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La preghiera nel Vangelo di Luca
Teologia lucana
La preghiera nel Vangelo di Luca
Francesco Mosetto
Uno dei temi caratteristici del terzo Vangelo è la preghiera: Gesù prega e insegna
a pregare. Anche la seconda parte dell’opera lucana, gli Atti degli apostoli, insiste sul tema della preghiera: delle prime comunità e di singole persone. Il fatto
è significativo: il cristianesimo non si riduce a fede e morale; esso è anche culto
e spiritualità. Del Vangelo secondo Luca esploriamo i seguenti aspetti: l’humus
giudaico della preghiera di Gesù e degli altri personaggi; la preghiera di Gesù;
Gesù maestro di preghiera1. Diamo inoltre uno sguardo ai paralleli più significativi nel libro degli Atti.
L’humus giudaico
Non si comprende in modo adeguato la figura di Gesù, se la si separa dalle sue
radici giudaiche. Luca lo sottolinea (come pure Matteo) riportandone la genealogia (Lc 3,23-38; cf. Mt 1,1-18). La prima scena del Vangelo è ambientata nel
tempio di Gerusalemme; anche l’ultimo episodio si conclude nel tempio: dopo
l’ascensione di Gesù al cielo i suoi discepoli ritornano nella città e «stavano
sempre nel tempio lodando Dio» (24,53).
I personaggi del “vangelo dell’infanzia” sono pii giudei, osservanti della Torà,
che attendono la «consolazione di Israele» (2,25) e frequentano il tempio. Di
alcuni l’evangelista riporta le preghiere, specialmente “benedizioni” rivolte a
Dio. Il cantico di Maria (1,46-56) e quello di Zaccaria (1,68-79), come anche la
brevissima berakhà di Simeone, sono intrisi di citazioni bibliche, soprattutto dei
Salmi e dei Profeti. In tal modo nel Vangelo di Luca la preghiera giudaica evolve
in preghiera cristiana.
Il primo di questi personaggi è un sacerdote del tempio di Gerusalemme. L’annuncio della nascita di un figlio, che sarà il precursore del Messia, gli è recato
mentre nel santuario sta compiendo il rito dell’incenso. «La tua preghiera – dice
l’angelo del Signore – è stata esaudita» (1,13). Quando la moglie, Elisabetta,
si rende conto di essere incinta, prorompe in una gioiosa “confessione”: «Ecco
quanto ha fatto per me il Signore!» (1,25).
Le poche parole pronunciate da Maria e le sue reazioni agli avvenimenti dell’infanzia di Gesù sono indice di una profonda vita di fede e di preghiera. All’annun Cf. R. Aron, Così pregava l’ebreo Gesù, Marietti, Casale M. 1982; A. Drago, Gesù uomo di
preghiera nel Vangelo di Luca, EMP, Padova 1975; M. Laconi, San Luca e la sua Chiesa, Gribaudi,
Torino 1976; L. Monloubou, La preghiera secondo Luca, EDB, Bologna 1979.
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cio dell’angelo risponde: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo
la tua parola» (1,38). Al complimento di Elisabetta, che si rallegra per la sua
maternità, risponde lodando Dio: «Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente»
(1,49). Mentre tutti si stupiscono per il racconto dei pastori, «Maria, da parte sua,
custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (2,19). Così pure, quando è come sorpresa dal comportamento del figlio adolescente, rimane in interiore
contemplazione (2,51). Non meno di Zaccaria ed Elisabetta (1,6), anche Maria e
Giuseppe mettono in pratica le prescrizioni della Torà: a otto giorni dalla nascita
fanno circoncidere il bambino (2,21) e lo portano a Gerusalemme per offrirlo al
Signore e compiere il rito della purificazione (2,22-39): «Ogni anno si recavano
a Gerusalemme per la festa di Pasqua» (2,42).
La speranza del popolo ebraico è impersonata da due anziani, Simeone e Anna.
Il primo, mosso dallo Spirito Santo, si reca nel tempio proprio mentre Gesù vi è
portato dai “genitori”; «lo prese tra le braccia e benedisse Dio» (2,28): il Nunc
dimittis (2,29-32) continua a risuonare nella liturgia della Chiesa come preghiera
che conclude ogni giorno. A sua volta, Anna «non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere»; quando poi incontra
il piccolo Gesù, «si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti
aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (2,37s).
Benché il Vangelo non lo dica espressamente, è intuibile che il soggiorno di
Giovanni nel deserto, nel quale «si fortificava nello spirito» (1,80), fosse caratterizzato dal dialogo con Dio, così come era stato per Elia (cf. 1Re 19). Da esso
ha origine l’appello alla conversione e l’invito al battesimo.
Gesù in preghiera
Nella scena del battesimo troviamo il primo accenno alla preghiera di Gesù:
«Mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo,
stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo... e venne
una voce dal cielo...» (3,21-22). La teofania, che manifesta il Figlio e lo consacra
in ordine alla sua missione (cf. 4,18), è risposta alla sua preghiera filiale.
La “giornata di Cafarnao” termina con un’allusione alla preghiera mattutina di
Gesù: «Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto» (4,42). Ciò che
qui è appena suggerito, nel seguito della narrazione diventa esplicito e ritorna
con insistenza. Dopo la guarigione del lebbroso l’evangelista annota che «folle
numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie. Ma egli si
ritirava in luoghi deserti a pregare» (5,15s). Prima di scegliere i Dodici per farne
suoi apostoli, «se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando
Dio» (6,12). Prima di porre ai discepoli la domanda decisiva: «Ma voi, chi dite
che io sia?», Gesù «si trovava in un luogo solitario a pregare» (9,18). Otto giorni
dopo prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni «e salì sul monte a pregare.
Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida
e sfolgorante» (9,28s). È in una di queste occasioni che i discepoli chiedono a
Gesù: «Signore, insegnaci a pregare...» (11,1).
Luca riporta diverse preghiere di Gesù. Due episodi legati tra loro anche a livello
simbolico presentano un significativo contatto. Nel miracolo dei pani, dopo aver
preso i cinque pani e i due pesci Gesù «alzò gli occhi al cielo» e «recitò la bene35
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dizione» (9,16; nei paralleli è chiaro che «benedisse» Dio, non i pani e i pesci!).
Nell’ultima cena, avendo «ricevuto un calice, rese grazie» a Dio; poi «prese il
pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro...»; infine, dopo aver cenato, «fece lo
stesso con il calice...» (22,17.19.20). Così la berakhà della Pasqua ebraica diventa
l’eucaristia dei cristiani. In pochi ma significativi casi l’evangelista riporta le parole stesse pronunciate da Gesù nella preghiera. Dopo il ritorno dei settantadue,
esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del
cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai
rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto
è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi
è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (10,21-22).
Il Maestro intercede per i suoi discepoli, specialmente nel momento della prova:
Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io
ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito,
conferma i tuoi fratelli (22,31-32).
All’inizio della passione Gesù vive uno dei momenti più drammatici della sua
vita. Giunto ai piedi del monte degli Ulivi, esorta i discepoli alla preghiera «per
non entrare in tentazione», ossia per non soccombere nella prova.
Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia,
ma la tua volontà»... Entrato nella lotta, pregava più intensamente... Rialzatosi dalla
preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro:
«Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione» (22,40-46).
Attraverso il dialogo filiale con il Padre Gesù supera l’angoscia della morte imminente e diventa anche per noi modello e maestro di preghiera.
Sulla croce Gesù pronuncia le sue ultime invocazioni. Intercede per quelli che lo crocifiggono: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (23,34). Poco
prima di spirare, grida: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46).
Insegnamenti di Gesù sulla preghiera
Il passo più importante è quello del Padre nostro, l’oratio dominica, che Tertulliano ha definito «sintesi dell’intero vangelo».
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli
gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi
discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo
nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona
a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non
abbandonarci alla tentazione».
Nel Vangelo di Luca – ove compaiono alcune varianti rispetto alla versione di
Matteo (Mt 6,9-13) – il Padre nostro è accompagnato da una serie di altri insegnamenti sullo stesso tema. Il primo in forma di parabola:
Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: «Amico, prestami tre
pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli»,
e se quello dall’interno gli risponde: «Non m’importunare, la porta è già chiusa,
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io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani», vi dico che,
anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza
si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono (11,5-8).
L’esperienza quotidiana è assunta come paradigma dei nostri rapporti con Dio.
Come Abramo (cf. Gn 18), così anche noi dobbiamo avere nei confronti di Dio
la stessa fiducia che riponiamo su di un amico. I lógia che seguono insistono sul
concetto:
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà
aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto
del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che
siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del
cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono! (11,1-13).
Secondo Gesù, nel nostro dialogo con Dio non si tratta di usare belle espressioni,
quanto di lasciarci ispirare da un autentico senso filiale.
Questo atteggiamento gli sta veramente a cuore, se lo inculca con una nuova
parabola, quella del giudice e della vedova (18,1-8). Può sembrare strano che
figura di Dio sia qui non un padre premuroso, bensì il «giudice disonesto». Ma
appunto da questo tratto paradossale scaturisce la conclusione:
E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di
lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente
(vv. 7-8a).
Si tratta dunque di «pregare sempre, senza stancarsi mai» – come spiega l’introduzione – di alzare a Dio la nostra supplica «giorno e notte», di insistere con
«fede» nelle nostre suppliche, fino alla venuta del Figlio dell’uomo (v. 8b).
Nell’attesa della parusia Gesù raccomanda ai discepoli di essere vigilanti, «con
le vesti strette ai fianchi e le lampade accese» (12,35) e di guardarsi da «dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita». La vigilanza del cristiano sarà accompagnata dalla preghiera:
Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò
che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo (21,36).
Come ha dato ai Dodici «forza e potere su tutti i demoni e di guarire le malattie»
(9,1), così ai settantadue dà «il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni
e sopra tutta la potenza del nemico» (10,19). Insieme li avverte che l’efficacia
della missione dipende dalla preghiera:
La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della
messe, perché mandi operai nella sua messe! (10,2).
Esempi di preghiera
Non mancano nel Vangelo di Luca esempi concreti di preghiera. Uscito dalla sinagoga di Cafarnao, Gesù entra nella casa di Simone, la cui suocera è in preda a una
grande febbre; subito i familiari «lo pregarono per lei» (5,38). Il lebbroso supplica
Gesù in ginocchio: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi» (5,12). Il centurione inca37
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rica alcuni anziani dei Giudei di supplicarlo perché guarisca il suo servo e, quando
il Maestro si avvicina alla sua casa, manda i servi a dirgli: «Signore, io non sono
degno che tu entri sotto il mio tetto... ma dì una parola e il mio servo sarà guarito»
(7,3.7-8). Il capo della sinagoga lo supplica di salvare dalla morte la figlioletta dodicenne (8,41). Il padre del ragazzo indemoniato implora: «Maestro, ti prego, volgi
lo sguardo a mio figlio, perché è l’unico che ho!» (9,38). I dieci lebbrosi gridano:
«Gesù, maestro, abbi pietà di noi» (17,13). Il cieco di Gerico ripete: «Gesù, figlio
di Davide, abbi pietà di me!» (18,38.39) e gli chiede: «Signore, che io veda!» (v.
41). Ma è preghiera silenziosa il gesto della donna, che bacia e cosparge di profumo i piedi di Gesù (7,38), e quello dell’emorroissa che tocca il lembo del suo
mantello (8,44); di ambedue il Signore elogia la fede (7,50; 8,48).
Prima della Pasqua, i discepoli di Gesù non brillano per il fervore della preghiera. L’evangelista ce ne offre tuttavia qualche saggio, a cominciare dall’umile
richiesta di Simon Pietro, il quale supplica Gesù: «Signore, allontanati da me,
perché sono un peccatore» (5,8). L’episodio della tempesta sedata rivela quanto i
discepoli sono tuttora spiritualmente immaturi. Sentendosi in pericolo, svegliano
Gesù dicendo: «Maestro, maestro, siamo perduti!». Gesù quieta la tempesta e li
rimprovera dolcemente: «Dov’è la vostra fede?» (8,24s). Presi da ammirazione
per la preghiera di Gesù, gli chiedono di insegnarne loro il segreto: «Signore,
insegnaci a pregare...» (11,1).
La preghiera del fariseo
Ci sono purtroppo modi sbagliati di pregare. A proposito di «alcuni che avevano
l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri», Gesù racconta
una parabola:
Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il
fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: «O Dio, ti ringrazio perché non sono
come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano.
Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo».
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al
cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Io vi
dico: «Questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque
si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato» (18,9-15).
Gesù prende di mira gli stessi personaggi, quando ne denuncia l’ambizione e la
vanità:
Guardatevi dagli scribi, che vogliono passeggiare in lunghe vesti e si compiacciono
di essere salutati nelle piazze, di avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti
nei banchetti; divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere
(20,46-47).
Chiaramente, Gesù mette in guarda i suoi discepoli da tali contraddizioni.
La preghiera negli Atti
Il secondo volume dell’opera lucana mostra come l’esempio e l’insegnamento
di Gesù – a cominciare dalla continuità con la tradizione giudaica – sono stati
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recepiti dalla prima comunità cristiana. Nei caratteristici “sommari” leggiamo,
infatti, che ogni giorno i primi discepoli «erano perseveranti insieme nel tempio»
(2,46) ed «erano soliti stare insieme nel portico di Salomone» (5,12). Grazie a
tale frequentazione i Dodici possono ogni giorno annunciare Cristo «nel tempio», oltre che parlarne nelle case (5,42). Proprio mentre salgono al tempio «per
la preghiera delle tre del pomeriggio» Pietro e Giovanni incontrano lo storpio
alla porta Bella (3,1).
Quando i due sono rimessi in libertà dal Sinedrio, la comunità riunita innalza la
voce a Dio con espressioni ispirate ai salmi: «Signore, tu che hai creato il cielo,
la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano, tu che, per mezzo dello
Spirito Santo, dicesti per bocca del nostro padre, il tuo servo Davide:..» (4,24;
cf. Sal 2,1-22). Il libro dei Salmi è più volte citato sia da Pietro (1,20; 2,2528.30.34-35; 4,11.25-26), sia da Paolo (13,22.33.35). Nei suoi viaggi missionari
l’Apostolo dei gentili prende anzitutto parte al culto delle sinagoghe (13,5; ecc.);
il che diventa occasione per annunciare Cristo ai Giudei. A Filippi Paolo e Sila
sono messi in carcere: di notte «cantavano inni a Dio» (16,25). Rientrato a Gerusalemme insieme con alcuni membri della comunità, Paolo sale al tempio allo
scopo di offrire sacrifici e oblazioni per lo scioglimento di un voto (21,23-24).
Sulla nave che lo porta a Roma incoraggia i compagni a prendere cibo dopo
quattordici giorni di digiuno, dovuto alla tempesta; quindi, «prese il pane, rese
grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò e cominciò a mangiare» (27,35).
Ancorati, come Gesù stesso, alla tradizione religiosa del giudaismo, i primi credenti ne seguono l’esempio pregando intensamente sia come gruppo, sia come
singoli. Ritornati in città dopo l’ascensione, gli Undici «erano soliti riunirsi nella
stanza al piano superiore», dove «erano perseveranti e concordi nella preghiera,
insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (1,14).
Il giorno della Pentecoste «si trovavano tutti insieme nello stesso luogo» (2,1).
I primi discepoli
erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere... Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio
e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore,
lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo (2,42.46.47a).
Quando, lasciati liberi, Pietro e Giovanni si recano dai «fratelli» riuniti, questi
pregano Dio perché conceda loro di «proclamare con tutta franchezza la (sua)
parola» (4,23-30). Il Signore li esaudisce:
Quand’ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti
furono colmati di Spirito Santo e proclamavano la parola di Dio con franchezza
(4,31).
Pietro è messo di nuovo in prigione, ma «dalla Chiesa saliva incessantemente a
Dio una preghiera per lui» (12,5).
Come per Gesù, così per gli apostoli l’annuncio del vangelo e la preghiera hanno
chiaramente il primato. Essi affidano ad altri il “servizio delle mense”, dichiarando: «Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola»
(6,4). Come avevano pregato prima di scegliere il dodicesimo apostolo (1,2425), così pregano prima di imporre le mani ai sette, scelti dalla comunità. Lo
stesso avviene nella Chiesa di Antiochia, quando si tratta di mandare Barnaba e
Saulo in missione (13,2-3). La prassi continua nell’istituzione dei presbiteri:
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Designarono quindi per loro in ogni chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e
digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto (14,23).
Nella vita dei primi credenti la preghiera comune è fondamentale. Essi sono
«perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere... Spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con
letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo»
(2,42.46s). La fractio panis, ossia la “cena del Signore”, l’eucaristia, si pratica
in tutte le nuove Chiese. Celebre l’episodio di Troade: «Il primo giorno della
settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane...» (20,7); dopo aver risuscitato
il ragazzo caduto dalla finestra del piano superiore, l’apostolo «risalì, spezzò il
pane, mangiò e, dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì» (20,11). Il
commovente addio con i presbiteri di Efeso si conchiude con la preghiera: terminato il discorso, Paolo «si inginocchiò con tutti loro e pregò» (20,36).
L’imitazione di Gesù emerge soprattutto nella scena del martirio di Stefano.
Mentre viene lapidato, il martire prega: «Signore Gesù, accogli il mio spirito»; e,
prima di spirare, grida: «Signore, non imputare loro questo peccato» (7,59-60).
L’«evangelista della preghiera»2 ci consegna un’immagine di Gesù e della Chiesa delle origini, che è sempre attuale. Il dialogo con il Padre del Salvatore misericordioso continua nella Chiesa, che anche oggi porta all’umanità la sua salvezza.
P. Samain, citato da J. Dupont, Il testamento pastorale di san Paolo. Il discorso di Mileto (Atti
20,18-36), San Paolo, Milano 1967, 434.
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