RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 15 settembre 2014 (Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti) Indice articoli REGIONE (pag. 2) Mille lavoratori in bilico negli enti di formazione (Piccolo) Il centrodestra unito sulle pensioni (Piccolo) Oggi l’Autonomia è più responsabilità e meno contributi (M. Veneto, sabato 13 settembre) Confindustria bacchetta Belci: attacco fuori luogo ad Agrusti (M. Veneto, domenica 14 settembre) Roma annuncia l’accordo sulle finanze (Piccolo, sabato 13 settembre) Patto fiscale con Roma, in ballo 900 milioni (Piccolo, domenica 14 settembre) Danieli, il monito di Benedetti: cambiare finché siamo in tempo (Gazzettino, dom. 14 settembre) Via l'esenzione dal ticket ai malati cronici benestanti (Gazzettino, domenica 14 settembre) CRONACHE LOCALI (pag. 8) Altri 1.400 finiti in strada: senza fine la crisi di lavoro (Piccolo Trieste) Riparte la scuola e subito scatta il primo sciopero (M. Veneto Pordenone) Istruzione a rischio per i nuovi poveri (Gazzettino Pordenone) REGIONE Mille lavoratori in bilico negli enti di formazione di Roberto Urizio TRIESTE Per alcuni siamo in una vera e propria emergenza, altri sono meno disfattisti, ma non nascondono una certa preoccupazione. Il mondo degli enti di formazione professionale del Friuli Venezia Giulia sta vivendo una fase complessa: la crisi economica avrebbe potenzialmente aumentato la platea di persone che potrebbero usufruire di percorsi formativi, eppure cassa integrazione e contratti di solidarietà toccano anche questo settore, costretto a una spending review e sferzato da venti di tagli, pur essendo la regione, con la seconda minore proporzione tra enti formativi accreditati (43) e popolazione, dietro alla sola Emilia Romagna. La presidente della Regione, Debora Serracchiani, nei mesi scorsi ha ipotizzato la possibilità di diminuire il numero di questi enti i quali, a loro volta, lamentano lungaggini nella programmazione per il periodo 2014-2020 del Fondo sociale europeo (la principale fonte di sostentamento del settore) e la mancanza di un politica in questo campo da parte della giunta regionale. La formazione professionale occupa attualmente meno di un migliaio di dipendenti a cui si aggiungono circa tremila tra insegnanti a contratto e almeno altrettanti operatori dell’indotto. La situazione di riduzione delle risorse e di mancanza di interventi normativi per riformare il settore, metterebbe a rischio un quarto di questi posti di lavoro. Poco meno di mille, dunque. «Abbiamo fatto ricorso ad ammortizzatori sociali e avviato una razionalizzazione amministrativa molto forte» spiega il presidente dello Ial, Elvio Di Lucente, esponente della Cisl che sottolinea come negli ultimi due anni il suo istituto abbia visto ridursi le risorse dal canale europeo (ci sono poi quelle regionali relative alla cosiddetta “prima formazione” per i ragazzi che vengono dalla scuola dell’obbligo) di oltre la metà. «Abbiamo il sistema formativo probabilmente migliore in Italia relativamente agli esiti – sostiene Di Lucente – e siamo pronti ad affrontare la sfida di mantenere questi livelli di qualità anche con meno risorse. La Regione sta facendo la sua parte sul piano dei fondi di sua competenza ma servono scelte politiche per evitare il rischio di perdere risorse». Un’opera di “dimagrimento” e razionalizzazione della spesa è accettato, meno l’ipotesi di tagliare enti di formazione: «Siamo in 43, in Trentino Alto Adige sono oltre 100 e in Veneto più di 500» esemplifica Di Lucente e altri sottolineano come almeno metà degli enti del Friuli Venezia Giulia siano legati alle associazioni di categoria, lasciando quindi una ventina di istituti davvero “tagliabili”. «Chiederemo alla presidente della Regione di partecipare a un convegno sul tema in modo da poter chiarire le sue affermazioni “stereotipate”» annuncia Di Lucente. Più che di tagli agli enti di formazione, i protagonisti del settore chiedono interventi per ridurre la burocrazia (tra gli adempimenti previsti c’è anche la fidejussione bancarie a garanzia di fondi pubblici) e per ottimizzare le risorse: ad esempio, ad oggi vengono premiata, nell’assegnazione di risorse, le strutture più grandi quando invece, in una fase di ristrettezze, sarebbe più utile avere sedi e laboratori condivisi, così come andrebbe incentivata la formazione, in campo industriale ma anche nel terziario, nelle aziende prima che in aula. Servono quindi modifiche alla legge del settore e ai regolamenti attuativi: «Siamo consapevoli che il bilancio è magro anche per la Regione, - afferma Di Lucente – per questo servono scelte sul piano politico e siamo convinti che l’amministrazione saprà prenderle». Anche se trapela, nel mondo della formazione professionale, il timore che ci sia la volontà di tornare a un modello di formazione pubblica come ai tempi dell’Irfop. Che, sottolineano alcuni esponenti del settore, costava il doppio e non otteneva i risultati di oggi, considerando che la percentuale di inserimento al lavoro dei giovani alla fine dei percorsi di formazione professionale è del 70%. Panariti: «L’ipotesi di aggregazioni non è tabù» TRIESTE «Entro la fine del prossimo anno metteremo mano alla legge regionale sulla formazione professionale». L’assessore con deleghe al Lavoro e alla Formazione professionale Loredana Panariti non lascia cadere il grido d’allarme degli enti formativi del Friuli Venezia Giulia. Al contrario, Panariti assicura che l’attenzione della Regione in questo campo strategico non è mai venuta meno e annuncia il cambio delle norme in vigore «in linea con il cambiamento che stiamo attuando sul tema del lavoro con il ripristino dell’Agenzia regionale». Se la situazione attuale è in una fase di rallentamento, spiega ancora l’assessore regionale, «ciò è dovuto al fatto che siamo in una fase di transizione tra la programmazione 2007-2013 del Fondo Sociale Europeo e quella successiva». «La fase di passaggio continua Panariti - è sempre piuttosto critica ma questo non significa che l’amministrazione regionale stia trascurando questo settore. Anzi, per quanto ci riguarda, non c’è alcuna intenzione di tagliare le risorse, in particolare sulla formazione post-obbligo». La partenza del programma “Garanzia giovani” e l’intervento da 12 milioni di euro come anticipo della futura programmazione Fse, secondo l’assessore, sono la dimostrazione concreta della volontà di non mollare la presa. E il paventato taglio degli enti di formazione professionale che mette in allarme, a vario titolo, settemila persone? «Una riflessione sul sistema del Friuli Venezia Giulia può essere fatta, in virtù del calo delle risorse comunitarie e del mutato scenario nel mondo del lavoro. La formazione professionale regionale è buona ma un ragionamento in prospettiva sulla possibilità di favorire le aggregazioni e le collaborazioni va fatto. Da questi presupposti partirà il lavoro di redazione della nuova legge del settore». (r.u.) Il centrodestra unito sulle pensioni TRIESTE I consiglieri regionali di Forza Italia, Lega Nord, Nuovo Centrodestra ed Autonomia responsabile, primi firmatari il forzista Rodolfo Ziberna e la leghista Barbara Zilli, hanno presentato una proposta di referendum abrogativo della legge Fornero, precisamente dell’articolo 24 (Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici) del decreto legge “Disposizioni urgenti per la crescita, per l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” poi convertito, con modificazioni, dalla legge 214 del 2011. «La richiesta di referendum abrogativo, ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione, è stata già approvata dal Consiglio regionale della Lombardia. Lo scopo - spiega Ziberna - è quello di promuovere analoga adozione legislativa da parte di altri quattro Consigli in modo da poter promuovere un referendum abrogativo dell’articolo 24. La cosiddetta Manovra Salva Italia, contenente l’articolo 24 oggetto della nostra proposta, ha introdotto numerose modifiche alla normativa in materia di trattamenti pensionistici e tra gli aspetti più criticati ed iniqui anche l’innalzamento dell’età pensionabile e il blocco della rivalutazione automatica per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo Inps». «È una legge inaccettabile e dannosa – rincara Zilli - perché ostacola drasticamente l’accesso dei giovani al mondo del lavoro, blocca in modo irreversibile la possibilità di rilancio del mercato del lavoro senza poi parlare del dramma degli esodati. La Lega Nord ha raccolto e depositato oltre 570.000 firme per l’indizione del referendum abrogativo a testimonianza della plateale iniquità della Legge Fornero, oggi confermata con l’iniziativa che proponiamo». La proposta referendaria propone di abrogare integralmente la riforma delle pensioni introdotta dal governo Monti, ripristinando, di conseguenza, la normativa precedente (65 anni di età – uomini e donne - e 20 anni di contributi per la pensione di vecchiaia o 40 anni di contribuzione a prescindere dall’età anagrafica per la pensione di anzianità). Oggi l’Autonomia è più responsabilità e meno contributi (M. Veneto, sabato 13 settembre) di SUSANNA CAMUSSO La manifestazione nazionale del Primo maggio, organizzata quest'anno a Pordenone, aveva lo scopo di sottolineare la gravità della crisi economica, sostenere le tante vertenze aperte, a cominciare da quelle dei lavoratori di Electrolux e Ideal Standard, e di esprimere concretamente la solidarietà di Cgil, Cisl, Uil ad un intero territorio che rischiava di vedersi espropriato del suo cuore produttivo preso a simbolo di una regione e un Paese attraversati da profonde crisi industriali. Quella scelta fu un buon viatico, almeno per risolvere la vertenza nell'azienda svedese, mentre per Ideal Standard, dove la discussione è ancora aperta, confido sul fatto che la Regione sosterrà con convinzione quanto i lavoratori hanno intrapreso. Ognuno ha fatto la parte che gli spettava: Cgil, Cisl, Uil e le loro categorie, le Rsu, gli Enti locali, la Regione stessa. Assieme, per la prima volta, si è impedito che una risoluzione prospettata da una multinazionale su uno stabilimento portasse a una chiusura e a un ridimensionamento della sua presenza sul territorio. Il fatto che tutto questo accadesse in una Regione a Statuto speciale, e per di più mentre infuriava la polemica per la decisione della Giunta Serracchiani di abolire le Province, ci suggerì una riflessione: l'autonomia e l'architettura istituzionale rischiano di essere strumenti insufficienti o addirittura inadeguati rispetto alle condizioni e alle dinamiche che la crisi mette in atto. Cosa resterebbe della provincia di Pordenone senza Electrolux, Ideal Standard, e altre medie aziende che hanno fatto la storia e hanno dato un'anima a questa area? E quale sarebbe il destino degli altri territori se venissero a mancare le forze produttive che hanno costruito negli anni la loro specializzazione e il loro benessere? C'è un'altra questione messa in luce dalla crisi. È finita una stagione della "specialità", quella che coincideva con maggiori trasferimenti o compartecipazioni erariali che hanno spesso surrogato un vero spirito autonomista, basato sull'ampliamento del perimetro della democrazia, sulla partecipazione, sull'esercizio della responsabilità. È, invece, quest'ultimo il terreno che va oggi recuperato. Non si tratta, del resto, di un territorio ignoto: dopo il terremoto del 1976 fu esercitata una straordinaria azione di coesione territoriale e istituzionale, e di collaborazione virtuosa con lo Stato che segnò un'inversione di tendenza nella storia del Friuli Venezia Giulia. È guardando a come sono state risolte le situazioni di grande difficoltà che abbiamo incontrato in questi anni che si può capire dove e come possa essere oggi esercitata un'autonomia non necessariamente legata alle potestà legislative o alla produzione normativa. La crisi Electrolux è stata risolta attraverso l'uso coordinato di strumenti legislativi e amministrativi locali e regionali, e attraverso la contrattazione delle categorie. Sulla Ferriera di Trieste è stata determinante la capacità di tenere assieme strumenti amministrativi, finanziari e industriali, il coraggio di un imprenditore e la volontà di perseguire la collaborazione tra istituzioni e sindacato. Sulla sanità la Regione ha avviato una coraggiosa sperimentazione coinvolgendo tutti gli attori, e in particolare il Sindacato. Sull'industria sono in dirittura d'arrivo due ddl frutto, più che della potenza delle norme, di un confronto fitto ed esteso, esercitato in tempi certi, con le Organizzazioni sindacali e quelle imprenditoriali. Sul Porto di Trieste, bloccato in un immobilismo non più sostenibile, non serve la specialità ma il rispetto delle norme e dei contratti, e la consapevolezza del Governo che si rischia di depotenziare lo scalo proprio quando ci sarebbero le condizioni per rilanciarlo. Ritengo sia necessario uscire da una concezione per la quale specialità vuol dire soprattutto più soldi, più leggi, più regolamenti e più burocrazia. Occorre delegificare, trovare strumenti attuativi diversi più agili, leggeri e capaci di velocizzare i processi, modificare la macchina pubblica orientandola alla cultura della responsabilità e del risultato più che al controllo burocratico e alla moltiplicazione delle procedure. La Cgil da tempo sta lavorando in questa direzione ed è pronta ad affrontare non solo il confronto, ma le scelte organizzative che il rinnovamento della macchina pubblica richiede. Va però osservato che i migliori risultati si ottengono quando la discussione tra governo e sindacati è più fitta e intensa, che non significa lunga e dispersiva, come le esperienze citate dimostrano. Non ci formalizziamo sui termini, guardiamo la sostanza e i risultati. In un momento di grave difficoltà nei rapporti col governo, proprio l'esperienza di questa Regione può essere utile per recuperare un dialogo che appare tanto più necessario quanto più grave è la situazione che il Paese è chiamato ad affrontare. Anche in Friuli Venezia Giulia non è stato e non sarà semplice. Basta ricordare le aspre polemiche, poi ricomposte, tra la Cgil del Fvg e la Giunta per comprendere che ognuno, nell'esercizio delle proprie funzioni, ha un dovere e un mandato da compiere. Ma così dev'essere il rapporto tra sindacato ed esecutivo: consenso sulle scelte condivise, contrapposizione su quelle che non lo sono. L'Italia è una situazione di grande difficoltà. La crisi economica e sociale si scarica in primo luogo sui lavoratori e sui pensionati. Sono loro i primi a subirne le conseguenze e a pagare i costi del risanamento. Sono le persone in carne e ossa che hanno costruito il miracolo italiano sulle quali contare per ricostruire il futuro del nostro Paese. Sono gli oltre 12 milioni di iscritti a Cgil, Cisl e Uil che difendono il loro lavoro, le loro pensioni, i loro diritti, il loro futuro e quello dei propri figli. Sono cittadini che hanno bisogno di chiarezza e di coesione. Troppo spesso in nome di una governabilità "a prescindere" si nega il confronto reale ritenendolo dispersivo, lento e inadeguato; si costruiscono processi decisionali apparentemente più coinvolgenti che, tuttavia, non hanno alcun controllo democratico e che finiscono sempre, immancabilmente, per supportare le ragioni di chi governa. Se il problema sono le modalità, cambiamole insieme. Abbiamo la capacità e la fantasia per concordare processi decisionali veloci, democratici, concreti e partecipativi. Sarebbe invece un gravissimo errore scambiare l'idea giusta di autonomia della politica e la riconquista della sua centralità, con quella che rischia di essere sempre più una sorta di deleteria autoarchia politica. Confindustria bacchetta Belci: attacco fuori luogo ad Agrusti (M. Veneto, domenica 14 settembre) UDINE Fuori luogo la replica del segretario regionale della Cgil, Franco Belci, all’intervista al Messaggero Veneto del presidente di Unindustria Pordenone, Michelangelo Agrusti, che aveva sottolineato la necessità di mettere mano alla sperequazione tra stipendi pubblici e privati. Confindustria Fvg fa quadrato attorno al presidente pordenonese rimarcando che «il tono e le osservazioni del segretario della Cgil vanno oltre la normale dialettica che si richiede ai rappresentanti delle parti sociali. Le considerazioni di Agrusti - sottolinea Confindustria - hanno voluto essere di stimolo a una riflessione più ampia in un momento così delicato come l’attuale. Non si può negare che la gran parte della crisi l’abbia pagata il settore industriale, specie a livello di occupazione e riduzione dei salari, così come non si può negare che il Comparto unico non ha dato i risultati di efficienza ed efficacia che si prefissava. Per poter mantenere i livelli di benessere e di welfare faticosamente raggiunti, e per continuare ad essere una delle principali economie industrializzate - continua Confindustria - è necessario avviare un percorso che crei nuovamente le condizioni per una duratura crescita economica e per la creazione di valore. E su ciò vi deve essere l’impegno di tutti. Non ci pare conclude l’associazione - che le proposte avanzate, a suo tempo, da Pordenone siano state dettate da un’ideologia se non quella di cercare di aprire un costruttivo dialogo e confronto finalizzato alla tutela e salvaguardia del patrimonio industriale ed occupazionale del suo territorio; un contributo che è comunque servito a stimolare un’attenta riflessione sui punti di forza e debolezza del Paese». Roma annuncia l’accordo sulle finanze (Piccolo, sabato 13 settembre) di Gianpaolo Sarti TRIESTE Gli spazi di spesa, il Patto Tondo-Tremonti con i 270milioni di euro “congelati” che la Regione dovrebbe spedire ogni anno a Roma, e i tributi da pensione. La partita sui delicati rapporti finanziari tra il Friuli Venezia Giulia e lo Stato sta per sbloccarsi. «Nelle prossime settimane dovremo chiudere», ha dichiarato ieri il sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa a margine di una tavola rotonda della Cgil, a Trieste, moderata dal direttore del Piccolo Paolo Possamai e che ha visto la partecipazione della segretaria nazionale Susanna Camusso, del leader regionale Franco Belci, della presidente Debora Serracchiani, del costituzionalista Sergio Bartole e di Elena D’Orlando, componente della Commissione paritetica Stato- Regione. Il dibattito ha passato al setaccio le relazioni tra Stato e periferia, il ruolo delle regioni ordinarie e di quelle a Statuto speciale e le prerogative su sanità, trasporti ed enti locali: in una parola l’autonomia. Per il Fvg molto ora si gioca su quanto il potere centrale è disposto a ritrattare sul terreno economico. Un’autentica battaglia per Serracchiani. «Dobbiamo ridiscutere il sistema», ha rimarcato. La vicenda di qui a poco potrebbe trovare soluzione, stando alla posizione del governo. «Abbiamo maturato una serie di reciproci chiarimenti con il Friuli Venezia Giulia – ha reso noto proprio il sottosegretario – adesso stiamo mettendo a punto una proposta. La cosa si è un po’ rallentata (la conclusione era attesa in primavera, ndr) perché dobbiamo cercare risolvere anche con Trento, Bolzano e la Valle d’Aosta». Sul piatto pure le competenze. «Non è un problema – ha puntualizzato il sottosegretario – perché esistono già precedenti di chi, in cambio di funzioni, ha assunto costi che gravano sullo Stato. Fa parte della trattativa». Per il Fvg «siamo disponibili, ma ora va valutato cosa e quanto. Anche se – ha rilevato – con voi il quadro è più articolato, perché di mezzo c’è il Patto di stabilità e il superamento del Tremonti-Tondo su cui stiamo lavorando». Se il dibattito nazionale si è concentrato finora sulla “paura” per le regioni di perdere spazi di autonomia, il sottosegretario ha voltato la frittata: «Il problema non è smontare le speciali ma dare un'iniezione di specialità alle ordinarie», ha affermato. D’accordo Serracchiani: «Noi serviamo al Paese nel momento in cui esercitiamo bene la nostra specialità». Di qui l’appello di Belci: «È finita la stagione della specialità legata ai trasferimenti e alle compartecipazioni, che hanno spesso surrogato un vero spirito autonomista. Spirito che dobbiamo recuperare oggi, attraverso l’ampliamento del perimetro della democrazia». Siamo già nel pieno di un nuova stagione di rapporti con lo Stato? Forse. Per la crisi Electrolux, ad esempio, è stato messo in campo «un uso coordinato di strumenti legislativi e amministrativi locali e regionali e la contrattazione tra le parti sociali», è l’analisi del sindacalista. «Ma la crisi ha travolto tutto, dobbiamo essere capaci di ripensare complessivamente alla nostra autonomia». Un nodo, a sentire il sottosegretario che pare toccare soprattutto altri più, che il Fvg, che comunque vorrebbe guadagnarsi più spazio. «In Italia il problema sono le regioni a statuto ordinario, non quelle speciali», ha osservato Bressa. «Le regioni speciali alpine – ha puntualizzato – sono le uniche ad aver dimostrato responsabilità. Il tema non è smontare le speciali ma dare un'iniezione di specialità alle ordinarie», ha ripetuto. Un’affermazione su cui Camusso non ha nascosto le proprie perplessità: «In realtà la questione è che noi non abbiamo mai maturato l’idea di essere un’unica nazione – ha ribattuto – le grandi reti a tutela delle persone non possono essere differenti tra un’area e l’altra del Paese, come ad esempio la sanità. Ciò non significa smontare la specialità – ha chiarito la segretaria nazionale della Cgil – ma non possiamo non accorgerci che oggi il Paese è diviso. La politica deve lavorare per l’unità». Patto fiscale con Roma, in ballo 900 milioni (Piccolo, domenica 14 settembre) di Marco Ballico TRIESTE La trattativa finanziaria con lo Stato, aperta dalla giunta Serracchiani lo scorso mese di maggio, è in dirittura d’arrivo. L’assessore alle Finanze Francesco Peroni conferma le anticipazioni del sottosegretario Gianclaudio Bressa. Ma la questione chiave, quella delle risorse che il Fvg, al momento, deve versare a Roma, rimane irrisolta. Sul tavolo, precisa Peroni, ballano 900 milioni di euro. Il nodo «Il Tesoro ha i problemi che conosciamo», dice l’assessore rilevando la delicatezza del confronto. Il governo tiene infatti duro sul “quantum”, posto che quella cifra - al momento “congelata” nelle casse della Regione - è conseguenza di un documento ufficiale, il patto Tondo-Tremonti del 2010. «Stando così le cose, quei soldi li dobbiamo versare - chiarisce l’assessore -. Ma si tratta di uno dei punti qualificanti della trattativa e la conclusione è ancora da scrivere». Il “regalo” Difficile anticipare come andrà a finire. «Si tratta di individuare un canale di equilibrio che giustifichi quel tipo di riconoscimento», prosegue Peroni. La giunta Serracchiani, del resto, non ha mai nascosto di considerare la quota pattuita di 370 milioni all’anno per un federalismo fiscale mai decollato un vero “regalo” dell’amministrazione di centrodestra allo Stato e sta lavorando per portare a casa il massimo possibile. Senza avere però la certezza di riuscirci. L’interrogazione L’unico aspetto (quasi) definito sono i tempi. Il sottosegretario agli Affari regionali ha parlato di chiusura «nelle prossime settimane». E pure dal fronte del Fvg c’è la stessa sensazione: «Siamo prossimi al traguardo. Pur non dimenticando la prudenza necessaria in una materia così complessa». Non a caso Ncd, con Alessandro Colautti, chiede alla presidente Serracchiani di riferire in Consiglio lo stato dell’arte, «come stabilisce il regolamento relativo alle informazioni preventive su materie relative ad accordi con lo Stato». Gli alfaniani presentano anche un’interrogazione per sapere «se sono in previsione sacrifici per la Regione». Dare e avere Ma come si arriva alla stima dei 900 milioni? E in che periodo si colloca? La vicenda somma due partite: un dare (il Tondo-Tremonti) e un avere (il riconoscimento statale della compartecipazione regionale sulle pensioni Inps). Da un lato la Regione, secondo dettato del patto firmato dall’ex ministro dell’Economia e dal presidente della Regione il 29 ottobre 2010, si impegna a girare a regime 370 milioni di euro allo Stato, dall’altro Roma versa a Trieste, a rate, gli arretrati del dossier pensioni. Le cifre Nella legge di stabilità 2010, all’articolo 152, la Regione viene chiamata, a decorrere dal 2011, «a contribuire all'attuazione del federalismo fiscale, nella misura di 370 milioni annui». Ma, articolo 151, al Fvg vengono contestualmente riconosciuti 910 milioni di euro (quelli delle pensioni) spalmati su 20 anni: 220 nel 2011, 170 nel 2012, 120 nel 2013, 70 nel 2014, 20 nel 2015, 30 nel 2016 e 20 dal 2017 al 2030. Il contenzioso Fatta la sottrazione, il risultato è che nel 2011 Trieste deve a Roma 150 milioni, nel 2012 altri 200 milioni, nel 2013 siamo a 250 milioni e nel 2014 a 300 milioni. Un totale, appunto, di 900 milioni, la cifra ora al centro della trattativa. Soldi “virtuali”, nel senso che la Regione li ha “congelati” nella tesoreria ma non ancora versati. In attesa di definire un contenzioso su cui è intervenuta pure la Corte costituzionale, nel 2013, imponendo lo “scongelamento”. Tutto rimasto sulla carta perché, al momento, lo Stato continua a non vedere un centesimo. Le funzioni Quel che è certo è che questo capitolo non si potrà legare a un eventuale trasferimento di funzioni (che pure, accanto agli spazi di spesa del patto di stabilità, è un altro tema della trattativa). «Il tema delle funzioni - ribadisce l’assessore Peroni - non è all’ordine del giorno del tavolo, essendo materia che può entrare in gioco solo dopo adeguata istruttoria nella sede istituzionale propria, ossia la commissione Paritetica». Danieli, il monito di Benedetti: cambiare finché siamo in tempo (Gazzettino, domenica 14 settembre) Cambiamento o declino. Per Gian Pietro Benedetti non ci sono alternative. Vale per la Danieli, un gruppo da 3 miliardi di fatturato che si appresta a chiudere l’ennesimo bilancio in utile, vale a maggior ragione per un’Italia che senza le riforme, per il presidente del colosso di Buttrio, non vedrà mai una vera ripresa. Una visione nella quale le prospettive di un’azienda, anche dalle dimensioni e dai risultati di Danieli, non è mai slegata da quella del contesto generale in cui opera. Partiamo dalla siderurgia: pur in un contesto difficile, Abs è una delle realtà più in salute. Vale anche per il programma di investimenti? «Sì, Abs va bene, ma con una visibilità a 30-40 giorni, una nuova realtà alla quale dobbiamo abituarci, perché il mercato com’era prima della crisi non tornerà più. Gli investimenti procedono, ma il contesto generale del Paese continua a preoccuparci: speriamo di non dover dire, un giorno, che abbiamo sbagliato ad investire. Con gli ultimi 350 milioni, Abs ha toccato i 800 milioni in dieci anni: non poco, e con ritorni vicini a zero, almeno fin qui. Ma crediamo nel futuro». Come giudica la recente, ulteriore presa di posizione di alcuni sindaci contro l’elettrodotto? «Non so che dire: essendo certo del loro senso di responsabilità, sono rammaricato di non comprendere che obiettivo hanno». Veniamo a Danieli: le previsioni erano di un esercizio 2013-2014 positivo ma in difesa. La realtà le ha confermate? «Chiuderemo secondo le previsioni, quindi sostanzialmente bene. Ma non possiamo ignorare che i prossimi anni saranno impegnativi per la riduzione del mercato e degli investimenti mondiali. Abbiamo inoltre l’handicap di essere operativi in un paese poco competitivo e poco friendly per l’industria. Dobbiamo quindi progettare il nostro futuro cambiando, considerando i risultati di oggi come un punto di partenza, non di arrivo. Cambiare e ripartire: è l’obiettivo del ciclo Metamorfosi 2, a cui abbiamo appena dato inizio». Confindustria Fvg evidenzia i primi sintomi di una possibile ripresa. I dati sull’export regionale sembrano confermarli. Il peggio è alle spalle o è solo un rimbalzo? «La ripresa è auspicabile e necessaria, ma è un obiettivo più problematico per l’Italia, gravata com’è da un debito di 2.200 miliardi di euro. Un’inflazione da rilancio gonfiato per noi sarebbe insostenibile, perché ogni punto di interesse ci costerebbe 22 miliardi in più di interessi, oltre ai 100 miliardi che già paghiamo. Qualcosa di insostenibile. Prima di rilanciare, quindi, dobbiamo diminuire e riqualificare costo ed efficienza dell’amministrazione pubblica, risparmiare, ridurre la burocrazia, accelerare la giustizia, modernizzare il mercato del lavoro, liberalizzare il sistema economico. Solo allora si potrà rilanciare, con la prospettiva certa di aver diminuito il debito o essere in grado di farlo nei prossimi anni in virtù delle riforme fatte. In mancanza di queste, non ci sarà ripresa, ma un progressivo declino». Renzi ha parlato di agenda dei mille giorni: è il segno che procede per annunci o sono troppo forti le resistenze al cambiamento? «Renzi se la sta cavando bene, ma se il sistema non prende coscienza che si deve cambiare, non ce la farà, e di certo non sarà colpa sua. A questo punto non gli rimane che essere più determinato. In gioco c’è il futuro del paese e non agire è tremendo: se non lo faremo, arriverà la troika e deciderà per noi, come ha fatto in Grecia, con conseguenze pesanti per tutti. Peccato che questo non sia sufficientemente considerato da tutti nella sua gravità, in particolare dai “resistenti” che, tra l’altro, hanno contribuito a creare la pessima situazione in cui ci troviamo. Le elezioni anticipate? Sarebbe una prospettiva drammatica, perché cambierebbero assai poco. La mia opinione è che Renzi vada sostenuto e che i cittadini comprendano sempre di più che è opportuno farlo: che bisogna cambiare, to change, perché solo così possiamo costruire un futuro di crescita e benessere». Riccardo De Toma Via l'esenzione dal ticket ai malati cronici benestanti (Gazzettino, domenica 14 settembre) TRIESTE - Tagli alle esenzioni dai ticket sanitari e rimodulazione al rialzo dei ticket medesimi? «Sì, lo faremo, ma non è che lo dice adesso il Governo: è previsto dal Patto per la salute fra le Regioni e il Ministero. E non sarà penalizzante se non per i redditi più elevati». La rassicurazione viene dall’assessore regionale alla Salute, Maria Sandra Telesca, dopo la decisione del premier Matteo Renzi di sforbiciare i conti della Sanità nazionale nella misura del 3%. In realtà ci si muove su più fronti e quello più serio è in realtà il "rischio" indotto per i conti sanitari da eventuali tagli all’Irap: un gettito regionale da 670 milioni. Ma eventuali riduzioni al Fondo nazionale della Sanità «ci vedono pressocché indenni perché noi autofinanziamo la nostra Sanità». In ogni caso «i criteri e i finanziamenti alle Regioni ordinarie saranno un buon termine di raffronto per le nostre spese sanitarie», aggiunge Telesca. Nei fatti il Friuli Venezia Giulia appare già pressocché in linea: in base ai parametri nazionali la Sanità del Fvg (senza il sociale, intendiamoci) dovrebbe costare 2,040 miliardi di euro all’anno, mentre il costo messo in preventivo per il 2014 è di circa 2,080 miliardi. A questi - per il vero - occorre aggiungere altri 40 milioni circa per la rete informatica sanitaria gestita da Insiel. Quanto ai ticket, «ripeto che puntiamo ad esentare i redditi più bassi, presumibilmente fino a 12-15mila euro», dettaglia l’assessore Telesca. «Ma chi ha redditi elevati potrebbe perdere l’esenzione dal pagamento pur se affetto da patologie croniche». Tutto questo «nel segno di una maggiore equità come del resto previsto dal Patto per la salute». La Regione, oltretutto, «anche nel solco dello spirito che anima la nostra riforma sanitaria», tiene conto che «in tempi di pesante crisi - chiosa Telesca - non mancano cittadini che rischiano di non curarsi come dovrebbero per timore di affrontare i pagamenti dei ticket». Un altro aspetto importante sul quale punta il Governo per ridurre la spesa sanitaria è la centrale unica di committenza. In questo caso il Fvg intende procedere in due tempi. «La riforma regionale prevede l’istituzione di una nostra centrale unica - spiega l’assessore - che ci consentirà di per sé notevoli economie». Di più, però, «valuteremo la praticabilità di partecipare con altre Regioni alla creazione di una centrale di livello nazionale per spuntare prezzi ancora più vantaggiosi». In ogni caso, tuttavia, questa prospettiva non varrà per qualsiasi genere di fornitura, ma soltanto per «una serie di beni di largo consumo». CRONACHE LOCALI Altri 1.400 finiti in strada: senza fine la crisi di lavoro (Piccolo Trieste) di Silvio Maranzana Altri millequattrocento stanno per rimanere in strada: l’ennesimo duro scotto da pagare dopo che la crisi innescatasi nel 2008 ha già bruciato in provincia 8mila posti di lavoro. In cinque anni la disoccupazione è cresciuta del 50%, c’è un calo di 16mila 400 contratti rispetto a cinque anni fa e quelli a tempo indeterminato sono il 61% in meno. L’inizio del 2014 è stato tragico: -84% di avviamenti nel primo trimestre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. «La crisi non solo non è finita, ma anzi perdura e si preannuncia un ulteriore peggioramento della situazione nel 2014»: questo il commento di Gianni Bertossi, coordinatore del Dipartimento politiche attive della Cgil che ha curato il report sul mercato del lavoro presentato alla recente “festa” del sindacato e che non solo conferma, ma ingigantisce i timori già alimentati dagli Osservatori della Provincia e della Regione. Centinaia di aziende chiuse hanno provocato un’esplosione della Cassa integrazione straordinaria, condizione in cui si trovano oggi 844 lavoratori (più 74%); e dell’istituto della mobilità che coinvolge 478 persone (più 106%). Sono coloro che stanno perdendo il posto, eppure le cifre sono ancora bugiarde poiché non comprendono tutti quelli che si trovano in mobilità, ma senza sussidio, in situazione dunque ancora peggiore. Non ci fosse stato quello che ormai sembra il più che probabile salvataggio della Ferriera (con quasi 700 posti di lavoro tra azienda e indotto) il quadro economico generale si sarebbe fatto esplosivo. Il rapporto della Cgil è un bollettino di guerra. I disoccupati che nel 2008 erano 4mila 484 e nel 2012 5mila 862, a fine 2013 risultano essere 6mila 615 e il tasso di disoccupazione è cresciuto dal 4,5 al 6,7%. Gli occupati sono scesi in cinque anni da 95.782 a 90.971 dei quali 761 in agricoltura, 17.785 nell’industria e ben 72.426 nei servizi. Quelle che vengono definite dal sindacato “occasioni” di lavoro che sarebbero i contratti - che se a tempo determinato possono essere più di uno a testa per ogni singolo anno - sono stati 35.702 nel 2013 rispetto ai 40.107 del 2012 (erano stati 52.122 nel 2008). Ma la china viene evidenziata nelle statistiche del sindacato fin quasi al momento attuale visto che gli avviamenti al lavoro nel primo trimestre del 2014 hanno registrato un meno 84% rispetto al primo trimestre dell’anno scorso allorché la crisi era già ben che matura. Gli avviamenti con contratti a tempo indeterminato sono stati il 9,3% del totale (12,3% nel 2012, 24,2% nel 2007), plateale indice di una precarizzazione generalizzata. «Molto del lavoro svolto dalla Cgil, ad esempio con l’ottenimento dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali - fa rilevare Bertossi nel report - ha rappresentato un argine all’emorragia dei posti di lavoro». È logicamente decollato l’impiego della cassa integrazione (ordinaria, straordinaria e in deroga) con 2 milioni 263mila 446 ore (erano un milione 904mila 739 nel 2012 e un milione 77mila 869 nel 2009). Il dato drammatico sul lavoro si aggrava guardando al saldo tra aziende aperte e chiuse e all’andamento della produzione. Nel 2013 le aziende aperte sono stato 1.069, quelle chiuse 1.103, ma se si guarda al periodo complessivo tra il 2007 e oggi si sono perse complessivamente in provincia ben 2.253 aziende. Quelle attive in città sono 14.493, erano 14mila 498 nel 2012 e 15.229 nel 2007. Per quanto riguarda l’interscambio commerciale le importazioni sono cresciute del 10,6% mentre sono calate del 12,4% le esportazioni con un saldo import-export del meno 63,4% tra il 2010 e il 2012 (ultimo dato a disposizione). La crisi di lavoro ha provocato una caduta del reddito e sofferenze finanziarie da parte dei triestini. A questo proposito l’indagine del sindacato riporta, riguardo alla situazione economica della popolazione, il dato sulle sofferenze economiche, ovvero i crediti che le banche hanno nei confronti della popolazione residente e che non mettono più a bilancio in quanto inesigibili. In questo senso i milioni di euro di “sofferenze” degli istituti bancari rispetto al totale dei clienti residenti sono passati dai 91 del 2009 ai 110 del 2010, ai 176 del 2011, ai 199 del 2012 con un aumento in quattro anni del 119%. “Scoraggiati” e precari: in tutta Italia sono 10 milioni «Il dato sulla disoccupazione - sottolinea il report del Dipartimento politiche attive della Cgil - va completato prendendo in considerazione anche gli altri fattori che contribuiscono a comporre il dato più generale sulla instabilità occupazionale. Non solo quest’ultimo delinea con maggior chiarezza quell’area della sofferenza del mondo del lavoro che va via via allargandosi da ben prima della crisi, ma rappresenta anche la condizione sempre più comune di chi partecipa al mercato del lavoro. Non ci sono più solamente i dipendenti a tempo determinato o i collaboratori a progetto soggetti a infinite proroghe e interruzioni o i disoccupati di lunghissima anzianità che non hanno speranza di rientrare in produzione, bensì si consolida un “modello di vissuto occupazionale” fatto di un intreccio drammatico di tutte queste condizioni. In tal senso - si legge nel report - i dati sull’instabilità occupazionale si aggravano nel momento in cui diventano la cifra di come i lavoratori partecipano al mercato del lavoro». Con queste premesse, la Cgil identifica in Italia addirittura 10 milioni e mezzo di persone che operano in un’area di sofferenza con oltre 5 milioni di precari, 3 milioni e 300mila disoccupati e quasi 2 milioni di “scoraggiati”, cioé inattivi e quindi non compresi tra i disoccupati. Nella regione Friuli Venezia Giulia i precari sono 112.475, i disoccupati oggi 43mila con un tasso di disoccupazione del 7,9% (7,7% nel 2013 quindi superiore a quello triestino che è del 6,7%) e con 10.628 “scoraggiati” con un’area di sofferenza che coinvolge ben 166.103 persone. I 43mila disoccupati erano 22.323 nel 2008 e 41.300 nel 2013. I contratti di lavoro tra il 2012 e il 2013 sono calati da 190.300 a 172.500 e la percentuale di avviamenti a tempo determinato è cresciuta dal 42,7% del 2000 all’88,3% del 2012 all’89,4% del 2013.(s.m.) Riparte la scuola e subito scatta il primo sciopero (M. Veneto Pordenone) Prima campanella, oggi alle 8.48, ma dopo 48 ore ecco subito il primo sciopero targato Unicobas. Precari sul piede di guerra e 36 mila alunni provinciali in aula con il valzer dei supplenti annunciato. Le graduatorie di seconda e terza fascia, infatti, sono zeppe di errori e l’assunzione dei precari in cattedra è con contratti “fino all’avente diritto”. Quando saranno rifatte addio alla continuità didattica. L’altra piaga della scuola pordenonese riguarda i 14 istituti con i dirigenti reggenti, “supplenti d’oro” divisi tra la scuola di titolarità e quella di incarico. Tensioni, problemi e, fra due giorni, la protesta, con la consapevolezza che coloro che potranno aderirvi, di fatto, non saranno moltissimi, tenuto conto che una giornata di sciopero si sente, in busta paga, e che il periodo non è certo dei più favorevoli. «Lo sciopero Unicobas è stato indetto per protestare contro il blocco degli stipendi statali per il 2015 e i Cobas replicheranno l’iniziativa il 10 ottobre - hanno segnalato i Comitati di base provinciali sulle bacheche Facebook con Luigina Perosa –. Il progetto Renzi-Giannini è inaccettabile: basare gli scatti di anzianità su base meritocratica significa mettersi nelle mani della simpatia o antipatia dei capi di istituto. Dispiace dirlo, ma al 99% non ci azzeccano». Intanto Flc-Cgil, Cisl-scuola, Uil-scuola, con gli autonomi Gilda-Fgu e Snals, si sono mobilitati contro il blocco del contratto e degli scatti di anzianità: ci saranno assemblee con un’agenda nazionale e territoriale. «Verrà lanciata una petizione tra tutti i docenti, bidelli, amministrativi e tecnici – hanno anticipato i confederali della scuola – per il diritto al contratto nazionale e agli aumenti retributivi. Si tratta di scongiurare lo “scippo del salario”. Il Governo ha annunciato un nuovo blocco del contratto e degli aumenti per anzianità: ipotizza “scatti di merito” per il 66% dei docenti e dopo il 2018». Il risultato? Retribuzioni ferme per tutti fino al 2019 e “contentini” per quelli in quota simpatia dei dirigenti. Infine il caro scuola. Il Codacons ha denunciato che solo per il corredo scolastico si spenderà il 2% in più rispetto al 2013 e per l’acquisto di penne, diari, quaderni, zaini, astucci una famiglia media dovrà mettere in conto una spesa annua compresa tra i 450 e i 490 euro a studente, che arriva a una media di 840 euro se si aggiungono anche i libri (con picchi fino a 1.100 euro a studente). Chiara Benotti Istruzione a rischio per i nuovi poveri (Gazzettino Pordenone) È tutta in salita la rincorsa della Chiesa evangelica pordenonese per dotare del corredo scolastico i bimbi delle famiglie in difficoltà. Se la raccolta di materiale tuttora in corso ha permesso di mettere insieme zainetti e quaderni per complessivi 18mila euro circa, che sono attualmente in distribuzione con il Punto scuola solidale, di giorno in giorno si allunga la lista dei piccoli bisognosi che il Comune gira ai volontari. «Ai 160 messi in conto all'inizio, tre volte quelli dell'anno passato - spiega Paola Perissinotti - se ne sono aggiunti l'altro giorno un'ulteriore trentina, portando il totale a circa 200, sia italiani che stranieri. Con il materiale raccolto sono state messe insieme decine e decine di borse su misura: più voluminose quelle per i piccoli di prima elementare e di prima media, comprendenti anche gli zainetti, un po’ più essenziali le altre». Una parte delle "borse scuola" è già stata distribuita, ma l'iniziativa prosegue con i due cesti collocati al supermercato Conad di viale Grigoletti e alla Pam di corso Garibaldi per chi volesse acquistare e donare materiale, mentre quella di ieri è stata l'ultima giornata della colletta Banco scuola organizzata nei punti vendita Coop. Altre donazioni sono poi venute da privati e aziende. «Collaboriamo con l'Ambito - continua Perissinotti - che manda da noi le famiglie in difficoltà: ci indica l'età dei bambini, la classe frequentata e noi, anche grazie a internet, stiliamo la lista del materiale di cui ciascuno ha bisogno». La Chiesa di viale Grigoletti ha affiancato la consegna del materiale scolastico alla normale attività di distribuzione di borse spesa e di altri prodotti di prima necessità. Alla fine ne è nato un percorso, ovvero le persone indicate dall'Ambito per poter usufruire degli aiuti passano da una sorta di accettazione e poi ai vari banchi: il Punto scuola solidale appunto, poi l'angolo farmaci, quello dedicato a vestiti e scarpe, il banco delle borse spesa e quello dei prodotti per bambini. Il tutto, come detto, in stretta correlazione con l'Ambito guidato da Stefano Franzin, che sottolinea da un lato il forte aumento delle situazioni di difficoltà, «con una forte incidenza fra gli stranieri, soprattutto in provincia di Pordenone» e, dall'altro, l'esigenza di non limitarsi alla semplice distribuzione di alimenti e altri materiali, «che crea dipendenza, ma di curare invece le relazioni e aiutare le persone a uscire dal momento difficile, anche se purtroppo sono sempre più numerose quelle da troppo tempo a reddito zero e prive di qualsiasi prospettiva».
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