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Dipartimento di Scienze Politiche
Cattedra di Politica Comparata
TENDENZE EVOLUTIVE NEI SISTEMI DI
RAPPRESENTANZA DEMOCRATICA: COME CAMBIANO I
PARLAMENTARI ITALIANI E TEDESCHI
RELATORE
prof. Raffaele De Mucci
CANDIDATO
Michele Rillo
Matr. 620382
CORRELATORE
Prof. Nicola Lupo
Anno Accademico 2013/2014
TENDENZE EVOLUTIVE NEI SISTEMI DI RAPPRESENTANZA
DEMOCRATICA: COME CAMBIANO I PARLAMENTARI ITALIANI E
TEDESCHI
1. Domande ed ipotesi di ricerca
1
2. Gli studi sulla rappresentanza politica: teoria delle élites e teoria della
“rappresentanza come rappresentatività” a confronto
3
La teoria delle élites
La “rappresentanza come rappresentatività”
3. I Deputati italiani dalla XIII alla XVII legislatura
5
4. I Mitglieder des Deutschen Bundestages dalla XIV alla XVIII legislatura
8
5. Analisi comparata dei cambiamenti
12
6. Conclusioni
15
7. Bibliografia
17
1. DOMANDE ED IPOTESI DI RICERCA
Gli studi sulla rappresentanza politica sono iniziati ormai da molti anni, ed è difficile
trovargli una “data di nascita”. Parlare di rappresentanza politica implica, in primo luogo, parlare
di potere politico: per Weber [1978] il potere in generale è “la probabilità che un attore all’interno
di una relazione sociale sarà in grado di far valere la sua volontà, anche di fronte ad una
resistenza, indipendentemente dalla base di questa possibilità”; prendendo spunto da questa
definizione, Putnam dice che il potere politico è “la probabilità di influenzare le politiche e le
attività dello Stato” [1976, p. 6, tda]; ancora, Easton sostiene che “il potere politico consiste
nell’allocazione autoritativa di valori (intesi in senso simbolico e in senso materiale) nella società”
[1981]. Definito così il potere politico, allora si può affermare che i rappresentanti politici sono
quelli che, in una certa misura variabile, lo detengono.
In questa tesi il focus di ricerca è sulla rappresentanza politica, specificamente
sull’evoluzione dei parlamentari italiani e tedeschi nelle ultime cinque legislature (rispettivamente,
dal 1996 e dal 1998 al 2013). Nella comparazione è stato usato l’approccio del “most similar system”
[Przeworski, Teune, 1970; Morlino, 2005] per la scelta dei casi da investigare, invece sistemi
prevalentemente statistici per l’analisi empirica delle ipotesi (a partire dal canone congiunto della
concordanza e della differenza di Mill [1843; 1968]). Per quanto riguarda i casi studio scelti, l’Italia
e la Germania sono due realtà abbastanza simili, perlomeno per quanto riguarda il loro assetto
istituzionale: sono entrambe democrazie parlamentari, in entrambe l’esecutivo necessita della
fiducia parlamentare (sebbene con modalità differenti1) per potere entrare e restare in carica, i
parlamentari hanno sostanzialmente le stesse funzioni e gli stessi poteri. Oltre alle caratteristiche
istituzionali, anche i due Paesi di per sé sono simili, se li si guarda in un’ottica mondiale: entrambe
democrazie consolidate con economie di libero mercato, Paesi europei che aderiscono alle stesse
organizzazioni internazionali, hanno una struttura sociale simile. Lo scopo di comparare due casi
simili è il seguente: se i casi sono simili, allora permettono di studiare un maggior numero di
variabili senza creare dei mostri concettuali come il “cangatto” di Sartori [2011].
In Italia il Governo, per entrare in carica, deve ricevere un voto di fiducia da entrambe le Camere (art. 94
Costituzione). In Germania, similmente, il candidato Cancelliere proposto dal Presidente della Repubblica deve
ottenere la maggioranza assoluta dei voti del Bundestag. L’istituto della fiducia differisce in maniera significativa
durante la vita del Governo: mentre in Italia i parlamentari possono presentare in qualsiasi momento una mozione di
sfiducia che, qualora approvata, comporta la caduta del Governo stesso, anche in assenza di un’alternativa, in
Germania è possibile presentare solo una mozione di sfiducia cosiddetta “costruttiva”, e cioè ex art. 67 della Legge
Fondamentale “il Bundestag può esprimere la sfiducia al Cancelliere federale soltanto eleggendo a maggioranza dei suoi membri un
successore e chiedendo al Presidente federale di revocare il Cancelliere federale”.
1
1 Questa tesi nasce da un particolare interesse: capire chi detiene (in parte) il potere politico,
farne un “identikit”. Se è vero che la democrazia non è il governo diretto del popolo, ma è il
governo di pochi che, scelti dal popolo, lo rappresentano, allora è giusto cercare di capire come
sono fatti quelli che effettivamente detengono il potere politico, e se le loro caratteristiche sono
influenzate da fattori endogeni o esogeni. Le domande di ricerca sono due: la prima è “come
sono cambiati i parlamentari italiani e tedeschi nelle ultime cinque legislatura?”; la seconda è “il
loro cambiamento rispetta le previsioni della teoria delle élites o della teoria della rappresentanza
come rappresentazione?”. La risposta alla prima domanda è di tipo descrittivo: dapprima sono
state individuate alcune caratteristiche dei parlamentari, in particolare il sesso, l’età, l’avere
precedenti mandati parlamentari, la professione, il titolo di studio; una volta raccolti tutti i dati,
viene mostrato il cambiamento di queste caratteristiche, per poi essere spiegato alla luce dei
concomitanti cambiamenti istituzionali, politici e socioeconomici. La risposta alla seconda
domanda ha richiesto prima la formulazione di alcune ipotesi di ricerca, strettamente connesse
con le due teorie di riferimento, poi l’elaborazione di un modello per la verifica empirica delle
stesse. Le due ipotesi di ricerca sono:
1. il cambiamento del sistema dei partiti influenza la composizione e le caratteristiche dei rappresentanti;
2. il cambiamento delle condizioni socio-economiche dell’elettorato influenza la composizione e le
caratteristiche dei rappresentanti.
Il modello studia il cambiamento concomitante di alcune variabili: nel dettaglio, per l’ipotesi 1 ci
sono due verifiche, la prima incrocia il cambiamento del numero effettivo di partiti (NEP)2, usato
come proxy del cambiamento del sistema partitico interno ai parlamenti, e l’andamento dell’età
media dei rappresentanti; la seconda usa sempre il NEP, ma lo relaziona con il tasso di neoeletti
fra i rappresentanti. Anche per l’ipotesi 2 sono state svolte due verifiche: una utilizza il tasso di
laureati fra i cittadini come variabile indipendente e il tasso di laureati fra i rappresentanti
parlamentari come variabile dipendente; l’altra si basa sul livello professionale, quello dei cittadini
come variabile indipendente, quello dei parlamentari come dipendente. In questo lavoro è stato
usato un approccio comparato, associato ad un’analisi sia quantitativa sia qualitativa. Il focus è sui
parlamentari italiani e tedeschi dal 1996 per l’Italia, 1998 per la Germania, ad oggi (2014), e per
ragioni di omogeneità, si è scelto di studiare soltanto i Deputati e i membri del Bundestag, quindi
non considerando né i Senatori né i membri del Bundesrat: le due camere alte differiscono
sostanzialmente fra di loro, al punto da non poter essere efficacemente comparate. L’analisi è
Per numero effettivo di partiti si intende un indice che tiene conto sia il numero che la dimensione dei partiti,
!
calcolato secondo la formula proposta da Laakso e Tagepeera Nep =
! dove per s si intende la frazione di seggi
2
di un partito all’interno del Parlamento.
! !!
2 stata fatta per legislature; per ogni legislatura, dunque, è stato creato un dataset3 con le seguenti
variabili aggregate: VAR01 anno (medio) di nascita, VAR02 titolo di studio, VAR03 professione,
VAR04 precedenti mandati nello stesso organo.
Prima di illustrare l’analisi condotta e i risultati ottenuti, è giusto riassumere brevemente i
concetti cardine delle due teorie di riferimento, così da motivare anche la scelta delle ipotesi.
2. GLI STUDI SULLA RAPPRESENTANZA POLITICA: TEORIA DELLE ÉLITES E
TEORIA
DELLA
“RAPPRESENTANZA
COME
RAPPRESENTATIVITÀ”
A
CONFRONTO
Gli studi sui detentori del potere politico sono tantissimi, con gli approcci più disparati. Il
motivo di questa abbondanza di studi risiede nel fatto che, praticamente da sempre, l’uomo ha
osservato una sorta di disparità fra il gruppo di coloro che detengono un qualche tipo di potere
all’interno di una certa arena di interessi, per qualche titolo di supremazia e il gruppo più
numeroso dei soggetti che si trovano in condizioni di soggezione o subalternità: il primo, infatti, è
sempre stato drasticamente meno numeroso del secondo. In questo lavoro sono state utilizzate
due diverse teorie, da cui sono state dedotte le ipotesi di ricerca prima esposte: la teoria delle
élites e la teoria della rappresentanza come rappresentatività.
La teoria delle élites
Sola [2000, 1] afferma che “la teoria delle élites (politiche) può anche essere definita come
quella teoria secondo cui il potere politico […] appartiene sempre e comunque ad una ristretta
cerchia di persone”. I due fondatori della teoria delle élites sono Vilfredo Pareto e Gaetano
Mosca. Sebbene dopo di loro ci sia stata una fiorente letteratura in materia, comunque le loro
intuizioni fondamentali relative alla composizione e al cambiamento (“circolazione” per Pareto)
restano estremamente interessanti ed attuali. Per quanto vengano spesso presentati insieme, in
realtà differiscono significativamente fra di loro, sia per le prospettive d’indagine che per le
motivazioni di ricerca. In questa tesi si è fatto principalmente riferimento agli studi di Pareto4
(Parigi 1848 – Céligny 1923) sulla circolazione. Questi espone la sua teoria delle élites nel Trattato
di sociologia generale [1988], ma in maniera non sistematica. Per arrivare allo studio delle élites, lo
3 Quando non specificato diversamente, i dati relativi ai Deputati italiani sono elaborazioni dell’autore tratte dai dati
pubblicati sul portale storico della Camera dei Deputati, quelli relativi ai membri del Bundestag sono elaborazioni
dell’autore tratte dal portale del Bundestag.
4 Per un approfondimento sulla biografia cfr. “Nota biografica”, “Trattato di sociologia generale”, a cura di G. Busino,
Torino, UTET, 1988. Per un approfondimento sul pensiero politico di Pareto e di Mosca cfr. N. Bobbio, “Saggi sulla
scienza politica in Italia”, Roma-Bari, Laterza, 2005
3 studioso ginevrino formalizza due concetti, i residui e le derivazioni: i primi sono quella parte
dell’azione umana che resta costante nel tempo e nelle diverse società, mentre le seconde sono
delle coperture ideologiche che mutano sempre, si adattano per offrire la miglior giustificazione
in quel determinato contesto storico-sociale ai residui. Sono, rispettivamente, di quattro e sette
tipi, anche se poi vengono quasi solo esclusivamente usati i residui della prima e seconda classe
(“istinto delle combinazioni” e “persistenza degli aggregati”). Con questi strumenti d’analisi, Pareto passa
a descrivere le élites, ed in particolare la loro circolazione: dapprima distingue fra la circolazione
vera e propria e quella che oggi in sociologia si direbbe mobilità sociale (questa non è nè
circolazione
paretianamente
intesa
né
mobilità
intergenerazionale,
né
mobilità
infragenerazionale); per circolazione dell’élites si intende quella particolare dinamica per cui
entrano nel gruppo nuove persone, ma che portano anche idee, opinioni, caratteristiche nuove e
diverse rispetto a quelle già presenti. Dunque, affinché si possa parlare di circolazione, gli
elementi necessari sono due: la mobilità delle persone, e la “mobilità delle idee”; la cooptazione,
come giustamente nota Pizzorno [1989, 33], è senz’altro un caso di mobilità, ma non rappresenta
un esempio di circolazione. La circolazione garantisce stabilità al sistema e, in mancanza, l’esito
non può essere che una iniziale decadenza, seguita da un più duro e violento momento
rivoluzionario, il cui obiettivo è ridefinire totalmente l’élite. Ci sono quattro possibili casi di
mutazione dell’élite: i primi due, la riproduzione per via ereditaria e la cooptazione, sono due
facce della stessa medaglia, perché mostrano solo la mobilità del personale umano ma non
evidenziano la presenza di nuovi concetti; il terzo caso è la circolazione vera e propria, laddove
entrano nel gruppo uomini nuovi con idee nuove, e così facendo si riesce ad assicurare stabilità
all’intero sistema; l’ultimo caso è quello della rivoluzione, del cambiamento violento della classe
eletta, e anche questo porta al rinnovamento del sistema ma, a differenza della circolazione, lo fa
sacrificando la stabilità. Il criterio paretiano per verificare se ci sia stata circolazione o no è
analizzare la presenza di residui, e vedere se c’è alternanza fra quelli della I e della II classe.
Rappresentanza come rappresentazione
Questa famiglia di teorie è più recente rispetto a quella delle élites, anche se si radica
lontano nel passato, ancorandosi all’annoso dibattito fra rappresentanza con o senza mandato.
Provando a riassumere, l’idea fondamentale è che i rappresentanti dovrebbero in qualche modo
rispecchiare i rappresentati [Andeweg, 2003; Urbinati, 2006; Mastropaolo, 2011]: si parla di
“rappresentanza microcosmica”, o “rappresentanza a specchio”, o ancora “rappresentanza come
rappresentatività”, tutti modi diversi che però vogliono indicare un unico concetto, e cioè che i
rappresentanti dovrebbero riprodurre in qualche modo le caratteristiche dei rappresentati. La
4 critica principale che i sostenitori di questo opposto approccio teorico muovono viene
sintetizzata così da Anderweg: “probabilmente non esiste parlamento al mondo che non sia stato
criticato per essere eccessivamente rappresentativo di maschi di mezza età, laureati, con specifici
profili lavorativi come le professioni legali o il settore pubblico, di alcuni gruppi etnici, ecc.”
[2003: 148, tda]. È opportuno chiarire meglio l’idea dell’insensibilità delle élites ai cambiamenti
dell’elettorato: è chiaro ed evidente che, di fronte a mutazioni massicce nell’elettorato, siano esse
relative alle caratteristiche di questo piuttosto che alle sue preferenze di voto, le élites devono in
qualche modo rispondere; la pena, altrimenti, è il rovesciamento. Il punto chiave, però, è che la
soglia che i cambiamenti devono raggiungere per indurre l’élites a cambiare è molto alta; inoltre,
anche in presenza di cambiamenti, questi spesso sono frutto di scelte dell’élites. Le teoria della
“rappresentanza a specchio” si differenziano proprio per questo: normativamente, postulano che
la rappresentanza giusta è quella per cui, al mutare delle caratteristiche del rappresentato, mutino
automaticamente anche quelle del rappresentante.
Chiarite, dunque, le due teorie di riferimento, diventa più chiara anche la scelta delle
ipotesi di ricerca: la verifica empirica dovrebbe permettere di valutare la valenza esplicativa della
teoria delle élites, o piuttosto di quella della rappresentanza come rappresentatività. Infatti,
applicata alla rappresentanza parlamentare, la teoria delle élites postula che concretamente non
sono gli elettori che decidono chi (“chi” da intendersi “parlamentare con certe caratteristiche
piuttosto che altre) eleggere, ma al massimo i partiti; cambiando i partiti cambiano (o meglio,
possono cambiare) gli eletti, cambiando gli elettori non cambiano gli eletti.
3. I DEPUTATI ITALIANI DALLA XIII ALLA XVII LEGISLATURA
Ai sensi dell’art. 56 della Costituzione italiana, i Deputati sono seicento trenta, sono eletti
a suffragio universale, e sono eleggibili tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto venticinque
anni, ad eccezione dei casi di ineleggibilità e incandidabilità previsti dalla legge. Negli anni presi in
considerazione, in Italia si è votato con due distinti sistemi elettorali: il cosiddetto “Mattarellum5”
per la XIII e la XIV legislatura, il “Porcellum6” per le successive.
Il Mattarellum prevedeva un sistema misto-maggioritario: alla Camera il 75% dei seggi veniva
assegnato sulla base di collegi uninominali, il restante 25% in maniera proporzionale con liste
5 Così ribattezzato dal prof. Giovanni Sartori nel 1995, dal nome del proponente Sergio Mattarella, cfr “Sartori: Il
Mattarellum e le idee sbagliate”, Corriere della Sera 05/11/1995. Più precisamente leggi 4 agosto 1993 n.276 e 277
6 Anche in questo caso il nome si deve al prof. Sartori, cfr. “Il porcellum da eliminare”, Corriere della Sera
01/11/2006. Più precisamente legge 21 dicembre 2005 n.270, detta anche “legge Calderoli”.
5 bloccate, ma solo a quei partiti che avevano superato il 4% a livello nazionale, con attribuzione
proporzionale dei seggi su base circoscrizionale, applicando il sistema dello scorporo7 parziale. Il
“Porcellum”, invece, è un sistema proporzionale corretto basato su ventisei circoscrizioni
nazionali ed una circoscrizione Estero, con liste bloccate, soglie di sbarramento per evitare
l’accesso di partiti troppo piccoli, e un premio di maggioranza che permetta alla lista o alla
coalizione di liste che ottiene la maggioranza dei voti (senza nessun riferimento a una soglia
particolare) ma che non consegue i trecentoquaranta seggi, di vedersi assegnata una ulteriore
quota di seggi, in modo da raggiungere la maggioranza assoluta.
Questo è il quadro costituzionale e normativo per il periodo studiato. In questi stessi anni,
il sistema partitico italiano conosce dei significativi cambiamenti: già nel 1994 il sistema partitico
aveva conosciuto una profonda ristrutturazione, a seguito dello scandalo di “Tangentopoli”; dal
1996 al 2008 il sistema vede due attori principali a destra, Forza Italia e Alleanza Nazionale, e due
a sinistra, i Democratici di Sinistra e la Margherita, più una pletora di partiti più o meno grandi
variamente collocati (quelli che ottenevano i risultati migliori erano il partito territoriale della Lega
Nord e il partito post-democristiano Unione di Centro); nel 2008 si presentano alle elezioni due
nuovi grandi soggetti, il neonato partito di centro-sinistra Partito Democratico (fusione
principalmente di DS e Margherita) e una coalizione di centro-destra composta sostanzialmente
da FI e AN, che solo un anno dopo daranno vita ad un grande partito unico, il Popolo delle
Libertà; infine, nel 2013 compare sulla scena (ottenendo un risultato molto importante
all’esordio) il partito populista e antisistema Movimento 5 Stelle. Empiricamente, si è scelto di
operazionalizzare il cambiamento del sistema partitico usando il NEP, sebbene questo nasca
propriamente come un indice di frammentazione partitica. La figura 1 mostra l’evoluzione del
NEP nelle diverse legislature. Contemporaneamente, la tabella 1 mostra i partiti presenti in
Parlamento (in grassetto sono indicati i partiti di maggioranza). La frammentazione diminuisce
drasticamente nel 2008, proprio in corrispondenza della nascita dei due grandi partiti: questa, in
realtà, è la causa della riduzione della frammentazione.
7 Lo scorporo è un meccanismo introdotto per non favorire eccessivamente i partiti maggiori. Alla Camera era
parziale, e il suo funzionamento era il seguente: ogni candidato nella parte maggioritaria doveva necessariamente
collegarsi ad una lista presente nella parte proporzionale; dopo aver assegnato i seggi relativi alla parte maggioritaria,
in ogni circoscrizione venivano sottratti alle liste proporzionali i voti decisivi ottenuti al maggioritario, cioè la
differenza fra i voti del primo e del secondo.
6 NEP
7
6,2
6
5,2
5,2
5
3,51
4
NEP
3
3,1
2
1
0
1996
2001
2006
2008
2013
Fig. 1, numero effettivo dei partiti alla Camera dalla XIII alla XVII legislatura, Fonte: elaborazione dell’autore su dati
ufficiali Camera dei Deputati
XIII
XIV
XV
XVI
Antisistema
M5S
Estrema Sinistra
RC
RC
Sinistra
ULIVO
ULIVO
SEL
UNIONE
Centro
Destra
Estrema Destra
XVII
POLO LIBERTÀ
LN
MS
CASA LIBERTÀ
MS
CASA LIBERTÀ
PD
IDV
UDC
PDL
LN
PD
UDC
SC
PDL
LN
FDI
Tab. 1, Sistema dei partiti italiano dalla XIII alla XVII legislatura
L’analisi del sistema dei partiti è una delle variabili usate per il modello empirico creato,
che verrà descritto nella sez. 5. Le altre variabili, cioè il tasso di neoeletti, l’età media dei Deputati,
il tasso di laureati fra i Deputati e fra gli italiani, e il tasso di donne Deputati (quest’ultimo non è
stato usato nel modello empirico) sono riportati nella figura 3; nella figura 4, invece, ci sono le
distribuzione dei Deputati e degli italiani per livello professionale. Il primo elemento analizzato è
l’età media dei Deputati: questa resta tendenzialmente stabile per le prime quattro legislatura (una
media di circa cinquanta anni), salvo poi scendere nell’ultima fino ad un valore di circa
quarantasei anni. Diverso è l’andamento relativo alla presenza di Deputati laureati: nel corso delle
cinque legislature esaminate il dato medio è intorno al 68%, con degli scostamenti scarsamente
significativi. Il tasso di italiani laureati, a differenza di quello relativo ai Deputati, aumenta in
maniera apprezzabile fra una legislatura e l’altra, attestandosi nell’ultima al 14,4%: comunque,
7 resta molto distante dal corrispondente valore per i Deputati. Molto interessante è il trend
relativo ai neoeletti all’interno della Camera: dalla XIII alla XVI legislatura il valore oscilla intorno
al 45%, conoscendo piccole variazioni fra una elezione e l’altra; nell’ultima legislatura, invece, c’è
un impennata, che porta la presenza di Deputati alla prima elezione al 63,97%, con una
variazione sul dato precedente del + 19,21%. Infine, relativamente alla presenza di donne
all’interno della Camera, questa è sempre aumentata, passando dall’11% circa nella XIII
legislatura al 31% nella legislatura corrente, facendo segnare la variazione più significativa proprio
nell’ultima legislatura (+ 10,03% rispetto a quella precedente).
80,00
70,00
60,00
Età media Deputati
50,00
Deputati laureati
40,00
Neoeletti
30,00
Italiani laureati
20,00
Donne Deputati
10,00
0,00
1996
2001
2006
2008
2013
Fig. 3, età media dei Deputati, tasso di Deputati laureati, tasso di Deputati neoeletti, tasso di italiani laureati, tasso di donne Deputati,
Fonte: elaborazione dell’autore su dati ufficiali della Camera dei Deputati ed Eurostat
Dunque, chi sono oggi i Deputati? Quali sono le differenze rispetto alla XIII legislatura?
In sostanza, l’élites parlamentare della XVII legislatura vede un significativo aumento di donne
fra i banchi di Montecitorio, dei Deputati complessivamente più giovani e con molta meno
esperienza parlamentare precedente, mentre resta stabile la presenza dei laureati.
4. I MITGLIEDER DES DEUTSCHEN BUNDESTAGES DALLA XIV ALLA XVIII
LEGISLATURA
La Legge Fondamentale tedesca “Grundgesetz” all’art. 38 stabilisce la normativa
costituzionale relativa alle istituzioni, disponendo che godono dell’elettorato attivo e passivo; per
tutta l’altra disciplina, si rimanda anche qui alla legge ordinaria. Negli anni studiati in Germania si
è votato usando praticamente lo stesso sistema elettorale, introdotto dalla legge federale elettorale
8 tedesca del 1956 (Bundestagswahlrecht) Il territorio tedesco è diviso in duecento novantanove
circoscrizioni elettorali (fino alle elezioni del 1998 erano trecento ventotto), corrispondenti a
cinquecento novantotto seggi nel Bundestag. Sulla scheda elettorale vengono espressi due voti
distinti (è ammesso il voto disgiunto): il primo (Erststimme) è un voto relativo al cosiddetto
mandato diretto, cioè consente all’elettore di votare con un sistema maggioritario uninominale un
candidato, e in ogni circoscrizione risulterà eletto quello che avrà totalizzato il maggior numero di
voti (sistema first past the post); il secondo (Zweitstimme) è un voto a liste bloccate di partito,
secondo un sistema proporzionale. I seggi spettanti ai partiti vengono stabiliti tenendo conto solo
dei voti ottenuti con il secondo voto, quello proporzionale, e non accedono alla ripartizione dei
seggi i partiti che non hanno superato il 5% dei voti (o che, pur non avendo raggiunto questa
soglia, hanno comunque ottenuto tre mandati diretti con il sistema maggioritario); per questo
motivo, si definisce il sistema elettorale tedesco un sistema proporzionale “personalizzato”,
piuttosto che misto. Per la presentazione delle candidature esiste un procedimento particolare:
queste vengono votate a scrutinio segreto o da tutti gli iscritti al partito in una certa
circoscrizione, oppure da un comitato interno al partito, a sua volta eletto dagli iscritti della stessa
circoscrizione. Anche l’ordine della lista bloccata per la parte proporzionale viene votato, con le
stesse modalità descritte poc’anzi. Osservano Conradt e Langenbacher [2013] che il sistema di
liste bloccate è stato usato dai partiti per portare in Parlamento personalità di gruppi d’interesse
particolari o con un’area di esperienza specifica, che però avrebbero avuto delle difficoltà ad
essere elette in un sistema con le preferenze. Altra particolarità sono i cosiddetti mandati in
eccesso (in tedesco Überhangmandate): può accadere che un partito ottenga in un Land, grazie ai
voti dei mandati diretti, più seggi di quelli che gli spettino secondo la ripartizione proporzionale;
fino a qualche anno fa si aumentava semplicemente il numero di seggi nel Bundestag, ma questo
creava una chiara disproporzionalità (definita “effetto negativo del peso dei voti”). La soluzione è
stata l’introduzione dei mandati “di compensazione” (Ausgleichsmandate): vengono assegnati a quei
partiti che non hanno avuto mandati in eccesso, così da garantire la proporzionalità del voto.
Questa modifica non risolve il problema, ma crea un ulteriore aumento dei seggi.
La Repubblica Federale Tedesca è stata definita uno “stato partitico” [Sontheimer, 1973]:
nel sistema istituzionale e politico, i partiti erano e restano gli attori principali. Il sistema partitico
si caratterizza per una pressoché assoluta stabilità: dal momento della riunificazione della
Germania Est con la Germania Ovest (1990), nel Bundestag sono sempre stati presenti solo i
seguenti partiti: l’Unione Cristiano Democratica (“Christlich Demokratische Union Deutschlands”
CDU), un partito democristiano di centro-destra; l’Unione Cristiano Sociale (“Christlich-Soziale
Union in Bayern” CSU), partito molto simile per orientamento, collocazione e comportamento al
9 CDU, ma attivo solo in Baviera (per questa ragione, vengono considerati un unico partito, dato
che il CDU non si presenta in Baviera); il Partito Socialdemocratico Tedesco (“Sozialdemokratische
Partei Deutschlands” SPD), di orientamento socialista e collocato a centro-sinistra; il Partito
Liberale Tedesco (“Freie Demokratische Partei” FDP), un classico partito liberale e conservatore; i
Verdi, partito ecologista e ambientalista; infine il Partito del Socialismo Democratico (“Partei des
Demokratischen Sozialismus” PDS), erede del Partito Socialista della Germania Orientale. Nelle
cinque legislature esaminate, non c’è stato quasi nessun cambiamento significativo: negli anni il
PDS ha subito qualche modifica, a seguito dell’ingresso di alcuni fuoriusciti dell’SPD, cambiano
nome in “Die Linke”, lett. “La Sinistra”; più rilevante è il mancato ingresso del FDP nel
Bundestag attuale. La figura 5 mostra l’andamento del NEP, mentre la tabella 2 i risultati
elettorali (in grassetto i partiti di maggioranza). Per quanto riguarda il NEP, negli anni considerati
questo ha conosciuto un leggero aumento, passando da valori intorno al 3, a quasi 4 nella XVII
legislatura, salvo drasticamente riscendere a 2,8 nella legislatura corrente.
NEP
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
0
3,97
3,44
2,8
2,81
2,9
NEP
1998
2002
2005
2009
2013
Fig. 5, numero effettivo di partiti al Bundestag 1998-2013, Fonte: elaborazione dell’autore su dati Bundeswahlleiter
Il motivo di questo andamento si capisce bene guardando i risultati elettorali: in corrispondenza
degli aumenti del NEP i due partiti principali totalizzavano complessivamente meno voti delle
tornate elettorali precedenti, lasciando più spazio ai partiti minori; nelle elezioni del 2013, invece,
CDU/CSU e SPD insieme ottengono il 67,2% dei voti, pari quasi all’80% dei seggi, lasciando
pochissimo spazio ai partiti minori, tant’è che per la prima volta nella storia della Germania dal
secondo dopoguerra, il FPD non entra in Parlamento.
10 1998
2002
2005
2009
2013
voti
seggi
voti
seggi
voti
seggi
voti
seggi
voti
seggi
CDU
28,4
29,6
29,52
31,5
27,8
29,3
27,3
31,19
34,1
40,41
CSU
6,74
7,03
8,99
9,6
7,4
7,5
6,5
7,23
7,4
8,87
CDU CSU
35,14
36,63
38,51
41,1
35,2
36,8
33,8
38,42
41,5
49,28
SPD
40,93
44,54
38,52
41,6
34,2
36,2
23
23,47
25,7
30,59
FPD
6,25
6,43
7,37
7,8
9,8
9,9
14,6
14,95
4,8
0
PDS Linke
5,1
5,38
3,99
0,3
8,7
8,8
11,9
12,22
8,6
10,14
Verdi
6,7
7,03
8,56
9,1
8,1
8,3
10,7
10,93
8,4
9,98
Altri
5,88
0
3,05
0
4
0
6
0
11
0
Tab. 2, voti proporzionali e seggi ottenuti dai partiti nelle elezioni per il Bundestag, 1998-2013, fonte: elaborazione dell’autore su
dati ufficiali Bundeswahlleiter
Così come fatto per il caso italiano, anche per quello tedesco l’analisi del sistema dei
partiti è una delle variabili usate per il modello empirico (sez. 5); la figura 6 mostra l’andamento
nel tempo delle altre variabili, cioè il tasso di neoeletti, l’età media dei Mitglieder, il tasso di
laureati fra questi ultimi e fra i tedeschi, e il tasso di donne membri del Bundestag; nella figura 7
sono mostrate le distribuzione dei parlamentari e dei tedeschi per livello professionale.
100
90
80
70
Età media Mitglieder
60
Mitglieder laureati
50
Neoeletti
40
Tedeschi laureati
30
Donne Mitglieder
20
10
0
1998
2002
2005
2009
2013
Fig. 6, età media dei Mitglieder, tasso di Mitglieder laureati, tasso di Mitglieder neoeletti, tasso di italiani laureati, tasso di donne
Mitglieder, Fonte: elaborazione dell’autore su dati ufficiali della Bundeswahlleiter ed Eurostat
L’andamento dell’età media si differenzia dall’andamento delle altre variabili: è
sostanzialmente sempre la stessa, oscillando da un minimo di 49,2 anni ad un massimo di 49,9.
Relativamente ai parlamentari tedeschi in possesso di un titolo di laurea8, è possibile affermare
8
Non è stato possibile ricostruire il dato relativamente alla XVIII legislatura.
11 che, complessivamente, crescono: la percentuale di laureati conosce una flessione (in valori
percentuali anche piuttosto drastica, fra la XV e la XVI legislatura), per poi risalire. Negli stessi
anni, i tedeschi laureati aumentano, partendo dal circa il 18% nel 2002 per arrivare al 25,1% nel
2013 ma, come per l’Italia, anche qui il gap con i parlamentari laureati è molto significativo. Per
quanto riguarda la presenza delle donne all’interno del Bundestag, si nota chiaramente come,
eccetto una flessione fra la XV e la XVI legislatura, questa sia in continuo e costante aumento,
portando la presenza femminile nella legislatura corrente al 36,5%. Anche il dato dei neoeletti
mostra un trend del tutto simile a quello delle donne e a quello dei parlamentari laureati: in breve,
dalla XIV alla XVIII legislatura è sempre crescente (anche se a tassi differenti, ad esempio molto
marcato nella XVII, decisamente più contenuto nella XVIII), ad eccezione della XVI, dove
invece scende.
In conclusione, la composizione attuale del Bundestag resta sostanzialmente immutata
per quello che riguarda l’età media dei suoi membri, mentre evidenzia un aumento della presenza
femminile e dei neoeletti. In particolare per quello che riguarda le donne, il dato è davvero
significativo: il Bundestag si avvicina sempre più ad essere composto per metà da uomini e per
metà da donne.
5. ANALISI COMPARATA DEI CAMBIAMENTI
Dopo aver analizzato alcune caratteristiche dei parlamentari italiani e tedeschi, insieme ai
rispettivi sistemi partitici e ad alcune caratteristiche socioeconomiche dell’elettorato, è ora
possibile guardare a tutte le variabili, dipendenti ed indipendenti, prima per rispondere alla
domanda “come cambiano”, poi per testare le ipotesi di ricerca.
La prima variabile presa in considerazione è il NEP. Il trend evolutivo dei due Paesi è
diverso: in Italia si parte da una situazione di alta frammentazione, per poi costantemente
evolvere verso una significativa riduzione della frammentazione stessa; in Germania, al contrario,
il NEP mostra una tendenziale stabilità nel corso degli ultimi anni. Sebbene il NEP, come detto,
sia un indice relativo alla frammentazione dei partiti, incrociandone il suo andamento con l’analisi
descrittiva dei sistemi partitici italiani e tedeschi, è possibile sostenere che il suo grado di
approssimazione relativamente al cambiamento dei sistemi stessi sia accettabile: in pratica, in
Germania la stabilità del NEP trova conferma in un Bundestag che, ad eccezione dell’ultima
legislatura, ha visto sempre gli stessi partiti al suo interno; in Italia, riesce a mostrare il
cambiamento interno al sistema dei partiti avutosi con la nascita di due grandi attori, PD e PDL,
12 come pure evidenzia l’esclusione dalla Camera di partiti minori, ma non riesce a restituire
appropriatamente l’ingresso del M5S. Il NEP è stato usato come variabile indipendente per
studiare l’effetto del cambiamento del sistema dei partiti su due caratteristiche dei parlamentari,
vale a dire la loro età media e il tasso di neoeletti. Per quanto riguarda l’età media, la Germania
mostra una stabilità molto forte, mentre in Italia c’è un grado di variabilità più ampio. La figura 8
mostra la relazione fra NEP ed età media per Italia e Germania. Il grafico è di non facile lettura
per una ragione precisa: i cambiamenti dell’età media dei membri del Bundestag sono tutti
concentrati intorno ai quarantanove anni, mentre quelli dei Deputati oscillano in un range più
ampio. Questa correlazione conferma che ad una stabilità sistemica corrisponda una stabilità
dell’età media, ed il suo contrario.
NEP ed età media
56,5
55,5
54,5
Italia
53,5
Germania
52,5
51,5
50,5
49,5
48,5
0
1
2
3
4
5
6
7
Fig. 8, NEP ed età media dei membri della Camera dei Deputati e del Bundestag, 1996 – 2013, Fonte: elaborazione dell’autore
su dati ufficiali Camera dei Deputati e Bundeswallaither
La seconda variabile dipendente usata per stimare il cambiamento dei parlamentari in
relazione al sistema partitico è il tasso di neoeletti: Italia e Germania si comportano in maniera
leggermente diversa, infatti per la Germania la percentuale di neoeletti resta sempre
significativamente più bassa di quella italiana; inoltre, il Bundestag non conosce nella legislatura
corrente un aumento esponenziale dei neoeletti, cosa che invece è avvenuta alla Camera. La
figura 9 mostra la relazione fra il NEP e il tasso di neoeletti. Anche in questo caso c’è una grande
differenza fra l’andamento della relazione per l’Italia e per la Germania: per la Camera, i neoeletti
diminuiscono con la riduzione della frammentazione, salvo poi aumentare nella XVII legislatura,
principalmente a causa dell’ingresso del M5S, composto al 100% da neoeletti; per il Bundestag,
invece, la percentuale di neoeletti resta sempre intorno al 30%, ad eccezione della XVI legislatura,
quando diminuisce in concomitanza con l’inizio della riduzione della frammentazione partitica.
13 NEP e neoeletti
70
60
50
Italia
40
Germania
30
20
10
0
0
1
2
3
4
5
6
7
Fig. 9, NEP e tasso di neoeletti alla Camera dei Deputati e al Bundestag, 1996 – 2013, Fonte: elaborazione dell’autore su dati
ufficiali Camera dei Deputati e Bundeswallaither
L’andamento “strano” del Bundestag si spiega col fatto che nella XVI legislatura, entrando
effettivamente meno partiti, c’è più spazio per candidati senza precedenti esperienze che
occupavano posizioni non di primissimo piano nei listini bloccati dei partiti principali.
Questi due grafici rappresentano i test dell’ipotesi 1: guardando ai risultati ottenuti, si può
sostenere che il sistema dei partiti riesce a spiegare i cambiamenti delle caratteristiche delle
relative élites parlamentari.
Il secondo set di variabili considerate è quello relativo ad alcuni fattori definiti
“socioeconomici” sia dell’elettorato che degli eletti, ed in particolare il tasso di laureati e il tipo di
professione. Entrambi, oltre a spiegare come mutano altre caratteristiche significative delle élites
parlamentari, e quindi permettere di comprendere la loro composizione attuale, servono anche
per verificare se (come postulato all’ipotesi 2), le caratteristiche delle élites rispecchiano in
qualche modo quelle degli elettori.
Relativamente al tasso di laureati fra gli italiani ed i tedeschi, la Germania mantiene per
tutto il periodo considerato un tasso significativamente più alto dell’Italia, ma per entrambe c’è un
trend di crescita pressoché costante, in particolar modo per gli italiani, cosa che indica una leggera
convergenza fra i due Paesi. Anche per il tasso di parlamentari laureati la Germania ha dei valori
sempre più alti dell’Italia; invece, a differenza che per il tasso di laureati nella popolazione, qui
manca del tutto la convergenza, tant’è che mentre i membri del Bundestag laureati mostrano
(complessivamente) un trend positivo, i Deputati laureati sono stabilmente attestati intorno al
70%.
14 Popolazione laureata ed eletti laureati
95
90
85
Italia
80
Germania
75
70
65
0
5
10
15
20
25
Fig. 10, tasso di laureati italiani e tedeschi e tasso di eletti laureati alla Camera dei Deputati e al Bundestag, 1996 – 2013, Fonte:
elaborazione dell’autore su dati ufficiali Camera dei Deputati, Bundeswallaither ed Eurostat
La figura 10 mostra la relazione fra la variabile indipendente “tasso di laureati nella
popolazione” e la variabile dipendente “tasso di laureati fra gli eletti”. Le differenze sono
significative: infatti, in Germania è molto più marcato l’aumento degli eletti laureati che non della
popolazione laureati; in Italia, il contrario. È stato già detto che per entrambi le variabili la
distanza fra Paesi è molto marcata; la novità rappresentata da questa relazione è che, oltre
all’assenza di un andamento comune per Italia e Germania, emerge invece una significativa
distanza in entrambi i Paesi fra i laureati eletti e i cittadini eletti. Non c’è una tendenza che
accomuni Italia e Germania, ed entrambi i casi smentiscono l’ipotesi per cui a cambiamenti di una
certa caratteristica della popolazione corrispondano automatici aggiustamenti della stessa
caratteristica nelle élites.
6. CONCLUSIONI
I cambiamenti dei rappresentanti parlamentari italiani e tedeschi evidenziati fin qui
rientrano nel framework teorico della teoria delle élites? O invece sfuggono alle sue formulazioni,
assumendo dei comportamenti diversi? Quanto, invece, si avvicinano alle prescrizioni della teoria
della rappresentanza come rappresentatività. Partendo dall’ultima domanda, la qui presente analisi
mostra che ben poco, per non dire nulla, della composizione e del cambiamento dei
rappresentanti parlamentari rispecchia quanto vorrebbe la teoria della rappresentanza come
rappresentatività: infatti, non c’è nessun legame significativo fra i cambiamenti dei parlamentari e
i cambiamenti degli elettori; addirittura, in alcuni casi i cambiamenti vanno in direzioni opposte;
15 inoltre, è sicuramente vero che oggi sia la Camera dei Deputati che il Bundestag sono ben lontani
dall’essere rappresentativi, inteso qui nel senso di rispecchiare le caratteristiche dei loro elettori.
Basti guardare alla distribuzione nei parlamenti e nelle popolazioni delle tipologie di lavoro: sono,
praticamente, l’una l’opposta dell’altra. Tutto questo non vuole criticare il valore normativo della
teoria della rappresentanza come rappresentatività; invece, ne confutano, quantomeno per il
momento, la sua capacità di spiegare i cambiamenti della classe parlamentare.
La teoria delle élites o, per meglio dire, le diverse teorie delle élites, riescono sicuramente
ad interpretare meglio questi cambiamenti. È chiaro che, se ci si limita a dire che fanno parte delle
élites politiche tutti quelli che detengono in maniera esclusiva o quasi alcune caratteristiche, senza
specificare a priori quali siano queste caratteristiche, allora è possibile ricondurre in quasi tutti i
casi un certo gruppo politico (sia esso classe parlamentare, di governo, o politica in senso ampio)
alla teoria delle élites. Questo rischio è, tuttavia, scongiurato: grazie all’analisi dei trend presa dal
DATACUBE emerge chiaramente che ci sono delle caratteristiche, in questa epoca, per questi
sistemi politici, che fanno diventare élites: ad esempio, un elevato livello di istruzione, o una
professione di tipo intellettuale. Come insegna il maestro dell’epistemologia Karl Popper [1970]
non è possibile, non ha senso dire che una teoria è verificato, e non è questo lo scopo di questo
studio; si può pero dire che sicuramente la teoria delle élites, intesa come modello per interpretare
il cambiamento delle élites, non è falsificata.
Oggi, i politici italiani e tedeschi devono, seppur con le dovute differenze, affrontare una
realtà ed una società che cambia sempre più velocemente: non sempre riescono a rispondere a
questi cambiamenti in maniera tempestiva ed efficace, ma le loro risposte rispettano sempre il
modello élitista, così pure come le mancate risposte. Sostiene infatti Pareto che la circolazione
garantisce la stabilità alle élites, e che se questa è solo apparente (cambiano le persone ma non
cambiano le idee), allora si va incontro o alla decadenza dell’élite, che potrebbe finire con l’essere
sostituita da un’altra, o addirittura ad un momento “rivoluzionario”, con la immediata scomparsa
dell’élite precedente e il subitaneo ingresso di una nuova élites. In Italia l’ultima legislatura ha
mostrato i segni della decadenza previsti da Pareto, proprio perché i partiti non riescono a far
circolare davvero il loro personale, anche cambiando i volti; in Germania, invece, l’élite resiste
ancora. I prossimi anni saranno un ulteriore banco di prova per la teoria delle élites: in base ai
comportamenti dei partiti e alle relative conseguenze sarà possibile vedere una volta in più se
l’intuizione paretiana vecchia di un secolo riesca ancora accuratamente a descrivere i processi di
selezione e cambiamento dei detentori del potere politico.
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