Capitolo 2 Atmosfera e clima. Come abbiamo visto l’atmosfera `e un sistema lontano dall’equilibrio termodinamico per quanto riguarda la sua composizione. Infatti, gli esseri viventi fotosintetici mantengono una percentuale di ossigeno nell’aria molto superiore a quella che comporterebbe l’equilibrio chimico con le specie ossidabili (principalmente minerali della crosta terrestre). Inoltre, i livelli attuali di vari altri componenti minori sono mantenuti da flussi che si compensano globalmente, ma non localmente: una situazione che si avvicina pi` u ad uno stato stazionario che all’equilibrio termodinamico. Si pu`o dire lo stesso a proposito degli aspetti energetici, che si manifestano pi` u direttamente nell’esistenza di differenze di temperatura e di moti delle masse d’aria, e poi in tutte le variabili che caratterizzano il clima. La principale forza che tiene l’atmosfera lontana dall’equilibrio termico e idrostatico `e il flusso di energia dovuto alla radiazione solare. Globalmente e in media nel tempo, questo flusso `e perfettamente bilanciato dalla radiazione infrarossa emessa dalla Terra e dispersa nello spazio, come vedremo in dettaglio in sezione 2.3. Tuttavia, forti differenze tra energia in ingresso e in uscita si possono verificare localmente, o anche globalmente per brevi periodi; in particolare, abbiamo oscillazioni periodiche (giornaliere e stagionali) e fluttuazioni climatiche irregolari, che rendono la meteorologia una scienza difficile e “interessante”. Solo facendo una media su tempi lunghi delle variabili climatiche, a cominciare dalla temperatura, si pu`o evidenziare l’esistenza di uno stato approssimativamente stazionario. Infine, si possono evidenziare cambiamenti molto lenti, che avvengono in tempi di secoli o molto pi` u lunghi, legati all’attivit`a solare, al moto orbitale della terra (come le glaciazioni) e a cambiamenti geologici come la deriva dei continenti. 40 2.1 Differenze di temperatura e convezione. La figura 2.1 mostra come la temperatura dell’aria dipende dall’altitudine. Vicino al suolo e fino a circa 10-18 km (pi` u in basso ai poli, pi` u in alto all’equatore) la temperatura diminuisce con l’altitudine. Il gradiente termico Γ = −dT /dh (“lapse rate” in inglese) `e mediamente dell’ordine di 6 K/km. Ci`o `e dovuto al fatto che la radiazione solare `e assorbita soprattutto dal suolo, dove con questa parola intendiamo d’ora in poi qualsiasi superficie posta alla base dell’atmosfera (mari, rocce, vegetazione, ghiacciai, etc). Perci`o il calore viene trasportato in vari modi verso l’alto, creando un gradiente di temperatura. Questa zona pi` u bassa dell’atmosfera `e detta troposfera, e l’altezza alla quale la temperatura cessa di scendere `e la tropopausa. Al di sopra, fino a circa 50 km di altezza (stratopausa), si estende la stratosfera. Qui la temperatura sale gradualmente fino a quasi 0◦ C. Questa risalita della temperatura `e dovuta all’assorbimento di luce, soprattutto UV, da parte dell’ozono (O3 ) e dell’ossigeno (O2 ). Un ulteriore zig-zag della temperatura al di sopra della stratopausa `e dovuto a ragioni analoghe. In questo corso ci occuperemo solo della troposfera, che contiene l’85-90% della massa dell’atmosfera, e della stratosfera, che contiene quasi tutto il resto. La troposfera `e instabile dal punto di vista fluidodinamico; molto schematicamente, si pu`o dire che l’aria calda, meno densa, sta in basso, e quella fredda, pi` u densa, in alto; perci`o la troposfera `e sede di correnti ascendenti e discendenti e di venti generati dalla convezione. Ci`o `e molto importante per quanto riguarda il trasporto e mescolamento dei vari componenti dell’atmosfera, specialmente di quelli prodotti vicino al suolo, come quasi tutti gli inquinanti. Al contrario la stratosfera `e stabile ed `e percorsa solo da venti essenzialmente dovuti alla rotazione terrestre. Nella stratosfera il trasporto dei gas in senso verticale `e molto lento; inoltre i due sistemi, troposfera e stratosfera, si possono considerare come parzialmente separati, nel senso che il passaggio di componenti da uno all’altro richiede mediamente diversi anni, salvo nel caso di eventi eccezionali (eruzioni ed uragani molto violenti). Rispetto alla spiegazione semplicistica sopra accennata, occorre specificare meglio le condizioni di stabilit`a di una certa zona della troposfera, in relazione alla velocit`a con cui cala la temperatura all’aumentare dell’altezza, cio`e il gradiente termico Γ. Partiamo dall’osservazione che una massa d’aria leggermente pi` u calda di quella circostante tende a salire per la spinta aerostatica (“di Archimede”). Salendo, la massa d’aria si espande, perch´e incontra una pressione minore. Di conseguenza, compie lavoro meccanico e 41 Figura 2.1: Temperatura media annua in funzione dell’altitudine, a tre diverse latitudini (dati da http://modelweb.gsfc.nasa.gov). 120 termosfera altitudine h, km 100 80 mesosfera 60 stratopausa 40 stratosfera 20 tropopausa latitudine 0◦◦ 40◦ 80 troposfera 0 160 180 200 220 240 260 temperatura, K 280 300 perde energia, cio`e si raffredda. Anche gli strati di aria con cui viene a contatto, salendo, di norma sono pi` u freddi di quelli sottostanti. Quindi, pu`o accadere che la differenza di temperatura tra l’aria che sale e quella circostante vada aumentando, nel qual caso continuer`a ad esserci una spinta aerostatica che mantiene il moto verso l’alto; oppure, la differenza di temperatura pu`o ridursi fino ad annullarsi, e allora il moto verso l’alto si arresta. Naturalmente lo stesso ragionamento vale, all’inverso, per una massa d’aria pi` u fredda di quella circostante, che tende a scendere. Qual `e la velocit`a di raffreddamento di una massa d’aria che sale? Possiamo determinarlo a priori usando l’approssimazione adiabatica, cio`e supponendo che siano trascurabili gli scambi di calore con l’aria circostante. Ci`o `e tanto pi` u esatto quanto pi` u grande `e la massa d’aria e quanto pi` u rapidamente si muove. Infatti, gli scambi di calore sono di solito pi` u lenti della perdita di energia per espansione, e avvengono all’interfaccia con l’aria esterna, in misura proporzionale all’area superficiale; ora, per un oggetto di forma data, 42 320 l’area aumenta proporzionalmente al quadrato delle dimensioni, mentre massa e volume aumentano col cubo; perci`o tutti i fenomeni superficiali tendono a perdere importanza al crescere delle dimensioni stesse. Possiamo quindi eguagliare la diminuzione di energia interna al lavoro fatto: dU = −P dV (2.1) L’energia interna di un gas, d’altra parte, dipende solo dalla temperatura (dU = CV dT ); quindi, per una mole di gas: CV dT = −P dV (2.2) dove CV `e il calore molare a volume costante. Dalla legge dei gas perfetti abbiamo P dV + V dP = RdT (2.3) e mettendo insieme le ultime due equazioni: (CV + R)dT = CP dT = V dP (2.4) Qui CP `e il calore molare a pressione costante, che per un gas biatomico come l’aria vale circa 7R/2. L’equazione idrostatica (1.8) collega dP all’incremento di altezza (dP = −Ma gP dh/RT = −Ma gdh/V ), perci`o: Γa = − dT Ma g 2Ma g = = dh CP 7R (2.5) Γa (“adiabatic lapse rate”) `e quindi il gradiente termico per una massa d’aria che sale nell’atmosfera senza scambiare calore con l’aria circostante. Si tratta di una costante, indipendente da h, T e P , e vale 9.8 K/km. Se l’aria che sale contiene umidit`a, quando la sua temperatura scende pu`o avvenire la condensazione del vapore acqueo, che libera il calore latente di evaporazione. La diminuzione di temperatura `e allora minore del Γa calcolato per l’aria secca. In base alle osservazioni viste sopra, se l’aria in una certa zona presenta un gradiente termico Γ minore di Γa , la risalita di una massa d’aria poco pi` u calda di quella circostante verr`a presto bloccata, e cos`ı la discesa di aria leggermente pi` u fredda; siamo quindi in condizioni di stabilit`a. Invece, se Γ > Γa , una massa d’aria che sale rimane sempre pi` u calda di quella circostante e quindi continua a salire; analogamente, l’aria fredda continua a scendere; abbiamo quindi instabilit`a, con la formazione di correnti ascendenti e discendenti. Ci sono diverse ragioni per cui le condizioni iniziali possono essere non uniformi, con masse d’aria a temperatura diversa dall’aria circostante. Per esempio, 43 Figura 2.2: Tre diversi profili di temperatura in funzione dell’altezza (linee tratteggiate). Le frecce indicano possibili traiettorie di masse d’aria che inizialmente hanno temperature diverse dall’aria circostante, basate sull’adiabatic lapse rate. 2000 altezza h, m 1500 1000 A B C 500 0 250 260 270 280 290 temperatura, K 300 310 320 l’irraggiamento solare scalda pi` u rapidamente una superficie asfaltata rispetto a un terreno coperto da vegetazione, e questo pi` u di un campo innevato. Inoltre, ha importanza l’orografia: la presenza di un pendio montuoso genera riscaldamento di giorno, specie se `e ben esposto al sole, e raffreddamento di notte. La figura 2.2 mostra tre casi tipici di profilo della temperatura in funzione dell’altezza. Le frecce rappresentano le traiettorie (temperatura che cambia durante la salita o la discesa) di masse d’aria inizialmente un po’ pi` u calde o pi` u fredde dell’aria circostante. Il caso A si verifica facilmente nelle ultime ore della notte, perch´e il terreno (compresa la vegetazione e le aree asfaltate o cementificate) si raffreddano per irraggiamento; `e lo stesso fenomeno per cui si pu`o formare la brina anche quando la temperatura dell’aria (quella solitamente fornita dai termometri) `e superiore a 0◦ C; come vedremo meglio in sezione 2.3, il raffreddamento `e moderato dalla presenza di umidit`a nell’aria, perch´e il vapor d’acqua assorbe la radiazione infrarossa e la riemette in parte verso il basso. Pu`o quindi succedere che alla fine della notte o subito dopo 44 il sorgere del sole, soprattutto con tempo asciutto e cielo sereno, l’aria vicino al suolo sia pi` u fredda di quella sovrastante; si verifica quindi un’inversione del normale gradiente termico della troposfera, fino ad una quota di qualche decina o centinaio di metri. L’inversione termica pu`o anche verificarsi per altri motivi, ad esempio un flusso di aria fredda proveniente dall’alto su un fondo valle, o allo sbocco di una valle montana sulla pianura (tipico della zona di Carrara, Massa e Versilia). L’inversione termica blocca la risalita di masse d’aria anche notevolmente pi` u calde, come ad esempio i fumi degli impianti di riscaldamento, creando un ristagno di tutti gli inquinanti in vicinanza del suolo. Il caso B rappresenta la situazione che si crea durante la mattinata, dopo che il sole ha riscaldato gli strati pi` u bassi ma non ha ancora annullato completamente l’inversione termica. Finch´e Γ < Γa , abbiamo condizioni di stabilit`a. Col passare del tempo, e all’aumentare della potenza radiante, l’aria vicino al suolo pu`o diventare molto pi` u calda di quella sovrastante, quindi Γ > Γa e abbiamo condizioni di instabilit`a (caso C nella figura). Considerazioni di questo tipo sono importanti quando si deve progettare e collocare in un territorio una sorgente di inquinamento atmosferico. La figura 2.3 rappresenta alcune forme tipiche del pennacchio che esce da un camino o ciminiera. In genere, i fumi salgono pi` u in alto del punto di emissione, cio`e l’altezza reale hr del camino. Infatti, la risalita `e favorita da vari fattori, i pi` u importanti dei quali sono: la velocit`a di uscita dal camino (verticale), vf ; la temperatura Tf e l’umidit`a Hf del fumo, che diminuisce il suo lapse rate adiabatico. L’altezza che pu`o raggiungere il fumo `e detta altezza efficace del camino, he . Come abbiamo visto sopra, he dipende anche dal profilo di temperatura dell’aria esterna; i parametri hr , vf e Tf devono essere scelti dal progettista e dal conduttore dell’impianto, tenendo conto che aumentare ciascuno di essi comporta uno spreco di energia (oltre ad aumentare i costi costruttivi e di manutenzione), e quindi un incremento nel consumo di combustibile e nell’emissione di inquinanti. ` per`o utile che l’altezza efficace sia abbastanza grande, perch´e questo E garantisce una maggior dispersione degli inquinanti, e quindi diminuisce la concentrazione massima che si potr`a riscontrare vicino al suolo, dove normalmente possono aversi danni alla salute, agli ecosistemi ed ai manufatti. Infatti, dopo essere uscito dalla bocca del camino, il pennacchio si espande, soprattutto per diluizione nell’aria circostante. Questo fenomeno `e dovuto essenzialmente al mescolamento o diffusione turbolenta, e non al meccanismo molto pi` u lento della diffusione molecolare 1 . In genere, pi` u si allontana 1 Per una massa pi` u o meno grande di un fluido in movimento (aria o acqua) si pu` o definire una velocit` a media, ma porzioni pi` u piccole del fluido possono avere velocit` a che differiscono 45 Figura 2.3: Configurazioni tipiche del pennacchio di fumo in uscita da una ciminiera. In ogni riquadro, a sinistra `e indicato schematicamente il profilo di temperatura nell’aria circostante (linea continua) e le possibile traiettorie (T contro h) di una massa d’aria soggetta a risalita o discesa adiabatica. dalla media per direzione e modulo. Ci`o si verifica sempre per le singole molecole, tranne in condizioni sperimentali molto particolari, ed `e la causa della diffusione molecolare. Questo tipo di diffusione `e molto lento e dipende dalla viscosit` a del mezzo; per esempio, in un campione di aria con un gas inizialmente a concentrazione non uniforme, si pu` o avere il livellamento della concentrazione in un tempo di parecchi secondi su distanze dell’ordine di 1 cm, ma si richiedono giorni per la distanza di 1 m; in acqua la diffusione molecolare `e molto pi` u lenta (un’ora per un mm). Particelle solide molto piccole, o anche goccioline liquide disperse in un gas, con dimensioni dell’ordine di 0.1 µm o meno, sono soggette al moto Browniano, che implica una diffusione ancora pi` u lenta. Accade frequentemente, per`o, che porzioni di fluido di dimensioni molto superiori a quelle delle molecole o delle particelle Browniane esibiscano velocit` a notevolmente differenti dalla media. Questo fenomeno `e detto turbolenza, e pu` o verificarsi su scale spaziali molto diverse, di centimetri o chilometri. La turbolenza si verifica pi` u facilmente ad alte velocit` a del flusso, e soprattutto in presenza di superfici solide irregolari o veri e propri ostacoli. Se c’`e turbolenza, il mescolamento dei componenti `e enormemente accelerato rispetto alla diffusione molecolare. 46 dal camino, trasportato dal vento, pi` u il pennacchio si diluisce e si allarga. Ad una certa distanza dal camino, la sua dimensione verticale `e tale che il pennacchio “tocca terra”, cio`e produce vicino al suolo una concentrazione non trascurabile dei componenti dei fumi. Pi` u `e alta l’origine del pennacchio, pi` u lontano toccher`a terra, e pi` u sar`a diluito. In realt`a, esiste una variet`a di situazioni, determinate soprattutto dai diversi profili altitudinari della temperatura dell’aria circostante, come illustrato in figura 2.3. In ogni riquadro, a sinistra si mostra schematicamente il profilo T (h) e le possibili traiettorie di masse d’aria soggette a risalita o discesa adiabatica; a destra si vede la forma del pennacchio risultante; in tutti i casi, tranne l’ultimo in basso a destra, si suppone che il pennacchio sia trascinato dal vento. Nel caso pi` u semplice, rappresentato nel primo riquadro in alto a sinistra, abbiamo equilibrio indifferente Γ ≃ Γa e quindi il pennacchio si sviluppa regolarmente in forma conica (“coning”). Nella casella accanto, vi `e un’inversione termica fino ad altezza ben superiore ad he , perci`o i fumi sono intrappolati intorno alla quota he e si espandono solo orizzontalmente (“fanning”). In condizioni di forte instabilit`a, se la ciminiera espelle una grande portata di fumi abbastanza in alto, questi possono formare una colonna ascendente di grande altezza; ma c’‘e il pericolo che invece i fumi siano coinvolti dalle correnti ascendenti e discendenti che incontrano lungo il loro percorso, abbassandosi a livello del suolo anche molto precocemente (’looping”). Un altro caso molto sfavorevole `e quello in cui c’`e un’inversione di temperatura a bassa quota ma non al suolo; in questo caso i fumi sono bloccati verso l’alto, ma non verso il basso, e perci`o si hanno alte concentrazioni a livello del suolo (“trapping” o fumigazione). Al contrario, se c’`e inversione termica solo fino ad una quota inferiore all’altezza del camino, i fumi possono solo salire (“lofting”). 2.2 Circolazione a grande scala nell’atmosfera. I meccanismi convettivi visti nella sezione precedente agiscono a scale pi` u o meno grandi, dando origine al sistema dei venti. Per esempio, lungo le coste `e frequente l’alternarsi di brezza di mare e brezza di terra. La prima spira durande il giorno, perch´e il sole riscalda pi` u intensamente la terra che non il mare; l’acqua, infatti, ha una capacit`a termica maggiore di rocce, suoli o materiali comuni nelle aree urbanizzate; inoltre, la luce viene assorbita gradualmente da uno strato di qualche decina di metri, e il rimescolamento delle acque distribuisce il riscaldamento su uno spessore ancora maggiore; infine, l’evaporazione riduce l’innalzamento della temperatura. Cos`ı, 47 Figura 2.4: Circolazione generale dei venti nell’atmosfera terrestre (dal sito http://www.atmos.ucla.edu/AS2/as2.html). si formano correnti ascendenti sulla terra, lungo la costa, e queste richiamano aria dal mare, a bassa quota; in alto, invece, l’aria va in senso inverso, e poi scende sul mare, chiudendo il ciclo convettivo. Di notte, per ragioni analoghe, il moto convettivo si inverte. Questo meccanismo intensifica di molto il trasporto di calore dalla zona pi` u calda a quella pi` u fredda, attutendo le differenze di temperatura (retroazione negativa). Lo stesso pu`o dirsi per la circolazione dei venti a livello globale. L’aria ai livelli pi` u bassi si scalda molto nella zona equatoriale, e quindi si genera una circolazione convettiva in ognuno dei due emisferi; masse d’aria pi` u fresca vengono richiamate dalle latitudini maggiori, si incontrano vicino all’equatore (Zona di Convergenza InterTropicale, ITCZ), si scaldano, salgono in quota spingendo verso l’alto la tropopausa, e si dirigono di nuovo verso nord o verso sud. Si potrebbe pensare che il ciclo convettivo si estenda semplicemente 48 fino ai poli, ma non `e cos`ı. Infatti, un vento che spiri dall’equatore verso uno dei due poli viene deviato verso est per effetto della rotazione terrestre (“forza di Coriolis”), mentre se va dal polo verso l’equatore `e deviato verso ovest. Quindi, tutti i venti di bassa quota convergono verso l’equatore con una forte componente da est verso ovest (gli alisei). Invece, quelli di alta quota arrivano ai tropici diretti pi` u verso est che verso nord; inoltre, l’aria in quota si raffredda per irraggiamento, e quindi scende verso i 30◦ di latitudine, chiudendo la prima cella convettiva. Altre due celle con rotazione dei venti nello stesso verso circondano i poli. Invece, alle latitudini temperate le correnti discendenti delle celle equatoriali e quelle ascendenti delle celle polari generano per trascinamento una cella intermedia con circolazione opposta: qui i venti al suolo vanno inizialmente verso nord e vengono deviati verso est (venti prevalenti sul continente europeo). Questo meccanismo di circolazione generale, le cui cause furono chiarite da Edmund Halley e da George Hadley all’inizio del ’700, `e illustrato in figura 2.4. Come nel caso delle brezze di terra e di mare, `e un potente mezzo di trasporto di energia, che tende a diminuire le differenze di temperatura tra alte e basse latitudini. In realt`a la circolazione dei venti `e pi` u complicata di quanto esposto sopra, a causa delle disomogeneit`a dovute all’irregolare distribuzione delle terre emerse, dell’orografia, dell’accoppiamento con le correnti oceaniche, etc. Tuttavia, dallo schema esposto sopra si pu`o trarre la conclusione ben valida, che nella troposfera ha luogo un efficace mescolamento dell’aria, sia in senso verticale che in senso orizzontale. Le velocit`a medie dei venti e delle correnti ascendenti e discendenti, e la frequenza di episodi molto pi` u “violenti” della media, determinano i tempi necessari per il mescolamento. Una massa di gas rilasciata in un punto qualsiasi vicino al suolo impiega 1-2 anni per diluirsi in senso verticale fino alla tropopausa e filtrare nella stratosfera. Pochi mesi sono necessari per fare il giro della terra lungo i paralleli, mentre ci vuole mediamente circa 1 anno per passare da un emisfero all’altro, a causa della relativa mancanza di mescolamento in corrispondenza della ITCZ (dati da Seinfeld e Pandis, sez. 1.5). La distanza a cui pu`o giungere un inquinante o un componente atmosferico naturale emesso da una sorgente localizzata dipende dalla velocit`a a cui `e trasportato e dal suo tempo di residenza. Con un tempo di residenza breve, ci aspettiamo una distribuzione irregolare, con picchi nelle vicinanze delle sorgenti. Invece, gas come il metano (τ ≃ 10 anni) o la CO2 (τ ≃ 2.7 anni) hanno una distribuzione essenzialmente uniforme su tutto il globo. La figura 2.5 mostra due esempi tipici. Si tratta di misure delle concentrazioni di metano e di propano a diverse latitudini. Per il metano abbiamo medie 49 sull’arco di un anno in varie stazioni di rilevamento, mentre per il propano le misure furono fatte in occasione di una crociera di studio lungo le coste sul Pacifico dell’America del Nord e di quella del Sud; in questo caso, ogni giorno veniva rilevata la concentrazione di propano lungo tutto il percorso della nave. Le barre di errore indicano le fluttuazioni casuali, sull’arco di un anno per il metano, lungo una giornata e in diverse localit`a per il propano. Si pu`o notare che la variazione relativa `e molto pi` u grande per il propano che per il metano. Ci`o `e dovuto, oltre che al diverso tipo di campionamento, alla grande differenza nei loro tempi di residenza: circa 10 anni per il metano, pochi giorni per il propano. Per entrambi i gas, ma molto pi` u per il propano, si pu`o notare una rapida diminuzione attraversando l’equatore da nord a sud. Infatti, le sorgenti di entrambi i gas, sia naturali che antropiche, prevalgono nell’emisfero nord (pi` u terre emerse, pi` u biomassa, pi` u attivit`a industriali), ed il mescolamento attraverso l’equatore `e ostacolato dalla ICTZ. Figura 2.5: Concentrazioni di metano e di propano in funzione della latitudine. Notare le scale diverse (ppm e ppb, rispettivamente). Le barre verticali indicano la variabilit`a dei dati. Dati da Graedel e Crutzen. 1.8 1.6 CH4 , ppm concentrazioni 1.4 1.2 1 0.8 0.6 0.4 C3 H8 , ppb 0.2 0 60 Nord 40 2.3 20 0 latitudine 20 40 Sud 60 Bilancio energetico dell’atmosfera. La Terra riceve dal Sole energia luminosa, composta per circa met`a di luce visibile, una piccola frazione di ultravioletto e il resto infrarosso. Alla distanza a cui si trova la Terra, l’energia fornita dal Sole `e di circa 1370 W/m2 , la 50 cosiddetta costante solare I0 . Il valore di I0 in realt`a varia leggermente nel tempo; per esempio, il ciclo undecennale nell’abbondanza delle macchie solari comporta un’oscillazione di circa 0.1%, che sale a qualche punto percentuale per quanto riguarda la frazione ultravioletta. La quasi totale scomparsa delle macchie solari durante il XVII secolo coincise con un periodo di clima pi` u freddo dell’attuale (la “piccola era glaciale”). Questo flusso di energia in buona parte attraversa l’atmosfera ed `e assorbito nei suoi strati pi` u bassi o dal suolo. Come mostra l’esperienza quotidiana, `e capace di elevare la temperatura dell’aria di 10 o 20 K nel corso di poche ore, durante la mattina, e variazioni dello stesso ordine di grandezza si verificano nelle temperature medie giornaliere da una stagione all’altra. Eppure, da un anno all’altro il ciclo si ripete quasi identico in ogni localit`a; se poi si fa una media su tutto il globo, si trova un risultato notevolmente costante: nell’ultimo secolo, l’anno pi` u caldo e quello pi` u freddo sono separati soltanto da 1 K, e probabilmente la deviazione `e dovuta ad una reale deriva verso un clima pi` u caldo, piuttosto che a fluttuazioni casuali. Il bilancio energetico `e quindi molto ben equilibrato, se si prende in considerazione l’intero pianeta. L’atmosfera scambia energia con gli oceani e con le terre emerse, che per`o non costituiscono sorgenti o pozzi permanenti; il flusso di energia proveniente dall’interno della Terra `e trascurabile rispetto a quello della luce solare: soltanto 0.08 W/m2 . Per equilibrare l’energia in arrivo, l’unico processo che conta `e l’emissione di luce infrarossa che sfugge nello spazio. Ogni corpo infatti emette luce, in quantit`a proporzionale alla propria superficie e dipendente dalla temperatura. L’emissione si distribuisce in linea di principio su tutte lunghezze d’onda λ, fermo restando che una qualsiasi sostanza non pu`o emettere od assorbire lunghezze d’onda non corrispondenti a differenze tra i suoi livelli energetici (atomici, molecolari, di stato solido, di gas ionizzato o altro ancora). Un corpo costituito da molte sostanze, prevalentemente in stato solido o liquido come la superficie terrestre, `e capace di assorbire ed emettere quasi tutte le lunghezze d’onda; la sua emissione `e quindi ben approssimata dalla legge di Planck valida per il “corpo nero”: I(λ) = α λ5 (eβ/λT (2.6) − 1) dove α = 2πc2 h e β = hc/KB ; se λ `e espressa in nm, cio`e I(λ) rappresenta la potenza emessa (W/m2 ) per ogni nanometro nello spettro, abbiamo α = 3.7417 · 1020 w·m−2 ·nm4 e β = 0.01439 · 109 nm·K. Anche il Sole emette radiazione rispettando approssimativamente la stessa legge; la figura 2.6 mette a confronto gli spettri di emissione di un corpo nero alla temperatura superficiale del Sole (5870 K), e a due temperature significative per l’atmosfera 51 terrestre. Dall’equazione (2.6) si pu`o dedurre che la lunghezza d’onda di massima emissione `e approssimativamente proporzionale all’inverso della temperatura. Per il Sole, infatti, λmax cade a circa 500 nm (luce verde), mentre per la Terra tutta l’emissione `e nell’infrarosso. L’energia totale emessa a tutte le frequenze, che si ottiene integrando la (2.6) in funzione di λ, `e proporzionale alla quarta potenza della temperatura (legge di Stefan): Itot = σ T 4 (2.7) Qui σ = 8π 5 KB4 /15h3 c3 vale 5.671 · 10−8 w·m−2 K−4 . Da questa relazione si pu`o partire per determinare la temperatura alla quale l’emissione infrarossa della superficie terrestre bilancia l’input di energia proveniente dal Sole. Osserviamo che la Terra si presenta ai raggi solari come un disco di raggio RT , ossia la superficie che intercetta il flusso di energia `e πRT2 . Tuttavia, la superficie terrestre `e quella di una sfera con lo stesso raggio, cio`e 4πRT2 . La rotazione terrestre e vari meccanismi di trasporto (principalmente venti e correnti oceaniche) contribuiscono a ripartire l’energia in arrivo dal Sole su tutto il globo. Questa `e anche la superficie che prenderemo come base per valutare l’emissione terrestre, quindi, per rapportarsi all’area della sfera occorre dividere la costante solare I0 per un fattore 4. Inoltre, bisogna tener conto che una frazione della luce incidente viene riflessa o diffusa nello spazio, senza essere assorbita; questa frazione `e detta albedo (A), e per la Terra abbiamo A ≃ 0.30. L’emissione terrestre si pu`o mettere in relazione con una temperatura media efficace T0 , quindi l’equazione di bilanciamento dell’energia entrante e uscente `e I0 (1 − A) = σT04 4 (2.8) Da questa semplice relazione si deduce una temperatura media T0 = 255 K = -18◦C. La determinazione precisa della temperatura media alla superficie terrestre (per almeno un anno intero e per tutte localit`a) `e un’impresa molto impegnativa, di cui parleremo pi` u oltre. Tuttavia, non ci sono dubbi che la media reale T1 `e circa 287 K = 14◦ C, ossia 32 K pi` u alta di T0 . Poich´e 4 (T1 /T0 ) = 1.60, abbiamo una forte eccedenza di radiazione emessa dalla superficie terrestre, rispetto a quanto richiesto per il bilancio energetico. D’altra parte, satelliti posti fuori dall’atmosfera terrestre hanno permesso di misurare l’emissione globale, confermando che corrisponde piuttosto ad una temperatura di 255 K che a 287 K. La discrepanza si risolve considerando che buona parte della radiazione IR 52 irradianza spettrale, w·m−2 nm−1 Figura 2.6: Emissione di corpo nero alla temperatura della fotosfera solare (5780 K) ed alle due temperature previste per la superficie terrestre, con o senza effetto serra (297 e 255 K, rispettivamente). L’emissione solare `e scalata per tener conto della distanza Terra-Sole, della dispersione sulla superficie sferica della Terra e dell’albedo. 0.350 0.300 5780 K 0.250 0.200 0.150 0.100 0.050 0.000 0 500 1000 lunghezza d’onda, nm 1500 2000 irradianza spettrale, w·m−2 nm−1 0.030 0.025 297 K 0.020 255 K 0.015 0.010 0.005 0.000 0 5000 10000 15000 20000 25000 30000 35000 40000 lunghezza d’onda, nm emessa dal suolo viene assorbita da gas presenti nell’atmosfera (in ordine di importanza: H2 O, CO2 , CH4 e altri). Notiamo che anche la luce solare `e in piccola parte assorbita da questi e da altri gas, ma quasi solo nelle 53 sue componenti UV e IR; rispetto alla luce visibile, l’aria `e trasparente. Naturalmente i gas che assorbono nell’IR emettono anche, sia verso l’alto che verso il basso; tenuto conto di questo, l’atmosfera si comporta grosso modo come il vetro di una serra, lasciando entrare la luce del Sole e impedendo in buona parte all’infrarosso di sfuggire nello spazio. Se chiamiamo B la trasmittanza media netta, ossia la frazione di radiazione infrarossa che viene persa nello spazio, rispetto al totale emesso dalla superficie terrestre, possiamo modificare l’eq. (2.8) per includere questo effetto: I0 (1 − A) = σ B T14 4 (2.9) Naturalmente, sappiamo che B = 1/1.60 = 0.62 proprio perch´e conosciamo la temperatura media T1 . L’equazione 2.9 ha un valore previsionale solo se si riesce a stimare B in maniera indipendente. Per fare questo, bisogna affrontare almeno altre due questioni rilevanti: quali sono e come agiscono i “gas-serra”, cio`e quei gas che assorbono l’IR nell’atmosfera; e, seconda questione, quali altri processi di trasporto di energia agiscono nell’atmosfera, oltre agli scambi radiativi. L’importanza dei gas-serra (“greenhouse gases”) si pu`o valutare secondo due criteri, quello assoluto e quello relativo. Nel primo caso ci chiediamo qual `e il contributo del gas all’assorbimento totale di IR, e la risposta dipende dalla quantit`a di gas mediamente presente e dal suo spettro di assorbimento (posizione e intensit`a delle bande). Il criterio relativo consiste nella stima dell’effetto che avrebbe il rilascio in atmosfera di una quantit`a fissata del gas (1 kg), cio`e di quanto aumenterebbe l’assorbimento e per quanto tempo, in rapporto ad uno standard di riferimento che normalmente `e la CO2 . In tal modo si definisce un “potenziale di riscaldamento globale” (GWP), che dipende innanzitutto dallo spettro e dal tempo di residenza in atmosfera del gas. Il gas-serra pi` u importante in assoluto `e il vapore acqueo. La figura 2.7 mostra la percentuale di radiazione infrarossa assorbita da vari gas, secondo le condizioni medie di concentrazioni e temperatura. L’acqua, a causa della sua abbondanza, satura l’assorbimento tranne che in un intervallo tra 600 e 1300 cm−1 . Bisogna per`o tener conto che il contenuto di vapor d’acqua dell’atmosfera `e molto variabile, perci`o l’ampiezza della “finestra” pu`o cambiare significativamente: per esempio, sar`a pi` u larga sui deserti aridi e pi` u stretta sui mari o sulle foreste tropicali. L’importanza assoluta e relativa degli altri gas dipende dalla collocazione delle loro bande di assorbimento rispetto alla finestra dell’acqua. La principale banda della CO2 cade dentro la finestra, anche se non in pieno. Anche la CO2 arriva a saturazione per le frequenze 54 tra 620 e 720 cm−1 , perci`o un aumento di concentrazione non avrebbe nessun effetto in questo intervallo; per`o, causerebbe un allargamento della banda, ed una crescita quasi lineare dell’assorbimento per le bande di minore intensit`a. Lo stesso vale per gli altri gas-serra meno importanti (CH4 , N2 O, O3 ). Diverso `e il discorso per quanto riguarda l’effetto di eventuali immissioni di gas-serra nell’atmosfera, ossia il global warming potential (GWP) di ogni gas. I flussi naturali dovuti ad evaporazione e condensazione sono enormi (vedi figura 1.10), e il tempo di residenza dell’acqua in atmosfera `e molto variabile a seconda della regione e della stagione, ma in media `e solo 10 giorni. Gli incrementi o decrementi di concentrazione causati da attivit`a antropiche hanno quindi effetti trascurabili, tranne che a livello locale o al pi` u “regionale” (questo aggettivo, nel contesto geofisico come in altri contesti globali, dall’ecologia all’economia, si riferisce a porzioni di continenti, tipo “il sud-est asiatico” o “i paesi mediterranei”). In pratica, l’umidit`a assoluta non `e da considerare tra le variabili indipendenti, quanto una variabile dipendente dal clima, perch´e ogni variazione nelle temperature medie globali si riflette sui flussi di evaporazione. Il GWP di CH4 `e dell’ordine di decine di volte quello della CO2 e quello di N2 O `e 200 o 300 volte; la grande efficacia di questi due gas `e dovuta al fatto che le loro bande di assorbimento cadono a frequenze “utili” e non sono saturate, ed ai loro lunghi tempi di residenza (≃ 10 anni per CH4 e ≃ 120 anni per N2 O). Gli idrocarburi alogenati (clorofluorocarburi e altri), con forte assorbimento nell’infrarosso e lunghissimi tempi di vita, hanno GWP pari a diverse migliaia di volte la CO2 . Le concentrazioni atmosferiche di tutti i gas-serra pi` u importanti sono aumentate dall’epoca preindustriale ad oggi. Della CO2 abbiamo gi`a detto nella sezione 1.9. Il metano, dopo essere rimasto stabile su livelli di 0.7 ppm per almeno due millenni, dal 1800 ad oggi `e aumentato a 1.7 ppm ed attualmente la sua concentrazione sta crescendo di 0.005 ppm/yr. Il metano `e prodotto soprattutto dalla degradazione anaerobica di materiale organico, che avviene sul fondo di paludi, risaie, marcite, discariche e altri ambienti umidi naturali o artificiali; l’influenza delle attivit`a umane su queste fonti ha segno variabile: negativo nel caso della bonifica di zone umide, positivo nel caso di nuove coltivazioni. Il metano viene prodotto anche dall’attivit`a batterica nell’intestino degli erbivori (soprattutto i bovini, il cui allevamento `e in forte aumento) e delle termiti. Infine, le operazioni di estrazione, trasporto e utilizzo del metano come combustibile comportano perdite nell’atmosfera. L’ossido nitroso `e attualmente presente in concentrazione di 0.30 ppm, rispetto a circa 0.25 in epoca preindustriale; `e prodotto anch’esso da attivit`a batteriche, soprattutto nel suolo, legate al ciclo dell’azoto (vedi sezione 1.11), e il suo 55 Figura 2.7: Contributi dei gas-serra all’assorbimento medio dell’atmosfera nell’infrarosso (da Hemond e Fechner, 1993). Per facilitare il confronto con lo spettro di emissione (figura 2.6), ricordiamo che 250 cm−1 corrispondono a 40000 nm e 1250 cm−1 a 8000 nm. L’assorbimento di H2 O a basse frequenze `e dovuto alla rotazione e quello ad alte frequenze alla vibrazione di bending; la banda pi` u intensa della CO2 `e anch’essa dovuta al bending. 56 rilascio pu`o essere aumentato per effetto dell’uso di fertilizzanti azotati. I clorofluorocarburi (CFC) sono stati introdotti negli anni 1920 come prodotti di sintesi, non esistenti in natura; la loro produzione `e andata aumentando fino alla fine degli anni 1980, quando `e stata frenata da trattati internazionali volti a proteggere l’ozono stratosferico (vedi capitolo 3). A causa dei tempi di rilascio dai manufatti, e dei lunghissimi tempi di residenza in atmosfera, la concentrazione di CFC in atmosfera `e andata aumentando fino a a raggiungere il massimo intorno all’anno 2000. Infine, l’ozono nella troposfera viene prodotto da processi fotochimici che avvengono in presenza di alcuni inquinanti (ossidi di azoto e idrocarburi, vedi sezione 4.6); la sua distribuzione `e quindi largamente variabile nel tempo e nello spazio, ma mediamente in aumento. L’ozono presente nella stratosfera, sostanzialmente stabile o in lieve diminuzione, ha l’effetto opposto ai gas-serra: infatti, assorbe radiazione solare che in questo modo non arriva al suolo o agli strati pi` u bassi. La tabella mostra i contributi rispettivi dei vari gas alla diminuzione storica (dall’epoca preindustriale ad oggi) della trasmittanza netta dell’atmosfera rispetto all’infrarosso emesso dalla superficie terrestre; qui si tiene conto degli aumenti di concentrazione e dei rispettivi GWP. Tabella Contributo di vari gas-serra alla diminuzione storica della trasmittanza atmosferica, per la radiazione infrarossa emessa dalla superficie. gas CO2 CH4 N2 O CFC O3 contributo % 52 18 4 13 12 Il trasporto di energia in senso verticale, cio`e dall’esterno dell’atmosfera fino alla superficie terrestre e viceversa, non avviene soltanto per mezzo della radiazione. La figura 2.8 illustra i vari processi che trasportano energia. La radiazione in arrivo (I0 /4 = 342 W/m2 ) viene in parte diffusa o riflessa verso l’alto (dalle nubi, dall’aria stessa o dalla superficie terrestre), in parte assorbita dall’atmosfera (67 W/m2 ) e per circa met`a assorbita al suolo (168 W/m2 ). Da qui, pu`o tornare verso gli strati pi` u alti della troposfera per convezione di masse d’aria calda (calore “sensibile” 24 W/m2 ) o tramite evaporazione/condensazione (calore latente, 78 W/m2 ), e soprattutto per via radiativa (390 W/m2 ); quest’ultimo flusso si suddivide in una piccola parte che raggiunge lo spazio senza essere assorbito (40 W/m2 ), mentre il resto, insieme al calore sensibile ed al calore latente, riscalda gli strati intermedi della troposfera, che a loro volta emettono radiazione infrarossa, sia verso l’alto che verso il basso. Complessivamente, la radiazione uscente (235 W/m2 ) eguaglia quella assorbita, ed `e una frazione pari a 235/390=0.60 di quella emessa dalla superficie terrestre, uguale alla trasmissivit`a B di eq. (2.9); ma gli scambi di 57 Figura 2.8: Trasferimenti di energia in senso verticale nell’atmosfera (da J. Houghton, Rep. Prog. Phys., vol. 68, pag. 1343, 2005). energia tra le varie parti del sistema sono notevolmente pi` u complessi e non dipendono solo dalle temperature, ma anche da altri fattori (presenza di nubi e polveri, evaporazione e traspirazione, etc). 2.4 Cambiamenti climatici. L’aumento di concentrazione dei gas-serra rende plausibile l’ipotesi che la temperatura media della superficie terrestre possa aumentare, provocando un cambiamento climatico globale non trascurabile. A questa conclusione era gi`a arrivato Svante Arrhenius pi` u di un secolo fa, proseguendo ricerche di Fourier e di John Tyndall. Tuttavia, la questione `e molto complessa e non pu`o essere ridotta ad un’equazione. Qui basta citare due circostanze che contribuiscono a complicare il problema: una `e la molteplicit`a dei processi di trasporto di energia in senso verticale, vista alla fine della sezione precedente; l’altra `e la disomogeneit`a spaziale e le oscillazioni temporali delle temperature nell’atmosfera ed alla superficie terrestre, che non permettono di considerare semplicemente una temperatura media, perch´e l’emissione di radiazione dipende da T in maniera non lineare (quarta potenza). D’altra parte 58 la distribuzione delle temperature dipende da un’insieme di variabili climatiche, quali i venti, l’evaporazione e le precipitazioni, influenzate profondamente dalla distribuzione delle terre emerse e dall’orografia. L’unico modo di fare previsioni quantitative `e quindi di considerare il clima nel suo complesso. Per la previsione dei cambiamenti climatici si elaborano modelli matematici di “simulazione”, simili a quelli utilizzati per le previsioni meteorologiche, la cui soluzione viene affidata a potenti calcolatori. C’`e per`o una differenza essenziale rispetto alle previsioni del tempo a breve scadenza. Il clima di un luogo si descrive con un insieme di variabili, che sono la temperatura, le precipitazioni, la nuvolosit`a, i venti, l’umidit`a atmosferica, etc.; di tutte occorre specificare la media, le oscillazioni stagionali e giornaliere, e il grado di variabilit`a casuale. Prevedere il clima che avremo tra 50 o 100 anni sulla base di determinate ipotesi, per esempio riguardo all’aumento dei gas-serra, non `e impossibile come fare delle previsioni meteorologiche su grandi intervalli di tempo, perch´e non implica la determinazione del “tempo che far`a” in un giorno preciso, ma solo di una variet`a di condizioni possibili e delle loro rispettive probabilit`a. I modelli climatici globali (“global circulation models”, GCM) incorporano conoscenze riguardanti la fluidodinamica, la termodinamica, l’ottica e le propriet`a dell’aria (inclusa la capacit`a di assorbire ed emettere radiazione) e dell’acqua degli oceani. Tutti questi “ingredienti” si possono esprimere per mezzo di precise equazioni, che legano tra loro i parametri fisici di interesse: temperatura, pressione, composizione, flussi di massa e di energia, e le loro variazioni nello spazio e nel tempo. Ne abbiamo visto esempi nelle sezioni 1.2, 2.1 e 2.3. Per rendere utilizzabili tali equazioni, occorre suddividere tutta l’atmosfera in una serie di celle, ciascuna caratterizzata da parametri fisici medi e dai loro gradienti. Queste celle non possono essere troppo numerose, altrimenti il calcolo richiederebbe troppe operazioni e sarebbe impraticabile; per l’atmosfera, i lati orizzontali delle celle misurano da 100 a 300 km, e in verticale si sovrappongono circa 20 celle di altezza variabile (pi` u sottili quelle alla base, dove l’aria `e pi` u densa e si verificano i processi pi` u importanti). Purtroppo, diversi fenomeni che potrebbero essere abbastanza precisamente descritti in termini di equazioni note, avvengono su una scala molto pi` u piccola; per esempio, l’interazione dei venti e moti verticali dell’aria con le irregolarit`a della superficie terrestre (montagne, valli, coste etc), richiederebbe una risoluzione spaziale dell’ordine di 1 km, non 100 o pi` u. Per rimediare, si introducono equazioni empiriche, al posto di quelle esatte, che tengono conto in maniera approssimata dei fenomeni che avvengono a piccola scala: cos`ı, un termine di attrito sostituisce la descrizione precisa del moto dell’aria che passa su una catena montuosa. Ci sono poi altri fenomeni che non possono essere 59 descritti da leggi fisiche semplici; uno dei pi` u importanti `e la condensazione del vapore acqueo a formare nubi, e la successiva aggregazione delle goccioline o dei cristalli di ghiaccio a formare precipitazioni; questo fenomeno non solo `e caratterizzato da una scala spaziale troppo piccola, ma dipende da dettagli quali la presenza di particolato o la turbolenza atmosferica (vedi sezione 4.1), che `e molto difficile inserire in un GCM. Anche qui, la soluzione `e un’equazione empirica che lega la nuvolosit`a media in una cella atmosferica, ai parametri fisici di quella cella (umidit`a, temperatura, etc). Naturalmente, mentre le equazioni fisiche fondamentali hanno valore universale, le equazioni empiriche sono formulate in maniera da rappresentare con buona approssimazione un insieme di dati noti della meteorologia, ma possono fallire in situazioni non previste. I modelli differiscono per le equazioni empiriche che contengono, per il modo in cui trattano la dinamica degli oceani (correnti, variazioni di temperatura e salinit`a, etc) e la loro interazione con l’atmosfera, e per altri dettagli come le dimensioni delle celle. Non stupisce quindi che possano dare risultati diversi. Un GCM consente di produrre una “simulazione”, cio`e di calcolare l’andamento di tutte le variabili climatiche giorno dopo giorno, anno dopo anno, partendo da certe ipotesi e condizioni iniziali. Le ipotesi riguardano essenzialmente la variazione futura della concentrazione di CO2 , che dipende dell’andamento dell’economia mondiale e dai provvedimenti che verranno adottati per limitare le emissioni. Gli scenari pi` u accreditati prevedono aumenti di un fattore 1.7-2.0 rispetto al livello preindustriale (280 ppm) entro il 2050, e di un fattore 2.0-3.3 entro il 2100 (vedi anche la figura 1.7). In base a queste diverse ipotesi, i risultati ottenuti con i GCM variano entro ampi limiti. Le previsioni sono di un aumento della temperatura media globale di 1.55◦ C entro il 2100, rispetto a fine ’800 o inizio ’900 (5◦ rapporto IPCC, 2014, http://www.ipcc.ch/report/ar5) Parte di questo aumento `e gi`a avvenuto nell’ultimo secolo, e i modelli lo valutano in circa 0.6◦ C. Non `e facile accertare se questo aumento si sia effettivamente verificato. Serve un grande numero di dati: medie giornaliere per tutto l’anno, e in una rete di localit`a rappresentative di tutto il globo. Registrazioni abbastanza complete della temperatura si hanno a partire dal 1880. Tuttavia, le varie regioni della Terra non sono tutte coperte egualmente bene: nel passato c’`e stata una carenza di misure sui mari e nelle regioni meno popolate e meno sviluppate economicamente. Inoltre alcune tendenze storiche, legate a sviluppi tecnici o a cambiamenti d’uso del territorio hanno falsato i dati di molte stazioni di rilevamento. Per esempio, le stazioni meteorologiche poste fuori citt`a, un tempo associate ad osservatori astronomici e pi` u tardi agli aeroporti, sono 60 state spesso inglobate dallo sviluppo urbano. In citt`a fa pi` u caldo che nella campagna circostante, per varie ragioni: asfalto e cemento si riscaldano al sole pi` u dei terreni coperti da vegetazione; gli edifici riscaldati internamente cedono calore; il vento `e frenato dagli edifici e quindi l’aria calda vicino al suolo `e meno facilmente sostituita da altra pi` u fresca. Come risultato, queste stazioni meteorologiche hanno registrato un aumento della temperatura dovuto a cause locali e non al riscaldamento globale. Fatta la tara rispetto a questo Figura 2.9: Temperature medie globali a partire dal 1880. Si prende come riferimento la media 1901-2000, valutata in 13.9◦ C/ Fonte: National Ocean and Atmosphere Administration (NOAA), USA, http://www.ncdc.noaa.gov/oa/climate/research/anomalies/anomalies.html. 2010 14.6 temperatura (◦ C) 14.4 punti: media annuale curva: media quinquennale 14.2 14 13.8 13.6 1880 1900 1920 1940 1960 anno 61 1980 2000 2020 ed altri artefatti riconosciuti, si scopre che le medie annuali variano molto irregolarmente, il che fa parte delle oscillazioni climatiche casuali. Per avere una grafico pi` u regolare, i climatologi sostituiscono al valore di un anno la media di cinque anni (considerando anche i due precedenti e i due successivi). Le temperature medie annuali e quinquennali sono rappresentate in figura 2.9. Si nota una tendenza all’aumento, con una differenza di circa 0.8◦ C nell’arco di 125 anni, in accordo con le previsioni dei GCM. Tuttavia, l’aumento di temperatura si `e concentrato in due periodi pi` u brevi: dal 1910 al 1940 circa, e dalla fine degli anni 1970 in poi. Queste irregolarit`a in passato hanno fatto sospettare che l’aumento osservato sia largamente casuale o comunque legato a cause contingenti, quali una minore attivit`a vulcanica o un piccolo incremento della costante solare. In effetti, le eruzioni vulcaniche esplosive possono proiettare particolato anche nella stratosfera, dove la mancanza di precipitazioni e di mescolamento verticale garantiscono un tempo di residenza molto lungo; la diffusione della luce solare, soprattutto da parte di goccioline di acido solforico, aumenta l’albedo e quindi causa un raffreddamento del clima; questo effetto `e stato ben documentato per alcune eruzioni eccezionalmente potenti, come quella del Tambora (Indonesia, nell’aprile 1815), la maggiore in epoca moderna, che perturb`o il clima mondiale per tutto il 1816; o quella molto studiata del Pinatubo (Filippine, 1991). Simulazioni recenti mostrano che, tenendo conto di queste cause naturali di variabilit`a del clima, si ottiene un migliore accordo con l’andamento osservato delle temperature; ma sembra confermato che l’effetto serra `e il maggiore responsabile dell’aumento complessivamente registrato durante l’ultimo secolo. Le incertezze sulle previsioni climatiche particolareggiate, per singole regioni, sono ancora maggiori di quelle riguardanti la temperatura media globale. I modelli concordano nell’attribuire maggiori riscaldamenti alle zone polari e temperate, e minori a quelle equatoriali e tropicali. Inoltre, sicuramente l’aumento di temperatura sarebbe accompagnato da maggiore evaporazione, e quindi maggiore quantit`a di vapore acqueo nell’atmosfera, con incremento della nuvolosit`a e delle precipitazioni. Questa `e una delle principali cause di disaccordo tra i vari modelli, perch´e un aumento del vapore acqueo implica un aumento dell’effetto serra (retroazione positiva), mentre le nubi hanno due effetti principali: assorbono l’IR (ancora retroazione positiva), ma diffondono la luce solare (retroazione negativa). L’importanza attribuita dal modello a questi effetti contrastanti influenza molto i risultati. Ecosistemi vegetali e coltivazioni necessitano di acqua in misura che dipende anche dalla temperatura; perci`o, se fa pi` u caldo, si possono instaurare condizioni di aridit`a anche senza che diminuisca l’acqua a disposizione. La maggior parte dei 62 modelli prevede un estendersi delle zone aride o semi-aride all’interno dei grandi continenti. La tabella che segue elenca alcune delle prevedibili conseguenze di un eventuale riscaldamento globale. Va sottolineato che l’impatto dei cambiamenti climatici non `e tanto legato alla loro entit`a, quanto alla rapidit`a con cui si verificherebbero. I passaggi dai periodi glaciali ai successivi periodi interglaciali sono stati eventi improvvisi dal punto di vista geologico, ma la variazione di temperatura, dell’ordine di 10◦ C, `e avvenuta nell’arco di 10-20000 anni. I modelli GCM prevedono invece un riscaldamento 20-100 volte pi` u rapido. La terza colonna indica il segno degli effetti di retroazione nei riguardi del clima, classificandoli come positivi o negativi a seconda se tenderebbero a fare aumentare ulteriormente le temperature o a moderare l’aumento. Possibili conseguenze del cambiamento climatico. Spostamento delle fasce di latitudine ottimale per le coltivazioni. Spostamento delle fasce di latitudine ottimale per gli ecosistemi. Arretramento dei ghiacciai. Ricadute su ecosistemi ed attivit` a umane. Problemi nelle produzioni agricole; alcuni paesi favoriti, altri danneggiati. Perdit`a di biodiversit`a; declino di alcuni ecosistemi. Retroazioni sul clima. Alterazione del ciclo dell’acqua. + Scongelamento del permafrost e del pack artico. Incremento nel livello dei mari. Maggiore frequenza di fenomeni estremi. Diffusione di insetti e microrganismi dannosi. Alterazione dell’ambiente artico. Inondazione di zone costiere. Salinizzazione delle falde. Ondate di caldo, uragani distruttivi. Danni all’agricoltura, malattie infettive. + +/− +/− Le prime due righe indicano che le coltivazioni e gli ecosistemi naturali dovrebbero adattarsi, in gran parte spostandosi a latitudini maggiori. Per quanto riguarda le colture, ci`o comporta una serie di problemi, tecnici ed economici, pi` u facilmente risolvibili nei paesi ricchi che in quelli del terzo mondo; d’altra parte, alcune regioni saranno maggiormente danneggiate ed altre invece saranno avvantaggiate, in genere senza compensazione all’interno dei singoli stati. Il problema `e pi` u grave per gli ecosistemi naturali, che non possono spostarsi in tempi cos`ı brevi: si pensi ad esempio al tempo necessario 63 per la disseminazione e crescita degli alberi di una foresta e per la formazione di suolo fertile; inoltre, gran parte del territorio con clima accettabile `e attualmente occupato da attivit`a umane (agricoltura, trasporti, industrie ed insediamenti), perci`o non `e disponibile per l’espansione degli ecosistemi naturali. La probabile diminuzione della biomassa degli ecosistemi naturali e le variazioni (dello stesso segno od opposte) riguardanti le coltivazioni possono scatenare effetti di retroazione, sia positivi che negativi. Una retroazione positiva sarebbe legata alla restituzione di CO2 dalla biosfera all’atmosfera, in gran parte attraverso la degradazione di materiale organico morto, ma anche attraverso incendi in zone divenute aride o l’interruzione di cicli di ricrescita stagionali. Inoltre, le degradazioni operate da batteri e funghi in molti casi sarebbero accelerate dall’innalzamento di temperatura, portando ad una diminuzione del materiale organico morto gi`a presente. L’eventuale aumento dei terreni non coperti da vegetazione potrebbe avere l’effetto opposto, perch´e aumenterebbe la quantit`a di polveri trasportate dal vento, le quali intercettano la luce solare analogamente agli aerosol vulcanici. Figura 2.10: Ghiacciaio Indren (gruppo del M. Rosa) nel 1920 e nel 2000. 1920 2000 Figura 2.11: Ghiacciaio sommitale del Kilimangiaro nel 1993 e nel 2000. 1993 2000 L’arretramento dei ghiacciai `e un fatto evidente, soprattutto nelle principali catene montuose; ad esso si pu`o aggiungere lo scioglimento del pack artico (ghiaccio galleggiante) e del permafrost (terreno ghiacciato) nel nord della Siberia, dell’Alaska e del Canada. L’evoluzione di un ghiacciaio `e normalmente 64 lenta, e quindi segue le variazioni climatiche pi` u rapide con un certo ritardo. Oltre alla temperatura estiva, che determina il ritmo di scioglimento della parte bassa del ghiacciaio, un fattore molto importante sono le precipitazioni che lo alimentano, soprattutto nella parte alta (in qualche caso, come succede in Antardide, si tratta di condensazione diretta del vapore acqueo atmosferico sul ghiaccio). I ghiacciai scivolano continuamente verso il basso a velocit`a diverse, fino a quote dove il ghiaccio si scioglie; l’aumento o diminuzione della massa ` quindi ghiacciata dipende dal bilancio tra scioglimento e alimentazione. E ovvio che un aumento di temperatura, a parit`a di precipitazioni, implica un arretramento dei ghiacciai; ma, poich´e un riscaldamento climatico pu`o anche portare ad un aumento delle precipitazioni, non `e del tutto evidente la relazione di causa-effetto. Per giunta, l’arretramento dei ghiacciai prosegue, con fasi alterne, da pi` u di un secolo, quindi sembra essere cominciato prima che il clima potesse essere perturbato per l’aumento dei gas-serra. Sembra probabile che i ghiacciai di montagna nelle zone calde e temperate del pianeta siano destinati a ridursi di molto se le temperature medie continueranno ad aumentare, e lo stesso potrebbe avvenire per il pack, ma non per i ghiacci antartici. Il ritiro dei ghiacciai ha un’importanza immediata perch´e essi costituscono le pi` u importanti riserve di acqua dolce, essenziali per molte regioni e citt`a attraversate da fiumi che nascono in montagna. Inoltre, i ghiacciai e le distese innevate riflettono la luce del sole, quindi la loro riduzione va a detrimento dell’albedo del pianeta, con un effetto di retroazione positiva sul clima. Questo effetto `e uno degli ingredienti principali nella spiegazione delle glaciazioni 2 . Lo scioglimento del permafrost, che in piccola parte si sta verificando, pu`o causare alterazioni gravi dell’ambiente artico e dello stile di vita delle popolazioni eschimesi che lo abitano. Se questo fenomeno si estendesse a larga scala, potrebbero liberarsi grandi quantit`a di metano, contenuto nel ghiaccio sotto forma di clatrati (inclusione negli spazi vuoti dei cristalli di ghiaccio). Poich´e il metano `e un potente gas-serra, ci`o risulterebbe in un’importante retroazione positiva sul clima. Lo scioglimento dei ghiacciai (ma non quello del pack galleggiante) pu`o contribuire all’innalzamento del livello dei mari. Nei prossimi decenni, comunque, la dilatazione termica dell’acqua dovrebbe avere un effetto pi` u 2 Le glaciazioni mostrano una simultaneit` a quasi perfetta con le variazioni periodiche dei parametri orbitali della Terra (precessione degli equinozi e cambiamenti dell’inclinazione dell’asse terrestre sull’eclittica e dell’ellitticit` a dell’orbita). Questa coincidenza fu scoperta da M. Milankovitch negli anni 1930, e la spiegazione astronomica delle glaciazioni `e oggi generalmente accettata. Tuttavia, le differenze nell’irraggiamento solare causate dalle variazioni nell’orbita terrestre sono molto piccole, e occorre ammettere che le retroazioni positive insite nel sistema climatico ne abbiano di molto amplificato gli effetti. 65 importante. Complessivamente, i modelli prevedono aumenti di livello che vanno da 10 a 90 cm; infatti, vi `e molta incertezza sull’effettivo riscaldamento dell’acqua dei mari, specialmente a profondit`a superiori a qualche decina di metri. L’aumento di livello del mare pu`o determinare l’inondazione, permanente o temporanea, di vaste zone costiere pianeggianti; soprattutto, sono vulnerabili gli insediamenti posti sul delta di grandi fiumi, come quello del Gange-Bramaputra, tra India e Bangladesh. Un altro problema pu`o essere l’incursione di acqua salata nelle falde acquifere lungo la costa, con le conseguenti difficolt`a di approvvigionamento idrico. Un clima pi` u caldo significa maggiore energia termica nell’atmosfera e quindi la possibilit`a che si verifichino fenomeni meteorologici pi` u violenti. In particolare, sembra ragionevole aspettarsi una maggiore frequenza di piogge molto intense e cicloni o uragani tropicali. Questi ultimi si formano in zone di bassa pressione, dove il riscaldamento dell’aria e dell’acqua dell’oceano crea una forte corrente ascendente di aria umida; la condensazione del vapore acqueo mette a disposizione ulteriore energia (vedi sezione 2.1); i venti convergono verso la zona di bassa pressione, ma acquistano la tipica rotazione antioraria (nell’emisfero nord) a causa della forza di Coriolis. La frequenza e la potenza degli uragani tropicali sono attentamente monitorate per scoprire eventuali significativi aumenti nell’una e/o nell’altra (da non confondere con la capacit`a di produrre danni a persone o cose, che dipende molto dalla crescente concentrazione di attivit`a ed insediamenti lungo le coste). Ci sono indizi, da confermare nel prossimo futuro, di una maggiore frequenza di uragani estremamente potenti negli ultimi anni. A parte gli specifici meccanismi che possono causare una maggiore incidenza di “eventi meteorologici estremi”, per certi tipi di eventi `e sufficiente un puro effetto statistico. Per esempio, la frequenza di giornate particolarmente calde, che superano una determinata soglia di temperatura nel corso del mese di luglio, `e data dalla “coda” di una distribuzione a campana centrata approssimativamente su una temperatura media; se la distribuzione rimane uguale, ma si sposta di pochi gradi verso l’alto, la coda pu`o crescere di molto, passando da eventi molto rari a eventi che si verificano quasi tutti gli anni. Infine, il cambiamento climatico pu`o favorire l’espansione delle aree con condizioni favorevoli per insetti e microrganismi ora confinati alle zone tropicali. Si possono avere quindi danni alle coltivazioni ed agli ecosistemi di climi temperati, nonch´e la diffusione di malattie infettive causate da germi che si moltiplicano meglio a temperature pi` u alte, o sono trasportati da vettori (insetti o altro) caratteristici di climi caldi. 66
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