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Cooperativa
Migros Ticino
G.A.A.
6592
S. Antonino
Settimanale
di informazione e cultura
Anno LXXVII
17 marzo 2014
Azione 12
Società e Territorio
La Colombia sarà protagonista
della rassegna Filmondo
di Manno
Ambiente e Benessere
La ricerca di informazioni su salute
e medicina in internet non è una
minaccia al ruolo del medico ma può
essere un’opportunità
Politica e Economia
Primo anno di pontificato del
gesuita argentino Bergoglio
Cultura e Spettacoli
Giappone perduto: la
Fondazione Baur presenta una
serie di stampe eccezionali
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di Luca Beti
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Gianni Pisano
Figlia del Platzspitz
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La Storia fa tappa in Crimea
di Peter Schiesser
Un brivido gravido di antichi timori ha scosso la frontiera europea a
ridosso della Russia, di fronte alla guerra fantasma di Crimea: il muscoloso seppur incruento intervento militare russo viene giustificato
da Mosca come azione a difesa della popolazione russa che in maggioranza popola la penisola ucraina nel Mar Nero. Con questa motivazione la Russia ha già mascherato le sue mire imperialistiche nel
passato. Così, per esempio, fece nella guerra di Crimea a metà
dell’800, quando a presunta difesa dei cristiani ortodossi la Russia invase la Moldavia e la Valachia, territori ottomani, con l’ambizione di
sfruttare la debolezza della Turchia per infine avere accesso al Mediterraneo. Non a caso, Obama ha rassicurato gli Stati del Baltico, oggi
membri della NATO, che l’America difenderà i loro confini nel caso
Mosca intendesse applicare anche altrove lungo i suoi confini la strategia di ingerenza dove è presente una popolazione russa (rappresenta un quarto della popolazione in Estonia, il 37 per cento in Lettonia,
il 5 per cento in Lituania). Tuttavia, nessuno negli Stati Uniti pronuncia la parola guerra. Uno scontro militare con i russi è impensabile.
A meno di un episodio imprevisto (ma neppure da escludere, visti
gli 80mila soldati, le centinaia di carri armati e di pezzi di artiglieria
russi ammassati ai confini con l’Ucraina), la guerra verrà condotta con
altri mezzi: se la secessione della Crimea dall’Ucraina diverrà effettiva,
scatterà una guerra economica, gli Stati Uniti e l’Unione europea adotteranno progressivamente una serie di sanzioni contro Mosca. Fin dove potranno giungere, non è dato sapere. In una dinamica di scontro
c’è una tendenza all’esasperazione, poiché nessuna delle parti in causa
può permettersi di perdere la faccia. La crisi ucraina ha dunque un alto
potenziale di devastazione: senza sparare un colpo, potremmo dover
assistere a un rivolgimento del contesto economico e politico mondiale, con una Russia nuovamente spinta a ritirarsi dal processo di integrazione culminato nella sua partecipazione al WTO, al G20, al G8.
Ancora non è troppo tardi per evitarlo. Tuttavia, gli atavici riflessi anti-russi, risvegliatisi con l’occupazione della Crimea, impediscono agli Stati Uniti e all’Unione europea di riconoscere che hanno almeno parzialmente provocato i riflessi anti-occidentali dei russi. Va
ricordato che la protesta contro il governo di Janukovich è scattata
quando il presidente ucraino ha deciso su pressione di Putin di ri-
nunciare all’accordo di libero scambio con l’Unione europea. L’Ue
afferma che tale accordo non è da intendere in senso anti-russo. In
realtà, va contro le ambizioni russe di creare un’unione doganale con
Kiew nel quadro di una ricostituzione di uno spazio economico con
baricentro a Mosca, attraverso un’unione doganale fra Russia, Bielorussia, Kazakhstan e Ucraina appunto – tassello importante del disegno di Putin, che vuole una Russia di nuovo protagonista mondiale.
La decisione del parlamento ucraino (poi congelata) di non considerare più il russo quale lingua nazionale è stata il pretesto perfetto per
Putin, o la prova che l’Occidente, di cui il nuovo governo ucraino è
considerato vassallo, intende mettere nell’angolo la Russia.
L’Ucraina è oggi la linea di demarcazione fra gli interessi strategici dell’Occidente e della Russia. Un conflitto, qualsiasi forma esso
avrà, sarà la dimostrazione che la Guerra fredda non è mai terminata.
Riconoscere che in Ucraina sussistono e devono convivere due anime,
una filo-occidentale e una filo-russa, potrebbe invece aiutare a sciogliere il nodo che la spartizione dell’Europa decisa da Stalin, Roosevelt
e Churchill nel 1945 a Yalta (Crimea) aveva lasciato ingarbugliato: la
diffidenza reciproca fra Occidente da una parte e Russia dall’altra.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
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Attualità Migros
M Un ventaglio di proposte
il più ampio possibile
Viaggi Intervista con Thomas Stirnimann, CEO di Hotelplan Group
Reto E. Wild *
Tra le destinazioni di viaggio più
amate dagli svizzeri, oltre ai Paesi
più vicini, contiamo attualmente
anche la Spagna. Quali sono le tendenze che si stanno delineando per
la prossima estate?
Come lei ben sa, le tendenze cambiano
molto velocemente, e per questo motivo è difficile fare delle previsioni. Ritengo però che la Grecia e le sue isole
possano contare su un ripresa di interesse di non poco conto. Per risollevarsi
dalla recente crisi il Paese ha investito
nelle strutture alberghiere e nel servizio,
ma anche i prezzi sono molto accattivanti. Per le Maldive, invece, si nota un
aumento di richieste da mercati quali
Cina, Russia e India. Posso immaginare
che in un prossimo futuro gli svizzeri,
abituati a prenotare una vacanza in
questi splendidi atolli a breve termine,
dovranno prendere atto che la disponibilità di camere non sarà più la stessa.
Canarie, Thailandia, Maldive, Mauritius e Cuba: queste sono state le destinazioni più richieste dai cittadini
svizzeri per Hotelplan. Come mai?
Il Mar Rosso è una delle nostre destinazioni più richieste. Nel momento in cui
questa meta non è più disponibile i
clienti ricercano alternative che sono
quelle da lei citate.
I clienti sono alla ricerca di prezzi
sempre più vantaggiosi. Come rispondere a questa esigenza?
Dando loro il massimo della trasparenza
e un ventaglio di proposte il più ampio
possibile. Nessun altro tour operator
svizzero offre un numero così importante di collegamenti aerei con voli noleggiati e tipologie di soggiorno come
Hotelplan. I clienti possono volare sulla
destinazione prescelta con Air Berlin e
rientrare con la nostra compagnia charter Travel Service Airlines, oppure con
easyJet. Noi teniamo in grande considerazione e cerchiamo di rispondere al desiderio di flessibilità che ci viene
richiesto. Solo i clienti che scelgono Hotelplan possono usufruirne, prenotando
direttamente oppure nelle agenzie di
viaggio di proprietà o nostre partner.
Anno dopo anno ci sentiamo dire
che i prezzi delle vacanze non potranno essere meno cari. Per l’estate
Hotelplan offre voli a bordo di aeromobili di Travel Service Airlines già a
partire da 89 franchi per tratta. Come
è possibile?
Abbiamo adeguato il nostro software di
calcolo dei prezzi di vendita a quello
delle compagnie aeree; il nostro obiettivo va nella direzione di un equilibrio
globale dei costi. Così facendo il prezzo
non viene applicato per ogni singolo
posto e per tutte le date. Non si tratta
però di un’offerta creata per attirare i
consumatori. Circa il 20 percento dei
nostri posti viene venduta, mediamente, al prezzo che lei indica. Tutti coloro che prenotano con ampio anticipo
ne possono approfittare. Vendiamo
Fattori esterni hanno inciso sull’attività
Il fatturato di Hotelplan Group ha subito una contrazione a chiusura dell’anno commerciale 2012-2013 del tre
percento, chiudendo a 1463 mio. di
franchi. La cifra d’affari di Hotelplan
Suisse ha contribuito con 838 mio. di
franchi; l’utile della società svizzera è
passato da 9,9 mio. a 2,1 mio. di franchi.
Thomas Stirnimann, CEO di Hotelplan Group, dichiara: «Il fallimento
della compagnia aerea Hello ci è costato in tutto più di 4 milioni di franchi. A
questo dobbiamo aggiungere che nello
scorso mese di settembre, proprio prima delle vacanze scolastiche 2013, abbiamo dovuto cancellare, a causa della
situazione politica, interi aeromobili
pronti a partire per il Mar Rosso. Malgrado tutto questo siamo riusciti a non
scivolare nelle cifre rosse».
questi voli già da tre mesi e, all’inizio, il
prezzo per tratta più economico era di
79 franchi. Chi ha prenotato allora, ha
ovviamente fatto un affare.
A quando un rialzo dei prezzi di
viaggi e vacanze?
Purtroppo non possiedo la sfera di cristallo! Comunque tutto dipende principalmente dal cambio del franco
svizzero con l’euro e il dollaro americano. Qualora tali valori dovessero aumentare, i prezzi crescerebbero.
E quindi il periodo delle vacanze a
prezzi bassi è finito?
E se il cambio del dollaro verso il franco
svizzero dovesse scendere a 50 centesimi? Non si può mai dire... Di una cosa
sono certo, e cioè che oggi siamo in
grado di acquistare i pernottamenti
negli hotel a condizioni migliori. E da
quando l’euro è così a buon mercato
non abbiamo più grandi differenze di
prezzo verso i nostri concorrenti germanici o italiani. Grazie al cambio favorevole con l’euro abbiamo registrato,
negli ultimi quattro anni, una contrazione dei prezzi di quasi il 30 percento.
Ritengo che non si debba contare su
una variazione repentina della situazione e penso di poter affermare che
siamo in una situazione di stabilità.
Nell’ultimo esercizio commerciale
2012/2013 Hotelplan Suisse ha registrato una riduzione del fatturato e
dell’utile, questo malgrado la congiuntura svizzera godesse di «buona
salute». Cosa accadrebbe se la situazione economica dovesse peggiorare?
Un’evoluzione di questo tipo sarebbe
progressiva e pertanto ci potremmo sicuramente attrezzare. Abbiamo affrontato una situazione ben più grave,
quando il nostro primo partner commerciale, Hello Airlines, ha dichiarato
fallimento nel giro di 24 ore. Le assicuro
che tutto questo è stato ben più difficile
da gestire che un rallentamento dell’economia. Ci è costato, nostro malgrado, qualche milione di franchi (vedi
riquadro).
In un comunicato stampa abbiamo
letto che «da subito l’attenzione si è
«Rispondiamo al desiderio di flessibilità che ci viene richiesto». (P. Rohner)
focalizzata sul brand Hotelplan».
Cosa significa per i consumatori?
È evidente che il nostro brand più rappresentativo, Hotelplan, è sempre al centro delle nostre attenzioni. Abbiamo
investito molto nel restyling delle nostre
filiali e del nostro portale www.hotelplan.ch, edito in lingua tedesca e francese. Anche i nostri cataloghi e i portali
di Vacances Migros e Globus Voyages
sono stati completamente rinnovati.
Tutte queste novità verranno presentate
nel corso dell’estate, in concomitanza
con la programmazione invernale.
Globus Voyages ha pubblicato recentemente due cataloghi per le vacanze estive. Diversi tra gli hotel
offerti sono già noti alla clientela.
Qual è la vostra strategia?
È giunto il momento di dare maggior risalto a Globus Voyages. Finora il brand
si era concentrato su viaggi e vacanze
esclusivi, così come, ogni due anni, sui
giri del mondo. Le brochure «Soley –
Balnéaire» racchiudono resort e strut-
ture alberghiere già conosciute e assolute novità, sempre dedicate a un target
medio-alto/alto. Globus Voyages offre
anche viaggi e destinazioni di tendenza,
come ad esempio Barcellona; una città
che deve essere venduta non con semplici viaggi «pacchetto» bensì con
un’ampia scelta di proposte, esattamente su misura del cliente.
Posso chiederle qual è il suo contributo personale all’incremento della
cifra d’affari di Hotelplan?
Prima di tutto, facendo in modo che le
mie figlie siano appassionate di viaggi.
Ogni anno partiamo con l’intera famiglia, almeno fintanto che le nostre figlie vorranno venire con noi. Per la
primavera non abbiamo ancora scelto,
mentre per l’estate abbiamo già prenotato a Mykonos. Sono un vero fan delle
isole greche e mi aspetto vacanze fantastiche.
* Redattore di Migros Magazin
Migros: aumento del 4 percento
nel trasporto ferroviario
Logistica La tutela dell’ambiente è il principale interesse dell’azienda anche in questo importante settore
Nel 2013 in Svizzera hanno viaggiato
ogni giorno fino a 400 carri ferroviari
per Migros – il 4 percento in più rispetto al 2012.
Sempre,
laddove
possibile,
l’azienda punta sulla tutela dell’ambiente, trasportando le merci su rotaia. Migros è del resto il principale
cliente di FFS Cargo. Dal 2012 al 2013
questa è riuscita ad aumentare sia il
numero di carri ferroviari che trasportano la merce per Migros, sia le distanze di trasporto percorse su rotaia.
Le distanze percorse nel 2013 con
la ferrovia ammontano a 11 milioni di
chilometri, pari all’otto percento in
più rispetto all’anno precedente. Migros trasporta nel complesso circa la
metà delle merci con la ferrovia, soprattutto sulle lunghe distanze. Per ragioni infrastrutturali, la distribuzione
capillare nelle filiali deve invece avvenire con i camion.
L’incremento del trasporto ferroviario è riuscito sia nel classico trasporto delle merci tra i centri di distribuzione nazionali e le sedi centrali
delle cooperative regionali, sia nella
variante di trasporto «traffico combinato». Nel «traffico combinato» le
merci vengono trasportate in container e trailer (rimorchi) che percorrono il primo e/o l’ultimo chilometro del
tragitto con camion, mentre la lunga
distanza su carri ferroviari.
Dalle sedi delle cooperative regio-
nali le merci vengono poi caricate su
camion, che assicurano la distribuzione capillare nei punti vendita.
Per Migros l’ambiente riveste una
grande importanza. Nel quadro del
suo programma per la sostenibilità
«Generazione M», l’azienda ha perciò
formulato anche la promessa seguen-
te: «Promettiamo di restare, in termini
di fatturato, il numero uno del commercio al dettaglio per quanto riguarda il trasporto merci su rotaia».
Recentemente Migros ha sottoscritto con le FFS un contratto quadro
triennale sottolineando così che vuole
continuare ad ampliare il suo impegno nel trasporto su rotaia.
«Anche per il 2014 ci attendiamo
un aumento dei trasporti su ferrovia;
da un lato nella distribuzione nazionale e dall’altro anche per le merci acquistate all’estero» dichiara Bernhard
Metzger, responsabile logistica e trasporti e membro della Direzione della
Federazione delle cooperative Migros
(FCM).
Azione
Settimanale edito dalla Cooperativa
Migros Ticino, fondato nel 1938
Sede
Via Pretorio 11
CH-6900 Lugano (TI)
Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89
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Editore e amministrazione
Cooperativa
Migros Ticino
CP, 6592 S. Antonino
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Tiratura
98’654 copie
Redazione
Peter Schiesser (redattore responsabile)
Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica
Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli,
Ivan Leoni
Abbonamenti e cambio indirizzi
Tel 091 850 82 31
dalle 09.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00
dal lunedì al venerdì
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La corrispondenza va indirizzata
impersonalmente a «Azione»
CP 6315, CH-6901 Lugano
oppure alle singole redazioni
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
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Società eTerritorio
A qualcuno piacciono i numeri
I numeri sono al centro di tutti gli scambi di informazioni
e di qualsiasi banale conversazione, eppure nei loro confronti
vi è una diffusa avversione
Professione: «youtuber»
Youtube non è più solo uno spazio di espressione e creatività,
ma sempre più spesso è usato come una vetrina promozionale
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pagina 5
Ragazza a
Bogotá.
(© Ricardo Torres)
A Manno per conoscere la Colombia
Filmondo Il Comune propone un’interessante offerta culturale: questa settimana inizia una rassegna organizzata
dall’Associazione InterAgire
Sara Rossi
Il capo Dicastero Cultura, quando gli si
chiede come è nata l’idea di questo piccolo festival, risponde: «Bisogna partire
un po’ da lontano». E racconta del Comune di Manno, delle sue risorse fiscali
che permettono di realizzare le idee, dalla ristrutturazione della magnifica Casa
Porta, dove oggi è insediato il Municipio
e la biblioteca, fino alle proposte culturali. Il Dicastero, congiuntamente con i
Comuni di Bioggio e Agno, propone tre
film, tre spettacoli teatrali e tre concerti
l’anno. «A volte è più facile costruire
spazi che riempirli di contenuti», spiega
Michele Passardi, vice sindaco e capo
della Commissione culturale. «Per questo ci siamo uniti per dare ancora più
importanza alla varietà, la qualità e l’originalità dell’offerta. Nella sala Aragonite
abbiamo invitato Moni Ovadia, lo spettacolo-processo Hamlet e la produzione
bellinzonese L’anno della valanga; ad
Agno si occupano della musica e Bioggio proietta tre film d’autore. Poi, ognuno di questi comuni ha anche un suo
programma indipendente».
Manno per esempio si concentra su
tre eventi: ogni mese di settembre si può
assistere alla presentazione di uno scrit-
tore, seguita da una cena e poi da uno
spettacolo; poi ogni anno sceglie un tema
su cui ruoteranno tre conferenze (nel
2014 l’avvocato Stefano Bolla, l’ex direttore delle carceri ticinesi Fabrizio Comandini e l’ex parlamentare del Consiglio d’Europa Dick Marty parleranno di
giustizia, ognuno dal proprio punto di
vista); e infine l’evento su cui ci vogliamo
soffermare oggi: Filmondo.
«Nasce da un desiderio di vedere
che cosa succede nei Paesi lontani», racconta Passardi. Noi mettiamo a disposizione gli spazi, diamo un contributo a
un’associazione e ci occupiamo di distribuire la locandina con il programma. La
scelta della Ong avviene tramite un concorso che abbiamo indetto con la Fosit
(Federazione delle Ong della Svizzera
italiana) e al vincitore viene affidata l’organizzazione delle tre serate di Filmondo». L’Ong che vince ha, infatti, il compito di pensare ai contenuti di tre incontri:
un venerdì, un sabato e una domenica
(anche per famiglie) per presentare un
Paese tramite filmati, brevi conferenze,
libri, cibo, momenti musicali e così via.
L’anno scorso si è svolta la prima edizione sul Nepal, con Kam for Sud Ticino,
mentre quest’anno è la volta della Colombia, con l’Associazione InterAgire,
che porterà un’esposizione fotografica,
vari film, cortometraggi e documentari,
musica, momenti di discussione, libri,
buvette e aperitivo-cena.
Chiediamo agli organizzatori, Ricardo Torres e Alessia Bonardi, come e
che cosa ci presenteranno questo sabato
22, il venerdì 28 e la domenica 30 marzo
alla sala Aragonite di Manno. «Io sono
nato e cresciuto in Colombia e, insieme
ad Alessia, recentemente abbiamo fatto
un’esperienza sul posto di due anni tramite Echanger, un’associazione che collabora con InterAgire per sostenere progetti nei Paesi del Sud del mondo con
l’invio di volontari qualificati. La Colombia è un Paese bellissimo, variopinto, del
quale si sente parlare poco. Proporremo
una visione lontana dagli stereotipi, perché vorremmo approfondire discorsi
meno conosciuti come la diversità culturale, la musica e le ragioni del conflitto
che devasta le zone rurali», spiega il regista e reporter Ricardo Torres.
Nei due anni trascorsi a Bogotà,
Alessia si è occupata delle persone sfuggite alla guerra e che nella capitale cercavano un aiuto terapeutico per sormontare i traumi subiti, mentre Ricardo girava
nelle zone più colpite per raccogliere testimonianze dirette di avvenimenti che
l’informazione ufficiale della nazione
cerca di occultare. Entrambi si sono occupati di diritti umani e durante la rassegna a Manno si potranno vedere alcune
immagini (fotografie e video) realizzate
da loro stessi o dalle associazioni per cui
lavoravano.
«Del problema della terra, del conflitto armato, della difficoltà di fare giornalismo in certi luoghi “caldi”, parleremo soprattutto venerdì 28 marzo, mentre sabato 22 e domenica 30 marzo i momenti di incontro saranno maggiormente dedicati alla cultura», continua Ricardo. «Sabato presentiamo un film che ha
segnato una svolta nel cinema colombiano e che racconta in modo divertente la
vita quotidiana tra i disagi sociali che ci
sono a Bogotà e di come bisogna essere
ingegnosi se si nasce in un posto sfortunato: La estrategia del caracol, che in realtà potrebbe ambientarsi in molti Paesi
dell’America Latina, mostra chi per sopravvivere usa lo spirito e il sorriso». A
precedere il film c’è la presentazione di
Les voy a cantar la historia, un progetto
culturale a favore di una comunità contadina che si batte pacificamente per restare nella propria terra, dove una società
agricola privata cerca di scacciare gli indigeni per imporre la monocoltura della
palma da olio. Il progetto prevede la realizzazione di un documentario dal titolo
Algún día es mañana, in fase di montaggio grazie all’impegno dell’Associazione
Rec di Lugano.
Conclude Ricardo Torres: «Il terzo incontro è previsto domenica pomeriggio 30 marzo e sarà dedicato alla
musica, nostra grande passione, che
viviamo e che abbiamo vissuto da vicino anche in Colombia. Ci sarà uno
spettacolo che fa un viaggio punteggiato da canzoni, con la compagnia ticinese Sugo d’inchiostro, proietteremo
poi un cortometraggio sui rumori, i sapori, gli odori e soprattutto i colori del
mercato più grande di Bogotà e poi un
film bellissimo, Los viajes del viento,
che parla del miscuglio culturale che
c’è stato in Colombia, che ha prodotto
una musica mista d’Europa e di culture
indigene, africane e afro-discendenti».
Alle 18.45 ci sarà un aperitivo-cena
con ricette colombiane e musica che
sfocerà in festa danzante grazie a Dj Juju e Mario Cubillase, percussionista
che suonerà dal vivo.
Informazioni
www.manno.ch
IL MEGLIO DELLE FATTORIE SVIZZERE.
2.15
4.90
Fleischkäse, TerraSuisse
affettato finemente, per 100 g
Sminuzzato di vitello, TerraSuisse
per 100 g
2.55
2.–
Pancetta da arrostire, TerraSuisse
per 100 g
Corona croccante, TerraSuisse
300 g
2.90
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non refrigerato, TerraSuisse
300 g
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1.40 invece di 1.80
Olio di colza, TerraSuisse
50 cl, 20% di riduzione
Polenta bramata, TerraSuisse*
500 g, 20% di riduzione
* In vendita nelle maggiori filiali Migros. Società Cooperativa Migros Ticino
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 18.3 AL 24.3.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
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Società e Territorio
Ditelo coi numeri
Quotidianità sotto la lente Qualsiasi discussione o informazione finisce sempre
per avere al centro qualche realtà numerica, eppure la creatività matematica e il mondo dei numeri
rimangono accessibili solo a una stretta cerchia di studiosi
Massimo Negrotti
Nonostante la parola inglese digit significhi «numero» e tutti parlino ormai di
tecnologie digitali e persino di civiltà digitale, i numeri, ancora oggi, non godono di grande simpatia.
I numeri e le relative
regole di impiego sono
onnipresenti nella
nostra vita, perché
allora tanta diffusa
avversione nei loro
confronti?
La loro «aridità», per esempio, è considerata da molti una verità indiscutibile,
forse perché richiama alla mente le fatiche provate nello studio scolastico della
matematica, ma anche perché tutto ciò
che è numerico sembrerebbe opporsi a
ciò che è qualitativo, ineffabile e dunque non quantificabile. In realtà, nessuno può fare a meno, se non dei numeri
veri e propri, almeno di espressioni che
indichino qualche quantità: chiunque
giudichi positivamente un concerto, un
film o un paesaggio, dirà qualcosa come «molto bello» oppure, comparandolo ad altri concerti, film o paesaggi,
«molto più bello» oppure «meno interessante», e così via. La propensione ad
elaborare, comunicare e adottare quantità per decidere un’azione è sicuramente una caratteristica della nostra
natura e i numeri non fanno altro che
fissare tali quantità, tramite simboli e
regole convenzionali, in modo che ci si
possa capire con maggiore rapidità e
precisione rispetto alle, quelle sì, modeste capacità dei quantificatori linguistici che usiamo.
Proviamo ad immaginare la nostra
esistenza senza i numeri. Innanzitutto
la nostra evoluzione culturale non sarebbe arrivata, nel bene nel male, al
punto in cui siamo poiché non avremmo potuto in alcun modo descrivere
scientificamente il mondo. Come faremmo, ad esempio, a valutare la velocità dei nostri movimenti o di quelli del
vento o di un fiume se non potessimo
esprimere questa grandezza per mezzo
della misura, numerica, dello spazio e
del tempo? Sulla stessa nostra età e, più
in generale, sul trascorrere del tempo,
non potremmo né fare dichiarazioni né
assumere comportamenti di alcun tipo.
Dovremmo allora adottare la modalità
Numeri a Wall
Street. (Keystone)
del popolo nordamericano degli Hopi i
quali, non possedendo un termine linguistico per stabilire lo scandire del
tempo, lo riducono allo spazio e così,
per fissare un incontro, dicono «ci vediamo al terzo passaggio dei salmoni».
Potremmo forse regolarci con la posizione apparente del Sole ma è difficile
immaginare un sistema ferroviario di
qualche affidabilità su questa base.
Senza scienza, del resto, non avremmo nemmeno tecnologia e nemmeno
pratiche mediche affidabili dato che, come è noto, la validità di ogni diagnosi e,
poi, di ogni terapia, è valutata attraverso
un ampio e crescente impiego di tecniche quantitative. Inoltre l’economia, come è stato nell’epoca ancestrale dei baratti, vivrebbe ad un livello assai misero
e senza possibilità di sviluppo, senza
moneta, quantità per eccellenza, senza
misure di produzione e produttività,
senza bilanci e senza stipendi. Lo stesso
concetto del «fare la spesa», come lo
concepiamo da molti secoli, perderebbe
ogni significato poiché, senza moneta,
potremmo solo scambiare beni in natura, cercando di dare un «valore» non nu-
merico a questo e a quello attraverso
estenuanti comparazioni e trattative.
Dal benzinaio sarebbe penoso chiedergli «un po’ di benzina» e ancor più complicato pagarla.
Pitagora sosteneva una visione
geometrica del mondo grazie alla quale
poteva definire le cose come numeri e,
dunque, il mondo come insieme di numeri. Non diversamente Galileo parla
dei numeri, e della geometria, come del
linguaggio in cui è scritto il libro della
Natura. L’arte stessa, nella sua storia, ha
dovuto molto al trattamento numerico
dei suoni o della prospettiva e la cosa è
ancor più evidente, ovviamente, nell’architettura e nella relativa scienza delle
costruzioni. Ma è nella comune vita
quotidiana che la rilevanza dei numeri
si fa sentire maggiormente. In un notiziario o in un telegiornale standard
compare un numero ogni due frasi poiché, che si tratti di un referendum o di
una scossa di terremoto, della crisi economica o di un disastro, i numeri sono
assolutamente indispensabili per comunicare qualcosa che possa dirsi informazione. Nei bar, nei salotti o negli
scompartimenti ferroviari vale la stessa
regola: qualsiasi discussione finisce
sempre per vedere al centro qualche realtà numerica, più o meno esatta. Tutto
questo per non parlare dei nostri colleghi e i nostri studenti all’università, dove anche i più «umanisti» fra loro hanno ovviamente quaderni, block notes o
libretti d’esame pieni voti, di numeri telefonici, codici di accesso, cifre di sicurezza e anche misure, formule, ecc.
È inutile dilungarci oltre: i numeri,
e le relative regole di impiego, sono onnipresenti nella vita di ognuno. Ma, allora, perché tanta inveterata e diffusa
avversione nei loro confronti?
La ragione può essere reperita nel
fatto che i numeri – e la loro elaborazione – non interessa di per sé se non ai
matematici. Ciò che ci interessa in un
CD musicale è la musica che esso ci permette di udire e non la serie di qualche
miliardo di 0 e di 1 che codificano il suono. Allo stesso modo, ci sono del tutto
indifferenti i calcoli ingegneristici effettuati dagli specialisti per costruire l’edificio in cui abitiamo, perché ciò che ci
preme è che la casa stia in piedi e lo stes-
sionati come noi, vado in diversi posti a
provare l’ebrezza del volo. Di solito
preferiamo la vicina Italia, dove ci sono
le piste adatte a far decollare degli aerei
potenti come i jet che costruiamo. Siamo anche iscritti a un club di appassionati nei pressi di Saronno, una località
lombarda tra Varese e Milano. Ci capita però anche di essere invitati da altri
club per dei raduni o dei meeting veri e
propri. A volte, quando attraversiamo
la frontiera, ci capita di essere fermati e
interrogati sulle nostre intenzioni.
Qualche doganiere crede che vogliamo
andare a venderli, per guadagnarci dei
soldi, creandoci qualche problema; noi
però spieghiamo ogni volta in modo
paziente che questo vuole essere solo il
nostro divertimento, al quale dedichiamo soltanto tanto impegno e anche un
po’ di soldi, e non ci lasciamo intimidire da nessuno.
In queste trasferte oltre confine ho la
possibilità di scoprire sempre nuovi aerei, studiarne le caratteristiche, apprezzarne gli sforzi tecnici per realizzarli;
ma anche incontrare delle nuove persone, magari dei ragazzi come me, che
coltivano gli stessi interessi, almeno per
quanto riguarda l’utilizzo del tempo libero. Devo dire che sono uno dei piloti
più giovani e ne sono piuttosto fiero.
Certo, devo sempre dare il massimo
per tenere testa a tutti gli altri ed evitare
delle brutte figure, perché basta veramente poco per perdere il controllo del
velivolo e fare un piccolo disastro.
Il principale problema è il tempo meteorologico. Infatti, quando è brutto
tempo, piove o addirittura nevica, ma
anche quando c’è solo un po’ troppo
vento, non è possibile far volare i modellini, essendo troppo difficile mantenerne un adeguato controllo. E così le
so vale per le decine di piccoli e grandi
computer che controllano il volo aereo
di cui ci serviamo per raggiungere una
certa località e così via.
I numeri in se stessi, in effetti, sono
il pane quotidiano dei matematici ma,
come aveva osservato Henri Poincaré,
«…la creatività matematica è un’attività
che ha ben poco a che fare con il mondo
esterno e in cui la mente sembra lavorare solo per se stessa e su se stessa». Il
mondo dei numeri, in definitiva, è un
mondo accessibile solo attraverso
l’astrazione e quindi affascinante solo
per una piccola cerchia di iniziati mentre la concretezza dell’agire e dell’operare sulla realtà spinge la maggioranza di
noi a concepire i numeri e la matematica, tuttalpiù, come un male necessario.
Alla fine degli anni 50 lo statistico
austro-americano Hans Zeisel pubblicava un libro dal titolo Ditelo coi numeri
destinato ai ricercatori sociali. Certo è
che, se il suo invito fosse rivolto ad un
pubblico indefinito, le nostre città, le
nostre case e i nostri mass-media sarebbero avvolti da un silenzio pressoché
generale.
I ragazzi si raccontano di Alessandro Gilardi
Una passione
chiamata aeromodellismo
Ve lo svelo subito, senza giri di parole: la
mia passione è l’aeromodellismo. Anche se non finisce regolarmente sulle
prime pagine dei giornali e i suoi protagonisti non sono famosi, è un’attività
piuttosto diffusa e da qualche tempo
considerata uno sport; ma soprattutto è
veramente molto affascinante. Vorrei
raccontarvela, così come la vivo io, sperando di riuscire a trasmettervi almeno
un po’ del mio entusiasmo.
Ho iniziato a fare aeromodellismo all’età di cinque anni, quando non andavo ancora alle scuole elementari, facendo volare assieme a mio papà dei modesti aerei costruiti con il polistirolo, in
modo da non fare troppi danni in caso
di guai. Adesso ho tredici anni, frequento la seconda media a Vira Gambarogno e metto in volo dei modelli in
scala di aeroplani piuttosto elaborati. Se
le prime esperienze erano soprattutto
dedicate a prendere confidenza con il
controllo del delicato momento del volo, ora costruisco da zero, sempre assieme a mio papà, dei modellini di aeroplani, di solito dei jet, dotati di un motore a reazione, per poi collaudarli e alla
fine farli volare su in cielo. Il momento
più affascinante, che fa proprio venire i
brividi, è vedere un proprio modellino,
costruito dall’inizio alla fine con grande
pazienza e attenzione ai dettagli tecnici,
spiccare il volo e restare sospeso in aria,
quasi come per miracolo.
Devo dire che l’aeromodellismo occupa non poco tempo nella mia vita. Gli
dedico diverse serate durante la settimana, di solito al termine della scuola e
dei sempre dovuti compiti. E poi quasi
ogni week-end, sempre assieme a mio
papà e, ogni tanto, a degli amici appas-
giornate adatte a praticare l’aeromodellismo non sono tante e cerchiamo
sempre di gustarcele al massimo. Certe
volte, in particolare durante i mesi estivi, oltre che a divertirci con i jet, mandiamo in cielo anche degli alianti. Se
personalmente preferisco la potenza
dei jet, è comunque anche divertente
maneggiare gli alianti, in particolare
perché bisogna andare in alta quota, in
mezzo alle nostre bellissime montagne,
per trovare le condizioni climatiche più
adeguate per farli volare e scendere lentamente verso valle.
Ecco, questa è la mia passione, questo è
l’aeromodellismo. Spero solo che possa
restare il mio hobby ancora per molto e
molto tempo.
Testi corretti dal professor Gian Franco
Pordenone
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
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Società e Territorio
Youtube e videogiochi:
una storia d’amore
Il ricordo
del nonno
in un detto
Web Popolata dai gamer fin dagli esordi la piattaforma video più famosa sta diventando
una vetrina più che uno spazio d’espressione
la vita e la morte nel
mondo contadino
Filippo Zanoli
Emilio Magni
La tv è morta, questa è l’era di Youtube.
Uno slogan più volte ventilato ma, in effetti, realizzatosi solo in parte. Certo è
che la piattaforma video di Google è
sempre più rilevante a livello socio-culturale, soprattutto per quanto riguarda
le fasce più giovani che con facilità vi
pubblicano video, condividono esperienze e ascoltano/guardano musica.
Girovagando per quel che è rimasto
delle campagne e delle cascine contadine alla ricerca di qualche miracolosamente sopravvissuta immagine del
mondo rurale, qualche giorno fa in un
dolce e soleggiato pomeriggio mi sono
trovato davanti, all’improvviso, una
coppia di vecchi, un uomo e una donna, che mi hanno riempito di emozioni forti. Nell’uomo ho rivisto mio
nonno, vecchio e saggio contadino
brianzolo andatosene vecchissimo,
tanti anni fa. Chissà per quale gioco
del destino, o per quale coincidenza di
astri negli spazi siderali, quel pomeriggio era la seconda volta che mi tornava in mente mio nonno.
La prima fu il mattino al canton di
ball, all’angolo della piazza principale,
un signore, parlando, ha tirato fuori
un modo di dire che il nonno diceva
talvolta. Gli amici che al canton si fermano a «contarla su», quella mattina
hanno avuto la bella sorpresa di vedere ricomparire, dopo mesi di «latitanza», il Giovanni Tresoldi, detto Giuanin drughée, perché, fino a una decina
di anni fa, titolare di una di quelle belle drogherie che vendevano di tutto e
profumavano di spezie orientali. Subito si è alzato un coro di compiaciute
e allegre battute di benvenuto, accompagnate da domande sulla ragione di
tale prolungata assenza. Quando finalmente el Giuanin ha potuto dare
una risposta, è stato lapidario: «Seri
püssée de là che de scià». Sono bastate
poche parole per spiegare che era stato gravemente malato, che era stato ricoverato in ospedale, che l’aveva vista
brutta e che quasi se ne stava andando
all’altro mondo, ovvero «di là». Però
ha avuto dalla sua la fortuna e quindi è
restato «di qua».
L’anima creativa
e spontanea di Youtube
ultimamente è stata
intaccata da alcuni
piccoli scandali
Youtube è essenziale anche per i gamer
che sin dagli esordi hanno imparato ad
utilizzarlo in modi diversi, folli e anche
creativi. Si va dalle semplici guide e recensioni a prodotti più complessi, come
cortometraggi o serie tv che fanno della
passione per il videogiocare il loro fulcro.
Proprio qui, tra l’altro, sono anche
nate le prime vere grandi celebrità videoludiche in carne ed ossa.
James Rolfe, look occhialuto da studente del «poli» e conosciuto con il nickname JamesNintendoNerd, è forse il
primo di quella che poi sarebbe diventata quasi una stirpe. Laureato in cinema,
nel 2005 inizia scherzosamente a postare recensioni demenziali di brutti giochi
del passato. Un innocuo passatempo per
esercitare le sue doti registiche e divertirsi omaggiando alcuni dei titoli della
sua infanzia. Dieci anni dopo, Rolfe,
propone ancora le sue avventure ma per
lavoro. È stato il sostegno dei fan che, a
suon di click e merchandising sono riusciti a garantirgli una carriera florida.
Attualmente il ragazzo ha in cantiere un
lungometraggio, girato sempre grazie al
finanziamento dei fan, che dovrebbe vedere la luce proprio quest’anno.
Altra celebrità web tipicamente
nerd è nientepopodimeno che una ragazza (e pure carina) di nome Felicia
Day. Aspirante attrice e appassionata di
Il cast di The Guild con al centro Felicia Day.
videogiochi, dopo alcune comparsate
televisive sfonda grazie al web con la sitcom The Guild che racconta le gesta di
un gruppo di videogiocatori. Trasmessa
perlopiù su Youtube diventa un vero e
proprio hit da milioni e milioni di spettatori. Ed è solo il trampolino di lancio
per Felicia che comincia una vera e propria carriera sul sottile confine fra fiction
e videogame.
Due personalità, Rolfe e Day, che
hanno insegnato agli amanti dei videogame che Youtube può essere un canale
attraverso il quale comunicare ed esprimersi, condividendo le proprie esperienze e passioni, in modi e forme diverse.
E proprio questa anima creativa e
spontanea è stata un po’ intaccata quando, recentemente, è venuto alla luce una
sorta di mini-scandalo riguardante Microsoft e il portale di film videoludici sul
web Machinima. Quest’ultimo avrebbe
offerto pubblicamente soldi a tutti gli
utenti che avrebbero parlato bene della
nuova Xbox One offrendo dei bonus in
moneta sonante in base alla popolarità
della trasmissione. In poco tempo la notizia ha generato una sorta di tornado in
rete. Microsoft e Machinima hanno affermato che si tratta di un «semplice piano promozionale» eppure a molti è sembrato piuttosto un innovativo incrocio
fra pubblicità occulta e giornalismo ingannevole.
Come conferma un’altra semi-celebrità di Youtube, Boogie, tramite un video postato sul suo canale, questo tipo di
accordi è purtroppo la pura e semplice
normalità per molti «youtuber» che
spesso vengono avvicinati dalle aziende
in cerca di «canali alternativi» di marketing. Le quote offerte sono di pochi dollari per ogni migliaia di views.
Parrebbero spiccioli, ma possono
fare la differenza quando si riesce a totalizzare qualche milione di visite. Ne sa
qualcosa proprio Boogie che con Youtube si è ricostruito una vita. Grazie al suo
ironico e folle personaggio conosciuto
come Francis riesce a pagare affitto e
bollette ed è riuscito a scampare ad una
situazione personale e familiare che definire complicata sarebbe eufemistico.
In questo senso non è un caso che nemmeno lui finisca per sbottonarsi troppo
sulla questione, considerando che è stato invitato da Sony a provare in anteprima (filmata) la nuova Playstation 4. Ovviamente spese di viaggio ed alloggio coperte, e chissà cos’altro. Alla faccia della
chiarezza.
Insomma se lo «youtuber» in futuro
diventerà una professione è senz’altro
necessario che in qualche modo venga
regolamentata (sempre che ciò sia possibile), affinché sia sempre chiaro che cosa
si stia guardando. «Scandali» come questi finiscono per ledere chi utilizza la
piattaforma video più famosa del web
per fini puramente espressivi. Ed è un
impoverimento che lo scenario culturale 2.0 non si merita assolutamente.
Un paese dei balocchi viaggia per il Ticino
Giocolandia Dopo il grande successo di pubblico ottenuto, ritorna per il sesto anno
consecutivo il villaggio itinerante dedicato ai bambini e alle loro famiglie
La nuova edizione di Giocolandia vuole
riunire bambini e ragazzi fino ai 10-12
anni insieme alle loro famiglie al completo, con l’obiettivo di trasmettere un
messaggio positivo di divertimento e
benessere vissuto durante il tempo libero. L’iniziativa coinvolgerà e farà giocare il maggior numero di bimbi possibile
con numerose attrazioni. Gli spazi pubblici che saranno animati da «Giocoloandia – Il Paese dei Balocchi», si ve-
Tutte le date
■ Mendrisio, Mercato coperto
22 e 23 marzo 2014.
■ Giubiasco, Mercato coperto
29 e 30 marzo 2014.
■ Biasca, Pista del ghiaccio
5 e 6 aprile 2014.
■ Locarno, Palazzetto Fevi
12 e 13 aprile 2014.
■ Lugano, Pista Reseghina
10 e 11 maggio 2014.
dranno trasformati grazie a spettacoli
teatrali e circensi, show di magia, animazioni, spettacoli e atelier di gioco e
disegno e a numerose attività di movimento quali trampolini, castelli gonfiabili, pareti per l’arrampicata e cavalcate
con i pony, il tutto per la felicità dei numerosi partecipanti.
Giocolandia intraprende un vero e
proprio «tour» ticinese, che andrà a
toccare diversi spazi: il mercato coperto di Mendrisio e di Giubiasco, le piste
del ghiaccio di Biasca e Lugano e il palazzetto Fevi di Locarno, sempre con lo
stesso orario: il sabato e la domenica
dalle 13 alle 18 (vedi calendario nello
schema qui accanto). Ad ogni tappa
della tournée sarà presente lo stand Famigros che offrirà la possibilità oltre
che di giocare e vincere simpatici premi, anche di iscriversi gratuitamente
(bastano 5 minuti) al Club per le famiglie di Migros (info:www.famigros.ch).
Giocolandia sarà un’occasione di
collaborazione attiva e di scambio di
informazioni con varie società sportive
attive su tutto il territorio del Cantone,
saranno inoltre presenti alcune associazioni che promuovono interessanti
attività legate alla tutela dei bambini e
delle famiglie.
Durante tutte le tappe della manifestazione i volontari e gli operatori
dell’«Ospedale del giocattolo» si metteranno a disposizione per aggiustare i
vecchi giochi usati e anche per raccogliere quelli che non vengono più utilizzati. Lo scopo di questa presenza e
raccolta sarà quello di ridistribuire il
tutto a famiglie in difficoltà, donando il
piacere di giocare e un sorriso grazie al
contatto creato con un giocattolo.
L’accesso ai luoghi della manifestazione e la partecipazione a tutti gli spettacoli previsti sul palco di Giocolandia
sono liberi. Acquistando sul posto la
speciale «bimbo card» al prezzo di soli
5 franchi, i piccoli ospiti riceveranno
una bibita Rivella ed avranno, in più, la
possibilità di accedere a tutte le animazioni presenti nel villaggio. Inoltre,
ogni partecipante potrà vincere un fantastico fine settimana per tutta la famiglia nella Disneyland di Parigi.
Informazioni più dettagliate sono
ottenibili sul sito www.giocolandia.ch.
Giocolandia, dal 22 marzo
all’11 maggio in diverse località
Dialetto Essere tra
Con il suo «seri püssée
de là che de scià» el
Giuanin rispolvera uno
dei più classici modi di
dire dialettali
La colorita, quanto consolante espressione adoperata dal Giuanin drughée è
uno dei più classici modi di dire di cui
è ricco il dialetto milanese e che era
adoperato a piene mani nel mondo
contadino. Tante volte però il significato dell’affermazione del «püssée de là
che de scià» non era così rassicurante
come quello che ha voluto sottintendere el Giuanin. Spesso infatti la locuzione vernacola voleva dire che la persona, alla quale si faceva riferimento, era
ormai in condizioni così gravi da essere più vicina alla morte («de là»), che
alla vita («de scià»).
Era insomma in un punto oltre
quella fatale, ineluttabile demarcazione tra lo stare bene e lo stare male, tra
la speranza e la sconfitta di ogni illusione, insomma tra la vita e la morte.
I contadini usavano questa espressione in particolare quando qualcuno
se ne stava andando. Ed ecco che, quel
mattino, è tornato il ricordo di quando
morì mia nonna, grande «resgiura». Al
nonno che era sulla porta della stanza
da letto dove giaceva sua moglie, chiedemmo: «E la nona...?». «L’è püssée de
là che de scià», rispose allargando le
braccia con fare rassegnato. Aggiunse:
«Preghì per lè». Qualcuno azzardò: «La
suffréss». «No, anca l’anima ormai l’è
da là».
Il pomeriggio davanti a quel vecchio mi venne il desiderio di chiedergli
di parlare in dialetto.
8
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
Società e Territorio
«Tra me e l’eroina,
mia madre ha scelto l’eroina»
Intervista Michelle Halbheer, cresciuta negli anni Novanta a Zurigo, ai tempi del Platzspitz e del Letten,
racconta in un libro cosa ha significato crescere con una madre eroinomane
Luca Beti
Incontriamo Michelle Halbheer alla
Limmatplatz, a un tiro di schioppo dal
Letten, da quel brandello di terra sul
quale all’inizio degli anni Novanta si
consumarono migliaia di drammi
umani. Anche quello di sua madre.
Dandoci appuntamento lì, pare abbia
voluto riconciliarsi con un luogo che le
ricorda l’orrore osservato in compagnia
di suo padre quasi venti anni prima.
«Una sera, mio papà mi portò con sé in
una delle sue innumerevoli ricerche di
mia madre. Sospesa quasi nel vuoto
sopra il Letten, vidi scene che mi sconvolsero profondamente: figure cenciose
si conficcavano aghi nelle braccia, altre
osservavano inebetite il fuoco, due
corpi inermi, uno di uomo l’altro di
donna, accartocciati nella sporcizia,
erano percorsi da due ratti. Quando
alzai lo sguardo su mio padre, il suo viso
era solcato dalle lacrime. Con la voce
soffocata dalla tristezza, mi fece promettere che mi sarei sempre confidata
con lui semmai la tentazione di provare
avesse avuto il sopravvento. Glielo promisi. Avevo nove anni. Quella fu certamente una discutibile strategia
educativa che forse però mi ha salvato la
vita», ricorda la giovane donna.
Oggi di fronte a noi c’è una giovane
donna di 28 anni, intelligente, saggia,
delicata e dalla volontà di ferro. Michelle Halbheer – in collaborazione con
la giornalista Franziska K. Müller – ha
deciso di pubblicare la sua storia.
Platzspitzbaby è la biografia di una
bambina cresciuta con una madre eroinomane. Il libro ripercorre l’infanzia e
l’adolescenza di una figlia della scena
aperta della droga a Zurigo. È un racconto straziante, ma anche una denuncia, un j’accuse nei confronti di un
sistema assistenziale che sacrificò una
bambina indifesa nel tentativo di strappare la madre all’eroina.
Le ultime frasi del libro sono dedicate a sua madre. Descrive il piccolo
appartamento in cui vive ora, la foto
di voi due abbracciate e sorridenti.
Non c’è traccia di rancore. Eppure
avrebbe mille ragioni per odiare sua
madre.
Nel corso degli anni ho imparato che
l’odio mi lascia senza energia, mi svuota
completamente. Se provo rabbia, tento
di proiettare questo sentimento sulla
droga e non sulla persona.
L’intenso dolore che ho provato a tredici anni quando mia madre è quasi
morta dopo essere finita sotto un treno
mi ha fatto capire che per lei provo un
forte attaccamento, un amore incondizionato nonostante la sua dipendenza
dall’eroina. Ho capito che non era lei
che odiavo, ma la droga. Senza l’eroina,
lei sarebbe una persona stupenda, una
mamma amorevole.
Sua madre, però, tra l’amore per lei e
quello per la droga, ha sempre scelto
la droga.
Sì, è vero. Mia madre ha sempre preferito l’eroina a me. L’amore artificiale
che si regalava bucandosi non le costava fatica. Quando stava male,
quando si trovava a terra, mia madre
era vuota dentro, le mancava l’energia
necessaria per donare amore ai suoi
cari. Lei preferiva comprarsi l’amore
della droga. Non so, e probabilmente
non lo saprò mai, se non ha voluto o era
semplicemente incapace di offrire
amore agli altri.
Nei primi anni di vita, lei ha conosciuto una madre amorevole, una
donna splendida che viveva per la
sua famiglia.
Quando sono venuta al mondo, mia
madre era pulita. Non si bucava più.
Mio padre pensava fosse felice della vita
che stava conducendo e sperava di aver
vinto definitivamente la sua battaglia
contro la droga. Ma poi, dopo tre o
quattro anni, mia mamma ha iniziato a
essere infelice perché la vita da casalinga
le era venuta a noia: voleva assolutamente lavorare. In quel momento ci
siamo accorti che stava cambiando. Ancora oggi ci chiediamo quale episodio
abbia sconvolto la sua vita e l’abbia fatta
cadere nuovamente nell’abisso della
droga. Forse non voleva essere la madre
che bada agli altri, ma rimanere la bambina che tutti vezzeggiano e coprono di
coccole.
Fino a quel momento, la vostra famiglia aveva condotto una vita normale. Le foto nel suo album di
fotografie lo ricordano. Poi, la situazione è precipitata a causa di una
serie di eventi tragici: la diagnosi positiva all’AIDS, l’aborto. Tra i cinque
e i sette anni, sua madre è cambiata
completamente.
Sì, quando avevo sette anni poco o nulla
ricordava ancora la madre affettuosa e
premurosa di prima. Era di nuovo finita
nelle grinfie dell’eroina. Un episodio, in
particolare, ha dato la spallata decisiva
alla nostra vita, facendola ruzzolare
verso il baratro.
Un giorno ho trovato giocando il coperchio dell’ago di una siringa. È stato un
ritrovamento gravido di conseguenze.
Dopo essere stata scoperta, mia madre
invece di giustificarsi, di chiedere aiuto,
ha iniziato a uscire di giorno per andare
a farsi la sua dose a Zurigo, sapendo che
di notte mio padre sarebbe andato a riprenderla.
Lei parla di un episodio gravido di
conseguenze per lei. Quali?
Ho iniziato a chiudermi in me stessa.
Vedendo mia madre in difficoltà, non le
volevo creare altri problemi. Poi, ho iniziato a staccarmi fisicamente da lei. Non
volevo più abbracciarla perché il suo
profumo era stato sostituito da uno
strano odore, quello dell’eroina. La evi-
L’autrice del libro: «Ho capito che non odiavo mia madre, ma la droga; senza, lei sarebbe stupenda». (Gianni Pisano)
tavo perché avevo paura delle sue percosse che mi infliggeva con sempre
maggiore frequenza. Anche il rapporto
con mio padre è cambiato. A lui non
potevo confidare nulla, né delle botte
che ricevevo né delle cose che osservavo
durante la sua assenza. «Guai a te se racconti qualcosa al papà», mi ammoniva
mia madre.
All’età di sette anni, rimanevo per ore
davanti alla finestra a riflettere sulla
vita per capire ciò che stava avvenendo
attorno a me. Cercavo le risposte ai
mutevoli stati d’umore di mia madre,
ai suoi comportamenti collerici e irrazionali.
Quando sua madre chiede la separazione e ottiene l’affidamento – una
decisione oggi incomprensibile –
per lei inizia il martirio, durato circa
Il j’accuse di Michelle Halbheer
«Una domenica torno a casa. Nell’appartamento c’è sporcizia e disordine
ovunque. Su un tavolo ci sono lettere
d’addio per me e per Andreas. Le pareti sono schizzate di sangue», racconta Michelle Halbheer nella sua biografia. «Vorrei fuggire, ma poi trovo mia
madre priva di sensi, con l’ago della siringa ancora infilato nel braccio e le
punta delle dita e le labbra violacee. È
lì davanti a me come una bambola rotta, gli occhi rovesciati all’indietro e semiaperti. Pochi istanti dopo arrivano
il personale sanitario, il medico e la
polizia. Dopo un’iniezione di adrenalina, mia madre si risveglia e si trasforma in una furia. Bestemmia contro chi
le ha salvato la vita, lancia contro di loro tutto ciò che trova, mi prende con
forza per un braccio e mi trascina in
bagno, dove chiude la porta dietro di
sé. Di fronte a tale rabbia, polizia, medico e sanitari se ne vanno senza proferire parola. Mia madre mi riempie di
botte. Dai 10 ai 13 anni di età vivo in
questo inferno, senza che qualcuno
passi a vedere come sto, nessuno viene
a salvarmi».
Stando alle statistiche del personale
che lavora nell’ambito della cura e
dell’assistenza delle persone dipendenti dalle droghe, in Svizzera vivono
attualmente più di 4000 bambini in famiglie in cui almeno uno dei genitori
consuma sostanze stupefacenti pesanti. Si tratta di una stima approssimativa poiché non ci sono dati ufficiali e
questa cifra è probabilmente solo la
punta dell’iceberg dei casi reali.
«I figli della droga» sono abbandonati
a loro stessi perché considerati il migliore strumento terapeutico per
strappare le madri o i padri dalle grinfie della droga. Per Michelle Halbheer
questa terapia è durata tre anni. È stato
un martirio che le è costato innumerevoli ematomi causati dalle botte, inflittele dalla madre, un grave sottopeso,
un vissuto terribile e impossibile da
dimenticare.
Ora, a 28 anni, ha deciso di rendere
pubblica la sua storia per evitare che
altri bambini debbano vivere il suo
stesso terribile destino. «Il mio sogno è
di lavorare a tempo parziale in una
struttura protetta per i genitori tossicodipendenti e i loro figli. Io vorrei assistere questi bambini. Credo che per
loro sarebbe molto importante poter
contare sull’aiuto di una persona che
intuisce immediatamente ciò che provano, qual è il loro stato d’animo e che
sa che cosa fare per aiutarli. Un tempo,
io ero una di loro».
tre anni. Così, all’età di 9 anni e
mezzo è abbandonata a se stessa.
Nessuno la protegge dagli attacchi
d’ira di sua madre, le prepara da
mangiare, le regala un po’ di calore
umano.
Ricordo come se fosse ieri il giorno in
cui mio padre, dopo avermi fatto ciao
con la mano, ha chiuso la porta di casa.
Io sono rimasta per strada con mia
madre e in quel momento ho capito che
nulla sarebbe stato più come prima. In
quel momento ho patito il peggiore mal
d’amore della mia vita.
Tre giorni dopo ho provato per la
prima volta che cosa significasse avere
fame. Nel nuovo appartamento non
c’era mai nulla da mangiare. Per fortuna, una vicina di casa israeliana mi
invitava a sedere alla sua tavola. E poi le
botte, inattese e improvvise di mia
madre. Da una parte lei mi diceva che
mi voleva bene, dall’altra mi picchiava
continuamente. Finché aveva soldi a
sufficienza per procurarsi le sue dosi,
tutto andava abbastanza bene, ma appena il denaro finiva, per me cominciava l’orrore. Vedendo mia madre
soffrire, avrei voluto aiutarla, starle vicino. Invece, lei mi rifiutava, non mi
voleva, soprattutto quando stava male.
Questa dicotomia di sentimenti prorompeva in litigi violenti.
A undici anni ho iniziato a uscire di casa
per trascorrere le serate con amici
molto più vecchi di me. Nel gruppo cercavo quel calore umano che mia madre
non sapeva darmi. Ho avuto il mio
primo moroso, fumavo e spinellavo. Ho
iniziato a rubare per conquistarmi
l’amore della mia mamma.
Nonostante tutto non è andata a
fondo. È riuscita a salvarsi. Sembra
quasi un miracolo viste le condizioni
in cui è cresciuta. Come ha fatto?
A salvarmi è stata la fortuna e la mia
grande forza di volontà.
È stata la fortuna a salvarmi da un’intossicazione alimentare. Se il ricovero
in ospedale fosse avvenuto alcune ore
dopo, sarei sicuramente morta per disidratazione.
È stata la fortuna a evitare che le botte
di mia madre non mi provocassero
danni irreparabili.
Inoltre, mio padre mi ha insegnato che
dovevo lottare per ottenere ciò che volevo, che potevo piangere dopo essere
finita a terra, ma che dovevo rialzarmi e
continuare a combattere. Non so spiegare questa mia resilienza, questa mia
capacità di affrontare le avversità della
vita, uscendone addirittura più forte di
prima.
Poi ci sono state alcune persone che mi
hanno sostenuto, come il venditore alla
pompa di benzina da cui andavo a
prendere da mangiare, lasciando che
fosse mio padre a saldare il conto alla
fine del mese. Oppure l’insegnante che
ha chiuso un occhio di fronte ai compiti non fatti, dopo avermi scoperto
con la sigaretta in bocca sul piazzale
scolastico.
A salvarmi è stato anche l’amore che
provo per me stessa, per la mia persona.
Io mi voglio troppo bene per finire
male, per fare la fine di mia madre. E
proprio i suoi occhi, iniettati di astio, li
ho visti una notte riflessi nello specchio. Dopo essermi ubriacata per addormentarmi, ho rivisto mia madre in
me e mi sono subito detta che non l’alcol poteva risolvere i miei problemi, ma
che dovevo prendere io in mano le redini della mia vita.
Nella sua biografia Platzspitzbaby
ripercorre la sua infanzia e adolescenza. Ora di fronte a me c’è una
donna matura, con un’esperienza di
vita che l’ha fatta crescere troppo in
fretta. Che n’è stato di quella bambina?
Proprio oggi, in treno, ho ripensato a
quella bambina del libro. Mi sono resa
conto che quella ragazzina vive ancora
in me, soprattutto i fine di settimana,
quando cammino o corro spensierata
nel bosco, quando sono piena di meraviglia allo zoo oppure quando mi diverto con gli amici. Per me è importante
vivere ancora attimi d’infanzia per recuperare parte del tempo perduto. Tuttavia, lascio emergere la Michelle di
dieci anni solo in particolari momenti,
quando quella ragazzina non può essere
ferita. La «Platzspitzbaby» c’è ancora ed
io mi prendo molto cura di lei.
Bibliografia
Michelle Halbheer: Platzspitzbaby –
Meine Mutter, ihre Drogen und ich,
scritto da Franziska K. Müller, edito da
Wörterseh Gockhausen 2013, 224
pagine, ISBN: 978-3-03763-035-8
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni
Donne (e uomini) in festa
Anche se in ritardo rispetto all’8 marzo,
forse sono ancora in tempo per unirmi
ai festeggiamenti.
Come ogni anno, in questa occasione,
ho seguito dibattiti sulla millenaria subordinazione della donna all’uomo e
sulla ricorrente questione se vi siano
differenze attitudinali d’origine genetica tra maschio e femmina, o se invece
le inclinazioni, le attitudini, le scelte di
vita siano determinate dalla cultura del
tempo. Come ogni anno, ho letto di ricerche scientifiche che attestano potenziali moderatamente diversi per quanto
riguarda le predisposizioni etiche, o le
competenze linguistiche, o i procedimenti logici; e, per contro, ho letto le
perentorie affermazioni di psicologhe e
sociologhe che negano assolutamente
qualsiasi differenza – lasciando semmai
qualche margine di probabilità a una
possibile superiorità mentale delle
donne. Così, nell’incertezza delle conclusioni scientifiche e sociologiche, non
posso che affidarmi a quel che so con
certezza: so che ci sono donne come la
Yourcenar che hanno scritto romanzi
di gran lunga più belli di quelli di tanti
autori maschi; che ci sono pittrici come
Artemisia Gentileschi e Frida Kahlo di
maggior valore di un sacco di pittori
loro contemporanei; che ci sono donne
di scienza come Margherita Hack e Rita
Levi-Montalcini che sicuramente non
sono inferiori a molti loro colleghi
scienziati, anzi…
Dunque, per quanto riguarda la superiorità o l’inferiorità di talenti tra i sessi,
per me il problema si chiude qui. Diversa è, invece, la questione dei condizionamenti socio-culturali. È indubbio
che le culture del passato, almeno fin
dove giunge la storia, fossero maschiliste: di conseguenza i codici di comportamento non solo stabilivano i ruoli,
ma li ancoravano a gerarchie di valore.
Platone, nel Timeo, ricorreva a un mito:
il genos femminile compare per se-
condo e si forma a partire dalle anime
degli uomini privi di giustizia e di temperanza. Non diversamente il cristianesimo: San Giovanni Crisostomo, ad
esempio, scriveva: «La donna è nata da
una costola di traverso e dunque tutto il
suo spirito si è trovato naturalmente inclinato al male e alla violenza». La storia
di Eva ha condizionato e giustificato la
misoginia occidentale, decretando l’inferiorità e la subordinazione della
donna all’uomo sancita dalle Scritture.
Ma quelle del passato erano società gerarchiche: il re era superiore ai nobili, i
nobili alla plebe, il prete al laico,
l’uomo alla donna. Poi la democrazia e
il riconoscimento di diritti universali
hanno modificato non solo la struttura
socio-politica delle società occidentali,
ma anche i ruoli e i codici di comportamento. Sicché essere uomo o donna, al
di là della conformazione biologica, dipende dalla cultura del tempo. Come
diceva un’altra donna straordinaria –
Simone De Beauvoir – «donne si diventa». Anche uomini. Si cresce – maschio o femmina – assimilando i
modelli che una società propone o impone.
Il tempo nostro tende a proporre modelli indifferenziati (o a non proporne
affatto). Forse questo giova alla graduale realizzazione della parità dei diritti, ma condivido un dubbio che
proprio la De Beauvoir esprimeva
mentre conduceva la sua battaglia per
la parità: «Che cosa perdiamo se vinciamo?» – si chiedeva. Pensava alle tradizionali cortesie, ai rituali di
corteggiamento, alla galanteria maschile, a tutto quel che di bello la differenza tra i sessi aveva suggerito e che
rischiava di dileguare. E che poi è dileguato. La scomparsa o l’affievolirsi
della disparità tra i sessi ha comportato
anche l’indistinzione di comportamenti. Ma un conto è la diseguaglianza,
altro la differenza: se la prima va sepolta
nel passato, la seconda dovrebbe forse
sopravvivere, in forme diverse. Il genere umano sopporta male quel che è
indifferenziato, ne prova monotonia e
noia. Comportamenti diversi secondo
il genere possono costituire un motivo
di fascino: è la differenza che attrae,
non l’invarianza.
Voglio rendere ancora omaggio a Simone De Beauvoir ricorrendo al suo
aiuto. Nel 1975, mentre si batteva per la
parità, scriveva: «A nessuna donna dovrebbe essere permesso di restare a casa
ad allevare i figli. La società dovrebbe
essere completamente diversa. Le
donne non dovrebbero avere quella
scelta: se c’è una scelta del genere, la faranno in troppe».
La sottile ironia paradossale con la
quale la scrittrice difendeva e insieme
relativizzava l’eguaglianza uomodonna conferma, ancora una volta, che
non esiste una disparità di talenti tra
maschio e femmina.
graffitisti newyorkesi. Ad ogni modo,
l’indirizzo di questo quasi mio coetaneo spirito acquatico nebulizzato in
spray nero è Schönberggasse 9. Una
breve via d’indole esclusivamente universitaria che nasce e scorre parallela
alla Rämistrasse, dove ha sede, poco
distante, oltre all’Unispital, il celebre
poli di Zurigo. Per evitare il giro della
Lüzzina appena fatto – benché rallegrato da mughetti e crocus che spuntano nei giardini minimi di vecchie
case con bovindi – prendete come
punto di partenza, la fermata del tram
Neumarkt, linea tre. A due passi dal
Kunsthaus, tra l’altro. Varcate il cancello accanto al Palais Rechberg
(1759), ed eccovi in un favoloso angolo
poco noto di Zurigo, dall’aspetto parigino: il Rechberg-Garten. Un giardino
barocco dal 1839 al 1866 proprietà
della famiglia Schulthess von Rechberg, e dal 1899, dell’Università. A
fianco dell’orangerie salite le scale e nel
parterre terrazzato in alto, dove dalla
primavera dell’anno scorso c’è un
nuovo frutteto, potete già scorgere,
lassù, contro il beton, la linea ondivaga
di rivolta. Un tratto sul crinale erboso
della collinetta con vista su tetti e campanili zwingliani della città vecchia, ed
il mio vagabondaggio approda, una
fine mattina alle idi di marzo, in faccia
all’ondina dello sprayer di Zurigo (443
m). La figura ondeggiante è situata sul
retro dell’istituto di fisica ai tempi del
graffito, ora sede del Deutsches Seminar. La vetrata d’angolo mostra la biblioteca nel seminterrato. La
linea-zampa di gallina stilizzata, sale
all’altezza delle aule 024-029. Sul beton
si notano appena, le tracce qua e là, di
un nuovo strato grigio per ripulire
l’opera dalle numerose tag invasive.
L’Ondina di Naegeli è stata infatti oggetto di un restauro conservativo finito
nell’ottobre 2005; voluto dalla Baudirektion del Canton Zurigo: l’illegalità
di questo scarabocchio soave è ormai
sdoganata. Comunque, meglio così. La
sua forza ammaliante, credo, è nell’esecuzione selvaggia in un tratto solo,
senza stacchi. Ma anche nella postura
sbilenca e sbilanciata di questa specie
di sirena che ricorda molto la breakdance. «Pluto» la chiama il giardiniere
nano dell’uni, di nome Mungo, che
parla un misto di dialetto irpino e
schwyzerdütsch; è per via delle due
ciocche-gocce di capelli ai lati, che in
effetti, sembrano orecchie da cocker.
Eppure, in realtà, a guardarla bene,
siamo più nella sfera del sogno che dei
cani o dei fumetti. Come ha scritto, in
un testo sui graffiti del 1990, il professore di psicologia e giornalista Dino
Origlia: «un sogno che esce graffiando
un muro». Più di vent’anni ci ho
messo, per arrivare qui, davanti al ritratto stringato di questa sirena-fata
fatta di spray in pochi secondi. Di
colpo, lo sprayer di Zurigo, classe 1939,
mi ricorda quel raccontino zen dove
uno ci mette dieci anni a disegnare un
granchio perfetto, con un solo gesto.
tuazione reale, da far conoscere, senza
però esasperarne la portata in termini
catastrofici. Ed è, invece, quel che sta avvenendo. Si assumono atteggiamenti
aggressivi e insieme lamentosi da vittime di una congiura di palazzo. Come
dire Berna ce l’ha con noi, Berna non ci
ascolta, non ci capisce. E allora si auspicano rimedi fantasiosi o estremi: un
non ben chiaro «statuto speciale» per
una regione svizzera sì, ma a modo suo,
o addirittura l’indipendenza politica da
una Confederazione, di cui ci si sente
sudditi e non cittadini.
Niente di veramente nuovo in tutto ciò.
Anzi si riesuma un vecchio fantasma: le
rivendicazioni ticinesi a Berna, diventate persino proverbiali, il simbolo di richieste legittime o campate in aria.
Dietro le quali si ritrovano proprio i
malumori e i timori di una minoranza
che si sente assediata. A minacciare l’integrità linguistica e culturale del Cantone erano stati, nell’ultimo
dopoguerra, gli svizzeri-tedeschi e i germanici, spesso anziani benestanti, che si
erano stabiliti sulle rive dei nostri laghi
o nelle valli. Di fronte a quest’invasione
si corse ai ripari, istituendo nel 1959 un
«Comitato d’azione per la difesa del Ticino», sigla DDT. «Di buon auspicio»,
come doveva commentare Guido Calgari, figura di ticinese e confederato, a
suo modo esemplare. Con lucidità
aveva riconosciuto la necessità di reagire a quell’invasione germanofona, di
cui, però, responsabili erano i ticinesi
stessi: «Che stavano vendendo, o svendendo, il loro Paese». Ora, cambiano i
protagonisti, ma c’è sempre un intruso
di turno, il pensionato tedesco di ieri e,
adesso, il frontaliero lombardo o il
nuovo ricco russo. Ma c’è sempre, ovviamente, un ticinese, cittadino privato,
imprenditore, o quant’altro, che lo accoglie perché gli serve o ne ricava un
tornaconto.
Ogni rapporto implica, inevitabilmente, due parti in causa. Anche fra Ticino e Berna, la disattenzione e
l’insensibilità sono reciproche. La capitale sembra lontana per motivi oggettivi: è la sede di un potere e di
un’autorità che possono mettere in sog-
gezione. Ma lo è diventata anche per
motivi soggettivi: Berna, e più in generale la Svizzera d’oltre Gottardo, sembrano lontane perché così molti ticinesi
hanno deciso di considerarle, escludendole dalle loro curiosità e simpatie. Non
ci vanno, non ne leggono i giornali, non
ne vedono i programmi televisivi
(colpa, sia detto, anche dell’imperante
«schwyzerdüsch»). E avevano persino
ignorato l’apporto culturale di scrittori
e artisti, soprattutto germanofoni, che
crearono preziose isole d’avanguardia,
dal Monte Verità alla Collina d’Oro,
oggi riscoperte. Perché questo è il Ticino da salvare. Non solo polenta-brasato e grottini (gestiti da slavi), non solo
il piacere di ritrovarsi fra «soci». Per fortuna ce n’è un altro che, grazie a Berna,
ha assorbito i fermenti delle diversità.
Diceva ancora Calgari: «Siamo una
terra d’incontri e transiti. Se non fossimo svizzeri, saremmo una parte qualunque di provincia. La difficoltà del
nostro Paese è che conta pochi veri
amici da una parte e dall’altra». Rari a
Berna, inesistenti a Roma.
Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf
L’Ondina dello sprayer di Zurigo
Uno dei primi articoli che ho ritagliato
e conservato con cura, da un posto all’altro, come un prezioso documento,
riguarda Harald Naegeli, soprannominato – per via della sua identità
sconosciuta fino a fine anni Settanta –
lo sprayer di Zurigo. È un trafiletto
ormai ingiallito, apparso sul «Corriere
del Ticino» nel febbraio 1993 a firma di
Nicoletta Locarnini: Zurigo, il ritorno
dello sprayer. In breve: condannato a
nove mesi di carcere nel 1981 per i suoi
graffiti notturni sui muri di Zurigo e
fuggito in Germania rinunciando alla
cittadinanza elvetica, lo sprayer torna
nella sua città natale niente di meno
che ospite del Kunsthaus. In fondo,
una foto di Naegeli con pullover nero
sformato e bomboletta in mano, accovacciato come i calciatori in prima fila
nelle foto di squadra, ai piedi di un leggiadro scheletro nero sprayato sul
muro. Da quel mattino che lessi quell’articolo, la figura di Naegeli entrò con
la sua carica eversiva nel mio immagi-
nario adolescenziale affamato di idoli
ribelli. Se la costellazione di figure esili
e nette – sprayate di notte, sempre e
solo in nero, tra il 1977 e il 1979, sulle
mura anonime dei parcheggi sotterranei o delle banche blasonate in Paradeplatz – è stata cancellata, una, di
certo, è rimasta. Considerato il suo più
famoso graffito, noto con il titolo di
Undine (1978): Ondina. L’ondina è un
tipo di sirena d’acqua dolce affine alle
fate, che affiora spesso nelle leggende
del folklore germanico; la loro esponente più famosa è la Lorelei, che vive
nel Reno. Paracelso, nei suoi studi
sull’alchimia, classifica l’ondina come
lo spirito elementale dell’acqua. Mentre per la genealogia di questo graffito,
senza entrare nelle grotte della preistoria tra le incisioni rupestri, si dovrebbero almeno citare, le silhouette
fantasmagoriche con facce tipo smile
ma stranite e impaurite, apparse nel
1963 sulle mura di Parigi: per mano di
Gérard Zlotykamien, precursore dei
Mode e modi di Luciana Caglio
Quando Berna sembra lontana
Appena sbarcata all’aeroporto di Agno,
la ministra delle finanze, Eveline Widmer-Schlumpf, viene accolta con un
coro di fischi. Un municipale del Mendrisiotto si fa fotografare mentre straccia la bolletta dell’imposta federale: un
gesto che ricalca quello, ormai storico,
del Nano che, con le cedole per il pagamento del canone radio-tv, faceva aeroplanini. E raccomandava di imitarlo.
Mentre commemorando, a un anno di
distanza, la scomparsa dell’inimitabile
fondatore della Lega, Blocher e Borghezio, in lingue e toni diversi, invitano alla
difesa di un’identità in pericolo, una ticinesità offesa da Berna e da Bruxelles.
Tira, insomma, aria di protesta ma non
soltanto tra le file di un partito dall’anima movimentista, sempre pronto a
cogliere i malumori popolari. È qualcosa che si respira trasversalmente in
tutti i partiti e anche al di fuori dell’ambito politico, in un Paese dove si sono
risvegliati i sentimenti tipici, e in fondo
naturali, di ogni minoranza: l’isolamento, l’estraneità, l’avvilimento, la
propensione al vittimismo. Se ne fanno
portavoce alle Camere federali i nostri
deputati che, al di là delle ideologie, sollecitano l’attenzione di una maggioranza, spesso distratta nei confronti di
quel 4 per cento della popolazione che
risiede al sud delle Alpi. In un triangolo,
favorito dal paesaggio e dal clima, ma
oggi alle prese con uno sviluppo affrettato e dagli effetti controproducenti:
che è giusto denunciare, anche per spiegare il risultato del 9 febbraio. Una si-
Nel 1938 su «Azione» «ul Pedru» dava
voce al malcontento ticinese.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
12
Ambiente e Benessere
Acqua rosso-sangue
Perché è sempre più raro vedere
il vistoso effetto generato dalla
Tovelia sanguinea, nota alga
unicellulare?
Il lupo: tra paure, fascino e realtà
Conferenza sul lupo il 3 aprile, nella sala
Multiuso di Cavigliano
pagina 15
Fotografi in vacanza
Dove va a trascorrere le proprie
ferie chi viaggia per lavoro,
e in particolare i reporter?
I due... merluzzi
Allan Bay spiega le differenze
tra le due famose preparazioni:
gli stoccafissi e i baccalà
pagina 13
pagina 17
pagina 19
Il dottor
Tiziano Galli.
(Stefano Spinelli)
Informazioni online e salute
Tendenze Internet non è una minaccia, ma un’opportunità che medico e paziente dovrebbero cogliere
per migliorare la loro comunicazione
Maria Grazia Buletti
La cosiddetta rete telematica a cui oggi
tutti fanno capo per ogni genere di ricerca di informazioni è una realtà e neppure la medicina si sottrae a questa crescente tendenza di informatizzazione.
La salute è un bene tanto supremo
quanto delicato e internet è oramai diventato un’accessibile fonte a cui le persone e i pazienti attingono notizie a piene mani. Ma attenzione a prendere per
oro colato tutto quanto la rete ci offre.
Per evitare spiacevoli conseguenze
è pertinente chiedersi come usare a proprio beneficio le indicazioni online sulla
salute senza cadere nelle maglie della rete. Ne abbiamo parlato con il dottor Tiziano Galli, medico e curatore del Blog
online Social Media Medici e Medicina
(socialnetpharma.com), che ci offre una
panoramica esaustiva della situazione
tutta in evoluzione, mettendoci però
anche in guardia sugli errori da evitare
nella consultazione delle spiegazioni sanitarie, non sempre pertinenti e personalizzate, che la rete offre.
«Ormai una grossa quota di medici, associazioni scientifiche e ospedali si
sono accorti del potenziale della rete internet, all’interno della quale hanno da
tempo cominciato a riversare informazioni sanitarie corrette e utili». Il Web si
rivela essere un bacino molto interessante dal quale il dottor Galli è certo che
sempre più persone attingono per
orientarsi sul proprio stato di salute.
L’odierna realtà è composta da entrambe le facce di una stessa medaglia: «Da
un lato non possiamo ignorare la sempre maggiore abilità della gente nell’uso
di internet, mentre parallelamente in
rete vengono riversate sempre più fonti
di informazioni corrette, con tanto di
marchi di qualità garanti delle indicazioni profuse a beneficio di chiunque le
consulti. Il paziente che cerca però informazioni sulla propria salute, crea
sempre ancora un certo disagio nella
categoria dei sanitari, alcuni dei quali
vivono il paziente “fai da te” come una
fonte di disturbo e come una vera e propria minaccia al proprio primato».
Atteggiamenti che il dottor Galli
interpreta come legati al senso di protezione e di ruolo che il sanitario percepisce nei confronti del paziente, e correlati alla reale consapevolezza dell’inaffidabilità di alcune fonti: «Di fatto, questo
atteggiamento è dovuto alla volontà di
mettere in guardia il paziente dall’affidarsi a un luogo ricco di notizie, che nel
contempo lo potrebbe esporre a informazioni inesatte o addirittura dannose». Alla questione se Internet possa
dunque rappresentare una minaccia
per chi desidera trovare elementi utili
alla comprensione del proprio stato di
salute, il dottor Galli risponde che «non
è una minaccia, ma un’opportunità per
paziente e medico, perché il primo può
completare le proprie conoscenze e il
secondo può utilizzare la grande opportunità di immettervi informazioni corrette a beneficio dei pazienti che, comunque sia, navigano su Internet».
Il nostro interlocutore è persuaso
che l’atteggiamento corretto che il medico dovrebbe mantenere nei confronti
di queste nuove frontiere telematiche è
quello di guardare con favore al paziente che desidera aumentare la propria
base di conoscenze: «Egli deve potersi
sentire libero di orientarsi anche online.
Però, una volta reperite le informazioni,
dovrebbe essere altresì conscio dell’importanza di accedere al proprio medico
curante per assicurarsi, tramite lui, che
le interpretazioni aperte sulla propria
condizione di salute (o quella dei propri
cari) siano corrette».
In agguato c’è la distorsione cognitiva a causa della quale individui inesperti tendono a sopravvalutarsi, giudicando a torto le proprie abilità superiori
alla media: «Si tratta dell’effetto Dunning-Kruger, la cui distorsione di valutazione è attribuita all’incapacità di riconoscere i propri errori da parte di chi
non è esperto in una materia, come è il
caso del paziente nei confronti della
materia medica». Ciò significa che, indipendentemente dalla fonte, può capitare che un paziente che consulta Internet possa sovrastimare la sua capacità di
interpretazione delle notizie che ha reperito attraverso la sua ricerca «fai da
te», anche se convinto in buona fede di
aver compreso la propria condizione.
Da qui, ricorda il nostro interlocutore,
nasce l’importanza assoluta di verificare
le indicazioni reperite in rete con il proprio medico curante: «Capita che le informazioni sanitarie reperite tramite
Google non siano selezionate o validate
e risultino difficili da interpretare e da
mettere in pratica. Anche se utili, esse
possono produrre ansia o addirittura
far compiere al paziente gravi errori».
Per questo, il dottor Galli ribadisce la
«centralità del ruolo del medico e del
curante».
Assistiamo dunque a una grande libertà di informarsi attraverso quell’immenso contenitore che è internet, ma
senza verifica diretta con il medico curante, non si arriverà al dialogo e alla responsabilizzazione stessa del paziente
per rapporto al proprio stato di salute e
alle vie di guarigione: «Accanto al Medico Digitale che “crea contenuti” e abbraccia la rete come proprio terreno di
conquista e palcoscenico della propria
reputazione, è necessario sottolineare la
figura di un medico o di un curante che
non “abdica” o arretra di fronte alla
propria responsabilità di supporto e
“coaching” del paziente nei confronti di
internet e del Web 2.0».
In tal modo, le nuove tecnologie
vanno valutate attraverso una visione di
accoglienza e interesse a favore del proprio aggiornamento, ma anche e per
conto del paziente attraverso alcuni
semplici accorgimenti che il curante
dovrebbe adottare: «Il medico dovrebbe
conoscere e saper consigliare le fonti
autorevoli che il paziente potrà consultare su internet, verificandole e validandole se corrette, denunciandole e sconsigliandole se non pertinenti. Altresì, il
curante dovrebbe scaricare o stampare
documenti utili trovati in rete e metterli
a disposizione dei propri assistiti. Mentre il “Medico digitale” dovrebbe naturalmente produrre materiale e caricarlo
sul proprio sito o sul proprio blog ad
uso dei pazienti».
I pazienti oggi usano comunque il
mezzo telematico per raccogliere idee e
informazioni: «Che allora siano le migliori possibili, consigliate dal medico
che dovrebbe dialogare con il suo paziente e orientarlo personalizzando le
indicazioni reperite».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
13
Quando le acque rosseggiano
Biodiversità Una microscopica alga colora vistosamente alcuni bacini e corsi d’acqua nelle Alpi
Alessandro Focarile
H2O, acqua, bene essenziale per tutti i
viventi, che diventerà nell’imminente
futuro un bene cruciale e fonte di gravi
conflitti per il suo possesso. L’uomo è
un idro-dipendente, da quando – nella
notte dei tempi – vide per la prima volta
le sue sembianze riflesse nella pozza dove si era chinato per abbeverarsi.
«Da questo ghiacciajo
(della Grigna) proviene
senza dubbio il vicino
fiume d’acqua
freddissima, che
precipitando tra massi
spumeggia e s’imbianca,
sicché non senza
ragione dicesi Latte»
(Amoretti, 1824)
L’uomo è stato sempre incuriosito dalle
caratteristiche dell’acqua, dandole un
nome ben appropriato. Nelle Alpi, e altrove, numerosissimi nomi definiscono
luoghi dove sgorgano acque con aspetti
ben evidenti, che possono essere chimici (Dolceacqua, Fontanamara); fisici
(Fiumelatte, Acquafredda, Acquacalda,
Acquaviva); terapeutici (Acquasanta) e,
infine, grazie al loro colore. Il bianco,
per il limo glaciale in sospensione nei
torrenti alpini che conferisce loro un
aspetto lattiginoso (Gletscher-Milch in
tedesco), oppure il bianco spumeggiante (Fiumelatte). Il nero (Acquanegra,
Lago Nero) quando l’acqua ha per sfondo il letto nerastro per i suoi sedimenti
torbosi di colore scuro. E in conclusione
il rosso, per l’eventuale contenuto di
minerali di ferro (Acquarossa, EauRousse) e, molto raramente per la vistosa presenza di un’alga unicellulare, la
ben nota Tovelia (Glenodinium) sanguinea. Riconosciuta e descritta, quest’alga era molto presente nel Lago Tovel (o Lago Rosso), ubicato nella regione delle Dolomiti di Brenta, nel Trentino, e alle cui acque conferiva (fino a un
recente passato) la peculiare e unica colorazione rosso-sangue.
Con prosa enfatica, così ne scriveva Gino Tomasi (Laghi del Trentino, 1963):
«La famosa, ma mai abbastanza celebrata gemma dei nostri laghi è il lago
Tovel, detto anche Lago Rosso, ai piedi
delle Dolomiti di Brenta. La cui colorazione rossa nella stagione estiva lo eleva
alla dignità di monumento nazionale in
tutto il mondo. È preoccupante pensare
che un fenomeno così eccezionale potrebbe domani anche venire a mancare,
quando una eccessiva antropizzazione
delle rive lacustri arrivasse a sconvolgere e modificare quella delicatissima
composizione di condizioni chimico-fisiche che sono la base ecologica per la
creazione del fenomeno».
Purtroppo, le previsioni di Tomasi
si sono avverate: secondo la Grande enciclopedia De Agostini (1978, vol. XIX,
p. 430) il fenomeno dell’arrossamento
del Lago Tovel non si è più realizzato. In
situazioni ambientali naturali, e non
compromesse dall’uomo, le deiezioni
solide e liquide del bestiame al pascolo
sulle rive del lago entravano nella formazione dei meccanismi fisico-chimici,
che sono all’origine dell’insediamento e
della proliferazione dell’alga rossa. A
quanto pare, Tovelia sanguinea si insediava regolarmente ogni anno grazie alla concomitante presenza di tre fattori:
1. la natura carbonatica (calcarea) del
substrato roccioso; 2. la regolare presenza del bestiame al pascolo; 3. e infine,
l’elevata temperatura dell’acqua, oltre i
10°C a 1178 metri nel cuore dell’estate
(metà luglio-10 settembre) grazie alla
modesta profondità del bacino.
Tovelia sanguinea a forte
ingrandimento. (Grande Enciclopedia De
Agostini, 1978. Vol. XIX p. 430)
Tovelia sanguinea all’Alpe Motterascio. ( Alessandro Focarile)
Il recente e massiccio insediamento
umano (case di vacanza), facilitato da
un comodo accesso anche stradale, con
il conseguente apporto di acque inquinate, la diminuzione delle aree pascolive, distrutte a seguito delle opere di urbanizzazione, sono stati tutti fattori che
hanno incisivamente – e forse per sempre – alterato il chimismo delle acque
del bacino lacustre, tanto che la sua caratteristica ed eccezionale colorazione
non si è più ripetuta.
Se altre episodiche colorazioni di
acque ferme sono conosciute, nessuna
poteva competere con quella del Lago
Tovel, sia per la grandiosità del fenomeno, sia per la densità di colore e regolarità di comparsa stagionale. Ma, purtroppo, bisogna parlare al passato.
Tovelia sanguinea ha, in altri bacini, specie sorelle ma prive della vistosa
colorazione. Possiede all’interno del
suo plasma materiali oleosi colorati da
carotenoidi (gruppo di pigmenti naturali rossi o gialli), che sono distribuiti
nelle cellule (foto) come goccioline sferiche oppure ovoidali, raggiungendo in
certi periodi un’elevata densità, fino a
1000-3000 individui in un centimetro
cubo di acqua.
La fantasia popolare non poteva lasciare senza un’interpretazione il singolare e strano fenomeno dell’arrossamento delle acque del Lago Tovel, e di
altre raccolte d’acqua. Il rosso vivo, sinonimo di sangue, aveva dato origine
nel corso del tempo, a innumerevoli
leggende, spesso truculente e collegate
con la violenza: leggende di coraggiose
regine sfortunate che difendevano i loro modesti domini; di pellegrini (come
San Lucio) minacciati e uccisi da violenti signorotti; di streghe malefiche e
vendicative. Tutti episodi che s’inserivano molto bene nel permanente litigare e guerreggiare per il possesso di boschi e pascoli alpini (Lago dei Morti,
Lago della Battaglia). E altro ancora,
dovunque nelle Alpi e negli Appennini.
In ogni caso, motivi per spargere sangue, che arrossava stagni e laghetti.
A cavallo tra l’alta Val Luzzone (in
Val Blenio) e quella del fiume Reno di
Somviz, si estende il famoso e suggestivo ambiente alto-alpino della Greina.
«Il paesaggio è eccezionale per la sua
unicità che non ha uguale in altre regioni alpine del Cantone Ticino (…) Stra-
Camoghè, Corte di Mezzo (1471 metri s/lm). ( Angelo Valsecchi)
ordinaria e inimmaginabile è la sua varietà di biotopi, rappresentati gli uni accanto agli altri come se fossero le tessere
di un mosaico (…) Una tundra alpina
d’eccezione». Così ne scriveva Angelo
Valsecchi (2003), raro e sensibile conoscitore della montagna ticinese.
Il Crap de la Crusc, ricoperto di
centenari licheni e con una croce di ferro, indica un’ampia sella erbosa a 2259
metri. Punto di confine e di separazione tra due mondi diversi. A Nord, i reto-romanci e il fiume che scende verso
il Mare del Nord. A Sud, i ticinesi e i
lombardi, e acque che conosceranno il
Mediterraneo. A meridione del Crap
de la Crusc, l’ampia regione del Motterascio (2000-2200 metri s/lm) costituisce una grande pianura torboso-palustre di parecchi ettari. Un paesaggio
con aspetti di tundra alpina grazie alle
peculiarità della sua flora e dei notevoli
fenomeni detti crio-nivali, espressione
dell’azione del gelo e del disgelo che dà
origine ai cosiddetti cuscinetti da soliflusso. Ma l’aspetto di tundra alpina è
dato anche dal suo popolamento entomologico, pure caratterizzato in notevole misura dalla presenza di specie che
hanno un’attuale diffusione di tipo boreo-alpino, presenti cioè nell’Eurasia
boreale e sulle Alpi. Una biodiversità di
notevole valore e significato, e che aggiunge preziosità al territorio della
Greina.
In questo suggestivo ambiente d’alta quota, aperto, luminoso e circondato
da rilievi oltre i 3000 metri s/lm, sono
individuabili numerosi ristagni d’acqua, alcuni dei quali (foto) ai primi di
settembre erano vistosamente colorati
di rosso, grazie alla presenza dell’alga
unicellulare Tovelia sanguinea, lo stesso
minuscolo vegetale di fama internazionale del Lago Tovel, nel Trentino. Si
stanno dunque scoprendo nuove località alpine, ove è stata osservata la vistosa
alga. Oltre al Motterascio, Tovelia sanguinea è stata documentata anche nella
regione del Camoghè e al Passo di San
Lucio (Valsecchi 2013).
Queste interessanti scoperte inducono a osservare con maggiore attenzione le nostre montagne, e quanti tesori naturalistici ci offrono. È molto probabile, infatti, che il fenomeno della colorazione rossa originata dall’alga possa
essere più frequente di quanto sia stato
finora documentato. Anche al Motterascio, a 2100 metri s/lm, sono riuniti i tre
fattori ecologici determinanti il fenomeno: 1. bovini al pascolo; 2. natura
carbonatica (dolomie cariate, calcescisti) dei substrati rocciosi presenti; 3. elevate temperature estive degli stagni,
grazie alla loro modesta profondità. È
sufficiente avere la curiosità per tenere
gli occhi ben aperti quando si frequenta
la montagna e, possibilmente, fotografare l’insolito fenomeno. Infine, divulgare l’informazione a futura memoria.
Bibliografia
Angelo Valsecchi 2003 – Greina, la
nostra tundra – Club Alpino Svizzero,
Sezione Ticino, 68 pp.
Angelo Valsecchi 2013 – Camoghè,
dove nacque l’alpinismo ticinese – Club
Alpino Svizzero, Sezione Ticino, 70 pp.
Gino Tomasi 1963 – I laghi del
Trentino – Casa editrice G. B.
Monaunini & Arti Grafiche R.
Manfrini (Trento), 329 pp.
w
w
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
15
Ambiente e Benessere
Il lupo in salsa Bernese
Legislazione e salvaguardia Dopo un’iniziale diffidenza sfociata in abbattimenti illegali, in Svizzera
l’accettazione di questo grande predatore sta facendo passi avanti
Angelo Gandolfi, testo e foto
Nel 2011 uscì sui giornali una notizia
che pareva uno scherzo: Berna chiede
di uscire da Berna. In realtà si trattava
di Berna come sede del Consiglio nazionale che chiedeva di uscire dalla
Convenzione di Berna per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa. Se non era un ossimoro
linguistico, lo era certamente sul piano
logico. Che cosa poteva essere successo
di così grave?
Il problema era dato dai lupi alle
frontiere che minacciavano le 400mila
pecore e le 70mila capre della nazione.
Quanti lupi? Beh, una dozzina, più o
meno: mamma mia, avrebbero chiaramente rischiato un’indigestione. Ora,
dato che la Convenzione di Berna non
protegge solo il lupo, ma tante altre
specie animali e vegetali, nonché i loro
habitat, non è che la Svizzera intendesse diventare un Paese anti-ecologico,
per così dire. No: voleva uscire e poi
rientrare apponendo questa volta alcune riserve sul lupo (come a suo tempo
aveva fatto, ad esempio, la Spagna), in
modo da poterlo eliminare senza troppi problemi.
Chi ha seguito i miei primi quattro
articoli apparsi su queste pagine conosce già alcuni temi che qui compendio:
la parola «lupo» suscita sentimenti di
paura e odio profondamente radicati
nel sistema limbico, la parte più antica
del nostro cervello. Ovviamente questo
sistema può essere tenuto sotto controllo, però è altrettanto probabile che
riesca invece a convincerci di «razionalizzare» tali sentimenti. È illusorio pensare che il linguaggio sia creato da noi
in quanto individui, in realtà noi siamo
in parte una creazione del linguaggio: è
lui che ci forma. E fin dalla più tenera
età, la parola «lupo», che lo si voglia o
no, rimescola antichi sedimenti di cui
neppure ci rendiamo conto: l’enorme
lupo Fenris a battaglia contro gli dei, i
lupi amici dei diavoli e delle streghe.
Alcuni esempi di attribuzione negativa
al lupo si sono letti persino su certe copertine della «Domenica del Corriere»
di cui è d’obbligo fornirvi alcune citazioni: 26 marzo 1911, «Corteo nuziale
nella Russia asiatica assalito dai lupi: le
donne gettate in pasto ai lupi affamati»; 25 ottobre 1914,«Orrore sui campi
di battaglia. Gli orrori della guerra:
torme di lupi affamati invadono il
campo di battaglia di Augustow assalendo morti e feriti» (dunque gli orrori
della guerra non erano i carri armati e i
gas asfissianti, ma i lupi, ndr); 3 gennaio 1937, «In Estonia un branco di lupi
assale una corriera» (non dice se se la
sono mangiata intera o se prima l’hanno «sbranata», ndr); 22 gennaio 1956,
«In Abruzzo branco di lupi famelici
sbarra il passo a un pullman carico di
passeggeri».
Saluto tra lupi.
Ancora oggi sulla stampa, benché
ci vengano ormai risparmiate le tavole
stile Beltrame, non sono tuttora rari titoli del tipo: «Due pecore sbranate dai
lupi». Noi umani invece non sbraniamo
mai nulla, al massimo consumiamo sobriamente qualche cotoletta d’agnello
alla brace. La parola appare persino nella legge sulla caccia: «La selvaggina
sbranata non va rimossa, ecc.»
In Italia, la protezione legale del lupo risale agli anni ‘70. Lentamente la
specie ha ricolonizzato la catena appenninica, attraversando fiumi e autostrade, fino ad affacciarsi sulle Alpi (parco
del Mercantour) nei primi anni ’90. Sull’arco alpino franco-italiano il lupo ha
trovato un ecosistema favorevole, grazie al quale ha raggiunto la Valle d’Aosta nel ‘94, ma si è anche diretto verso
Conferenza
sul lupo
In data 3 aprile 2014, nella sala Multiuso di Cavigliano, alle ore 20.15,
avrà luogo una conferenza dal titolo
Il lupo: tra paure, fascino e realtà. La
conferenza è organizzata dalla Fondazione Museo regionale delle Centovalli e del Pedemonte. Relatori saranno Ruth Togni, presidente dell’associazione per la protezione del
bestiame dai predatori, e Angelo
Gandolfi, giornalista specializzato in
divulgazione ambientale, nonché
autore del presente articolo.
ovest, raggiungendo i Pirenei orientali
nel 1999.
Visti i precedenti, ci si poteva ben
aspettare che arrivasse in Svizzera. Infatti, nel 1999, il Kora, l’ente statale deputato al monitoraggio e conservazione
dei grandi mammiferi predatori, scriveva: «Dal 1985 al 1992 il fronte di diffusione della popolazione del lupo (presenza stabile, non individui in dispersione) si è spostata di 190 km, da Genova verso ovest (Mercantour), e cioè con
una media annua di 22,8 km. Se detta
velocità viene mantenuta, tale fronte
potrebbe raggiungere la Svizzera già
nell’anno 2000». Facile previsione, visto
che il primo lupo (a noi noto) si era già
visto in Entremont nel 1995. E il caso ha
voluto che il lupo appenninico si sia
presentato per la prima volta proprio
nel Vallese, dove a Eischoll, nel 1947,
era stato ucciso l’ultimo lupo «alpino».
Nonostante la prevedibilità, quando il lupo arrivò nel Vallese, fu accolto
come fosse arrivato un invasore marziano. E, quindi, mano ai fucili. Tra l’88
e il 2000, dei circa sette lupi che hanno
tentato di attraversare il cantone, quattro sono stati uccisi. Nel frattempo, il
presentatore della proposta di modifica
della Convenzione di Berna, Jean-René
Fournier, è stato condannato (il 23 dicembre 2011) a una pena di 60 ore di lavoro socialmente utile, per aver illegalmente ordinato l’abbattimento di un
lupo (lupo che poi aveva fatto impagliare per tenerlo nel proprio studio).
Purtroppo, se mettiamo a confronto la
velocità di espansione del lupo, come
sopra descritta dal Kora per l’Italia e la
La nuova legge e il canton Ticino
Molte delle misure riguardanti i grandi predatori sono già in atto e sono
confermate. In particolare, il rimborso totale dei danni, di cui l’80 per cento a carico della Confederazione e il
resto a carico dei Cantoni. La novità
consiste nel fatto che l’ordinanza sulla
caccia definisce le misure finalizzate
alla protezione del bestiame e degli
apiari promosse dalla Confederazione, tra le quali una pianificazione adeguata dell’estivazione, l’impiego di
cani da protezione del bestiame e, laddove possibile, la posa di recinzioni
elettriche. Inoltre, la revisione dell’ordinanza crea le basi per la vigilanza
dei cani da protezione del bestiame
chiesta dal Parlamento.
Nulla cambia riguardo alle procedure e
misure decisionali concernenti l’abbattimento di linci, lupi o orsi che causano danni rilevanti (35 animali nell’arco di quattro mesi o 25 in un mese).
Viene, però, sottolineato che i grandi
predatori sono protetti e che il loro abbattimento è autorizzato soltanto in
via eccezionale. Inoltre (ed è questa la
novità rilevante), nelle regioni in cui è
presente il lupo, i proprietari di bestiame minuto e grosso devono adottare
misure di prevenzione dei danni. Queste misure di protezione sono prese
nell’ambito di progetti regionali e sostenute, anche a livello organizzativo e
finanziario, dalla Confederazione, tramite l’Ufficio federale dell’ambiente.
In caso di misure di protezione inadeguate il lupo «colpevole» non viene abbattuto (è già successo almeno in un
paio di casi).
Il Cantone Ticino appare come
un’«isola felice» in questo trambusto.
Il rapporto ufficiale 2013 (2012 e primi
mesi del 2013) dell’Ufficio della Caccia
e della Pesca parla di «una media di 10
capi predati all’anno dal 2001 al 2012
con una presenza annuale da 1 a 3 lupi.
In base ai capi predati e al numero degli attacchi, il lupo finora si è cibato
principalmente di selvaggina e non di
animali domestici». È importante considerare il fatto che la preda principale
del lupo è il cinghiale, dei cui danni
sempre si lamentano gli agricoltori.
Il pastore e i suoi cani non temono il lupo.
Francia, con la medesima velocità sul
territorio svizzero, e tenuto conto degli
abbattimenti legali (8 eseguiti su 13 ordinati dal 1989) e delle attuali presenze
del lupo, si può sospettare che esista
tuttora un bracconaggio a spese della
specie.
Vale ora la pena di rileggere le motivazioni ufficiali della proposta Fournier per capire perché non potesse essere accettata «…il Parlamento ha accolto
la mozione Fournier che chiedeva
l’emendamento dell’articolo 22 affinché
gli Stati possano formulare delle riserve
se le circostanze sono manifestamente
cambiate dal momento della firma
dell’accordo».
Il 27 novembre del 2012 gli uffici
della Convenzione di Berna hanno rigettato la proposta svizzera poiché
«non suffragata da analisi o dati scientifici e… suscettibile di incidere in modo
estremamente negativo sulle popolazioni di fauna e flora di interesse europeo». La Confederazione ha preso atto,
devo dire, con un certo realismo. Infatti,
un anno dopo, il 6 novembre 2013, il
Consiglio Federale ha modificato la regolamentazione relativa all’organizzazione e alla promozione della protezione del bestiame nell’ambito dell’ordinanza sulla caccia. Inoltre, ha approvato un rapporto dettagliato sulla protezione del bestiame che funge da base alla revisione. Il rapporto illustra come
organizzare a lungo termine in modo
efficiente la protezione del bestiame, il
fabbisogno finanziario a livello di Confederazione e gli adeguamenti giuridici
necessari.
Intanto la vita prosegue. Questo significa che nel Vallese continuano a
sparare. Ha scritto un giornale locale:
«Qui da noi si preferisce sparare anziché proteggere efficacemente le pecore». Il 2 settembre 2013, su ordine di
Jacques Melly, consigliere di Stato del
Vallese, è stato abbattuto un lupo sugli
alpeggi di Conches, benché secondo
molti non sussistessero i criteri previsti
dalla «strategia lupo» in quanto non
erano state adottate misure di protezione adeguate. Il lupo, infatti, è stato ucciso in pochi giorni proprio utilizzando le
pecore non protette dell’alpeggio come
esca (mentre nessun attacco si è registrato ad altri alpeggi, perché protetti,
nella stessa zona). Il Wwf ha pertanto
denunciato il consigliere di Stato.
Vallese a parte, la situazione del lupo in Svizzera sembra ora avviata in
una buona direzione. Nel cantone dei
Grigioni, nel 2012 è stata avvistata una
coppia di lupi con cuccioli (regione
della Calanda): alla fine dell’anno scorso il branco contava dieci o undici
esemplari, sebbene due di essi siano poi
stati uccisi lo scorso mese, proprio da
bracconieri.
Come recita un comunicato ufficiale, nonostante l’aumento della popolazione di questo predatore, la collaborazione e la cooperazione con gli allevatori locali hanno consentito di contenere al minimo i danni. Le continue misure di protezione del bestiame si sono rivelate efficaci. La situazione nella regione della Calanda dimostra che i lupi
possono vivere senza creare danni rilevanti anche in territori la cui economia
è basata sull’allevamento di animali da
reddito e sull’agricoltura produttiva.
È probabile che tra qualche anno,
in Italia e in Francia, la legislazione svizzera venga citata come esempio positivo e da imitare.
Questa settimana da Charles Vögele:
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
17
Ambiente e Benessere
La barba del barbiere
Da costa
a costa
Viaggiatori d’Occidente Dove vanno in vacanza i professionisti del viaggio?
Bussole Inviti a
letture per viaggiare
«Chi, come me, era bambino alla fine
degli anni Settanta, ricorderà la fortunata serie televisiva Alla conquista del
West: la saga dei Macahan che, abbandonata la propria fattoria in Virginia,
intrapresero un viaggio avventuroso alla volta dell’Oregon, nel lontano Ovest
americano. Niente poté fermarli, nemmeno la Guerra di Secessione. Go west,
young man!, “Va’ ad ovest, ragazzo!”.
Questo era l’imperativo, per tutti quei
pionieri che percorrevano le piste carovaniere…»
Claudio Visentin
Conoscete il paradosso del barbiere? Fu
formulato nel 1918 da Bertrand Russell e
recita più o meno così: «Se il barbiere fa
la barba a quelli che non se la fanno da
soli, chi fa la barba al barbiere?» Ha qualche importanza nella storia della matematica, specie per quanto riguarda la
teoria degli insiemi (il barbiere resta fuori da entrambi gli insiemi, tra loro complementari, degli uomini che si radono
da soli e di quelli che vengono rasati dal
barbiere). Di più non saprei dire – la mia
comprensione della matematica si ferma
parecchio prima – ma questa formula mi
è venuta in mente quando il «New York
Times» qualche tempo fa ha chiesto ai
più famosi fotografi dove vanno in vacanza. Che bella domanda! Dove viaggia, per propria scelta, chi fa poco altro
per tutto l’anno? La risposta potrebbe
essere: molto lontano o molto vicino.
Per esempio, la fotografa e regista americana Lauren Greenfield torna regolarmente a Roundstone, un piccolo villaggio di pescatori sulla costa occidentale
dell’Irlanda, dove ritrova la sua famiglia
allargata e dove i bambini possono giocare coi numerosi cugini. Già che c’è,
documenta l’usanza dei locali di tuffarsi
nelle gelide acque del mare nel giorno di
Santo Stefano (26 dicembre). Anche
Alec Soth ritorna nel Minnesota, da dove proviene la sua famiglia, ma spesso
fuori stagione, per esempio visitando in
inverno le più famose destinazioni estive. Non prendetelo ad esempio: Rimini
d’inverno (è il tema di una canzone di
Francesco Guccini, ma sul tema hanno
dato il loro contributo anche Fabrizio
De André e Loredana Bertè) è tra i luoghi più tristi del mondo.
Il grande, grandissimo Martin
Parr, che ha fotografato come nessun
altro il mondo piccolo dei turisti, predilige le isole Ebridi, appartenenti alla
Scozia, ma cede poi alla tentazione di
fotografare la bellezza nascosta dietro
piccoli gesti quotidiani, come i panni
stesi. Osserva giustamente: «Non credo
alle vacanze. Perché dovrei allontanarmi da quello che amo fare?»
Non è il solo a tornare in luoghi
tranquilli e familiari. Nei weekend estivi
il tedesco Olaf Otto Becker predilige una
Le spiagge di Tel Aviv sono la meta scelta dal fotografo Gillian Laub. (Upyernoz)
rilassata birreria sul Tegernsee, in Baviera. Non porta con sé la macchina fotografica per non sottrarre tempo agli amici, ma poi finisce per scattare lo stesso
con l’iPhone o anche solo mentalmente,
componendo scene e immaginando fotografie che non vedranno mai la luce.
L’icona della fotografia, Nan Golden, va
invece a Venezia, per coltivare con la necessaria calma i ricordi di gioventù e
bazzicare gli antiquari preferiti.
Altri hanno inclinazioni decisamente più esotiche come Domingo Milella che predilige la Turchia, anello di
congiunzione tra culture diverse, specialmente il nord della Mesopotamia,
dove la terra restituisce ogni giorno le
rovine di un passato misterioso.
Gillian Laub sceglie le spiagge di
Tel Aviv perché qui, nonostante le quotidiane tensioni e le minacce di un Paese
in guerra da decenni, si impara a vivere
alla giornata e a tirare il fiato anche nelle
situazioni più difficili. Sebastião Salgado si addentra invece tra i riti e le danze
di Bali, sulle orme di Gotthard Schuh
(ndr: vedi «Azione» n. 46 del 2013). Ma
nessuno batte Simon Norfolk, che ha
scoperto la dimora dei suoi sogni in Afghanistan, a Bamiyan, dove i Talebani
distrussero le grandi statue del Buddha,
e vorrebbe acquistare e ristrutturare un
vecchio fortino: auguri per i suoi rapporti con i vicini di casa…
Per parte mia, mi sono trovato a
lungo nella stessa condizione di viaggiare con l’impegno di raccontare, pressato
da scadenze, scarsità di fatti significativi
o di ispirazione: per questo a volte è un
sollievo sapere che non si è obbligati a
ricavare un prodotto dalla propria esperienza, ma anche così, dopo un poco, si
comincia ad annotare, fotografare, documentare… Di tutti i viaggi al di fuori
del mestiere, quello a cui sono più affezionato è una settimana di cammino
con tutta la famiglia che si ripete ogni
anno, appena finisce la scuola: quest’anno sarà fatta nei boschi del Casentino, ai
margini di antiche foreste. Forse perché
è quasi una necessità quella di rinsaldare legami allentati dopo lunghi mesi nei
quali ciascuno ha seguito i ritmi della
propria agenda personale, diversa da
quella degli altri membri della famiglia.
Il gruppo in movimento, come un clan
nomade all’alba della civiltà, dialoga, discute, condivide le difficoltà, e così facendo si rinsalda e si prepara ad affrontare le insidie della quotidianità.
Tra i miei colleghi italiani, l’amico
pittore Stefano Faravelli, che pubblica
su «Azione» i suoi acquarelli di viaggio
(ha da poco raccontato il Madagascar
sui numeri 3 e 7 di quest’anno) si ritira
per mesi in un piccolo paese dell’entroterra ligure – ma con il mare sullo sfondo – dove passa i giorni raccogliendo
pietre, semi, piante e piccoli animali nei
boschi, sino a quando la casa assomiglia
a un museo naturalistico, per la disperazione della consorte. Il fotografo Alessandro Gandolfi, invece, che ha da poco
raccontato per noi le foreste dell’Etiopia, lascia ostentatamente a casa la macchina fotografica per non inquietare la
fidanzata che lungo tutto l’anno lamenta le sue lunghe assenze, sceglie percorsi
fuori rotta (per esempio quest’anno il
Molise) ma poi fatica a negarsi quando
una bella storia si affaccia all’orizzonte.
È un gioco divertente che penso di
continuare. Fatelo anche voi, per esempio chiedendo al vostro agente di viaggi
dove va in vacanza. Può anche essere
esteso ad altri mestieri, per esempio
chiedendo al vostro barista preferito
dove va a bere qualcosa quando smonta, o chiedendo al vostro barbiere… chi
gli fa la barba.
Se l’America si è costruita – e immaginata – attraverso uno spostamento orizzontale (per così dire), la storia d’Italia al
contrario è sempre stata verticale, da
nord a sud, fossero le vie romane o gli attuali percorsi autostradali, le infinite invasioni nei secoli o l’impresa dei Mille.
Oltretutto, ciascuna delle due marine –
l’Adriatico con Venezia, il Tirreno con
Genova, Pisa e Amalfi – ha spesso vissuto una storia diversa e separata dalla barriera naturale degli Appennini. Percorrere tutta l’Italia però, per quanto è lunga, è un’impresa per pochi coraggiosi,
che richiede mesi.
Gli attraversamenti orizzontali invece, da costa a costa, sono molto più a
portata di mano, faccenda anche soltanto di 2-3 settimane, e soprattutto aprono
prospettive nuove, che legano due mari
attraverso la montagna, lungo strade secondarie spesso dimenticate.
Infinite le possibili scelte, tra cui
questa di Simone Frignani che, con una
linea sulla carta, ha collegato due monti
protesi nel mare – il Conero e l’Argentario – attraverso Marche, Umbria, Lazio
e Toscana.
Ogni giornata accende un diverso
interesse culturale, storico, religioso o
naturalistico: Assisi e altri luoghi di
Francesco, Orvieto medievale, le città
del tufo fino alla riserva naturale della laguna di Orbetello, in Maremma, terra di
cowboy (i butteri), e dunque degna conclusione del viaggio. Go West!
Bibliografia
Simone Frignani, Italia coast to coast.
Dall’Adriatico al Tirreno, Terre di
Mezzo, 2014, pp.168, € 18,00.
I segreti della settimana
Giochi di prestigio Seguendo alcuni accorgimenti è possibile svelare a occhi chiusi alcune caratteristiche
della popolare rivista chiedendo semplicemente il numero dell’edizione
Forse non tutti sanno che... da tempo
immemorabile, la popolare rivista La
Settimana Enigmistica rispetta alcune
tacite convenzioni, nella composizione
delle proprie copertine, con un rigore
assoluto. Questa singolare caratteristica può essere sfruttata, per effettuare
un divertente gioco di magia matematica. Se volete eseguirlo, dovete osservare le seguenti indicazioni, dopo esservi procurati alcuni fascicoli de La
Settimana Enigmistica, con diverso numero di edizione.
Per iniziare dovrete seguire i tre
punti di questa modalità di esecuzione
1. Invitate uno spettatore a scegliere uno dei fascicoli a disposizione, senza farvelo vedere; 2. Fatevi comunicare
il numero di edizione di tale fascicolo;
3. Entro pochissimi secondi, sarete in
grado di individuare quattro elementi
fondamentali della relativa copertina: il
colore, la posizione della foto inserita
nel cruciverba, il sesso del personaggio
raffigurato in tale foto, la dicitura posta
sopra la testata.
Eccovi quindi gli accorgimenti da
seguire. Per individuare il colore della
copertina, dovete dividere per 3 il numero di edizione (o la somma delle sue
cifre) e, in base al resto ottenuto, tener
conto delle seguenti associazioni: 0 rosso; 1 blu; 2 verde. Ad esempio, se il nu-
mero di edizione è 4033, il colore della
copertina è blu, dato che: 4+0+3+3 = 10
e: 10/3 = 3 col resto di 1.
Per individuare la posizione della
foto, dovete dividere il numero di edizione per 4 (o le sue ultime due cifre) e,
Giovy
Ennio Peres
in base al resto ottenuto, tener conto
delle seguenti associazioni: 0 in alto a
sinistra; 1 in alto a destra; 2 in basso a
destra; 3 in basso a sinistra.
Ad esempio, se il numero di edizione è ancora 4033, la foto è posizionata in alto a destra, dato che le ultime
due cifre di 4033 sono: 33 e che 33/4 = 8
col resto di 1.
Per individuare il sesso del personaggio raffigurato in copertina, dovete
osservare il numero di edizione: se è
pari, si tratta di un uomo; se è dispari,
di una donna.
Ad esempio, se il numero di edizione è ancora 4033, potete desumere
che il personaggio della foto è una donna, dato che il numero in questione è
dispari.
Anche per individuare la dicitura
posta sopra la testata, dovete osservare
il numero di edizione: se è pari, si tratta
di: «La rivista che vanta innumerevoli
tentativi di imitazione»; se è dispari, si
tratta di: «La rivista di enigmistica prima per fondazione e diffusione».
Ad esempio, se il numero di edizione è ancora 4033, la dicitura posta
sopra la testata è: «La rivista di enigmi-
stica prima per fondazione e diffusione», dato che il numero in questione è
dispari.
La spiegazione del trucco è semplice. Le rigorose convenzioni adottate da
La Settimana Enigmistica per le proprie copertine, sono le seguenti: vengono utilizzati solo tre colori (rosso, blu e
verde), avvicendandoli a rotazione, nel
medesimo ordine; la posizione della foto, ruota in rigoroso senso orario, da un
angolo all’altro del cruciverba nel quale
è inserita; nei numeri pari, viene pubblicata la foto di un uomo e, nei numeri
dispari, quella di una donna; nei numeri pari, compare la dicitura: «La rivista
che vanta innumerevoli tentativi di
imitazione» e, in quelli dispari: «La rivista di enigmistica prima per fondazione e diffusione». Di conseguenza: i numeri relativi a un determinato colore,
divisi per 3, danno lo stesso resto; i numeri relativi a una determinata posizione della foto, divisi per 4, danno lo
stesso resto; i numeri relativi a un personaggio di un determinato sesso, divisi per 2, danno lo stesso resto; i numeri
relativi a un determinata dicitura, divisi
per 2, danno lo stesso resto.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
18
Ambiente e Benessere
Pasta e coste
Cucina
di Stagione
La ricetta
della settimana
Piatto principale
Ingredienti per 4 persone: 500 g di coste · 1 peperoncino
rosso · 1 cipolla · 3 cucchiai d’olio di colza · sale · 400 g di
pasta, ad esempio orecchiette o reginette · pepe.
1. Tagliate separatamente i gambi e le foglie delle coste a strisce larghe circa 1 cm. Tagliate il peperoncino ad anelli. Tritate la cipolla.
2. Saltate nell’olio i gambi delle coste, il peperoncino e la cipolla in una padella o nel wok a fuoco basso fino a medio
per circa 5 minuti. Unite le foglie delle coste e stufate a fuoco
medio per circa altri 3 minuti. Salate.
3. Cuocete la pasta al dente in abbondante acqua salata. Scolatela e unitela alla verdura mescolando bene. Aggiustate di
sale e pepe.
Un esemplare gratuito
si può richiedere a:
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Per persona: circa 15 g di proteine, 10 g di grassi, 73 g di
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Rating della clientela:
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formaggio a pasta dura
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Aperitivi, pesce d’acqua
dolce, carne bianca,
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tel.: +41 91 858 21 49
Orari d’apertura: lu–ve 8.00–18.30 /
gi 8.00–21.00 / sa 8.00–17.00
tel.: +41 91 605 65 66
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
19
Ambiente e Benessere
Stoccafisso o baccalà?
La cosa più curiosa dello stoccafisso risiede nel fatto che io ne abbia parlato
molto poco sulle pagine di «Azione» in
tutti questi anni. È, infatti, in assoluto
uno degli ingredienti che più amo, uno
dei pochi che non sia una carne – la carne, oramai lo sapete, ha il mio amore incondizionato. Sebbene, in ogni caso e a
conti fatti, in questi dieci anni abbia pubblicato sei ricette nel lontano 2007, con
una piccola scheda introduttiva. Quest’anno cercherò di rimediare, a partire
da oggi, lo prometto.
Il baccalà è comunque
la preparazione
del merluzzo meno
preziosa, ma anche
quella meno costosa
La seconda cosa più curiosa dello stoccafisso, straordinario e prezioso ingrediente, è che ci sono molte preparazioni che si
chiamano baccalà – altrettanto straordinario ingrediente, sia chiaro, ma molto
meno prezioso e costoso – fatte... con lo
stoccafisso! È come mettere caviale in un
piatto e poi dire che si sono utilizzate uova di pesce...
Il perché è presto detto. Il baccalà è
il merluzzo conservato sotto sale, da
sempre a buon mercato (anche se oggi
meno di un tempo) e per quanto lo si
cerchi di dissalare al meglio, mantiene
sempre un fondo sapido e ruspante.
Certo, col baccalà si fanno comunque
piatti mitici, ma costantemente ruspanti. Mentre lo stoccafisso è merluzzo seccato all’aria, quindi disidratato ma non
salato. Inoltre lo stoccafisso è prodotto
solo in Norvegia, peraltro con la prima
scelta dei pesci pescati. Quindi alla fine è
«più buono» da un lato e molto più costoso dall’altro. E inevitabilmente la sua
produzione totale è quasi nulla rispetto a
quella del baccalà.
Detto ciò, il baccalà è popolarissimo
da sempre e in tanti Paesi, per questo i
piatti sono infiniti. Ma che cosa dovette
inventarsi il cuoco che voleva proporre ai
suoi clienti un baccalà che più buono
non si può? Occorreva di certo partire da
un baccalà buonissimo. Ma il più «buono» è appunto lo stoccafisso... E quindi
incominciò a preparare per clienti esigenti dei piatti che si chiamavano baccalà
ma che erano fatti col prezioso stoccafisso: questo avvenne soprattutto in Veneto. Da qui la confusione dei nomi. Fra
l’altro oggi alcuni cuochi fanno dei piatti
che si chiamano baccalà, ma utilizzando
il merluzzo fresco, che è oramai disponibile in grande quantità appena pescato...
Reidratarlo è una procedura lunga e
complessa, va battuto con grande vigore
con un pestello per sfibrarlo e poi va lasciato in acqua corrente o con acqua
cambiata spesso da 4 a 6 giorni: alla fine il
suo peso sarà raddoppiato. Ovviamente
fare questo in casa non è facile – anche se
io amo farlo e posseggo una bacinella di
plastica dedicata solo a questo ammollo.
Per fortuna, però, oggi non è più indispensabile farlo: i pescivendoli sono furbi, se lo vendono secco nessuno lo compra, quindi lo mettono in ammollo loro e
lo vendono già bagnato. Un’operazione
che, tra l’altro, permette loro di guadagnare di più. Dato però che lo stoccafisso
lo si deve consumare rapidamente (dopo
averlo bagnato) è meglio prenotarlo per
tempo.
Esistono poi in commercio, ma sono rarissime, anche le trippe di stoccafisso, che sono le budelline seccate del merluzzo. Se è possibile sono persino più
buone dello stoccafisso, anche se hanno
una consistenza simile peraltro a quella
della trippa bovina, che non a tutti piace.
Una volta dissalato, lo stoccafisso va
cotto a lungo, anche per 2 ore, in acqua
sobbollente, senza nulla aggiungere se
non foglie di alloro. Tra l’altro lo si può
cuocere assolutamente senza problema
in pentola a pressione, e allora bastano
40’ di cottura. Alla fine lo si scola e si procede come da ricetta.
CSF (come si fa)
Susan
Allan Bay
Paolo Tonon
Gastronomia A conti fatti si tratta pur sempre di merluzzo
La buridda è una zuppa ligure di vari
pesci, il nome tradizionale è «pesce a
tocchetto buridda». Sostanzialmente è
una zuppa di pesce che contiene pinoli
e funghi secchi. Questa è una regola generale ma, come sempre in cucina e
con i piatti di origine popolare, le varianti sono infinite.
Tradizionalmente i pesci venivano eviscerati e poi cotti interi in acqua. E poi
c’era un gran lavoro da parte dei commensali per separare la polpa da lische
e teste. Io non amo questo tipo di lavoro, dico sempre che se è giusto lavorare
in cucina, è sbagliato lavorare e far lavorare troppo a tavola. Quindi vi do
questa mia ricetta che è del tutto eterodossa.
Ecco come faccio la buridda. Per 6 persone. Pulite circa 2,5 kg di pesce, (scorfano, occhiate, palombo, grongo, gamberi, pesce di scoglio, rana pescatrice,
ecc.) e tagliate la polpa a pezzetti. Mettete tutti gli scarti in una pentola, coprite a filo di brodo vegetale, oppure di
acqua con sedano, cipolle, carote e alloro) e cuocete per 45’, poi filtrate
schiacciando bene le teste e riducete il
brodo a 5 dl circa. Aggiungete 40 g di
funghi secchi, ammollati in acqua tiepida per 20’, scolati e tritati, 4 cucchiai
di salsa di pomodoro (opzionali), 6
cucchiai di soffritto, 1 cucchiaio di pinoli leggermente tostati in un padellino antiaderente, qualche gheriglio di
noce spezzettato, 1 punta di pasta di
acciughe stemperata in poca acqua, 1
cucchiaio di farina e 1 bicchiere di vino
bianco secco sobbollito per 3’ e fate
cuocere per 5’. Aggiungete il pesce,
quando riprende il bollore cuocete per
3’, regolate di sale e di pepe, spegnete,
coprite e lasciate riposare per 5’ prima
di servire.
Lo si può preparare solo con stoccafisso, ammollato e tagliato a pezzi. In tal
caso si prolunga la cottura a 2 ore abbondanti, e 30’ prima che sia pronto si
aggiungono 600 g di patate tagliate a
cubetti. A fine cottura si insaporisce
con funghi, pinoli, cannella, noce moscata e chiodi di garofano.
Manuela Vanni
Oggi le due
proposte sono una
tartare di carne
molto light e un
piatto preparato
con un taglio da
troppi snobbato:
ovvero con la coscia
del castrato, il
maschio della
pecora per
l’appunto castrato.
Manuela Vanni
Ballando coi gusti
Manzo alla soia con finocchi e cetrioli
Coscia di castrato agli odori
Ingredienti per 4 persone: 500 g di controfiletto di manzo · salsa di soia · 2 scalogni
· erba cipollina · 2 finocchi · 1 cetriolo · limone · olio extravergine di oliva · sale e
pepe.
Ingredienti per 4 persone: 1 coscia di castrato da kg 1,5 · foglie di menta · 1 ci-
Tagliate a metà il finocchio, affettatelo molto sottilmente (meglio se con una mandolina) e conservate le fette in acqua acidulata con succo di limone per evitare che
diventino nere. Pelate il cetriolo, tagliatelo a metà nel senso della lunghezza ed eliminate i semi. Tagliatelo a losanga e conservate in acqua. Pelate e mondate lo scalogno, tritatelo e versateci sopra 4 cucchiai di salsa di soia. Tagliate la carne a piccoli
cubetti di circa 5 mm per lato, condite con la salsa di soia insaporita con lo scalogno
e profumate con erba cipollina spezzettata con una forbice. Unite i cetrioli e i finocchi ben scolati e condite con succo di limone, scorza di limone grattugiata, sale, pepe e olio.
polla · 1 carota · 1 gambo di sedano · 1 piccola stecca di cannella · 3 chiodi di garofano · 3 bacche di ginepro · 1 rametto di timo · 2 foglie di alloro · 1 bottiglia di
vino bianco · 60 g di aceto · olio extravergine di oliva · sale e pepe.
Pulite bene la coscia. Mondate le verdure e tagliatele a pezzi piccoli. Mettete i tocchetti in una pentola capiente e unite la coscia, il vino bianco, le erbe aromatiche e
le spezie. Portate al bollore e fate cuocere per 3 ore coperto, unendo poca acqua se
necessario. Scolate la carne e deglassate il fondo di cottura con l’aceto, poi filtratelo e fatelo ridurre a fuoco medio. Regolate di sale e di pepe. Rosolate la coscia in
poco olio per una decina di minuti. Tagliate a fette la carne e servitela col fondo
ridotto. Accompagnate con una verdura a piacere lessata o arrostita (per esempio, come nella foto, con delle melanzane).
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
21
Ambiente e Benessere
Piccole grandi fughe
Sportivamente Il vecchio tifoso l’ha imparato da tempo: il rischio di tornare a casa scornati
dopo la partita della squadra di calcio del cuore è permanente
Alcide Bernasconi
Piccole fughe dallo stadio. Anzi, piccole
grandi fughe, perché certe sconfitte
bruciano pur sempre, anche in questi
tempi bui per il calcio ticinese. Vecchi
supporters (diciamolo tranquillamente
in inglese, visto che sta invadendo costantemente il nostro vocabolario sportivo con un’infinità di termini tecnici)
se ne vanno alla chetichella dal vecchio
Cornaredo. Anche noi tra loro, a capo
chino, per non dare nell’occhio. Tifosi
che hanno visto abbastanza e non se la
sentono di dare addosso alla squadra
del cuore. Il loro Lugano è colato a picco, senza alcuna scusante per i giocatori. E allora? Fischiarli mentre rientrano
negli spogliatoi, magari alzando timidamente la mano in segno di scusa?
La squadra perde?
Occorre farsene una
ragione, oppure
abbandonare lo stadio
alla chetichella
Perdere 1-4, seppure contro i terzi della
classifica, fa male a tutti, giocatori (lo
speriamo), spettatori e dirigenti. Proprio a tutti, insomma, salvo a loro, quelli
del Wil, che hanno illuso il Lugano, incassando una rete giunta prestissimo. In
seguito, però, essi hanno esercitato per
quasi tutto il primo tempo una pressione che ha messo pian piano in ginocchio
la squadra schierata da Livio Bordoli. Il
quale scusa invece tutti i suoi giocatori:
«Sono incolpevoli», dice. «Ho inteso fare degli esperimenti inventandomi un
centrocampo. Quindi mi assumo la responsabilità di questa sconfitta».
Anche lui, a guardar bene, può essere scusato. In una stagione da tempo
compromessa, appare del tutto lecito
cercare il modo, con qualche esperimento, di impostare la prossima che, se
verrà affrontata con serie ambizioni,
imporrà l’innesto di un attaccante di
spessore e una difesa – quella sì – da
reinventare. Altrimenti, il Lugano non
andrà da nessuna parte, se non indietro,
col rischio di trovarsi a sbattere un gioco contro un Football Club Ticino Duemila-e-rotti, se per caso riuscisse davvero a prendere corpo questo finora nebbioso progetto.
I vecchi tifosi, dunque, si allontanano dallo stadio alzando il bavero per difendersi da un soffio d’aria resa più
fredda dopo quanto hanno visto. Non
sono una moltitudine ma, loro lo sanno, c’è sempre il rischio di incontrare
un buontempone che ti chiede. «Alura,
come l’è naja?»
Supponiamo che allo stadio di Cornaredo, mercoledì scorso, non siano
stati riservati applausi ai bianconeri
mentre uscivano dal campo dopo la batosta contro il Wil. Noi non possiamo
saperlo, siccome ci eravamo già avviati
verso casa, mentre nei bar vicini allo
stadio, molti erano gli avventori che
guardavano verso il grande schermo, in
attesa del calcio d’inizio della gara di
Champions a Barcellona. A loro il Lugano proprio non interessava.
Nessuno si scandalizzi se azzardiamo definire il match del Lugano una batosta: è il termine esatto. Dal portiere
Russo – con i piedi incollati al prato
(colpa dei giardinieri?) in occasione di
un perfido pallonetto – a una difesa di
belle statuine, a un centrocampo in cui
non ci è parso di vedere giocatori che
sappiano difendere la palla quando è
necessario, né saltare l’uomo per impostare una ripartenza veloce (ammettiamo che s’è pur vista qualche manovra
che ha suscitato timidi applausi) e servire una punta che non sprechi troppe occasioni.
Se lo stadio di calcio non attira più
Un’azione della
partita
Lugano-Wil.
(CdT - Gonnella)
d’un migliaio di spettatori (due nelle occasioni speciali) è semplicemente perché
non si vede un gran gioco. Le arrabbiature sono legittime. Lo spettatore – e pure il
giornalista – scuotono il capo all’unisono: in due serate a Cornaredo (sabato i
bianconeri avevano pareggiato 4-4 contro il Bienne un incontro che avrebbero
potuto vincere senza patemi d’animo) il
Lugano ha subìto otto-reti-otto. Sono
troppe, tanto per i cuori teneri quanto
per il tifoso dalla scorza più dura, il quale
non si fa più molte illusioni. Al calcio si
può (si deve) giocare un po’ meglio anche in Challenge League, o no?
Detto del pallone nostrano, non si
può non aggiungere che proprio ora l’hockey vuole la sua parte. La Televisione Svizzera, orfana di questo sport che
tanto appassiona e che tiene banco sugli
schermi di Teleclub per via di un contratto più lucrativo, suona ora la fanfara
per i playoff, offerti comunque con ripartizioni che non devono scontentare
nessuno ma che, alla resa dei conti,
scontentano tutti. O diciamo almeno
tutti coloro che dispongono di un solo
televisore, al massimo due. Radio, tv e
giornali fanno a chi ne fa di più: con i
playoff si entra nel vivo della competizione, il resto – dicono – era solo un
preambolo!
Intanto noi, mentre Marco Baron
(ex portiere della Nhl, è giusto ricordarlo) s’impegna a fondo per presentare,
anche in modo simpatico, una sfilza di
termini inglesi che indicano questa o
quella situazione di gioco per le quali
mancano i corrispettivi italiani, ci accorgiamo che presentazioni, tavole rotonde, discussioni, interviste – prima, durante e dopo la partita e nelle giornate di
pausa fra una gara e l’altra – stanno appesantendo non poco questa appendice
della stagione. Eccitante fin che si vuole,
ma chi perde rischia di dover... scappare
subito in vacanza, con tanti saluti ai tifosi ancora in attesa di emozioni.
ORIZZONTALI
Sudoku Livello facile
In nome dei playoff si appioppa più
d’una volta il colpo proibito e i giocatori
che hanno collezionato una o più commozioni cerebrali ormai non si contano
più. Gli arbitri, spesso, non sanno come
affrontare le situazioni e urge più che
mai fare chiarezza, una volta per tutte,
non fosse che per cercare di garantire
l’integrità fisica dei giocatori, fra i quali
ci sono padri di famiglia e giovanissimi
di belle speranze.
Infine, una nota di merito va a Lara
Gut, che, disputando la sua miglior stagione, ha letteralmente trascinato coi
suoi risultati le nazionali di sci alpino,
anche la squadra maschile. Alle finali di
Coppa del mondo a Lenzerheide ha
messo a segno un colpo da maestra, anzi due: con la vittoria nella discesa libera
e nel super G (valsa la coppa di super
G). Dispiace però che non abbia potuto
cogliere almeno una medaglia d’oro alle
Olimpiadi, ma il suo temperamento lascia ben sperare per il futuro.
Giochi
Cruciverba
Come si chiama e dove vive il buffo
animaletto nella foto? Per scoprirlo risolvi il
cruciverba e leggi le lettere nelle caselle
evidenziate.
1
2
3
4
5
11
6
12
7
8
9
10
13
1. Piccoli rettili
6. Un’espressione d’arte
11. Aridità, siccità
13. Un legume
14. Preposizione
15. La pelle dopo una contusione
17. Fuma in salotto
18. Grossi rettili simili a lucertole
20. Cantava «Tristezza per favore
vai via»
21. Le iniziali del compositore
Rossini
22. Contiene informazioni genetiche
23. Possessivo femminile
24. Le iniziali della conduttrice
Isoardi
25. Una… cricca di amici
26. Sporchi, sudici
27. La Giunone dei greci
28. Si ode nella cova
Scopo del gioco
Completare lo
schema classico
(81 caselle,
9 blocchi, 9 righe
per 9 colonne) in
modo che ogni
colonna, ogni riga
e ogni blocco
contenga tutti i
numeri da 1 a 9,
nessuno escluso
e senza ripetizioni.
N. 9 FACILE
1
8
9
15
17
16
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
1. Si lava con la lingua
2. Una consonante
3. Sono dispari nella cesta
4. Harvard University
5. Abita a Dublino
7. Volano per i creduloni
8. Si percorrono in nave
9. Una di famiglia
10. Le iniziali del politico Alfano
12. Uccelli dalle lunghe zampe
16. Priva di utilità
18. Ai lati della vallata
19. Un metallo radioattivo
21. Tratti di corsi d’acqua percorribili
a piedi
23. Un pezzo del bikini
25. Simbolo chimico del calcio
26. Le iniziali dell’attore Argentero
9
2
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9
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5
7
VERTICALI
14
Schema
6
6
9
7
3
1
2
Soluzione della settimana precedente
Ridiamo insieme – Frase risultante:
«…finché morte non vi separi!».
F
A
N
A
T
I
S
M
I
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C H
E L M O
V E
R N
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A V A R
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D
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L
O
,
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A
A R
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4
6
3
Ricetta e foto: www.saison.ch
PER VERI
.
I
A
T
S
U
G
N
BUO
––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Gratin di porri e prosciutto
Piatto principale per 4 persone
Per 4 pirofile basse di 3 dl
––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Ingredienti: 500 g di porri, 400 g di patate
resistenti alla cottura, 200 g di prosciutto
magro a fette, 100 g di formaggio dei Grigioni, sale, 3 dl di panna semigrassa, pepe,
noce moscata
30%
2.10 invece di 3.–
2.30
Prosciutto cotto in conf. da 2, TerraSuisse
Svizzera, per 100 g
Formaggio di montagna dei Grigioni, bio
per 100 g
4.20
6.30
Patate resistenti alla cottura
Svizzera, sacchetto da 2,5 kg
Porro verde, bio
Svizzera, al kg
Società Cooperativa Migros Ticino
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 18.3 AL 24.3.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Preparazione: tagliate i porri a rondelle di
5 mm. Dimezzate le patate per il lungo e
tagliatele a fettine di 2 mm. Tagliate il prosciutto a quadratini di 1 × 1 cm. Grattugiate il formaggio in una scodella. Scaldate il
forno a 200 °C. Cuocete le patate in acqua
salata per ca. 5 minuti. Aggiungete i porri e
continuate la cottura, insieme con le patate,
per ancora 1 minuto. Scolate e mescolate con il prosciutto e la metà del formaggio.
Distribuite nelle pirofile. Condite la panna con
sale, pepe e noce moscata e versatela sui
porri. Distribuite il formaggio rimasto. Gratinate al centro del forno per ca. 15 minuti.
Tempo di preparazione 20 minuti
+ cottura in forno ca. 15 minuti
Per persona 22 g di proteine, 29 g di grassi,
22 g di carboidrati, 1850 kJ/440 kcal
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
23
Politica e Economia
Caracas, le vie del greggio
Le violenze politiche che
scuotono il Venezuela sono
anche figlie della lotta per
il controllo del greggio
Spaccatura fra gli Stati del Golfo
Arabia Saudita e Qatar palesemente in rotta
dopo il ritiro forzato degli ambasciatori da
Doha. Un avvertimento al piccolo regno
affinché non prosegua nella sua politica
di espansione e di finanziamento dei terroristi
islamici
pagina 25
Uniti per indagare meglio
Nell’era della crisi della carta
stampata, causata dal crollo degli
introiti pubblicitari, alcune
grosse testate uniscono le forze
per garantire un giornalismo
d’inchiesta
Svizzera-UE: idee cercansi
Dopo il voto del 9 febbraio,
si è alla spasmodica ricerca di
soluzioni per salvare i Bilaterali
pagina 27
pagina 29
AFP
pagina 24
Papa del nuovo mondo
Anniversario Da un anno il gesuita argentino Bergoglio sta cercando di riconvertire la Chiesa cattolica
alla sua dimensione pastorale
Lucio Caracciolo
Un anno fa i cardinali di Santa Romana
Chiesa andavano a prendere il nuovo
Papa «quasi alla fine del mondo». Jorge
Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos
Aires, era l’uomo scelto per rinnovare la
missione della Chiesa cattolica dopo il
breve pontificato di Benedetto XVI,
concluso ingloriosamente con delle dimissioni che per molti cattolici significavano tradimento. Il gesuita argentino, prendendo il nome di Francesco,
denunciava da subito il senso del suo
pontificato: recuperare lo spirito evangelico delle origini, curare che la Chiesa
fosse orientata agli ultimi, ai poveri, con
stile povero, combattere per conseguenza le derive mondane che avevano
avvelenato la curia e screditato l’immagine dell’istituzione fondata duemila
anni fa da Pietro.
Inoltre, mettendo l’accento sul suo
titolo originario – vescovo di Roma –
Francesco marcava un altro stigma della sua idea di papato, quello conciliare,
ecumenico, collegiale. Un Papa che si
rivolgeva da vescovo agli altri vescovi
della cristianità, anche ai non cattolici.
Infine, Francesco si rivolgeva, con
il suo stile semplice, diretto, provocatorio, all’intera umanità, al di là dei recinti
del cattolicesimo e di qualsiasi altra fede
o confessione. Non solo il capo della
Chiesa di Cristo, ma un leader universale. Tanto da conquistare subito le copertine di riviste come «Rolling Stone»
e «Time» (che lo eleggeva uomo dell’anno 2013), come pure l’eco di quasi tutti i
media, inclusi quelli social.
Un anno dopo, a che punto è la
missione di Francesco?
Sotto il profilo dell’immagine, Papa
Bergoglio può esibire un successo formidabile. Considerando soprattutto il
nadir da cui muoveva. La vera novità di
Francesco non è tanto nello stile, nel
modo di porsi, nella simpatia umana
che generalmente suscita, talvolta in
modo così evidente da attrargli gli strali
di critici che lo dipingono come troppo
«piacione». Il carattere di fondo del Pa-
pa è quello di considerare e trattare la
Chiesa non come un fine ma come un
mezzo. Prima di entrare in conclave,
Bergoglio pronunciò al riguardo davanti ai fratelli cardinali un discorso di
profondo significato ecclesiale, dedicato alla parabola del «mistero della Luna»: come la Luna non rifulge di luce
propria ma riflette quella del Sole, così
la Chiesa non splende di suo ma perché
serve la verità del Vangelo.
Può apparire un’ovvietà. Non lo
era. E non lo è, viste le resistenze che
nelle alte gerarchie ecclesiastiche l’approccio di Bergoglio già suscita, e in
modo sempre meno velato. La Chiesa
ereditata da Francesco era infatti introvertita, ripiegata sulla difesa a oltranza
di una dottrina intesa come dogma assoluto, irriformabile e nemmeno interpretabile. Questo papato riscopre invece la «gerarchia delle verità», ossia
l’idea che la dottrina è una, ma può anzi
deve essere interpretata, modulata,
spiegata al gregge di Cristo a partire
dalle condizioni particolari di tempo e
di luogo. Un approccio molto gesuitico, tipico di un Papa che è sempre stato
un prete in missione, a partire dagli
spazi più depressi e sfruttati delle periferie di Buenos Aires. Un Papa che sa
come rivolgersi agli emarginati e non
teme di mescolarsi ad essi.
Bergoglio ha portato a Roma, insieme al sapore e all’odore delle periferie
del mondo, la teologia del popolo. Variante argentina della teologia della liberazione, della quale respinge le variazioni marxisteggianti mentre si rivolge
direttamente ai bisogni spirituali e materiali del popolo, nel quale riconosce
una peculiare sapienza. Non proprio il
tipo di missione che distingueva Papa
Ratzinger, grande teologo quanto impacciato pastore.
Francesco vuole riconvertire la
Chiesa alla sua dimensione pastorale.
Per questo insiste sul suo carattere
aperto. La Chiesa non è il clero, è la comunità dei battezzati. Ciascuno dei
quali è soggetto missionario. In questa
visione c’è un paradossale tocco anti-
clericale. Lo stesso Bergoglio ha denunciato il «peccato clericale», quando
il clero si chiude in sé e si presume autosufficiente. Scattano allora alcune
mondanissime tentazioni che frenano
se non impediscono l’impatto missionario.
Un capitolo decisivo di questo papato è la morale sessuale, familiare. Entro il prossimo anno i cardinali dovranno elaborare un nuovo documento al riguardo. Le prime discussioni sono già
state animate, a causa delle resistenze
dei tradizionalisti all’interpretazione di
Bergoglio, non innovativa sotto l’aspetto dottrinale ma rivoluzionaria nel modo di porgere la dottrina. Insomma,
questo Papa non cambia idea sul senso
della famiglia o sugli omosessuali. Semplicemente, e radicalmente, non vuole
farne l’ossessione della Chiesa. Se il corpo mistico di Cristo si riducesse a un
manipolo di guardiani dell’ortodossia,
cesserebbe di essere tale. Di questo
Francesco è consapevole, su questo si
gioca tutto.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
24
Politica e Economia
Greggio, manna e maledizione
Notizie dal mondo
Venezuela Anche nel giorno del primo anniversario della morte di Chávez prosegue
L’ex-guerrigliero diventa
presidente del Salvador
Keystone
la protesta contro il presidente Maduro e il chavismo. Che è anche figlia dell’eterna lotta
interna e internazionale per il controllo delle risorse petrolifere
Angela Nocioni
La maledizione del petrolio. La violenza
politica che avvampa le strade del Venezuela da settimane è figlia non solo della
crisi del chavismo al governo per la prima volta, dopo 14 anni, senza il leader
fondatore Hugo Chávez. Ma anche
dell’eterna lotta, interna e internazionale, per il controllo delle enormi risorse
petrolifere venezuelane, maggiori di
quelle dell’Arabia Saudita.
Quali quantità e nell’interesse di
chi estrarre l’oro nero, apparentemente
infinito, su cui il Venezuela galleggia?
La guerra politica che divide in
questi giorni il Venezuela tra accuse di
golpe e proteste di piazza, si gioca anche
e soprattutto attorno ai milioni di dollari che, dal sottosuolo, gonfiano di cifre
virtuali i conti dell’impresa petrolifera
statale Petroleos de Venezuela (Pdvsa)
– una gigantesca fabbrica di dollari cash
grazie all’export internazionale del
greggio – per poi viaggiare veloci a saldare debiti economici e onorare patti
politici stretti da Hugo Chávez in 14 anni di governo. Soprattutto con la Cina,
che tiene in mano un credito tale con
Caracas da poter minacciare di strozzarla finanziariamente, con un click.
Un mistero insolubile è
quello sulla quantità del
petrolio prodotto. Pdva,
l’impresa petrolifera
statale, è accusata di
produrre poco e
mentire sulle cifre
L’ex presidente, al potere dal 1998 al 5
marzo dell’anno scorso, ha fatto del petrolio la linfa di un progetto politico interno e continentale. Pdvsa è stato il bancomat della sua rivoluzione. E la preziosa
arma di retorica politica del presidente
defunto. «El petrolio es del pueblo» sta
scritto ancora, con la firma di Hugo Chávez, nei cartelloni pubblicitari dell’impresa.
Il petrolio finanzia la gigantesca politica sociale chavista. Una forma di peronismo, di distribuzione di elemosina ai
più poveri perché continuino ad appoggiare il governo? O uno straordinario
piano di ridistribuzione della ricchezza,
pubblica peraltro? Dipende dai punti di
vista.
Di certo, alcuni di questi progetti, di
solito i meno noti, sono unici al mondo.
La mappatura delle disabilità e relativa
assistenza gratuita, per esempio. Negli
ultimi tre anni in Venezuela gruppi di
impiegati governativi hanno passato al
setaccio il Paese e censito le persone disabili per poi offrire a ciascuno assistenza
medica specializzata gratuita. Un’operazione gigantesca di politica sanitaria e sociale, talmente mal pubblicizzata da essere sconosciuta fuori dal Paese. Anche
questo progetto, tra mille altri, è stato finanziato dai profitti del petrolio.
Il petrolio è il motore della politica
chavista ed anche la fonte della gigantesca corruzione presente dentro il governo attuale come lo fu per decenni, prima
dell’avvento di Chávez al potere, nel periodo del boom del greggio, ai tempi del
cosiddetto «Venezuela saudita».
Il petrolio è sempre stata la maledizione e la manna di questo bellissimo
Paese, che non ha mai saputo sviluppare
un’economia produttiva diversificata finendo quindi per dipendere in tutto e
per tutto dalla sua principale risorsa naturale, e che, contemporaneamente, proprio grazie al petrolio riesce a tessere politiche interne e internazionali. È il greggio infatti a tenere salde le alleanze internazionali strette dall’ex presidente Chávez. Alleanze a caro prezzo. Da quella
con Pechino (pagata con 460 mila barili
al giorno, in cui persino le spese di trasporto sono a carico di Caracas) a quella
con l’Avana (petrolio a prezzi irrisori
fornito in sovrappiù rispetto al fabbisogno interno perché Cuba possa vendere
la differenza sul mercato internazionale
e così tirare avanti).
Gli idrocarburi sono la fonte del
57,4% del consumo energetico globale, il
48% del consumo dei dieci Paesi più industrializzati, insegnano al primo anno
del corso di economia del petrolio all’università di Caracas e il Venezuela è il
terzo produttore mondiale.
La destra tradizionale – che fino al
2003 aveva il controllo totale dell’impresa e che, dopo una serrata riuscita nell’intento di mettere in ginocchio il Paese per
tre mesi tra il dicembre del 2002 e il febbraio del 2003, fu accusata da Chávez di
mirare a un golpe senza carri armati (il
golpe petrolero) – è esasperata da non
avere più in mano le chiavi del business
petrolifero.
Molti dei chavisti messi al posto dei
vecchi dirigenti licenziati in massa da
Chávez nel 2003 perché considerati «antirivoluzionari», sono diventati una nuova classe di piccoli milionari, parassita
dell’impresa del petrolio non meno della
vecchia «oligarquìa petrolera» tanto criticata da Hugo Chávez. E per di più, hanno mostrato spesso di non saper individuare tecnici all’altezza, basando le scelte
solo su criteri di fedeltà politica e personale, e di avere perciò guastato per incuria le capacità produttive dell’impresa.
«Il mercato naturale del petrolio venezuelano è gestito da attori ibridi che
vendono e comprano secondo il miglior
stile delle imprese capitalistiche» sostiene il professor Franco D’Orazio, studioso dei flussi commerciali del petrolio.
«Queste imprese sono dirette però da individui indottrinati in circoli comunisti
stranieri, penso a Cubapet o alla Cnpc
China. Esiste una dozzina di compagnie
firmatarie di associazioni strategiche per
lo sfruttamento dei giacimenti di greggio
che manca di tecnologie e tecnici all’altezza». «Questi nuovi attori del mercato
nazionale, insieme a Russia, Bielorussia,
India, Vietnam, Iran, e ad alcuni soci latinoamericani fanno affari solo col governo centrale. Perdiamo tutti i benefici del
confronto con tecnologie avanzate».
Un mistero insolubile è quello sulla
quantità di greggio prodotto. Pdvsa è accusata da molti tecnici di produrre poco
e di mentire sulle cifre.
Secondo Diego Gonzales, economista del petrolio, nei conti di Pdvsa ci sono
«troppe incongruenze». Prendiamo le
cifre del 2011, dice. «Pdvsa dichiara di
aver prodotto in quell’anno mezzo milione di barili al giorno in più di quanto
invece risulta alla Agenzia internazionale
dell’energia. Gli Stati Uniti negli ultimi
dieci anni hanno aumentato il loro consumo di prodotti raffinati di 400mila barili al giorno, devono averli comprati da
qualcun altro visto che noi abbiamo diminuito l’export verso gli Stati Uniti di
700mila barili al giorno».
Fu però un’idea brillante quella di
ridurre la produzione. Venne in mente al
grande vecchio del petrolio venezuelano,
Alì Rodríguez Araque, che la seppe imporre a Chávez. Ex guerrigliero guevarista del gruppo guidato da Douglas Bravo, Alì Rodríguez è stato negli anni No-
vanta, l’era della «apertura petrolera», il
responsabile del controllo parlamentare
sui contratti con il mercato estero. Sa tutto del petrolio venezuelano. Fu lui, durante il primo governo Chávez, a viaggiare per tutti i Paesi dell’Opec per sostenere la linea della riduzione della produzione. Riuscì a far vincere l’idea di mantenere a tutti i costi un prezzo alto, rivendicandolo come prezzo giusto. Conclusa
l’assemblea dell’Opec del 1999 e annunciata la decisione di diminuire la quantità
di petrolio estratto, Hugo Chávez così
celebrò i suoi primi 100 giorni di governo: «L’incremento del prezzo del petrolio non è stato prodotto di una guerra o
della luna piena, no, no, no. È il frutto
della fermezza di una strategia che ha
cambiato di 180 gradi la politica del Venezuela». Quattro mesi dopo il «Financial Times» scriveva che il periodo appena trascorso era stato «uno di quelli di
maggior successo nella storia dei tentativi dell’Opec di controllare il prezzo del
greggio».
La «boliborghesia» venezuelana, la
classe sociale dei nuovi ricchi benedetti
dalla rivoluzione chavista, all’ombra del
business del petrolio pubblico si è arricchita. I più capaci di ricatto sono i rappresentanti delle ex piccole banche, che
erano piccole dieci anni fa e non lo sono
più perché sono state inondate da capitale pubblico. Ed un potere immenso hanno anche i burocrati a capo delle società
di importazione. Per esempio quelli che,
indirettamente, hanno a che fare con Cemex, la impresa con sede formale a Panama che si occupa della triangolazione
commerciale con Cuba. Oltre a quelli
che siedono nelle commissioni miste
Cuba-Venezuela che gestiscono infiniti
commerci.
Il cambio fisso a Caracas è di 6,30
bolivares per un dollaro, ma in strada il
prezzo vero arriva ormai anche a 80. Chi
accede al mercato nero del dollaro maneggiando i soldi dello Stato, diventa rapidamente molto ricco. C’è anche questa
rabbia, e non solo il tentativo dell’estrema destra di dare una spallata violenta al
governo Maduro, nella protesta di piazza
che lacera il Venezuela in queste ore.
Non sono tutti e soltanto militanti di
estrema destra quelli che tirano i sassi
contro la Guardia Nazionale. Dentro c’è
anche, ed è questo il peggior guaio per
Maduro, una parte di giovani delusi e
traditi dalle promesse della Revolución.
Sanchez Cerén (nella foto), candidato della sinistra al potere dal 2009
e ex guerrigliero ha vinto il ballottaggio per le elezioni in Salvador,
dimostrando come il Salvador, a oltre 20 anni dalla fine della guerra civile, sia un Paese spaccato in due.
Sanchez, 69 anni, è un ex guerrigliero del Fronte Farabundo Marti per
la liberazione nazionale (Fmln) ed è
stato un leader dei ribelli durante la
guerra civile in Salvador (19801992: 75 mila morti e migliaia di desaparecidos) quando era conosciuto come il «comandante Leonel
Gonzalez» e fu uno dei firmatari
dell’accordo di pace. Nel governo
uscente del giornalista Mauricio
Funes, Cerén è stato vicepresidente.
Il Fronte Farabundo Marti governa
in Salvador dal 2009 ed è diventato
un partito dopo la fine della guerra
civile. L’ex leader dei guerriglieri ha
battuto solo di pochi voti il candidato della destra Norman Quijano (ex
sindaco di San Salvador) dell’Alleanza Repubblicana Nazionalista
(Arena), che ha ottenuto il 49,89%
dei voti.
La Crimea vota l’indipendenza
A Sebastopoli il russo diventa lingua ufficiale prima ancora che il
Parlamento regionale, anticipando
il referendum con cui il 16 marzo si
chiede ai cittadini se vogliono
unirsi alla Russia e staccarsi dall’Ucraina, ha votato la piena indipendenza dall’Ucraina. Kiev ha già
dichiarato la mossa «illegittima»,
ma il ministero degli Esteri russo,
in una nota ha ribadito che la dichiarazione di indipendenza «è assolutamente legittima». E nell’ennesimo colloquio telefonico con il
collega americano John Kerry, il
ministro degli Esteri russo Serghei
Lavrov ha sottolineato che «bisogna rispettare il diritto dei cittadini
della Crimea a determinare da soli
il proprio futuro». Il voto, praticamente all’unanimità, del Consiglio
Superiore (il Parlamento regionale) della Crimea è solo l’ultimo capitolo della peggiore crisi degli ultimi decenni in Europa. E ha seguito di soli pochi minuti la ricomparsa sulla scena di Viktor Yanukovich: con aria di sfida, l’ex uomo
forte di Kiev è riapparso in Russia
meridionale, dalla città di Rostov
sul Don, per sostenere che è ancora
il presidente legittimo dell’Ucraina, il capo del suo esercito e che
tornerà a Kiev, «non appena le circostanze lo permettono». Yanukovich ha aggiunto che le elezioni
presidenziali ucraine previste per il
25 maggio sono «assolutamente illegittime e illegali» e che il Paese
adesso è in mano «a una banda di
ultranazionalisti e neofascisti» che
vogliono scatenare «una guerra civile».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
25
Politica e Economia
Guerra fredda nel Golfo
Relazioni diplomatiche Arabia Saudita, Bahrein e Emirati arabi uniti hanno ritirato i loro ambasciatori dal Qatar
rendendo così per la prima volta pubbliche le tensioni fra gli Stati del Golfo: in particolare fra Ryiad e Doha,
quest’ultimo accusato di finanziare il terrorismo dei Fratelli musulmani e di avere mire di potenza regionali
Marcella Emiliani
Anche i burattinai, a volte, piangono. E
questa volta a piangere sono i regni e gli
emirati del Golfo, ricchissimi di petrolio, che da tre anni a questa parte manovrano dietro le quinte per teleguidare a
distanza gli esiti delle convulsioni politiche provocate dalle «primavere» arabe. La prima avvisaglia che qualcosa di
grosso stesse succedendo è arrivata il 5
marzo scorso, quando all’improvviso
l’Arabia Saudita, il Bahrein e gli Emirati
arabi uniti hanno richiamato in patria i
Re Abdullah teme che
l’attivismo del Qatar
finisca per sminuire
l’influenza che l’Arabia
Saudita ha sempre
esercitato fra i sunniti
propri ambasciatori a Doha, capitale del
Qatar accusandolo di «pesanti ingerenze» nei Paesi vicini. Come? Dove? Perché? Nei comunicati ufficiali non era
specificato. Ma era chiaro a tutti che
scricchiolava il Consiglio di coopera-
zione del Golfo, la coalizione di Stati
della penisola arabica creata nel 1981
per arginare le mire espansionistiche
dell’Iran khomeinista e difendersi dalle
«minacce esterne». Ma il pericolo, nella
congiuntura attuale, non è rappresentato da un Paese sciita bensì da una roccaforte del sunnismo, il Qatar, che dopo la
mossa del 5 marzo è rimasto praticamente isolato tra i suoi vicini. Gli unici a
non pronunciarsi sono stati il Kuwait e
l’Oman che si sono autocandidati a negoziare tra i due schieramenti. L’Egitto,
che con la penisola arabica non c’entra
nulla, il suo ambasciatore a Doha l’aveva ritirato per primo, da tempo.
Il motivo di tutto questo andirivieni di ambasciatori si è chiarito meglio il
7 marzo successivo quando l’Arabia
Saudita ha messo fuori legge la Fratellanza musulmana in tutta l’ecumene
islamica sunnita. Dal 7 marzo cioè, per
Riyad, la Fratellanza è diventata un’organizzazione terroristica, i suoi membri rischiano nel regno fino a 20 anni di
carcere e – non bastasse – re Abdullah
ha richiamato in patria anche i 1200
combattenti sauditi impegnati sul campo in Siria. Sono state comprese nel
pacchetto delle organizzazioni terroristiche anche al-Nusra, il fronte estremista islamico che combatte in armi il
regime di Bashar al-Assad e l’Isis (Stato
islamico dell’Iraq e del Levante), affiliato ad al-Qaeda, che ha riconquistato la
provincia irachena di Anbar e attraversa spesso il confine per far stragi nella
già martoriata Siria. Dietro la Fratellanza musulmana da anni c’è il Qatar le cui
mire di potenza evidentemente hanno
infastidito Riyad soprattutto dopo le
vittorie schiaccianti alle elezioni di Ennahda in Tunisia e del partito Libertà e
Giustizia dei Fratelli musulmani in
Egitto.
Che qualcosa non funzionasse dalle parti del Golfo si era già capito all’indomani del golpe con cui il 3 luglio
scorso il generale al-Sisi in Egitto aveva
spodestato il presidente Morsi, espressione dei Fratelli musulmani locali, e
l’Arabia Saudita invece di dolersi aveva
espresso a chiare lettere il suo appoggio
al generale. Non era un comportamento consono al Vaticano sunnita che, in
teoria, avrebbe dovuto lanciare strali
contro l’ennesimo colpo di Stato militare in un Paese arabo in cui, per di più e
soprattutto, la Fratellanza musulmana
era riuscita ad agguantare il potere dopo quasi 70 anni di ostracismo e persecuzioni. Riyad peraltro non aveva gradito nemmeno il flirt tra Morsi e il Movimento della resistenza islamica (Ha-
I leader del Consiglio di cooperazione del Golfo riuniti a Ryiad. (Keystone)
mas) a Gaza, nato da una costola dei
Fratelli egiziani. Anche in questo caso
l’Arabia Saudita avrebbe dovuto gioire e
invece no, perché dietro gli amorosi
sensi c’era un’operazione di recupero
alla famiglia sunnita orchestrata dal Qatar a suon di dollari, per impedire che la
Striscia di Gaza finisse totalmente nell’orbita della Siria e dell’Iran, i maggiori
fornitori dei missili che Hamas fa piovere su Israele.
Oggi i media sauditi, in primis la tv
satellitare al-Arabyia, concorrente della
più nota al-Jazeera qatarina, descrivono
il Qatar come «la rana che si crede un
bue», ma dietro la metafora in stile Esopo, c’è il reale timore di re Abdullah che
l’attivismo del Qatar finisca per sminuire l’influenza che l’Arabia Saudita ha
sempre esercitato sugli ambienti islamico-sunniti dell’intero Medio Oriente.
Vediamo perché. Riyad ha una lunga tradizione di sostegno a qualsiasi formazione islamica sia comparsa sulla
scena politica mediorientale fin dall’inizio della Guerra fredda quando tutte le
repubbliche o quasi del Medio Oriente
si schierarono con l’atea Unione Sovietica sulla scia dell’Egitto di Nasser.
L’Arabia Saudita ha anche ospitato e inserito nelle sue università tutti gli intellettuali islamici perseguitati in patria da
regimi socialisti e secolarizzati, in primis proprio i Fratelli musulmani decimati da Nasser o dai regimi del Ba’th in
Siria e in Iraq.
Questo fino agli anni ’90 del secolo
scorso quando ebbe amare sorprese dai
suoi ex protetti. La Fratellanza musulmana irachena si schierò con Saddam
Hussein quando nel 1990 l’Iraq invase il
Kuwait e ammassò truppe sul confine
della stessa Arabia Saudita. Ma soprattutto i giovani che erano stati «educati»
nelle università islamiche saudite da
esuli della Fratellanza, in specie quella
egiziana e palestinese, furono i primi a
contestare il diritto della famiglia Saud a
governare e predicavano ormai il suo
rovesciamento. Un nome per tutti: Osama bin Laden. La ruggine tra i Saud e gli
Ikhwan (i Fratelli mussulmani) è dunque di vecchia data, ma si è inasprita dopo l’ascesa del Qatar a potenza regionale che ha una data precisa, il 1 novembre
1996, giorno e anno di nascita di al-Jazeera, voluta espressamente dall’emiro
di allora Hamad bin Khalifa al-Thani
che solo l’anno prima aveva tranquillamente spodestato suo padre dal trono.
Il piccolo Qatar, da quel momento ha
fatto del soft power (cioè il potere della
persuasione, non quello della forza), il
suo primo strumento di penetrazione
nel mondo arabo proprio attraverso la
tv satellitare. E c’è riuscito in pieno abbinando al soft power le sue immense
ricchezze (che gli derivano dal petrolio
e soprattutto dal 15% delle riserve mondiali di gas) e una straordinaria spregiudicatezza in politica estera.
E qui arriviamo al vero punto dolens per l’Arabia Saudita. Il Qatar è il
Paese che ha dato nuove basi alle truppe
e alla flottiglia aerea americana quando
nel 2003 George W. Bush jr. decise di
abbattere il regime di Saddam Hussein
con l’Operazione Iraqi Freedom e l’Arabia Saudita – che era contraria all’attacco – non se la sentì più di ospitare i contingenti Usa anche per paura delle ritorsioni di Al Qaeda.
Ma soprattutto il Qatar è la micropotenza regionale che si è messa a finanziare a tutto spiano le «primavere arabe», senza precondizioni di sorta. Questo significa che a differenza dell’Arabia
Saudita non fa distinzioni tra le formazioni islamiche, non sta a selezionare tra
quelle più o meno fedeli alla versione
puritana e rigorista dell’Islam come
quella wahhabita sostenuta invece da
Riyad. Finanzia e basta, e dal 2011 si è
fatto tanti nuovi alleati in Medio Oriente, ben oltre le varie Fratellanze se è vero
che membri della famiglia reale al-Thani sono sospettati di aiutare i peggiori jihadisti sul campo in Siria o in Iraq.
Ci troviamo così di fronte ad una
situazione inedita. L’Arabia Saudita si
sente minacciata da un Paese microscopico che con cinismo e pragmatismo sta
soppiantandola in un ruolo di patron
del sunnismo che fino alla fine della
Guerra fredda Usa-Urss era stato il suo.
Si tratta dunque di una nuova guerra
fredda, tutta intra-sunnita, mentre a livello regionale impazza la guerra caldissima tra sunniti e sciiti che sta massacrando l’Iraq e la Siria e minaccia il Libano e il Bahrein dove una minoranza
sunnita regna su una maggioranza sciita. Lo strappo che Riyad ha deciso di dare col ritiro dell’ambasciatore da Doha
assieme al Bahrein e agli Emirati arabi
uniti per ora è solo un duro avvertimento. Forse confida sull’inesperienza del
giovane emiro Sheikh Tamin bin Hamad al-Thani cui il padre ha consegnato il trono solo l’anno scorso. Ma tanto
nervosismo nel Golfo non è di buon auspicio per nessuno.
Benvenuta primavera
La seta indiana Holi, una delle feste più attese e colorate dell’anno, celebra la fine dell’inverno
Francesca Marino
Tutto è già pronto da giorni. Per strada,
bancarelle e negozi sono pieni di pompe
di plastica da cui spruzzare acqua, alcune enormi con doppio serbatoio, da
portare sulle spalle a mo’ di zaino. Altri
negozi e altre bancarelle espongono
montagne di polveri colorate in tutte le
sfumature dell’arcobaleno, alcune addirittura arricchite con pagliuzze scintillanti. I più intellettuali e politicamente
corretti comprano a caro prezzo nei negozi di lusso, i soli rimasti ormai a vendere questo tipo di merce, le polveri tradizionali: meno brillanti, ma fatte con
pigmenti naturali come il cumino, l’indigo, l’hennè. Si celebra Holi, la festa dei
colori. Che è forse la più scenografica di
tutte le feste induiste e somiglia, sotto
certi aspetti, al nostro Carnevale.
Si tiene ogni anno alla prima luna
nuova di marzo, ed è una vera e propria
festa nazionale che ricorda, almeno per
il numero di morti e feriti lasciati sulle
strade e per il coinvolgimento popolare,
il Carnevale di Rio. La gente si riversa
nelle strade spruzzandosi addosso acqua e polveri colorate, e facendo più
baccano e confusione possibile: non esistono più differenze di ceto, di cultura,
di casta o di sesso. A Holi, vera e propria
saga della trasgressione, tutto è permesso. Motivo per cui viene in genere vivamente consigliato a chiunque di non
scendere a celebrare Holi per strada in
mezzo a sconosciuti.
Ricordo di quando i giorni della festa erano un vero e proprio «tempo alla
rovescia»: ogni comportamento era
diametralmente opposto a quello normale, i padroni dovevano servire gli
schiavi, venivano abbandonate le normali remore della legge e della morale e
tutti si abbandonavano a stravaganti
manifestazioni di gioia e di allegria. Come lanciare palloncini pieni di acqua
colorata dai balconi, ad esempio, su
passanti e macchine.
La mattina di Holi, le strade sono
piene di ragazzi e bambini che rovesciano secchi d’acqua colorata e polveri
multicolori su chiunque capiti a tiro e
può capitare anche di trovarsi ricoperti
di vernice o peggio. Nei posti più tradizionali si prende il bhang, estratto dalla
marijuana, nei posti meno rispettosi
della tradizione birra e whisky scorrono
a fiumi.
La festa comincia la sera prima, a
mezzanotte. Quando nelle piccole città
e nei villaggi si accendono i falò accuratamente predisposti da giorni dai ragazzi del quartiere. In mezzo alla catasta di
legna troneggiano statue più o meno
grandi della cattiva strega Holika che
tiene tra le braccia il piccolo Pralad: incarnazione del dio Vishnu, che incenerisca la strega rimanendo illeso. Quando i falò cominciano a bruciare tutti cominciano a danzare e correre intorno al
fuoco. In casa, nei posti più tradizionali,
le signore fanno uno scrub con un miscuglio di semi di senape pestati e olio:
ciò che rimane dovrebbe essere in teoria
gettato tra le fiamme. Perché Holi è essenzialmente una festa della primavera
legata all’antico calendario agricolo, e il
falò di Holika, la vecchia strega che
muore tra le fiamme, rappresenta simbolicamente l’inverno che muore e la
successiva rinascita dei campi. Un’altra
teoria vuole, infatti, che il Carnevale,
come anche Holi, non siano altro che lo
sbiadito ricordo di una vera e propria
festa di capodanno che, nel mondo antico, celebrava la morte dell’anno vecchio e l’inizio del nuovo: cioè la fine
dell’inverno e l’arrivo della primavera.
In città non si fanno più falò e Holika dorme sonni tranquilli, ma letteralmente chiunque, la mattina di Holi sveglia amici, vicini e parenti con manciate
di polveri colorate. Si scatenano vere e
proprie battaglie, che finiscono nel primo pomeriggio quando tutti, stremati e
senza più un centimetro di pelle del colore abituale, si affollano intorno a docce, vasche da bagno e fontane per cancellare le tracce della battaglia mattuti-
na. Nel pomeriggio, dopo avere indossato nuovi abiti, si va in visita da parenti
e amici e si coglie l’occasione per cercare di ricomporre eventuali liti. Tutti sono rilassati, sorridenti e anche un po'
sofferenti da più o meno clamorosi postumi da sbronza. Il Carnevale è finito,
tra pochi giorni sarà finita anche la brevissima primavera indiana, le temperature cominceranno a salire e tutti torneranno alle loro occupazioni. Ma per
giorni ancora si vedranno in giro persone e anche animali che recano ancora le
tracce colorate e dure a scomparire
dell’allegra battaglia di Holi.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
27
Politica e Economia
Il cane da guardia non molla la presa
Giornalismo di ricerca In un’era di ridotte entrate pubblicitarie, condurre inchieste è per molte testate
troppo oneroso. Fra le strategie per non rinunciare al ruolo di difensori della democrazia c’è quella di creare
delle catene di giornali che mettono risorse in comune per indagini su vasta scala – 1. parte
ratore del quotidiano britannico «The
Guardian», e a Luca Poitras, giornalista
americana del «Washington Post».
L’incontro tra i due giornalisti e Snowden avvenne a Hongkong nella primavera del 2013. In giugno cominciarono
le pubblicazioni sul «Guardian». La polizia inglese obbligò la redazione a distruggere i dischetti in suo possesso, ma
ne esisteva una copia in America e la
pubblicazione continuò a partire dall’ufficio di corrispondenza del giornale
a Washington. («Message», il periodico
di Amburgo, ne ha riferito i particolari
nel suo primo numero del 2014: cfr.
www.message-online.com). Le rivelazioni si sono rivelate compromettenti
per l’intero governo degli Stati Uniti. Lo
stesso presidente Obama ha dovuto
ammettere che il sistema andava quantomeno corretto in senso liberale.
Enrico Morresi
Sono molti gli ostacoli da superare per i
mass media se vogliono realizzare l’invito della Corte europea dei diritti dell’uomo: «Voi siete i cani da guardia (letteralmente: the watchdogs) della democrazia». La posizione di chi ha interesse
a nascondere fatti di pubblica rilevanza
è attualmente rafforzata da leggi squilibrate nel senso della tutela degli interessi privati, nonché avvolta da cortine di
fumo prodotte da un esercito di comunicatori d’impresa. Costa molto, d’altra
parte, tenere occupati i giornalisti in
una ricerca che può durare giorni, settimane, mesi, e si comprende che il genere sia stato piuttosto sacrificato dai giornali colpiti dal crollo della pubblicità
(un terzo in meno – ottocento milioni –
tra il 2001 e il 2009 per l’insieme della
stampa svizzera). Ma l’interesse del
pubblico per le notizie che contano non
è cessato. Si manifesta, per esempio,
nella sottoscrizione di abbonamenti online costosi – il cosiddetto Paywall – per
accedere alle informazioni di qualità dei
grandi giornali. Molto seguite sono le
inchieste realizzate da redazioni che diffondono solo sul web (con un minimo
di costi rispetto alla produzione a stampa o in radio o televisione). Il sito parigino «Mediapart», per esempio, ha raccolto in cinque anni 80 mila abbonati
paganti 10 dollari al mese e conta di realizzare nel 2013 sei milioni di dollari di
incasso e 400 mila euro di profitti. Negli
ultimi anni, un certo numero di fondazioni non profit si è fatta avanti per finanziare ricerche giornalistiche difficili:
suggestivo ma delicato come mezzo
perché dietro una fondazione può nascondersi una lobby finalizzata al sostegno di determinati interessi, pubblici o
privati. In qualche luogo si sperimenta
il crowdfunding, ossia la raccolta di
somme di denaro anche piccole purché
numerose (il sistema era stato organizzato alla grande per finanziare la prima
elezione alla presidenza di Barack Obama). Più recente ed efficace al massimo
è la formazione di catene di giornali che
Le fughe di notizie,
come nel caso di
Assange e Snowden,
sono fondamentali, ma
per il giornalismo
d’inchiesta sono solo
strumenti per effettuare
ulteriori indagini, non
un loro sostituto
mettono in comune le risorse per ricerche su vasta scala («Azione» ne ha riferito dopo un convegno internazionale
svoltosi a Ginevra, il 31 maggio 2010).
Questo sistema si dimostra efficace per
difendere la ricerca dai tentativi di
bloccaggio o di sequestro operati dai
Il «caso cinese»
Edward
Snowden: le sue
rivelazioni
hanno fatto
tremare la
National security
agency
americana.
(Keystone)
pubblici poteri. Così si possono diffondere i leaks, ossia le fughe di notizie
aventi all’origine un whistleblower, cioè
qualcuno che denuncia per ragioni di
coscienza un’irregolarità dall’interno
di un’azienda o di una amministrazione. È in questo modo che si sono potuti
diffondere – malgrado l’irritazione dell’Esercito americano oppure della NSA
(National Security Agency) che spiava
tutte le conversazioni, pubbliche e private, commerciali comprese, di mezzo
mondo – documenti compromettenti
per gli Stati oppure per le grandi banche o per uomini d’affari agenti in margine alla legalità. Per non ridursi a un
pettegolezzaio in cui passa tutto e il
contrario di tutto (è il punto debole del
web), entrano in linea di conto solo testate che hanno i mezzi per svolgere un
secondo giro di verifiche, in base a criteri giornalistici rigorosi, prima di pubblicare.
Quello dei China-leaks, commentato nell’editoriale di «Azione» del 3
febbraio, è il caso più recente di rivelazioni gestite da una catena di giornali.
In tre articoli a partire da questo, i lettori di «Azione» saranno aggiornati sulle
azioni finora coordinate a livello mondiale (1. puntata), su come funziona il
sistema in Svizzera, e in particolare sulla
Cellule Enquête – Recherchedesk installata Berna per incarico di due domenicali: la «SonntagsZeitung» e «Le Matin
Dimanche» (2. puntata) e infine sui
problemi legali e di deontologia sollevati da rivelazioni basate sull’interesse
pubblico (3. puntata).
Il «caso Assange»
Bradley Manning era un giovane soldato americano mobiliato per la guerra in Iraq. Stazionato a Hammer, a una
sessantina di chilometri da Baghdad e
addetto alla gestione delle informazioni riservate, ebbe una crisi di coscienza
di fronte a tutta una serie di abusi in
danno della popolazione irachena
commessi dall’esercito americano. A
Julian Assange, un giornalista e informatico australiano che si definisce
«militante per i diritti umani», Manning trasmise una serie di documenti
compromettenti per l’esercito americano. Nel 2010 Assange consegnò a
cinque giornali («Le Monde», «Der
Spiegel», «The New York Times»,
«The Guardian», «El Pais») 251’287 dispacci diplomatici americani, 16’652
dei quali coperti dal segreto militare.
Quello di Assange non era un sito cui
si potesse accedere liberamente; inoltre, la pubblicazione dei documenti fu
filtrata dai criteri di etica professionale
(ad esempio, evitando di mettere in
pericolo persone esposte) ai quali singolarmente i media si ispirano.
«Le Monde» pubblicò per otto
giorni consecutivi, fino a domenica 5
dicembre 2011, la bellezza di 120 articoli utilizzando 837 di quei documenti.
Augusto Valeriani su «Azione» (6 dicembre 2010) metteva in guardia: «La
portata rivoluzionaria dell’evento sarà
veramente tale soltanto se il giornalismo saprà coglierla utilizzando il materiale grezzo dei file per avviare inchieste
e ricerche: uno strumento dell’indagine
giornalistica, non un suo sostituto».
Purtroppo, la successiva apertura della
totalità dei documenti su Internet ha
nuociuto ad Assange e all’operazione in
genere. Ricercato in Svezia per un’oscura vicenda di sesso, è attualmente rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a
Londra. Il «soldato Manning» è stato
condannato il 21 agosto 2012 a 36 anni
di prigione. Il sito di Wikileaks
(www.wikileaks.org), fondato nel 2007,
è comunque sempre attivo.
Il «caso Snowden»
Anche Stati democratici possono violare, in nome della lotta al terrorismo, i
diritti fondamentali. In questi termini il
bollettino di «Reporters sans frontières» commentava l’autunno scorso la
fuga di documenti riservati della National Security Agency americana operata
da un funzionario dell’agenzia stessa:
Edgar Snowden, un altro tipico «wistleblower». I documenti furono consegnati a Glenn Greenwald, un giornalista
britannico residente in Brasile, collabo-
«Per Cathy S. e per le sue colleghe del
Credit Suisse di Hongkong, occuparsi
di creare della società-paravento era
routine. Ne avevano già parecchie centinaia al loro attivo quando dovettero, il
28 settembre 2006, cominciare a occuparsi di un cliente un po’ speciale. I funzionari della banca svizzera venivano
infatti pregati di fondare una società
nelle Isole Vergini britanniche per conto di Wen Yunsong, figlio di Wen Jiabao, membro del comitato permanente
dell’ufficio politico del Partito comunista e primo ministro in carica da tre anni». Lo si apprende da un articolo di
François Pilet e Titus Plattner, giornalisti attivi a «Le Matin dimanche» e alla
«SonntagsZeitung» ripreso da «Le
Monde» e da molte altre testate internazionali. La fonte del servizio erano le
migliaia di documenti sfuggiti alla Portcullis TrustNet, la società che faceva da
intermediario per spostare il denaro alle
isole Vergini, documenti attualmente
gestiti dall’ICIJ (International Consortium of Investigative Journalism). Wen
Yunsong, titolare della Trend Gold
Consultants Limited, la società che il
Credit Suisse aiutava a creare e di cui
pagava le fatture, era persona politicamente molto esposta.
Perché il caso interessa la Svizzera?
Perché può configurare una violazione
dell’Ordinanza federale svizzera sulla
prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo da parte della
banca. La figlia del premier cinese, Wen
Ruchun, era stata assunta dal Credit
Suisse First Boston di Pechino (vi fu attiva dal 1999 al 2001 sotto il falso nome
di «Lily Chang»), evidentemente per facilitare i contatti con la nomenklatura di
Pechino. Il Credit Suisse fu nel 2005 la
prima banca straniera a entrare sul
mercato del private banking cinese. Si
può immaginare che i profitti, in termini di commissioni, non furono noccioline. La domanda è: non dovrebbe interessare la FINMA – l’autorità svizzera
di sorveglianza sulle banche – un simile
comportamento? Sarà questo l’argomento del prossimo articolo.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
29
Politica e Economia
Idee geniali cercansi
Miliardi di multe
contro banche
e aziende svizzere
Il dopo-9 febbraio Per concretizzare l’iniziativa popolare contro
l’immigrazione di massa e al contempo salvare i negoziati bilaterali
servono proposte originali, ma anche una leadership forte
Guai giudiziari Stando ad una statistica
della «Handelszeitung» fra il 2007 e il 2012
sono state comminate multe per 7 miliardi
di franchi, quasi tutte negli Stati Uniti
Keystone
Ignazio Bonoli
Marzio Rigonalli
È passato più di un mese dalla votazione del 9 febbraio sull’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa e da
allora non c’è stato un giorno senza
una decisione, un contatto diplomatico, una presa di posizione, una dichiarazione, o qualcosa di simile. La vittoria del «sì» ha provocato una serie di
problemi, ha aperto un periodo d’incertezza e costringe ora il Consiglio federale a trovare un compromesso tra
l’applicazione dell’iniziativa e la preservazione dei rapporti bilaterali con
l’Unione europea.
In attesa di sapere come
il governo intende
applicare l’iniziativa
UDC, permane uno
stato di incertezza che
danneggia l’economia
Bruxelles ha reagito in modo seccato a
quella che è una violazione della libera
circolazione delle persone, un principio
che è alla base del primo pacchetto degli
accordi bilaterali e il cui rispetto è indispensabile per accedere al mercato unico europeo. In sintesi, dapprima ha tolto la Svizzera da due programmi europei, Erasmus e Horizon 2020. Il primo
permette gli scambi tra studenti universitari, con soggiorni di studio nelle università straniere riconosciuti dalla propria università; il secondo promuove i
progetti di ricerca, offrendo buone possibilità agli innovatori ed ai ricercatori.
Poi, ha fatto la stessa cosa con il programma Media che eroga finanziamenti a sostegno di film e produzioni televisive. Infine, ha congelato una parte
dell’ampio dispositivo bilaterale, interrompendo le trattative in corso, per
esempio in settori come l’elettricità o le
emissioni di CO2, o rifiutando di aprire
un qualsiasi nuovo negoziato. L’UE non
nasconde che potrebbero esserci altre
conseguenze negative per la Svizzera e
attende di conoscere come Berna applicherà l’iniziativa approvata il 9 febbraio.
Le reazioni in Svizzera sono state
molteplici. Il Consiglio federale si è subito sforzato di spiegare la nuova situazione interna alla Commissione europea ed ai principali governi europei. I
contatti diplomatici sono stati numerosi e tra questi si possono citare i viaggi
del presidente della Confederazione Didier Burkhalter a Berlino ed a Parigi, e
della consigliera federale Simonetta
Sommaruga a Bruxelles. Nel rispetto
della nuova norma costituzionale, Berna ha poi rinunciato a firmare il protocollo sull’estensione della libera circolazione delle persone alla Croazia, suscitando malumori sia a Zagabria che a
Bruxelles. Malumori che attendono ora
una risposta su come la Svizzera intende risolvere la questione con il 28mo
Stato membro dell’UE. Sul fronte interno, il governo si è attivato rapidamente.
Ha consultato le organizzazioni economiche ed i sindacati, in una riunione
svoltasi il 1. marzo e presieduta dal consigliere federale Johann Schneider-Ammann, si è impegnato ad ascoltare i promotori dell’iniziativa, invitandoli ad
esprimersi davanti all’Ufficio federale
della migrazione ed ha istituito un
gruppo di lavoro comprendente i rappresentanti dei cantoni, dei comuni,
dell’economia e dei sindacati. Il Consiglio federale ha promesso di presentare
prima dell’estate una proposta su come
intende applicare l’iniziativa popolare
contro l’immigrazione di massa. Le misure approvate da Bruxelles l’hanno poi
spinto a trovare e a decidere, almeno in
parte, soluzioni alternative ai programmi europei Erasmus, Horizon 2020 e
Media.
In parallelo con l’azione del Consiglio federale si sono avute numerose
proposte sulla possibile applicazione
dell’iniziativa, provenienti soprattutto
dalle sponde dell’economia e della politica. La proposta più articolata è arrivata da Avenir Suisse, il «think tank» liberale, che suggerisce d’introdurre un tetto globale decennale, sia per l’immigrazione che per la popolazione totale (cfr.
l’articolo di Ignazio Bonoli su «Azione»
del 10.3.2014). Christoph Blocher ha
fatto una proposta in tre punti, centrata
sulla durata limitata dei permessi e sul
modello canadese, ma che non sembra
aver suscitato molti consensi. Anche altri leader politici si sono espressi, come
il presidente del partito liberale radicale
Philipp Müller, o il presidente dell’Unione sindacale svizzera e consigliere agli Stati Paul Rechsteiner. Forte del
consenso degli svizzeri nei confronti
degli accordi bilaterali, espresso in un
recente sondaggio nella misura del 75%,
Rechsteiner suggerisce di chiamare il
popolo alle urne, per esempio nel 2016,
per chiedergli se vuol salvare gli accordi
con l’UE. Una risposta positiva renderebbe molto improbabile l’applicazione
dell’iniziativa sull’immigrazione di
massa. Su come procedere, con il testo
approvato il 9 febbraio, si è discusso anche alla sessione delle Camere federali
in corso e numerosi sono stati gli specialisti di diritto costituzionale o di di-
retto europeo che si sono espressi, attraverso interviste e commenti diffusi dai
media.
Che cosa ci aspettiamo ora dal
Consiglio federale? Una proposta originale che possa venir accettata dall’Unione europea. Molti hanno già parlato di un colpo di bacchetta magica o
della quadratura del cerchio. Si tratta di
conciliare il contingentamento dell’immigrazione e la preferenza nazionale
sul mercato del lavoro con la libera circolazione delle persone, principio fondamentale di tutto l’edificio europeo.
In altre parole, si tratta di soddisfare i
promotori dell’iniziativa accettata dal
popolo e, nello stesso tempo, di fare in
modo che l’Unione europea possa accettare queste novità, salvando così gli
accordi bilaterali con la Svizzera. È un
esercizio estremamente difficile, con
un esito tutto da verificare. È un esercizio che avviene in un momento d’incertezza, che è una sorta di veleno per
l’economia. Soltanto più tardi ci accorgeremo dei suoi effetti negativi sulla
presenza delle aziende estere in Svizzera e sui posti di lavoro che ne derivano.
È un esercizio che ha due possibili esiti:
uno positivo, che si tradurrebbe in un
compromesso con l’Unione europea,
con la preservazione di un rapporto bilaterale forte, e l’altro negativo, che farebbe cadere la maggior parte degli accordi conclusi con Bruxelles negli ultimi quindici anni. In questo caso, la
Svizzera si ritroverebbe sola, isolata in
mezzo al continente, e potrebbe esser
costretta a scegliere tra l’isolamento e
l’adesione all’UE.
È un momento difficile per tutto il
Paese. Uno di quei momenti in cui il bisogno di una forte leadership si fa sentire in modo pressante. Ci vorrebbe una
manciata di uomini e di donne con una
visione strategica, capace di definire
obiettivi ambiziosi per il bene del Paese
e di individuare le strade che bisogna
percorrere per raggiungerli. Occorre
conciliare valori e strumenti che spesso
stanno in contraddizione tra di loro. La
democrazia diretta con un mondo che
non conosce questo diritto democratico; il diritto nazionale con le convenzioni, i patti e gli impegni internazionali; la sovranità nazionale con la partecipazione o l’integrazione in un mondo
sempre più globalizzato. La comunità
internazionale e i suoi rapporti di forza
sono in continua evoluzione e richiedono costanti adeguamenti, che sono
altrettante sfide da cogliere e da vincere. Purtroppo, ed è un’amara constatazione, le leadership forti che sarebbero
necessarie, vengono recensite come
merce rara.
L’anti-trust italiana ha decretato una
multa di 180 milioni di euro contro le
svizzere Novartis e Roche, accusate di
aver provocato un aumento ingiustificato del prezzo di due medicamenti. Le
due ditte interessate non accettano il
verdetto e inoltreranno ricorso contro
la sentenza. È l’ultimo tra i tanti casi che
– con o senza validi motivi – colpiscono
ditte svizzere.
Al di là dell’applicazione delle varie
leggi nazionali contro le intese di cartello che permettono questi interventi, gli
attacchi americani contro il sistema
bancario elvetico sembrano voler incitare molte autorità, tanto politiche,
quanto giudiziarie, ad accanirsi contro
un Paese ricco e molto attivo a livello internazionale che però spesse volte si difende anche male e si fa parecchie illusioni sulla cooperazione internazionale,
piuttosto che sulle prove di forza. Tipica
la recente audizione dei dirigenti del
Credit Suisse davanti a una commissione del Senato USA, che per molti versi
sembra ricordare la veemenza degli attacchi dei tempi in cui si polemizzava
sugli averi degli ebrei perseguitati durante la seconda guerra mondiale.
Una conferma di questa impressione può essere vista anche in una statistica, recentemente allestita dalla «Handelszeitung» di Zurigo, che valuta in
circa 7 miliardi di franchi in 5 anni (fra
il 2007 e il 2012) l’ammontare delle
multe pagate da aziende svizzere all’estero. Di questi 7 miliardi, 6,3 sono
stati pagati negli Stati Uniti soltanto. La
sola UBS, accanto alla multa concordata in 780 milioni di dollari, ha pure pagato penali per altri 157 milioni per altre contravvenzioni concernenti lo
scandalo Libor, il mancato rispetto delle
regole della borsa e affari ingannevoli.
Dal canto suo il Credit Suisse, per
motivi più o meno analoghi, ha dovuto
sborsare 1,191 miliardi di dollari. Tra
questi figurano anche 526 milioni di
dollari per il mancato rispetto delle sanzioni contro l’Iran. Non figurano però
le somme che la grande banca dovrà
sborsare per l’azione che la giustizia avvierà dopo quanto rivelato nella citata
audizione senatoriale. Non sono poi
considerate nemmeno le altre 12 banche svizzere contro le quali il fisco americano sta indagando per aiuto alla frode fiscale fornito a cittadini americani
che hanno depositato i loro averi su
conti svizzeri.
A parte il madornale errore che è
costato l’esistenza alla antica banca Wegelin, anche altre banche saranno prossimamente chiamate alla cassa e con
ogni probabilità, dopo l’esempio della
grande UBS, cercheranno di concordare una somma che entrambe le parti –
per forza o per amore – giudicheranno
adeguate. Ma probabilmente la faccenda non troverà tanto presto una soluzione definitiva. Altre situazioni equivoche (o almeno interpretabili come tali dalle autorità americane) verranno a
galla e provocheranno altrettanti grattacapi.
Ma non solo le banche vengono
condannate a pagare multe milionarie.
Anche le multinazionali sono particolarmente prese di mira: per esempio la
Holcim per 400 milioni in India nel
2012 per intese sui prezzi, la Ciba per
68,4 milioni dall’UE nel 2009 in base alla legge sui cartelli, la Schindler, sempre
dall’UE nel 2007, per 225 milioni causa
accordi sui prezzi, la Nestlé in Germania per 20 milioni di euro nel 2013 per la
legge sui cartelli, la Adecco in Francia
nel 2009, per 34 milioni di euro per accordi sui prezzi, perfino la Syngenta nel
2006 in Brasile, per campi illegali di soia, condannata a 380’000 euro di multa.
È diventata buona regola cercare di
cogliere in fallo queste aziende (talvolta
con ragione) per poi stabilire una penale, sulla quale si potrà poi discutere.
Questo fatto riduce di molto il senso
punitivo della multa e avvalora la tesi
del tentativo di ottenere soldi in un modo o nell’altro. Le trattative avvengono
poi di regola a porte chiuse, per cui raramente l’opinione pubblica viene informata dell’esito della procedura e non
può farsene un’idea. E questo anche nel
caso in cui le multe sono pubblicate, per
cui certe somme vanno considerate con
prudenza.
Di fronte a queste cifre ci si può
chiedere chi sarà chiamato a pagare il
prezzo finale. È logico pensare che, ribaltando gli oneri sui prezzi, a pagare
sarà il consumatore finale. In particolare in Svizzera si pensa che le tariffe delle
banche ne subiscano l’impatto. Finora
però non lo si è potuto costatare e le
banche rimangono fra le meno care in
Europa. In realtà, tornando in zona utili (dopo la crisi di questi ultimi anni), le
banche possono far ricorso agli accantonamenti e dedurre le perdite d’esercizio. Vi è però un effetto indiretto che
colpisce le comunità. Non presentando
utili imponibili, le banche (è successo
per UBS lo scorso anno) non pagano
imposte. Una città come Lugano ne ha
sentito il contraccolpo dal momento
che le imposte delle banche costituivano il 40% del gettito totale.
Tra i giuristi resta aperta la questione a sapere se è lecito considerare le
multe fra i costi d’esercizio e, se sì, quale sarà ancora l’effetto punitivo o deterrente della sanzione.
Brady Dougan, CEO di Credit Suisse, e altri 3 membri di direzione, davanti al
Senato degli Stati Uniti. (Keystone)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
31
Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi
Lobbismo, ieri e oggi
Una ventina di anni fa ebbi modo,
come membro di una commissione di
esperti, di seguire i lavori per la revisione del piano regolatore della città di
Berna. In quell’occasione fui invitato
dalla sezione del partito liberale-radicale della città a parlare dei problemi di
sviluppo della nostra capitale. Di quelle
che allora erano le cinque città più importanti della Svizzera, Berna era quella
che, economicamente parlando, cresceva meno. Nel mio intervento rivelai
ai liberali-radicali bernesi che l’unico
ramo economico di natura privata che
era in piena espansione nella capitale
era quello dei lobbisti. E ne quantificai
anche la consistenza. I presenti, in
maggioranza membri del consiglio comunale della città non credevano ai
loro occhi. Sì, perché già allora il ramo
in questione occupava diverse migliaia
di persone. Non si trattava naturalmente solo di quei lobbisti che, giorno
per giorno, si recano a Palazzo federale
o entrano negli uffici dell’Amministrazione, ma anche di quelli che preparano loro cifre e grafici, o che
sviluppano argomenti, o che mettono
in piedi campagne strategiche, o che
fanno andare avanti i loro uffici curando le comunicazioni, la corrispondenza e la contabilità.
Dei lobbisti di Palazzo federale si sente
parlar poco. E loro sono contenti così.
Trasparenza e pubblicità sono vocaboli
che temono come il diavolo l’acqua
santa perché potrebbero rovinare l’efficacia della loro azione. Ora però il velo
del silenzio è stato sollevato, almeno in
un angolino. Dall’autunno del 2011, infatti, il Parlamento pubblica nella sua
website la lista delle persone che hanno
diritto ad entrare nella sala del Consiglio nazionale o in quella del Consiglio
degli Stati. Ogni parlamentare ha diritto
di segnalare il nome di due persone che
lo possono accompagnare in sala. Attualmente sulla lista degli ospiti dei nostri parlamentari ci sono 409 persone.
Siccome i parlamentari sono 244, il
massimo delle persone accompagnanti
potrebbe essere 488. Il «contingente»
dei lobbisti con diritto di accesso in sala
è quindi utilizzato, per il momento
all’83%. Gli ospiti dei nostri parlamentari devono dichiarare per chi lavorano.
Secondo la «Neue Zürcher Zeitung»,
che ha condotto un’inchiesta su questo
tema, il nome del datore di lavoro non è
sufficiente per scoprire eventuali relazioni di carattere economico. I collaboratori del giornale zurighese sono
andati quindi a spulciare il registro di
commercio e a chiedere lumi al servizio
di informazioni economiche della Orell
Füssli. Ne è uscito un quadro interessante, e per certi versi sorprendente, del
modo in cui l’economia cerca di far valere i propri interessi nel parlamento.
Questo perché il legame diretto del lobbista con il suo possibile mandatario è
meno importante di quello indiretto.
Mi spiego: a Palazzo federale il gruppo
di lobbisti più importante, per la portata
delle relazioni che intrattengono con
l’economia, è quello dei consulenti e
degli specialisti in pubbliche relazioni.
Il meno importante, sempre per l’ampiezza delle relazioni che intrattengono,
è quello dei lobbisti che rappresentano
il commercio al dettaglio e la ristorazione. La situazione in materia di lobbismo nel nostro parlamento somiglia
quindi a quella del municipio di Napoli.
Sotto il portico del municipio, a Napoli,
sostano, ogni giorno decine e decine di
persone. Uno potrebbe pensare che
siano degli sfaccendati che vengono a
prendere le ultime notizie. No, si tratta
di intermediari che si assumono, dietro
compenso, il compito di facilitare il
contatto con gli uffici dell’amministra-
zione o con i politici locali. Anche a
Berna è così. Se un gruppo di interesse
vuole esercitare un’influenza qualsiasi
sul modo nel quale la legislazione viene
formulata e discussa nel nostro parlamento, si metterà in contatto con un ufficio di consulenza o di pubbliche
relazioni a Berna, spiegherà ai collaboratori di quell’ufficio quali sono le sue
intenzioni e darà loro l’incarico di fare
del lobbismo. Sono quasi tramontati i
tempi in cui l’influenza si esercitava attraverso i parlamentari eletti nei consigli di amministrazione. Sono oramai
sepolti sotto la polvere dell’oblio quelli
in cui il parlamento veniva influenzato
dai gruppi di pressione – padronali o
sindacali. Oggi il lobbismo si è professionalizzato. I lobbisti si mettono a disposizione di chi dà loro un mandato
per far passare un’opinione. E magari,
dopodomani, di chi vuol far passare
l’opinione contraria…
Francia alla testa delle grandi società statali c’è una sola figura, che è sia presidente sia direttore generale. In Italia ce
ne sono due. Di solito uno era democristiano l’altro socialista. Che bisogno c’è
di una simile duplicazione? Non sarebbe
meglio semplificare – e risparmiare – individuando un solo responsabile?
Altro esempio. Renzi parla spesso di tagliare i costi della politica, e vagheggia
di abolire il Senato. Ma perché non cominciare con il ridurre gli stipendi dei
parlamentari, che sono i più generosi
del mondo? È vero che il Parlamento è
sovrano e i problemi dell’Italia sono
altri; ma i simboli sono importanti. Se la
politica chiede sacrifici, deve anche
farli.
Un altro esempio ancora. Il più importante. Per anni presidenti del Consiglio
e ministri sono andati a Bruxelles e in
Germania con il complesso dell’italiano
all’estero: curando l’accento british, badando a fare bella figura, quasi scusandosi di essere italiani. Forse è tempo che
il premier vada dagli euroburocrati e da
Bruxelles magari con un inglese appros-
simativo, però deciso a far valere con
maggiore convinzione gli interessi del
Paese.
Renzi ha promesso di mettere on line
tutte le spese della pubblica amministrazione. Vuole portare fin da subito la
legge elettorale al Senato. Trasformare
Palazzo Madama nella Camera delle autonomie, senza elezione e senza indennità. Abolire le province. Tagliare un
miliardo di costi della politica: un tema
su cui sta ancora aspettando la risposta
di Grillo. L’idea è che, se l’Italia avvia
queste riforme, allora potrà andare oltre
il vincolo del rapporto del 3% tra deficit
e prodotto interno lordo, per far ripartire l’economia. E potrà allentare il patto
di stabilità interno: «Perché i Comuni
virtuosi non possono spendere per l’edilizia scolastica? – ripete Renzi . Mi interessa di più la stabilità di una scuola che
la stabilità burocratica».
Bisognerà capire se l’Europa si fida dell’Italia, e del nuovo presidente del Consiglio. Per questo Giorgio Napolitano ha
insistito perché all’Economia andasse
un tecnico con solidi rapporti interna-
zionali, anziché l’ex sindaco di Reggio
Emilia Graziano Delrio, braccio destro
di Renzi. Il presidente della Repubblica
non intende garantire la continuità,
anzi, è andato all’Europarlamento a
chiedere una nuova politica economica,
più incentrata sullo sviluppo e sull’occupazione. Però pensa che l’obiettivo sia
più facile da conseguire con un uomo
stimato e conosciuto in Europa e in Germania, piuttosto che con un outsider.
Renzi ha capito e si è piegato. Ma fin
dall’inizio ha dato un’impronta molto
personale allo stile e all’azione del governo.
Resta da capire come sono davvero i
rapporti con la minoranza del suo partito, che però è ancora maggioranza di
sicuro al Senato e forse anche alla Camera. Il passaggio della campanella con
Enrico Letta – piccolo rito che segna i
frequenti cambi a Palazzo Chigi – è stato
il più freddo che si ricordi. Al confronto
Berlusconi e Prodi erano vecchi amici.
Questo rappresenta un vulnus che alla
prima difficoltà minaccia di ritorcersi
contro Renzi.
per creare nuove superfici agricole... Il
collegamento con il lampo di genio
avuto a Berna nel 1935 da Friedrich
Traugott Wahlen mi ha così ricordato il
libro inglese dedicato all’analoga idea
del governo britannico di trasfondere la
forza delle armi in quella delle zappe e
delle sementi per incoraggiare i cittadini a contribuire allo sforzo bellico: roseti messi da parte per coltivare
verdura, giardinaggio non più come
passione, tic o mania, ma come arma
imbracciata da un popolo impegnato a
dare un concreto seguito allo slogan
«Dig for Victory», cioè al banalissimo
«Zappa per la vittoria». Vennero distrutti decine di ettari di parchi secolari
(di solito riservati agli occhi, sempre distratti e distaccati, di nobili privilegiati)
e il paesaggio di grandiosi giardini e piccole corti, campi da gioco e serre solitamente riservate a fiori esotici cambiò
radicalmente, visto che migliaia di
piante pregiate, di aiuole e di amatissimi
fiori cedettero spazio e humus a piante
commestibili.
L’idea inglese del giardinaggio «statale»
fu un’arma che di sicuro Hitler non
aveva preventivato. Infatti, dice la recensione di Caterina Soffici, secondo
l’autrice Ursula Buchan questa fertilità
agricola forzata, oltre che ottimo sussidiario per l’alimentazione di una nazione prostrata dal conflitto, finì per
rivelarsi anche una forma di resistenza
per lo spirito. E cita l’aneddoto del marito di Virginia Woolf che, anziché
ascoltare il Führer alla radio, preferì rimanere in giardino a piantare iris «che
avrebbero continuato a fiorire anche
dopo la morte di Hitler». Ecco, per vincere l’ipocondria e per non lasciarmi
suggestionare da ciò che Putin toglie all’Ucraina e al mondo intero, anch’io,
come Leonard Woolf, devo rafforzare
la manualistica pratica per il giardinaggio vincendo la mia imbranataggine.
Sul nostro balcone svetterà un «Dig for
Victory»: via gli ellebori, niente gerani,
giù sementi e bulbi , sperando che
sbocci anche una più robusta resistenza
per lo spirito.
In&outlet di Aldo Cazzullo
L’esordio di Matteo Renzi
Matteo Renzi ha un problema. Si è costruito all’insegna della rottura. Ha
usato contro il Palazzo lo stesso linguaggio e gli stessi argomenti della gente comune. Però è andato al potere con
un’operazione di Palazzo. Senza il voto
popolare, ma con il voto di un Parlamento che non voleva andare a casa (in
particolare la minoranza del suo partito,
che era maggioranza quando si erano
fatte le liste elettorali). Come può ritro-
vare la linea della rottura, della discontinuità rispetto al passato?
Tagliare le tasse anziché aumentarle è
un buon inizio. Ma ora il nuovo presidente del Consiglio deve trovare altri
elementi di discontinuità. Ad esempio,
tra poco ci sarà una tornata di nomine
alla guida delle imprese a maggioranza
pubblica: Eni, Enel, Terna, Rai, Finmeccanica. Non sarebbe male ci fossero novità, sia nei nomi sia nei metodi. In
Zig-Zag di Ovidio Biffi
In guerra al grido di «zappa per la vittoria!»
Circa un anno fa sul domenicale del
«Sole 24 Ore» ho trovato la recensione
di un libro inglese, all’apparenza un lavoro dedicato al giardinaggio. Immaginai: uno dei tanti manuali che,
soprattutto in primavera, arrivano a
dare slancio a una delle più nobili passioni dell’uomo (con maggioranza
femminile, naturalmente). Invece scoprii che le oltre 350 pagine erano dedicate non tanto al giardinaggio, bensì a
come i giardinieri inglesi, anche i dilettanti di questa umilissima passione,
riuscirono a combattere, a modo loro,
il nazismo.
Ho pensato a quel libro all’inizio del
mese, nei momenti incerti di un dormiveglia mattutino, quando non sei ancora deciso ad alzarti sapendo che il
sole tarderà ancora qualche ora a dirti
che è giorno. Nella mente frullavano i
pensieri lasciati alla sera, dopo una
giornata intera di bombardamento mediatico su Putin che invade prima
l’Ucraina, poi «solo» la Crimea, poi
fermo attorno alle basi russe e agli aero-
porti... Sapete com’è andata e come
prosegue ancora. Quel bailamme di
notizie, pur con una evidente frammentarietà che rafforzava l’indecifrabilità, aveva subito acceso la mia
ipocondria: mi vedevo proiettato, con a
mano moglie figli e nipoti, in un’inevitabile nuova Guerra mondiale.
In quel dormiveglia, alle prese con catastrofici «cosa ci capiterà ora», a dominare gli scenari c’era dapprima un
comun denominatore: il confine. Sono
nato a poche centinaia di metri dalla
«ramina» e forse (anzi: quasi di sicuro)
porto in me un senso particolare per le
frontiere e per tutto quanto esse segnano. Quindi, di mio, ho una sorta di
accendino che si attiva non appena
qualcosa (dal prezzo della benzina al
mercato del lavoro) giunge a modificare i rapporti, o anche solo il tasso di
(in)tolleranza, fra chi sta di qua o di là
«dal dazio». Mi sono così trovato a interrogarmi – lo so: cosa assurda, pensiero di inguaribile mendrisiotto, se
confessata fuori dai venti di guerra ipo-
tizzati – su chi andrebbe a pattugliare
da Pedrinate sino a Ponte Tresa, e poi
su verso il Lema, il Ghiridone, il Basodino e poi giù dal Gesero sino a Pizzamiglio per «difendere i nostri confini»
da un Putin del sud o da una «putinata»
meridionale.
Veleggiavo sull’onda di queste e altre
amenità, quando l’immagine del confine lasciò il posto a quel libro: A Green
and Pleasant Land: How England’s Gardeners Faught the Second World War.
Mi era tornato in mente forse perché,
pensando alla nostra stupidissima attrazione per l’isolamento, ho provato a
immaginare quanti giorni oggi resisterebbe la Svizzera, o anche il solo Ticino,
se dalle sue frontiere non entrassero
più, oltre che le genti malvolute, malaccolte e maltollerate, nemmeno energia,
alimentari, merci, materie prime, ecc.
Poi ero risalito nel tempo sino al Piano
Wahlen e, di riflesso, mi chiedevo se
oggi fosse ancora sostenibile proporre
di prosciugare laghi, oppure abbattere
palazzi, villette e chalet sugli altipiani,
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33
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
Cultura e Spettacoli
Dal fumetto al palco
Il disegnatore italiano Davide
Toffolo è un uomo dalla doppia
identità
Lizzani, storie di cinema
Con film come Cronache di poveri amanti
il regista Carlo Lizzani ha contribuito a fare
la storia del cinema italiano
Poesia gay
Un’affascinante antologia
(ritrovata) di versi poetici
scritti da omosessuali
pagina 39
L’Estonia a Lugano
Grande musica per una piccola
nazione: Tallinn al centro
di una rassegna musicale
pagina 41
pagina 35
pagina 39
Il ponte
Nihonbashi
(1833), di
Utagawa
Hiroshige
(1797-1858).
(© Fondation Baur,
Musée des ARts
d’Extrême)
53 stazioni di sosta
sulla stradadel Tôkaidô
Mostre Meravigliose stampe giapponesi alla Fondazione Baur di Ginevra
Marco Horat
L’epoca moderna comincia in Giappone con la caduta dell’ultimo Shôgun
Tokugawa nel 1868. Edo (oggi Tokyô)
era praticamente il centro di quel mondo rimasto chiuso su se stesso per più di
250 anni. Dalla capitale partivano cinque vie di collegamento utilizzate per
raggiungere la periferia del Paese; strade importanti dal profilo militare, politico ed economico. Lungo queste arterie erano situate a distanza regolare stazioni di sosta dove il viandante poteva
riposarsi, rifocillarsi, pernottare, acquistare souvenir, noleggiare portatori
oppure cambiare i cavalli. A quanto
raccontano le cronache erano strade affollatissime in tutte le stagioni dell’anno: vi transitavano cortei con centinaia
di servitori al seguito dei daimyo, i signorotti di provincia obbligati a lasciare i loro dominii per soggiornare, ad
anni alterni, presso la corte dei Tokugawa; ma anche commercianti carichi
di ogni genere di merci, samurai in cerca di fortuna, umili pellegrini che si re-
cavano a pregare nei templi più famosi
del Giappone, avventurieri di ogni sorta. Se ne ha un’idea leggendo Musashi
di Eiji Yoshikawa, un grande romanzo
di cappa e spada ambientato nel ’600,
che praticamente si svolge lungo queste
arterie, come in un moderno «on the
road» a puntate. La vita quotidiana, le
più famose case da thé e le signore
compiacenti che vi si incontravano, il
miglior saké da gustare, gli artigiani più
abili, i ristorantini con le specialità locali erano conosciutissimi, stazione per
stazione, e divennero presto un gustoso
soggetto per gli artisti del XIX secolo
dediti all’arte della stampa. Una vera e
propria moda culturale.
La più importante di queste strade
era quella del Tôkaidô con le sue 53 stazioni di sosta. Essa univa Edo a Kyôto
lungo un percorso di 500 chilometri;
un viandante a piedi impiegava più di
due settimane per percorrerla o cinque-sei giorni se aveva a disposizione
una cavalcatura. Le prime stampe a colori sul Tôkaidô saranno opera del
grande Hokusai (1760-1849), «il vec-
chio pazzo per la pittura» come si definirà lui stesso, ma la consacrazione del
soggetto arriverà con la serie Le 53 stazioni del Tôkaidô di Utagawa Hiroshige
(1797-1858), pubblicate per la prima
volta tra il 1832 e il 1833. In effetti si
tratta di 55 scene di vita, poiché alle 53
stazioni ufficialmente riconosciute bisogna aggiungere le due dedicate alla
stazione di partenza – Nihonbashi, il
ponte centrale di Edo dal quale si cominciava il conteggio delle distanze – e
a quella di arrivo a Kyôto – il ponte della Terza strada (Sanjô). In totale gli
esperti delle Collections Baur di Ginevra che hanno organizzato l’esposizione hanno contato 84 serie di stampe
apparse nel corso del ’900, con più di
3000 disegni eseguiti da diversi artisti, a
testimonianza della fortuna che l’argomento aveva incontrato presso la popolazione e in seguito i collezionisti.
Naturalmente gli stampatori fiutarono
subito l’affare e dilatarono la produzione affidandosi ad artisti reputati come
Utagawa Kunisada, che arriverà a vendere più di 6000 esemplari di una sola
veduta! L’autore più prolifico rimane
però Hiroshige con ben 22 serie di
stampe a colori e 700 tavole, non tutte,
dicono gli studiosi, della stessa qualità:
la prima serie in particolare sembra la
più preziosa per la qualità della riproduzione dovuta all’editore Takenouchi
Magohachi. Non contento della fortunata riuscita, Hiroshige si accingerà ad
un’altra impresa titanica pochi anni
dopo: rappresentare le 69 stazioni della
Kisokaidô, la strada delle montagne
centrali parallela alla Tôkaidô. Forse
iniziato da Keisai Eisen (1790-1848)
che realizzò le prime tavole nel 1835, il
progetto coinvolse in seguito Hiroshige
in un rapporto di collaborazione che
non è ancora stato del tutto chiarito.
Un mondo di immagini spesso di
straordinaria bellezza che è possibile
scoprire ora a Ginevra nella mostra curata da Helen Loveday, dove ai paesaggi del Giappone tradizionale si aggiungono le annotazioni di colore sulla vita
quotidiana, sulla meteorologia, sui luoghi del cosiddetto immaginario collettivo o su personaggi illustri che gli ac-
quirenti di stampe del tempo identificavano con facilità, in un gioco di rimandi simbolici e allusioni letterarie
che riportano all’arte del haiku, la poesia in 17 sillabe nella quale ogni parola
può essere interpretata in modo diverso. Con la Restaurazione Meiji del 1868
finisce un mondo; le antiche strade storiche che ne costituivano il sistema circolatorio conosceranno un rapido declino, sostituite dalla ferrovia e dalla
nascita di sistemi di comunicazione rapida come il telegrafo e il telefono. Come capitò per l’impero romano, anche
in Giappone il tracciato delle strade
moderne costruite il secolo scorso ricalcherà in parte gli antichi percorsi,
anche se le stazioni di sosta sono state
oggi sostituite da quelle dello Shinkansen o dalle pompe di benzina.
Dove e quando
La route du Tôkaidô, estampes
japonaises de la Fondation Baur,
Ginevra, Collections Baur. Fino al
6 aprile 2014. www.fondation-baur.ch
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
35
Cultura e Spettacoli
Davide Toffolo
èlo Yeti amico di Pepito
Serie Tv,
la lezione
dei giovani
Incontri Il fumettaro (autore di Graphic Novel is Dead) che è anche una rockstar
Operazioni come
quella della SCC
devono essere
salutate con piacere
Blanche Greco
«Il disegno per me è una ricostruzione
poetica della realtà, non una riproduzione. Così ho “riscritto” pezzi della mia
vita in un fumetto e ho realizzato la mia
autobiografia in una dimensione da
commedia. Del resto anche nelle mie
canzoni ci sono periodi della mia esistenza, anche lì riscritti e trasformati in
musica». Racconta Davide Toffolo presentando il suo ultimo libro Graphic
Novel is Dead edito da Rizzoli-Lizard, e
riassumendo in una frase la sua doppia
identità artistica: da un lato «rockstar» e
dall’altro talentuoso e conosciuto autore di fumetti. Praticamente due mitologie a confronto. In quella rock è il cantante e chitarrista del gruppo Art Rock
Davide Toffolo
vive a cavallo
tra due identità:
quella del cantante
e quella del disegnatore
«Tre Allegri Ragazzi Morti», performer
misterioso che sale sul palco in un costume da Yeti, con il viso coperto da
una maschera-teschio; invece in quella
più privata del disegnatore di fumetti, è
un «biondino» muscoloso, un nomade
che vive tra fogli, matite e pennelli; cullato dai suoi pensieri, con le sue letture,
in un piccolo Olimpo di cui fa parte il
grande disegnatore Magnus, e attualmente anche Andy Kaufman e Charles
Darwin. Il fumettaro Davide Toffolo
condivide la sua solitudine con Pepito,
un pappagallino che vive sulla sua ma-
no e che nelle storie narrate in Graphic
Novel is Dead, fa coppia con lui, come si
conviene ad una vera spalla comica.
«Prima della mia, ho disegnato altre tre
biografie, ognuna con un suo stile, un
segno diverso: prima c’è stata quella del
pugile friulano Carnera; poi ho affrontato Pasolini, e in Il Re Bianco, immagino quella di un gorilla albino. Esploro e
racconto ciò che considero la tragedia
del ’900, ossia la trasformazione dell’uomo in personaggio pubblico, evento e peculiarità di questo secolo capace
di fare di un uomo, o di un animale,
una “merce”. E proprio perché il mio
lavoro è trasformarmi e offrirmi al
pubblico diventando il cantante-Yeti di
Tre Allegri Ragazzi Morti, la mia autobiografia nasce dall’esigenza di fare il
punto sul mio essere rockstar e personaggio pubblico, attraverso il racconto
e il confronto di alcune sfaccettature
della mia vita, pubblica e privata».
Forse per questo Graphic Novel is
Dead nasce nel 2013, durante il tour
della band con Jovanotti, novanta concerti e tanti chilometri, ma è un anno
speciale, pieno di novità, con il progetto di un musical che si concretizza sempre più: «Scrivevo e disegnavo nei momenti di pausa» – racconta Davide Toffolo – «era una sorta di riflessione continua su questa parte pubblica di me
che cresceva ogni giorno di più, invadendo con emozioni e sensazioni il disegnatore». Così per rendere più esplicita la differenza tra i due, «Eltofo» la
rockstar, viene immortalata sul palco,
in mezzo al pubblico, non dal disegno,
ma da una serie di fotografie della fotografa Cecilia Ibañez – come se si trattasse di un reportage giornalistico. Nelle tavole disegnate per contro c’è Davi-
Visti in tivù
Antonella Rainoldi
Un uomo e la sua doppia anima.
de, senza costume da Yeti e senza maschera, in t-shirt e mutande, sdraiato
sul letto, afflitto dal mal di schiena, che
si confida con Pepito in una serie di soliloqui buffi e surreali, infarciti di ricordi e di sogni: infantili, ironici, erotici, o
filosofeggianti e alle volte angosciosi, in
compagnia di persone a lui care, voci
del suo passato che lo accompagnano,
oppure amici invadenti, ammiratrici e
amori. Sono centoquaranta tavole,
quasi a sé stanti, rosate, azzurrine, verdi
pastello, ognuna racconta una storia,
con un segno chiaro che ricorda un po’
i Peanuts di Schulz: un dialogo intimo e
poetico nel quale, attraverso le fotografie di Eltofo, irrompono a tratti i suoni
del tour.
«Ho chiamato questo libro Graphic Novel is Dead, perché volevo che si
sentisse l’anima rock e perché è un luogo di libertà. Infatti è una forma nuova,
che non sottostà alle regole editoriali
che ogni Paese ha per il fumetto: la graphic novel è uguale a New York, a Roma, Parigi o Tel Aviv, il linguaggio è libero e si può raccontare di tutto». Il
bambino che nasce disegnando, con
una mano quasi troppo piccola per la
matita; l’adolescente confuso che decide di diventare il cuoco di una spedizione archeologica in Turchia per avere
il tempo di scegliere cosa fare di sé; e
poi le storie dei fumetti che diventano
Musical: Cinque Allegri Ragazzi Morti
Lo-Fi episodio 1 «L’Alternativa» è andato in scena a teatro a Milano e a Roma. La musica e il fumetto di Davide
Toffolo e la sua vita infine sul palcoscenico, seguiranno presto anche le altre
storie – tra horror e romanticismo –
della saga dei cinque adolescenti zombie. E benché Eltofo la rockstar abbia
svelato il suo viso, la biografia di Davide Toffolo forse si arricchirà di un altro
libro, per raccontare la sua anima.
L’architetto, ultimo umanista
Conferenze Attraverso una serie di incontri pubblici l’Accademia di architettura
di Mendrisio crea un dialogo tra territorio, filosofia, storia e pensiero generale
Eliana Bernasconi
queste serate possono rivolgersi a
tutti.
All’Accademia di Mendrisio il semestre
primaverile è avviato, il corso triennale
di Bachelor, il Master biennale e i 9 mesi
di formazione pratica assorbono le giornate dei 700 futuri architetti, fra loro si
contano 39 nazionalità diverse. La Galleria dell’Accademia nel corso dell’anno
ospita esposizioni, notevoli quelle annuali che documentano le diverse linee
di ricerca, approccio e metodo. L’ultima
di queste esposizioni, Mad’13, si è chiusa
lo scorso dicembre. Il 21 giugno sarà la
volta dei lavori di diploma, con il titolo:
Lo spazio pubblico nella città Ticino.
Altre esposizioni monografiche si succedono in continuazione, a marzo e
aprile Amurs Bearth&Deplazes, 18 progetti di grande formato dei due apprezzati architetti di Coira, in seguito
Duemila metri sopra le cose umane, i rifugi alpini, storia, tipologia, funzioni e
ancora Giulio Minoletti, architetto, urbanista, designer.
Ma soffermiamoci sulla serie di Eventi
pubblici serali a ingresso libero che
hanno preso avvio a settembre: Lezioni
di architettura vedono i maggiori esponenti delle tendenze architettoniche
contemporanee illustrare le loro opere;
le cosiddette conferenze del ciclo Borromini sono invece condotte da filosofi,
storici, studiosi di politica. Un’autentica
novità in corso fino ad aprile è il ciclo di
serate Scenografia, architettura e spazio
scenico condotte dai più interessanti scenografi dei teatri europei, come Anna
Viebrock da Colonia e Nick Omerod da
Londra, Romeo Castellucci da Cesena,
Partirei da una semplice considerazione, grandi intellettuali, pensatori e
architetti innovativi passano da Mendrisio, filosofi, storici o scenografi compongono un percorso parallelo alla
didattica e del tutto autonomo. Sono i
momenti in cui l’Accademia si apre al
mondo. È la forza dell’Accademia a rendere possibile tutto questo. Le persone
che partecipano possono cogliere opportunità uniche, uscirne arricchite,
magari scoprono realtà che non conoscevano e possono poi prendere posizione come meglio credono.
Ma i temi hanno attinenza con il territorio e la realtà?
Il filosofo italiano Giorgio Agamben,
recente ospite a Mendrisio. (Keystone)
Jan Pappelbaum da Berlino, Malgorzata
Szczesniak da Varsavia. Forse non tutti
sanno come sia evoluto oggi il rapporto
tra architettura e arte scenica, la pratica
scenografica si avvale di avanzate tecnologie e usa procedimenti filmici, sonori e
spaziali che aprono agli architetti prospettive di lavoro e ricerca inedite. Tutte
queste serate si svolgono nell’Aula
Magna dell’Accademia dove, assistendo
a queste manifestazioni affollate di studenti, non abbiamo avuto l’impressione
di notare una forte presenza di persone
esterne.
Abbiamo chiesto al prof. Matteo Vegetti, che a Mendrisio tiene i corsi di
Forme dell’abitare e di Antropologia culturale, sotto quali aspetti
Non mi pare in questo senso rilevante
che gli argomenti riguardino il territorio, anche perché non è affatto scontato
quale sia il territorio in cui viviamo.
Provate a chiederlo a un urbanista, magari vi spiegherà che il territorio del Ticino arriva ormai fino a Milano, che si è
costituita una city-region la quale è
parte di insiemi ancora più grandi, i
quali contengono elementi locali e significato globale. Tutto questo non può
che sollevare domande e problemi rilevanti con i quali un frequentatore delle
conferenze potrebbe trovarsi confrontato, e credo ne varrebbe la pena.
Adam Michnik, uno dei maggiori
saggisti e politici polacchi invitato lo
scorso ottobre, ha parlato de I fantasmi della memoria dell’est, mentre
per il Ciclo Borromini una conferenza del filosofo e politologo Giorgio Agamben era sul tema Il
Capitalismo come religione. Questi
argomenti che rapporto hanno con
l’architettura?
L’architettura è una disciplina complessa, comprendente tanto i saperi
scientifici quanto quelli umanisti e tecnici, l’architetto è forse in questo senso
l’ultima figura storica dell’umanista.
Questo profilo culturale è tanto prezioso quanto unico. Occorre perciò preservarlo dal pericolo dello specialismo o
dell’iperspecialismo, sempre incombente sulla cultura contemporanea. Le
conferenze che lei cita non hanno allora
il valore generico dell’«acculturamento», ma invitano gli studenti, e non
solo, a riflettere sul mondo in cui
agiamo, comunichiamo, creiamo.
I nuovi programmi possono attendere. Preferiamo dare spazio a un’esperienza personale. Ci capita spesso di
dover spiegare ai giovani l’importanza del telefilm americano. Ogni volta
lo facciamo partendo dal modello di
rappresentazione dei casi eccellenti
(da Lost ai Soprano, da Mad Men a Dr.
House, da In Treatment a The Wire)
per poi gettare uno sguardo non solo
sulla tv, ma anche sul cinema e sulla
letteratura. E ogni volta si fa strada la
soddisfazione per il grado di coinvolgimento della platea.
Due settimane fa siamo stati ospiti, insieme al produttore Adriano
Schrade, della Scuola Cantonale di
Commercio di Bellinzona per il secondo dei tre incontri del ciclo Parole
del nostro tempo, ideato da Tommaso
Soldini, docente di italiano e scrittore,
e attuato da Nicola Pinchetti, docente
di storia e membro del consiglio di direzione dell’istituto. Nell’aula multiuso, davanti a un folto gruppo di studenti, di età compresa fra i 15 e 20 anni, si è cercato di dare una risposta a
queste domande: a cosa si deve il
grande successo delle serie tv? Alla
elevata qualità delle sceneggiature e
alla profonda caratterizzazione dei
personaggi? Al sospetto che le opere
cinematografiche non siano più capaci di raccontare il presente, forse perché costrette a sintetizzarlo? Alla paura che l’evasione finisca?
Con il contributo della professoressa Manuela Moretti, moderatrice
dell’incontro, si è parlato di serialità
americana come dello specchio del
tempo, di macchine narrative raffinatissime, capaci di catturare l’immaginario collettivo, di vertici qualitativi
impossibili da eguagliare, fatta eccezione per la fiction inglese. Com’era
prevedibile, l’impressione suscitata
dalle ragazze e dai ragazzi presenti in
aula è stata quella di grande entusiasmo. Una cosa però ci ha molto colpiti. Spesso si dice che i giovani non sono più disposti all’appuntamento seriale nella sua versione generalista: loro vedono la tv via web e le serie preferite se le scaricano prima. La maggior
parte di questi giovani, invece, continua a guardare i telefilm sullo schermo casalingo, rispettando i normali
tempi di programmazione. Come
hanno fatto notare Jessica e Caroline,
abbandonarsi al piacere della visione a
puntate significa salvaguardare il brivido dell’attesa. Chi glielo ricorda ai
programmatori distratti, ai grandi affossatori di palinsesto?
Dietro la professionalità di un architetto deve dunque esserci altro?
Dietro l’opera di un architetto di valore
c’è sempre una sensibilità intellettuale e
morale che traspare nell’estetica delle
forme, dando loro il senso di un’interpretazione del tema dell’abitare, e dunque della società, della città, della vita.
Un architetto degno di questo nome
deve saper prendere posizione sulle questioni civili e morali che concernono la
collettività. L’architettura, diceva Adolf
Loos (innovatore e grande pioniere
dell’architettura, nato in Austria nel
1870) a differenza dell’arte, deve piacere
a tutti.
In che senso?
Ogni opera di architettura deve necessariamente misurarsi con il pubblico,
parlare pubblicamente con il mondo, e
per questo motivo è bene che sappia
cosa dice, perché lo dice e a chi lo dice.
La locandina del ciclo di incontri
«Parole del nostro tempo».
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
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Cultura e Spettacoli
Da Napoli
a Buenos Aires
I re e le regine
di Piazza Grande
Teatro Sulle scene ticinesi il repertorio partenopeo di Raffaele
nel programma dell’undicesima edizione
Giorgio Thoeni
Mancano ancora quattro mesi alla rassegna più calda dell’estate rock ticinese,
ma la presentazione del programma di
Moon and Stars è di per sé un evento
mediatico di richiamo. In occasione della tradizionale conferenza stampa primaverile, su Locarno e sulla sua piazza si
accendono i riflettori e l’interesse degli
appassionati, i quali aspettano con impazienza di conoscere le «nomination»
per il 2014. E l’attesa anche quest’anno
sembra ben riposta, grazie a un ventaglio di proposte musicali ampie e calibrate, che comprende una serie di new
entry di grande prestigio e alcuni «ritorni» sicuramente molto attesi.
E pure se il cartellone di Moon and
Stars 2014 sembra in qualche modo meno «metallico» rispetto al passato, la vena graffiante e hard rock sarà ben rappresentata dalla prima apparizione locarnese di uno dei grandi della scena tedesca, l’inossidabile Udo Lindenberg, e
da due rapper «da combattimento» come Bligg e Sido.
Oltre a loro, sulla Piazza Grande la
parte più rilevante del programma Moon and Stars 2014 sembra riservata però
alle interpreti femminili, a cominciare
da una beniamina del pubblico come
Laura Pausini. Ad affiancarla nel cartellone una star femminile di enorme richiamo e di sicuro successo: la grande
Dolly Parton, una delle cantanti storiche
Viviani e quello del commediografo argentino Rodrigo Garcia
Dopo Locarno, lo spettacolo Viviani
Varietà è approdato con grande successo per due serate anche a Chiasso. A dimostrazione del fatto che in Ticino gli
spettacoli possono girare, come è stato il
caso per Le voci di dentro con i fratelli
Servillo. Nati per il Maggio Fiorentino
del 2012, i due tempi orchestrati conservano intatta la loro freschezza; e sommando un autore come Raffaele Viviani
alla bravura di Massimo Ranieri più la
regia di Maurizio Scaparro, c’è di che
pascersi. La platea chiassese, con un’immersione totale nella napoletanità verace, si è aperta al mondo di Viviani, quello visto dal basso, degli scugnizzi che Ranieri conosce molto bene ma anche di
quella guapparia bozzettistica che ispirerà Scarpetta e Eduardo.
Rifacendo il «Café Variété» d’inizio
Novecento dal profumo d’avanguardia,
lo spettacolo ricrea il viaggio che la compagnia di Viviani aveva fatto nel 1929
sul piroscafo «Duilio» da Napoli a Buenos Aires per una lunga tournée in Sudamerica. In prove che si svolgono sul
ponte della nave, gli attori si preparano a
festeggiare il passaggio dell’equatore.
Riaffiorano macchiette, poesie struggenti, canzoni originali danzate, belle
voci e scenette che ci riportano alla genuina comicità del teatro partenopeo.
Ranieri è bravissimo: recita, canta, balla
come quarant’anni fa. Con lui e l’orchestra ci sono Ernesto Lama, Roberto Bani, Angela De Matteo, Mario Zinno, Ivano Schiavi, Gaia Bassi, Antonio Speranza e Martina Giordano.
Le carneficine di Garcia per il MAT
Regista, drammaturgo, scenografo, videomaker e performer ispanoargentino,
Rodrigo Garcia è nato a Buenos Aires e
vive in Spagna dove ha sviluppato gran
parte della sua carriera. Fondatore della
compagnia «La Carniceria Teatro», ha
collaborato con festival e istituzioni di
prestigio e nel 2009 ha ricevuto il Premio Europa per le Nuove Realtà Teatra-
Massimo Ranieri protagonista di Viviani Varietà. (Filippo Manzini)
li. La teatralità di Garcia è stata al centro
di un progetto laboratoriale che il Movimento Artistico Ticinese (MAT) di
Mirko D’Urso grazie al quale l’attore,
regista e drammaturgo Gabriele Di Luca (Premio Nazionale della Critica 2012
e Premio SIAE come miglior autore teatrale 2013) ha permesso a nove ex-allievi del MAT di confrontarsi recentemente al Teatro Foce con un allestimento di taglio professionale, dal titolo
«GIUDA. Come nemico uno a caso».
Un’impresa certamente esaltante
per attori a contatto con un’esperienza
seria su cui costruire le prima certezze o
illusioni teatrali. Accanto a un esercizio
tutt’altro che ovvio per un regista di
quella fattura, ma altrettanto motivante. È proprio la contemporaneità della
parola di Garcia a offrire idee e sostanza per una messa in scena interessante
che evidenzia in particolar modo l’impegno e l’energia che regia e attori hanno dovuto investire su un palco sostanzialmente povero ma colmo di un linguaggio teatrale sorprendente, dove i
corpi in movimento disegnano nuovi
rituali del quotidiano con parole dure e
graffianti, dialoghi spiazzanti, situazioni paradossali. Fra duetti «diseducativi», coralità e monologhi in cui s’intreccia una sorta di «catena alimentare», un’orgia di segni ritmati da due improbabili clown «pulp» tolti da La storia di Ronald, il pagliaccio di McDonald’s di Garcia e riletti come icone uscite
da un thriller di Stephen King. D’altronde anche altri titoli di alcuni spettacoli di Garcia sono espliciti: Siete tutti
dei figli di puttana, Ho comprato una
pala da Ikea per scavarmi la tomba, Alzate la testa da terra, coglioni!, Agamennone/sono tornato dal supermercato e
ho preso a legnate mio figlio… Un teatro che è stato definito eccessivo, da
elettrochoc emotivo con scene e situazioni che aggrediscono il pubblico per
scuoterlo. Perché gli spettatori per Garcia «sono parte di una società malata
che bisogna aiutare». Una vocazione
decisamente originale, come la prova
dei «ragazzi» del MAT: Luana Bello,
Antonella Branchi, Rosanna Brianza,
Federica De Vecchi, Tatiana Gilardi,
Stefano Marchetto, Korah Rezzonico,
Sarah Scarmignan e Stefano Vinacci.
Moon and Stars Le sorprese e le conferme
Il programma
Giovedì 10.7: Laura Pausini
Venerdì 11.7: Udo Lindenberg
Sabato 12.7: Bligg / Sido
Lunedì 14.7: Dolly Parton
Martedì 15.7: Jack Johnson
(Special Guest: Kodaline)
Mercoledì 16.7.: James Blunt
(Special Guest: ZAZ)
Giovedì 17.7: Negramaro/Jessie J
Sabato 19.7: Sunrise Avenue
(Special Guest: Family Of The Year)
Dolly Parton è in giro per il mondo
con il suo Blue Smoke World Tour.
del country americano. Tutte da ascoltare anche l’ottima Jesse J (che il pubblico
conosce forse più come autrice di brani
per artiste come Alicia Keys, Justin Timberlake o Miley Cyrus) e la brava e raffinata cantante francese Zaz.
Nel campo degli interpreti maschili
sembra invece essere stata privilegiata
una vena cantautorale moderna, rappresentata dai conosciuti e apprezzati
James Blunt e Jack Johnson. Tra i cantautori della modernità possiamo sicuramente annoverare anche i membri di
una delle band più importanti sulla scena italiana attuale, i Negramaro. Si tratta
di uno dei gruppi più amati dal pubblico
italofono. I pugliesi si troveranno in ottima compagnia a fianco delle due altre
giovani band presenti a Locarno: gli irlandesi Kodaline e i finlandesi Sunrise
Avenue.
In attesa della grande festa, i biglietti
per la dieci giorni musicale locarnese saranno disponibili da domani, 18 marzo,
su www.ticketcorner.ch.
Moon and Stars, Locarno,
dal 10 al 19 luglio 2014
Quando l’amore è ispirato da un computer
Filmselezione Il melodramma di Spike Jonze, Oscar per la Migliore Sceneggiatura
Fabio Fumagalli
***(*) Lei (Her), di Spike Jonze, con Joaquin Phoenix, Scarlett Johansson, Amy
Adams, Rooney Mara (Stati Uniti 2013)
Uno dei meriti dell’imprevedibile genialità di Spike Jonze (dopo Essere John
Malkovich, nel 1999, molti straordinari
videoclip) è di confrontarci con le conseguenze della pigrizia di chi rifiuta i
film in versione originale e integrale in
nome di un presunto fastidio di leggersi
i sottotitoli. Giusto castigo: essi vengono ora privati non solo del corpo (il che
capita anche al protagonista di Lei) ma
pure di quella che è in definitiva la vera
protagonista del film, la voce di una
Scarlett Johansson che rimane sempre
invisibile. Certo, rimarrà loro pur sempre il protagonista maschile, un Joaquin
Phoenix dalle magnifiche qualità introspettive, in sfida continua con una cinepresa che non gli dà tregua, che lo scruta
epidermicamente in ogni sua mutazione espressiva. E questo proprio in un
film il cui tema principale è la ricerca di
un amore che ci ripaghi della rimozione
dei corpi in parallelo all’evoluzione
sfrenata delle tecnologie.
In un futuro assai prossimo e per
nulla fantascientifico che il regista sug-
gerisce in un contenitore dal futurismo
incantato, Theodore il proprio corpo lo
utilizza ancora, oltre al computer al
quale rimane incollato: in particolare le
proprie mani, con le quali calligrafa lettere poetiche a pagamento, per conto di
cyber navigatori che per quel genere di
sfizio non hanno ormai più tempo. In
fase oltretutto di accorato divorzio, eccolo scoprire un programma inedito,
un sistema operativo che gli permette di
dialogare con l’intelligenza artificiale di
Joaquin Phoenix
in una scena
di Her.
Samantha. Non è che una voce (proprio
quella provvista della sensualità inimitabile di Scarlett Johansson), ma in continuo apprendimento, in evoluzione
cognitiva, con un’emotività e un’intimità amorosa in costante progressione...
Come possa andare a finire, come
una crescente passione virtuale possa
concludersi in estasi carnale non è la ragione d’essere di un film trasognato, costantemente in bilico fra solitudine, ironia e disincanto; non contate dunque su
di me perché ve lo racconti, anche se la
sequenza che tenta di risolvere l’equazione impossibile risulterà fra le più
struggenti di Her.
È l’ennesima dimostrazione di come il cinema non sia fatto di storie ma
di «modi» di raccontarle. Il film non è
però contraddistinto da un’assurdità
crescente, bensì dall’involucro all’interno del quale l’assurdità galleggia, finendo per dare un senso al tutto. Se
quella di Samantha è soltanto un’entità
virtuale, altrettanto lo sono i personaggi che popolano l’universo attorno al
protagonista, incollati ai loro telefonini e aggeggi tecnologici, immersi in un
acquario che sempre più perde il contatto con la realtà, con la materia di cui
sono fatti i libri e le lettere d’amore che
Theodore ancora compila manualmente.
Una bolla tragicomica e sognante
che Spike Jonze ha costruito filmandola
soltanto in ambienti naturali e privi
d’identità. I personaggi sono vestiti come negli Anni Trenta, ma sullo sfondo
di una Los Angeles e una Shanghai in
bilico fra presente e passato. Sono state
evitate le tinte fredde e aggressive, i blu e
i verdi cari alla fantascienza, per privilegiare il calore e la convivialità dei rossi,
dei gialli, delle trasparenze pastello.
Amabile o perversa a seconda dei punti
di vista, l’evoluzione di Samantha e l’acquisizione di una coscienza che la condurrà ai piedi di un muro invalicabile,
diviene quella della società che l’ha prodotta.
**** 12 anni schiavo
Steve McQueen
*** Il capitale umano
Paolo Virzì
*** Inside Lewyn Davis – A proposito
Davis, Ethan e Joel Coen
*** All is lost – Tutto è perduto
J.C. Chandor
*** American Hustle – L’apparenza
inganna
David O. Russell
*** Philomena
Stephen Frears
*** Nebraska
Alexander Payne
*** Like Father, like Son
Hirokazu Kore-eda
*** Questione di tempo (About Time)
**(*) Dallas Buyers Club
Jean-Marc Vallée
**(*) Still Life
Uberto Pasolini
** The Wolf of Wall Street
Martin Scorsese
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
39
Cultura e Spettacoli
Lizzani l’americano
In memoria Ricordando un grande regista del Novecento italiano,
che rese Milano protagonista di molti film
Si può dire bene
del caos?
Meridiani e paralleli Il grande amore
cantato in un’antologia di poesia gay
Nicola Falcinella
Giovanni Orelli
Era considerato «il più americano dei
registi italiani». Carlo Lizzani, scomparso lo scorso 5 ottobre a 91 anni, ha
attraversato l’epoca del grande cinema
italiano accanto ai grandi come Fellini,
Visconti, De Sica, Rossellini, Monicelli,
Risi, Pasolini e gli altri, suoi coetanei o
poco maggiori.
Trentadue film per il cinema, diversi a episodi, dieci per la televisione,
decine di cortometraggi e documentari
costituiscono la carriera registica che è
solo una parte della sua attività. Militante nel PCI fin da giovanissimo, critico cinematografico agli inizi, studioso
autore di più storie del cinema italiano,
docente al Centro sperimentale di cinematografia, è stato anche direttore della
Mostra di Venezia dal ’79 all’82 rinnovandola e dandole nuovo slancio. Tutte
esperienze ripercorse nell’autobiografia
Il mio lungo viaggio nel secolo breve
(2007), dal quale emerge un profilo di
intellettuale di grande spessore.
Si può parlar bene del caos? Sì. Per un
solo esempio recente: Massimiliano
Fuksas, noto architetto, fin dai titoli per
una sua intervista molto viva in «la Repubblica» del 2 febbraio, domenica, p.
48 e 49, lo sottolinea: «Dall’architettura
ho imparato che l’ordine conta quanto
il caos».
La parola «caos» ha generalmente
un significato negativo, che spaventa,
soprattutto quando si riferisce a situazioni politiche di disordine (Kiev, Siria
e, purtroppo, si deve aggiungere: eccetera). Io «vivo» un caos (ma è un caos
insignificante, privato) con i libri della
mia disordinata biblioteca. Tu (io!!!) tu
cerchi un libro che ti occorre per una
necessità momentanea, anche banale,
ma non lo trovi. E trovi invece un libro
che non sapevi assolutamente più di
avere. È il caso che mi è capitato in questi giorni. Il libro che mi è saltato fuori
casualmente è un libro «di attualità».
Devo aggiungere che abito in via Campo Marzio a Lugano, a pochi metri dal
Centro Esposizioni, che nei giorni scorsi ha ospitato una (naturalmente) frequentatissima mostra in tema di erotismo (so di essere impreciso, ma devo
aggiungere che la mostra non l’ho vista:
è che, con l’età che ho, non ho più l’età
per correre a certe mostre).
Ma veniamo al libro che mi è saltato
fuori inaspettatamente. Ha per titolo Il
senso del desiderio. Sottotitolo Poesia gay
dell’età moderna, a c. di Nicola Gardini,
Crocetti Editore, Milano, 2001. Del titolo citato, la parola fondamentale è desiderio. Proust ha spiegazione non dimenticabile (la cito a memoria, purtroppo
non saprei dire in che parte della Recherche…): Et dans le désir, qui seul (!) nous
fait trouver de l’intérêt dans la vie d’une
personne… Il libro ritrovato è una rassegna di scrittori moderni e non moderni
qui inscritti nel club dei gay. Qui da noi
se ne può parlare, ci si può dichiarare
gay. I nomi di gay fatti in quel libro, nomi di scrittori, sono tanti. Penso agli italiani, a cominciare da Saba, ammirevole
poeta, penso a Esenin, Kavafis, Pasolini,
Verlaine… E mi fermo con l’elenco. Preferisco invece trascrivere una delle poesie di uno di loro, scritta per la morte del
suo desiderio-amore. Ma prima vorrei
aggiungere una precisazione del curatore Nicola Gardini, che dice: «…ho deciso
di usare “gay” e non “omosessuale” perché l’aggettivo “omosessuale”, introdotto all’inizio del ventesimo secolo per
qualificare una devianza, esprimerebbe
un che di denigratorio assolutamente
estraneo allo spirito di questa impresa».
Eccomi alla poesia. È una di «loro».
Leggo molte poesie, per scelta mia, per
imparare, per il piacere della poesia. A
mio discutibilissimo parere, non è facile
trovare poesia così bella per la morte di
un giovane amato, desiderato, dal poeta,
che in questo caso è Wystan Hugh Auden, 1907-1973. La sua poesia che trascrivo è tolta da Songs and other Musical
Pieces: la trascrivo nella versione italiana
Molti i generi
in cui si è cimentato
il regista Carlo Lizzani,
i risultati però sono
stati altalenanti
Capace di cimentarsi in tanti generi diversi, dalla commedia al western, dall’erotico al poliziesco, Lizzani è stato
forse il regista che più ha amato Milano.
Nato e cresciuto a Roma, fu invitato dai
compagni di militanza Giuseppe De
Santis (futuro regista di Riso amaro) e
Gianni Puccini a salire nella Milano appena liberata del ’45 per partecipare alla
ricostruzione. Restò fino al ’46 lavorando alla rivista «Film d’oggi» e sceneggiando Il sole sorge ancora di Aldo Vergano, prodotto dall’Associazione nazionale partigiani per raccontare in maniera approfondita e scrupolosa quanto
accaduto nel nord Italia dopo l’8 settembre ’43. Tornerà in città per girare
sette film più il documentario Milano
Ha attraversato l’intera epoca del grande cinema italiano. (Marka)
crocevia d’Europa (1993), mentre il film
tv Le cinque giornate di Milano (2004) è
stato quasi interamente filmato a Torino. A questi si aggiunge Hotel Meina
(2007, la sua ultima pellicola) girata sulle sponde del Lago Maggiore.
Dal 1956 de Lo svitato al 1976 di
San Babila ore 20: un delitto inutile, Lizzani seppe cogliere le trasformazioni del
capoluogo lombardo e lo sviluppo urbanistico del periodo del boom economico. Ne raccontò la violenza negli anni
’70, ma anche gli aspetti poetici e surreali. Mostrò in anticipo certe dinamiche dell’industria, delle imprese e delle
pubbliche relazioni in un film quasi dimenticato come La Celestina P… R…
del ’64. Assia Noris interpreta una cinica rampante dedita alle pr che utilizza
ogni mezzo per farsi largo in una Milano zeppa di cantieri. Piero Mazzarella,
grande attore di teatro che si prestò soprattutto come caratterista in molti film
milanesi, è Morelli, imprenditore non
più giovane che all’improvviso riscopre
il sesso e si mostra come un viscido disposto a tutto. In fondo è un uomo solo,
non a caso è l’unico che fa una brutta fine, mentre la carriera di Celestina è
inarrestabile.
I suoi film milanesi più importanti
sono La vita agra (1964) e Banditi a Milano (1968). Il primo è tratto dal romanzo di Luciano Bianciardi e ne conserva
Top10
DVD & Blu Ray
Top10
Libri
1. Cattivissimo Me 2
1. Clara Sánchez
Animazione
Le cose che sai di me, Garzanti
almeno in parte lo spirito anarchico.
Ugo Tognazzi è nei panni di Luciano
Bianchi, licenziato da una grande miniera, che, per vendicare i minatori
morti, va a Milano e si mette in testa di
far saltare il da poco completato grattacielo Pirelli, sede della compagnia mineraria. La curiosità è che Enzo Jannacci fece il suo esordio sul grande schermo
cantando il brano L’ombrello di mio fratello in un club.
Fu un grande successo Banditi a
Milano, un intreccio di cronaca, interviste, documentario e fiction girato poco dopo i fatti reali. Un instant movie
sulla torinese banda Cavallero che mise
a segno 17 colpi, l’ultimo sanguinoso in
una banca di Largo Zandonai. Intercettati e inseguiti, i banditi sparano per la
città e si fanno inseguire a lungo e catturare otto giorni dopo in campagna. Il
capo Pietro Cavallero (Gian Maria Volonté) è un ex comunista sprezzante, sicuro di sé, determinato che ruba come
protesta contro il sistema.
Lo svitato è una commedia leggera
non priva di grazia e di poesia, nello spirito della screwball comedy americana o
del cinema alla Jacques Tati. Fu il primo
insuccesso economico di Lizzani, ma
segnò anche il primo ruolo da protagonista di Dario Fo come giovane giornalista pasticcione che corre da un capo all’altro della città.
Top10
CD
1. Artisti Vari
Sanremo 2014
2. Thor 2
C. Hemsworth, N. Portman
2. Jeff Kinney
Diario di una schiappa Guai in arrivo, Il Castoro
2. Artisti Vari
Bravo Hits Vol. 84
3. Planes
Animazione
3. Stephen King
Doctor Sleep, Sperling
3. Artisti Vari
Megahits 2014
4. Rush
C. Hemsworth, D. Brühl
4. J. P. Sloan
English da zero, Mondadori
4. Artisti Vari
The Dome Vol. 68
5. Questione di tempo
R. McAdams, D. Gleeson
5. Michael Connelly
Il quinto testimone, Piemme
5. Zucchero
che un lettore troverà con l’originale in
una delle edizioni italiane per Auden.
Qui seguo la scelta di Carlo Izzo per
Guanda, Parma, 1961, pagine 64-67. È
una poesia intensa, anche nella traduzione, per la morte di una persona cara (e
cara, mi ripeto, vuol dire «mi manchi»,
dal latino carere, si pensi a carenza, oppure carne della mia carne, dal latino caro-carnis, carne):
Fermate tutti gli orologi, tagliate il telefono, / Date al cane che abbaia un osso midolloso, / Fate tacere i pianoforti, e con
tamburi abbrunati / Portate fuori la bara,
vengano gli accompagnatori.
Volteggino in alto gli aeroplani gemendo, / Tracciando nel cielo il messaggio
«Egli è morto». / Mettete nastri di crespo
al collo bianco dei colombi cittadini, / E i
vigili dei crocevia portino guanti di cotone nero.
Egli era il mio nord, il mio sud, il mio est
e il mio ovest, / La mia settimana di lavoro e il mio riposo della domenica, / Il mio
meriggio, la mia mezzanotte, la mia parola, il mio canto; / Credevo che l’amore
fosse per durare in eterno: avevo torto.
Le stelle sono inutili, ora; spegnetele
tutte: / Imballate la luna e smantellate il
sole; / Vuotate l’oceano e spazzate via i
boschi: / Poiché nulla ora potrà dare alcun frutto.
Ha diritto un gay a questo immenso lutto? Certo che ne ha diritto. Al pari di un
non gay per la morte della sua ragazza.
Accanto al nome di Auden vorrei indicare quello di Wilfred Owen (18931918), tra i più sfortunati dei poeti, perché, se non ricordo male, andò come
tanti altri inglesi in guerra, la Prima
guerra mondiale, 14-18. E lì egli rimase
ucciso, a 24-25 anni, da una pallottola
nemica sparata pochissimo dopo che la
guerra era ufficialmente finita. Nella sua
poesia (pagina 97 de Il senso del desiderio
citato qui sopra) Owen parla con toni
dolorosi della sua «altra» sconfitta, quella con Eros (To Eros è il titolo) con un ragazzo che, come un poco più in là la vita,
lo respinge.
Poiché ti amavo, Amore, ti ho adorato. /
E bene adorando, ho sacrificato. / Le cose di valore ho preso, bruciato, ucciso: /
quiete di antiche vite; fragili fiori; amici
forti; e Cristo.
Ho ucciso gli amori più falsi; ho ucciso
quelli veri, / per amare soltanto la tua verità, Ragazzo. / Di dosso mi son tolto
onesta fama / Come sposo i panni nuziali con foga.
Ma quando sono caduto ai tuoi piedi, /
hai riso; scansando le mie labbra, ti sei alzato. / Ho sentito ritrarsi le tue ali con un
canto; / volato lontano, ti ho visto sopra
olimpie nevi, / oltre ogni mia speranza.
Sconvolto sono tornato / a guardare le
ceneri di quello che ho bruciato.
Una rosa blanca
6. Corpi da reato
S. Bullock, M. McCarthy
6. Fabio Volo
La strada verso casa, Mondadori
6. George Michael
Symphonica /novità
7. Gravity
S. Bullock, G. Clooney
7. Michele Serra
Gli sdraiati, Feltrinelli
7. Pegasus
Love & Gunfire /novità
8. Welcome to the jungle
J-C. Van Damme, A. Brody
9. Captain Phillips
T. Hanks, M. Martini
8. Luis Sepulveda
Storia di una lumaca che scoprì
l’importanza di essere lenta
Guanda
8. Eugenio Finardi
Fibrillante
9. Antony/Battiato
Dal suo veloce volo
10. Gli stagisti
V. Vaughn, O. Wilson
9. Khaled Hosseini
E l’eco rispose, Piemme
10. Ligabue
Mondovisione
10. Isabel Allende
Il gioco di Ripper, Feltrinelli
Il poeta inglese Wilfred Owen (prima fila, terzo da sin.) durante la Prima guerra
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
41
Cultura e Spettacoli
Piccola nazione grande musica
Rassegne All’Hotel de la Paix di Lugano dal 26 al 30 marzo cinque giorni
per conoscere le nuove idee musicali dalla capitale estone Tallinn
Zeno Gabaglio
Un Paese poco conosciuto di cui però
tanti parlano, guardando su verso le terre baltiche in cerca di un nuovo possibile
modello di Stato dinamico. Una nazione
che non dimentica il passato ma che è
speditamente proiettata verso il futuro.
Questa è l’Estonia: il Paese con appena
un milione e mezzo di abitanti che ha saputo inventare Skype; l’unico dominio
sovietico del nord Europa a non essere
di cultura slava, ma anzi da sempre ancorato ai modi e alle idee scandinave. La
terra in cui tutti cantano, e dove proprio
la musica praticata da tutti è valsa per
decenni come privilegiato veicolo identitario del popolo e della nazione.
Sono questi vari e articolati elementi che portano l’Estonia – e la sua capitale Tallinn – alla ribalta dell’attualità culturale della Svizzera italiana, attraverso
il canale della musica dal vivo: in cinque
giorni, tra i prossimi 26 e 30 marzo, si
terranno infatti altrettanti appuntamenti musicali – presso l’Hotel De La Paix di
Lugano e sotto l’egida di LuganoInScena – volti ad introdurre, raccontare e
spiegare la cultura estone.
Detto però dell’oggettività d’interesse della manifestazione TLL>LUG, è bene anche sottolinearne il contenuto soggettivo, perché nulla sarebbe successo
senza il diretto impegno organizzativo
del musicista ticinese Brian Quinn. «Nel
2007 con il trio Q3 ho partecipato al pri-
mo concorso internazionale per gruppi
jazz di Bucarest. Lì abbiamo conosciuto
il sestetto estone Ajavares. È nata
un’amicizia e un reciproco interesse nella produzione musicale e abbiamo invitato più volte Ajavares per concerti in Ticino, mentre i musicisti del collettivo Q3
hanno cominciato a esibirsi in Estonia.
Nel 2012 abbiamo inoltre ospitato il trio
di Kadri Voorand, il cui contrabbassista
Taavo Remmel è poi entrato a far parte
dell’attuale trio del pianista locarnese
Gabriele Pezzoli». Una fitta rete di scambi, quindi, che a partire da un incontro
iniziale quasi fortuito è germogliata in
modo spontaneo. «La coesione della comunità di giovani musicisti di Tallinn è
tale che in poco tempo siamo entrati in
contatto con un gran numero di artisti, il
cui discorso musicale ci ha talmente affascinati da sollecitarci a condividerlo con
il nostro pubblico di casa».
Brian Quinn ha quindi già toccato
con mano la realtà sociale e culturale
dell’Estonia, e può confermare o smentire la sua realtà di invidiabile eccezione
rispetto al sedimentato panorama europeo. «Ho avuto la fortuna di vivere Tallinn in tutte le stagioni, dal 2011, conoscendo anche diverse altre località minori. Di aspetto, Tallinn è la tipica città
anseatica, con un centro medievale adagiato su di un colle al margine di un’ampia baia sul Mare Baltico. Culturalmente
e socialmente ho trovato un ambiente al
passo con i tempi e a tratti addirittura in
Agenda
dal 17
al 23
marzo
2014
Eventi sostenuti dalla
Cooperativa Migros Ticino
H. Tubman & Wadada Leo Smith
Tra jazz e nuove musiche
Giovedì 20, ore 21.00
Studio2 RSI, Lugano
Linda Jozefowski Trio
Jazz a Primavera
Sabato 22, ore 20.30
Casa Cav. Pellanda, Biasca
Hamburg Ballet
Chiassodanza
Sabato 22, ore 20.30
Cinema Teatro, Chiasso
La vocalist
estone Kadri
Voorand.
vantaggio: persone dalla curiosità sincera e vorace che creano un clima dinamico e stimolante. Prova concreta del fatto
che il mondo non si muove soltanto a
Tokyo o a New York». Una curiosità,
quella estone, che ha forse delle concrete
conseguenze anche in ambito musicale?
«La giovane scena musicale estone è una
pentola a pressione che fischia sottovoce. La produzione artistica è enorme
(anche perché istituzionalmente molto
incoraggiata), assai variegata e di altissima qualità. Per indole, gli estoni ci tra-
smettono tutto ciò con grande modestia, con “understatement” ben più sincero rispetto a quello British. E presso
tutti questi giovani artisti, cresciuti già in
epoca post-sovietica, si riscontra una
forte coscienza nazionale, che non è slogan bensì rispetto di tutto ciò che è autenticamente e tradizionalmente estone.
Il canto popolare, soprattutto, che è
molto diffuso tra la gente, e che permea
di sé ogni espressione musicale, anche la
più moderna e anche quelle esclusivamente strumentali».
Percussus
900presente
Domenica 23, ore 17.30
Auditorio RSI, Lugano
La bambina dei fiammiferi
Primi Applausi
Domenica 23, ore 16.00
Teatro Sociale, Bellinzona
Per saperne di più su programmi, attività
e concorsi del Percento Culturale Migros
consultate anche
percento-culturale.ch e
Facebook
Suoni dall’altro continente
Tra Jazz e nuove musiche La seconda parte della rassegna dedicata da Rete Due RSI
a jazz e dintorni propone una nutrita schiera di gruppi americani e due formazioni
appartenenti alla scuderia ECM
Concorsi
È una delle edizioni più marcatamente
statunitensi degli ultimi anni: «Tra jazz
e nuove musiche» vede sette gruppi
americani protagonisti negli otto concerti che caratterizzano la primavera live 2014 di Rete Due. Per chi ama il jazz
l’occasione è molto ghiotta. Anche se
nel corso dei decenni è evidente come
questa musica si sia ormai affrancata da
ogni sudditanza verso il nuovo continente, è pur vero che quella scena artistica rimane incredibilmente fertile e
sempre stimolante.
Dopo lo splendido concerto offerto
da Archie Shepp al festival di Chiasso
091/821 7162
Orario per le telefonate: dalle 10.30
fino a esaurimento dei biglietti
nelle scorse settimane, un’altra opportunità storica nel cartellone predisposto
da Paolo Keller è quella di ascoltare il 20
marzo, nello Studio 2 RSI a Lugano, un
capofila tra i grandi «vecchi combattenti» afroamericani, il trombettista Wadada Leo Smith, che si unirà al trio Harriet
Hubman.
Altri appuntamenti molto vivaci e
sicuramente godibili, quello con il
trombonista Fred Wesley e la sua nuova
funk-band, The New Jbs (il 27 marzo allo Studio Foce) e quello con il trio Medeski, Martin e Wood (il 7 aprile, Auditorio RSI). I primi offriranno un’enne-
sima rielaborazione del repertorio di James Brown, di cui Wesley era trombonista e arrangiatore, mentre i secondi
per una volta non saranno accompagnati da John Scofield ma dall’eccezionale chitarrista Nels Cline.
Serata inequivocabilmente newyorkese sarà quella con Ches Smith
and these Arches (Jazz in Bess, 28 aprile): nel gruppo dell’ombroso batterista
da un lato due grandi sassofonisti come
Tim Berne e Tony Malaby, dall’altro
due eccellenti strumentiste, la chitarrista Mary Halvorson e la fisarmonicista
Andrea Parkins.
Morbido velluto swing lo offrirà
poi il duo dell’americana Sandy Patton
e del contrabbassista svizzero Thomas
Dürst, il 30 aprile prossimo al Jazz Cat
Club di Ascona.
Infine, ecco tornare le prestigiose
ECM Sessions: alle due serate dedicate
al sound della gloriosa casa discografica
di Manfred Eicher, parteciperà il quartetto del contrabbassista Michael Formanek (8 maggio, Studio Foce), mentre
si esibirà in solo la cantante-violinista
Iva Bittovà al Teatro San Materno di
Ascona il 15 maggio. Info su:
www.rsi.ch/jazz. /AZ
Swiss Chamber Soloist
Concerto
Conservatorio, Lugano
Lunedì 24 marzo, ore 19.00
Com.x
Rassegna della comicità
Teatro Sociale, Bellinzona
Gio-ve-sa 27-28-29 marzo, 20.45
Tra jazz e nuove musiche
Rassegna di Rete Due
Studio Foce, Lugano
Giovedì 27 marzo, ore 21.00
Minispettacoli
Rassegna teatrale per l’infanzia
Oratorio S. Giovanni, Minusio
Domenica 30 marzo, ore 15/17.00
RiflessoHolliger
Quelli del Cabaret
Fred Wesley & the New JBs
L’amica del vento
Musiche di J.C. Bach, X. Dayer, W.F.
Bach, H. Holliger, W.A. Mozart.
I musicisti: Heinz Holliger, oboe; Felix
Renggli, flauto; Daria Zappa, violino;
Jürg Dähler, viola; Daniel Haefliger,
violoncello; Matthias Würsch, percussione.
Di e con Cochi e Renato.
Finalmente in Ticino lo spettacolo che
celebra i 50 anni di cabaret di una delle
coppie più amate dello spettacolo, Cochi e Renato.
Un omaggio alla musica di James
Brown da parte dei uno dei membri più
famosi del suo gruppo. Con F. Wesley,
tb; G. Winters, tr.; P. Whack, sax; R.
Ward, g; P. Madsen, kb; D. Dolphin, b;
B. Cox, dr.
Compagnia Teatro dei Fauni, Ticino.
L'amicizia di una ragazza con il vento:
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manifestazioni sopra menzionate.
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partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di
vincite in occasione di analoghe promozioni
nel corso degli scorsi mesi.
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Wadada Leo Smith. (D. Villa)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
43
Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta
Benedetti Michelangeli, il giorno dopo
Sempre a proposito dei sessanta anni
dall’inizio delle trasmissioni televisive
in Italia (3 gennaio 1954) celebrati per
tutto l’anno in corso. Questa volta voglio rievocare il mio primo giorno di lavoro nella televisione italiana. Era il
mese di aprile del 1962 ed io ero stato
assunto, grazie al diploma di perito fotografo, per svolgere le mansioni di cameraman. Durante l’esame orale, alla
domanda su quali fossero i miei interessi culturali, volendo fare la ruota del
pavone, avevo esibito una lunga frequentazione ai concerti organizzati
dall’Unione Musicale di Torino. Vengo
assegnato allo studio destinato a registrare un evento che rimase unico nella
storia della televisione italiana, poiché
fu la prima e unica occasione in cui Arturo Benedetti Michelangeli accettò la
proposta di far riprendere un suo concerto dalle telecamere di uno studio.
Tutto il numeroso personale fu adeguatamente catechizzato: avrete il privilegio di riprendere il più grande pianista
vivente; il maestro è un artista sensibi-
lissimo che in più occasioni ha interrotto un concerto perché era infastidito
dai colpi di tosse degli spettatori; perciò
non fate rumore, non muovetevi e, se
proprio dovete, fatelo indossando le
pantofole che vi forniremo e in ogni
caso quando non sta suonando. Le riprese furono pianificate tenendo ferme
le tre telecamere, azionando solo lo
zoom degli obbiettivi e la torretta di una
camera. Così tante precauzioni e il tassativo divieto agli estranei di mettere
piede in studio durante le registrazioni,
avevano resa febbrile l’attesa del gran
giorno. Alle 14 di un lunedì il maestro
arriva, indossa un maglione nero girocollo, ha i baffetti, un’aria da spiritato, è
pallidissimo. Ennio Flaiano avrebbe
detto, grazie a quel pallore, che era il più
grande pianista morente. Dimenticavo:
ha il collo avvolto da una vistosa sciarpa
di lana bianca con i due capi che scendono fin quasi a toccare terra. Gli
uscieri, istruiti a dovere, aprono solleciti
le porte e il maestro avanza con passo
deciso fino al centro dello studio, si
guarda attorno, individua il suo interlocutore nel nostro direttore che accorre
sollecito a un suo cenno. I due confabulano. Il maestro imbocca l’uscita dello
studio e il direttore ci spiega che il pianista ha mal di gola e che in quelle condizioni non può certo dare il meglio di sé
alla platea televisiva. A domani.
Il giorno dopo, alla stessa ora, il maestro
indossa la medesima tenuta, ha lasciato
in albergo la sciarpa bianca e al suo
posto inalbera un vistoso paio di occhiali neri. Stessa cerimonia dell’arrivo
e stessa scena dell’accoglienza. I due,
maestro e direttore, confabulano. Il
maestro fa dietro front e imbocca
l’uscita dallo studio; non ha bisogno di
essere guidato, oramai conosce la
strada. Il direttore, affranto, ci spiega
che il più grande pianista di tutti i tempi
è afflitto da un fastidioso orzaiolo che lo
tormenta e gli impedisce di suonare al
meglio. A domani, a domani.
Terzo giorno di studio, mercoledì. Arturo Benedetti Michelangeli arriva e
questa volta non cerca con lo sguardo il
direttore ma va direttamente al pianoforte che, sorretto da una pedana, troneggia al centro dello studio. Il «suo»
pianoforte, che il «suo» accordatore ha
messo a punto in sei ore di accanito lavoro, saltando anche il pranzo. Entrambi lo seguivano in giro per il
mondo. A me è sempre sembrato uno
spreco esagerato finché non mi hanno
spiegato che Maurizio Pollini viaggia
con tre pianoforti al seguito. Torniamo
in studio: il maestro solleva il coperchio
della tastiera e inizia a saggiare lo strumento. Esegue delle scale facendo correre il dito indice della mano destra sui
tasti, prova la pedaliera, insiste con ostinazione sui tasti dell’estrema destra, che
generano le note più acute. Tutti i presenti trattengono il fiato. Il maestro
scuote ripetutamente la testa. È impensabile suonare con un pianoforte in
quelle condizioni, senza che sia stato accordato come si deve. Il sublime interprete di Debussy richiude il coperchio
sulla tastiera e se ne va. Domani, domani
sarà la volta buona. Uscendo passa da-
vanti a un manovale, seduto su un gradino, un piemontese doc. Costui lascia
che il maestro si allontani e poi, scuotendo la testa, pronuncia in dialetto la
sua sentenza: «Mi sa che quello non è
mica capace di suonare il piano». In altre
parole, cerca ogni giorno una scusa per
non svelare il suo bluff. Per la cronaca, il
giovedì il maestro non solo ha suonato
ma, terminate le riprese, ha continuato a
suonare senza smettere. A mezzanotte il
custode ha telefonato al direttore: «Questo va avanti, io devo chiudere, cosa faccio». Il direttore: «Lo lasci suonare
finché vuole. Lei resti lì, le pagheremo gli
straordinari». Di tutt’altra pasta era fatto
un altro grande della musica, il virtuoso
della chitarra Andrès Segovia, che registrò da noi molti concerti. Alloggiava in
un albergo nei pressi della Rai. Era così
puntuale che una volta, non vedendolo
arrivare, il direttore telefonò all’ingresso
per chiedere se avevano visto Segovia.
La risposta: «Qui non c’è nessun Segovia, c’è solo un vecchietto con la chitarra». Era lui, naturalmente.
in infradito dorate che faceva acquisti in
bella boutique. Forse era un modo per
comunicare al mondo che un autista
l’aveva lì depositata e lì l’avrebbe ripresa, impedendole di infangare il piedino dorato. Comunque era in
infradito, e comunque la pioggerellina
quasi-di marzo verso sera si è trasformata in grandinata e temporale, come
accade di solito tra giugno e settembre.
Nessuno si azzardi a chiedere, all’acquazzone monsonico, «Che dice la
pioggerellina / di marzo, che picchia argentina / sui tegoli vecchi / del tetto, sui
bruscoli secchi / dell’orto, sul fico e sul
moro / ornati di gèmmule d’oro? Perché invece di Passata è l’uggiosa invernata, / Passata, passata!» Vi sentirete
rispondere «Sarebbe passata, l’uggiosa
invernata, se fosse passata». Ora, il problema non è nostro, perché con il ridursi della mole del cambio stagione
ogni donna e uomo di casa sa che il peggio è evitato, lo tsunami di cartine profumate, di sacconi di plastica anche un
po’ lugubri, di andirivieni dall’esosa tintoria, tutti ricordi dei tempi andati, e
nemmeno tanto belli. Ma qui si profilano drammi non da poco. Cosa ordina
il signore? Una quattro stagioni. Spiacente, ormai abbiamo solo la due stagioni, no, non costa la metà, ha solo
metà del condimento. E si affretti,
prima che venga decretata la «stagione
unica», che le togliamo pure i funghetti.
Che fare poi con l’armadio quattro stagioni, pagato non poco e montato dal
maschio di casa? Due ante su quattro
saranno vuote. Si rendono necessarie
sessioni supplementari di shopping, col
rischio di far crollare definitivamente la
finanza domestica, senza nemmeno potersi prendere il merito di aver rianimato quella nazionale, dato che è
difficile non comprare made in China.
Non parliamo del caos che sorgerà a
breve nei programmi dei teatri, nella
programmazione delle scuole e università. Semestre invernale? Vacanze di
primavera? Nulla di tutto ciò avrà più
senso. Gli astronomi dovranno dare
altri nomi a solstizi ed equinozi, da sempre sospettati di essere un po’ rigidi nel
decretare la fine di una stagione e l’inizio di un’altra. L’unica sapienza che non
avrà problemi è quella popolare, che da
sempre è rispettosa del corso naturale
delle cose. Così il 2 febbraio, «Madonna
della Candelora, dall’inverno siamo
fora». «Ma», prosegue il sapiente detto,
«se piove o tira vento, nell’inverno
siamo dentro». Quindi siamo pronti a
tutto, stupiti da nulla. «Col tempo e con
la paglia maturano le nespole», per dire
che tutto ciò che cresce ha bisogno del
suo tempo. Ma non dice: in primavera,
o in autunno. Quando cogli le nespole,
mettile al coperto nella paglia e quando
saranno pronte saranno mature,
quando che sia. Qualche perplessità,
forse, sulla pratica di mettere le nespole
nel pagliaio, ma nessuna sul buon senso
nascosto nell’accettazione dei tempi
della natura, in barba a primavera autunno inverno estate, cose d’altri tempi.
moria, come la password del tuo computer, il pin del telefonino e quello del
conto corrente online, le cifre del bancomat e quelle della carta di credito, la
login di Twitter e quella di Facebook, il
codice per accendere l’ipad. Insomma,
chiami. Risponde una voce femminile
preregistrata: «Benvenuto nel servizio
Infoline della città, per chiedere certificati a un operatore automatico premere
1, per informazioni sulla viabilità premere 2, per car sharing premere 3...». La
voce va avanti con disinvoltura fino al
numero 25 e al numero 26, quando
ormai il tuo orecchio è caldo e rossiccio,
senti la parola «rifiuti». Ti rivolgi stravolto alla tastiera del tuo BlackBerry,
cerchi affannosamente il numerino giusto, ma sbagli, hai premuto il 3, senti una
musichetta e subito dopo una voce cordiale e un po’ metallica che dice: «benvenuti in car sharing, se hai bisogno di
informazioni car sharing premi 1, se hai
bisogno di prenotare o modificare scegli
2, se vuoi abbonarti a car sharing premi
3...». Premi e prenoti un’auto, tanto per
cogliere l’opportunità: decidi di andare
in ufficio in auto, niente mezzi pubblici.
Oggi è una giornata speciale. Andrai a
ritirare la vettura all’angolo, te l’ha detto
un’altra voce che ha individuato dove sei
e ti ha indicato la vettura più vicina. Sai
come fare, in totale autonomia, senza interferenze di esseri umani come succede
per un normale noleggio. Oggi, visto che
la giornata è cominciata con il cameriere-robot del Caffè Torino, hai deciso
di far tutto da solo. Non è difficile, in
fondo. Del resto, hai già deciso dall’anno
scorso di aggirare la presenza fisica del
commercialista affidandoti al fiscalista
telematico, che ti risparmia attese in studio e altre noie. I referti medici sul tasso
del tuo colesterolo ti arrivano da tempo
online. Mentre guidi verso il lavoro fischiettando felice, fissi la strada pensando lieto al futuro: pare che in qualche
angolo del mondo abbiano creato diligentissime baby sitter e badanti robotiche: non vedi l’ora di liberarti di Gabry e
di licenziare la rude ucraina che assiste
tuo padre. Hai saputo che arriveranno i
robot-vigilanti, che in Giappone esistono già dei robot-cuochi che ti preparano un pasto completo in un minuto e
40 e sei ansioso di vederli all’opera. In
fondo, lavori anche tu nell’informatica
iperspecialistica e sai che i progressi
della tecnologia sono illimitati. Il futuro
è nei tuoi polpastrelli. Lasci l’auto in un
parcheggio qualunque, stasera tornerai
a casa sulla nuova linea della metro che
dispone del guidatore automatico.
Prendi l’ascensore e sulla porta dell’ufficio hai l’ennesima sorpresa della giornata. Ti accoglie un simil-omuncolo alto
non più di 60 centimetri dal quale ti
senti scandire: «Caro G., mi spiace comunicarle che da oggi l’esercito delle
macchine intelligenti Warren sostituisce il personale della ditta di ricerca informatica PassWorld. La saluto
cordialmente ringraziandola della collaborazione». (Voto globale al mondo dei
robot: 1–).
Postille filosofiche di Maria Bettetini
Sono finite le stagioni
Si era già affrontato il temibile argomento. Esse non esistono più, sì, loro,
quelle che avevamo definito le ms, per
non essere accusati di parlare di argomenti triti e stereotipi. Ma la situazione
ora è ancora più preoccupante. Non esistono più le stagioni! Già, come faccio a
saperlo, domanderete. Nel modo più
ovvio, grazie a quella parte di me che,
con grande soddisfazione, fa la casalinga. Impossibile? Che cosa, la casalinga, la soddisfazione o la certezza della
scomparsa delle stagioni? Quanto ai
primi due assunti, dichiaro la felicità
compresa nel combattere i merli che mi
divorano gli sparuti bulbi e fiorellini del
balcone della cucina, nel ricevere complimenti per la torta alle pere e al cioccolato, nel risolvere da sola il dilemma
di un orlo che ha perso il filo della retta
via. Dite che le casalinghe fanno ben
altro? No, ma anche io lavo i piatti etc.,
con meno soddisfazione e comunque
con sempre eguale riposo della mente,
che osserva la schiuma e riesce a non
pensare a nulla, oppure canticchia un
ritornello dello Zecchino d’Oro. Un
nirvana a portata di lavello. Ma bando
alle ciance, veniamo alla scomparsa
delle stagioni. Signore e signori miei, lo
avete già fatto il cambio di stagione? Allora siete in ritardo (l’inverno è passato)
o in anticipo (si sentono ancora i primi,
ops, gli ultimi freddi). E dunque, signore e signori, provate a farlo, il cambio di stagione. Vi accorgerete che c’è
poco da cambiare: stivali col pelo, muffole, cappelli di lana, sciarponi a triplo
strato sono ancora lì, dove li avete posati a fine settembre. Non ha fatto abbastanza freddo. Invece avete fatto bene a
non mettere in naftalina gli abiti leggeri,
perché con un golfino o una giacchetta
ecco che sono risultati utili anche a Natale e per la festa della Donna. Si livellano gli estremi, si ruotano solo costumi
da bagno e giacche a vento, infradito e
doposci da città. Ma nemmeno questo è
vero, è stata individuata nei giorni
scorsi sotto pioggia tremenda fanciulla
Voti d’aria di Paolo Di Stefano
Il mondo invaso dai robot
C’è nell’aria qualcosa di strano, oggi.
Qualcosa che somiglia a un romanzo di
Guido Morselli che hai letto molti anni
fa. Si intitolava Dissipatio H.G. (dove
H.G. sta per «humani generis») e raccontava di un tizio che, dopo aver resistito alla tentazione di suicidarsi, si
ritrova unico vivente in una grande
città. «Dove sono andati. Perché sono
andati», ti chiedi, esattamente come
quel tizio del libro di Morselli. Esci di
casa e in realtà vedi un sacco di gente,
ma è come se non ci fosse nessuno. Ti dirigi verso il bancomat. Da quanto tempo
non scambi una battuta con un impiegato di banca? Neanche te lo ricordi. Ma
oggi c’è qualcosa in più che ti rende persino leggermente euforico. Ti accorgi
che puoi fare a meno degli altri e che gli
altri, probabilmente, possono fare a
meno di te. Vai al Caffè Torino, come
ogni mattina e dietro il bancone non c’è
più Mario, il simpatico cameriere portoghese con l’orecchino, ma una specie di
umanoide che ha l’aspetto del meccano
con cui giocavi da piccolo. Lo guardi
negli occhi, ma quell’ammasso di ferraglia colorata non ti fa nemmeno dire la
parola e, nel giro di pochi secondi, ti
porge gentilmente il cappuccino proprio come lo vuoi tu, con poca schiuma
e senza cacao, emettendo da una fessura
una voce metallica che scandisce:
«Buongiorno, dottor G.» Stai sognando,
sei sicuro di sognare. Eppure tempo fa
hai letto nel sito
lenewspiùstravaganti.com che un ingegnere tedesco aveva inventato Carl, un
cameriere-robot super-rapido. «Ciao,
Carl», gli dici mentre deponi le tue monete sul banco prima di accorgerti che
sono state inghiottite in un imbuto traslucido che si è aperto e richiuso in un
istante sputando fuori la ricevuta. Non
fai in tempo a deglutire la sorpresa, che ti
ricordi che devi telefonare in Comune
perché ieri ti è arrivata la richiesta di pagamento della bolletta dei rifiuti che hai
pagato mesi fa. Tiri fuori il cellulare,
componi il numero che conosci a me-
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
shopping
Sciròpp, dolce sapore nostrano
Novità Una magia di frutta, zucchero e acqua per i nuovi sciroppi della Sicas di Chiasso
Flavia Leuenberger
Tradizione, qualità e cura del dettaglio.
Questi ingredienti fondamentali sono
alla base della filosofia aziendale della
Sicas di Chiasso, che oltre la produzione
di succhi e gazose ha intrapreso una
nuova avventura in collaborazione con
Migros Ticino. Uva americana e frutti di
bosco, frutti tipici delle nostre regioni,
sono stati scelti per il lancio dello sciroppo dei Nostrani del Ticino, lo Sciròpp. Questa azienda familiare, da più di
cinquant’anni attiva sul mercato svizzero, nasce dall’intuito del capostipite
Renzo Nespoli che dopo una prima avventura nella vendita di latte e gelati si
dedica alla lavorazione del succo di pomodoro. Il passo alla produzione di succhi di frutta e gazzosa è breve, per
un’azienda dalle dimensioni modeste
ma dalle idee chiare. Creatività e capacità
di stare al passo con i tempi vanno a
braccetto con un principio fondamentale: la tradizione non si tocca. Le ricette
rimangono inalterate, gli ingredienti
base oggi come allora sono la frutta fresca – selezionata a mano per garantirne
la massima qualità – l’acqua, lo zucchero
e l’acido citrico. Nel caso specifico degli
sciroppi l’uva proviene direttamente dai
filari di Renzo Nespoli, nipote del capostipite e attuale direttore, mentre i frutti
di bosco sono coltivati in Valle Verzasca
da Saverio Foletta. L’uso della pastorizzazione – ovvero il trattamento ad alte
temperature delle bottiglie già riempite
di sciroppo – garantisce una lunga conservabilità senza dover ricorrere all’aggiunta di additivi. Negli sciroppi non vi è
traccia né di conservanti, né di coloranti
artificiali. Unica concessione, gli aromi e
coloranti totalmente naturali, per stabilizzare la miscela. Il prodotto finale ha le
stesse caratteristiche dello sciroppo che
una volta veniva preparato in casa, qualità esaltata dalla classica bottiglia con il
tappo a pressione che viene confezionata
ed etichettata rigorosamente a mano.
L’uso di prodotti locali, la stagionalità e la
lavorazione manuale rendono lo sciroppo disponibile in quantità limitate
proprio in virtù del rispetto dei cicli naturali e della disponibilità della materia
prima. Una bevanda deliziosa – il termine latino medievale sirupus deriva infatti dall'arabo sharàb «bevanda» – che si
presta a diversi usi, dalla bibita rinfrescante, all’aromatizzazione di ghiaccioli,
granite e gelati fatti in casa o semplicemente come dolce aggiunta a frutta e yogurt. / Luisa Jane Rusconi
Renzo Nespoli, direttore della Sicas
di Chiasso.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
46
Idee e acquisti per la settimana
Meno sale, più salute
Attualità Il pane con solo lo 0,7% di sale, un buon alleato per la salute
Migros si impegna costantemente a ridurre il tenore di sale nei suoi prodotti,
contribuendo così a promuovere nella
propria clientela uno stile di vita sano
(Migros è partner di «actionsanté»,
iniziativa dell’Ufficio Federale della Sanità Pubblica a favore della promozione della salute).
Un contributo supplementare in questo senso, Migros Ticino l’ha fornito
tre anni fa, lanciando sul mercato un
pane con un contenuto di sale molto
inferiore rispetto alla media, svolgendo così in questo settore un ruolo
da pioniere nella grande distribuzione.
Come tutti gli altri pani, anche il pane
con solo lo 0,7% di sale è un prodotto
della Jowa di S. Antonino, il panificio
della Migros.
Tra gli ingredienti
cardine dell’impasto, troviamo il pregiato lievito madre naturale, un impasto prodotto e gelosamente conservato
dal panificio stesso, in grado di conferire al prodotto finale un sapvore equilibrato e armonioso e una più lunga
conservabilità. Gli altri ingredienti utilizzati sono la farina di frumento di
produzione integrata TerraSuisse,
fiocchi di patate e farina di malto
d’orzo. Altro aspetto che caratterizza il
pane con poco sale è l’artigianalità: infatti la maggior parte della lavorazione
richiede ancora il lavoro manuale
dell’abile fornaio Jowa.
Flavia Leuenberger
Pane
con poco sale
250 g Fr. 2.40
In vendita
nelle maggiori
filiali Migros.
Il parere dell’esperta
Alimentazione e consumo di sale
Il sodio, contenuto nel sale da cucina
(che è cloruro di sodio) è importante e
deve essere assunto tramite l’alimentazione. Tra i suoi molti ruoli, regola
l’equilibrio acido-basico dell’organismo e insieme al potassio regola l’equilibrio idrico del corpo. Un’alimentazione equilibrata assicura questo
apporto vitale, per cui le carenze di
sodio sono rarissime. Gli eccessi di
consumo di sale sono invece la regola.
Il bisogno vitale di sodio è di 550 mg al
giorno, che corrisponde a 1,5-2 g di
sale al giorno. Attualmente il consumo
medio giornaliero di sale della popolazione svizzera è molto maggiore: le
stime portano il consumo a circa 10g al
giorno.
Un eccessivo consumo di sale può
avere ripercussioni negative sulla salute. Ad esempio provocando un aumento della pressione arteriosa (ciò
che può accrescere il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e renali)
oppure un aumento dell’eliminazione
di calcio nelle urine. Si è inoltre stabilito un legame diretto tra alimentazione con elevato apporto di sale e presenza di una sindrome metabolica, e
anche di gravi obesità.
In seguito a queste considerazioni,
Pamela Beltrametti, dietista diplomata S.S.S., titolare dello
studio di consulenza e terapia
dietetica «La Dietista» di Cadenazzo
www.ladietista.ch
l’Ufficio Federale della Sanità Pubblica
ha elaborato una strategia nazionale di
riduzione del consumo di sale detta
«strategia sale 2008-2012», una cam-
pagna che è stata prolungata fino al
2016. L’obiettivo è portare il consumo
giornaliero di sale a meno di 8 grammi
al giorno per persona; a più lungo termine, portare il consumo a meno di 5
grammi al giorno, conformemente alle
norme dell’OMS. Fonti alimentari di
sodio, oltre al sale di cucina, sono principalmente il pane, il formaggio, i prodotti a base di carne e i piatti già pronti.
Ridurre il proprio consumo di sale diventa più facile se ci si abitua a: leggere
le etichette sugli imballaggi degli alimenti; diminuire il consumo di sale
gradualmente per dare la possibilità al
palato di abituarsi; lasciare la saliera in
cucina e non sulla tavola; alternare al
sale l’uso di erbette aromatiche o spezie per esaltare il sapore delle pietanze;
aggiungere il sale ai propri piatti solo
dopo aver assaggiato; preferire stili di
cottura che concentrano i sapori (cottura con pochissima acqua per le verdure, stufare, cuocere al cartoccio al
forno).
(Fonti: Ufficio Federale Sanità Pubblica, Federazione Svizzera di Cardiologia, Società Svizzera di Nutrizione,
Fédération Romande Consommateurs,
Revue Médicale Suisse).
L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche il pane
con poco sale della Jowa.
Serate
in panetteria
Volete scoprire i segreti della lavorazione delle colombe Jowa? In questo
caso iscrivetevi alla serata in panetteria dei due laboratori interni di S.
Antonino e Serfontana. La stessa si
terrà martedì 1. Aprile, dalle ore
18.30 alle 21.00. Per assicurarvi il vostro posto chiamate il numero 091
840 12 61, martedì 18 marzo, tra le
ore 10.30 e 11.30. I posto sono limitati a 10 persone per supermercato.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
47
Idee e acquisti per la settimana
Cime di rapa: un orgoglio tutto pugliese
Attualità Molte le teorie sulle origini di questo ortaggio di fine inverno, sano e facile da preparare con le immancabili
orecchiette pugliesi. A Migros Ticino trovate ora le cime di rapa della Puglia
nomi abbondano a seconda delle zone:
«recchietedde» (piccole orecchie),
«chiancarelle», «fiaffioli», «facilletti» o
ancora «stacchioddi». Rotonda e cava,
affinché possa seccare più in fretta e conservarsi a lungo, la forma tipica si ottiene
premendo il pollice sulla spianatoia, rendendo il centro più sottile e mantenendo
la superficie ruvida. Ma anche questa
pasta ha origini misteriose, francesi, secondo alcuni: sarebbe stata diffusa nel
Medioevo dalla dinastia dei d’Angiò,
conti di Provenza i cui domini comprendevano anche le terre di Puglia. Per altri
avrebbe a che fare con le «orecchie di
Haman» della tradizione dolciaria di
Israele, conservata e protetta in Puglia
già nel Dodicesimo secolo sotto la dominazione normanna-sveva. Comunque le
orecchiette erano già presenti a Bari nel
Cinquecento: in un documento si legge
infatti di un padre che lascia in dote matrimoniale... l’abilità della figlia di preparare le orecchiette! L’orgoglio pugliese
per la paternità di questa pasta, gustosissima con le cime di rapa lessate in acqua
salata, con olio, aglio, acciughe e peperoncino, non è forse nemmeno così casuale: la loro forma a cupola non ricorda
i tetti dei trulli, le tipiche costruzioni contadine pugliesi? / Marco Jeitziner
Marka
Ha tanti nomi quante sono le sue ipotetiche origini. Le classica cima di rapa, una
pianta erbacea prettamente mediterranea, si chiama anche «rapacaula del Salento leccese», broccoletto di rapa, «cavolo di Siria» o «cavolo di Cipro».
Possiamo comunque dire che è un ortaggio tipicamente italiano diffusissimo
nelle regioni Lazio, Puglia, Campania,
ma ormai coltivato anche in Lombardia
e, di recente, perfino negli Stati Uniti e in
Australia. La sua diffusione non può che
essere positiva, viste le ottime proprietà
nutritive delle sue tenere foglie e delle sue
infiorescenze in boccio, ricche di sali minerali, vitamine e antiossidanti. I semi
delle cime di rapa sarebbero giunti in Europa dall’Oriente grazie ai navigatori genovesi e, dapprima, coltivati in Francia,
ma le prime piantagioni comunque
compaiono nel Regno di Napoli e poi in
tutta la Pianura Padana. Si tratta di una
pianta prettamente autunnale e invernale, quindi ancora ottima in questo periodo di fine stagione, dopo che è stata
raccolta quando i fiori sono ancora
chiusi e si sono sviluppati i germogli laterali.
Ma con cosa accompagnarla se non con
le classiche orecchiette, la tipica pasta
«strascinata» della Puglia? Anche qui i
Marka
Lo sapevate
che…?
Una tradizionale bontà: il brasato con polenta.
Il verbo brasare, deriva da brace, parola
di origine germanica, è uno dei modi di
cucinare più antichi, ma sempre d’attualità. Si tratta di cuocere un pezzo di
carne a fuoco dolce per stufarlo con più
o meno liquido.
La parte più importante del procedimento del brasare è costituito dall’iniziale formazione di una crosta di buona
consistenza per mezzo della rosolatura.
Così facendo i succhi e le sostanze proteiche restano nella carne e sviluppano
il tipico aroma d’arrosto.
Al termine della rosolatura si aggiunge
il liquido di cottura – vino o brodo - e il
coperchio alla brasiera. La cottura deve
essere molto lenta – anche 3 ore per i
pezzi più grossi - e può avvenire sul fornello oppure nel forno. I pezzi più
grandi cuociono meglio in forno perché il calore si distribuisce in modo più
uniforme. A fine cottura il liquido di
cottura dovrà risultare piuttosto sciropposo.
Uno dei classici accompagnamenti del
manzo brasato è la polenta.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
48
Idee e acquisti per la settimana
I nuovi smalti Gel Effect
firmati Deborah Milano
Le appassionate che vogliono sempre
avere unghie perfette amano gli effetti
originali e i colori «alla moda» sofisticati
ed eleganti, senza tempo. Per loro è fondamentale ottenere risultati professionali anche a casa, senza ricorrere a strumenti come lampade UV e LED,
facendo capo a prodotti facili e veloci da
utilizzare.
Deborah Milano, grande esperta della
bellezza al femminile e sempre attenta
alle ultime tendenze, esaudisce ora i desideri delle donne lanciando una linea di
smalti professionali e di semplice utilizzo: i Gel Effect. I nuovi smalti assicurano una brillantezza estrema effetto
specchio e un sorprendente risultato volumizzante in una sola passata grazie alla
texture fluida e al maxi pennello. Inoltre,
per una tenuta dello smalto ancora più
duratura Deborah Milano ha sviluppato
l’innovativo Plumping Effect Top Coat,
da applicare sullo smalto asciutto fino a
due volte a settimana. La gamma dei Gel
Effect è ottenibile in ben 23 tonalità per
ogni gusto, desiderio e occasione.
I prodotti Deborah Milano sono in vendita nelle maggiori filiali di Migros Ticino. I nuovi smalti Gel Effect fino al 31.3
sono offerti con il 40% di sconto.
19 marzo:
la festa del papà
I dolci rappresentano la più ghiotta
espressione della devozione popolare
verso i Santi. Anche per la festa di San
Giuseppe, protettore dei padri di famiglia e dei falegnami, alcune specialità
come le frittelle e i tortelli rispuntano
come usanza dopo essere state in auge
per carnevale.
Presso i banchi pasticceria di Migros
Ticino, domani troverete in vendita i
tradizionali tortelli di San Giuseppe farciti di delicata crema pasticciera al marsala, come pure le torte a forma di cuore
a base di pasta sfoglia ricoperte di frutta
fresca. Accanto alle specialità di pastic-
ceria, nei nostri supermercati non mancano sicuramente altre idee regalo per
sottolineare degnamente la ricorrenza:
dai cioccolatini ai vari gusti ai libri sugli
argomenti più diversi, dai dischi più attuali ai capi d’abbigliamento alla moda,
fino agli attrezzi da lavoro proposti da
OBI e Do it + Garden per i babbi amanti
del fai da te.
Inoltre, per molti bambini la giornata
offre anche una divertente occasione
per passare ai fornelli – magari facendosi aiutare dalla mamma – preparando il piatto preferito dal proprio
papà.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
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(anche nel terzo
vaso da destra),
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e narcisi
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da realizzare
Fantasia
colorata in vaso
La primavera
conquista
casa vostra!
Acquistate un mazzo di fiori
primaverili misti tutti colorati e tenete
pronti diversi vasi e bottigliette di vetro,
precedentemente puliti a fondo. Tagliate,
poi, leggermente in obliquo l’estremità dello
stelo dei fiori recisi con l’aiuto di un coltello
(non utilizzate le forbici). In seguito, eliminate
i fiori e le foglie immerse nell’acqua. Infine, aggiungete all’acqua il nutrimento per
fiori recisi seguendo le istruzioni riportate
sulla bustina, versatela nei vasi e
disponete i fiori in modo
decorativo.
ivo.
Dopo le pulizie di primavera, fino a Pasqua avete ancora tanto tempo
a disposizione per regalare un tocco primaverile alla vostra casa,
ornandola con splendidi fiori e colorate decorazioni pasquali
Quest’anno, la primavera è arrivata in
anticipo illuminando le nostre giornate
con i primi piacevoli raggi di sole. Mentre i meteorologi hanno celebrato l’inizio della primavera già il primo marzo,
quella astronomica deve ancora cominciare: infatti, giovedì 20 marzo sarà
l’equinozio di primavera, giorno in cui il
sole teoricamente splenderà per 12 ore e
il giorno e la notte avranno, così, la
stessa durata. Comunque sia, la voglia di
primavera prima o poi contagia tutti.
Ma anche se il sole non sempre ci concede la sua presenza, con l’arrivo della
bella stagione ci si dedica alle pulizie domestiche per rendere la casa ancora più
accogliente con magnifiche idee decorative, proprio in vista delle feste e delle
spontanee e allegre serate in compagnia.
Su queste pagine vi proponiamo,
quindi, qualche fantasioso capolavoro
da realizzare con i fiori e il materiale decorativo disponibile alla vostra Migros.
Trovate tanti altri consigli utili relativi
alla Pasqua su www.migros.ch/pasqua
Il nostro consiglio per voi: non esponete i fiori alla luce diretta del sole e, se possibile, durante la notte teneteli in un luogo
fresco. La Migros offre 5 giorni di garanzia
sui fiori recisi. Se appassiscono prima,
provvediamo a sostituirli gratuitamente.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
Facile
da realizzare
Fantasia
alla ribalta!
Questa corona di fiori artificiali
può essere impreziosita a piacere.
Nel nostro esempio, abbiamo integrato
dei rametti di gattini del salice, sistemato un
dolce pulcino in un nido, in basso alla corona,
e quindi completato l’opera con un vasetto
per confettura vuoto contenente tre narcisi e
fissato con del filo di ferro. E a fine lavoro,
basta applicare un nastro decorativo
alla corona per attaccarla alla
porta o esporla in qualsiasi
altro angolo della casa.
Per
mani esperte
Composizione
di tulipani
perla tavola
Riempite dei piccoli contenitori,
per esempio delle ciotoline da zuppa, con
della spugna puntafiori e create poi delle piccole
composizioni usando tulipani e gattini del salice. Dopodiché prendete un pratico supporto, come per
esempio un vassoio o un centrotavola, e decoratelo
a piacere con dei nastri colorati. Rivestite il vassoio con
del muschio e sistematevi le ciotoline con i fiori, quindi
distribuite attorno delle cerinte. Per regalare un tocco
ancora più festivo alla composizione, impreziositela con
ulteriori elementi decorativi, come delle farfalle colorate.
Otterrete così una fantasiosa opera d’arte floreale
in grado di catturare gli sguardi dei vostri ospiti.
Ovviamente potete esporre le singole ciotoline
in tutta la casa oppure utilizzarle come
eleganti decorazioni per la tavola.
Tutto il materiale presentato è disponibile
alla Migros oppure da Do it + Garden.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
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Grecia, per 100 g, fino al 22.3
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per es. luganighe, prodotte in Ticino, imballate,
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Tutti i Pain Création
–.40 di riduzione, per es. Le Baluchon
chiaro, 340 g 3.50 invece di 3.90
*In vendita nelle maggiori filiali Migros.
Tutte le confezioni di Pepsi
da 6 x 1,5 l, per es. Pepsi Regular
5.50 invece di 11.– 50%
Polenta bramata, TerraSuisse,
500 g 1.40 invece di 1.80 20% *
Tutti i tipi di polenta M-Classic,
per es. polenta (con semolino fino),
500 g –.95 invece di 1.20 20%
Tutto l’assortimento di pasta
M-Classic, a partire dall’acquisto di
2 confezioni, –.40 di riduzione l’una,
per es. pipe grandi, 500 g
1.10 invece di 1.50
Spaghetti Léger, 500 g 2.90
NOVITÀ **
20x
Olio di colza, TerraSuisse, 50 cl
2.65 invece di 3.35 20%
FIORI E PIANTE
Croccantini di pangasio
M-Classic, d’allevamento, Vietnam,
700 g 9.80 invece di 14.– 30%
Fettine fegato di vitello, Svizzera,
imballate, per 100 g
2.85 invece di 4.10 30%
Crème d’or alla vaniglia,
al caramello o al cioccolato
da 1000 ml, per es. Vanille Bourbon
7.80 invece di 9.80 20%
Tutta l’acqua minerale
San Pellegrino in conf. da 6 x 1,5 l
4.– invece di 6.– 33%
Tulipani, il mazzo da 20
9.90 invece di 14.50
Arrosto spalla di manzo,
TerraSuisse, Svizzera, imballato,
per 100 g 2.55 invece di 3.40 25%
Patate fritte e patate fritte al forno
M-Classic in busta da 2 kg,
surgelate, per es. patate fritte
al forno 5.20 invece di 10.40 50%
Red Bull Standard o Sugarfree
in conf. da 12, 12 x 250 ml
15.90 invece di 19.80
Fettine di pollo Optigal, Svizzera,
per 100 g 2.70 invece di 3.30
Luganighe e cotechini,
per es. luganighe, prodotte in Ticino,
imballate, per 100 g
1.25 invece di 1.85 30%
Per la tua spesa ritaglia qui.
Tutte le pizze e le baguette Finizza,
surgelate, per es. pizza Finizza al salame, 320 g 3.90 invece di 4.90 20%
Tutti gli ovetti di cioccolato Frey,
di una sola varietà, in sacchetto
da 165 g, UTZ, per es. ovetti Giandor al latte 3.60 invece di 4.50 20%
Biscotti alla spelta, bio, o biscotti
al miglio e ai semi di lino, bio, in
conf. da 2, per es. biscotti alla spelta,
2 x 260 g 5.50 invece di 6.90 20%
Aceto alle erbe aromatiche
o aceto di mela Condy 750 ml,
per es. aceto alle erbe
20x
aromatiche 2.20 NOVITÀ *,**
Ketchup Heinz normal oppure hot
in conf. da 2, per es. normal,
2 x 700 g 5.40 invece di 6.80 20%
Tutte le salse in bustina Bon Chef,
a partire dall’acquisto di 2 prodotti,
–.30 di riduzione l’uno,
per es. salsa per arrosti legata, 30 g
1.20 invece di 1.50
Fleischkäse al prosciutto,
al tacchino o Delikatess Malbuner
in conf. da 6, per es. Fleischkäse
Delikatess, 6 x 115 g
7.20 invece di 9.– 20%
Tonno Rio Mare in confezioni
multiple, per es. tonno rosa in olio
d’oliva, 3 x 104 g
9.40 invece di 11.85 20%
Chips Zweifel da 170 g, 280 g
e 300 g 1.– di riduzione, per es. alla
paprica, 280 g 4.60 invece di 5.60
Tutto l’assortimento di capsule
Delizio, per es. Lungo Crema,
UTZ, 48 capsule 19.80
10x
10x PUNTI
Tuiles Sélection, 100 g 8.80
NOVITÀ *,**
Tutti i müesli e i fiocchi di cereali
Farmer in conf. da 2,
per es. Flakes al naturale, 2 x 500 g
7.30 invece di 9.20 20%
Tortine pasquali in conf. da 2,
2 pezzi, 150 g 2.05 invece di 2.60 20%
**Offerta valida fino al 31.3
20x
Berliner, 6 pezzi, 390 g
3.40 invece di 5.10 6 per 4
Società Cooperativa Migros Ticino
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 18.3 AL 24.3.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Tortelloni alla carne o ravioli
al formaggio e al pesto M-Classic
in conf. da 3, per es. ravioli
al formaggio e al pesto, 3 x 250 g
9.– invece di 12.90 30%
Salse e sughi per la pasta
Anna’s Best in conf. da 2,
per es. pesto al basilico, 2 x 150 ml
4.60 invece di 5.80 20%
Lasagne Anna’s Best in conf. da 2,
2 x 400 g 8.– invece di 10.– 20%
Cannellini, Borlotti, Ceci al vapore
Valfrutta, 3 x 150 g 3.80
Brezel di Sils precotti, 8 pezzi,
496 g 4.90
Cake Salvatore, 300 g
4.40 invece di 5.50 20%
NEAR FOOD / NON FOOD
Snack per gatti Cat Hearts o Cat
Crunch Selina, per es. Cat Hearts
con pollo e salmone, 120 g
20x
2.90 NOVITÀ *,**
Shampoo per cani Natruvet,
shampoo e balsamo per diversi
tipi di pelo, 400 ml 11.–
20x
NOVITÀ *,**
Prodotti Syoss Hair in confezioni
multiple, per es. shampoo
e balsamo Color Protect, 2 x 500 ml
10.70 invece di 13.40
Prodotti Always, Tampax e o.b.
in confezioni multiple e speciali,
per es. assorbenti Always Ultra
Normal Plus, conf. da 28 pezzi
4.40 invece di 5.85
Salviettine cosmetiche e fazzoletti
Linsoft e Kleenex in confezioni
multiple, per es. fazzoletti Linsoft
Classic, FSC, 56 x 10 pezzi
3.55 invece di 5.95 40% **
Calze e calzini sportivi da donna
in confezioni multiple, per es. calzini da donna in conf. da 4 9.80
Calze roll-up da donna
in conf. da 3 9.90
Calze Bio Cotton o calze
da trekking da uomo in conf. da 3,
per es. calze da trekking 12.90
Maglie per bambini, disponibili in
diversi colori, tg. 104–164
22.– invece di 33.– 3 per 2 **
Completino da bambina,
2 pezzi, tg. 98–128 23.–
NOVITÀ *,**
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Triciclo Be fun Confort 69.–
Detersivi per capi delicati Yvette
in flaconi da 3 l, per es. Care, 3 l
9.90 invece di 16.80 40%
Carta igienica Hakle in confezioni
multiple, per es. alla camomilla,
FSC, 24 rotoli 14.15 invece di 20.25
30%
Scarpa multifunzionale Adidas
AX1 GTX Ladies, n. 37–41
97.30 invece di 139.– 30% **
Linee di posate Cucina & Tavola,
per es. coltello da tavola Creazione
2.95 invece di 5.90 50% **
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Tuiles Sélection
100 g
Crème Chocolat au lait Tradition
175 g
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1.90
2.20
2.20
Lassi ai lamponi o al mango, bio
per es. al lampone, 230 ml
Aceto alle erbe aromatiche o aceto di mela
Condy 750 ml
per es. aceto alle erbe aromatiche
Starbucks Discoveries Skinny Latte
220 ml
NOVITÀ
NOVITÀ
NOVITÀ
23.–
11.–
Completino
da bambina
2 pezzi, tg. 98–128
Shampoo per cani Natruvet
shampoo e balsamo per diversi tipi di pelo,
400 ml
In vendita nelle maggiori filiali Migros.
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 18.3 AL 31.3.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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Snack per gatti Cat Hearts
o Cat Crunch Selina
per es. Cat Hearts con pollo e salmone, 120 g
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
63
Idee e acquisti per la settimana
Dolci tentazioni
vestite a festa:
palline Adoro
della Frey.
Delizie pasquali
Come elegante regalo oppure quale decorazione
per la tavola: nel periodo pasquale le palline
Adoro sono particolarmente apprezzate
Il giudizio dei lettori
Simi Simonet (51 anni),
Argovia, pubblicitario
Frey Adoro palline al latte
200 g Fr. 6.30* invece di 7.90
500 g Fr. 12.95* invece di 16.20
Verdure al giovedì santo, pesce al venerdì santo e sabato dedicato ai preparativi per il ricco brunch della domenica pasquale: a Pasqua si fa di tutto
per rendere felici i propri cari. È il periodo della famiglia, dello stare insieme e delle piccole attenzioni, con tavole graziosamente decorate, nidi
pasquali e regalini scelti.
Si è vestita della festa anche la più recente creazione di praline di casa Chocolat Frey: le palline Adoro, note per il
loro croccante guscio e il cremoso
cuore, che per Pasqua si presentano in
un’elegante confezione, perfetta anche
per essere regalata. Le palline Adoro
sono prodotte dalla Chocolat Frey a
Buchs, nel Canton Argovia, che utilizza
cioccolato certificato UTZ. Il marchio è
sinonimo di una coltivazione del cacao
socialmente e ecologicamente sostenibile. / Nicole Ochsenbein; foto Raphael Zubler; styling Katja Rey; stoviglie Globus
*20% su tutte le palline Adoro dal 18
al 24.3. Fino ad esaurimento scorte.
In vendita nelle maggiori filiali Migros.
L’industria Migros produce numerosi
prodotti molto apprezzati, tra cui anche
le palline Adoro della Frey.
Le palline Adoro mi ricordano i
giorni di festa e sono un peccato di
gola irresistibile. Le regalo volentieri
ai miei cari.
Sapore: sono delicatamente cremose ma dal guscio croccante e
ben confezionate. Il loro grado di
dolcezza risponde proprio ai miei
gusti.
Rituale: amo gustare alcune palline Adoro dopo una buona cena.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
Bio al quadrato
Già nel Medioevo il pane tostato era ritenuto una prelibatezza. E ancor oggi il pane per toast è molto apprezzato,
tanto che lo si trova praticamente ovunque. La Migros ne propone diverse varietà anche in versione Bio
Il pane, in tutte le sue forme, occupa un posto fondamentale nella nostra alimentazione. Una varietà molto apprezzata è quella in cassetta, conosciuta generalmente nella
versione bianca, tagliata a fette, dalla mollica finemente
porosa e dalla crosta sottilissima, nota come pane per toast.
Versatile come pochi altri cibi, questa leccornia inebria
con la sua incredibile fragranza già nel tostapane e una
volta in tavola incanta i palati con tutta la sua bontà.
Bio è sinonimo di misure severissime nella coltivazione di materie prime. La massima priorità è riservata al minimo impatto ambientale, al rispetto delle
materie prime e alla naturalità dei prodotti come
pure al benessere degli animali.
Il pane per toast di qualità Bio è preparato con farina di
frumento e disponibile nella versione classica chiara e nella
più rustica variante scura. Entrambi i tipi sono arricchiti
con una miscela Bio ad alta energia germinativa. Si tratta di
una speciale farina di germi di frumento, granoturco, miglio, farro, grano saraceno, orzo e avena, particolarmente
ricca di vitamine e sali minerali, in grado di incrementare
la conservabilità del pane e migliorare le sue qualità nutrizionali.
La produzione del pane per toast Bio sottosta alle severe direttive dettate da Bio Suisse, che garantiscono una coltivazione rispettosa della natura e dell’ambiente che ci circonda. / Dora Horvath
Parte di
Generazione M è il nome del programma
testimone dell’impegno Migros
a favore della sostenibilità.
Migros Bio offre un prezioso contributo.
Pane per toast
Bio chiaro, con farina
ad alta energia
germinativa
250 g Fr. 1.90
Pane per toast
Bio scuro, con farina
ad alta energia
germinativa
250 g Fr. 2.–
L’industria Migros produce numerosi
prodotti molto apprezzati, tra cui il pane
per toast di qualità Bio.
Ad ognuno il suo:
con il pane Bio
appena tostato
a colazione c’è
più gusto.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
65
Idee e acquisti per la settimana
Prendete gli spaghetti alla leggera!
Per tutti gli amanti della cucina mediterranea con un occhio di riguardo sul consumo di carboidrati, Léger offre ora i
tanto attesi spaghetti
Gli alimenti ricchi di carboidrati
come müesli, pane, riso, pasta e patate
sono un’importante fonte energetica.
Se però il loro consumo supera il fabbisogno energetico personale, il piacere di gola si ripercuote sul peso.
Sono sempre di più le persone che
scelgono un’alimentazione povera di
carboidrati, una tendenza alimentare
che ha origine in America, meglio conosciuta sotto il nome “low carb”.
Léger propone cibi in linea con questo
stile alimentare, che contengono almeno il 30 percento di carboidrati in
meno rispetto alla versione comune.
Nessuna differenza di gusto
Per ottenere un tenore di carboidrati
contenuto, viene sostituita una parte
della semola di grano duro con amido
di frumento modificato (una fibra alimentare) e proteine dello stesso cereale. Il gusto degli spaghetti Léger è
lo stesso di quello degli spaghetti comuni.
Per la loro preparazione ci vuole,
però, un po' di tempo in più; la loro
composizione richiede, infatti, dai 12
ai 14 minuti di cottura. E per gustarli
davvero a cuor leggero, anziché servirli con sughi pieni, si può optare per
una salsa a base di cipollotti, rapanelli
e diverse erbette gustose, rosolati in
qualche goccia di olio d’oliva. /
Anette Wolffram Eugster; illustrazioni Veronika Studer
La prima pasta svizzera a lunga conservazione, con il 30 percento di carboidrati
in meno, è servita!
Spaghetti Léger 500 g Fr. 2.90
Punti Cumulus moltiplicati per 20 dal 18 al 31.3
L’industria Migros produce numerosi
prodotti molto apprezzati, tra cui anche gli
spaghetti Léger.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
66
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
67
Idee e acquisti per la settimana
Cuori di carciofo
marinati
Il nostro cuore
batte per
il Fairtrade
in scatola
Aperitivo per 6 persone
PERU
Trujillo
Tarapoto
Preparazione
Tritate finemente i pomodori, le olive e il basilico. Grattugiate la buccia del limone e spremete il succo. Mescolate il tutto con l’olio e
insaporite la marinata con sale e pepe. Scolate i carciofi, sciacquateli con l’acqua fredda
e lasciateli sgocciolare bene. Tagliate in due
o quattro parti i carciofi e lasciateli macerare
per ca. 2 ore nella marinata. Accompagnate
con pinoli tostati e pane.
Lima
I cuori di palma e di carciofo in scatola sono
ora disponibili anche con certificazione Fairtrade Max Havelaar. Gustosi se serviti in insalata o come stuzzichini, regalano alla tavola un
tocco esotico
Tempo di preparazione
ca. 10 minuti + marinatura ca. 2 ore
200 km
Nella regione ad est di Trujillo, si coltivano carciofi, mentre i cuori di palma
provengono da Tarapoto e dintorni.
In Perù, a nord di Lima, ora si coltivano
anche carciofi con certificazione Fairtrade, che dopo il raccolto vengono trasformati in gustose conserve in scatola.
Chi predilige il marchio Fairtrade Max
Havelaar, in futuro, potrà sostenere il
commercio equo e di conseguenza i coltivatori con certificazione Fairtrade, anche
acquistando queste conserve. I contadini
certificati approfittano, tra l’altro, del
premio Fairtrade, che può per esempio
essere investito per migliorare le superfici
di coltivazione. E i produttori possono
decidere in modo democratico, quali
progetti realizzare con il denaro ottenuto.
Anche la produzione delle conserve avviene sul posto
Enrico Antonini (49), responsabile acquisti Conserve della Migros, si è recato
in questa straordinaria regione, non lontano dalla città marittima Trujillo. Grazie
Ingredienti
30 g di pomodori secchi con aglio
8 olive nere snocciolate
3 gambi di basilico
½ limone
3 cucchiai d’olio d’oliva
sale, pepe
1 vasetto di cuori di carciofo* da 400 g (240
g, peso sgocciolato)
Per persona
ca. 1 g di proteine, 9 g di grassi,
2 g di carboidrati, 350 kJ/90 kcal
Il marchio Fairtrade Max
Havelaar, sinonimo di
prodotti coltivati in modo
sostenibile e provenienti
da un commercio equo,
sostiene i piccoli produttori e i lavoratori delle
piantagioni nei Paesi in
via di sviluppo e in quelli
di nuova industrializzazione, permettendo loro
di migliorare le loro condizioni di vita. Ulteriori informazioni:
www.maxhavelaar.ch
al suo impegno pionieristico a favore del
marchio Fairtrade e dei contadini, trasmette loro la certezza di collaborare con
un partner affidabile come la Migros, che
acquista ogni anno ben 200’000 scatole di
Cuori di palma
Aperitivo per 6 persone
Ingredienti
1 vasetto di cuori di palma* da 400 g (220 g,
peso sgocciolato)
1 cucchiaio di burro
cardamomo macinato
sale, pepe
½ mazzetto di coriandolo
100 g di prosciutto cotto a fette
I contadini raccolgono i cuori di palma
a mano durante tutto l’anno.
Il lavaggio, la mondatura e il taglio
delle verdure avvengono in fabbrica.
«Fairtrade dona
maggiore sicurezza
ai produttori»
Enrico Antonini, acquisitore di prodotti
in scatola di Migros.
cuori di carciofo. «Fairtrade punta a rafforzare i produttori nei Paesi in via di sviluppo e di nuova industrializzazione»,
spiega Antonini, aggiungendo che la produzione delle conserve avviene direttamente sul posto; in questo modo, il valore
aggiunto rimane nel Paese di produzione. Per i singoli contadini, Fairtrade
significa in particolar modo un rafforzamento della loro posizione sul mercato,
soprattutto per quanto riguarda le trattative. E ovviamente, la prospettiva di riscuotere il premio Fairtrade, stimola i
coltivatori a certificare la loro azienda.
Per i piccoli contadini, è importante sapere che durante il processo di certificazione non vengono abbandonati a loro
stessi: infatti, per superare gli ostacoli
amministrativi, vengono accompagnati
da un collaboratore messo a disposizione
da Fairtrade International.
Cambio di scena: nella regione intorno
a Tarapoto, circa 400 chilometri a
nord-est di Trujillo, oltre 900 contadini
raccolgono i cuori di palma, preparandoli alla successiva lavorazione. Enrico
Antonini ha spiegato anche a loro, direttamente sul posto, i vantaggi della
certificazione Fairtrade. I cuori di
palma, chiamati anche palmito e ricavati dai germogli della pianta, sono
lunghi circa 10 centimetri e spessi dai
tre ai quattro centimetri. Per il raccolto, che avviene durante tutto l’anno,
si abbattono alberi dai dieci ai quindici
anni d’età, che vengono puntualmente
sostituiti con giovani piantine. Da ogni
albero si ricavano circa 500 grammi di
cuori di palma. Questi spiccano per la
delicata consistenza e il gusto intenso
piacevolmente nocciolato.
L’assortimento Fairtrade cresce costantemente
Ogni anno, sugli scaffali Migros approdano centinaia di migliaia di conserve
certificate Fairtrade. L’introduzione di
prodotti Fairtrade nel segmento Conserve, è un passo importante per raggiungere gli obiettivi previsti dal programma Generazione M. Entro il 2015,
infatti, la Migros vuole ampliare l’as-
sortimento Fairtrade Max Havelaar del
75 percento. Per la produzione di conserve di verdure, si elaborano esclusivamente materie prime ineccepibili subito dopo il raccolto. Per bloccare la
formazione di enzimi, che farebbero
maturare ulteriormente le verdure,
quest’ultime vengono brevemente
sbollentate dopo il lavaggio. E solo
dopo questa tappa si procede alla conservazione senza aggiunta di conservanti. Ampliando costantemente l’assortimento Fairtrade, la Migros offre ai
suoi clienti maggiori possibilità per acquistare in sintonia con il commercio
equo. / Anette Wolffram Eugster
Parte di
Generazione M è il nome
del programma a favore
della sostenibilità della
Migros. Fairtrade Max
Havelaar offre un prezioso contributo.
Preparazione
Scolate i cuori di palma, sciacquateli con
l’acqua fredda e fateli sgocciolare bene. Dimezzate orizzontalmente i cuori di palma. Rosolateli da ogni lato nel burro a fuoco medio
per ca. 3 minuti. Condite con cardamomo,
sale e pepe. Tritate il coriandolo finemente e
cospargetelo suoi cuori di palma. Tagliate il
prosciutto a strisce. Avvolgete ogni cuore di
palma in una striscia di prosciutto.
Tempo di preparazione
ca. 20 minuti
• Cuori di carciofo
Fairtrade M-Classic
240 g Fr. 3.40
Per persona
ca. 4 g di proteine, 4 g di grassi,
2 g di carboidrati, 200 kJ/50 kcal
• Cuori di palma
Fairtrade M-Classic
220 g Fr. 3.20
* Disponibile con il marchio Max-Havelaar.
• Asparagi verdi
Fairtrade M-Classic
100 g Fr. 1.90
• Macedonia di frutta
Fairtrade Sun Queen
230 g Fr. 1.85
UNA PRIMAVERA
DAL LOOK ETNICO.
19.80
Sciarpa
arancione
39.80
Pullover
beige
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Top
arancione, lampone, beige
34.80
Pantaloni
diversi motivi
In vendita nelle maggiori filiali Migros.
FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
69
Idee e acquisti per la settimana
Un’irresistibile trilogia di fragranze
La linea di ammorbidenti Exelia Parfumeur propone ora tre esclusive creazioni; ognuna di loro, infatti,
vanta il suo ideatore personale
La linea di ammorbidenti premium
Exelia Parfumeur della Migros ha iniziato il nuovo anno lanciando tre esclusive novità, che si distinguono dai tradizionali ammorbidenti, grazie alle tre
fragranze nate dall’ispirazione di altrettanti profumieri di spicco.
Golden Temptation conferisce al bucato un armonioso profumo di vaniglia
e spezie, mentre il più frizzante Pink
Pleasure sorprende con una nota fruttata e floreale impreziosita da un tocco
di gelsomino. La variante Violet Senses,
invece, rievoca la magica essenza dei
fiori delicati, valorizzata da una leggera
sfumatura fruttata.
Le materie prime vengono miscelate
al computer
Tre fragranze, tre creatori. Uno di loro è
Gerard Leblanc, il profumiere dell’International Flavors & Fragrances che
per Mibelle Group ha sviluppato il balsamo ammorbidente Violet Senses. «A
volte realizzo le mie idee, altre, invece,
collaboro direttamente con chi mi assegna l'incarico e quindi secondo indicazioni ben precise, relative ai desideri e
alle esigenze dei clienti», ci svela Leblanc. C’è chi rimarrà sorpreso scoprendo che per il suo lavoro il signor
Leblanc trascorre molte ore al computer. Infatti, oggigiorno lo sviluppo di
una fragranza avviene tramite supporto
elettronico e solitamente richiede dai
due mesi ai cinque anni di tempo. «Abbino diverse materie prime e cerco, poi,
di immaginarmi il risultato », spiega Leblanc. «In seguito, le varie componenti
vengono miscelate, per permettermi di
percepire il profumo della nuova creazione. Spesso, però, la prima composizione non corrisponde subito all’idea di
base e deve quindi essere ulteriormente
raffinata».
È ovvio che nel suo lavoro si ispira ai
mille profumi presenti in natura, che
cattura, per esempio, durante lunghe
passeggiate nei boschi, sui prati in fiore
oppure durante meravigliose escursioni
in montagna o al mare. Leblanc aggiunge: «L’attività fisica all’aria aperta fa
bene al naso, che così si libera e prepara
ad affrontare nuovi progetti».
Previene pieghe e usura
Oltre a regalare straordinarie note profumate, gli ammorbidenti Exelia sono
anche validi alleati domestici. Infatti,
proteggono i vestiti, le tovaglie e la biancheria da letto dall’usura, facilitandone
la stiratura e prevenendo la formazione
di pieghe e di scariche elettrostatiche. /
Heidi Bacchilega
Sviluppato da Gerard Leblanc: Exelia Violet Senses 1 litro Fr. 6.50.
Exelia Golden
Temptation
1 litro Fr. 6.50
sviluppato
da Philippe Durand
Exelia Pink
Pleasure
1 litro Fr. 6.50
sviluppato
da Martine Gaffet
L’industria Migros produce numerosi
prodotti molto apprezzati, tra cui troviamo
anche gli ammorbidenti Exelia.
.
E
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V
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AFFRETTAR
399.–
Aspirapolvere Dyson
DC33c home + car
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senza sacchetto
spazzola turbo
spazzola per pavimenti duri
Offerta valida solo dall’11.3 al 24.3.2014, fino a esaurimento dello stock.
In vendita nelle maggiori filiali Migros e nei punti vendita melectronics.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12
71
Idee e acquisti per la settimana
Con la pelle ben
trattata, il sole
di primavera non
fa più paura
e uscire all’aria
aperta per un
giro di shopping
con le amiche
è un assoluto
piacere.
Le quattro
specialiste
Non bisogna strapparsi la pelle di dosso,
perché secca, irritata da influssi climatici
nocivi o segnata da macchie pigmentate
e il suo aspetto non ha l’uniformità
desiderata. Questi quattro prodotti I am
sono pronti a dare una mano
La linea di prodotti per la cura della
pelle I am è particolarmente apprezzata
dalle donne che desiderano cosmetici
efficaci che non costano una fortuna. E
ora propone quattro nuovi arrivati, nati
per far fronte a esigenze specifiche, e
completare così al meglio le linea dall’ottimo rapporto prestazioni-prezzo.
La causa principale della pelle secca è la
mancanza d’idratazione. Indispensabile in questi casi la crema-gel Aqua
Care ad azione prolungata, che idrata a
fondo l’epidermide. Per combattere gli
influssi ambientali nocivi, poi, si può
ora contare sull’aiuto della crema Detox
Protection Care, che avvolge la pelle,
proteggendola al meglio come una pellicola. Rafforza inoltre il sistema di difesa
antiossidante e svolge un effetto equilibrante e calmante, riducendo il senso di
tensione.
Per riconquistare un aspetto omogeneo
e combattere le irregolarità cutanee e le
macchie pigmentate, infine, I am propone due nuove esperte in materia: la
crema da giorno Brightening Care AntiSpot, in grado di ridurre l’iperpigmentazione, e la Colour & Control Care, che
è leggermente colorata e copre così le irregolarità trattando l’epidermide. /
Dora Horvath; illustrazioni Getty
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La crema idratante con protezione solare previene l’invecchiamento
cutaneo precoce. Rafforza il sistema di difesa della pelle contro gli
influssi climatici e riduce il senso di tensione.
I am face Detox Protection Care, IP 15 50 ml Fr. 11.–
La crema da giorno
con protezione solare
schiarisce le chiazze
scure e le macchie
pigmentate, prevenendone la ricomparsa. Il risultato è una
carnagione uniforme e
luminosa.
I am face
Brightening Care
Anti-Spot, IP 20
50 ml Fr. 11.–
La crema gel idrata a fondo la pelle secca e svolge così un’azione
emolliente duratura, in profondità. In grado di prevenire le piccole
rughe, risultato di una mancata idratazione, regala inoltre una pelle
piacevolmente morbida.
I am face Aqua Care 50 ml Fr. 11.–
La crema da giorno multifunzionale con protezione solare copre perfettamente le irregolarità e
conferisce uno splendido aspetto omogeneo.
I am face Colour & Control Care, IP 15
50 ml Fr. 11.–
L’industria Migros produce numerosi
prodotti molto apprezzati, tra cui la cura
per il viso I am.
Renzo Nespoli, Sicas SA, Chiasso
La «Gazusa Nustrana» è la bevanda a «chilometro zero» prodotta con ingredienti naturali dalla Sicas di Chiasso, fondata nel 1962
che da oltre 45 anni fornisce a Migros Ticino bibite e succhi di frutta.
I nostri sapori.
I Nostrani del Ticino sono la riscoperta dei sapori locali e provengono esclusivamente da
aziende ticinesi che ne garantiscono la qualità, la freschezza e la genuinità. Essi rappresentano l’impegno concreto e coerente nel sostenere agricoltori, allevatori e produttori
alimentari della nostra regione.
dal 1933
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