MantovaCAI n.2 anno 2014 - CAI Sezione di Mantova

MantovaCai - Notiziario della Sezione CAI di Mantova - Direttore Responsabile: Antonio Cirigliano Direzione e Redazione: Via Luzio 9 - 46100 Mantova - Tel. e fax 0376 328728 - [email protected] - www.caimantova.it
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L’abbonamento riservato ai Soci di € 2,50 viene assolto nella quota associativa. Segnalazioni di mancato ricevimento vanno indirizzate alla Sede CAI di Mantova
Anno XL - 2° Trimestre 2014 - Il Notiziario della Sezione C.A.I. di Mantova - Maggio 2014
SOMMARIO
4
Vita di Sezione
- Notizie, fatti e consigli
7
10
Sci di Fondo
14
Alpinismo
- La sicurezza in montagna
- In giro con le pelli ai piedi ...
- Storia dell’Alpinismo (prima
parte)
Gruppo SenzaEtà
- Orge a tavola ... con la sbrisolona
22 - Brividi al Pian Fugazze
Escursionismo
fuoriporta dal gusto dell’ignoto
25 -- Gita
Camminare ...
- Nottata al Rifugio....
Vegetazione Forestale Alpina
fasce altitudinali e latitudinali
28 -- Le
Le Associazioni Vegetali
- Gli Alberi guida: Il Carpino Nero
Stampa: Grafiche Stella, Via A.Meucci 12
- Legnago (VR)
Autorizzazione Tribunale di Mantova n° 6
del 8/10/1975
Tariffa R.O.C.n° 13657 del 11/02/2006 Poste Italiane S.p.A
La Redazione si riserva di pubblicare o
meno gli articoli pervenuti; si riserva inoltre di apportare le modifiche che riterrà
opportune senza alterare il senso del testo. Nessuno può richiedere compensi
per gli articoli inviati. Gli articoli firmati
impegnano solo l’autore.
Chi vuole inviare un articolo per la pubblicazione può inviare il testo e le eventuali
immagini, di ottima qualità, al seguente
indirizzo email:
[email protected]
Questo numero è stato chiuso in Redazione il 21 aprile 2014
- Comunicazione e dintorni ...
- Le segnalazioni
- Il Racconto
- Trentatre!... no, non siamo dal dottore
- La mia prima ... Marcialonga
- ... scia, ragazzo... scia
Scorcio di Bosco (ph. Valentina Sacchi)
Direttore Responsabile: Antonio Cirigliano
Capo Redattore: Giovanni Margheritini
Comitato di Redazione: Alessandro Vezzani (Operatore Naturalistico), Luciano
Comini (Maestro Sci Fondo), Davide Martini (Direttore Scuola Alpinismo, Ingegnere), Matteo Mantovani (Geologo), Giada
Luppi (laureanda Agronoma), Renato
Gandolfi (Geologo), Francesca Golinelli (Ambietalista, Architetto), Carla Carpi
(Guardia Ecologica), Lucia Margheritini
(Ambientalista, ingegnere).
Hanno collaborato a questo numero:
- Oddino Marmiroli
- Stefano Sacchi
- Luigi Zamboni
- Fabio Randon
- Antonio Paladini
- Rino Stocchero
- Andrea Carenza
per l’inserto dei ragazzi:
- Agnese Castelletti
- Alba Rasini
BiblioCai & CineCai
La Storia della Terra
la Terra è unica
33 -- Perché
La Terra primordiale ....
- Le rocce della crosta terrestre
40
a Lepre Bianca
39 -LStorie
e abitudini
Fiori
- Fiori d’inverno .... eccone alcuni!
42
Le Avventure Continuano ...
- in Marzo e Aprile
- nel prossimo numero
Nel centro della rivista inserto staccabile “Il giornalino dei Ragazzi”
In allegato alla rivista la “Scheda di sintesi della Storia della Terra”
-3-
VITA DI SEZIONE
Una lettera del Presidente
-4-
VITA DI SEZIONE
Una staffetta per arrivare all’obiettivo
La vita della nostra Sezione e il suo futuro dipendono unicamente dalla volontà dei Soci di
essere parte attiva nella gestione e nello sviluppo delle varie attività.
Vi è un normale bisogno di rinnovare e rinforzare le strutture che già operano all’interno della
Sezione e per questo c’è bisogno di ragazze e ragazzi, di donne e di uomini che abbiano a cuore la montagna e il suo ambiente e che credano che noi del Club Alpino Italiano siamo coloro
che, come in una gara a staffetta, prendiamo il testimone e lo portiamo ancora avanti.
Diventare “Titolati CAI”, si quelli dalla “giacca rossa”, significa essere parte della squadra che
corre questa staffetta perchè si vuole contribuire a mantenere forte il ritmo necessario per arrivare alla meta. Non è una esibizione. E’ una prova d’amore e coraggio.
Cosa ci vuole per diventare “Titolato”?
Amare la montagna, credere di essere utile, avere cinque/sei sabati e/o domeniche da dedicare
in un arco di tempo di tre/cinque mesi, avere la volontà di riuscire e frequentare gli appositi
corsi di formazione.
Che tipo d’impegno deve poi dare un “Titolato” alla sua Sezione?
Un “Titolato” per mantenere attivo il suo titolo deve impegnarsi a condurre tre/quattro attività
nell’arco dell’anno e/o delle stagioni in cui è possibile svolgerle. Deve partecipare ogni due anni
a un corso di aggiornamento della durata di un fine settimana. Deve contribuire a sviluppare i
programmi della Sezione. Come vedete, se si è in parecchi, con un poco ciascuno si può fare
tanto!! Come nella staffetta!!
Chi sono le persone che possono diventare “Titolato”?
Sono persone normali, ragazze e ragazzi maggiorenni, donne e uomini senza limite d’età (il
limite è sempre nella testa) che siano in salute e che pratichino un po’ di movimento per essere
allenati. Non è necessario essere atleti, alpinisti esperti o altro, basta essere normali, amare la
montagna e volere affrontare delle sfide.
Di che cosa c’è bisogno?
La squadra per la staffetta ha bisogno di nuovi “Titolati” per l’Escursionismo, per l’Alpinismo
Giovanile, per l’Ambiente e il Territorio, per la Scuola di Alpinismo, Scialpinismo e Arrampicata
Libera, per la Scuola di Sci di Fondo Escursionismo. Stiamo aspettando le vostre candidature
per:
• 6 - Accompagnatori di Escursionismo
• 6 - Accompagnatori di Alpinismo Giovanile
• 4 - Operatori Naturalistici e Culturali
• ? - Istruttori di Alpinismo
• 2 - Istruttori di Sci di Fondo Escursionismo
Per facilitare le cose indirizzate le vostre candidature direttamente a Giovanni Margheritini scrivendo una email al seguente indirizzo: [email protected] con le vostre generalità, l’età, la
professione, il titolo di studio e la scelta che volete fare. Ci penserà lui a mettervi in contatto con
i vari responsabili e a fornirvi maggiori dettagli sulla scelta che intendete fare.
Fatevi avanti, partecipate ai Corsi di Formazione con passione, superate le prove, diventate “Titolati del Club Alpino Italiano” e indossate la “giacca rossa”, i costi del vostro corso formativo li sostiene la
Sezione.
-5-
VITA DI SEZIONE
La Festa della Sezione
Con il termine Festa è normale intendere la celebrazione di un importante evento. Per noi questo
evento è la giornata in cui ci ritroviamo insieme per conoscerci, salutarci, vederci, scambiare opinioni o solo fare quattro chiacchere. Quindi una manifestazione o occasione di allegria, di gioia,
di carica emotiva positiva, quella che da la carica per andare avanti, per continuare a sostenere
l’idea che ci accomuna, cioè il Club Alpino Italiano e in particolare la Sezione di Mantova.
Ma che senso ha fare festa se poi ci si ritrova il solito gruppetto. Dove sono finti tutti gli altri Soci,
quel migliaio che paga il rinnovo per l’appartenenza al Club e alla Sezione.
Hanno paura di non trovare sedie per tutti? Hanno paura di dovere stare in piedi? O di fare troppo
tardi? Di annoiarsi? Non piace questo tipo di festa? Perchè non vengono, almeno una volta, e
dicono quello che pensano? Solo così la festa tornerebbe ad avere l’iniziale maiuscola nel senso
lato del termine. I cambiamenti si fanno se si partecipa non se si sta a vedere. Quale migliore
occasione per vederci e scambiare le nostre opinioni se non la nostra festa sociale.
Il 7 giugno presso la struttura del Gradaro ci sarà la nostra Festa Sociale. Proviamo a vedere se
riusciamo a renderla tale.
PROVIAMO A PARTECIPARE TUTTI
Festa Sociale
Vecchio scarpone,
quanto tempo è passato!
......
Lassù, fra le bianche cime
cogliemmo le stelle alpine
per farne dono ad un lontano amor!
......
per ritrovarci
tutti!!
Oggi le Stelle Alpine sono fiori protetti, non si possono raccogliere ma si possono sempre osservare nel loro meraviglioso ambiente, nei prati sommitali, tra le brughiere, tra le rocce. Un posto
magnifico per portare, questa volta, il nostro vicino amor da loro, per innamorarsene!!
-6-
VITA DI SEZIONE
L’assemblea dei Soci del 28 marzo 2014
Come tutti gli anni a fine marzo si tiene l’Assemblea dei Soci per le approvazioni dei Bilanci
consuntivi e preventivi e si fa il punto della situazione. Poi ogni tre anni si fanno le elezioni per
eleggere il Consiglio Direttivo e i Revisori dei Conti. Quest’anno c’è stata questa elezione.
La prima cosa da registrare è stata la scarsa affluenza all’Assemblea facendo paragone alla medesima di tre anni orsono. Circa la metà di presenze.
I votanti sono stati 82 che hanno espresso 82 schede più 11 schede per le deleghe esercitate per
un totale di 93 schede valide.
I canditdati che si sono presentati sono stati 8 per il Consiglio Direttivo e 3 per i Revisori contro
un fabbisogno di tredici Consiglieri e tre Revisori.
Sono stati eletti ben 34 Consiglieri (gli 8 candidati più 26 nomi tra i Soci).
Lunedì 31 marzo sono stati convocati i primi 13 eletti e i 3 Revisori insieme al membri del Consiglio uscente per il passaggio di consegna.
La riunione ha scaturito un nuovo Consiglio Direttivo con 8 membri effettivi avendo gli altri 5 eletti
rifiutato l’incarico.
Il nuovo Consiglio Direttivo, comunque in numero sufficiente per procedere, ha provveduto ad
eleggere il Presidente, il Tesoriere e a indicare il Segretario protempore in attesa di trvare il Segretario definitivo.
Il nuovo Consiglio Direttivo è composta da:
Presidente:
Alessandro Savoia
Consiglieri:
Stefano Barbi
Daniele Corradelli
Alessandro Manzoli
Giovanni Margheritini
Alessandro Vezzani
Luigi Zamboni
Tesoriere
Antonio Paladini (anche Segretario protempore)
Il Punto sul Tesseramento 2014
Al 21 aprile la situazione del Tesseramento 2014 è la seguente:
Mantova
Quistello
Suzzara
Totale
Ordinari
Familiari
Giovani
Totale
262
51
23
336
124
24
7
155
37
23
4
64
423
98
34
555
I nuovi iscritti sono n° 116, pertanto, a questa data, non hanno ancora complessivamente rinnovato l’iscrizione n° 564 Soci di cui n° 408 di Mantova, n° 68 di Quistello e n° 88 di Suzzara.
Si ricorda che il 31 marzo terminarà il periodo della copertura assicurativa CAI per coloro che, a
quella data, non avranno ancora rinnovato l’iscrizione.
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VITA DI SEZIONE
Esplorando la Catalogna
Trekking nei
Pirenei e Costa Brava
Sardegna
Sant’Antioco - San Pietro
Arcipelago del Sulcis
l’isola delle meraviglie
Affrettatevi!!!
Il Giro delle Odle
Trekking Naturalistico Dolomiti
•
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•
•
•
•
dal 8 al 15 giugno
Quota individuale € 1.150,00
Iscrizioni entro il 31 gennaio
Caparra € 350,00
Saldo pagamento entro 30 aprile
Il punto sui Corsi di
Formazione 2014
Festival delle Alpi
Solstizio d’Estate
pl
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m
dal 20 maggio al 1 giugno
Quota individuale € 925,00
Iscrizioni entro il 15 aprile
Caparra € 200,00
Saldo pagamento entro 10 maggio
et
o
Mare & Monti
Co
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Gruppo SenzaEtà
Corso di Sci Alpinismo SA2: ha preso avvio
al 1° marzo in collaborazione alla Scuola di Sci
Alpinismo della Val Rendena del CAI - SAT. con
la partecipazione di 8 allievi di cui uno della nostra Sezione.
sabato 21 e domenica 22 giugno
Quota individuale € 110,00
Andata e Ritorno in Pullman
Pernottamento Rifugio Genova
Iscrizioni entro il 30 Maggio
Caparra € 50,00
Posti totali 24
Corso di Escursionismo Avanzato: ha preso
regolare avvio il 29 marzo con la partecipazione di otto allievi.
Affrettatevi!!!
2°Corso di Arrampicata “Primi Passi”: ha
preso regolare avvio il 29 marzo con la partecipazione di otto allievi.
Variazioni Escursioni
www.caimantova.it
Prendete nota che:
Importante!
• Alpe Succiso prevista per giovedì
2 ottobre è spostata al giovedì 16
ottobre.
• Sentieri di Pace prevista al
16/17/18 ottobre è anticipata al
2/3/4 ottobre
Ricordatevi di iscrivervi alle News sul
nuovo sito web della
Sezione.
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VITA DI SEZIONE
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BiblioCai
&
CineCai
Comunicazione
a cura di Oddino Marmiroli - Prefazione e commenti della Redazione
Libri e cinema rappresentano, in senso lato, una buona sintesi del mondo della comunicazione, la quale suscita sempre e comunque reazioni come “l’appartenenza”
oppure “il contrasto”. Ce ne parla sapientemente Oddino Marmiroli, acuto osservatore e attento analista di uno dei fenomini di coercizione più in voga in questi momenti
e che i latini esprimerebbero probabilmente con un “mala tempora currunt et peiora
sequentur”. Ma leggiamo cosa ci propone Oddino:
Nel mese di febbraio di quest’anno il “Corriere della Sera” è uscito con una serie
di eleganti ed economici libri dedicati alla montagna. Gli autori sono tra i maggiori
alpinisti e arrampicatori degli ultimi decenni ( Messner, Bonatti, Diemberger ecc.)
che raccontano le straordinarie imprese di cui furono protagonisti. Con una modesta cifra (€ 8,90) gli appassionati possono rivivere le emozioni di chi, affrontando la montagna, ha superato con coraggio enormi difficoltà e ha dato esempio di
incomparabile forza fisica e morale.
Meno interessata alla montagna del “Corriere” è la Televisione italiana. La RAI
mandava in onda ogni venerdì mattina per circa mezzora una bella trasmissione
dedicata agli avvenimenti che appassionano tutti gli amanti del mondo alpino.
Ai servizi che presentavano gli angoli più belli e suggestivi delle regioni italiane,
si univano informazioni relative alle manifestazioni in programma nelle zone di
montagna, recensioni di pubblicazioni recenti, conversazioni su temi di attualità
con Luca Mercalli, Roberto Mantovani (ben noto ai lettori di “Montagne 360°”) e
altri specialisti di settore (speleologi, geologi, glaciologi ecc.). La trasmissione è
stata tolta dal palinsesto e non si sa se riprenderà.
La RAI aveva inserito nei programmi del 2012 una “fiction” costituita da una
serie di episodi a carattere investigativo ambientati in Val
Pusteria, a Dobbiaco, e soprattutto sul lago di Braies. Nel
febbraio di quest’anno ha proposto una seconda serie
dello stesso tipo. La delusione suscitata dalla prima serie
non è stata attenuata dalla seconda. Storie costruite alla
bell’e meglio, personaggi privi di ogni consistenza, figurine senza spessore. Interpreti scadenti: Terence Hill è assolutamente inespressivo e l’aver sostituito la bicicletta di
Don Matteo col cavallo della guardia forestale non migliora le cose. Macchiette gli altri personaggi. La Ricciarelli,
che in un recente film se l’era cavata abbastanza bene,
è ridotta, forse non per colpa sua, ad una caricatura del
bravo caratterista dei vecchi film in bianco e nero.
E le montagne cosa c’entrano? Sono come il fondale di
un palcoscenico. Il lago di Braies, le splendide cime intorno a Dobbiaco e San
Candido sono tante cartoline illustrate. L’emozione particolarissima, incomparabile, che sa comunicare la montagna non si prova mai gurdando quei personaggi
assurdi, inverosimili, muoversi in un ambiente a cui appaiono del tutto estranei.
La storiella potrebbe svolgersi in qualsiasi altro luogo. Non c’è niente che riesca a trasmettere la “diversità” della montagna, il suo fascino. E’ una montagna
senz’anima. Gli autori della “fiction” probabilmente non hanno mai fatto un’escursione o una arrampicata nei luoghi dove hanno
girato il film. Non conoscono e non amano la montagna. Non hanno la sensibilità necessaria per produrre
qualcosa di credibile, di convincente. Peccato!
Il cinema ha realizzato alcuni eccellenti film in cui la
montagna è protagonista, la TV italiana (RAI e Mediaset) non è ancora riuscita a darci un prodotto decente
che abbia al centro un paesaggio alpino. Eppure l’Italia è un paese per la maggior parte montuoso! Come
spiegare questo?
Chi lavora per la TV vive a Roma o a Milano. Conosce
i problemi delle metropoli, le periferie urbane, i commissariati di polizia, i quartieri
inquinati dalla delinquenza, le manifestazioni di piazza, i campi rom, i raduni dei
giovani intorno all’idolo del momento.
- 10 -
e dintorni ...
BiblioCai
&
CineCai
Questo è il loro mondo. Forse non ha mai conosciuto quello che sta fuori dai
centri urbani e ha visto le montagne solo dall’autostrada o dall’aereo. Non ha mai
sentito il bisogno di larghi spazi aperti, di un contatto diretto con la natura.
Il peggio è che questi operatori televisivi sembrano interpretare il sentire comune. La
maggior parte degli abitanti di questa penisola, affetti da materialismo consumista,
preferisce infatti trascorrere il tempo libero in un supermercato
piuttosto che su un prato in collina e vede nell’ambiente naturale, in particolare in quello della montagna, solo un parco
divertimenti, un’appendice ludica della città. Per quanto sia
spiacevole constatarlo, questo è l’orientamento prevalente in
una società che il mercato, la produzione di merci, la pubblicità, gli interessi del capitale hanno costruito e imposto e che i
più, adeguatamente condizionati, gradiscono. Una inversione
di tendenza non è prevedibile.
E con questo orientamento imposto, anche il CAI, ha voluto
essere presente comunque in questi spazi di grande affluenza
mediatica e commerciale co l’iniziativa: “Le splendite Montagne”
mostra itinerante di 15 pannelli che da aprile 2013 a gennaio 2014, sono stati esposti
nelle Gallerie Commerciali Auchan di alcune tra le più importanti città italiane, tra cui
Roma, Milano, Torino, Bari, Ancona, Cagliari, Verona. La manifestazione ha avuto un
totale 258 giorni d’esposizione e circa 2 milioni di visitatori.
Un altro messaggio arriva dalla Commissione Scientifica e Culturale della sezione CAI
- SEM di Milano in data 16 marzo tramite questo messaggio inviato ai Soci:
“Carissimi appassionati di montagna e cultura,
quante volte, parlando di montagna, ci è capitato di sentire iniziare il racconto con il
famoso “C’era una volta…” ?
Sicuramente piuttosto spesso, perché le fiabe, le favole e le leggende da sempre sono
intimamente legate alla storia dei nostri monti, contribuendo non poco a determinarne
il grande, potentissimo fascino…
Ma è proprio questa fascinazione che rischia di condannare le nostre Alpi a passare
dalla realtà al mondo delle favole: storie antiche che raccontano di un mondo che non
c’è più…
Oltre al becero disinteresse e alla corsa verso il denaro, infatti, è spesso proprio l’eccessivo amore che nutriamo per le montagne a condurle inesorabilmente verso la
condanna: un amore quasi “criminale”, un intreccio di passione e morte, un eccesso
di trasporto che minaccia l’oggetto stesso di tanto desiderio…
Ma come è possibile, tutto questo?
Ogni anno, milioni di persone attratte verso le bellezze dei monti ne frequentano le
strade, i sentieri, le abitazioni, le aree più sperdute alla ricerca di un’intima unione con
tanta bellezza…ma nel far questo, rischiano seramente di decretarne la fine.
Una storia attuale che non vuol diventare una triste fiaba…e la scrittura del “lieto fine”
spetta unicamente a noi umani, che con il nostro abbraccio appassionato stiamo
stritolando le pur solide membra delle nostre montagne…riusciremo, in questo non
facile intento?
Non dobbiamo certo perdere l’amore per le nostre Alpi, solo…cercare di contenerne
gli ardori.
A noi e alle prossime generazioni l’ardua sentenza…ne parleremo assieme, in questo
scorcio di primavera, nel nostro salotto culturale.
La presa di coscienza è un atto dovuto alle nostre Alpi: ora più che mai, è importante
esserci.”
Come vedete mettendo insieme tre fatti: lettera Oddino, mostra itinerante CAI, email
CAI -SEM di Milano abbiamo sempre aspetti che appartengono tutti alla stessa medaglia: “la comunicazione” e come questa condizioni atteggiamenti e comportamenti
verso quello che, dentro di noi, sta nel cuore e nel lato destro del cervello (le emozioni).
Cosa ne dite, vale la pena parlarne?
Oddino Marmiroli e la Redazione ne sarebbero felicissimi e chissà che scaturisca
qualche idea per aiutare l’inversione di questa rovinosa tendenza.
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BiblioCai
&
CineCai
I libri che segnaliamo
a cura della Redazione
Ladro di Montagne
Questo libro ci racconta le esperienze di Ignazio Piussi, un alpinista fuori sche-
ma. Messner che ha scritto la prefazione ce lo racconta così: “ Ignazio Piussi lo
conobbi tardi, nel 1975, durante la nostra spedizione alla parete sud del Lhotse,
guidata da Riccardo Cassin. Ignazio allora aveva quarant’anni ed era il più esperto
di tutti noi, escluso l’insuperabile Cassin, anziano ormai, ma sempre pieno di vitalità e di idee. Piussi era dotato anche di quell’umorismo che sembrava mancare
all’alpinismo del dopoguerra. Per questa dote e per la sua mentalità anarchica
mi piaceva stare vicino a lui, ascoltarlo. E così ebbi l’occasione di conoscere un
alpinista che da tempo ammiravo e un uomo che stimavo. Finalmente godevo di
quei racconti di un semi-selvaggio, che davano sapore a una scena alpinistica
oramai troppo condita di retorica, moralismo e invidia. Come a me, a Piussi non
piaceva la minestra dei “falliti”, fatta solamente di scuse e l’incapacità di sognare.
Noi volevamo essere attivi. Soprattutto in montagna....”
L’autore del libro è Nereo Zeper, nato a Trieste nel 1950. Si è occupato di poesia (ha pubblicato una raccolta di liriche dal titolo “5 stagioni” ed è presente
nell’Antologia poetica del Vertex “Né cani sciolti né pecore matte”), di musica, di
Storia delle Tradizioni Popolari e di alpinismo (prima invernale della Navasa alla
Rocchetta Alta di Bosconero, prima ascensione della parete nord della Croda
Granda e della pareste est dello Spiz d’Agner Nord, solitaria dello Spigolo d’Agner. Ha collaborato con varie riviste e quotidiani. Lavora alla Rai come regista
radiotelevisivo
Il vuoto alle spalle
Ettore Castiglioni morì nel marzo del 1944, a trentacinque anni, esattamente come aveva annotato nel suo diario tanto tempo prima. Figura emblematica
dell’alpinismo fra le due guerre fu esploratore solitario, scrittore, straniero in ogni
luogo tranne che sulle montagne. In questo libro, l’autore ci presenta, però, un
Castglioni inedito dove l’alpinista si fonde con l’intellettuale e con il partigiano.
L’uomo che, rifugiatosi con i compagni in una baita in alta Valpelline dopo l’8
settembre, guida attraverso le montagne profughi in fuga dal fascismo. Giorno
dopo giorno, mettendo a repentaglio la vita tra scalate e lunghe marce in quota,
la sua missione pare possa continuare indisturbata fino a quando, in un clima di
crescente eccitazione, qualcosa va storto. Dopo un primo periodo di prigionia
in Svizzera, Ettore Castiglioni viene catturato nuovamente oltre il confine: senza
pantaloni, senza scarpe, con i ramponi legati ai piedi nudi, fugge nella notte. Lo
troveranno alcuni mesi dopo sul ghiacciaio del Forno, a un passo dalla salvezza,
morto congelato. Castiglioni ci viene raccontato sia attraverso brani del suo diario sia attraverso le testimonianze dei suoi compagni e amici. Ma è soprattutto
attraverso la ricostruzione che l’autore fa non tanto degli avvenimenti, quanto
delle motivazioni che spinsero l’alpinista verso morte certa, che Castiglioni emerge nella sua interezza e nella sua complessità di uomo. Ed insieme a lui uno
spaccato della nostra storia così recente eppure così poco conosciuta.
L’autore del libro è Marco Albino Ferrari (1965) fondatore e direttore della rivista
Meridiani Montagne. Collabora con “La Stampa” e ha diretto il mensile “Alp”.
Per la la ca editrice Vivalda ha curato la collana “I Licheni”. Tra i suoi libri, oltre a
questo segnalato: Freney 1961 (Vivalda 1996), Terraferma (Corbaccio 2002), In
viaggio sulle Alpi (Einaudi 2009), La sposa dell’aria (Feltrinelli 2010), Alpi Segrete
(Laterza 2011) e Racconti di pareti e scalatori (Einaudi 2011).
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Racconti
a cura della Redazione
BiblioCai
&
CineCai
Il topo e la montagna
(liberamente tratto da una lettera di Antonio Gramsci)
In una casa molto povera abitano una mamma ed il suo bambino.
La mamma ha da dare, per il risveglio del proprio bambino, solamente una tazza di latte; non hanno altro, né biscotti, né marmellata.
Il bambino dorme, sul comodino cìè la tazza di latte caldo pronto
per il risveglio.
Ma un topo, anche lui affamato, vede il latte e se lo beve.
Il bambino si risveglia, trova la tazza vuota e piange per la fame.
La mamma, nel vedere il proprio piccino affamato, corre disperata
dalla capra pregandola di prestarle un po’ di latte, non ha soldi,
ma ricambierà non appena potrà.
La capra però non mangia da tanto tempo, la guerra si è portata
via il contadino che l’accudiva e nessuno le porta più niente da
mangiare; promette alla mamma di darle il latte se ella le porterà
dell’erba.
La mamma si rivolge allora al topo chiedendogli di riparare al
guaio che aveva combinato, aiutandola a ritrovare del latte per il
proprio bambino.
Il topo va subito dal prato per l’erba ed il prato arido, perchè
nessuno pensava più ad innaffiarlo, vuole in cambio dell’acqua.
Il topo va allora dalla fontana ma anche questa è stata rovinata
dalla guerra e l’acqua si disperde in mille rivoli; ci vorrebbe un
maestro muratore, ma questo vuole le pietre per ricostruire la fontana.
Il topo va allora dalla montagna e avviene un dialogo tra il topo e la montagna che
è stata disboscata dagli speculatori e franando mostra ovynque, come ossa, le sue pietre
senza terra.
Il topo racconta tutta la storia
e promette che il bambino cresciuto ripianterà gli alberi, consentendo così alla montagna di
non franare più.
La montagna si convince, dà le
pietre che servono a ricostruire
la fontana per innaffiare il prato,
per dare l’erba alla capretta, ed
il bimbo così ha tanto latte che
vi si lava persino.
Cresce, pianta gli alberi, tutto rinasce: vengono ricoperte,
con soffice terra, le pietre della
montagna; sotto il nuovo humus la precipitazione atmosferica ridiventa regolare
perchè gli alberi trattengono l’acqua ed impediscono ai torrenti di devastare la
pianura.
Insomma il topo concepisce un vero e proprio piano di lavoro adatto a far rivivere
un paese rovinato dalla guerra e dal disboscamento.
Adattamento testuale di Rino Diano
- 13 -
Questo racconto è tratto
dal libro “La Montagna
Fantastica” edito dalla
Sezione CAI di Mirano Venezia.
Sci di
Fondo
Le origini
a cura di Luciano Comini
Sicuramente l’utilizzo di attrezzi per potersi muovere sulle superfici innevate nasce prima dell’invenzione della ruota. Nel 1921 venne scoperta in una palude
nella Svezia del nord un frammento di legno di pino del tutto simile ad un pezzo
di sci con un’età stimabile di circa 4500 anni (datato mediante analisi del polline).
Successive campagne di ricerca mettono in luce altri ritrovamenti
in Svezia (Kalvtrask, due sci di legno di pino, 4000 anni, lunghezza
204 cm, larghezza 15 cm e bastone di spinta lungo 156 cm terminante con una spatola concava, sagomata come un remo da canoa). Ritrovamenti di sci antichissimi si sono succeduti nell’ultimo
secolo anche in Norvegia, Finlandia e Russia (Pskov). Nel 1932, in
una caverna di un isolotto sulle coste della Norvegia Settentrionale (Rodoy), venne rinvenuta un’incisione rupestre che raffigura uno
sciatore su un paio di sci (di lunghezza sproporzionata rispetto allo
sciatore), datata dagli archeologi oltre 4500 anni (alcuni sostengono
anche 5000 - 6000 anni).
I primi sciatori non usavano il passo alternato e non scivolavano
sulla neve come si fa al giorno d’oggi, ma dovevano compiere un
movimento simile a quello di chi va in monopattino.
Gli sci norvegesi e finlandesi erano diversi tra loro: il primo era lungo e sottile, per favorire la scivolata; il secondo era corto e largo e
aveva del pelo di renna applicato alla soletta per facilitare la presa
sulla neve.
I Lapponi invece, già 2000 anni fa utilizzavano uno sci lungo e sottile nel piede destro e uno corto nel sinistro, equipaggiato con pelli
di foca, per darsi la spinta: tale mezzo di locomozione fu utilizzato
fino agli inizi del 1900.
Naturalmente lo scopo della diffusione di questi strani arnesi era
soprattutto quello di spostarsi, senza sprofondare su terreni innevati e servivano prevalentemente per cacciare.
Per ottenere notizie più dettagliate con i primi cenni di tecnica bisogna arrivare al 1557 quando uscì a Roma il libro dell’arcivescovo
di Uppsala, “Historia de gentibus Septentrionalibus”, in cui si parla
dell’uso degli sci, definiti “zoccoli piani di legno e lunghi ed in punta
rivolti all’insù” e si accenna anche a “tali arti e tali ingegni e modi di
scorrere”.
Per quanto riguarda l’Italia risulta che il primo sciatore sia stato il
parroco di Ravenna, Francesco Negri, il quale fece questa esperienza durante un viaggio in Lapponia attorno al 1660. Dopo il reverendo Negri, in Italia, non si ha più notizia di sciatori fino ad arrivare
al 1886, anno in cui Edoardo Martinori Romano, dopo essere stato
in Lapponia, ritorna a casa con un paio di sci.
Circa dieci anni dopo, ad opera di Paolo Kind, ha inizio l’attività
sciatoria, naturalmente di sole discipline nordiche. Le prime gare,
riservate a sciatori militari, si svolsero nel 1898.
Nascono i primi sci club a Torino nel 1901, a Milano nel 1902 e a
Genova nel 1903, mentre dieci anni dopo viene fondata la Federazione Italiana dello Sci. Il vero fondatore della Federazione Italiana
Sport Invernali (l’odierna FISI) fu, a Milano nel 1920, il Conte Aldo
Bonacossa.
Un enorme sviluppo, per la disciplina del fondo, lo si ebbe durante
la prima guerra mondiale con la formazione di interi reparti di sciatori per l’addestramento dei quali furono ingaggiati istruttori stranieri.
La scoperta della sciolina (le pelli erano utilizzate fin dalle origini degli sci) risale al 1903 ad opera di Victor Sohn e Bilgeri. Quest’ultima,
composta da una miscela il cui ingrediente principale era la cera
d’api, oltre a fare scorrere gli sci in avanti, permetteva anche di non
scivolare all’indietro. Un po’ più difficile deve essere stato curvare la punta, come
dimostrano i primi sci costruiti con legno di betulla (Museo dello Sci di Fondo a
Lahti - Finlandia).
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... finalmente in Italia ...
a cura della Redazione
Avete presente il dominio dei Paesi nordici nello sci di fondo? Quello di oggi è
nulla, rispetto alla situazione degli anni Sessanta. Dalle prime Olimpiadi (Chamonix-Mont-Blanc 1924) fino a quelle di Innsbruck nel 1964 solo quattro atleti russi erano riusciti a salire sul podio, sempre sul gradino più basso,
togliendo qualche medaglia a svedesi, finlandesi e norvegesi. Un dominio assoluto, del tipo “vengo a ritirare la medaglia d’oro e torno a casa”.
In questo mondo iniziò a muovere i primi passi, e a darei primi colpi di
sci, Franco Nones. Piccolo di statura, ancor più rispetto ai colossi del
Nord Europa, era nato a Castello di Fiemme, in provincia di Trento, nel
1941. Si era messo in testa di battere i campioni nordici, e per farlo
aveva capito che doveva vivere come loro, assimilare i loro metodi di
allenamento, studiare e sopportare la loro alimentazione, così lontana
da quella italiana.
Non che l’Italia dello sci di fondo fosse, all’epoca, all’anno zero: i piazzamenti arrivavano, spesso nei primi dieci, e proprio Nones con la staffetta
italiana (Nones, Stella, De Florian e Manfroi) era riuscito a vincere una
splendida medaglia di bronzo ai Mondiali di Oslo, nel 1966. Ma “La Vittoria”, quella nella gara individuale, continuava a restare un sogno per
tutti gli atleti, non solo italiani, che si presentavano all’appuntamento
Olimpico.
Franco Nones la prese larga, con la tenacia titpica della gente della
sua terra: iniziò a correre le gare nel Nord, iniziò a vincerle. A Faker e
Aelvdalen riesce a battere per la prima volta Asph e Groenningen, due
campioni olimpici, poi rivince due volte a Fake, due volte a Kuopio e una
a Rovaniemi.
I nordici guardavano con rispetto quel piccoletto italiano capace, oltre
che di batterli, di mangiare il loro cibo immangiabile. Lo stimavano, ne
apprezzavano la forza e la tenacia, oltre che il passo frenetico con cui
teneva dietro le lunghe falcate dei signori del Nord. Ma alle Olimpiadi sarebbe stato diverso, pensavano. Non si trattatava di una gara normale,
per quanto importante. Quella era “La Gara”, quella che nessun nordico
aveva mai perso.
Finalmente venne il 6 febbraio 1968, il giorno della trenta chilometri alle
Olimpiadi di Grenoble. E Franco Nones lo prese di petto, quel giorno,
partendo come un razzo sulla neve fredda e dura. Una pazzia, pensarono in molti, destinata a essere pagata duramente più avanti. In un amen
raggiunse Eggen, partito 30 secondi prima di lui, e al sesto chilometro
superò Larsson, che era scattato un minuto prima. Pazzia, ripeterono
tutti. Impossibile tenere un ritmo simile, soprattutto in condizioni climatiche tranquille e ideali per favorire alla lunga il passo potente dei
campioni del Nord.
Al passaggio dei dieci chilometri Nones aveva un vantaggio di 30 secondi su
Maentryranta, che a quel punto iniziò la sua implacabile rimonta: 20 secondi,
poi 15, sempre più vicino, fino a portare il fiato sul collo di Nones. Al ventesimo
chilometro Maentryranta era a soli quattro secondi, attaccato alle code degli sci
di quel piccolo italiano che aveva osato sfidare gli dei del fondo.
È stata un pazzia, pensarono tutti. Adesso è finita, come era logico. E invece, a
sei chilometri dall’arrivo, non solo Franco Nones era ancora in testa con quei miseri quattro secondi, ma iniziò una spettacolare azione di attacco. Maentryranta
non riuscì a tenere il passo, il distacco si dilatò fino a un minuto e 17 secondi: un
abisso, nei così pochi chilometri che separavano gli atleti dal traguardo.
Per la prima volta nella storia delle Olimpiadi i nordici dovettero guardare in su,
verso il gradino più alto del podio: felice, con la medaglia d’oro al collo, c’era
Franco Nones. Avrebbe lasciato l’attività sportiva ancora giovane per diventare
un imprenditore di successo, importando dal Nord Europa materiali per lo sci di
fondo. La sua vittoria a Grenoble resta la più grande impresa nella storia olimpica
della trenta chilometri di fondo.
Articolo tratto dal “Il Sole 24 Ore” del 10 Febbraio 2014 a cura di Mattia Losi.
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Sci di
Fondo
Sci di
Fondo
serata al Canova ...
a cura di Stefano Sacchi - postnota della Redazione
Dopo una giornata intensa e piena di avvenimenti sui quali non voglio riferire
Tutti promossi!!!
anche se lo farei molto volentieri, solo per uno scopo informativo e costruttivo,
io ed Elena ci prepariamo per andare al Canova, sicuri di trascorrere una serata
in armonia con amici e conoscenti della sezione, la serata di chiusura dell’attività
sciistica, preciso! sci nordico, il poco che rimane, grazie all’impegno personale
di Comini, anche quest’anno si è svolto il corso a passo Lavazè con il grande
Emilio “il maestro di sci”. Tutto inizia a Dobbiaco, no! Inizia con il Nordic Walking
Mantova, dove il nostro socio Luciano è istruttore e fondatore, da lì arrivano i
nuovi soci, le famiglie, i piccoli sciatori di questo corso, sempre si deve precisare un merito. Torniamo a Dobbiaco, arriviamo dopo le abbondanti nevicate che
hanno creato grossi problemi a Cortina
e scopriamo che gli stessi si sono verificati anche li “tanto per dire la comunicazione nazionale”, si tratta dell’epifania, proprio quel week end lì. Lo so che
Margheritini il nosto capo redattore, in
questo momento si starà annoiando, ma
è solo perché non ha visto di persona la
Befana, mi spiace Giovanni, capita a pochi e noi siamo stati fortunati, i ragazzini
si sono divertiti un sacco, era veramente
brutta, piena di brufoli, anche quelli col
pelo, faceva senso e non parliamo del
piffero che aveva al posto del classico
naso, per fortuna l’apprendista era carina….forse carino? li abbiamo avuto seri
dubbi. Le giornate non sono state delle
migliori, pioggia, neve,neve pioggia, ma
lì si è deciso il corso e ora siamo al Canova per una pizzata, tutti insieme a festeggiare. Iniziano i commenti e i ricordi,
ti ricordi giù da Malga Ora che volo ho
fatto, anch’io sono caduta nello stesso
punto, io ho fatto tanti voli, no no no
no, non è cosi il passo spinta mi diceva
Emilio, il maestro era troppo forte, no no no no, più lungo il passo, no no no no,
devi tenere le punte unite mentre fai lo spazzaneve, questi i commenti. Tra una
risata e l’altra siamo arrivati al dolce “casereccio” fatto dalla mamma di Matilde,
raffigurante l’arrivo della mini Marcialonga, con un piccolo sciatore di zucchero
che nessuno ha voluto mangiare per non perdere la linea?! Tutti promossi! dice
Luciano, vengono consegnati i diplomi a tutti i partecipanti del corso, anche ai
ragazzini che hanno fatto parte della tifoseria è stato dato un riconoscimento,
mentre ai piccoli Marcialonghisti un trofeo artigianale rappresentante?? un fondista. Cosa dire in più? quando le persone le sai coinvolgere e le fai sentire a
proprio agio, un loro sorriso penso sia un grazie impagabile, grazie Luciano e mi
sento di dire, grazie da tutti noi della sezione.
Vorrei rassicurare Stefano che leggerlo non mi annoia mai, anzi mi diverte perchè
con ironia sa affrontare argomenti e situazioni che altrimenti si perderebbero. Per
questo ho chiesto a Stefano di dare una mano ... anzi due!! Per lo Sci di Fondo
per ragazzi per certo (almeno fino a quando me ne occuperò) sarà inserito, a
parità di merito, con tutte le attività del prossimo anno della futura Commissione
Alpinismo Giovanile. Già a dicembre di quest’anno si farà un’uscita con i ragazzi e
questa volta il numero non sarà ridotto ai soli “afecionados” ma a tutto il gruppo
dei ragazzi che si iscriveranno al programma di Alpinismo Giovanile 2015. Con
Luciano metteremo a punto un nuovo programma per ragazzi che assicuri la continuità per coloro che hanno la Marcialonga come meta, ma che avvii anche lo sviluppo di questa disciplina come sci escursionistico così come lo intende il nostro
sodalizio. Anche per questo abbiamo bisogno di formare Istruttori: e questa volta
Stefano, con i tuoi precedenti, potresti metterci anche i piedi oltre alle mani!!!!
Hai già rinnovato l’iscrizione per il 2014?
Affrettati e porta anche un nuovo amico.
Vogliamo crescere!!
Club Alpino Italiano
Sezione di Mantova
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Alpinismo
SciAlpinismo
Arrampicata
La sicurezza in montagna
a cura di Davide Martini
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un omaggio e un bel ricordo ...
a cura di Giovanni Margheritini
In questo numero della rivista abbiamo ricordato più volte un grande alpinista e
un grande uomo: Ettore Castiglioni. Delle vie da lui aperte ne ho ripercorse almeno una decina. Ce n’è una che ho salito, la prima volta, insieme al mio fraterno
amico Jean Pierre e per la quale lui ha un ricordo particolare: il buco ( o meglio il
bucò come pronuncia lui). La via è appunto una Castiglioni-Detassis sulla parete
sud-est del Piz da Lec (2908 m) nella conca del Vallon sul Sella (una parte meno
conosciuta o famosa del Gruppo Sella).
Jean Pierre mi telefona che è in Svizzera per lavoro e che ha con se anche lo
zaino con l’attrezzatura per andare in montagna. Mi chiede se posso andarlo a
prendere alla Stazione Centrale di Milano nel tardo pomeriggio e se organizzo
una tre giorni dolomitica. Immediatamente guardo le previsioni del tempo e vedo
che è bello stabile con temperature ancora buone. Siamo a metà ottobre. Telefono a Helmut per sapere se è libero e lo metto al corrente dei progetti di Jean
Pierre. Venerdì e sabato li ha liberi ma è impegnato la domenica. Bene. Mi libero
di due appuntamenti, faccio lo zaino, carico due corde e parto per Milano. Alle
quattro arriva il treno da Zurigo e subito vedo Jean Pierre con giacca e cravatta.
Mi saluta di corsa e s’infila in una toilette lasciandomi in custodia la sua borsa.
Non credo abbia problemi di prostata e non capisco tutta questa fretta di andare
in bagno; nel treno i bagni ci sono! Dopo poche minuti ne esce cambiato, si è
cambiato d’abbigliamento e ora è vestito da montagna, proprio come me. Con
un sorriso raggiante mi dice: ”Je déteste la cravate et je ne pouvais pas attendre
...”. Bene gli dico, se sei pronto ora si parte. Alle sette di sera siamo a Fiè allo
Sciliar e stiamo già prendendo un aperitivo con Helmut che ci racconta il progetto
dei due giorni: domani al Piz da Lec sulla Castiglioni/Detassis e sabato il Sass de
Ciampac per l’Antica Parete Sud, una via del 1903 di Adang e amici di V grado.
Partiamo presto e prima delle otto siamo già a Corvara e dobbiamo aspettare l’apertura per prendere la funivia per il Crep de Mont e la successiva seggiovia per
raggiungere il Vallon. Scesi dalla seggiovia in 15-20 minuti raggiungiamo l’attacco della via e quindi l’inizio dell’avventura. La via si sviluppa tutta su un camino
- diedro. La roccia è fenomenale, solida e lavorata, salire è
entusiasmante. Dopo il secondo tiro una breve traversata
a sinistra e poi sempre diritto su per il bellissimo camino.
Ogni tanto c’è un masso incastrato che si supera agevolmente fino ad arrivare in alto, nell’ultima parte della salita.
Qui vedo che la corda non corre via svelta come prima e
allora penso che Jean Pierre starà andando piano perché
avrà trovato qualche difficoltà. Mi sposto sulla direttrice di
salita e vedo là in alto Jean Pierre sotto una specie di tetto.
“Ma non ci sono tetti da superare, ho ben visto lo schizzo di salita” penso. Mentre rifletto vedo Jean Pierre che è
sempre più sotto il fantomatico tetto come se ci si volesse
infilare dentro. Poi sento la sua voce che mi dice “ Jovannì,
tu passe pas d’ici, tu est trop gross!!”. Infine lui sparisce e
mi arriva la voce di Helmut che mi dice di andare. Arrivo
sotto il tetto, ma che tetto non è; si tratta solo di un masso incastrato e per passare bisogna infilarsi nel buco tra
questo e il fondo del camino. Il buco è piccolo davvero e
allora metto in atto la mia tecnica ormai supercollaudata:
lego il mio zaino con un cordino che fisso all’imbraco e lascio penzolare sotto di me. Ora sono più magro e mi infilo
nel buco, che è stretto, approfitto per grattarmi la schiena
contro la roccia, passo rapidamente. Poi recupero lo zaino.
Jean Pierre mi guarda stupito: “Tu est passé par le bucò,
parbleu!! Commet tu a fait, tu est beaocoup plus gross que
moi!! Lo guardo e rido anch’io e ne approfitto per abbracciarlo. Poi rapidamente siamo in cima, ora restano venti
minuti di camminata per la vetta vera e propria.
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Alpinismo
SciAlpinismo
Arrampicata
PIZ DA LEC
Parete Sud/Est
Via Castiglioni/Detassis
realizzata l’11/7/1935
Difficoltà: IV+ (tratti) in
prevalenza III e IV
Lunghezza: 200 metri, 6
lunghezze di corda
Tempo: circa 3 ore
Soste: quasi tutte ben
attrezzate.
Discesa: lungo la ferrata
in 1 ora con possibilità
di 1 doppia finale se c’è
molta coda.
Attrezzatura: NDA
Appoggio: stazione di
monte della seggiovia del
Valon oppure in 15 minuti
dalla seggiovia al Rifugio
Kostner.
Carta di riferimento:
Tabacco 07 - Alta Badia Scala 1:25.000
Informazioni: Via molto
evidente, bella e di
soddisfazione, da fare
al mattino in pieno sole
e da evitare durante e
dopo pioggia.
La Storia
Alpinismo
SciAlpinismo
Arrampicata
Emile Rey
Christian Klucker
a cura di Davide Martini
L’epoca d’oro delle guide nelle Alpi Occidentali.
Nel periodo esplorativo, la figura della guida è quella relativa al valligiano che per
denaro accompagna gli aristocratici sulle montagne, con mansioni principalmente di fatica. Poi sull’esempio dato dai migliori come Anderegg e gli Almer, segue
una nuova generazione di accompagnatori abili ed esperti, determinanti per la
salita che creano cordate mitiche come quelle di Mummery e Burgener, Ryan e
Lochmatter, Dibona e Mayer.
L’alpinismo classico ha quindi grande diffusione, con una formula ben precisa
che vede il cliente poco esperto portato sui monti dalla forza e dalle conoscenze
della guida.
Sopratutto nelle Orientali, cresce comunque l’attività dei “senza guida” che si
cimentano da soli con la montagna. Naturalmente il fenomeno è criticato e ritenuto pericoloso, sebbene al tempo, la sicurezza della cordata fosse
un concetto molto diverso dall’attuale: non si conoscevano chiodi, moschettoni e ramponi. La salita procedeva sull’affidamento completo nel
capocordata, la cui possibile caduta era in genere catastrofica. Le salite
su roccia avvenivano per lo più in camini e fessure, su ghiaccio con l’intaglio dei gradini (asce). Questi modi di andare si protraggono in pratica
fino alla Prima Guerra Mondiale dopo la quale arriverà l’invenzione del
chiodo, del moschettone e dei ramponi. Sono comunque salite mitiche
se si pensa che si era giunti fino a passaggi valutati oggi di V° grado.
Come si è detto, sul versante meridionale del Bianco, selvaggio e impervio, si cimentano le prime guide italiane tra cui spicca il capostipite
di una eccelsa generazione: Emile Rey di La Saxe. Con l’inglese lord
Wentworth e J.B. Bich, vince nel 1877 l’Aiguille Noire de Peutérey (3773
m) e nel 1880 apre la nuova via di salita al Bianco per il Col de Peutérey,
con G. Gruber e Pierre Revel. Nel 1885 con H. Seymour King, Ambrous
Sepersaxo e Aloys Anthamatten vince anche l’Aiguille Blance (4112 m),
legando in pratica tutta questa zona al suo nome.
Altra grande figura è Christian Klucker, leggendaria guida svizzera dell’Engadina, maestro di scuola colto e raffinato; salì e grandi pareti nord della
Val Bondasca nelle Centrali, i canali di ghiaccio del Colle del Badile e del
Badiletto nel gruppo del Disgrazia, la salita e discesa del couloir del Pizzo
Cengalo (3367 m) e la ricognizione solitaria sulla parete nord-est del Pizzo
Badile; occorre ricordare anche la nord del Pizzo Roseg e la nord-est del
Bernina.
Joseph Ravanel detto “il rosso” nasce nei pressi di Argentiere nel 1869: è
la prima grande guida francese al pari di Burgener. Suo cliente e compagno di cordata è Emile Fontaine col quale completa l’esplorazione delle
Aiguilles de Chamonix: nel 1901 vincono l’Aiguille du Fou (3501 m) ed
altre cime come l’Aiguille de Ravanel e l’Aiguille de Mummery.
Franz e Joseph Lochmatter sono tra i protagonisti del primo ‘900, che
ingaggiati dal capitano inglese V.J.E. Ryan formano cordata formidabile;
il loro capolavoro è l’Aiguille du Plan (3673 m) e la sud del Täschhorn
(4490m) sulle Alpi Svizzere nel 1906 sotto una bufera di neve.
Joseph Knubel fu il fedele compagno di Geoffrey Winthrop Young. Una
delle salite più belle è la cresta del Kleine Triftij sulla nord del Breithorn
(4164 m). Vincono poi la Cresta di Brouillard nel Bianco e la Cresta des
Hirondelles nelle Grandes Jorasses che aveva respinto Mummery: in pratica Young e Knubel superarono il maestro, avendone appreso appieno le
capacità e lo stile.
- 20 -
dell’Alpinismo (seconda parte)
Italiani nel Bianco e nel Rosa.
L’esempio di Mummery venne ben presto seguito anche dagli italiani,
sebbene nel gruppo che aveva costituito il CAI a Torino si prediligeva il
metodo classico con guida. Tra questi, i figli, cugini e nipoti di Quintino
Sella svolsero attività intensa, quasi un obbligo morale, specialmente
in ambito invernale, sulla scia del successo di Martelli, Vaccarone e
Castagneri all’Uia di Mondrone.
C’è da dire che in inverno, mancava la presenza “esterna” degli stranieri inglesi e ci si trovava quindi il campo libero per tentare con calma
nuove imprese.
Corradino e Gaudenzio Sella quindi, con le guide Jean-Joseph, Baptiste e Daniel Maquignaz compirono innanzitutto nel 1882 la salita al
Dente del Gigante (4014 m), non proprio coi mezzi che si auspicava
Mummery e la cosa portò non poche critiche, ma l’impresa “italiana”
ricevette un elogio patriottico.
Si possono poi citare alcune imprese rilevanti di Vittorio Sella, come la
traversata invernale del Cervino nel marzo del 1882, la salita alla Punta
Dufour sul Rosa il 26 gennaio del 1884 e la salita al Gran Paradiso il 2
marzo 1885 e nello stesso anno il Liskam; ma l’attività che lo renderà
tuttora insuperato è l’arte della fotografia in alta montagna.
Una figura caratteristica è quella del principe Luigi Amedeo di Savoia,
Duca degli Abruzzi che nutre un’autentica passione per la montagna
e per l’esplorazione in generale. Numerose sono le imprese compiute
con le migliori guide, in particolare Emile Rey e le successive esplorazioni dell’Artide.
Suo maestro fu Francesco Gonella che divenne poi anche presidente
della Sezione CAI di Torino: costui era stato attivo alpinista, con la prima ascensione dell’Aiguilles des Glaciers (3592 m) nel 1878 e la prima
sulla parete nord della Tour Ronde (3792 m) nel 1886.
Comunque il principe si cimentò con tutti i migliori alpinisti del tempo,
Mummery compreso. Nel 1897 con Gonella , Cagni, Vittorio Sella e De
Filippi conquista il Monte Sant’Elia in Alaska (5489 m) con le guide Petigax, Croux, Maquignaz e Pellissier di Courmayeur.
Dopo una spedizione al Polo Nord la sua fama diventa internazionale
e si lancia in salite prestigiose sulle Alpi: l’Aiguille Verte (4122 m) per la
vergine Aiguille Sans Nom (3444 m), la prima salita della terza punta
delle Grandes Jorasses che poi prenderà il nome di Punta Margherita
(4065 m) e la prima salita sulla più meridionale delle Dames Anglaises.
In Africa nel 1906 conquista il Ruwenzori (5119 m) e tutte le cime principali del gruppo.
Poi nel 1909 è nel Karakorum dove tenta addirittura il K2; si inoltra per
un buon tratto lungo lo sperone che verrà percorso molto più tardi dalla
vittoriosa spedizione italiana. Raggiunge comunque il record di salita in
quota del tempo, 7500 m, sui fianchi del Brode Peak: il record rimarrà
imbattuto fino al 1922, anno della spedizione inglese all’Everest.
Come si è detto, si sviluppa anche sulle occidentali il fenomeno dell’alpinismo senza guida: si fanno notare i fortissimi Giuseppe e Giovan
Battista Gugliermina, Giuseppe Lampugnani, Francesco Ravelli ed Ettore Canzio che fondano poi a Torino, il 26 maggio 1904 il C.A.A.I.
Alpinismo
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Dente del Gigante
Gruppo del Monte Bianco
Luigi Amedeo di Savoia
Duca degli Abruzzi
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Rudolf Fehrmann
Michele Bettega
Le Dolomiti nel primo Novecento.
Sono austriaci e tedeschi i migliori alpinisti nei primi anni del secolo. Lo dimostrano le ultime imprese eclatanti, come la conquista del Campanile Basso di Brenta
e quella del Campanile di Val Montanaia; in particolare la più grande guida del
periodo fu l’austriaco Michel Innerkofler insieme al fratello Sepp. Ma non si può
dimenticare il grande Rudolf Fehrmann che nel 1908 con Oliver Perry Smith apre
una fantastica via allo spallone del Campanile Basso e l’anno dopo sulla Cima
Piccola di Lavaredo.
Su questi esempi, gli italiani non tardarono a farsi sentire e giunse quindi
un gruppo di guide leggendarie: ad esempio Michele Bettega che insieme
a Bortolo Zagonel accompagnò la signorina Beatrice Thomasson sulla
prima via sulla sud delle Marmolada nel 1901. Altra grande guida fu il
cortinese Antonio Dimai che con un alpinismo di stampo classico si muoveva con destrezza sulle pareti più impervie sfruttandone i punti deboli: si
possono citare ad esempio le sue salite sulle Tofane, sul Pomagnon, sui
Cadini e sulle Tre Cime di Lavaredo.
Ma un segno indelebile nella storia delle Dolomiti ed anche in qualche
gruppo Occidentale, venne dato dal grande Angelo Dibona con i suoi fedeli clienti Guido e Max Mayer ed i fassani Luigi Rizzi e Francesco Jori
anche loro guide. Era un alpinista eccezionale, che si muoveva in libera
su pareti ardite con passaggi anche di V° grado, senza utilizzare mezzi
artificiali; qualcuno parla di lui come della più grande tra le guide. Rimane
l’unico italiano del tempo (alcuni lo vogliono austriaco, visto il periodo storico) ad avere aperto vie in Austria (parete nord del Laliderer, 2594 m nel
Karwendel) ed in Francia (parete sud delle Meije, là dove perì Zsigmondy
nel 1912).
Tita Piaz detto “il diavolo delle Dolomiti” fa storia a parte: è un montanaro italiano,
intelligente, istruito, patriota, ribelle, generoso fino all’eroismo. Una guida straordinaria che conosce come le proprie tasche il gruppo del Catinaccio; magnifica
fu la salita alla Punta Emma (il nome di una cameriera del vicino rifugio Vaiolet) e
le salite su ogni versante di giorno e di notte delle Torri del Vajolet. Come Dibona
aprì vie fuori casa, sulla ovest del Totenkirchl (2190 m) nel Kaiserbirge. Sul Campanile Toro nelle Dolomiti Bellunesi, apre una via ai limiti del tempo, superando
il V° grado superiore. Sono in generale numerosissime le nuove ascensioni: sul
Catinaccio, nel Brenta, sul Sella ed alle Tre Cime di Lavaredo. Fu insofferente ad
ogni regola, tanto che nel 1906 salì, non senza scandalo, la Guglia De Amicis
(2100 m) nel Gruppo del Popena, con un lancio di corda dalla cima vicina, ma
non per questo propenso all’utilizzo di mezzi artificiali: memorabili sono le polemiche con Hans Steger, che per Piaz ha “il martello un po’ facile” e ripete molte
vie aperte senza chiodi aiutandosi con questi nuovi strumenti. Piaz morirà banalmente cadendo in bicicletta scendendo dal Gardeccia.
Sul lato dei cittadini il panorama degli alpinisti è ancora rado. Prima della Grande
Guerra, da un lato ci sono gli Innerkofler e Dibona che militano tra gli austriaci,
Tita Piaz è in prigione: quindi la componente italiana non è nutrita (lo si pagherà
anche a livello bellico). Ogni gruppo cittadino è mosso da sentimenti di patriottismo ed irredentismo: si distinguono quindi i triestini Napoleone Cozzi e Alberto
Zanutti che tentano il Campanile di Val Montanaia. Arrivano quasi alla conquista
ma non riescono a passare; pochi giorni dopo gli austriaci Viktor Wolf Von Glanvell e Karl Günther Von Saar salgono alla vetta risolvendo la fessura strapiombante che oggi porta il nome di Cozzi con una traversata a sinistra (proprio come
Ampferer sul Basso).
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Alpinismo
SciAlpinismo
Arrampicata
I due triestini si rifanno con la prima ascensione sulla Torre Venezia (2337 m) e
sulla Torre Trieste (2458 m) nel Civetta, conquiste importanti perché aprono le
ascensioni nell’ancora poco noto gruppo. Accanto a loro i nomi di rilievo sono pochi: si possono citare le figure di Berto Fanton appassionato
esploratore delle Dolomiti, che aprirà numerose vie nell’Agordino e nel
Cadore e che cadrà in aereo durante la guerra sul Monte Grappa e Luigi
Scotoni, alpinista trentino famoso per aver realizzato a soli 17 anni (nel
1908) la salita dello spigolo del Crozzon di Brenta, credendo di essere il
primo (erano già saliti il 20 luglio 1905 Fritz Schneider e Adolf Schulze).
Vi furono anche personaggi che ebbero un importanza meno pratica e
più conoscitiva dell’alpinismo: ad esempio Arturo Andreoletti pur avendo
aperto un numero elevato di vie nelle Dolomiti (prima sulla nord dell’Agner, 2365 m realizzata nel 1921 con Zanutti e Jori) e nelle Grigne (dove
poi i ragni di Lecco troveranno terreno per le loro imprese). Ma il merito
più grande è nei suoi scritti, come per la descrizione delle Pale di San
Martino che permise il diffondersi dell’alpinismo e creò il collegamento
tra le generazioni prima e dopo la Grande Guerra. Lo stesso si può dire
per Antonio Berti la cui opera “Guida delle Dolomiti Orientali” edita 1908
è capolavoro descrittivo ed apre la strada ai “senza guida” permettendo l’esecuzione di innumerevoli salite importantissime tra le due guerre.
Questo fenomeno diede un colpo mortale all’attività con guida permettendo alla massa dei senza guida, in particolare ai cittadini di “fare da
se”, fenomeno tuttora diffuso. Le guide si daranno quindi da fare per modificare la propria professionalità in modo da rispondere maggiormente
alla mentalità ed alle necessità dei nuovi “clienti”. Ovviamente ci sarà chi
griderà allo scandalo per la “proletarizzazione” dell’attività alpinistica e
chi invece ne gioverà, come il fascismo che la presenterà come modello
di purezza e di doti ardite della gente “latina” !
Tra gli alpinisti scrittori occorre anche ricordare il triestino (austriaco, visto il periodo storico) Julius Kugy che studioso alla ricerca della fantomatica pianticella “Scabiosa trenta” divenne conoscitore e amante delle
Alpi Giulie. La sua poesia è simbolo di puro Romanticismo, e quindi il
messaggio dell’alpinismo è espressione tipicamente umano. Di carattere
diverso è invece il noto Guido Rey: torinese colto e raffinato, ha uno stile
di racconto puramente classico, idealizzato e a volte esaltato, un poco
retorico. Nelle centinaia di ascensioni fatte, ha avuto un amore profondo per il Cervino, tanto da dedicargli un libro, capolavoro di letteratura
e tumultuosa descrizione dell’animo umano di fronte alla bellezza della
montagna.
L’introduzione dei mezzi artificiali in arrampicata.
Agli inizi del ‘900 si distinguono le due nuove correnti di alpinisti: i “puristi” che rifiutano completamente i nuovi mezzi di progressione e quelli
che invece ne apprezzano le caratteristiche e iniziano l’utilizzo, specie in
Dolomiti. Nel 1909 Oskar Eckenstein inventa i primi ramponi leggeri, così
da evitare l’oneroso intaglio dei gradini su ghiaccio. Dalla “Scuola di Monaco”, Otto Herzog detto “Rambo” definisce la forma del moschettone,
che costituisce il collegamento tra le corde ed i primi chiodi, così da permettere finalmente una migliore tecnica di assicurazione a chi arrampica.
I chiodi erano ancora rozzi ed erano stati migliorati nella forma già nei
primi del ‘900 da Hans Fiechtl.
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Angelo Dibona
Tita Piaz
Alpinismo
SciAlpinismo
Arrampicata
Paul Preuss
Hans Dulfer
La nuova tecnica ovviamente si diffonderà presto e troverà molti sostenitori come
Hans Dülfer , Tita Piaz e Hans Steger. Dalla parte dei puristi si fa notare il grandissimo Paul Preuss, vero paladino dell’arrampicata libera, che scriverà in merito
sei principi universali su cui basare l’arrampicata libera:
1. Non bisogna essere solo all’altezza delle difficoltà che si affrontano ma occorre esserne nettamente superiori ad esse.
2. La misura delle difficoltà che uno scalatore può con sicurezza affrontare in
discesa senza corda e con animo tranquillo, deve rappresentare il limite massimo delle difficoltà che egli può affrontare in salita.
3. L’impiego di mezzi artificiali è giustificato soltanto in caso di pericolo.
4. Il chiodo da roccia è una riserva per casi di necessità, ma non deve essere il
riferimento di una particolare tecnica.
5. La corda può essere una facilitazione ma non il mezzo indispensabile per la
salita.
6. Su tutto deve dominare il principio di sicurezza, ma non l’assicurazione forzatamente ottenuta con mezzi artificiali in condizioni di evidente pericolo, bensì
quell’assicurazione preventiva che per ogni alpinista si basa sul giusto apprezzamento delle proprie forze.
La sua ascensione nel 1911 da solo e senza corda in due ore sullo spigolo del
Campanile Basso è un capolavoro di ardimento e di determinazione. Questo
però non deve indurre a pensare che i primi praticassero e sostenessero “l’arrampicata artificiale”; Dülfer in particolare era un alpinista veramente
eccezionale, con tantissime imprese realizzate il libera e senza corda.
Fu praticamente il primo “alpinista moderno”, avendo accettato il criterio che con il chiodo, si poteva cimentarsi con maggior sicurezza sui
passaggi più difficili; per questo riuscì in imprese anche più difficili di
quelle sostenute da Preuss.
Negli anni che seguono quindi, l’avvento di chiodi e moschettoni e
quindi del nuovo metodo di progressione in sicurezza, permetterà di
passare anche là dove non si è mai tentato in libera e senza corda.
Staccandosi dalla direzione perseguita, parte dell’alpinismo intraprenderà questa nuova strada (progressisti) che degenererà poi nelle imprese più discusse della storia delle salite in montagna. Ma questo
aspetto non è altro che l’apogeo della deviazione, ovvero il toccare il
fondo del fenomeno che permette di prendere atto del “male” e quindi
ricongiungersi alla corrente originale (conservatori). Il cerchio si richiude sull’idea fondamentale pura di Preuss. Il livello di difficoltà raggiunto nell’arrampicata libera di questi anni prima della Grande Guerra,
rimarrà tale praticamente fino ai giorni nostri (anni ’80), quando sia i
migliori materiali sia le nuove tecniche di allenamento, permetteranno
di innalzare ulteriormente le prestazioni umane.
Herzog e Fiechtl non furono solo inventori di mezzi artificiali ma abilissimi arrampicatori, a conferma del periodo di superiorità degli austriaci, tanto che arrivarono a compiere vie di V° e VI° grado superiore:
Otto Herzog con Gustav Haber sulla parete nord del Dreizinkenspitze (2602 m)
nel 1923 (VI° superiore) e quindi Hans Fiechtl sulla parete nord del Seekarlspitze
(2261 m) sempre nel 1923. In effetti passata la guerra, si erano liberati dei freni
inibitori per l’utilizzo della nuova tecnica ed avevano dato il via al nuovo periodo storico del VI° grado; si pensi comunque che l’utilizzo dei primi moschettoni
grossi e pesanti ed dei primi chiodi, tutti uguali ma non molto diversi dagli attuali
era molto contenuto. Purtroppo invece Dülfer morì in battaglia nelle trincee del
fronte francese.
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Alpinismo
SciAlpinismo
Arrampicata
L’avvento del VI° grado.
La Grande Guerra ebbe un impatto notevole nel campo dell’alpinismo,
in particolare nei ceti meno abbienti. La sconfitta motivò fortemente gli
austriaci ed i tedeschi che ritrovarono nelle imprese alpine la fierezza
perduta. Anche gli italiani, pur vincitori ma insoddisfatti, non tardarono a
mostrare il proprio ardimento in una sorta di competizione con l’iniziativa
straniera, sotto le fanfare della nascente dittatura. I francesi senza tanto
clamore, inizieranno un periodo favoloso sulle Alpi Occidentali, mentre
gli inglesi, infastiditi da tutta questa attività rimarranno alla finestra.
A farla da padroni sono quindi inizialmente i tedeschi che con la “Scuola
di Monaco” realizzano imprese eccezionali, grazie alle nuove tecniche
che utilizzano i chiodi ed i moschettoni. Si vuole ancora ricordare che
questi mezzi “artificiali” erano utilizzati inizialmente con estrema parsimonia, spesso solo nel tratto (nel passaggio) veramente difficile della
salita.
Sarà poi negli anni a seguire, che il sistema degenererà nell’artificialismo
più esasperato, dove si utilizzerà il chiodo e la corda sistematicamente
come mezzi di progressione, lungo tutta la lunghezza di corda, rendendo la progressione un esercizio sugli ancoraggi anche nei tratti dove
in teoria si potrebbe passare in libera. Ancora più grave fu la primitiva
classificazione di queste difficoltà, sulla base della scala nata nel 1926
da Willo Welzenbach, a cui venne attribuito sempre un grado maggiore
(V° e VI°) solo perché utilizzavano un numero di chiodi elevato, mentre
paradossalmente le vie in libera venivano classificate più semplici.
La prima iniziativa di rilievo è però italiana nel 1921: la guida Francesco Jori, con
Arturo Andreoletti ed Alberto Zanutti aprono come già detto una via sulla nord
dell’Agner con una scalata di 1600 metri di dislivello; fu un’impresa notevole perché i tre erano ormai dei veterani, ma rimase purtroppo un episodio isolato e non ebbe seguito. Nel 1924 si fa avanti invece la “Scuola
di Monaco” che con Roland Rossi di Innsbruck e Felix Simon apre una
via di V° e VI° grado sulla nord del Pelmo con pochissimo impiego di
mezzi artificiali. Appare quindi il grande Emil Solleder che innalza ulteriormente il grado di difficoltà raggiunto: nel 1925, con Fritz Wiessner
apre sulla nord della Furchetta (3030m, la più alta delle Odle) una via
dove anche il grande Dülfer era stato respinto. Arriva quindi la storica
salita, insieme a Gustav Lettenbauer lungoi 1200 metri della parete nord
ovest della Civetta, tutta in libera ed utilizzando solo 12 chiodi: questa
via di VI° grado rimarrà a lungo definita come la “via più difficile”. Nel
1926 completa il trittico di imprese con Franz Kummer sulla parete est
del Sass Maor nelle Pale di San Martino, dove evita due fasce strapiombanti con traversate esposte, di livello eccezionale per quei tempi. Anche Welzenbach era della Scuola di Monaco e si distinse in particolare
per le imprese su ghiaccio: sono sue salite memorabili la nord del Grosses Wiesbachhorn (3570 m) e della nord del Dent d’Hèrens (4179 m)
vicino al Cervino; scompare come Mummery nel 1934 sul Nanga Parbat.
Da parte italiana si paga l’iniziativa straniera per mancanza di conoscenza e di aggiornamento tecnico. Ecco quindi che l’opera di un studioso
veneziano come Domenico Rudatis fu fondamentale per gli anni a venire;
conoscendo bene le tecniche tedesche seppe diffondere negli ambienti alpinistici
italiani una serie di articoli con la storia delle imprese Dolomitiche, stimolando
l’iniziativa nazionale a compiere salite al pari di quella di Solleder.
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Paula Wiesinger
Hans Steger
Emil Solleder
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SciAlpinismo
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Luigi Micheluzzi
Emilio Comicii
Fu comunque anche un alpinista eccezionale, la sua
montagna preferita è infatti il Civetta dove approfondisce la sua conoscenza con salite in compagnia dei
trentini Renzo Videsott e Giorgio Graffer.
Fu così che nel 1929 un gentile signore di Canazei apre sulla sud della Marmolada, la prima via italiana di VI° grado: è Luigi Micheluzzi,
che con Roberto Perathoner e Demetrio Christomannos apre una via in libera sul pilastro
sud di Punta Penia. A posteriori questa via
viene valutata del livello di quella di Soldà e
della via di Vinatzer.
Il gruppo più forte di arrampicatori è quello
degli agordini e dei bellunesi: tra questi si fa
notare il fortissimo Attilio Tissi che insieme a
Giovanni Andrich costituì una cordata formidabile: nel 1930 ripetono la via di Preuss alla
Piccolissima di Lavaredo in poco più di due
Attilio Tissi
ore e quindi il 31 agosto del 1930 compiono la prima
ripetizione della Solleder-Lettenbauer al Civetta, allora
definita impossibile per gli italiani. Sono seguiti a poca
distanza dalla cordata di Hans Steger e della moglie Paula Wiesinger, austriaci di nascita ed italiani di fatto, anche loro attivissimi in Dolomiti, con
salite che rasentano il VI° grado. Tissi sale nel 1931 lo spigolo sud ovest
della Torre Trieste, nel 1932 la nord del Pan di Zucchero con una via di V°
e VI° grado e nel 1933 il Campanile di Bramante dove vince con un solo
chiodo di assicurazione l’iniziale paretina strapiombante di VI° grado.
Emilio Comici, tra libera e artificiale.
Quindi si ritorna sul concetto che inizialmente, quando si dice che si faceva ricorso a mezzi artificiali per la progressione, ci si riferisce ad un numero assai limitato
di chiodi, utilizzati per lo più come appigli, per passare solo il
passaggio più duro di un tiro. Fu solo poi col numero di ripetizioni che le vie vennero poi riempite di chiodi e rese alla pari di
esercizi da funambolo.
Tra i più grandi alpinisti di questo periodo c’è Emilio Comici,
triestino iniziato all’alpinismo dopo una prima fase speleologica nelle grotte del Carso. Addirittura è il fondatore della prima
scuola italiana di alpinismo, la “Scuola Val Rosandra”, dal nome
della zona vicina a Trieste in cui si sviluppò la prima palestra di
arrampicata ed oggi ribattezzata “Scuola Emilio Comici”.
Comici è stato un personaggio chiave della storia dell’alpinismo,
come Preuss e Bonatti: fu un poco strumentalizzato dal regime che lo idealizzò a simbolo anche se ne ottenne ben poco in
termini economici. Una delle sue grandi aspirazioni fu quella di
scrivere un manuale di alpinismo che però non riuscì a portare
a termine; altra aspirazione era quella di innalzare l’alpinismo
italiano in Dolomiti sopra tutti gli altri. Sull’esempio degli austriaci e dei tedeschi aveva avviato la pratica dell’allenamento in palestra di roccia;
naturalmente la cosa suscitò ironia e riprovazione negli ambienti occidentali, ma
quando da queste strutture come la Grigna, Val Rosandra e Fontainebleau usciranno alpinisti come Cassin, Comici ed Allain i giudizi verranno rivisti e tutti passeranno alla ricerca di strutture analoghe vicine alle città.
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Alpinismo
SciAlpinismo
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Aveva un fisico leggero che l’attività di atletica aveva reso molto
potente: la ricerca del passaggio, il gesto estetico dell’arrampicata,
il passaggio difficile su roccia erano aspetti fondamentali della sua
arrampicata. Ecco quindi che il carattere di eleganza della salita
prende corpo, l’ideale della via a goccia d’acqua perfetta e bellissima, raccoglierà il consenso delle future generazioni di arrampicatori ed il favore dei giovani ancora oggi. Quindi fu indiscutibilmente
un maestro, con una serie non esagerata di prime salite, ma tutte
decisamente intense e stupefacenti. Diventò guida a Misurina nonostante tutta la diffidenza e l’invidia dei montanari locali (era pur
sempre un cittadino).
Le prime realizzazione sono sulle Alpi Giulie dove tra il 1925 ed
1929 esplora e risolve metodicamente gli ultimi problemi insoluti
del tempo: le pareti delle Madri dei Camosci (2518 m), della Cima
di Riofreddo (2507 m) e del Jôf del Montasio (2753 m). Nel 1929
compie la prima grande impresa: la salita di VI° grado sulla Sorella
di Mezzo nel Gruppo del Sorapis con G. Fabjan. Poi è un susseguirsi di vie nuove su tutta la zona dolomitica che finisce col capolavoro del 4-5 agosto del 1933 insieme a Giulio Benedetti sulla
parete nord ovest del Civetta parallelamente alla Solleder: supera
numerose fasce strapiombanti
utilizzando nel complesso 35
chiodi per 1050 metri di sviluppo. Tra il 12 ed il 13 agosto
apre con Dimai la via che lo ha reso famoso,
sulla nord della Grande di Lavaredo, usando sistematicamente i chiodi come mezzo
di progressione su un itinerario veramente
logico ed impegnativo. Ancora il 17-18 agosto con Mary Vitale e Renato Zanutti apre la
via sul fantastico Spigolo Giallo della Cima
Piccola di Lavaredo, tracciato ideale e perfetto.
Tra esaltazioni e depressioni continua l’attività fino al 1937, quando da solo ripete
la propria via sulla Cima Grande destando grande scalpore. La stampa lo definirà
quindi “l’uomo mosca” ed entrerà nella leggenda con varie esagerazioni e distorsioni
tipiche del mondo dell’informazione; queste
etichetteranno inevitabilmente l’alpinismo
con l’insegna del pericolo e dramma che
caratterizzerà i successivi anni della propria
storia.
L’ultima impresa di Comici è sul Salame del
Sassolungo nell’agosto del 1940, dove apre
una via splendida e difficile che rappresenta
il trionfo dell’arrampicata libera su quella artificiale. In ottobre, nella vicina Selva di Val
Gardena dove si era stabilito come CommisEmilio Comici
Parete Nord Cima Grande sario Prefettizio, durante un’esercitazione con amici in paledi Lavaredo
stra di roccia, perisce per la rottura di un cordino.
continua nel prossimo numero
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Emilio Comici
Discesa Acrobatica
Gruppo
SenzaEtà
Godi, Fiorenza ...
a cura di Giovanni Margheritini e Carla Carpi
Dopo le ciaspolate arriva l’ora della prima escursione per monti e valli. Si va al
Monte Morello, la montagna dei fiorentini e poi è in programma anche una rapida
visita alla più bella città d’arte del mondo: “Godi, Fiorenza, poi che se’ si grande
che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ‘nferno tuo nome si spande” scriveva
un Dante rancoroso sulla sua Commedia.
L’occasione è buona per festeggiare un felice ritorno nel gruppo di Carla Carpi
dopo un anno d’assenza per ragioni di salute. E’ lei stessa che scrive:
“E’ passato un anno dall’ultima volta in cui sono andata in montagna con il gruppo “SenzaEtà”, e per fortuna nulla è cambiato. Sono stati tutti contenti di rivedermi, mi hanno chiesto come sto, bene, sono pronta a ricominciare. La montagna è
la mia passione, non posso rinunciare a percorrere i sentieri e a salire sulle cime.
Durante il viaggio in autobus Gianna ed io ci siamo raccontate le nostre vicissitudini, abbiamo parlato di tutto e senza accorgerci siamo arrivate a destinazione: il
Monte Morello che sovrasta Firenze.
Mi sono incamminata assieme agli altri e subito mi sono dimenticata del brutto
periodo passato, dei dolori, dell’operazione alla schiena, del piede rotto ecc.
Il sentiero è dolce e quasi in piano, però rimango subito ultima. Be’ come al solito!
Strada facendo decido di limitare il percorso previsto dato che si ritorna dallo
stesso sentiero, invece mi trovo a salire la Terza Cima da dove ho ammirato Firenze, e a percorrere, dietro suggerimento di Gigi, assieme ad altri, un bel sentierino
a mezza costa che sembrava un percorso ad ostacoli, infatti abbiamo saltato una
trentina di alberi caduti.
Arrivati all’autobus, siamo partiti per Firenze dove ci aspettava un’ altra scarpinata
per le stradine. Mara ed io dopo un chilometro di lungo Arno abbiamo desistito,
sperando di riposarci sull’autobus. Invece no l’autobus non c’era …Commento
di Gigi: “Mara tu non devi mai ascoltare la Carla”. Tutto come un anno fa’. Meno
male che nulla è cambiato!!”.
Visto che Carla ha già descritto l’escursione mi limiterò a raccontare gli antefatti e
i fatti finali. Alla partenza Luigi ha distribuito un foglietto con sopra scritte alcune
informazioni sulla giornata e alcune notizie sugli aspetti geologici, vegetazionali,
faunistici, storici e ... culturali. Tra queste ultime notizie, quella di provare a gustare il “Lampredotto” un tipico cibo da strada di Firenze. Arrivati a Firenze carichiamo Stefano, una Guida Escursionistica amico di Luigi che ci accompagnerà
nel nostro giro. Con perizia Stefano spiega a tutti le varie cose che si incontrano
e le persone che ormai hanno familiarizzato cominciano a fare domande, prima
su quello che si vede e poi ... sul Lampredotto: che cos’è?, è buono?, di cosa è
fatto?. Stefano risponde sempre, ma a queste domande si vede che fa un po’ di
fatica. Forse lui non ama il Lampredotto. Nel pomeriggio si arriva finalmente in
città e parcheggiato il pullman si visita la città. Troppo bella, troppo bello andare
in giro per il centro storico senza traffico. Stefano è troppo forte! si vede che è la
sua città e che l’ama. Ogni tanto, insieme a decine di altre gli arriva la domanda:
“ma ce lo fai trovare un Lampredotto?!” Prontamente risponde che ci passeremo più avanti. Continua la visita e si sta avvicinando paurosamente l’ora di fare
ritorno al pullman per il rientro a Mantova. A quel punto intervengo con Stefano
pregandolo di farci trovare il banchino del trippaio per assaggiare il Lampredotto.
Ormai tutti hanno capito, a furia di chiedere a Stefano, che si tratta di
un panino ripieno di trippa (particolare e viscida: sono sue parole) e
a molti è passata la voglia di provare, a parole!!. Eccolo lì il banchino
del trippaio, o meglio della trippaia perchè si tratta di una ragazza
(sicuramente filippina). Mi avvicino e chiedo “una semelle con lampredotto condito con peperoncino”. Rapidamente mi viene confezionato quanto richiesto e subito me lo pappo con gusto. Nel frattempo
s’è creata la fila per le ordinazioni. Nel giro di pochi minuti tutti lì con
il paninone che gustiamo il lampredotto o con il peperoncino o con
la salsa verde. Alla faccia del disgusto, tutti mangiano con appetito.
Forse è complice l’ora della merenda. C’è persino chi se lo fa confezionare da asporto per portarlo a casa a Mantova. Molto pochi coloro
che non hanno provato!! Meno male che lì esistono ancora cose che
vengono dalle tradizioni popolari del 1200.
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... al ciel non si comanda
a cura di Andrea Carenza
Certe giornate sembrano nascere storte. Talvolta la distanza tra la
realtà e le aspettative sembra incolmabile: colpa dell’asticella troppo alta o della terra troppo bassa? Chissà. Dopo alcuni giorni in cui
pareva che da casa, allungando solo un po’ la mano, si potesse
sfiorare la neve di cima Valdritta, un S. Anselmo così nebbioso proprio non ce lo si aspettava, in un anno, per di più, che di nebbia era
stato davvero parsimonioso.
Pazienza: “al ciel non si comanda”. Poi c’è sempre chi, per scaramanzia o convinzione, assicura che sul Garda sarà tutt’un’altra cosa
e si parte per monte Castello più o meno fiduciosi ed assonnati. Ma,
si sa fin dalle gite scolastiche, l’ambiente del pullman è quanto mai
socializzante: chiacchiere semiserie e riflessioni semifilosofiche si
confondono nel brusio e coi rumori di fondo. Ogni tanto un’occhiata
al finestrino per constatare che la nebbia è ancora lì a negarci ogni
panorama e le ultime speranze e siamo già a Campione.
Si parcheggia tra una selva di alberi marinari che spuntano tra le
rovine del cotonificio Olcese e nascondono alla vista la forra del Torrente Tignalga, che dovremo risalire come un tempo facevano, ogni
giorno, le operaie dello stabilimento per tornare alle proprie case
sull’ altopiano di Tremosine. Spifferi di venticello fresco spazzano gli
ultimi torpori e si parte ma già il cielo su di noi è libero e azzurro ma
sul lago grava ancora una cortina insistente. Il sentiero sale ripido
ed aspro e la fila di arzilli “senza età” si dipana in un lungo serpente.
Dalla mia posizione di tranquilla retroguardia, rifletto che molti di
noi, morfologicamente, non sfigurerebbero seduti attorno ad un tavolo con un ventaglio di carte in mano; eppure eccoci qui ancora,
con masochistica gioia, ad ansimare per raggiungere una meta.
Fuori dalla stretta gola, percorsa dai grossi tubi che alimentano la
sottostante centrale e bagnata da innumerevoli cascatelle, il sentiero spiana un po’ e si allarga. Tutt’intorno lo spettacolo straordinario
della fioritura quasi compulsiva della primula vulgaris con cespi anche di cinquanta esemplari.
A proposito, oltre ad essere belle alla vista, con le primule si possono fare un sacco di cose in cucina: con le foglie crude, sole o
assieme ad altri tipi di verdura, si possono fare gustose insalate,
o si possono lessare e condire o fare delle minestre; con i fiori si
possono preparare marmellate, dolci e si può aromatizzare l’aceto
di vino; col rizoma si aromatizza la birra,… Santa Ildegarda, nel XI
secolo, la consigliava come rimedio contro la malinconia: portata
sul cuore, a contatto con la pelle, avrebbe trasmesso la forza del
sole di mezzogiorno.
E poi prati di viole e, nel sottobosco, l’elleboro ed il dente di cane,
tutti distribuiti, per la gioia dei nostri occhi, senza risparmio. Sulla
superficie di uno stagno occhieggiano miriadi di uova di rana prossime a liberare i girini. Saliti in quota e raggiunto un poggio da cui
spaziare con lo sguardo verso est ci si offre uno spettacolo raro:
dalla bruma che ancora copre il Benaco
emergono le gobbe del Baldo, bianche,
quasi come iceberg che galleggiano nel
mare.
La fatica comincia a farsi sentire, a certe età settecento metri di salita possono
essere una bella sfida, ma siamo ormai
giunti alla meta. Seduti sui gradini del
santuario (purtroppo chiuso per lavori)
della Madonna di Monte Castello, a gustarci il meritato panino, siamo tutti convinti che ne sia valsa la pena.
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Gruppo
SenzaEtà
Gruppo
SenzaEtà
Pierino e i dinosauri ....
a cura di Giovanni Margheritini
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Escursionismo
Camminare ...
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Equinozio
di primavera
Giovani Alpinisti
Mantovani
Anno
I - Margheritini
Marzo 2014 - Il giornalino dei ragazzi
a cura di
Giovanni
Escursionismo
Autunnale
I protagonisti ...
un po’ umidi ....
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Escursionismo
Evviva la domenica ...
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Notturna con polenta e ...
a cura di Stefano Sacchi - Nota della Redazione
Della stessa escursione ci sono arrivate due saggi, il primo l’avete letto sul numero
di Marzo, ora qui leggete questo. Perchè lo pubblichiamo? per potere dimostrare
che ognuno può interpretare a suo modo una escursione, l’importante è stare
bene dentro con se stessi per quello che si è fatto.
Cosa dire! vai col CAI e non sbagli mai? forse è meglio dire mangi assai.
L’errore è umano e diventa facile quando siamo in tanti e abbiamo tante cose da raccontarci, se poi, ci si mette di mezzo un caterpillar che
spala neve proprio sul bivio per il nostro sentiero, diventa inevitabile,
l’attenzione a non finirci sotto “sarebbe stato grave”, passi tu o passo
io? insomma!! abbiamo tenuto la sinistra invece che la destra, poco
male, 150 metri in più da aggiungere ai 400 metri che si sono aggiunti a
quelli ufficiali, causa le abbondanti nevicate “ci volevano” per un totale
di?? cifra tonda, metro più o metro meno, voglio esagerare 1000 metri
e cosa sono per le donne e gli uomini del CAI? un baffo! basta usare
la mente e il cuore e detto fatto siamo al rifugio Giovanni Tonini, il più
giovane capitano nella grande guerra 15-18, grado conferitogli all’età di
21 anni e mezzo.
Siamo alla quota di 1906 metri sulla lunga catena dei Lagorai, dalla Poncikova “la rifugista” suonatrice di trombone, nonché cuoca eccellente.
Purtroppo tutti coloro che hanno disdetto la ciaspola non avranno fatto
la nostra sudata, ma nemmeno la nostra mangiata.
Arrivati dopo un ultimo tratto di sentiero ripido, circondati da abeti ricoperti di licheni, che visti di notte, illuminati dalle nostre lampade a led,
assumono sfumature di colore notevoli, il tutto in un contesto fiabesco.
Ad attenderci una stufa a legna con sopra un pentolone pieno di te caldo, poi ci sediamo e lì, iniziano le danze culinarie, minestrone denso alla Lagorai,
a seguire, polenta formaggio fuso con puntèl di lugànega, contorno di fagioli stufati, patate arrosto, verze e per i più raffinati gulash. Cosa dire, il vostro stomaco
starà pompando come il mio mentre scrivo? penso di si. La PonciKova ci ha stesi
al tappeto al primo round, gli animi sono caldi, siamo tutti contenti tranne uno, lo
sforzo, la mancanza di preparazione fisica, l’inesperienza o forse lo shock termico dopo il te caldo, non ha assaggiato altro che un mezzo minestrone. Arrivano
i dolci, fette di torte caserecce assortite, come quelle che si mangiano il giovedì
alle uscite dei senza età, caffè? caffè? dalla cucina esce una fisarmonica, una
chitarra senza corde, la Puncikova col trombone, i rifugisti iniziano a suonare e
noi dopo un attimo di stasi iniziamo a ballare.
Una grande festa, il Mau timidamente inizia un trenino con Lorenzo, nessuno li
segue ognuno balla per sé poi si forma qualche coppia, il repertorio dei suonatori
spazia da De Andrè alla Bella ciao, passando dalla Cucaracha al twist,
insomma! uno sballo.
Non vorremmo tornare vorremmo restare ma l’autista ci aspetta, la festa
è finita! ci aspetta il buio e tanta neve, forti della serata e con l’aiuto di
qualche grappino partiamo, qualcuno butta palle di neve, il Loris come
sempre scherza, inciampa e come Fantozzi, braccia avanti e giù dal
pendio fra le risate di tanti.
Siamo felici della serata trascorsa insieme, nell’aria tutto un vociare
come alla partenza da Brusago.
Dopo qualche goccia di pioggia, un pò di vento, esce lei, la luna piena
ad illuminarci la via, tutto sbianca, spegniamo le lampade, bellissimo!
solo il rumore delle ciaspole in quest’ambiente glassato, siamo circondati dai pini e dalle stelle in cielo.
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Escursionismo
Invernale
Una catastrofe: “1914 --
Commissione
Scientifica
Cultura
a cura di Luigi Zamboni - Note della Redazione
Cento anni fa iniziava una vera catastrofe dell’umanità.
E’ giusto che vi sia memoria a monito della stupidità
umana affinchè non debbano ripertersi simili esperienze. Nella nostra rivista, con l’aiuto di Luigi Zamboni, da questo numero fino alla fine del 2015, ripercorreremo quei fatti sperando che siano d’aiuto ai giovani
che non hanno vissuto esperienze di guerra, ma che
servano anche a quelli più maturi d’età perchè contribuiscano attivamente e definitivamente alla creazione
di una Europa dei popoli.
Prologo
Cento anni fa aveva inizio la Grande Guerra. Secondo lo storico Mario Isnenghi,
la parola “celebrare” è assolutamente da evitare. Non c’è nulla da festeggiare.
Non solo perché ogni guerra è un male in sé, ma anche perché oggi appare
incongruo l’essersi sparati addosso tra popoli cui bisogna una fraterna cittadinanza europea.
La guerra scoppiò in Europa nell’estate del 1914, finì per coinvolgere anche Africa, Medio Oriente, Asia, area del Pacifico e Americhe. Fu una catastrofe, una
vana e sanguinosa apocalisse. A quel tempo i paesi del mondo erano divisi in
due grandi coalizioni. Una guidata da Gran Bretagna, Francia e Russia era chiamata Triplice Intesa. L’altra guidata da Germania, Austria e Italia, nota come
Triplice Alleanza. Complessivamente le due coalizioni mobilitarono 65 milioni di
soldati. Perirono 20 milioni di persone tra soldati e civili, altri 21 milioni rimasero
feriti. Altri milioni ancora furono falcidiati dalle malattie propagate dal conflitto: la
sola pandemia del 1918-1919 mieté più di 20 milioni di vittime.
Il terremoto militare, politico, economico e sociale portò a una completa riconfigurazione della mappa del mondo. Imperi
e dinastie furono spazzati via, sostituiti da
nuove nazioni. Oggi la terra conta un numero di stati all’incirca quattro volte maggiore di quello esistente nel 1914.
La grande guerra sprigionò forze terrificanti
che avrebbero flagellato l’intero XX secolo. Per far uscire la Russia dalla guerra, il
governo tedesco finanziò i comunisti bolscevichi e, nel 1917, fece entrare lo stesso
Lenin in Russia. Il bolscevismo fu solo la
prima di tali furie figlie della guerra, seguite
negli anni dal fascismo e dal nazismo.
Tuttavia la guerra innescò anche dei grandi
movimenti di liberazione. Intenta a dilaniare se stessa, l’Europa perse il dominio del
mondo: nel corso del XX secolo miliardi di
persone conquistarono l’indipendenza.
Perché scoppiò la prima guerra mondiale?
Gli storici non hanno ancora raggiunto un
accordo sulla risposta. Al contempo, però, tutti concordano sul fatto che l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando e della moglie Sofia sia stato non la
causa ma semplicemente l’occasione che indusse dapprima i Balcani, poi l’Europa e infine il resto del pianeta a prendere le armi.
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-- 1918 la Grande Guerra”
Commissione
Scientifica
Cultura
La sproporzione tra il crimine perpetrato e il conflitto appare troppo smisurata per
poter decretare l’uno causa dell’altro. Non appare possibile che decine di milioni
di persone potessero perdere la vita perché un uomo e la sua consorte – due
individui di cui molti non avevano mai sentito parlare – avessero perso la propria.
Niente di quanto accadde era inevitabile.
Prima parte. Le tensioni dell’Europa
Lo scontro degli imperi
Agli inizi del Novecento le grandi potenze europee governavano gran parte del globo. Austria-Ungheria, Francia, Germania,
Gran Bretagna, Italia e Russia dominavano l’Europa, l’Asia, il
Pacifico e significative parti dell’emisfero occidentale, e una
parte di quel poco che restava apparteneva agli stati europei
meno potenti: Belgio, Olanda, Portogallo e Spagna.
Queste potenze imperiali erano disomogenee per forza e dimensioni. Essendo inoltre rivali, erano impegnate a misurarsi
tra loro, tentando di capire chi avrebbe avuto la meglio e chi la
peggio in caso di guerra, e dunque con chi sarebbe convenuto
allearsi.
La forza militare era considerata un valore supremo in un’epoca
nella quale si riteneva che la sopravvivenza fosse di chi sapeva
uccidere di più anziché, come noi oggi sappiamo, di chi sa adeguarsi meglio alle
circostanze.
L’impero britannico era il più ricco, il più potente e il più vasto. Controllava oltre
un quarto della superficie terrestre e un quarto dell’intera popolazione
mondiale. La Germania vantava il più potente esercito di terra del mondo. Ambiva ad occupare quei territori d’oltre oceano che Bismark, il
“cancelliere di ferro”, aveva sprezzantemente definito “oro degli stolti”.
La Russia, un vasto paese socialmente ed economicamente arretrato, sfiancata dalla guerra perduta col Giappone nel 1904-1905 e dalla
rivoluzione del 1905, si andava industrializzando e armando grazie al
sostegno della Francia. Quest’ultima, pur contando sulle risorse del suo
impero, non poteva più competere con la Germania e, quindi, sosteneva la Russia come contrappeso al potere germanico. La Gran Bretagna
era stata costretta dalle crescenti ambizioni tedesche ad avvicinarsi
alla Francia e, di conseguenza, alla Russia. La Duplice monarchia austro-ungarica governava un mosaico di nazionalità irrequiete e spesso
in conflitto tra loro.
L’Italia, uno stato di recente formazione e in quanto tale bramoso di
conquistare un posto al sole nel consesso delle grandi potenze, aspirava ad essere riconosciuta come loro pari. Considerata un paese poco
affidabile, continuava a reclamare territori ai danni dell’Austria.
All’epoca era opinione comune che la strada verso la gloria e la ricchezza passasse per l’acquisizione di ulteriori colonie. Il problema era che i territori
non ancora occupati erano ormai scarsi.
Il nazionalismo
Il nazionalismo esprime il democratico convincimento che ogni nazione ha il diritto all’indipendenza e all’autogoverno.
Gli Asburgo d’Austria, che regnavano su un mosaico di nazionalità, erano stati e
restavano il principale nemico del nazionalismo europeo.
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Serajevo
Assassinio dell’arciduca
Francesco Ferdinando e
di sua moglie Sofia.
Francesco Giuseppe
Imperatore d’Austria
Commissione
Scientifica
Cultura
Guglielmo II
Kaiser Germania e Prussia
Nicola II
Zar di Russia
L’imperatore Francesco Giuseppe, nel 1867, per quietare i magiari escogitò la
stipula di un trattato di unione tra Austria e Ungheria. Ciascuna avrebbe avuto un proprio parlamento e un proprio primo ministro, ma un titolare unico ai
ministeri degli Esteri, della Guerra e delle Finanze. L’entità su cui tentavano di
regnare era costituita da otto nazioni, diciassette paesi, venti gruppi parlamentari, ventisette partiti. All’inizio del XX secolo serbi, croati, cechi e altri, che non
avevano avuto concessioni, complottavano al fine di disgregare e abbattere
l’impero austro – ungarico.
Il nazionalismo, così come predicato da Giuseppe
Mazzini, avrebbe dovuto portare la pace. Invece portò la guerra.
La questione orientale
C’era stato un momento, secoli addietro, in cui i turchi avevano dominato non solo il Medio Oriente ma
gran parte del Nord Africa e dell’Europa balcanica,
giungendo fino alle porte di Vienna. Ora, invece, le
demoralizzate forze del sultano andavano arretrando, incalzate dall’avanzata dei cristiani. L’Inghilterra
tentava di puntellare il decadente impero turco. Sul
versante opposto, Austria e Russia perseguivano politiche espansionistiche ai danni del sultano. Tuttavia
il pericolo fu evitato.
Le popolazioni cristiane dell’Europa sud orientale si
liberarono una dopo l’altra dalle catene del dominio
ottomano e, nel primo decennio del XX secolo, Romania, Bulgaria, Serbia, Montenegro e Grecia erano
Vittorio Emanuele III e consorte
diventate tutte paesi liberi. Erano nazioni litigiose, a
Reali d’Italia
volte in forte contrasto tra di loro e ciascuna di esse
imboccò la propria strada sulla scena internazionale.
I paesi si armano
Un evento molto importante alla fine dell’Ottocento
fu la scoperta di Faraday, che permise la diffusione
dell’energia elettrica. La produzione quasi illimitata di
energia rese possibile pressoché ogni altra cosa. L’
Europa negli anni che vanno dal 1900 al 1914 stava
compiendo passi da gigante in una rivoluzione scientifica, tecnologica e industriale. Le industrie belliche
incrementarono la produzione. Ebbe inizio negli stati europei una corsa al riarmo. Il Kaiser Guglielmo
II affidò all’ammiraglio Alfred von Tirpiz l’incarico di
costruire una grande flotta navale. Il programma di
Tirpiz portò ad inimicarsi Inghilterra, Francia e Russia. La Germania, la maggior potenza commerciale e
industriale dell’Europa continentale, stipulò una serie
Giorgio V
di accordi strategici tali da far sì che, qualora fosse
Re del Regno Unito
entrata in guerra, si sarebbe trascinata dietro, come
alleati o come nemici, tutti i paesi europei e gran parte
del resto del pianeta.
Un’innovazione risalente al XIX secolo fu l’introduzione nelle forze armate di
una procedura standard di elaborazione di piani di guerra contro i paesi rivali.
Questi piani avevano più una caratteristica offensiva che difensiva.
Raymond Poincaré - Presidente Repubblica Francese
continua nel prossimo numero
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Vegetazione forestale appenninica
a cura di Giovanni Margheritini
Commissione
Scientifica
Vegetazione
Abbiamo visto, in un articolo sulla rivista precedente, come le Alpi offrano un’enorme varietà di ambienti, substrati geologici e microclimi che ne fanno un tesoro
di biodiversità. Inoltre abbiamo capito quali sono i fattori che influenzano la formazione di specie vegetali: altezza, latitudine, versante, andamento vallate. Tutto
questo ci è servito per dividere idealmente la montagna in piani altitudinali dove
cresce una vegetazione di riferimento e di come lo stesso piano può variare in
funzione di dove si trova.
Tutto questo si ripete sugli Appennini, anzi si accentua enormemente se pensiamo alla sua estensione
latitudinale (si estendono per circa
1500 km) con temperature che
vanno dal freddo al quasi torrido,
con precipitazioni molto frequenti
al nord che si riducono a pochi millimitri l’anno al sud.
L’insieme di Alpi e Appennini danno origine a circa 60.000 specie
vegetali; l’Italia è il paese europeo
che ha la più ricca flora e ciò è dovuto al fatto che ha ambienti che
vanno dal freddo delle regioni d’alta quota, prossime ai ghiacciai, al
clima mediterraneo arido.
Nella figura a lato si possono vedere schematizzate le fascie di vegetazione e dei relativi ecosistemi
di tutta la parte appenninica e insulare secondo la classificazione eseguita da S. Pignatti nel 1994 e che rimane
tutt’ora punto di riferimento.
È abbastanza evidente il cambiamento delle fascie vegetazionali man mano si
scende a sud dove l’influenza mediterranea temperata e arida prende il sopravvento soprattutto sulle isole.
spiagge con vegetazione alofitica
Per memoria si ricorda che una
Orizzonte Mediterraneo
steppe litoranee
parte dell’appennino settentrioPiano
sugherete e leccete
Basale
nale e centrale è stato influenzato
da
0
a
1000
m
querceti caducifogli xerofili
dalla glaciazione del pleistocene
Orizzonte Submediterraneo
cerreto e castagneto
(30 milioni di anni fa).
faggeta
e abetina mista
Orizzonte Montano Inferiore boscaglia
Nella tabella in basso a sinistra
Piano
di Alnus cordata
Montano
si riporta in forma semplificata
faggeta
pura
o con conifere
da 1000 a 2000 m Orizzonte Montano Superiore
la suddivisione appenninica e inmediterraneo-montane
sulare per Zone Altitudinali con
pineta montana
Orizzonte Subalpino
l’indicazione delle specie caratPiano
ginepri nani
Culminale
teristiche, come se fossere delcariceti, festuceti e nardeti in
da 2000 alle cime Orizzonte Alpino
le piante guida, anche se non è
compagini chiuse e aperte
possibile stabilire ciò con precisione per il continuo mutare della
situazione percorrendo la catena appenninica da nord a sud. Leccio, querce,
castagno e faggio sono comunque piante comuni a tutto il territorio in esame,
cambiano solamente zona in funzione della latituine.
Il nostro esame prosegue con un approfondimento per settori e più precisamente
per Appennino Settentrionale, Alpi Apuane, Appennino Centrale, Appennino Meridionale e Montagne delle Isole.
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Appennino
Commissione
Scientifica
Vegetazione
a cura di Giovanni Margheritini
L’Appennino settentrionale è lungo circa 250 km e geograficamente va dal Colle
di Cadibona alla Bocca Serriola con un andamento da Nord Ovest verso Sud Est.
Gli aspetti generali terminano qui, così come le caratteristiche comuni in quanto
siamo in presenza di una catena montuosa alquanto variegata con caratteristiche
estremamente diverse. L’Appennino settentrionale è suddiviso in:
Appennino Ligure
Caratterizzato per l’asimmetria dei versanti, ripido quello verso il mare e
più degradante quello verso la Pianura Padana. Le rocce sono prevalentemente metamorfiche ( ofiolito-calcescisti) con altitudini che superano di
poco i 1000 metri sul versante ligure, mentre su quello piemontese la litologia è in prevalenza sedimentaria di origine marina (calcari, conglomerati,
arenarie e marne) con vette che arrivano a superare i 1700 metri. Il clima
è in netta contrapposizione tra il versante meridionale, caldo e umido, e
quello settentrionale, freddo e poco piovoso. Con questo quadro di riferimento l’aspetto vegetazionale sulla parte meridionale è caratterizzato da
una fascia mediterranea tra il mare e 600 metri d’altitudine con vaste coltivazioni di olivi e viti a cui seguono lecceti e querce da sughero (ma solo
sui terreni acidi). Nei versanti più ripidi e rocciosi direttamente affacciati sul
mare troviamo boscaglie aperte di Pino d’Aleppo. Frequente ed esteso,
nei substrati acidi si trova il Pino marittimo che si spinge fino ad oltre 700
metri accompagnato da corbezzolo, erica arborea e ginestra. Poi abbiamo
la fascia collinare fino a 1000 metri dove predominano i boschi di latifoglie
decidue a prevalenza di querce e di carpino nero e di cisto allo stato arbustivo. Frequenti anchei boschi artificiali a castagno, soprattutto nella zona
orientale favoriti dalla frequente piovosità e dai substrati acidi. Sul versante
settentrionale (padano) manca totalmente la fascia mediterranea, i rilievi
fino fino a 800-1000 metri sono ricchi di boschi misti di roverella, cerro e
rovere. Nel settore piemontese fino ai 600 metri il paesaggio è caratterizzato dalla coltivazione della vite. Nella fascia collinare
sono presenti anche boschi di conifere in massima
parte artificiali. Gli unici boschi naturali di conifere
sono quelli a Pino silvestre. Dopo la fascia collinare
si ha quella montana che dai 1000 metri si spinge
fino ai 1600-1700 metri. Qui predominano le faggete, accompagnate dall’acero di monte e dove il suolo si fa più povero vi sono estesi rimboschimenti ad
abete bianco. La fascia subalpina, se pur modesta
vista l’altitudine media delle vette, è presente solo in
piccoli frammenti di brughiere a mirtilli presso le vette più elevate (Ebro, Lesina, Nero, Ragola, Aiona).
Appennino tosco-emiliano
E compreso tra il Passo della Cisa e la Valle del
Reno, presenta una struttura e una’articolazione
meno complessa di quello ligure mentre l’accomuna la dissimmetria dei versanti. Le parti sommitali
di questi appennini sono costituite prevalentemente da arenarie oligoceniche, molto poco resistenti
all’erosione e per questo presentano una morfologia arrotondata e modellata dai ghiacciai pleistocenici. Hanno altezze comprese tra 1700 e 2000 metri
con alcune cime che li superano ( Cimone 2165 m,
Cusna 2120 m, ecc.).
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Settentrionale
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Scientifica
Vegetazione
A questa uniformità sommitale si contrappone, nella parti intermedie e basali,
una presenza di marne, arenarie, argille e calcari. Sporadica la presenza di affioramenti ofiolitici. Il clima sul versante toscano è più caldo e umido, influenzato
dalle correnti tirreniche, rispetto a quello padano, più freddo e non molto piovoso.
In questa parte d’Appennino manca ancora la fascia mediterranea. Sul
versante tirrenico la maggior parte delle leccete è stata sostituita da
pinete a Pino marittimo e da oliveti. La fascia collinare è molto estesa,
soprattutto sul versante padano con una varietà vegetazionale molto accentuata, anche se possiamo stabilire la roverella come specie
arborea rappresentativa. Tra la vegetazione artificiale non mancano i
castagneti e la robinia e, lungo i corsi d’acqua, i pioppeti. Uno degli
elementi del paesaggio collinare sono i calanchi, aree a substrato argilloso interessate da grossi fenomeni di erosione rapida per effetto delle
acque superficiali dilavanti. Qui la copertura vegetale è scarsa e una
delle poche piante che resiste alla salinità del suolo è la Scorzanera. La
fascia montana è predominata dal faggio e la sua altimetria è variabile
ma raggiunge tranquillamente i 1700 metri. Molta importanza hanno gli
ambienti umidi di questa fascia per essere il limite meridionale di alcune specie vegetali alpine ( per esempio il rododendro). L’abbondanza
di laghi di origine glaciale e di torbiere che si riscontra in questo tratto
non ha confronti con il resto dell’appennino. Abbiamo poi la fascia
subalpina e alpina abbastanza sviluppate con brughiere molto vaste
a mirtillo nero, mirtillo falso e mirtillo rosso spesso accompagnate da
ginepro. Più in alto si sviluppa la vegetazione rupicola selettiva di saxifraghe.
Appennino tosco-romagnolo
E compreso tra la Valle del Reno e la Bocca Seriola. Il crinale ha altitudini intorno ai 1000-1200 metri e culminando nel Monte Falco (1658
m) e ne Monte Falterona (1650 m) e presenta una singolare struttura
a pettine con contrafforti tra loro paralleli e separati da valli lunghe e
abbastanza ampie. Il versante toscano è più acclive ed è inciso da valli
parallele al crinale. Una delle particolarità di questo tratto appenninico è il trasversale affioramento gessoso-solfifero (la vena del gesso
romagnola). La litografia dei versanti è in continuità con l’appennino
tosco-emiliano con arenarie superficiali e marne, argille e calcari sulle
parti basali e intermedie. Il clima sul versante padano è maggiormente
influenzato dal mare Adriatico mentre continua l’influenza tirrenica sul
versante toscano. In questo tratto inizia a vedersi una modesta fascia
mediterranea con olivi anche sul versante padano mentre sul versante
toscano, con maggior influenza mediterranea, oltre all’olivo ci sono
boschi di Pino marittimo e di farnia (totalmente assente sul versante
romagnolo-emiliano). Anche qui la fascia montana è caratterizzata dal
dominio del faggio che arriva, quasi ovunque in questo tratto, ad essere la specie sommitale. Vi sono vaste estensioni artificiali di Abete
rosso e sempre più rare abetine di Abete bianco. Nell’appennino tosco-romagnolo, date le modeste altitudini, non esiste una vera e propria fascia subalpina (nè una fascia alpina), ma solo alcuni frammenti
di brughiera a mirtillo e alcune specie rupicolo artico-alpine nella zona
del Monte Falco e Falterona. Nel 1959, qui venne istituita la prima riserva naturale integrale d’Italia all’interno delle Foreste Casentinesi sul
versante adriatico. La riserva è estesa su un’area di 764 ettari di superfice. Di questo prezioso gioiello naturale ne parleremo diffusamente in uno dei
prossimi numeri della rivista.
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Commissione
Scientifica
Vegetazione
Famiglia:
Liliaceae
Nome scientifico:
Ruscus aculeatus
Fioritura:
Febbraio - Giugno
Ottobre
Habitat elettivo:
E’ presente nel sottobosco di macchie alte
e nei boschi sempreverdi (leccete) e
caducifogli; si inoltra
fino all’orizzonte
montano. Predilige
zone ombrose ed a
mezza ombra; ma si
può trovare anche in
ambienti soleggiati.
E’ una pianta sensibile al freddo, per cui
nelle zone meridionali
la si può trovare oltre
i 1200 m., nel resto
d’Italia difficilmente
vegeta sopra i 600 m.
Gli arbusti e i cespugli
a cura di Andrea Carenza
Il Pungitopo
Una pianta del paleolitico
Il Pungitopo arriva da lontano. Ci sono
tracce della sua esistenza che risalgono al Pliocene superiore, circa 3,6
milioni di anni fa, nell’allora clima tropicale dell’area mediterranea. Ha superato le glaciazioni del Quaternario e
si è espanso fino all’Europa centrale e
al sud ovest dell’Asia fino ad un’altitudine di 1200 m. Il pungitopo viene anche coltivato come pianta ornamentale, soprattutto come decorazione
durante le feste natalizie.
Il pungitopo è una pianta dioica ciò significa che parte delle piante producono solo fiori femminili e l’altra parte solo
fiori maschili. La fioritura inizia di solito dal mese di febbraio e si protrae fino a
giugno ed anche in autunno.
È un cespuglio sempreverde alto dai 30 agli 80 cm e quelle che sembrano foglie
(i cladodi) in realtà sono rametti trasformati, appiattiti ed puntuti che hanno assunto la funzione delle foglie anche nella fotosintesi clorofilliana; le vere foglie,
simili a squamette, sono sottoterra. Poco sopra la base dei cladodi, in primavera, sbocciano i piccoli fiori verdastri che danno origine ai frutti rossi delle dimensioni di piccole ciliegie, che maturano in inverno.
Nella medicina popolare, per le doti diuretiche che possiede, è usato nella
“composizione delle cinque radici”, insieme al prezzemolo, al sedano, al finocchio e all’asparago. Deve le sue proprietà diuretiche sopratutto ai fitosteroli che
lo rendono in grado di eliminare i cloruri; è sedativo ed antinfiammatorio delle vie
urinarie; è utile nella cura dei calcoli renali, delle cistiti, gotta, artrite e reumatismi
non articolari. Il pungitopo è utile anche nella terapia delle vene varicose con
un’azione vasocostrittrice sopratutto dei capillari (è infatti il più potente vasocostrittore naturale che si conosca). Abitualmente il rusco viene prescritto per via
orale, tramite il decotto.
I germogli (turioni) del Pungitopo, vengono raccolti da marzo a maggio quando
sono più teneri e si consumano come gli asparagi selvatici o coltivati, ma hanno
un sapore più amarognolo e devono essere cotti a lungo in acqua abbondante.
Una volta lessati, si mangiano conditi con sale, pepe, olio e succo di limone oppure si usano come ingredienti per le frittate.
Pare che il curioso nome (in effetti punge chiunque l’avvicini incautamente) de-
Hanno detto di lui:
Si racconta che esso veniva schivato da tutti gli esseri viventi perchè i suoi aculei pungevano. Un giorno mentre se ne stava isolato da tutti si accorse che dietro ad un cespuglio c’era un lupo che voleva
azzannare tre leprotti. Ad un tratto passò di lì un piccolo topolino; l’arbusto lo punse leggermente con i
suoi aculei, e gli chiese di andare dai tre leprotti a dirgli di nascondersi vicino a lui, in modo da ripararsi
dal lupo. I tre leprotti obbedirono al topolino e l’arbusto trasformandosi in una gabbia gli fece da riparo.
Il lupo provò ad azzannare i tre leprotti una volta, poi un’altra volta ed un’altra ancora; ma, non ci riuscì
perchè si pungeva con gli aculei del pungitopo; poi se ne andò via ferito e scornato.
Il giorno dopo sull’arbusto nacquero tante bacche al posto degli aculei e da quel giorno si chiamò
pungitopo.
Giorgia L. - La Montagna Fantastica
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Riconoscere gli Alberi Guida
a cura di Giada Luppi - agronoma (laureanda)
Il Faggio
Signore della montagna
Il Faggio esprime una personalità austera e nobile. Pochi tra gli alberi della montagna, riescono
come il Faggio a tradurre nel loro portamento una
sintesi tanto mirabile tra eleganza e potenza, forza
e, appunto, nobiltà. Pochi, ancora, riescono come
questo albero bello e slanciato a tradurre l’astratto concetto di foresta in realtà d’ambiente, a trasformarlo in paesaggio grandioso e selvaggio e in
percezioni dei sensi che l’uomo riesce a cogliere
pienamente. Ma anche quando, ritiratasi la foresta su versanti più elevati per lasciare spazio al
pascolo, il Faggio rimane isolato e invecchia in solitudine assumendo le proporzioni di un patriarca
gigantesco, non rinuncia ad essere protagonista
dei paesaggi alpini e appenninici. Pianta a portamento arboreo, longeva (fino a 500 anni d’età) può raggiungere i 40 metri d’altezza. Il tronco è regolare e cilindrico e i rami sono ascendenti-espansi a formare
una chioma di profilo dapprima ovato, poi subsferico, di densità medio elevata e
di colore verde brillante. La foglia presenta una lamina di profilo ovale o ellittico,
con il margine ondulato e ciliato, lucente sulla pagina superiore. Le gemme sono
sottili e affusolate, di colore rossiccio, mentre la corteccia è di colore grigio uniforme e di aspetto liscio. I fiori sono monoici, con i maschili ascellari, penducolati
e i femminili penducolati a coppa. Il frutto è protetto da quattro valve ispide, è
formato da uno o due acheni ed è denominato faggiola. In Italia è presente sulle
Alpi e sugli Appennini fino alla Sicilia, tra i 900 e 1400 metri, potendo salire in
Appennino fino a oltre 1900 metri.
I boschi di Faggio, cui spesso si associa l’Abete bianco (Abies alba), ammantano
i versanti di valli ombreggiate, caratterizzate da elevata umidità aerea e, al tempo
stesso, da escursioni termiche contenute. Per queste sue esigenze ecologiche il
Faggio viene definito albero tipico del clima oceanico, mentre i suoi limiti altitudinali ne fanno una specie tipicamente montana.
Notevole è l’importanza ecologica del Faggio e interessante è la biocenosi ad
esso collegata da relazioni ecologiche d’habitat o alimentari. Tra gli organismi
che vivono sui Faggi vetusti figura la rara cerembice Rosalia alpina, le cui larve si
sviluppano nel legno marcescente; e ancora la Ghiandaia, il Moscardino, il Ghiro
e lo Scoiattolo che, come il cinghiale, si nutrono delle faggiole.
Il suo legno, semiduro e roseo è molto pregiato e molto utilizzato fin dall’antichità.
Commissione
Scientifica
Vegetazione
Famiglia:
Fagaceae
Nome scientifico:
Fagus sylvatica
Fioritura:
Aprile - Maggio
Habitat elettivo:
Boschi montani in
valli caratterizzate da
elevata umidità aerea.
Specie tipicamente
sciafila, mesofila e
anemofila, forma
talvolta aggregazioni pure denominate
faggete.
Inflorescenza
Hanno detto di lui:
Il Faggio è la folla, la massa, e la sua giornata è quella del lavoratore laborioso.
La fabbrica funziona perché ci sono i Faggi che avvitano i bulloni e svolgono i
Faggiola
lavori di manovalanza. Senza di loro la catena di montaggio non andrebbe avanti. Nessuna
società
piò vivere e produrre solo con il riservato Maggiociondolo, o con l’elegante Betulla, o con il duro, ma
fragile Acero. Ci vogliono tanti Faggi che ogni mattina sono lì, a timbrare il cartellino. Certo lui non è un
lettore, non va a teatro, il cinema impegnato non lo conosce, ma per il calcio, per la squadra del cuore,
è disponibile a tutto. In fabbrica, il lunedì è felice se i suoi hanno vinto e poi un po’ di osteria, le carte e
la televisione sono il suo mondo. Molti Faggi sono anche permalosi e tentano in ogni modo di ribellarsi
al loro destino di uomini normali.
Mauro Corona - La voce del bosco
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Commissione
Scientifica
Ambiente e
Territorio
Abitare sui monti ...
a cura di Francesca Golinelli - ambientalista - architetto
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L’energia vien dai monti....
a cura di Lucia Margheritini - ambientalista - ingegnere
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Commissione
Scientifica
Ambiente e
Territorio
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Il tempo geologico
a cura di Giovanni Margheritini
Commissione
Scientifica
Geologia
Molti fenomini naturali diventano comprensibili solo se si tiene conto del fattore
tempo. Quando osserviamo un fiume scorrere sul fondo di una valle, possiamo
comprendere che il fiume non ha occupato una valle già presente, già pronta, ma
l’ha scavata con un lento processo durato per centinaia di migliaia o per milioni
d’anni.
Le misure temporali che siamo in grado di compiere direttamente riguardano
archi di tempo che vanno da frazioni di secondo a poche decine di anni. Alcuni
fenomeni oggetto delle scienze della Terra, come i moti di masse d’aria e di acqua e le variazioni climatiche stagionali, si sviluppano all’interno di quest’ordine
di grandezza. Per molti altri fenomeni, invece, l’ordine di grandezza temporale
coinvolto è molte volte superiore al tempo della vita dell’uomo. Poche decine di
centimetri di fango che si depositano su un fondale marino possono richiedere
migliaia d’anni per formarsi. Una catena montuosa si innalza in milioni di anni.
Le trasformazioni della composizione dell’aria che respiriamo sono avvenute in
centinaia di milioni di anni.
È proprio la vastità del tempo geologico che ci porta a ragionare in termini di
centinaia di milioni o miliardi di anni, che è quasi impossibili concepire e assimilare. Ma questa vastità è quella che ci consente di capire in modo corretto come
si verificano gli eventi geologici. L’erosione di una valle fluviale, l’elevarsi di una
catena montuosa o la nascita di bacini oceanici e la deriva dei continenti, non
sono il risultato di eventi catastrofici, come spesso si legge o si ascolta, ma di
movimenti lentissimi, impercettibili. L’innalzamento di 1 mm all’anno implica uno
spostamento di 1km in un milione di anni, cioè, per esempio, una montagna di
1000 metri.
Certamente esistono eventi geologici improvvisi e catastrofici, di brevissima
durata geologica come terremoti, eruzioni vulcaniche, tsunami, l’impatto di una
grossa meteorite, ma questi fenomeni, pur nella loro drammaticità, non modificano l’assetto della superficie terrestre. È soltanto il loro lungo protrarsi (per milioni
di anni) che può eventualmente incidere sulla struttura e morfologia terrestre.
Il tempo è misurato da eventi e, come noi dividiamo il tempo in secoli, anni,
stagioni, mesi e giorni, i geologi hanno stabilito di dividere il tempo geologico in
Eoni, Ere, Periodi, Epoche, Età. Si tratta di unità cronologiche di diverso rango
che assieme costituiscono la “Scala dei tempi geologici” o “Scala
geocronologica”. Secondo la versione più recente (2013) adottata
dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia la storia della Terra,
iniziata 4600 milioni di anni fà, è stata suddivisa in quattro Eoni di
durata molto diversa:
•
•
•
•
Scala
Geocronologica
Fanerozoico (iniziato 541 milioni di anni fa)
Proterozoico (tra 2500 e 541 milioni di anni fa)
Archeano o Criptozoico (tra 4000 e 2500 milioni di anni fa)
Adeano o Azoico (prima di 4000 milioni di anni fa)
In allegato a questo numero della Rivista troverete una scheda che
riporta, in maniera semplificata, la Scala Geocronologica con indicati Eoni, Ere, Periodi, Epoche, Limiti e durata in milioni di anni e i
principali eventi geologici e biologici. Con questa scheda plastificata si intende mettervi a disposizione uno strumento utile da portarsi
dietro nelle escursioni naturalistiche, nelle visite a musei e a siti geo
- paleontologici, ecc. in modo da potersi dare una risposta rapida
alla ricorrenti domande di interesse e curiosità: quanto è successo
questo?, quanti anni ha questo dinosauro? quanti anni ha il Monte
Bianco? quando si sono formate le Dolomiti?, ecc.
- 47 -
La valle incassata del
fiume Colorado nell’Arizzona (USA) si è formata
negli ultimi 5-6 milioni di
anni.
Le rocce granitiche del
massiccio del Monte
Bianco, vecchie di oltre
300 milioni di anni, sono
state innalzate fino a queste quote per un lento
sollevamento, di pochi
millimetri all’anno, protrattosi per alcune decine
di milioni di anni.
Meteor Crater, Arizzona
(USA) - Circa 50.000 anni
fa l’impatto di un meteorite, dal peso presumibile di 300.000 tonnellate,
creò in pochi secondi
questo cratere del diametro di 1,2 Km.
La Terra primordiale
Commissione
Scientifica
Geologia
a cura di Matteo Mantovani - geologo
Riprendiamo il raccondo della Terra primordiale da dove l’abbiamo interrotto la
volta precedente sulla Rivista di Marzo. Siamo arrivati alla zonazione chimica della
Terra e abbiamo visto che per effetto della dislocazione sulla crosta terrestre dei
minerali radioattivi e dal fenomeno della “convenzione” la Terra potè raffreddarsi
in tempi relativamente brevi.
L’atmosfera, l’idrosfera e la crosta primitiva
Nei primi anni d’esistenza il nostro pianeta
si presentava in buona
parte allo stato fluido.
I magmi, in via di lento
raffreddamento, liberarono grandi quantità di
sostanze gassose che
Come e quando cominciò a formarsi l’atmosfera è una questione di difficile soluzione. Le grandi collisioni verificatesi verso la fine dell’aggregazione rimossero
quasi certamente qualsiasi traccia di un’eventuale atmosfera primordiale. Dalle
informazioni geochimiche si può dedurre che gli elementi volatili primitivi si originarono per i gas usciti dalle rocce del mantello, nei primi 500 milioni di anni dopo
la fine dell’accrescimento terrestre, cioè tra 4000 e 3500 milioni di anni fa.
Gli scienzati sostengono che i planetismi che si aggregarono per formare la Terra
contenevano ghiaccio, acqua
e sostanze volatili; quando i
materiali costituenti il nostro
pianeta fusero parzialmente,
il vapore acque e i composti
volatili si separarono dal fuso
e migrarono verso l’esterno.
Le continue eruzioni vulcaniche liberarono grandi quantità di gas, principalmente
idrogeno, vapore acque,
azoto e diossido di carbonio.
L’idrogeno, molto leggero
fuggì nello spazio, mentre i
gas più pesanti avvolsero la
Terra formando l’atmosfera
primordiale.
Quando la temperatura superficiale scese sotto il punto
critico dell’acqua, il vapore
acque iniziò a condensare e
a riempire, gradualmente, le
parti depresse della superficie terrestre originando così i
primi oceani e la prima idrosfera.
Abbastanza più semplice appare l’ipotesi riguardante l’origine della primitiva crosta terrestre. Vari studi hanno dimostrato che si è venuta formando gradualmente
nei tempi geologici. Non sono state trovate rocce più vecchie di 3800 - 4200
milioni di anni fa; sembra che una larga parte si sia formata 3000 - 2500 milioni di
anni fa, mediante ripetute emissioni di lava, a cui seguivano rifusioni parziali delle
rocce appena consolidate.
Così, mentre da una parte si aveva la separazione di una crosta esterna più leggera da una interna più pesante, iniziava il processo di degradazione della primordiale superficie terrestre a opera di agenti atmosferici (vento, pioggia, sole, gelo)
e si formava il primitivo “regolite”. E i primi sedimenti, permeati da gas vulcanici,
riassorbiti e riciclati all’interno della Terra a opera dei processi vulcanici e spinte
interne, contribuivano alla formazione dei primi nuclei dei blocchi continentali.
- 48 -
e la sua evoluzione
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Scientifica
Geologia
Le sfere della Terra
L’insieme delle diverse parti del nostro pianeta e della loro reciproca interazione
costituisce quello che viene definito come “sistema Terra”. Le particolari condizioni che caratterizzano la Terra, fanno si che alcuni dei materiali di cui è costituita siano solidi, altri liquidi e altri ancora aeriformi. Questi materiali, in base alla
loro densità, sono raggruppati in “sfere”:
• Idrosfera è la componente liquida della Terra e comprende le acque dei mari
e quelle continentali (fiumi, laghi e ghiacciai)
• Atmosfera è la componente aeriforme della Terra e comprende
l’aria che avvolge il pianeta.
• Litosfera è la componente solida superficiale della Terra e comprende tutte le rocce e la regolite.
La Terra solida non è comunque un corpo omogeneo e la litosfera
rappresenta solo la sua parte più esterna. Vi sono due criteri per la
suddivisione della Terra solida:
• Il primo, basato sulla “composizione chimica e mineralogica”, distingue una sottile crosta di tipo continentale più leggera
e una di tipo oceanico più pesante, di spessore variabile, quindi
un mantello roccioso a base di silicati che si spinge fino a una
profondità di 2900 km e infine un nucleo metallico a base di ferro.
• Il secondo, basato sullo “stato fisico dei materiali”, individua
una litosfera rigida ed elastica, un’astenosfera parzialmente fusa,
una mesosfera solida e, infine, un nucleo suddiviso in esterno ed
interno.
I materiali che costituiscono le “sfere” interagiscono tra loro attivamente. Gli scambi e le interazioni tra idrosfera, atmosfera e litosfera
avvengono in corrispondenza della superficie terrestre , una fascia
di alcuni kilometri, che comprende tutta l’idrosfera, la parte inferiore
dell’atmosfera e una sottile parte della litosfera. Questa è la fascia
molto dinamica, dove l’acqua e i venti modellano e rinnovano continuamente la superficie terrestre e a loro volta sono influenzati dalle
nuove forme che la superficie assume.
Ma vi è un uleriore elemento che caratterizza e influenza questa fascia accentuandone ulteriormente il dinamismo: si tratta degli esseri
viventi, i quali sono ospitati nella zona di transizione. Alla componente
biologica e all’ambiente con cui essa interagisce viene dato il nome
di biosfera.
I sistemi viventi si trovano ovunque, nel terreno, nell’acqua e nell’aria.
La biosfera non è perciò un sistema separato dalle altre “sfere” e per
questo motivo i viventi interagiscono con le altre componenti del nostro pianeta e influenzano molti fenomeni che vi si verificano.
Il sistema Terra è, perciò, caratterizzato dalle relazioni tra le diverse
sfere che avvengono con scambi di materia e energia; processi che sono attivati
e sostenuti dal calore interno della Terra e dall’energia solare che arriva alla sua
superficie. L’energia interna favorisce i processi endogeni (movimenti nel mantello, nel nucleo, fusione delle rocce, formazione catene montuose, ecc.) mentre
il calore del Sole favorisce i processi esogeni (movimenti dei fluidi, passaggi di
stato, tempo atmosferico, clima, modellamento superficiale, ecc). Tutte le componenti del sistema Terra possono essere distinte in due gruppi: quelle attivate
dall’energia solare e quelle attivate dal calore interno della terra.
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A) struttura interna della
Terra secondo il criterio
chimico-mineralogico.
B) struttura della Terra
secondo il criterio dello
stato fisico dei materiali.
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Geologia
Componenti attivate dall’Energia Solare
Involucro gassoso di aria che avvolge la parte solida e liquida della Terra e nella quale
Atmosfera
avvengono i fenomeni atmosferici.
Insieme delle acque distribuite sulla superficie terrestre sia in forma liquida (oceani, laghi,
Idrosfera
fiumi, falde sotterranee) sia solida (nevi, ghiacci), sia aeriforme (vapore acqueo).
Insieme delle parti della Terra occupate da organismi viventi: comprende l’atmosfera fino
Biosfera
a 5 km di altezza, la litosfera fino a 2 km di profondità e l’idrosfera.
Componenti attivate dal Calore Interno della Terra
Involucro esterno roccioso della Terra che comprende la crosta e la parte superiore del
Litosfera mantello, fino a una profondità media di circa 100 km; è frammentata in diverse placche
tettoniche (o litosferiche).
Strato debole e duttile del mantello, al di sotto della litosfera, che si deforma per adatAstenosfera
tarsi ai movimenti orizzontali e verticali delle placche tettoniche.
Mantello Parte al di sotto dell’astenosfera che si estende da una profondità di circa 400 km fino al
profondo limite del mantello-nucleo (profondo circa 2900 km)
Nucleo
Involucro liquido, composto da ferro fuso, che si estende circa tra i 2900 km e i 5150
esterno
km di profondità.
Nucleo
Sfera interna, costituita prevalentemente da ferro solido, che si estende tra i 5150 km e
interno
il centro della Terra (a una profondità di circa 6370 km).
Le componenti del sistema Terra e i loro meccanismi di attivazione.
Schema della composizione e funzionamento
dei geosistemi.
Le componenti attivate dall’energia solare sono l’atmosfera, l’idrosfera e la biosfera,
mentre sono attivate dal calore interno della Terra la litosfera, l’astenosfera, il mantello, il nucleo esterno e interno.
La Terra va considerata come
un sistema unico in quanto
le varie componenti interagiscono profondamente tra
loro: qualsiasi mutamento
intervenuto in una sua parte
determina effetti e ripercussioni sulle altre. Per facilitare
l’analisi di tutti questi aspetti
del sistema Terra si fa ricorso
ad una suddivisione in sottosistemi (geosistemi) in modo da poter meglio comprendere come funzionano e interagiscono tra loro.
Le interazioni tra le diverse componenti sono raggruppabili in tre geosistemi che
operano su scala globale: il sistema della tettonica delle placche, il sistema geodinamo e il sistema clima.
il geosistema della tettonica delle placche che, attivato dal calore interno della
Terra, si compie attraverso
flussi di materia e energia
(moti convettivi) tra mantello profondo, astenosfera e
litosfera. Il ciclo delle rocce,
le alterazioni a cui sono sottoposti i materiali litosferici, i
terremoti, le eruzioni vulcaniche, la formazione degli oceani e delle catene montuose,
sono tutte conseguenze delle
interazioni tra le varie componenti della Terra solida.
Il geosistema geodiano, responsabile dell’esistenza del
campo magnetico, ha origine profonda, ma è in grado di interagire con le componenti più esterne come la biosfera e l’atmosfera.
Il geosistema clima coinvolge tutte le componenti del sistema Terra: le loro interazioni concorrono a determinare il clima su scala globale e le sue variazioni nel
tempo. Il clima non rappresenta soltanto il comportamento dell’atmosfera, ma è
influenzato anche dai molti processi che coinvolgono l’idrosfera, la litosfera e la
biosfera.
continua nel prossimo numero
- 50 -
I Minerali
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Scientifica
Geologia
a cura di Matteo Mantovani - geologo
Nel capitolo dedicato alle rocce, sul numero precedente della
rivista, abbiamo detto che “una roccia è un aggregato solido
e compatto di uno o più minerali che si trovano in natura”. Ora
qui affrontiamo il tema sui minerali, per capire cosa sono e da
dove vengono.
La parte solida della Terra (e della Luna), è formata da 112 elementi chimici, che si trovano in circa 2500 combinazioni omogenee ed elementi puri: i minerali.
“Il minerale è un corpo solido, naturale, formatosi per processo inorganico con proprietà fisiche omogenee e composizione
chimica definita”.
Quindi, per essere definito “un minerale” una sostanza deve
soddisfare cinque requisiti: essere naturale (non prodotta da esseri umani), essere inorganico (non prodotta quindi da un organismo), essere solido, avere una
gamma limitata di composizioni chimiche, avere un’ordinata struttura atomica. In natura esistono moltissimi minerali, alcuni rari e altri molto diffusi, ma solo
una trentina di questi compongono le rocce della crosta terrestre. Questi minerali
sono formati da diversi elementi chimici che li differenziano. In base alla composizione chimica, i minerali vengono classificati nei seguenti gruppi:
• i silicati sono molto importanti: solo l’8% dei minerali che costituiscono la
Terra non appartengono al gruppo. Questi minerali sono sempre formati da
silicio e ossigeno che possono legare alluminio, ferro, calcio, magnesio, sodio e potassio. Un minerale molto importante e abbondante negli strati più
profondi della Terra è l’olivina che ha una struttura molto compatta e densa
perché costituita da silicio, magnesio e ferro. L’amianto, le miche, i minerali
argillosi, il quarzo, i feldspati (come l’ortoclasio e il plagioclasio) appartengono a questo gruppo
• i carbonati sono costituiti da due importanti minerali: la calcite, un carbonato di calcio che forma le rocce calcaree, la dolomite, un carbonato di calcio
e magnesio che forma le rocce dolomitiche.
• i solfati e i sali sono costituiti da gesso e salgemma che si formano in particolari condizioni ambientali per evaporazione dell’acqua marina o di alcuni
laghi.
• gli ossidi e gli idrossidi si formano quando l’ossigeno lega altri elementi
come il ferro. Esempi sono la magnetite, la limonite, l’ematite che formano
rocce di colore giallo – rosso che rappresentano la principale fonte di ferro
dell’industria mineraria.
• i solfuri, che formano altri importanti giacimenti minerari, sono costituiti da
minerali che contengono zolfo legato al ferro come nella pirite. Se lo zolfo è
legato al ferro e anche al rame si forma la calcopirite, se legato al piombo si
forma la galena, se al mercurio si forma il cinabro
• gli elementi nativi come oro, argento, rame, zolfo e carbonio sono minerali
formati dallo un solo elemento. Il diamante e la grafite sono formati entrambi
da solo carbonio, ma sono diversi dal punto
di vista commerciale e della struttura cristallina. Così anche l’acqua è un minerale
quando è allo stato solido naturale (non dal
frigorifero).
L’identificazione e la classificazione dei minerali è lo scopo della Mineralogia e si realizza attraverso l’esame di proprietà fisiche
quali: peso specifico, durezza, lucentezza,
fusibilità, sfaldatura, conducibilità elettrica e
termica, dilatazione termica, colore, indice
di rifrazione e birifrangenza.
Pirite
Gesso
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Tavola Periodica
Elementi..
Diamante
Quarzo
degli
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L’ermellino
a cura di Alessandro Vezzani
- 53 -
Commissione
Scientifica
Fauna
Primavera in fiore?
Commissione
Scientifica
Flora
a cura
a di
cura
Alessandro
di Luigi Zamboni
Vezzani
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... eccone alcuni!
Commissione
Scientifica
Flora
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Le avventure continuano...
Attività di Maggio
Giovedì
01
Gruppo “SenzaEtà” - Monti sul Lago d’Iseo
Sabato
03
Gruppo GAM - Osserviamo la Terra e il Cielo - Molte Baldo
Domenica
04
Cima di Monte Pizzoccolo - Alto Garda Bresciano
Venerdì
09
Serata Culturale - Incontri con gli Alpinisti: Ettore Castiglioni
Sabato
10
Gruppo GAM - Incontro con Bruno Capretta
Domenica
11
La vena del gesso romagnola - Escursione naturalistica
Giovedì
15
Gruppo “SenzaEtà” - Monte Stino - Un balcone sul Lago d’Idro
Domenica
18
Gruppo GAM - Il Gioco della Bussola
Domenica
25
Tra Cicloturismo e Trekking
Dom/Dom 25/01 Esplorando la Catalogna - Trekking dei Pirenei e Costa Brava
Attività di Giugno
Domenica
01
Family CAI - Altopiano di Folgaria - Dal Passo C
Venerdì
06
Serata Culturale - “I have a dream” di Lorenzo D’Addario
Domenica
07
Festa Sociale
Dom/Dom
8/15
Sab/Dom
14/15 Notte in Bivacco e Cima Cece - Gruppo dei Lagorai
Giovedì
Sab/Dom
Domenica
Mare&Monti - In Sardegna nell’arcipelago del Sulcis - Sant’Antioco
19
Gruppo “SenzaEtà” - Al Lago di Cei - da Castellano per San Martino
21/22 Solstizio d’Estate - Il giro delle Odle - Festival delle Alpi
29
Alta Val Nardis - Lago di Val d’Agola - Dolomiti di Brenta
... e nel prossimo numero
BiblioCai & CineCai
- Nuovi libri e Cinema
- Le segnalazioni
- Il Racconto
Alpinismo
Sci di Fondo
- La storia di questo sport
- La Terra primordiale ....
- La Terra: una macchina termica
- La nascita delle catene montuose
- Continuano le avventure di questi
indiavolati ...
Escursionismo
- La sicurezza in montagna
- Nuovi racconti...
- Storia dell’Alpinismo: seconda parte
La Storia della Terra
Gruppo SenzaEtà
- Le avventure in Val Ciamin e sullo
Zebrù sempre con le racchette ai piedi
- Nuovi racconti ....
... e ancora: alberi, fiori, fauna, ambiente e
il secondo inserto dei ragazzi ...
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