchine da cucire, un tavolo e quattro sedie. È arrivata la prima detenuta: ci siamo presentate (Amalia già la conosceva) e subito lei si è messa a parlare, a raccontare. Il mio sangue ha ricominciato a circolare, il mio cuore a battere, i miei polmoni a respirare. Lei parlava e io ascoltavo; stava avvenendo, semplicemente, quello che deve avvenire in qualsiasi centro d’ascolto: ascoltare. Lei ha raccontato la sua vita nel carcere, i suoi problemi familiari, le sue preoccupazioni di madre e tante altre cose. Io ascoltavo e, contemporaneamente, mi ponevo tanti interrogativi. Il colloquio è durato un’ora e io pensavo che fossero passati cinque minuti. Ci siamo baciate, salutate. Lei è andata via e ne è venuta un’altra. Stessa scena: presentazione, racconto, ascolto, conversazione… Te le trovi lì davanti e ti chiedi: Ma questa persona, con questa faccia, come ha potuto fare del male? Dentro di te sai che sta scontando una giusta pena, ma ti ritrovi a darle cento giustificazioni e a provare per lei ‘com-passione’. Non la vedi più come una da temere, una che sta dall’altra parte della barricata, una che ha fatto del male, ma come una che puoi amare, anzi, che stai già amando; ognuna con i suoi problemi: tutti uguali eppure così diversi. Ho appreso più cose del carcere in quattro ore di ascolto che in tutta la mia vita! Tutte, più o meno, sono coscienti e rassegnate a scontare la loro pena e in tutte ho ritrovato un’unica preoccupazione: i figli. In qualcuna alla preoccupazione si è aggiunto il dolore per essere stata abbandonata proprio dai figli, che si vergognano per ciò che esse hanno fatto e rimproverano loro di averli messi in mezzo ad una strada. Per altre i figli sono una pena continua perché temono che facciano la loro stessa esperienza negativa. Infine ci sono quelle madri che i figli non potranno vederli per anni e anni in quanto stanno loro stessi scontando una pena in un altro carcere. La settimana dopo sono andata nel reparto maschile e anche lì ho trovato e vissuto tanta sofferenza. Naturalmente i problemi sono diversi, ma in tutti ho trovato tanta povertà (materiale, morale, spirituale) e tanta voglia di raccontare». Un buon lavoro nel carcere viene svolto dagli educatori, i quali sono un trait-d’union tra i detenuti e la direttrice, la psicologa, le guardie, il sacerdote ecc. Inoltre svolgono proprio un ruolo rieducativo, promuovendo alcune attività come il teatro, la produzione di alcuni manufatti e altre cose. Sono i nostri punti di riferimento per qualsiasi problema si presenti, i nostri angeli custodi. Anche grazie a loro, ma soprattutto alla sensibilità e intelligenza della direttrice, la Casa Circondariale di Latina potrà diventare presto un esempio di speranza per altri luoghi detentivi.
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