Relazione del Presidente Angelo Migliarini

10/10/2014
A Giuseppe Zanieri
Produrre lavoro è la nostra vocazione, è la vocazione delle nostre cooperative.
E l’opinione pubblica e le istituzioni dovrebbero essere più consapevoli dell’importanza del nostro
lavoro. Il terziario è una industry con costi e qualità da pesare. Non siamo un costo da comprimere,
“figli di un dio minore”, poveri lavori per povera gente (“Figli di un dio minore”: bellissimo film
del 1986 nel quale la protagonista Sarah, sorda dalla nascita, è, guarda il caso, una addetta alle pulizie). Non siamo un settore poco qualificato, a basso contenuto tecnologico e bassa redditività, secondo una visione anacronistica, rigida, standardizzata e strumentale.
Siamo uno straordinario elemento di competitività e coesione sociale.
Produrre lavoro – dicevo – è la nostra vocazione.
Siamo il 73% del valore aggiunto prodotto in Italia, il 57% delle imprese attive e il 69,12%
dell’occupazione. Un’occupazione composta per oltre l’80% da donne, per il 60% da giovani altamente scolarizzati e da una presenza partecipata, coinvolta, di lavoratori migranti. Una occupazione
in assoluta controtendenza con gli altri segmenti dell’economia.
Le nostre imprese, i nostri soci, tengono in vita fisiologicamente questo Paese. Se incrociassimo
le braccia per un mese (come nel bel filmato che abbiamo appena visto) l'Italia andrebbe in default.
I bambini abiterebbero scuole sporche e malsane, e magari dovrebbero raggiungerle a piedi perché
senza di noi verrebbe a mancare il trasporto sociale. Le città sarebbero, in brevissimo tempo, sommerse dai rifiuti; i prodotti non arriverebbero sugli scaffali così come la benzina ai distributori;
mancherebbero i farmaci in ospedali nei quali, invece di guarire, ci ammaleremmo di malattie batteriche legate alla scarsa igienizzazione, generata dal proliferare di gare al massimo ribasso che degradano la qualità del servizio e avviliscono il lavoro.
Il decisore politico, l’opinione pubblica, le Istituzioni, la Legacoop, l’ACI ma soprattutto noi stessi,
dovremmo prendere coscienza della nostra forza, numerica e di competenza, essere consapevoli dell’essenzialità dei servizi erogati e dunque orgogliosi del nostro lavoro.
Nelle nostre cooperative lavorano 24.033 tra soci e dipendenti, più degli occupati della Ferrero
SpA. Siamo una multinazionale tascabile, una tessera importante nel mosaico dell’economia reale.
Siamo una tessera stabile dell’economia sociale perché abitiamo, nutriamo e ci nutriamo di territorio.
Portatori sani di un mercato moderno
E’ stata un’impresa arrivare vivi fino ad oggi, con una tenuta che si legge nei numeri, nel portafoglio commesse, nella soddisfazione di cittadini, famiglie e committenti, pubblici e privati.
L’altra impresa è stata quella di interpretare correttamente le potenzialità del modello della cooperazione di lavoro. E’ stato così che imprese piccole e senza capitali, pur non frequentando i mercati
organizzati degli strumenti finanziari, hanno saputo nel tempo generare giganti. Lo hanno fatto “a
mani nude”, con la sola forza del lavoro dei propri soci che, introiettando il concetto dell’intergenerazionalità, hanno sviluppato l’illusione di competere col tempo e l’attitudine “all’agire per il bene
comune”. Dobbiamo raccontarla questa storia, diffondere meglio la cultura cooperativa, soprattutto
nei luoghi della formazione e dell'istruzione.
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Siamo andati al di là della capacità di resilienza, siamo portatori sani di un mercato moderno, tutt’altro che maturo, ricco di opportunità. Si aprono spazi e occasioni, mercati nuovi per chi li saprà
occupare. Non esistono driver di sviluppo che non prevedano una nostra funzione proattiva.
Sono poche le filiere strategiche alle quali non partecipiamo come elemento di creazione di valore:
in alcune di queste siamo la locomotiva e il resto dei vagoni. Siamo dunque una tessera sana nel
mosaico dell’economia reale, ma la percezione di troppi attori economici ci colloca ancora in fondo
a destra.
E’ purtroppo vero che il portato di sottostima nei confronti del settore si è prodotto, alimentato e sedimentato negli anni nei quali l’Italia ha perso la sfida dell’economia dei servizi.
Nel nostro Paese manca ancora oggi una moderna cultura del terziario. Riflettendo non è difficile ricordarsi una serie di brand di eccellenza nel macro comparto produttivo, ma al contempo è quasi
impossibile fare altrettanto per l’economia dei servizi. In Francia, in Germania, ancor di più in Inghilterra, è avvenuta un’armonica evoluzione parallela e sinergica tra l’economia della materia e
quella degli intangibles.
Le fatiche e le difficoltà, quando non ti uccidono, ti aiutano a rimettere a fuoco le strategie, ti
costringono al confronto con i tuoi limiti, le tue inefficienze, ti spingono a riposizionare il tuo progetto di crescita. Alcune delle nostre cooperative, percorrendo la strada di un duro efficientamento,
hanno avviato processi di profonda ristrutturazione, altre si sono riposizionate su settori contigui.
L’Associazione ha dovuto confrontarsi con un ventaglio di condizioni, posizioni, richieste, necessità, urgenze assolutamente diversificato. Dal quadro delle crisi e delle ristrutturazioni alle quali abbiamo tentato di dare risposte evitando riverberi sul piano occupazionale, fino agli scenari strategici
e di prospettiva, è stato tutto un lavoro di squadra.
Cambiare per non morire, cambiare per restare noi stessi. Si possono riassumere così le sfide
che le cooperative dei servizi hanno affrontato ieri e dovranno affrontare oggi, ora, appena usciti da
qui. Ormai ci è chiaro che per attraversare l’interminabile gelata della crisi non basta stringere i
denti, chiudersi nel cappotto e tirare avanti.
Lo stato di un mercato privato e pubblico terremotato dalle fragilità e dall’ideologia dell’austerità,
insieme alla concorrenza dei grandi player italiani e stranieri in praticamente tutti i settori, la drastica riduzione delle centrali di acquisto da 32.000 a 35 che trasforma, per decreto 66, mercato, domanda e idea di territorio, hanno spinto le nostre imprese a percorrere la sfida non più procrastinabile del dimensionamento aziendale.
Lo scriviamo da anni che non esistono tabelle che definiscono le corrette dimensioni di un’impresa
competitiva. Ci siamo dati il concetto di adeguatezza come punto di riferimento.
Adeguatezza determinata dalla specificità settoriale, dai contesti competitivi, dai ruoli che ci prefiguriamo di assumere dentro i mercati e dentro la competizione. Unirsi con altre cooperative, utilizzare tutti gli strumenti normativi di contratto che rendono possibili le forme di integrazione, portandosi in dote i legittimi sentimenti di autonomia, l’orgoglio della propria storia e della propria identità, oppure continuare a lasciarsi sedurre dalla propria splendida (e piccola) solitudine con il rischio
di venire disossati nel giro di pochi anni: questa era ed è tutt'ora l’alternativa...
Oggi, dopo un percorso il cui esito non era affatto scontato nella regione del micro-capitalismo e
delle micro-imprese, possiamo dire che il mondo toscano della cooperazione dei servizi ha saputo
rispondere a questa sfida e lo ha fatto con un approccio eclettico e flessibile. Lo dimostrano le fusioni, le incorporazioni, le acquisizioni, i contratti di rete, i consorzi, gli strumenti societari di finanza e
investimento condivisi e le “alleanze” portate a compimento in questi ultimi mesi dalle nostre imprese, un po’ in tutti i settori.
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Non abbiamo “solo incrementato la scala dimensionale”, risultato comunque importante in un
Paese che si ritiene antropologicamente un insieme di tribù. Abbiamo esteso il know how e irrobustito il capitale di conoscenze imprenditoriali. Grazie ad una classe dirigente cooperativa lungimirante e generosa che ha dimostrato di sapere leggere il settore in termini sistemici, il confronto fecondo di professionalità, esperienze, competenze, la circuitazione integrata del sapere manageriale
irrobustiranno, insieme ai patrimoni, la nostra credibilità di partner industriali all’interno degli asset
di sviluppo strategico di questa regione.
AAA cercasi una politica industriale
Tutto questo è avvenuto in un tempo faticoso, in un’Italia che ostenta un ottimismo triste attraversato da rabbie diffuse e disorientamento. Un tempo in cui sono esplose le contraddizioni del mercato,
in cui si sono evidenziati gli imbarazzi della pubblica amministrazione, in cui si sono allentati e affievoliti i legami fra i cittadini, acuite le crisi della rappresentanza.
Ammodernare il Paese non è più solo un impegno: è una condanna passata in giudicato.
Scendono i consumi, la produzione, la natalità. Crollano gli investimenti, pubblici e privati, italiani
ed esteri: dal 2008 ad oggi all’Italia sono venuti a mancare 600 miliardi di euro di investimento ol tre che 10 punti di Pil. Di fronte a queste cifre appaiono insufficienti anche i 300 miliardi di investimenti in tre anni, da ripartire tra i 28 paesi membri dell’Unione, promessi dal Presidente della Commissione Europea Jean Claude Junkcker.
E' straordinariamente difficile, per il governo, fare crescita con i vincoli del debito pubblico, con
parte degli investimenti bloccati dal patto di stabilità.
Quali politiche di rilancio può fare uno Stato senza margini di manovra? Situazioni straordinarie
avrebbero bisogno di decisioni straordinarie, ma nessuno in Europa ha intenzione di attuare politiche di abbattimento o di consolidamento del debito. Conseguenza di tutto ciò è che l’Italia dovrà
approvare al più presto riforme di efficientamento che l’Europa ritiene indispensabili.
A partire da quella sul lavoro, il cosiddetto Jobs act, che potremo valutare con piena cognizione
di causa soltanto quando avremo sotto mano tutto l'articolato.
(Per adesso credo sia da valutare positivamente la volontà di mettere ordine in un magma, quello
della legislazione sul lavoro, che si è creato negli ultimi 15 anni sovrapponendo riforme ad altre riforme e le correzioni di queste ad altre correzioni.
Un riordino complessivo è dunque auspicabile, ma con due premesse generali di metodo.
Primo, non alimentare l'illusione che una nuova legge crei posti di lavoro dal nulla: visto il ritmo a
cui si è legiferato nell'ultimo lustro, se ciò fosse vero oggi non avremmo questi livelli di disoccupazione e tutte le forme di precarietà che conosciamo. Secondo, evitiamo le scorciatoie, perché non
possiamo permettercele: oggi il mondo del lavoro è così complesso e soprattutto la mancanza di lavoro è così drammatica che concentrandosi solo sull'articolo 18 si rischia di svuotare la discussione,
oltre che dare la spiacevole sensazione di esserci ormai specializzati – come Paese – nella costruzione dell'eterno ritorno dell'uguale).
Il calendario delle riforme lavoro, competitività e produttività, pubblica amministrazione, giustizia,
formazione e scuola, dovrà essere sottoposto a monitoraggio e controllo fino all’autunno del 2015.
Non ci sarà flessibilità, da parte dell'Europa, senza riforme in Italia.
Nessuno può negare che sia indispensabile rimuovere gli ostacoli che frenano l’efficienza del sistema. Ma sarebbe sufficiente? Io non credo. Dobbiamo contestualmente affrontare un problema altrettanto complesso.
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L’Italia, a mio avviso, può ripartire se ritrova una sua collocazione nella competizione internazionale tra Paesi. Il nostro miracolo economico si è basato su un modello di business fatto di costi di produzione bassi, alta competenza della manodopera, creatività e capacità innovativa.
Oggi i prodotti che hanno tecnologie di base e un basso valore aggiunto, sui quali la competizione è
tutta sul prezzo, non possono più essere il futuro di questo Paese. Spostarsi verso l’alto, verso prodotti ad alta tecnologia, con margini maggiori, in grado di remunerare correttamente il lavoro, diventa improcrastinabile.
Dobbiamo ritrovare un nostro modello di business, oggi non l'abbiamo, non abbiamo più da
tempo un posizionamento nitido del sistema Paese nella competizione globale.
L’Italia, da anni, ha smarrito una propria politica industriale, una strategia che consenta di scegliere,
avere priorità concrete e perseguibili, confrontarsi con i mega trend dell’economia globale, ridefinire le nuove catene di valore che si ridisegnano in funzione delle eccellenze produttive e tecnologiche, ritrovare una propria vocazione: la crescita si stimola con investimenti nelle aree chiave e con
la percezione di future opportunità tecnologiche e di mercato.
Recuperare competitività, anche in Toscana
Anche in Toscana recuperare competitività è il primo fra gli obbiettivi.
Farlo, in assenza di un serio rilancio degli investimenti impediti dall’austerità, sembrerebbe delegato, quasi esclusivamente, al miglioramento dell’efficienza col rischio, palese, di ridurre ulteriormente gli attuali livelli occupazionali (la caduta degli investimenti in Toscana fino al 2011 è del 4%,
acuita nel biennio 2012/2013, fonti IRPET, del 13%: comunque inferiori rispetto al resto del Paese).
Anche se i dati ci dicono che in Toscana l’occupazione è calata meno che nelle altre regioni, così
come inferiore è stato l’aumento della disoccupazione, sul fronte giovanile quello occupazionale
sarà il principale problema da affrontare nei prossimi anni (1/3 dei giovani toscani tra 15 e 24
anni è disoccupato e sono oltre 100 mila i NEET).
Una regione che ha dichiarato di avere assunto l’agenda Europa 2020, che contiene contemporaneamente obiettivi di modernizzazione e indicazioni di tasso della popolazione occupata, non può permettersi di assecondare meccanismi di 'jobless recovery': una crescita priva di occupazione.
La maggiore tenuta del tessuto economico e sociale della regione deve guardarsi le spalle dai
fenomeni di impoverimento, dall’aumento del numero di cittadini a rischio di povertà, che trasformano drasticamente il clima di convivenza di una regione, minano le visioni progettuali, la fiducia e
il senso di futuro: precondizioni dell’agire sociale ed economico di un territorio. Fino ad oggi, anche in Toscana, il vero motore dell’economia è stato il manifatturiero in tutte le sue diversificazioni.
Salvaguardare i più importanti poli industriali, ritrovando soluzioni di efficienza, è necessario, indispensabile. Eppure se esiste uno spiraglio per agganciare la crescita, la classe dirigente di
questa regione deve perseguire approcci di tipo sistemico, integrato, “olistico”.
La domanda è: “basterebbe solo l’industria, in particolare quella di alta gamma e di alto marchio,
collocata sull’alto segmento di mercato internazionale, a riaccendere il motore del sistema economico recuperando contestualmente occupazione?”.
L’esperienza di questi anni ci dice che non sarebbe sufficiente, anche in considerazione del fatto che
molte delle economie legate all’export scivolano sul territorio.
Possiamo dunque pensare ad una ripresa che contenga nuova occupazione affidandoci esclusivamente ad un settore che ne detiene solo il 25% e solo il 30% del Pil toscano? Possiamo realisticamente pensare ad una ripresa che escluda terziario e servizi? Anche in questo caso non recuperere4
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mo competitività senza ritrovare un distintivo modello di business toscano, senza ripensare il sistema di sviluppo, senza un forte rapporto intra-economico tra i diversi attori in campo.
Confido che la diffusa percezione secondo la quale una larga parte del terziario toscano si basi ancora su bassi livelli i professionalità e di formazione non diventi una lente usurata, anacronistica, incapace di leggere un fenomeno imprenditoriale che nel corso di pochi anni si è evoluto in dimensioni, robustezza, modelli di business. Alcune delle nostre imprese più importanti hanno realizzato bilanci performanti nel periodo più difficile nella storia del Paese.
La Toscana ci deve leggere. La presenza di Stefano Casini Benvenuti, direttore dell’IRPET, mi consente di rinnovare la richiesta di essere inseriti all’interno della loro indagine sulle “imprese dinamiche” presenti sul territorio (community innovation survey).
Sono convinto che l’approccio per via induttiva, fin qui adottato, premi la visione, l’impegno e le
logiche di efficientamento di molte nostre imprese cooperative.
Siamo tra i partner affidabili e maturi di un aggiornato e sostenibile sistema di protezione sociale. Siamo partner industriali all’interno delle politiche ambientali, abbiamo il principale player
italiano nel settore della logistica, abbiamo cooperative dinamiche in ambito turistico-culturale, le
più grandi ed efficienti imprese nel settore della ristorazione e un gruppo di start up di innovazione
knowledge intensive di grande interesse.
Straordinari elementi di sviluppo permangono all’interno di ognuno di questi settori. Questi elementi che nascondono all’occhio disattento importanti segmenti di interconnessione e di intersettorialità
cooperativa, hanno necessariamente bisogno di una regia, di un disegno coordinato, di un piano esecutivo al vertice del quale non può che starci la Regione.
Welfare
L’attuale situazione presenta una difficile tenuta del sistema pubblico-universalistico del welfare. La conseguenza di tutto ciò prevede il progressivo sviluppo di proposte di “secondo welfare”,
proposte che spingono verso una privatizzazione ed una segmentazione, per classi di spesa, del sistema delle prestazioni. Scontato che, almeno nella fase iniziale, siano privilegiate le prestazioni sanitarie col rischio di un progressivo e conseguente depauperamento di quelle socio-assistenziali e di
una frattura nel concetto complessivo di presa in carico integrata della filiera dei bisogni delle persone e delle famiglie.
L’apertura di fronti importanti nel settore sanitario, del benessere, dell’assistenza integrata che cambiano sostanzialmente anche i target di riferimento, sta muovendo grande interesse e grandi gruppi
(c’è chi, da tempo, lavora per cambiare la destinazione d’uso di molti ospedali, chi elabora modelli
industriali, sostenibili di finanziamento, chi per creare pool con aggiornati strumenti della finanza).
La cooperazione sociale è il soggetto principalmente interessato per i tratti che ne caratterizzano
natura e attività. Ma non sarà l’unico e non lo sarà a priori.
Ci sono scelte da fare e strumenti di impresa da aggiornare che marcheranno le direttrici strategiche
del comparto nei prossimi anni. Saranno scelte e definizioni identitarie, culturali, organizzative, manageriali nient'affatto scontate:
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come aggiornare e rivalutare gli aspetti mutualistici e di condivisione che non siano mirati
esclusivamente al raggiungimento dell’interesse dei soci
in che modo e con quali strumenti intervenire per essere attori di percorsi di sviluppo delle
comunità partecipate
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come agire sui percorsi di organizzazione della domanda e della risposta in maniera appropriata e coordinata
quali strumenti organizzativi interni ed esterni (compreso il rapporto con l’ente pubblico e
con tutto il terzo settore) possono supportare lo sviluppo delle partnership
quali strumenti finanziari sono i più adeguati per affermare la nostra presenza in progetti di
sistema
quali supporti tecnologici-scientifici possono innovare i servizi e la loro messa in rete.
Sono una serie di domande nate all’interno dei percorsi di ricerca sul posizionamento strategico a
cui negli ultimi due anni ha lavorato il settore della cooperazione sociale. A queste domande sono
nati percorsi di aggregazione per crescita dimensionale, filiera di servizi, reti di innovazione che
hanno interessato sia la cooperazione sociale di tipo A che quella di tipo B e che hanno potuto contare sulla collaborazione con poli scientifici e di ricerca.
Logistica
Consolidare ed implementare lo sviluppo di una moderna logistica integrata e intermodale contiene
elementi e sviluppi di straordinaria intersettorialità.
La partita che si gioca sul porto di Livorno dovrebbe attrarre l’interesse di tutte le imprese
dei servizi, nella consapevolezza che uno sviluppo dei volumi di merci e persone finirebbe per impattare su tutti i nostri settori. Dando per scontato l’interesse del settore logistico, non sottovaluterei
l’impatto sul facility che andrebbe ad innestarsi sul volume ragguardevole delle manutenzioni, oppure quello del settore ambiente che andrebbe a collocarsi sui consistenti e delicatissimi ripristini
ambientali (amianto, rifiuti chimici).
Come non leggere l’interesse delle nostre cooperative culturali e turistiche stimolate da un mercato,
inedito nei volumi, derivante dall’avvio delle crociere “di testa”, mercato che impatterebbe anche il
settore della ristorazione. Per ultimo non sottovaluterei neppure le opportunità che potrebbero aprirsi per la cooperazione sociale alla quale si aprirebbe lo spazio per la costruzione di un welfare
aziendale oggi completamente assente.
Dovremmo poter condividere con la Regione un progetto comune d'interesse nazionale, nel
quale ognuno faccia la sua parte, e che nasca dal convincimento che Livorno, con le sue potenzialità
distintive, possa tornare a rappresentare un motore di sviluppo.
La Regione dovrà confermare gli investimenti (Darsena Europa e completamento delle infrastrutture), RFI dovrà concludere, entro gennaio 2015, l'ingresso della rete ferroviaria fin dentro al porto
che garantirà il vantaggio competitivo dell'assenza di 'rottura di carico', mentre il mondo cooperativo dovrà dimostrare di essere in grado di ricostruire una propria efficiente ed efficace presenza imprenditoriale, una presenza capace di investire, di riguadagnare livelli alti di produttività senza i
quali non c'è nessuna attrattività.
La nascita del gruppo paritetico cooperativo tra Cft e Compagnia Portuali, evoluzione del precedente accordo di partnership commerciale, vuole andare in questa direzione.
Occorrono testa, cuore e soldi. Per convincere i grandi player a tornare occorrono straordinarie innovazioni di processo, occorre soprattutto proporsi come filiera di valore che, dallo scarico della
merce a mare, sappia proseguire con la sua lavorazione, la gestione in magazzino fino alla distribuzione al consumatore finale. Una filiera nella quale, la cooperazione dei servizi, avrebbe la capacità
di essere motrice e vagoni e che andrebbe ad aggiungersi agli altri straordinari elemento di valore
aggiunto, primo fra tutti l'offerta combinata porto/aeroporto.
Lo sviluppo del porto di Livorno comporrebbe il combinato disposto aumento del Pil/Crescita occupazionale in coerenza con gli obiettivi di Toscana 2020.
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Ambiente
Altre straordinarie opportunità sono presenti all'interno dell'evolversi del mercato toscano
dell’ecologia. La Regione Toscana, una fra le prime in Italia, ha dato il via ai processi di riorganizzazione sulla base degli Ambiti Territoriali Ottimali suddividendo l'area regionale in 3 aree vaste
(Ato Sud - Ato Centro - Ato Costa) ed avviando i processi formali per l'individuazione dei gestori
unici, che per 20 anni opereranno in concessione.
In un'area (Ato Sud) è già operativo, dal 1 gennaio 2014, il gestore unico. Si tratta dell’area corrispondente alle Province di Arezzo, Siena e Grosseto per un totale di circa 1.000.000 di abitanti serviti.
La Società aggiudicataria è risultata SEI Toscana, società conferitaria dei rami d’azienda delle Società di gestione detenute dai comuni dell’area interessata (che ne detengono la maggioranza) e partecipata dalle Società del gruppo STA e da Cooplat. SEI Toscana, con circa 1.000 dipendenti e un
fatturato di circa 165 mln di euro, è uno dei principali gestori italiani e uno dei pochi e dei primi gestori selezionati con procedure pubbliche di assegnazione del servizio.
Vale la pena sottolineare che all'interno della concessione Cooplat svolgerà per conto di Sei Toscana il ruolo di general contractor nei confronti delle cooperative sociali di tipo B, aderenti a tutte e
tre le centrali cooperative, che vedono così consolidare il loro posizionamento imprenditoriale e rafforzata la loro mission istituzionale.
Fra poche settimane scadrà la presentazione dell'offerta dell'Ato Centro ed infine seguirà la procedura per l'Ato Costa. Attualmente è in corso la procedura per la selezione del gestore dell’Ambito
dove si sono qualificati due soli Raggruppamenti. Un raggruppamento costituito dagli attuali gestori dei servizi nei territori delle Province di Firenze, Prato e Empoli-Pistoia (Quadrifoglio, ASM, Publiambiente e CIS); un secondo raggruppamento costituito da Cooplat (mandataria), SEI Toscana
(mandante). Il 6 novembre scadono i termini per la presentazione delle offerte.
Potremmo dire che, già con la conclusione della gara dell'Ato Centro della Toscana, si configureranno due gestori strutturati che potranno contare su concessioni ventennali per la gestione del ciclo
integrato dei rifiuti (raccolta, selezione e riciclo del multimateriale, smaltimento).
Non sfuggirà a nessuno che di fronte all’aggregazione di multiutility quotate nel nord Italia (A2A,
IREN, HERA) e nel centro sud (ACEA), in Toscana si presenta oggi concretamente l’opportunità di dar vita ad un unico soggetto gestore capace di giocare un ruolo importante in termini di efficienza e qualità del servizio, nonché di influenza nel contesto italiano della gestione e raccolta dei
rifiuti.
Si modificherà, anzi si sta già modificando, l'approccio imprenditoriale delle imprese a questo comparto in Toscana in termini di qualità progettuale, di dimensionamento organizzativo, di capacità finanziaria in grado di sostenere i rilevanti investimenti connessi alle necessarie partecipazioni societarie.
Un processo aggregativo delle imprese toscane si caratterizzerebbe per l’originalità di essere fondato sul sistema delle gare e delle concessioni ventennali e dunque strutturalmente più forte rispetto al
sistema degli in-house. Nel particolare contesto italiano, la spinta verso l’aggregazione delle imprese esistenti farebbe poi da argine sicuro alla colonizzazione della Toscana (i cui tentativi sono in
corso) da parte delle multiutility quotate.
Voglio dire con chiarezza che le nostre due principali cooperative che operano in questo comparto (Cooplat e CFT - quest'ultima ha recentemente assorbito il settore ambiente con il processo di
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fusione de L'Arca di Cascina) stanno giocando un ruolo rilevante all'interno dell'intero processo di riorganizzazione regionale toscano.
Le due cooperative sono impegnate in un dialogo costruttivo finalizzato a svolgere un ruolo di primo piano nel processo di riorganizzazione del ciclo integrato dei rifiuti in Toscana, candidandosi
come primari partner industriali.
Non credo sfugga a nessuno che una nuova strategia espansiva della cooperazione dei servizi preveda e pretenda, insieme alle condizioni di contesto, capacità di visione e coraggio. La nostra credibilità sarà misurata e valutata all'interno di un quadro in cui scala, robustezza, capacità innovative,
know how, reputazione e coerenza con i distintivi valori cooperativi si terranno tra loro indissolubilmente.
Turismo e servizi culturali
Tutti i governi, nel corso degli ultimi vent’anni, hanno considerato il patrimonio artistico di questo
Paese, i suoi beni culturali e le sue bellezze ambientali un importante driver di sviluppo.
Turismo e cultura possono rappresentare l’innesco di una serie di processi che possono modificare sviluppo locale, diversificazione economica, opportunità di lavoro, incremento dei livelli
di reddito di un territorio. Si tratterebbe di mettere a frutto una domanda potenziale che le previsioni
dicono in aumento. Per conquistare porzioni importanti di domanda crescente sarà indispensabile
introdurre forti elementi di innovazione allo scopo di ristrutturare il sistema dell’accoglienza, incidere sulle rendite.
Occorre una industry rinnovata, capace di produrre e promuovere filiere estese e intersettoriali, filiere in grado di essere produttive per più di 3/4 mesi l’anno nei quali una legittima vocazione al profitto diventa troppo spesso avidità neutralizzando anche le potenzialità di creare lavoro.
Anche in Toscana esistono spazi di offerta non ancora utilizzati.
Il documento congressuale di Legacoop parla di “valorizzazione integrata del territorio” intendendo
con ciò la possibilità di elaborare progetti nei quali turismo e cultura possano combinarsi con ambiente, eno-gastronomia, in un cocktail di grande potenzialità attrattiva.
Possiamo e dobbiamo chiedere politiche coerenti, investimenti, cornici normative stabili.
Dobbiamo batterci per rimuovere le costruzioni barocche della burocrazia ministeriale e le diffidenze nei confronti della gestione privata, ma le opportunità che si creeranno con le gare uniche dei sistemi museali o attraverso la gestione di pluri-attività allo scopo di ritrovare equilibri di gestione,
hanno la necessità di essere affrontate con modelli strutturati d’impresa.
Serve più visione, più generosità, meno campanilismo, più capacità di fare benchmarking. Mentre
l’approccio dell’UNESCO è olistico e perfino il Governo rafforza l’integrazione delle politiche, siamo stati capaci di creare una tripartizione nei coordinamenti ACI che non trova nessuna giustificazione, segnalando un forte problema di rappresentanza settoriale.
Il credito
Dopo aver perduto 'le più vivaci casse di risparmio' in molti prevedono, nei prossimi 2/3 anni, il trasferimento della governance di una banca a dir poco importante per tutta la Toscana: il Monte dei
Paschi di Siena. Il mondo del credito cooperativo, pur svolgendo una lodevole funzione anti ciclica
con forti legami con il territorio, rappresenta solo il 10% del mercato e non può avere la forza di so stituirsi ai grandi gruppi.
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A maggio la stessa Banca d'Italia cederà parte della sua autonomia alla BCE (mi riferisco al fondo
di garanzia grandi banche) irrigidendo ulteriormente i processi del credito pur in presenza di una
importante liquidità. Aiutare le nostre imprese cooperative a rimuovere gli ostacoli dell'accesso al
credito significherà confrontarsi, senza infingimenti, con ineludibili elementi di realtà.
La bassa capitalizzazione (tratto che condividiamo con le piccole e medie imprese di questa regione), una consistente quota di indebitamento, sono alcuni degli elementi che penalizzano il nostro rating e, come conseguenza, aumentano il costo del denaro, danneggiando il nostro livello competitivo.
Quel che non ritengo accettabili sono gli elementi di penalizzazione ancora troppo spesso legati alla scarsa comprensione del modello cooperativo, e quelli derivanti da una eccessiva pavidità.
Anche per questi motivi sale forte da tutte le nostre imprese la richiesta alla Regione Toscana della
necessità della riorganizzazione dei fondi di investimento.
Occorre un accordo con i grandi player nazionali e internazionali corroborato da risorse proprie.
Occorre uno strumento di investimento regionale che sappia leggere le aziende e i mercati, che sappia fornire 'capitali pazienti' (fino ad oggi è cresciuta soltanto l'impazienza ) per supportare la crescita e lo sviluppo lasciando ad altri strumenti il salvataggio.
L'ACI e un'unica area della cooperazione di lavoro
I processi riorganizzativi di Legacoop e le accelerazioni dell’ACI ci spingono a condividere, con
le nostre imprese, le inquietudini del cambiamento e la fatica di guardare lontano.
Progettare e scandire i tempi per la costruzione di una visione unica dell’area lavoro credo sia un
processo ineludibile. Un processo che incrocia certamente il tema della semplificazione organizzativa e quello della diminuzione delle risorse ma che trae forza, senso e necessità dalla aspettativa di
imprese che, da tempo, si confrontano all’interno di mercati non più separati, non più separabili,
dentro a settori contigui, finanche complementari.
L’area lavoro porterebbe a sintesi una quota importante di intersettorialità e aprirebbe alla gestione
di processi industriali ancora più complessi, ancora più consistenti. Global service, anche socio-sanitario, facility, turismo e cultura, energia, manutenzioni, ambiente, servizi knowledge intensive
sono, già oggi, terreno di sinergie tra imprese, imprese che dialogano, magari con sedimentate diffidenze, calpestando lo stesso terreno di gioco.
Vogliamo continuare a farne mondi separati? Con quali ragionevoli motivazioni?
E’ un processo in cui sforzi e visioni vanno condivisi e calibrati con i rispettivi livelli associativi nazionali. La mia non vuole essere una fuga in avanti, Fabrizio Bolzoni conosce qual è la mia opinione sui processi che ci attendono, ma una sollecitazione ad accelerare la frequenza dei passi, in modo
da presentarci agli appuntamenti che ci aspettano avendo elaborato un nostro modello insieme a una
comune visione strategica oltreché operativo-organizzativa.
Legacoop Servizi ha contestualmente iniziato un percorso di riflessioni con il settore della cooperazione sociale. La crescita, la specificità, la trasversalità degli ambiti nei quali si muove la cooperazione sociale, nonché il ruolo che è chiamata ad esercitare nel contesto economico, spinge il
settore verso una sua specifica e distinta elaborazione rispetto ai temi e agli strumenti della rappresentanza.
Questa necessità che sale dal settore, non tanto come rivendicazione ma piuttosto come frutto di
un’evoluzione, ha già attivato percorsi di confronto e di approfondimento che vanno ad inserirsi al9
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l’interno di questa riflessione complessiva. Percorsi che avranno come unico scopo l’interesse delle
cooperative associate.
Se volontà e tempistica si avverassero avremo davanti a noi un mezzo mandato colmo di cambiamenti, due anni di cantiere aperto. Sapere qual è la strada da percorrere rappresenterebbe un punto
di partenza necessario per attraversare un periodo davvero molto complesso.
Pubblica Amministrazione
L’intenzione del governo – come di quelli precedenti – è quella di approdare a un riordino complessivo del sistema della Pubblica Amministrazione.
Forse l’approccio giusto, eclettico, consiglierebbe lo studio e la valutazione di modelli diversi di PA
e, come l’ape di Bacone, di sintetizzare nel proprio miele il polline di tanti fiori.
Potremmo assumere dal modello francese l’idea che lo Stato può fare l’imprenditore innovatore che
contribuisce a produrre le tecnologie più rivoluzionarie investendo sul lungo periodo. Dal modello
tedesco la straordinaria integrazione fra finanza e imprese, la capacità di valutare i progetti imprenditoriali. Dalla Cina il dinamismo e il pragmatismo commerciale, la propensione alla internazionalizzazione e i controlli di filiera.
Ma prima di affrontare il riordino complessivo, cosa a cui tendere, converrebbe agire su alcuni ingranaggi che bloccano ormai da troppo tempo la circuitazione delle risorse e il miglioramento
qualitativo delle prestazioni erogate. Data la natura, per certi versi, pre-moderna della nostra amministrazione e considerando che “l’ottimo è nemico del buono”, mi concentrerei su alcune efficaci
micro riforme.
La prima che proporrei è la “riforma della spending review”, per fare in modo che quella annunciata da questo governo sia diversa da quelle fatte dai governi precedenti.
Certo, anche in questo caso si agirà sulla spesa pubblica, oggi al 53% del PIL. Ma come? Lo si farà
riqualificando la spesa? Dimagrendo il ventre molle dello Stato? A fine anno dallo spread, arriveranno circa due milioni extra e non saranno sufficienti a ridurre il forte taglio della spesa pubblica.
Ho letto che il governo ha chiesto al professor Alessandro Santoro dell'Università di Milano-Bicocca di condurre quella che sembra una mission impossible: recuperare subito 3 miliardi dall'evasione.
Tre miliardi che tecnicamente vengono definiti “cifrabili”, cioè da poter subito inserire alla voce
Entrate della Legge di Stabilità 2015...
Ma le domande di fondo sulla spending review restano: come verrà realizzata? Ancora con tagli
lineari? Incidendo su sprechi e diseconomie? Riducendo il perimetro pubblico? L’obbiettivo è abbattere la spesa pubblica di 32 miliardi in tre anni. Si pensa di raggiungere questo obbiettivo senza
creare nuova disoccupazione? Senza vessazioni? I cittadini vedranno incendiare i pozzi dei servizi
alle loro spalle? Vedranno premiare innovazione e merito oppure espedienti e furberie?
Si faranno incisioni col bisturi cancellando inefficienze e sprechi o con l’accetta che poco
distingue? E ancora, ci sono 32 miliardi di sprechi o, più onestamente 32 miliardi da trovare? Per ridurre la tassazione sul lavoro o su quel che ne rimane? E’ dunque questa incertezza il riconoscimento alle migliori imprese italiane che, per anni hanno dovuto finanziarsi il circolante piuttosto che
fare investimenti a causa dei ritardi di pagamento di chi oggi rivisita autocraticamente la propria
spesa?
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Gare al ribasso: ok, il prezzo non è giusto
L’esternalizzazione dei servizi è un processo che crisi e austerità hanno accelerato ed esteso.
Eppure la varianza delle forme e degli strumenti, la contraddittorietà delle filosofie, l’affastellarsi
delle normative sottendono un approccio più pragmatico che strategico. Mentre l'outsourcing aziendale si è storicamente configurato come una partnership di lungo periodo cementata da fiducia, collaborazione, trasparenza e si è spinta fino alla condivisione dei rischi e dei vantaggi, le esternalizzazioni della PA, con le dovute eccezioni, hanno assecondato altre necessità.
La partnership è stata frequentemente sostituita dalla strumentalità, la ricerca di vantaggi reciproci ha preso il posto della condivisione di progetti e investimenti.
Poche le alleanze, troppi i contratti non negoziabili incatenati su dissimmetrie di poteri e di ruolo.
Serve uno spazio di interlocuzione, prima istituzionale e poi culturale, nazionale ma anche regionale, nel quale iniziare a riflettere in modo organico intorno alle politiche economiche distintive di un
settore come il nostro, al quale, continua a mancare una moderna legislazione sulle modalità di acquisto e sul sistema delle assegnazioni.
Secondo la ricerca fatta da Alessandro Amadori, direttore di Coesis Research, per conto di AFIDAMP, siamo venuti a conoscenza che la larga maggioranza della committenza pubblica e privata (oltre il 60%) ritiene il meccanismo delle gare al ribasso, le assegnazioni basate solo o
prevalentemente sul prezzo, inefficace e inefficiente.
Quindi sale, anche dai committenti, una richiesta forte di riqualificare il sistema delle assegnazioni
superando una logica puramente orientata al prezzo, che alimenta comportamenti predatori, talvolta
illegali, per privilegiare un concetto di rapporto qualità/prezzo.
Si è radicata nella nostra cultura amministrativa l’equazione “appalto = opera pubblica”. Questo
orientamento ai “lavori” spesso non permette di cogliere le specificità generate da un appalto di servizi, in special modo, dal “fattore lavoro”, determinando condizioni non risolte e diseconomie troppo spesso scaricate sui lavoratori.
Oggi abbiamo l’occasione di far sentire la nostra voce, di far emergere le nostre peculiarità, presidiando i due tavoli governativi (uno della presidenza del consiglio e l’altro del ministero delle infrastrutture - quindi permane il rischio dell’equazione), di cui il responsabile è il vice ministro Riccardo Nencini, che hanno il compito di recepire le nuove direttive europee sugli appalti.
La direttiva mette gli Stati membri nella condizione di scegliere, di esercitare la facoltà di “non usare solo il prezzo come unico criterio di aggiudicazione…”. Noi chiediamo che questa facoltà venga
esercitata con l’obiettivo di costruire una moderna cultura dei servizi. Le regole decidono da chi
deve essere abitato questo paese, imprenditorialmente e non solo.
Legalità
Parole come legalità appaiono come svuotate di contenuto. Legalità è diventata una parola flessibile, calibrata ed articolata alle circostanze. Non si è mai parlato tanto di legalità come negli ultimi
vent’anni e mai il livello di illegalità è tanto cresciuto.
La legalità è questione economica oltre che morale. L'illegalità è anti-concorrenziale, non rende
necessario che le imprese innovino prodotti e processi perché utilizza un mercato “protetto”. Per
questo la legalità è la precondizione del merito e del nostro sviluppo. Anche in Toscana (confesso la
curiosità di sapere a quanto si è attestato l’indicatore di legalità percepita di Coesis Research) le Di11
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rezioni del Lavoro si dichiarano impotenti, incapaci di porre un argine a fenomeni di irregolarità e
illegalità diffusi nei nostri settori labour intensive.
Ho molto apprezzato le proposte che, lasciatemelo dire finalmente, Mauro Lusetti, Maurizio Gardini e Rosario Altieri, durante la conferenza stampa del primo ottobre scorso, hanno esposto con forza: costituirsi parte civile contro le false cooperative, il manifesto dell’economia pulita, la proposta di legge sull’inasprimento dei controlli.
Ho apprezzato che Confindustria abbia messo al centro delle sue affermazioni il dato reputazionale
e la legalità, che il sindacato – in particolare la Cgil – insista sul binomio indissolubile tra lavoro e
legalità e abbia chiesto a tutti di rompere i legami di convenienza con l'illegalità e il crimine organizzato.
Bene, ora ci serve il coraggio dei decreti attuativi, se non vogliamo che si consolidi il distacco,
quasi irrimediabile, tra giustizia e politiche della rappresentanza, che anche in una società così liquida come quella in cui viviamo hanno costituito e costituiscono l'architrave della coesione sociale.
Perché nella forbice che si allarga tra giustizia e rappresentanza rischiamo di ferire irrimediabilmente la nostra democrazia.
Fra le micro riforme che cambiano la vita mi piacerebbe che nei capitolati di gara, all’articolo modalità di pagamento, ci fosse scritto: “la liquidazione degli importi avverrà entro 30 giorni dal
suo recepimento come previsto da …”.
Oggi, a fronte di una direttiva europea datata 2011, recepita nel 2012 e concepita per arginare il
malcostume dei ritardi di pagamento delle PA, le stazioni appaltanti continuano, senza nessun imbarazzo a scrivere 90 giorni e senza nessun ritegno a pagare con 9-10 mesi di ritardo.
Nel frattempo, per decreto, le cooperative che operano nella ristorazione collettiva pagano i freschi
a 30 gg e i non deperibili a 60 gg, con sanzioni che vanno da 500 a un milione e mezzo di euro.
Tempi contingentati per i nostri debiti, attese interminabili per i nostri crediti.
No, non si costruisce così un moderno terziario.
Generatori d'innovazione
Si costruisce invece sul campo dell'innovazione, come ci spiegherà il Direttore della Scuola
Normale Fabio Beltram. Innovazione: un'altra parola che, a forza di pronunciarla senza tradurla in
realtà, si è svuotata di significato.
Eppure di provvedimenti da poter prendere ce ne sarebbero.
Ad esempio, a proposito di Codice degli appalti, si potrebbe pensare a meccanismi maggiormente
premianti per le imprese che investono in conoscenza, formazione, prodotti e nuove tecnologie, che re-ingegnerizzano i processi e lavorano su nuovi concetti di servizio al cittadino e alle
aziende. Sarebbe un primo passo per dare un riconoscimento – non solo verbale – a chi innova e
non a chi galleggia.
E noi, come cooperazione di servizi, dobbiamo farci trovare pronti.
Non basta più essere “consumatori di innovazione”, dobbiamo iniziare a pensarci “generatori di innovazione”. L'introduzione delle tecnologie digitali che stanno guidando mercati e consumatori, la
robotizzazione, l'automazione che sta impattando i nostri settori labour intensive (logistica integrata, welfare/sanità, turismo e cultura, global service, manutenzioni ed energia, ristorazione scolastica,
ospedaliera e commerciale...) attivando, anche nei nostri soci, sentimenti contrastanti, paure e fascinazione, non può non aprire una profonda riflessione.
In una nazione e in una regione in cui risultano evidenti i ritardi sul fronte del capitale
umano: basso il livello medio di istruzione (solo il 23% dispone di un titolo universitario contro il
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36% dell'UE), alto il tasso di abbandono scolastico, anche rispetto alla media nazionale, bassa la
propensione ad una formazione avanzata e di qualità è scarsa consuetudine a sostenere investimenti
in Ricerca e Sviluppo (in Toscana sono soprattutto le spese delle imprese a segnare valori particolarmente bassi), non ce la caviamo dicendo alle imprese di investire.
Occorre promuovere strumenti (un richiamo alla nostra 'Scuola servizi' mi pare dovuto), riservare risorse nazionali e regionali, contribuire a creare le condizioni e il clima affinché, senza sco modare il modello dell'MIT (Massachusetts Institute of Technology), si rafforzino le ragioni per una
evoluzione dell'economia dei distretti, riconfigurando il modello tradizionale a centro di circuitazione integrata tra ciò che viene prodotto, in termini di ricerca scientifica e tecnologica dai nostri centri di eccellenza universitaria e ciò che viene realizzato in chiave di sviluppo industriale: la
presenza di Fabio Beltram è la dimostrazione tangibile della volontà di articolare un progetto di collaborazione.
È mia intenzione costruire, a breve, un appuntamento dedicato, un 'corporate idea' su innovazioni di processo che magari possa favorire una progettazione in grado di intercettare misure regionali e/o programmi quadro di finanziamento finalizzati alla ricerca e all'innovazione (Horizon
2020).
A servizio delle nostre imprese e dei nostri soci-lavoratori, delle altre imprese e dei loro lavoratori,
e in ultima analisi a servizio delle persone e delle comunità in cui operiamo.
Alla fine questa è, da sempre, la nostra mission: si tratta di condurla con gli strumenti del presente e del futuro.
Abbiamo appena rinunciato a vivere in un mondo di specchi e iniziato a vivere in un mondo di
finestre. Ma c'è ancora tanto lavoro da fare. Facciamolo in fretta perché il sole brucia chi sta fermo
di più.
Grazie per la pazienza dell'ascolto.
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