le introduzioni di pesci alieni nelle nostre acque: tra

LE INTRODUZIONI DI PESCI ALIENI NELLE NOSTRE ACQUE: TRA NECESSITÀ E GIOCO
ANNAMARIA NOCITA - MARTA POGGESI
LE INTRODUZIONI DI PESCI ALIENI NELLE NOSTRE ACQUE:
TRA NECESSITÀ E GIOCO
RIASSUNTO. La ricerca storica qui esposta ha permesso di meglio definire tre
periodi storici nei quali è evidente un flusso di ingresso di specie aliene nel
territorio italiano e in particolare in quello toscano.
La prima tra le specie esotiche che ha fatto la propria comparsa in acque
libere della nostra regione è la carpa ma questa, secondo alcuni documenti,
sarebbe stata introdotta diversi secoli più tardi rispetto a quanto finora creduto.
Ciò potrebbe essere un’interessante avvio per una ricerca di più ampio raggio
che dovrebbe comunque considerare aspetti economici e sociali storici, data
l’importanza che questa specie ha rivestito nell’alimentazione e nella pratica
sportiva.
Le evidenze storiche della presenza della trota in toscana sono molteplici,
dato anche l’interesse che questo animale ha avuto nel corso della storia, ed in
prima analisi quindi non dovrebbe essere considerato un alieno. Tuttavia esistono recenti studi basati sulla genetica della specie che hanno reso evidente
una sostituzione della trota che popolava le nostre acque con una proveniente
da altre aree d’Europa, grazie alle continue immissioni fatte per supportare il
prelievo a carico di questo animale.
È proprio grazie alla trota che tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX
si ritrovano le prove scritte della volontà di ripopolamento delle acque e questo introduce in un successivo periodo storico in cui nuove specie arrivano in
Italia e poi in Toscana provenienti sia da diversi distretti ittiogeografici nazionali sia dall’estero.
Negli ultimi cinquanta anni questo fenomeno è divenuto comunissimo, producendo non pochi problemi alla fauna ittica autoctona e inducendoci a
riformulare strategie di gestione e di ricerca.
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INTRODUZIONE. Le acque interne della Toscana vedono da anni un flusso
continuo di ‘pesci alieni’ arrivare da diversi distretti ittiofaunistici sia nazionali
sia europei od extraeuropei. Cosa si intende per alieno? È taxon che non appartiene alla fauna originaria di una determinata area, essendovi giunto per
l’intervento dell’uomo sia esso volontario o accidentale.
Una breve ricerca storica, qui discussa, ha evidenziato le tappe cronologiche
principali di questo flusso biologico e i principali protagonisti di queste introduzioni.
Sono stati in particolare individuati tre periodi cruciali per la storia delle
introduzioni in Toscana: dal XII al termine del XVIII secolo, in cui si presume
sia avvenuto un solo ingresso di specie aliene in acque libere; dall’inizio del
XIX secolo (momento in cui viene pubblicata una delle prime manifestazioni
di volontà di introduzione di fauna ittica in corsi dove questa è carente o assente) alla metà del XX secolo; dalla metà del secolo XX ai giorni nostri, periodo
in cui appare decisamente aumentato il tasso di introduzioni di specie non
originarie della Toscana.
Questa ricerca ha permesso di meglio delineare il momento di ingresso nel
territorio toscano di specie aliene che autori diversi hanno dato come certo in
epoche differenti.
Le motivazioni che hanno condotto in passato all’ingresso di una nuova
specie sono da individuare soprattutto tra le esigenze alimentari ma sono poi
divenute sempre più legate sia alle necessità della pesca sportiva sia a fenomeni del tutto accidentali.
DISCUSSIONE. La ricerca ha preso in considerazione il periodo che va dal XII
secolo ai giorni nostri.
La prima specie aliena che appare nei nostri corsi d’acqua è la carpa,
Cyprinus carpio (Linnaeus 1758), di origine asiatica ormai cosmopolita, e che
per molto tempo si è pensato fosse stata introdotta in epoca romana.1 (Fig. 1)
La ricerca storica qui riportata ha fatto riconsiderare questa ipotesi dato che
la letteratura relativa a questo problema riporta anche versioni molto diverse
che posticipano l’introduzione della specie di svariati secoli. In questa sede
con il termine introduzione si intende la naturalizzazione della specie ossia la
capacità di formare popolazioni vitali che si autosostengono. Infatti risulta da
1
G. GANDOLFI - S. ZERUNIAN - P. TORRICELLI - A. MARCONATO, I Pesci delle Acque Interne Italiane, Roma,
Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1991. P. G BIANCO, Factors affecting the distribution of fishes
especially in Italy, «Cybium», 19 (1995), pp. 241-259. E. K. BALON, Studies on the wild carp Cyprinus
carpio Linnaeus, 1758. I. New opinions concerning the origin of the carp, «Prace Laboratdria rybkstva »,
2 (1969), pp. 99-120.
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svariati documenti che la carpa venisse consumata dagli imperatori romani2
già a partire dai primi secoli dell’era cristiana, ma la sua presenza apparirebbe
sporadica e dovuta unicamente alla continua importazione dalle aree di origine. La sua comparsa nei corsi d’acqua sarebbe molto più tardiva, così come
puntualmente espresso da Ippolito Salviani (1514-1572), medico, nel suo
Aquatilium Animalium Historiae (1558).3 Nel testo comparirebbe infatti la
seguente citazione: «...ut utraque Gallia ac Germania testatur (Nam nec in Etruria
nec in Umbria usqua, quod quidem sciam, reperitur)....» («… trovata sia in
Gallia sia in Germania ma non in Etruria e Umbria, per quel che sono le nostre
conoscenze...») intendendo l’attuale Toscana come parte dell’Etruria.
Il cenno alla presenza in acque libere si riferirebbe invece al 19° secolo, a
cura di Emanuele Repetti che nel 1835 pubblica il suo Dizionario Geografico
Fisico Storico della Toscana e ne indica la presenza a Bientina.4 L’introduzione della specie è dovuta, come già accennato, a scopi alimentari, e la specie in
breve tempo da prelibatezza destinata unicamente agli imperatori romani diviene
cibo facilmente reperibile giacché si tratta di una specie con poche esigenze
ambientali, piuttosto resistente agli estremi di temperatura e di ossigeno, con grande capacità di adattamento ad ambienti diversi (corsi d’acqua, laghi, risaie, invasi
artificiali), anche inquinati. Una grossa carpa può anche produrre qualche centinaio
di migliaia di uova in due o tre deposizioni successive, da qui la sua capacità di
diffusione che l’ha resa una delle specie più comuni in tutto il mondo.
A rafforzare l’ipotesi che la comparsa della carpa in acque libere sia molto
più tardiva di quanto si credesse, è il contenuto dell’articolo del contemporaneo Hoffmann che nel 1994 ha utilizzato sia reperti ossei sia manoscritti per la
sua ricerca.5 L’autore ricostruisce minuziosamente la diffusione della specie in
Europa a partire dal suo rifugio glaciale che si considera essere il basso bacino
del Danubio, in tappe successive che ne hanno permesso l’allargamento a macchia d’olio dell’areale di distribuzione, oltrepassando anche la Manica agli
inizi del XV secolo. Per quanto riguarda l’Italia Hoffmann non riesce a trovare
alcun reperto che riguardi la specie considerata per il periodo tra il 1350 e il
1600 (una delle tappe cronologiche prese in considerazione nell’articolo) e
lascia quindi in sospeso le conclusioni che riguardano la diffusione in quest’area dell’Europa.
2
E. K. BALON, Origin and domestication of the wild carp, Cyprinus carpio: from Roman gourmets to the
swimming flowres, «Aquaculture», 129 (1995), pp.3-48.
3
I. SALVIANI, I pesci: Aquatilium Animalium Historiae, Roma, Colombo ristampe, 1971.
4
E. REPETTI, Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, Firenze, coi tipi di A. Tofani, 1833.
5
R. C. HOFFMANN, Remains and verbal evidence of carp (Cyprinus carpio) in medieval Europe, «Annales
du Musée Royal de l’Afrique Centrale, Sciences Zoologiques», 274, (1994), pp. 139-150.
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Un altro illustre scienziato che nel passato si è occupato di C. carpio è stato
Ulisse Aldrovandi (1522-1605), medico anch’egli, che nella seconda metà del
XVI secolo ha illustrato una graziosa e facilmente riconoscibile carpa.6 La
segnalazione, che non riporta alcuna indicazione geografica, si riferisce con
qualche probabilità, ma si tratta di una pura congettura, all’area del bolognese
ed è presumibilmente databile intorno alla seconda metà del ‘500.
Le indicazioni di Salviani, di Hoffmann e di Aldrovandi porterebbero quindi a considerare come più tardiva la comparsa della carpa che avrebbe comunque fatto il proprio ingresso a partire dal nord d’Italia.
Nel tempo la pesca alla carpa ha cambiato gran parte del fine alimentare
che ne ha determinato la comparsa nelle nostre acque, delineandosi sempre più
una finalità sportiva, anche se taluni la considerano ancora un «piatto da imperatore».
Con il termine “trota” si fa normalmente riferimento a un complesso di
taxa che la maggior parte degli autori considerano, almeno per il territorio
italiano, composto da tre semispecie7 con areale di distribuzione originario
ben definito: Salmo (trutta) trutta Linnaeus 1758, Salmo (trutta) marmoratus
(Cuvier 1817) Salmo (trutta) magrostigma Duméril 1858. (Fig. 2)
La Toscana è, secondo questa interpretazione, da considerarsi in gran parte
inclusa nell’areale di quest’ultima semispecie. Testimonianze storiche della
presenza di trote nel nostro territorio sono in effetti riscontrabili fin dal 12°
secolo:8 una chiara testimonianza della presenza di trote nel Fiume Fiora (Toscana meridionale) è la «Peschiera», un piccolo invaso artificiale la cui realizzazione è attribuita ai Monaci dell’Abbadia San Salvatore e che, come suggerisce il
nome, veniva principalmente utilizzata per allevare questi pesci, già presenti nel
bacino idrico del fiume. Le trote di questo laghetto venivano in massima parte
pescate e consumate nel giorno del Venerdì Santo.9 La «Peschiera» di Santa
Fiora compare anche in una descrizione del XV secolo ad opera Papa Pio II
Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), che racconta di come in sua presenza
furono pescate delle trote in onore della sua visita al Monte Amiata.10
È importante sottolineare che questa non è l’unica testimonianza storica
della presenza della trota in ambiente toscano. Infatti nel XV secolo, ancora
U. ALDROVANDI, De piscibus Libri V et De cetis Lib. Unus , Bononiae, apud Bellagambam, 1613 (1612).
G. GANDOLFI, et al., I Pesci delle Acque Interne Italiane. cit. pag. 4.
8
L. NELLI - M. RADI-A. CASTELLINI-C. LEONZIO, Sulla endemicità di Salmo trutta L. nella Toscana meridionale, «Atti Società toscana di Scienze naturali», Memorie, Serie B, CV (1998), pp. 73-81.
9
R. DEL ROSSO, La peschiera degli Abati e dei Conti sul Fiora. «Pesche e peschiere antiche e moderne
nell’Etruria marittima» Firenze, Premiato stabilimento Tipografico Osvaldo Paggi, 1905.
10
E. S. PICCOLOMINI, I Commentarii , libro IX, L. Totaro (a cura di), Roma, I ed., 1584.
6
7
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Papa Pio II, descrisse nel libro IV de I Commentarii la ricchezza di trote del
Fiume Farma, constatata durante il viaggio che lo condusse ai Bagni di Petriolo,
ora in provincia di Grosseto.11
Poco più tardi, nel 1588, è confermata la presenza delle trote nel Rio delle
Serre, nell’attuale Villa Demidoff a Pratolino, alle porte di Firenze, dal Codice
Barberiniano dell’archivio Vaticano.12
Anche per altre zone della Toscana sono riportate segnalazioni storiche della presenza della trota: Maria Cristina di Lorena (1565-1636), madre di Cosimo
II de’ Medici, rimasta vedova di Ferdinando I, trascorreva qualche mese l’anno
nel casino granducale di Seravezza (nella Versilia meridionale), dove si occupava sovente della pesca delle trote, e che, nel 1603, pescò nel Torrente Vezza
una trota di 13 libbre. Tenendo conto che la libbra toscana corrispondeva a 348
gr, l’animale doveva pesare circa 4,5 kg.13 La cattura di questa trota di ragguardevole taglia fu ricordata posizionando un cippo in pietra, che raffigurava
l’esemplare e descriveva le circostanze in cui era stata catturata, grazie al quale
è stato possibile che questa testimonianza arrivasse fino a noi.
È evidente come la trota sia sempre stata considerata un elemento di pregio
della fauna ittica da parte dei pescatori sia per il carattere vivace sia per le carni
piuttosto gustose, qualità che la rendono una preda molto ambita. Ciò si è
tradotto ben presto in un interesse da parte del mondo della pesca nel migliorarne la potenzialità piscatoria nei luoghi dove era già presente ed eventualmente introdurla dove si riteneva che si potesse adattare, quindi in corsi d’acqua montani perenni dove l’acqua rimane a temperature basse lungo tutto il
corso dell’anno. Iniziarono così fin dall’Ottocento le prime semine di trote,
inizialmente con materiale reperito in ambito locale, poi via via sempre più
ampio, man mano che le esigenze di mercato aumentavano in relazione alle
richieste di trote fresche per il consumo. Le segnalazioni storiche riferite al
secolo XIX sono quindi da considerarsi meno attendibili come indice di
autoctonia della specie in quella specifica zona ed ancor meno lo sono quelle
del XX secolo, in cui la pratica delle semine diviene diffusissima.
Per comprendere quanto sia antica la preoccupazione di veder un corso
completamente o quasi depauperato delle sue risorse ittiche e della conseguente pratica del ripopolamento, in modo specifico legato alla trota, è interessante
riportare la testimonianza del Tramontani che così indica la presenza della specie e la necessità di ricostituirne le popolazioni là dove è scomparsa per mano
E. S. PICCOLOMINI, I Commentarii , libro IX, L. Totaro (a cura di), Roma, I ed., 1584.
G. VALDRÉ, L’eden murato, Firenze, Prov. Firenze, Assessorato Agricoltura Caccia e Pesca, 2004.
13
G. BATINI, Il fiume racconta, Firenze, Bonechi, 1993.
11
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dell’uomo: «... il più singolare è la Trota, che si pesca nelle chiare, fredde, e
sassose acque dell’Alpi di Camaldoli, e della Falterona, ed una volta nel Fiume
Oja di Paiano, che per una Legge Medicea fu bandito per la pesca di tal pesce,
ma che ora poco, o punto ne nutre, perchè i prossimi abitatori con la loro
ingordigia ne hanno spenta la razza, che però facilmente si potrebbe ricondurre
con l’arte, giacché il luogo è adattato alla vita di questo squisito Pesce.»14
Repetti rileva più volte nel suo Dizionario Geografico la prelibatezza delle
carni della trota, mettendo in evidenza in questo modo l’interesse gastronomico di questa specie. In questa opera ne viene citata la presenza nei Torrenti
Aulella e Frigido, ora in provincia di Massa-Carrara (insieme ad anguille e
lamprede) e nei Torrenti Lima e Sestaione nella Toscana nord occidentale; nel
XV secolo, in occasione della festa di S. Giovanni Battista venivano pagate
all’Opera di S. Maria del Fiore 25 libbre di trote provenienti dal Casentino.15
Come già sottolineato, l’interesse per questo pesce ha fatto sì che divenisse
oggetto di semine, a volte terminate con la costituzione di popolazioni ben
strutturate, ossia con rappresentanti di ogni taglia, e che quindi potevano apparire anche autoctone; oppure semine semplicemente ripetute con regolarità allo
scopo di costituire la riserva per il prelievo dovuto alla pesca. Ciò comunque si
è tradotto in un inquinamento che ha portato alla ibridazione e alla graduale
sostituzione da parte delle trote di ceppo atlantico nei confronti delle trote di
ceppo mediterraneo. Si può citare come esempio di uno dei primi allevamenti
quello sorto a Panna nel 1889 ad opera del marchese Torrigiani.16
Tuttavia, la prima descrizione della morfologia della trota in territorio toscano viene fornita nel 1871 da Apelle Dei (1819-1903),17 preparatore del
Museo fisiocritico e del Gabinetto di Anatomia Comparata a Siena, che si
sofferma su caratteristiche macchie brune sul dorso e sui fianchi dell’animale
(ben diverse da quelle che osserviamo oggi sulla livrea delle trote, decisamente di colore rosso), e che si riconducono alla trota macrostigma, che da un
punto di vista genetico apparteneva al ceppo mediterraneo.
Oggi il ceppo mediterraneo è quasi totalmente scomparso in Toscana, fatta
eccezione per alcune popolazioni del Fiume Serchio in provincia di Lucca;
secondo quanto rilevato nel corso di analisi genetiche a carico del DNA
mitocondriale e di quello nucleare, il ceppo atlantico ha gradualmente sostitu14
L. TRAMONTANI, Biblioteca cristiano-filosofica decennio primo, anno terzo, vol.XIV. Che contiene l’Istoria
Naturale del Casentino con la vera Teoria della Terra del Dottore Luigi Tramontani di Prato Vecchio,
Firenze, Stamperia della Carità, 1801.
15
E. REPETTI, Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, cit. pag. 4.
16
F. NICCOLAI, Mugello e Val di Sieve, Borgo San Lorenzo (Firenze),Officina Tipografica Mugellana, 1914.
17
A. DEI, Ittiologia, Piscicoltura e Pesca nella Provincia Senese, Siena, Tip. di A. Moschini, 1871.
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ito quello mediterraneo18 per le continue immissioni di trote che sono state
effettuate con esemplari che presentavano le caratteristiche morfologiche della
trota macrostigma, ma che in realtà erano ormai in gran parte di ceppo atlantico. Si tratta ovviamente di un caso estremamente subdolo di ‘introduzione di
un alieno’, difficilmente prevedibile ed anzi in parte dovuto proprio alla legittima volontà degli Enti gestori della pesca di salvaguardare la fauna autoctona.
Il carassio dorato, Carassius auratus (Linnaeus 1758), meglio conosciuto
come “pesce rosso”, è una specie proveniente dall’Asia che fa il suo ingresso
in Italia, forse arrivando in epoca sconosciuta non dai luoghi di origine ma dal
Brasile,19 anche se a tal proposito molti autori hanno espresso qualche dubbio.
Si tratta di una specie la cui morfologia allo stato selvatico è stata largamente
modificata, essendo oggetto di selezione in Cina e Giappone già a partire dal
VI e VII secolo dopo Cristo a scopo ornamentale: il prodotto di tale pratica è
sfociato in numerosissime varietà, alcune altamente aberranti, come per esempio la forma Oranda quasi totalmente cieca, o altre esoftalmiche o ancora con
pinne e coda sovradimensionate o doppie.20 Si trova in tutte le acque nella
forma selvatica rossa o grigia simile a Carassius carassius anch’esso presente
nelle nostre acque interne.
Il cobite, Cobitis tenia (Linnaeus 1758), è una piccola specie già presente
nelle acque interne italiane ma alloctona per il territorio toscano. Largamente
utilizzata come esca viva per la pesca ai predatori, fu precocemente introdotta
nel nostro distretto ittiogeografico: nel 1889 compare a Latina21 ed è adesso
reperibile in tutte le acque toscane. (Fig. 3)
Il barbo canino, Barbus caninus (Bonaparte 1839), è autoctono del distretto ittiogeografico padano-veneto (o regione padana, secondo la recente revisione geografica di Zerunian).22 Come già accennato la Toscana ricade in gran
parte del distretto tosco-laziale (o, secondo la medesima revisione, regione
18
F. NONNIS MARZANO - N. CORRADI - R. PAPA, - J. TAGLIAVINI - G. GANDOLFI, Molecular evidence for introgression
and loss of genetic variability in Salmo (trutta) macrostigma as a result of massive restocking of Apennine
populations (Northern and Central Italy), «Environmental Biology of Fishes» 68 (2003), pp. 349–356. M.
LORENZONI - MAIO G. - F. NONNIS MARZANO, Stato attuale delle conoscenze sulle popolazioni autoctone di
trota in Italia: necessità di un approccio integrato. Present knowledge on the native trout populations in
Italy: needs of an integrated approach, « Quaderni ETP »,33 (2004), pp. 1-12.
19
R. L. WELCOMME, International introductions of inland aquatic species. FAO Fish. Tech. Pap., No. 294,
1988.
20
S. C. CHEN, A History of the domestication and the factors of the varietal formation of the common
goldfish,Carassius auratus, «Scientia sinica», V, (1956 ), pp. 287-321.
21
A. NOCITA - S. VANNI, Cataloghi del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze. XIX. Actynopterigi,
Cypriniformes. «Atti. Società Toscana di Scienze Naturali» CVI, (1999), pp. 115-130.
22
S.ZERUNIAN,. Condannati all’estinzione? Biodiversità, biologia, minacce e strategie di conservazione dei
Pesci d’acqua dolce indigeni in Italia. Bologna, Edagricole, 2002.
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Italico-peninsulare, che comprenderebbe anche gran parte dell’Italia meridionale) ma nel 2001 fu pescato nei Torrenti Mugnone e Terzolle, alla periferia fiorentina.23 Pur trattandosi di una specie proveniente dal territorio
nazionale è quindi da considerarsi un alieno a tutti gli effetti, anche se non
sono stati evidenziati problemi particolari legati alla sua presenza in territorio toscano.
Il persico trota, Micropterus salmoides (Lacépède 1802), invece proviene dal nord d’America e nel 1897 fu introdotto in nord Italia,24 in località
sconosciuta. Nel 1998 è stato catturato nel Fiume Arno,25 nel pieno centro di
Firenze. Formidabile predatore, la sua carne è piuttosto apprezzata ma fu probabilmente introdotto come stabilizzatore delle comunità di ciprinidi e riveste
un notevole interesse per la pesca sportiva. (Fig. 4)
Il persico sole, Lepomis gibbosus (Linnaeus 1758), viene introdotto in Italia nel 1900 e precisamente nel Lago di Comabbio, ora in provincia di Varese.26
Risalirebbe invece a qualche decennio più tardi, nel corso della seconda guerra
mondiale, l’introduzione in Arno.27 Si tratta di una specie piuttosto comune
anche se si registra un calo delle popolazioni locali negli ultimi anni. Non ha
grande interesse per la pesca sportiva e viene raramente consumato. (Fig. 5)
Il pesce gatto comune, Ameiurus melas (Rafinescque 1820), proveniente
dal nord America, è ormai ospite dei nostri corsi d’acqua fin dai primi del
secolo, introdotto in Italia centrale a scopo alimentare.28 Nel 1998 ne è stata
accertata la presenza nel Fiume Arno29 ma la sua introduzione risalirebbe a
diversi decenni fa. Viene ancora consumato in alcune zone d’Italia ed è oggetto di pesca sportiva.
Il pesce gatto punteggiato, Ictalurus punctatus (Rafinescque 1818), proviene anch’esso dal nord America e venne pescato per la prima volta nel 1998
nel Fiume Arno.30 Si tratta di un predatore che raggiunge anche dimensioni
ragguardevoli (un metro circa). La sua riproduzione in acque libere della Toscana è stata ormai accertata e le segnalazioni di catture di questa specie fanno
23
A. NOCITA, Carta ittica della Provincia di Firenze, Firenze, Prov. Firenze, Assessorato Agricoltura Caccia
e Pesca - Museo Storia Naturale dell’Università di Firenze, Sez. Zool. “La Specola”, 2002.
24
R. L. WELCOMME, International introductions of inland aquatic species, cit. pag. 9.
25
A. NOCITA, I Pesci dell’Arno fiorentino, Firenze, Provincia di Firenze, 2001.
26
E. TORTONESE, Osthechthyes II. Fauna d’Italia vol. XI. Bologna, Calderini, 1975.
27
P. L. BRUNETTI in verbis.
28
A. ROSSI - B. BERTOLINI - E. CATALDI - S. CATAUDELLA - F. R. FELICI - G. GENTILI - C. LEONI - P.MELOTTI - G.
MONACO - D. SCOESINI - L. SOLA - A. M. ZACCHEI, Atlante anatomico del pesce gatto (Ictalurus melas Raf.),
Progetto finalizzato del Ministero Agricoltura e Foreste, “Sviluppo dell’Acquacoltura Nazionale”, Sottoprogetto
“Piscicoltura d’acqua dolce”, 1988.
29
A. NOCITA, I Pesci dell’Arno fiorentino, cit. pag. 10.
30
A. NOCITA, I Pesci dell’Arno fiorentino, cit. pag. 10.
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pensare che stia costituendo popolazioni consistenti soprattutto nel basso corso dell’Arno. È unicamente oggetto di pesca sportiva.
La pseudorasbora, Pseudorasbora parva (Schlegel 1842), è un piccolo
ciprinide di pochi centimetri, proveniente dall’Asia e introdotto in Italia per la
prima volta nel 1990, in Emilia Romagna31 e alla fine degli anni novanta fu
catturato nel tratto fiorentino del Fiume Arno.32 Si tratta di una specie dalle
notevoli capacità riproduttive, difficilmente eradicabile, e non particolarmente
apprezzato dai pescatori. (Fig. 6)
Più o meno delle medesime dimensioni è il rodeo, Rhodeus sericeus (Pallas,
1776), che nel 1990 viene introdotto in Italia e precisamente in Emilia
Romagna.33 Nel 2004 la sua presenza è stata contemporaneamente accertata a
Villa Demidoff 34 e nel Torrente Marina, presso Calenzano, vicino a Firenze,
dove è rappresentato da una popolazione consistente.35 La sua introduzione è
probabilmente da considerarsi accidentale, dato che non è d’interesse per la
pesca sportiva e non viene consumato a causa delle sue carni amare. (Fig. 7)
La lasca, Chondrostoma genei (Bonaparte 1839), è un ciprinide di media
taglia, di abitudini alimentari vegetariane e molto comune nelle nostre acque,
specialmente in tratti a bassa quota dove vi siano abbondanti alghe sul fondo.
Il suo distretto originario di provenienza è il padano-veneto. È molto difficile
individuare il periodo di introduzione nella nostra regione, non esistendo alcuna documentazione in merito. A questo si aggiunge l’ambiguità della
nomenclatura comune, dato che in Toscana con il termine “lasca” si intende
spesso anche il giovane di cavedano, e quindi anche le testimonianze verbali
possono essere fuorvianti per quel che riguarda la memoria storica della presenza di questa specie nei nostri corsi d’acqua.
Il ghiozzo padano, Padogobius bonellii (Bonaparte 1846), come suggerisce il nome proviene dal nord Italia e la sua presenza è stata segnalata per la
prima volta nel Fiume Arno nel 1998.36 Non si tratterebbe in realtà di una
specie particolarmente pericolosa dato che misura pochi centimetri e si nutre
31
L. SALA-A.SPAMPANATO, Prima segnalazione di Pseudorasbora parva in acque interne Italiane, «Rivista di
Idrobiologia», 29 (1991), pp. 461-467.
32
S. VANNI - A. NOCITA - N. FORTINI, Sulla presenza di Pseudorasbora parva (Schlegel, 1842) in Toscana
(Actinopteygii, Cypriniformes, Cyprinidae). «Atti Mus. Stor. nat. Maremma», 16 (1997), pp. 73-74.
33
I. CONFORTINI, Presenza del rodeo amaro Rhodeus sericeus (Pallas, 1776), nel fiume Menago (Provincia
di Verona) (Pisces, Cyprinidae). «Bollettino del Museo Civico di Storia Naturale di Verona», 16 (1990), pp.
329-332.
34
M. BECATTINI (a cura di), Il sogno del Principe, The Prince’s dream, Il parco Mediceo di Pratolini, The
Medici Park at Pratolino, Firenze, Polistampa, 2006.
35
A. NOCITA, inedito.
36
A. NOCITA, I Pesci dell’Arno fiorentino, cit. pag. 10.
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di piccoli invertebrati. Tuttavia la sua presenza è da considerare dannosa per la
specie endemica, il ghiozzo dell’Arno, che, se pur di dimensioni mediamente
più grandi, è meno aggressiva e viene presto soppiantata dalla specie invasiva.
L’introduzione del ghiozzo padano è probabilmente dovuta alla sua presenza
nel materiale da semina utilizzato per ripopolare i corsi d’acqua. (Fig. 8)
La blicca, Blicca bjorkna (Linnaeus, 1758), viene catturata per la prima
volta in acque interne nazionali alla fine del secolo scorso, ma passano alcuni
anni prima che compaia in Toscana, segnalata per la prima volta nel 2004 nel
Padule di Fucecchio,37 che ricade sia in provincia di Pistoia sia in quella di
Firenze. È una specie di dimensioni medie, molto simile all’abramide, anch’essa presente nelle nostre acque, ma estremamente più rara. (Fig. 9)
Il barbo spagnolo, Barbus graellsii (Steindachner 1866), di medie dimensioni e proveniente dalla penisola iberica, viene descritto per la prima volta in
acque libere italiane proprio nella nostra regione: alcuni esemplari vengono
catturati nel biennio 1994-1995 nei Torrenti Ombrone, Fiora, Albegna e Bruna
nella Toscana meridionale.38 La sua introduzione è forse dovuta alla presenza
nel materiale da semina di altre specie di barbo.
Il siluro europeo, Silurus glanis (Linnaeus 1758), il cui areale di distribuzione originario comprende gran parte dell’Europa orientale, compare
per la prima volta in Italia nel 1957, nel Fiume Adda,39 ma probabilmente
si tratta di catture di esemplari immessi da poco, che non hanno ancora
costituito popolazioni stabili, capaci di riprodursi. Si ritiene che la sua
naturalizzazione nel territorio nazionale sia stata più tardiva, negli anni
settanta.40 La sua prima cattura nel Fiume Arno è del 1998, nel tratto cittadino, a Firenze.41 Si tratta di un temibile ittiofago che raggiunge dimensioni
impressionanti, fino a qualche metro. È stato probabilmente introdotto intenzionalmente, anche se non proprio legalmente, giacché viene considerato una
preda interessante ed è ora presente lungo tutto il Fiume Arno e in alcuni dei
suoi affluenti, come per esempio nell’invaso artificiale di Bilancino, sul Torrente Sieve. (Fig. 10)
37
A. BARTOLINI - A. NOCITA - S. BARTALI - G. PINI - V. VIGIANI - M. FRANZESE - A.VEZZANI, Studio per la salvaguardia della biodiversità del SIR Padule di Fucecchio. Pubblicato su http://www.zoneumidetoscane.it/eventi/
padeventi.html, 2004.
38
P. G. BIANCO, Factors affecting the distribution of fishes especially in Italy, cit. pag. 4.
39
P. MANFREDI, Cattura di un Silurus glanis nell’Adda presso Lecco. «Natura», 48 (1957), pp. 28-30.
40
G. GANDOLFI - M.GIANNINI, La presenza di Silurus glanis nel Fiume Po. «Natura», 70 (1-2), (1979), pp. 36.
41
A. NOCITA, I Pesci dell’Arno fiorentino, cit. pag. 10.
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LE INTRODUZIONI DI PESCI ALIENI NELLE NOSTRE ACQUE: TRA NECESSITÀ E GIOCO
CONCLUSIONI. Il periodo storico che va dal XII al XVIII secolo vede come
protagoniste delle introduzioni in Toscana due specie: la carpa e la trota.
L’epoca di introduzione della carpa in Italia risulta dunque controversa e
questo studio non intende certo essere risolutivo ma vorrebbe semmai essere
da stimolo ad approfondire l’argomento, dato per scontato per diversi decenni
e che invece meriterebbe migliore attenzione per i risvolti sociali, storici ed
economici che accompagnano la diffusione di una specie che ha rivestito e
riveste grande importanza nella fauna ittica delle acque interne. È probabile
anche che più ampie ricerche porterebbero a delineare meglio la storia dell’allevamento delle specie di acqua dolce sul nostro territorio e la successiva diffusione in acque libere.
Per quanto riguarda la trota invece, benché gli studi di genetica siano ancora in corso e potrebbero quindi rivelarci altri particolari sulle popolazioni ora
presenti sul suolo nazionale, il quadro è ben delineato, dato che questa specie
era presente su gran parte della nostra regione ma a causa del suo pregio in
termini alimentari e di pesca sportiva le sue popolazioni hanno subito ampi
rimaneggiamenti a livello di patrimonio genetico a causa delle massicce e diffuse semine con materiale non locale. La storia della sua distribuzione, che è
possibile ricostruire grazie ai numerosi documenti ad essa dedicati, ci permette
comunque oggi di comprendere meglio l’importanza della specie nella vita e
nell’economia della Toscana.
Il periodo che va dal XIX secolo alla metà del secolo scorso vede diversi
ingressi di specie aliene, sia provenienti dal territorio nazionale sia dall’estero,
e si tratta quasi sempre di animali che hanno uno scopo alimentare oppure
decorativo e comunque un evento non fortuito che ha una sua precisa motivazione.
Tipico invece di questi ultimi anni è l’aumento davvero vertiginoso del
tasso di ingresso di specie aliene, fenomeno peraltro non esclusivo della fauna
ittica d’acqua dolce.
Il fenomeno delle introduzioni di specie aliene all’interno di un certo territorio è, come è stato illustrato, piuttosto complesso e necessita la comprensione di fenomeni storici, sociali, economici ed biologici.
La motivazione di questo tipo di studi ricade quindi non unicamente nella
mera curiosità di sapere quali specie popolino le nostre acque, ma anche di
comprendere quali conseguenze porta un simile ingresso e quali siano le ricadute in termini di linee di gestione e di necessità di approfondimento della
ricerca scientifica mirata ad arginare tale fenomeno.
Le specie introdotte infatti spesso non si limitano a ‘vivere in pace’ nel
nuovo contesto come si pensava (o forse si sperava) fino a qualche anno fa, ma
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ANNAMARIA NOCITA
- MARTA POGGESI
entrano in competizione alimentare, spaziale o di predazione nei confronti delle specie autoctone sia animali che vegetali, in breve con l’ambiente in toto, ed
è necessario quindi porre un freno a tale fenomeno.
Il quadro che emerge da questa ricerca è che l’introduzione non è quasi mai
una necessità, se non nelle sue prime manifestazioni storiche, ma è frutto di
una leggerezza: si cerca di migliorare la potenzialità piscatoria di una specie e
se ne introduce un’altra. Oltretutto i biologi non sono ancora riusciti ad elaborare metodi efficaci per l’eradicazione e difficilmente i tentativi di controllo di
queste specie riescono ad essere davvero d’aiuto per la loro definitiva eliminazione. Per ora l’unico modo per evitare che le specie autoctone si debbano
trovare a lottare per continuare ad esistere è di controllare in modo efficace che
le aliene non facciano il loro ingresso. La soluzione, almeno per ora, è tanto
semplice quanto esplosiva per le ripercussioni che questo può significare in
termini di danni alla pesca delle acque interne: fermare le semine di qualsiasi
tipo e a qualsiasi titolo.
L’arrivo delle specie esotiche in Toscana è quasi sempre preceduto dall’ingresso in nord Italia e questo ci pone in un vantaggio temporale tale da poter
prendere delle contromisure adeguate, a patto di monitorare continuamente il
territorio. I sistemi conosciuti di eradicazione totale di una specie funzionano
esclusivamente in ambiente confinato e quindi almeno quanto di estraneo alla
fauna ittica è presente per esempio in invasi di piccole dimensioni potrebbe
essere, non senza qualche sforzo, eliminato prima che si diffonda.
È bene comunque tenere presente che non si tratta di una “guerra agli invasori”, ma di un complesso problema ecologico da noi creato e che necessita di
ogni sforzo per essere risolto evitando le mattanze, dato che, se pur scomodi
ospiti, si tratta di esseri viventi.42
42
Le autrici intendono ringraziare la Provincia di Firenze per l’invito ricevuto a partecipare al convegno e
soprattutto per la fiducia accordata in questi anni finanziando diversi progetti aventi come oggetto proprio lo
studio della fauna ittica e che hanno permesso l’avvio e l’approfondimento di un vasto quadro conoscitivo.
Non da meno sono state le Associazioni di pescatori che hanno sempre accordato il loro appoggio e reso
logisticamente possibili alcuni rilievi, oltre naturalmente a tutti quelli che a vario titolo hanno fornito e continuano a tutt’oggi a fornire segnalazioni, letteratura e notizie varie.
Un grazie davvero sentito a Saulo Bambi, versatile, appassionato e professionalmente ineccepibile fotografo
del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze che ha reso possibile l’ampia documentazione
iconografica relativa alla fauna ittica, raccolta in questi anni presso la Sezione Zoologica “La Specola”.
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