Non sono le poiane a far sparire le lepri dalle campagne Risposta all'articolo apparso sul quotidiano Il Gazzettino di Venezia e Mestre (pag 24, 29 marzo 2014) La sparizioni delle lepri, lamentata dai cacciatori, è un fenomeno reale e preoccupante originato sicuramente da diverse concause come le pratiche colturali che eliminano o riducono fortemente le aree di rifugio e riproduzione per la specie, sia entro le colture a vigneto, sia nelle zone marginali delle coltivazioni a cereali. Quest'ultime arrivano persino a ridosso dei corsi d'acqua, dove invece dovrebbero permanere fasce a prato che possano garantire la sopravvivenza di impollinatori e altri animali e proteggere i terreni dall'erosione. Accanto a queste motivazione resta l'innegabile impatto del forte prelievo venatorio e purtroppo del bracconaggio, che riversano su territori già fragili grandi concentrazioni di cacciatori fino al limite delle zone abitate e addirittura di zone rientranti nel Bosco di Mestre, come i fatti di cronaca di quest'inverno dimostrano. Pochissime quindi sono le lepri che sopravvivono e riescono a riprodursi a primavera. Decisamente errata è l'affermazione che siano le poiane a far strage dei piccoli delle lepri come dimostrano gli studi e gli Atlanti ornitologici, la poiana è un rapace presente nel veneziano e in pianura principalmente come svernante, mentre poche e concentrate in ambito lagunare e vallivo sono le coppie nidificanti in provincia. Il suo impatto sui piccoli di lepre è quindi quasi zero, mentre utilissima è la sua azione di controllo delle popolazioni di ratti. Se quindi la poiana non è quasi presente in primavera-estate, come potrebbe essere colpevole della sparizione delle lepri? I cacciatori erano abituati all'immissione delle lepri per ripopolamento, pratica che veniva fatta con grande spesa economica pubblica e con il rischio di inquinamento genetico e trasmissione di malattie; ora che questa è ridotta e che le lepri sono scomparse principalmente a causa dell'eccesso di prelievo, l'unica soluzione possibile appare quella di stoppare la caccia per 2-3 anni e di adottare nel contempo misure agricole volte a favorire la ripresa della specie. Carlotta Fassina Naturalista, coordinatrice LIPU Veneto
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