Capitolo 2 Atmosfera e clima.

Capitolo 2
Atmosfera e clima.
Come abbiamo visto l’atmosfera `e un sistema lontano dall’equilibrio
termodinamico per quanto riguarda la sua composizione. Infatti, gli esseri
viventi fotosintetici mantengono una percentuale di ossigeno nell’aria molto
superiore a quella che comporterebbe l’equilibrio chimico con le specie
ossidabili (principalmente minerali della crosta terrestre). Inoltre, i livelli
attuali di vari altri componenti minori sono mantenuti da flussi che si
compensano globalmente, ma non localmente: una situazione che si avvicina
pi`
u ad uno stato stazionario che all’equilibrio termodinamico.
Si pu`o dire lo stesso a proposito degli aspetti energetici, che si manifestano pi`
u
direttamente nell’esistenza di differenze di temperatura e di moti delle masse
d’aria, e poi in tutte le variabili che caratterizzano il clima. La principale
forza che tiene l’atmosfera lontana dall’equilibrio termico e idrostatico `e il
flusso di energia dovuto alla radiazione solare. Globalmente e in media nel
tempo, questo flusso `e perfettamente bilanciato dalla radiazione infrarossa
emessa dalla Terra e dispersa nello spazio, come vedremo in dettaglio in
sezione 2.3. Tuttavia, forti differenze tra energia in ingresso e in uscita
si possono verificare localmente, o anche globalmente per brevi periodi;
in particolare, abbiamo oscillazioni periodiche (giornaliere e stagionali) e
fluttuazioni climatiche irregolari, che rendono la meteorologia una scienza
difficile e “interessante”. Solo facendo una media su tempi lunghi delle variabili
climatiche, a cominciare dalla temperatura, si pu`o evidenziare l’esistenza di
uno stato approssimativamente stazionario. Infine, si possono evidenziare
cambiamenti molto lenti, che avvengono in tempi di secoli o molto pi`
u lunghi,
legati all’attivit`a solare, al moto orbitale della terra (come le glaciazioni) e a
cambiamenti geologici come la deriva dei continenti.
40
2.1
Differenze di temperatura e convezione.
La figura 2.1 mostra come la temperatura dell’aria dipende dall’altitudine.
Vicino al suolo e fino a circa 10-18 km (pi`
u in basso ai poli, pi`
u in alto
all’equatore) la temperatura diminuisce con l’altitudine. Il gradiente termico
Γ = −dT /dh (“lapse rate” in inglese) `e mediamente dell’ordine di 6 K/km.
Ci`o `e dovuto al fatto che la radiazione solare `e assorbita soprattutto dal
suolo, dove con questa parola intendiamo d’ora in poi qualsiasi superficie
posta alla base dell’atmosfera (mari, rocce, vegetazione, ghiacciai, etc). Perci`o
il calore viene trasportato in vari modi verso l’alto, creando un gradiente
di temperatura. Questa zona pi`
u bassa dell’atmosfera `e detta troposfera, e
l’altezza alla quale la temperatura cessa di scendere `e la tropopausa. Al di
sopra, fino a circa 50 km di altezza (stratopausa), si estende la stratosfera.
Qui la temperatura sale gradualmente fino a quasi 0◦ C. Questa risalita della
temperatura `e dovuta all’assorbimento di luce, soprattutto UV, da parte
dell’ozono (O3 ) e dell’ossigeno (O2 ). Un ulteriore zig-zag della temperatura
al di sopra della stratopausa `e dovuto a ragioni analoghe.
In questo corso ci occuperemo solo della troposfera, che contiene l’85-90%
della massa dell’atmosfera, e della stratosfera, che contiene quasi tutto
il resto.
La troposfera `e instabile dal punto di vista fluidodinamico;
molto schematicamente, si pu`o dire che l’aria calda, meno densa, sta in
basso, e quella fredda, pi`
u densa, in alto; perci`o la troposfera `e sede di
correnti ascendenti e discendenti e di venti generati dalla convezione. Ci`o
`e molto importante per quanto riguarda il trasporto e mescolamento dei vari
componenti dell’atmosfera, specialmente di quelli prodotti vicino al suolo, come
quasi tutti gli inquinanti. Al contrario la stratosfera `e stabile ed `e percorsa
solo da venti essenzialmente dovuti alla rotazione terrestre. Nella stratosfera
il trasporto dei gas in senso verticale `e molto lento; inoltre i due sistemi,
troposfera e stratosfera, si possono considerare come parzialmente separati,
nel senso che il passaggio di componenti da uno all’altro richiede mediamente
diversi anni, salvo nel caso di eventi eccezionali (eruzioni ed uragani molto
violenti).
Rispetto alla spiegazione semplicistica sopra accennata, occorre specificare
meglio le condizioni di stabilit`a di una certa zona della troposfera, in relazione
alla velocit`a con cui cala la temperatura all’aumentare dell’altezza, cio`e
il gradiente termico Γ. Partiamo dall’osservazione che una massa d’aria
leggermente pi`
u calda di quella circostante tende a salire per la spinta
aerostatica (“di Archimede”). Salendo, la massa d’aria si espande, perch´e
incontra una pressione minore. Di conseguenza, compie lavoro meccanico e
41
Figura 2.1: Temperatura media annua in funzione dell’altitudine, a tre diverse
latitudini (dati da http://modelweb.gsfc.nasa.gov).
120
termosfera
altitudine h, km
100
80
mesosfera
60
stratopausa
40
stratosfera
20
tropopausa
latitudine 0◦◦
40◦
80
troposfera
0
160
180
200
220
240
260
temperatura, K
280
300
perde energia, cio`e si raffredda. Anche gli strati di aria con cui viene a contatto,
salendo, di norma sono pi`
u freddi di quelli sottostanti. Quindi, pu`o accadere
che la differenza di temperatura tra l’aria che sale e quella circostante vada
aumentando, nel qual caso continuer`a ad esserci una spinta aerostatica che
mantiene il moto verso l’alto; oppure, la differenza di temperatura pu`o ridursi
fino ad annullarsi, e allora il moto verso l’alto si arresta. Naturalmente lo
stesso ragionamento vale, all’inverso, per una massa d’aria pi`
u fredda di quella
circostante, che tende a scendere.
Qual `e la velocit`a di raffreddamento di una massa d’aria che sale? Possiamo
determinarlo a priori usando l’approssimazione adiabatica, cio`e supponendo
che siano trascurabili gli scambi di calore con l’aria circostante. Ci`o `e tanto
pi`
u esatto quanto pi`
u grande `e la massa d’aria e quanto pi`
u rapidamente
si muove. Infatti, gli scambi di calore sono di solito pi`
u lenti della perdita
di energia per espansione, e avvengono all’interfaccia con l’aria esterna, in
misura proporzionale all’area superficiale; ora, per un oggetto di forma data,
42
320
l’area aumenta proporzionalmente al quadrato delle dimensioni, mentre massa
e volume aumentano col cubo; perci`o tutti i fenomeni superficiali tendono
a perdere importanza al crescere delle dimensioni stesse. Possiamo quindi
eguagliare la diminuzione di energia interna al lavoro fatto:
dU = −P dV
(2.1)
L’energia interna di un gas, d’altra parte, dipende solo dalla temperatura
(dU = CV dT ); quindi, per una mole di gas:
CV dT = −P dV
(2.2)
dove CV `e il calore molare a volume costante. Dalla legge dei gas perfetti
abbiamo
P dV + V dP = RdT
(2.3)
e mettendo insieme le ultime due equazioni:
(CV + R)dT = CP dT = V dP
(2.4)
Qui CP `e il calore molare a pressione costante, che per un gas biatomico come
l’aria vale circa 7R/2. L’equazione idrostatica (1.8) collega dP all’incremento
di altezza (dP = −Ma gP dh/RT = −Ma gdh/V ), perci`o:
Γa = −
dT
Ma g
2Ma g
=
=
dh
CP
7R
(2.5)
Γa (“adiabatic lapse rate”) `e quindi il gradiente termico per una massa d’aria
che sale nell’atmosfera senza scambiare calore con l’aria circostante. Si tratta
di una costante, indipendente da h, T e P , e vale 9.8 K/km. Se l’aria che
sale contiene umidit`a, quando la sua temperatura scende pu`o avvenire la
condensazione del vapore acqueo, che libera il calore latente di evaporazione.
La diminuzione di temperatura `e allora minore del Γa calcolato per l’aria secca.
In base alle osservazioni viste sopra, se l’aria in una certa zona presenta un
gradiente termico Γ minore di Γa , la risalita di una massa d’aria poco pi`
u calda
di quella circostante verr`a presto bloccata, e cos`ı la discesa di aria leggermente
pi`
u fredda; siamo quindi in condizioni di stabilit`a. Invece, se Γ > Γa , una
massa d’aria che sale rimane sempre pi`
u calda di quella circostante e quindi
continua a salire; analogamente, l’aria fredda continua a scendere; abbiamo
quindi instabilit`a, con la formazione di correnti ascendenti e discendenti. Ci
sono diverse ragioni per cui le condizioni iniziali possono essere non uniformi,
con masse d’aria a temperatura diversa dall’aria circostante. Per esempio,
43
Figura 2.2: Tre diversi profili di temperatura in funzione dell’altezza
(linee tratteggiate). Le frecce indicano possibili traiettorie di masse d’aria
che inizialmente hanno temperature diverse dall’aria circostante, basate
sull’adiabatic lapse rate.
2000
altezza h, m
1500
1000
A
B
C
500
0
250
260
270
280
290
temperatura, K
300
310
320
l’irraggiamento solare scalda pi`
u rapidamente una superficie asfaltata rispetto
a un terreno coperto da vegetazione, e questo pi`
u di un campo innevato.
Inoltre, ha importanza l’orografia: la presenza di un pendio montuoso genera
riscaldamento di giorno, specie se `e ben esposto al sole, e raffreddamento di
notte.
La figura 2.2 mostra tre casi tipici di profilo della temperatura in funzione
dell’altezza. Le frecce rappresentano le traiettorie (temperatura che cambia
durante la salita o la discesa) di masse d’aria inizialmente un po’ pi`
u calde
o pi`
u fredde dell’aria circostante. Il caso A si verifica facilmente nelle ultime
ore della notte, perch´e il terreno (compresa la vegetazione e le aree asfaltate
o cementificate) si raffreddano per irraggiamento; `e lo stesso fenomeno per
cui si pu`o formare la brina anche quando la temperatura dell’aria (quella
solitamente fornita dai termometri) `e superiore a 0◦ C; come vedremo meglio in
sezione 2.3, il raffreddamento `e moderato dalla presenza di umidit`a nell’aria,
perch´e il vapor d’acqua assorbe la radiazione infrarossa e la riemette in parte
verso il basso. Pu`o quindi succedere che alla fine della notte o subito dopo
44
il sorgere del sole, soprattutto con tempo asciutto e cielo sereno, l’aria vicino
al suolo sia pi`
u fredda di quella sovrastante; si verifica quindi un’inversione
del normale gradiente termico della troposfera, fino ad una quota di qualche
decina o centinaio di metri. L’inversione termica pu`o anche verificarsi per altri
motivi, ad esempio un flusso di aria fredda proveniente dall’alto su un fondo
valle, o allo sbocco di una valle montana sulla pianura (tipico della zona di
Carrara, Massa e Versilia). L’inversione termica blocca la risalita di masse
d’aria anche notevolmente pi`
u calde, come ad esempio i fumi degli impianti
di riscaldamento, creando un ristagno di tutti gli inquinanti in vicinanza del
suolo. Il caso B rappresenta la situazione che si crea durante la mattinata,
dopo che il sole ha riscaldato gli strati pi`
u bassi ma non ha ancora annullato
completamente l’inversione termica. Finch´e Γ < Γa , abbiamo condizioni di
stabilit`a. Col passare del tempo, e all’aumentare della potenza radiante, l’aria
vicino al suolo pu`o diventare molto pi`
u calda di quella sovrastante, quindi
Γ > Γa e abbiamo condizioni di instabilit`a (caso C nella figura).
Considerazioni di questo tipo sono importanti quando si deve progettare e
collocare in un territorio una sorgente di inquinamento atmosferico. La figura
2.3 rappresenta alcune forme tipiche del pennacchio che esce da un camino
o ciminiera. In genere, i fumi salgono pi`
u in alto del punto di emissione,
cio`e l’altezza reale hr del camino. Infatti, la risalita `e favorita da vari
fattori, i pi`
u importanti dei quali sono: la velocit`a di uscita dal camino
(verticale), vf ; la temperatura Tf e l’umidit`a Hf del fumo, che diminuisce
il suo lapse rate adiabatico. L’altezza che pu`o raggiungere il fumo `e detta
altezza efficace del camino, he . Come abbiamo visto sopra, he dipende anche
dal profilo di temperatura dell’aria esterna; i parametri hr , vf e Tf devono
essere scelti dal progettista e dal conduttore dell’impianto, tenendo conto che
aumentare ciascuno di essi comporta uno spreco di energia (oltre ad aumentare
i costi costruttivi e di manutenzione), e quindi un incremento nel consumo di
combustibile e nell’emissione di inquinanti.
` per`o utile che l’altezza efficace sia abbastanza grande, perch´e questo
E
garantisce una maggior dispersione degli inquinanti, e quindi diminuisce
la concentrazione massima che si potr`a riscontrare vicino al suolo, dove
normalmente possono aversi danni alla salute, agli ecosistemi ed ai manufatti.
Infatti, dopo essere uscito dalla bocca del camino, il pennacchio si espande,
soprattutto per diluizione nell’aria circostante. Questo fenomeno `e dovuto
essenzialmente al mescolamento o diffusione turbolenta, e non al meccanismo
molto pi`
u lento della diffusione molecolare 1 . In genere, pi`
u si allontana
1
Per una massa pi`
u o meno grande di un fluido in movimento (aria o acqua) si pu`
o definire
una velocit`
a media, ma porzioni pi`
u piccole del fluido possono avere velocit`
a che differiscono
45
Figura 2.3: Configurazioni tipiche del pennacchio di fumo in uscita da una
ciminiera. In ogni riquadro, a sinistra `e indicato schematicamente il profilo di
temperatura nell’aria circostante (linea continua) e le possibile traiettorie (T
contro h) di una massa d’aria soggetta a risalita o discesa adiabatica.
dalla media per direzione e modulo. Ci`o si verifica sempre per le singole molecole, tranne in
condizioni sperimentali molto particolari, ed `e la causa della diffusione molecolare. Questo
tipo di diffusione `e molto lento e dipende dalla viscosit`
a del mezzo; per esempio, in un
campione di aria con un gas inizialmente a concentrazione non uniforme, si pu`
o avere il
livellamento della concentrazione in un tempo di parecchi secondi su distanze dell’ordine
di 1 cm, ma si richiedono giorni per la distanza di 1 m; in acqua la diffusione molecolare
`e molto pi`
u lenta (un’ora per un mm). Particelle solide molto piccole, o anche goccioline
liquide disperse in un gas, con dimensioni dell’ordine di 0.1 µm o meno, sono soggette al
moto Browniano, che implica una diffusione ancora pi`
u lenta. Accade frequentemente, per`o,
che porzioni di fluido di dimensioni molto superiori a quelle delle molecole o delle particelle
Browniane esibiscano velocit`
a notevolmente differenti dalla media. Questo fenomeno `e detto
turbolenza, e pu`
o verificarsi su scale spaziali molto diverse, di centimetri o chilometri. La
turbolenza si verifica pi`
u facilmente ad alte velocit`
a del flusso, e soprattutto in presenza
di superfici solide irregolari o veri e propri ostacoli. Se c’`e turbolenza, il mescolamento dei
componenti `e enormemente accelerato rispetto alla diffusione molecolare.
46
dal camino, trasportato dal vento, pi`
u il pennacchio si diluisce e si allarga.
Ad una certa distanza dal camino, la sua dimensione verticale `e tale che il
pennacchio “tocca terra”, cio`e produce vicino al suolo una concentrazione non
trascurabile dei componenti dei fumi. Pi`
u `e alta l’origine del pennacchio, pi`
u
lontano toccher`a terra, e pi`
u sar`a diluito.
In realt`a, esiste una variet`a di situazioni, determinate soprattutto dai diversi
profili altitudinari della temperatura dell’aria circostante, come illustrato in
figura 2.3. In ogni riquadro, a sinistra si mostra schematicamente il profilo T (h)
e le possibili traiettorie di masse d’aria soggette a risalita o discesa adiabatica; a
destra si vede la forma del pennacchio risultante; in tutti i casi, tranne l’ultimo
in basso a destra, si suppone che il pennacchio sia trascinato dal vento. Nel
caso pi`
u semplice, rappresentato nel primo riquadro in alto a sinistra, abbiamo
equilibrio indifferente Γ ≃ Γa e quindi il pennacchio si sviluppa regolarmente
in forma conica (“coning”). Nella casella accanto, vi `e un’inversione termica
fino ad altezza ben superiore ad he , perci`o i fumi sono intrappolati intorno
alla quota he e si espandono solo orizzontalmente (“fanning”). In condizioni di
forte instabilit`a, se la ciminiera espelle una grande portata di fumi abbastanza
in alto, questi possono formare una colonna ascendente di grande altezza; ma
c’‘e il pericolo che invece i fumi siano coinvolti dalle correnti ascendenti e
discendenti che incontrano lungo il loro percorso, abbassandosi a livello del
suolo anche molto precocemente (’looping”). Un altro caso molto sfavorevole
`e quello in cui c’`e un’inversione di temperatura a bassa quota ma non al suolo;
in questo caso i fumi sono bloccati verso l’alto, ma non verso il basso, e perci`o
si hanno alte concentrazioni a livello del suolo (“trapping” o fumigazione). Al
contrario, se c’`e inversione termica solo fino ad una quota inferiore all’altezza
del camino, i fumi possono solo salire (“lofting”).
2.2
Circolazione a grande scala nell’atmosfera.
I meccanismi convettivi visti nella sezione precedente agiscono a scale pi`
u
o meno grandi, dando origine al sistema dei venti. Per esempio, lungo
le coste `e frequente l’alternarsi di brezza di mare e brezza di terra. La
prima spira durande il giorno, perch´e il sole riscalda pi`
u intensamente la
terra che non il mare; l’acqua, infatti, ha una capacit`a termica maggiore
di rocce, suoli o materiali comuni nelle aree urbanizzate; inoltre, la luce
viene assorbita gradualmente da uno strato di qualche decina di metri, e il
rimescolamento delle acque distribuisce il riscaldamento su uno spessore ancora
maggiore; infine, l’evaporazione riduce l’innalzamento della temperatura. Cos`ı,
47
Figura 2.4: Circolazione generale dei venti nell’atmosfera terrestre (dal sito
http://www.atmos.ucla.edu/AS2/as2.html).
si formano correnti ascendenti sulla terra, lungo la costa, e queste richiamano
aria dal mare, a bassa quota; in alto, invece, l’aria va in senso inverso, e poi
scende sul mare, chiudendo il ciclo convettivo. Di notte, per ragioni analoghe, il
moto convettivo si inverte. Questo meccanismo intensifica di molto il trasporto
di calore dalla zona pi`
u calda a quella pi`
u fredda, attutendo le differenze di
temperatura (retroazione negativa).
Lo stesso pu`o dirsi per la circolazione dei venti a livello globale. L’aria ai
livelli pi`
u bassi si scalda molto nella zona equatoriale, e quindi si genera una
circolazione convettiva in ognuno dei due emisferi; masse d’aria pi`
u fresca
vengono richiamate dalle latitudini maggiori, si incontrano vicino all’equatore
(Zona di Convergenza InterTropicale, ITCZ), si scaldano, salgono in quota
spingendo verso l’alto la tropopausa, e si dirigono di nuovo verso nord o verso
sud. Si potrebbe pensare che il ciclo convettivo si estenda semplicemente
48
fino ai poli, ma non `e cos`ı. Infatti, un vento che spiri dall’equatore verso
uno dei due poli viene deviato verso est per effetto della rotazione terrestre
(“forza di Coriolis”), mentre se va dal polo verso l’equatore `e deviato verso
ovest. Quindi, tutti i venti di bassa quota convergono verso l’equatore con
una forte componente da est verso ovest (gli alisei). Invece, quelli di alta
quota arrivano ai tropici diretti pi`
u verso est che verso nord; inoltre, l’aria in
quota si raffredda per irraggiamento, e quindi scende verso i 30◦ di latitudine,
chiudendo la prima cella convettiva. Altre due celle con rotazione dei venti
nello stesso verso circondano i poli. Invece, alle latitudini temperate le
correnti discendenti delle celle equatoriali e quelle ascendenti delle celle polari
generano per trascinamento una cella intermedia con circolazione opposta: qui
i venti al suolo vanno inizialmente verso nord e vengono deviati verso est
(venti prevalenti sul continente europeo). Questo meccanismo di circolazione
generale, le cui cause furono chiarite da Edmund Halley e da George Hadley
all’inizio del ’700, `e illustrato in figura 2.4. Come nel caso delle brezze di terra
e di mare, `e un potente mezzo di trasporto di energia, che tende a diminuire
le differenze di temperatura tra alte e basse latitudini.
In realt`a la circolazione dei venti `e pi`
u complicata di quanto esposto sopra, a
causa delle disomogeneit`a dovute all’irregolare distribuzione delle terre emerse,
dell’orografia, dell’accoppiamento con le correnti oceaniche, etc. Tuttavia,
dallo schema esposto sopra si pu`o trarre la conclusione ben valida, che
nella troposfera ha luogo un efficace mescolamento dell’aria, sia in senso
verticale che in senso orizzontale. Le velocit`a medie dei venti e delle correnti
ascendenti e discendenti, e la frequenza di episodi molto pi`
u “violenti” della
media, determinano i tempi necessari per il mescolamento. Una massa di gas
rilasciata in un punto qualsiasi vicino al suolo impiega 1-2 anni per diluirsi
in senso verticale fino alla tropopausa e filtrare nella stratosfera. Pochi mesi
sono necessari per fare il giro della terra lungo i paralleli, mentre ci vuole
mediamente circa 1 anno per passare da un emisfero all’altro, a causa della
relativa mancanza di mescolamento in corrispondenza della ITCZ (dati da
Seinfeld e Pandis, sez. 1.5).
La distanza a cui pu`o giungere un inquinante o un componente atmosferico
naturale emesso da una sorgente localizzata dipende dalla velocit`a a cui `e
trasportato e dal suo tempo di residenza. Con un tempo di residenza breve,
ci aspettiamo una distribuzione irregolare, con picchi nelle vicinanze delle
sorgenti. Invece, gas come il metano (τ ≃ 10 anni) o la CO2 (τ ≃ 2.7
anni) hanno una distribuzione essenzialmente uniforme su tutto il globo. La
figura 2.5 mostra due esempi tipici. Si tratta di misure delle concentrazioni
di metano e di propano a diverse latitudini. Per il metano abbiamo medie
49
sull’arco di un anno in varie stazioni di rilevamento, mentre per il propano
le misure furono fatte in occasione di una crociera di studio lungo le coste
sul Pacifico dell’America del Nord e di quella del Sud; in questo caso, ogni
giorno veniva rilevata la concentrazione di propano lungo tutto il percorso
della nave. Le barre di errore indicano le fluttuazioni casuali, sull’arco di un
anno per il metano, lungo una giornata e in diverse localit`a per il propano.
Si pu`o notare che la variazione relativa `e molto pi`
u grande per il propano che
per il metano. Ci`o `e dovuto, oltre che al diverso tipo di campionamento, alla
grande differenza nei loro tempi di residenza: circa 10 anni per il metano,
pochi giorni per il propano. Per entrambi i gas, ma molto pi`
u per il propano,
si pu`o notare una rapida diminuzione attraversando l’equatore da nord a sud.
Infatti, le sorgenti di entrambi i gas, sia naturali che antropiche, prevalgono
nell’emisfero nord (pi`
u terre emerse, pi`
u biomassa, pi`
u attivit`a industriali), ed
il mescolamento attraverso l’equatore `e ostacolato dalla ICTZ.
Figura 2.5: Concentrazioni di metano e di propano in funzione della latitudine.
Notare le scale diverse (ppm e ppb, rispettivamente). Le barre verticali
indicano la variabilit`a dei dati. Dati da Graedel e Crutzen.
1.8
1.6
CH4 , ppm
concentrazioni
1.4
1.2
1
0.8
0.6
0.4
C3 H8 , ppb
0.2
0
60 Nord 40
2.3
20
0
latitudine
20
40
Sud
60
Bilancio energetico dell’atmosfera.
La Terra riceve dal Sole energia luminosa, composta per circa met`a di luce
visibile, una piccola frazione di ultravioletto e il resto infrarosso. Alla distanza
a cui si trova la Terra, l’energia fornita dal Sole `e di circa 1370 W/m2 , la
50
cosiddetta costante solare I0 . Il valore di I0 in realt`a varia leggermente nel
tempo; per esempio, il ciclo undecennale nell’abbondanza delle macchie solari
comporta un’oscillazione di circa 0.1%, che sale a qualche punto percentuale
per quanto riguarda la frazione ultravioletta. La quasi totale scomparsa delle
macchie solari durante il XVII secolo coincise con un periodo di clima pi`
u
freddo dell’attuale (la “piccola era glaciale”). Questo flusso di energia in
buona parte attraversa l’atmosfera ed `e assorbito nei suoi strati pi`
u bassi
o dal suolo. Come mostra l’esperienza quotidiana, `e capace di elevare la
temperatura dell’aria di 10 o 20 K nel corso di poche ore, durante la mattina,
e variazioni dello stesso ordine di grandezza si verificano nelle temperature
medie giornaliere da una stagione all’altra. Eppure, da un anno all’altro il
ciclo si ripete quasi identico in ogni localit`a; se poi si fa una media su tutto il
globo, si trova un risultato notevolmente costante: nell’ultimo secolo, l’anno
pi`
u caldo e quello pi`
u freddo sono separati soltanto da 1 K, e probabilmente
la deviazione `e dovuta ad una reale deriva verso un clima pi`
u caldo, piuttosto
che a fluttuazioni casuali.
Il bilancio energetico `e quindi molto ben equilibrato, se si prende in
considerazione l’intero pianeta. L’atmosfera scambia energia con gli oceani
e con le terre emerse, che per`o non costituiscono sorgenti o pozzi permanenti;
il flusso di energia proveniente dall’interno della Terra `e trascurabile rispetto
a quello della luce solare: soltanto 0.08 W/m2 . Per equilibrare l’energia in
arrivo, l’unico processo che conta `e l’emissione di luce infrarossa che sfugge nello
spazio. Ogni corpo infatti emette luce, in quantit`a proporzionale alla propria
superficie e dipendente dalla temperatura. L’emissione si distribuisce in linea
di principio su tutte lunghezze d’onda λ, fermo restando che una qualsiasi
sostanza non pu`o emettere od assorbire lunghezze d’onda non corrispondenti
a differenze tra i suoi livelli energetici (atomici, molecolari, di stato solido,
di gas ionizzato o altro ancora). Un corpo costituito da molte sostanze,
prevalentemente in stato solido o liquido come la superficie terrestre, `e capace
di assorbire ed emettere quasi tutte le lunghezze d’onda; la sua emissione `e
quindi ben approssimata dalla legge di Planck valida per il “corpo nero”:
I(λ) =
α
λ5 (eβ/λT
(2.6)
− 1)
dove α = 2πc2 h e β = hc/KB ; se λ `e espressa in nm, cio`e I(λ) rappresenta
la potenza emessa (W/m2 ) per ogni nanometro nello spettro, abbiamo α =
3.7417 · 1020 w·m−2 ·nm4 e β = 0.01439 · 109 nm·K. Anche il Sole emette
radiazione rispettando approssimativamente la stessa legge; la figura 2.6
mette a confronto gli spettri di emissione di un corpo nero alla temperatura
superficiale del Sole (5870 K), e a due temperature significative per l’atmosfera
51
terrestre. Dall’equazione (2.6) si pu`o dedurre che la lunghezza d’onda
di massima emissione `e approssimativamente proporzionale all’inverso della
temperatura. Per il Sole, infatti, λmax cade a circa 500 nm (luce verde), mentre
per la Terra tutta l’emissione `e nell’infrarosso.
L’energia totale emessa a tutte le frequenze, che si ottiene integrando la (2.6)
in funzione di λ, `e proporzionale alla quarta potenza della temperatura (legge
di Stefan):
Itot = σ T 4
(2.7)
Qui σ = 8π 5 KB4 /15h3 c3 vale 5.671 · 10−8 w·m−2 K−4 . Da questa relazione si pu`o
partire per determinare la temperatura alla quale l’emissione infrarossa della
superficie terrestre bilancia l’input di energia proveniente dal Sole. Osserviamo
che la Terra si presenta ai raggi solari come un disco di raggio RT , ossia la
superficie che intercetta il flusso di energia `e πRT2 . Tuttavia, la superficie
terrestre `e quella di una sfera con lo stesso raggio, cio`e 4πRT2 . La rotazione
terrestre e vari meccanismi di trasporto (principalmente venti e correnti
oceaniche) contribuiscono a ripartire l’energia in arrivo dal Sole su tutto il
globo. Questa `e anche la superficie che prenderemo come base per valutare
l’emissione terrestre, quindi, per rapportarsi all’area della sfera occorre dividere
la costante solare I0 per un fattore 4. Inoltre, bisogna tener conto che una
frazione della luce incidente viene riflessa o diffusa nello spazio, senza essere
assorbita; questa frazione `e detta albedo (A), e per la Terra abbiamo A ≃ 0.30.
L’emissione terrestre si pu`o mettere in relazione con una temperatura media
efficace T0 , quindi l’equazione di bilanciamento dell’energia entrante e uscente
`e
I0 (1 − A)
= σT04
4
(2.8)
Da questa semplice relazione si deduce una temperatura media T0 = 255 K
= -18◦C. La determinazione precisa della temperatura media alla superficie
terrestre (per almeno un anno intero e per tutte localit`a) `e un’impresa molto
impegnativa, di cui parleremo pi`
u oltre. Tuttavia, non ci sono dubbi che
la media reale T1 `e circa 287 K = 14◦ C, ossia 32 K pi`
u alta di T0 . Poich´e
4
(T1 /T0 ) = 1.60, abbiamo una forte eccedenza di radiazione emessa dalla
superficie terrestre, rispetto a quanto richiesto per il bilancio energetico.
D’altra parte, satelliti posti fuori dall’atmosfera terrestre hanno permesso di
misurare l’emissione globale, confermando che corrisponde piuttosto ad una
temperatura di 255 K che a 287 K.
La discrepanza si risolve considerando che buona parte della radiazione IR
52
irradianza spettrale, w·m−2 nm−1
Figura 2.6: Emissione di corpo nero alla temperatura della fotosfera solare
(5780 K) ed alle due temperature previste per la superficie terrestre, con o
senza effetto serra (297 e 255 K, rispettivamente). L’emissione solare `e scalata
per tener conto della distanza Terra-Sole, della dispersione sulla superficie
sferica della Terra e dell’albedo.
0.350
0.300
5780 K
0.250
0.200
0.150
0.100
0.050
0.000
0
500
1000
lunghezza d’onda, nm
1500
2000
irradianza spettrale, w·m−2 nm−1
0.030
0.025
297 K
0.020
255 K
0.015
0.010
0.005
0.000
0
5000
10000 15000 20000 25000 30000 35000 40000
lunghezza d’onda, nm
emessa dal suolo viene assorbita da gas presenti nell’atmosfera (in ordine
di importanza: H2 O, CO2 , CH4 e altri). Notiamo che anche la luce solare
`e in piccola parte assorbita da questi e da altri gas, ma quasi solo nelle
53
sue componenti UV e IR; rispetto alla luce visibile, l’aria `e trasparente.
Naturalmente i gas che assorbono nell’IR emettono anche, sia verso l’alto che
verso il basso; tenuto conto di questo, l’atmosfera si comporta grosso modo
come il vetro di una serra, lasciando entrare la luce del Sole e impedendo
in buona parte all’infrarosso di sfuggire nello spazio. Se chiamiamo B la
trasmittanza media netta, ossia la frazione di radiazione infrarossa che viene
persa nello spazio, rispetto al totale emesso dalla superficie terrestre, possiamo
modificare l’eq. (2.8) per includere questo effetto:
I0 (1 − A)
= σ B T14
4
(2.9)
Naturalmente, sappiamo che B = 1/1.60 = 0.62 proprio perch´e conosciamo
la temperatura media T1 . L’equazione 2.9 ha un valore previsionale solo se si
riesce a stimare B in maniera indipendente. Per fare questo, bisogna affrontare
almeno altre due questioni rilevanti: quali sono e come agiscono i “gas-serra”,
cio`e quei gas che assorbono l’IR nell’atmosfera; e, seconda questione, quali
altri processi di trasporto di energia agiscono nell’atmosfera, oltre agli scambi
radiativi.
L’importanza dei gas-serra (“greenhouse gases”) si pu`o valutare secondo due
criteri, quello assoluto e quello relativo. Nel primo caso ci chiediamo qual
`e il contributo del gas all’assorbimento totale di IR, e la risposta dipende
dalla quantit`a di gas mediamente presente e dal suo spettro di assorbimento
(posizione e intensit`a delle bande). Il criterio relativo consiste nella stima
dell’effetto che avrebbe il rilascio in atmosfera di una quantit`a fissata del gas
(1 kg), cio`e di quanto aumenterebbe l’assorbimento e per quanto tempo, in
rapporto ad uno standard di riferimento che normalmente `e la CO2 . In tal
modo si definisce un “potenziale di riscaldamento globale” (GWP), che dipende
innanzitutto dallo spettro e dal tempo di residenza in atmosfera del gas.
Il gas-serra pi`
u importante in assoluto `e il vapore acqueo. La figura 2.7
mostra la percentuale di radiazione infrarossa assorbita da vari gas, secondo
le condizioni medie di concentrazioni e temperatura. L’acqua, a causa
della sua abbondanza, satura l’assorbimento tranne che in un intervallo tra
600 e 1300 cm−1 . Bisogna per`o tener conto che il contenuto di vapor
d’acqua dell’atmosfera `e molto variabile, perci`o l’ampiezza della “finestra” pu`o
cambiare significativamente: per esempio, sar`a pi`
u larga sui deserti aridi e pi`
u
stretta sui mari o sulle foreste tropicali. L’importanza assoluta e relativa degli
altri gas dipende dalla collocazione delle loro bande di assorbimento rispetto
alla finestra dell’acqua. La principale banda della CO2 cade dentro la finestra,
anche se non in pieno. Anche la CO2 arriva a saturazione per le frequenze
54
tra 620 e 720 cm−1 , perci`o un aumento di concentrazione non avrebbe nessun
effetto in questo intervallo; per`o, causerebbe un allargamento della banda, ed
una crescita quasi lineare dell’assorbimento per le bande di minore intensit`a.
Lo stesso vale per gli altri gas-serra meno importanti (CH4 , N2 O, O3 ).
Diverso `e il discorso per quanto riguarda l’effetto di eventuali immissioni di
gas-serra nell’atmosfera, ossia il global warming potential (GWP) di ogni gas.
I flussi naturali dovuti ad evaporazione e condensazione sono enormi (vedi
figura 1.10), e il tempo di residenza dell’acqua in atmosfera `e molto variabile
a seconda della regione e della stagione, ma in media `e solo 10 giorni. Gli
incrementi o decrementi di concentrazione causati da attivit`a antropiche hanno
quindi effetti trascurabili, tranne che a livello locale o al pi`
u “regionale” (questo
aggettivo, nel contesto geofisico come in altri contesti globali, dall’ecologia
all’economia, si riferisce a porzioni di continenti, tipo “il sud-est asiatico” o “i
paesi mediterranei”). In pratica, l’umidit`a assoluta non `e da considerare tra le
variabili indipendenti, quanto una variabile dipendente dal clima, perch´e ogni
variazione nelle temperature medie globali si riflette sui flussi di evaporazione.
Il GWP di CH4 `e dell’ordine di decine di volte quello della CO2 e quello di N2 O
`e 200 o 300 volte; la grande efficacia di questi due gas `e dovuta al fatto che le
loro bande di assorbimento cadono a frequenze “utili” e non sono saturate, ed
ai loro lunghi tempi di residenza (≃ 10 anni per CH4 e ≃ 120 anni per N2 O).
Gli idrocarburi alogenati (clorofluorocarburi e altri), con forte assorbimento
nell’infrarosso e lunghissimi tempi di vita, hanno GWP pari a diverse migliaia
di volte la CO2 .
Le concentrazioni atmosferiche di tutti i gas-serra pi`
u importanti sono
aumentate dall’epoca preindustriale ad oggi. Della CO2 abbiamo gi`a detto
nella sezione 1.9. Il metano, dopo essere rimasto stabile su livelli di 0.7
ppm per almeno due millenni, dal 1800 ad oggi `e aumentato a 1.7 ppm ed
attualmente la sua concentrazione sta crescendo di 0.005 ppm/yr. Il metano
`e prodotto soprattutto dalla degradazione anaerobica di materiale organico,
che avviene sul fondo di paludi, risaie, marcite, discariche e altri ambienti
umidi naturali o artificiali; l’influenza delle attivit`a umane su queste fonti
ha segno variabile: negativo nel caso della bonifica di zone umide, positivo
nel caso di nuove coltivazioni. Il metano viene prodotto anche dall’attivit`a
batterica nell’intestino degli erbivori (soprattutto i bovini, il cui allevamento `e
in forte aumento) e delle termiti. Infine, le operazioni di estrazione, trasporto
e utilizzo del metano come combustibile comportano perdite nell’atmosfera.
L’ossido nitroso `e attualmente presente in concentrazione di 0.30 ppm, rispetto
a circa 0.25 in epoca preindustriale; `e prodotto anch’esso da attivit`a batteriche,
soprattutto nel suolo, legate al ciclo dell’azoto (vedi sezione 1.11), e il suo
55
Figura 2.7: Contributi dei gas-serra all’assorbimento medio dell’atmosfera
nell’infrarosso (da Hemond e Fechner, 1993). Per facilitare il confronto con
lo spettro di emissione (figura 2.6), ricordiamo che 250 cm−1 corrispondono a
40000 nm e 1250 cm−1 a 8000 nm. L’assorbimento di H2 O a basse frequenze
`e dovuto alla rotazione e quello ad alte frequenze alla vibrazione di bending;
la banda pi`
u intensa della CO2 `e anch’essa dovuta al bending.
56
rilascio pu`o essere aumentato per effetto dell’uso di fertilizzanti azotati. I
clorofluorocarburi (CFC) sono stati introdotti negli anni 1920 come prodotti
di sintesi, non esistenti in natura; la loro produzione `e andata aumentando
fino alla fine degli anni 1980, quando `e stata frenata da trattati internazionali
volti a proteggere l’ozono stratosferico (vedi capitolo 3). A causa dei tempi
di rilascio dai manufatti, e dei lunghissimi tempi di residenza in atmosfera, la
concentrazione di CFC in atmosfera `e andata aumentando fino a a raggiungere
il massimo intorno all’anno 2000. Infine, l’ozono nella troposfera viene prodotto
da processi fotochimici che avvengono in presenza di alcuni inquinanti (ossidi di
azoto e idrocarburi, vedi sezione 4.6); la sua distribuzione `e quindi largamente
variabile nel tempo e nello spazio, ma mediamente in aumento. L’ozono
presente nella stratosfera, sostanzialmente stabile o in lieve diminuzione, ha
l’effetto opposto ai gas-serra: infatti, assorbe radiazione solare che in questo
modo non arriva al suolo o agli strati pi`
u bassi. La tabella mostra i contributi
rispettivi dei vari gas alla diminuzione storica (dall’epoca preindustriale ad
oggi) della trasmittanza netta dell’atmosfera rispetto all’infrarosso emesso
dalla superficie terrestre; qui si tiene conto degli aumenti di concentrazione
e dei rispettivi GWP.
Tabella
Contributo di vari gas-serra alla diminuzione storica della trasmittanza
atmosferica, per la radiazione infrarossa emessa dalla superficie.
gas
CO2 CH4 N2 O CFC O3
contributo % 52
18
4
13
12
Il trasporto di energia in senso verticale, cio`e dall’esterno dell’atmosfera fino
alla superficie terrestre e viceversa, non avviene soltanto per mezzo della
radiazione. La figura 2.8 illustra i vari processi che trasportano energia.
La radiazione in arrivo (I0 /4 = 342 W/m2 ) viene in parte diffusa o riflessa
verso l’alto (dalle nubi, dall’aria stessa o dalla superficie terrestre), in parte
assorbita dall’atmosfera (67 W/m2 ) e per circa met`a assorbita al suolo (168
W/m2 ). Da qui, pu`o tornare verso gli strati pi`
u alti della troposfera per
convezione di masse d’aria calda (calore “sensibile” 24 W/m2 ) o tramite
evaporazione/condensazione (calore latente, 78 W/m2 ), e soprattutto per via
radiativa (390 W/m2 ); quest’ultimo flusso si suddivide in una piccola parte
che raggiunge lo spazio senza essere assorbito (40 W/m2 ), mentre il resto,
insieme al calore sensibile ed al calore latente, riscalda gli strati intermedi della
troposfera, che a loro volta emettono radiazione infrarossa, sia verso l’alto che
verso il basso. Complessivamente, la radiazione uscente (235 W/m2 ) eguaglia
quella assorbita, ed `e una frazione pari a 235/390=0.60 di quella emessa dalla
superficie terrestre, uguale alla trasmissivit`a B di eq. (2.9); ma gli scambi di
57
Figura 2.8: Trasferimenti di energia in senso verticale nell’atmosfera (da J.
Houghton, Rep. Prog. Phys., vol. 68, pag. 1343, 2005).
energia tra le varie parti del sistema sono notevolmente pi`
u complessi e non
dipendono solo dalle temperature, ma anche da altri fattori (presenza di nubi
e polveri, evaporazione e traspirazione, etc).
2.4
Cambiamenti climatici.
L’aumento di concentrazione dei gas-serra rende plausibile l’ipotesi che la
temperatura media della superficie terrestre possa aumentare, provocando
un cambiamento climatico globale non trascurabile. A questa conclusione
era gi`a arrivato Svante Arrhenius pi`
u di un secolo fa, proseguendo ricerche
di Fourier e di John Tyndall. Tuttavia, la questione `e molto complessa e
non pu`o essere ridotta ad un’equazione. Qui basta citare due circostanze
che contribuiscono a complicare il problema: una `e la molteplicit`a dei
processi di trasporto di energia in senso verticale, vista alla fine della sezione
precedente; l’altra `e la disomogeneit`a spaziale e le oscillazioni temporali delle
temperature nell’atmosfera ed alla superficie terrestre, che non permettono
di considerare semplicemente una temperatura media, perch´e l’emissione di
radiazione dipende da T in maniera non lineare (quarta potenza). D’altra parte
58
la distribuzione delle temperature dipende da un’insieme di variabili climatiche,
quali i venti, l’evaporazione e le precipitazioni, influenzate profondamente dalla
distribuzione delle terre emerse e dall’orografia. L’unico modo di fare previsioni
quantitative `e quindi di considerare il clima nel suo complesso.
Per la previsione dei cambiamenti climatici si elaborano modelli matematici di
“simulazione”, simili a quelli utilizzati per le previsioni meteorologiche, la cui
soluzione viene affidata a potenti calcolatori. C’`e per`o una differenza essenziale
rispetto alle previsioni del tempo a breve scadenza. Il clima di un luogo si
descrive con un insieme di variabili, che sono la temperatura, le precipitazioni,
la nuvolosit`a, i venti, l’umidit`a atmosferica, etc.; di tutte occorre specificare la
media, le oscillazioni stagionali e giornaliere, e il grado di variabilit`a casuale.
Prevedere il clima che avremo tra 50 o 100 anni sulla base di determinate
ipotesi, per esempio riguardo all’aumento dei gas-serra, non `e impossibile come
fare delle previsioni meteorologiche su grandi intervalli di tempo, perch´e non
implica la determinazione del “tempo che far`a” in un giorno preciso, ma solo
di una variet`a di condizioni possibili e delle loro rispettive probabilit`a.
I modelli climatici globali (“global circulation models”, GCM) incorporano
conoscenze riguardanti la fluidodinamica, la termodinamica, l’ottica e le
propriet`a dell’aria (inclusa la capacit`a di assorbire ed emettere radiazione)
e dell’acqua degli oceani. Tutti questi “ingredienti” si possono esprimere per
mezzo di precise equazioni, che legano tra loro i parametri fisici di interesse:
temperatura, pressione, composizione, flussi di massa e di energia, e le loro
variazioni nello spazio e nel tempo. Ne abbiamo visto esempi nelle sezioni
1.2, 2.1 e 2.3. Per rendere utilizzabili tali equazioni, occorre suddividere tutta
l’atmosfera in una serie di celle, ciascuna caratterizzata da parametri fisici
medi e dai loro gradienti. Queste celle non possono essere troppo numerose,
altrimenti il calcolo richiederebbe troppe operazioni e sarebbe impraticabile;
per l’atmosfera, i lati orizzontali delle celle misurano da 100 a 300 km, e in
verticale si sovrappongono circa 20 celle di altezza variabile (pi`
u sottili quelle
alla base, dove l’aria `e pi`
u densa e si verificano i processi pi`
u importanti).
Purtroppo, diversi fenomeni che potrebbero essere abbastanza precisamente
descritti in termini di equazioni note, avvengono su una scala molto pi`
u
piccola; per esempio, l’interazione dei venti e moti verticali dell’aria con le
irregolarit`a della superficie terrestre (montagne, valli, coste etc), richiederebbe
una risoluzione spaziale dell’ordine di 1 km, non 100 o pi`
u. Per rimediare, si
introducono equazioni empiriche, al posto di quelle esatte, che tengono conto
in maniera approssimata dei fenomeni che avvengono a piccola scala: cos`ı, un
termine di attrito sostituisce la descrizione precisa del moto dell’aria che passa
su una catena montuosa. Ci sono poi altri fenomeni che non possono essere
59
descritti da leggi fisiche semplici; uno dei pi`
u importanti `e la condensazione
del vapore acqueo a formare nubi, e la successiva aggregazione delle goccioline
o dei cristalli di ghiaccio a formare precipitazioni; questo fenomeno non solo
`e caratterizzato da una scala spaziale troppo piccola, ma dipende da dettagli
quali la presenza di particolato o la turbolenza atmosferica (vedi sezione 4.1),
che `e molto difficile inserire in un GCM. Anche qui, la soluzione `e un’equazione
empirica che lega la nuvolosit`a media in una cella atmosferica, ai parametri
fisici di quella cella (umidit`a, temperatura, etc). Naturalmente, mentre le
equazioni fisiche fondamentali hanno valore universale, le equazioni empiriche
sono formulate in maniera da rappresentare con buona approssimazione un
insieme di dati noti della meteorologia, ma possono fallire in situazioni non
previste. I modelli differiscono per le equazioni empiriche che contengono,
per il modo in cui trattano la dinamica degli oceani (correnti, variazioni di
temperatura e salinit`a, etc) e la loro interazione con l’atmosfera, e per altri
dettagli come le dimensioni delle celle. Non stupisce quindi che possano dare
risultati diversi.
Un GCM consente di produrre una “simulazione”, cio`e di calcolare l’andamento
di tutte le variabili climatiche giorno dopo giorno, anno dopo anno, partendo
da certe ipotesi e condizioni iniziali. Le ipotesi riguardano essenzialmente la
variazione futura della concentrazione di CO2 , che dipende dell’andamento
dell’economia mondiale e dai provvedimenti che verranno adottati per limitare
le emissioni. Gli scenari pi`
u accreditati prevedono aumenti di un fattore
1.7-2.0 rispetto al livello preindustriale (280 ppm) entro il 2050, e di un
fattore 2.0-3.3 entro il 2100 (vedi anche la figura 1.7). In base a queste
diverse ipotesi, i risultati ottenuti con i GCM variano entro ampi limiti.
Le previsioni sono di un aumento della temperatura media globale di 1.55◦ C entro il 2100, rispetto a fine ’800 o inizio ’900 (5◦ rapporto IPCC,
2014, http://www.ipcc.ch/report/ar5) Parte di questo aumento `e gi`a avvenuto
nell’ultimo secolo, e i modelli lo valutano in circa 0.6◦ C.
Non `e facile accertare se questo aumento si sia effettivamente verificato. Serve
un grande numero di dati: medie giornaliere per tutto l’anno, e in una rete di
localit`a rappresentative di tutto il globo. Registrazioni abbastanza complete
della temperatura si hanno a partire dal 1880. Tuttavia, le varie regioni della
Terra non sono tutte coperte egualmente bene: nel passato c’`e stata una
carenza di misure sui mari e nelle regioni meno popolate e meno sviluppate
economicamente. Inoltre alcune tendenze storiche, legate a sviluppi tecnici
o a cambiamenti d’uso del territorio hanno falsato i dati di molte stazioni
di rilevamento. Per esempio, le stazioni meteorologiche poste fuori citt`a, un
tempo associate ad osservatori astronomici e pi`
u tardi agli aeroporti, sono
60
state spesso inglobate dallo sviluppo urbano. In citt`a fa pi`
u caldo che nella
campagna circostante, per varie ragioni: asfalto e cemento si riscaldano al
sole pi`
u dei terreni coperti da vegetazione; gli edifici riscaldati internamente
cedono calore; il vento `e frenato dagli edifici e quindi l’aria calda vicino al
suolo `e meno facilmente sostituita da altra pi`
u fresca. Come risultato, queste
stazioni meteorologiche hanno registrato un aumento della temperatura dovuto
a cause locali e non al riscaldamento globale. Fatta la tara rispetto a questo
Figura 2.9:
Temperature medie globali a partire dal 1880.
Si
prende come riferimento la media 1901-2000, valutata in 13.9◦ C/
Fonte: National Ocean and Atmosphere Administration (NOAA), USA,
http://www.ncdc.noaa.gov/oa/climate/research/anomalies/anomalies.html.
2010
14.6
temperatura (◦ C)
14.4
punti: media annuale
curva: media quinquennale
14.2
14
13.8
13.6
1880
1900
1920
1940
1960
anno
61
1980
2000
2020
ed altri artefatti riconosciuti, si scopre che le medie annuali variano molto
irregolarmente, il che fa parte delle oscillazioni climatiche casuali. Per avere
una grafico pi`
u regolare, i climatologi sostituiscono al valore di un anno la
media di cinque anni (considerando anche i due precedenti e i due successivi).
Le temperature medie annuali e quinquennali sono rappresentate in figura 2.9.
Si nota una tendenza all’aumento, con una differenza di circa 0.8◦ C nell’arco
di 125 anni, in accordo con le previsioni dei GCM.
Tuttavia, l’aumento di temperatura si `e concentrato in due periodi pi`
u brevi:
dal 1910 al 1940 circa, e dalla fine degli anni 1970 in poi. Queste irregolarit`a
in passato hanno fatto sospettare che l’aumento osservato sia largamente
casuale o comunque legato a cause contingenti, quali una minore attivit`a
vulcanica o un piccolo incremento della costante solare. In effetti, le eruzioni
vulcaniche esplosive possono proiettare particolato anche nella stratosfera,
dove la mancanza di precipitazioni e di mescolamento verticale garantiscono
un tempo di residenza molto lungo; la diffusione della luce solare, soprattutto
da parte di goccioline di acido solforico, aumenta l’albedo e quindi causa
un raffreddamento del clima; questo effetto `e stato ben documentato per
alcune eruzioni eccezionalmente potenti, come quella del Tambora (Indonesia,
nell’aprile 1815), la maggiore in epoca moderna, che perturb`o il clima mondiale
per tutto il 1816; o quella molto studiata del Pinatubo (Filippine, 1991).
Simulazioni recenti mostrano che, tenendo conto di queste cause naturali di
variabilit`a del clima, si ottiene un migliore accordo con l’andamento osservato
delle temperature; ma sembra confermato che l’effetto serra `e il maggiore
responsabile dell’aumento complessivamente registrato durante l’ultimo secolo.
Le incertezze sulle previsioni climatiche particolareggiate, per singole regioni,
sono ancora maggiori di quelle riguardanti la temperatura media globale. I
modelli concordano nell’attribuire maggiori riscaldamenti alle zone polari e
temperate, e minori a quelle equatoriali e tropicali. Inoltre, sicuramente
l’aumento di temperatura sarebbe accompagnato da maggiore evaporazione,
e quindi maggiore quantit`a di vapore acqueo nell’atmosfera, con incremento
della nuvolosit`a e delle precipitazioni. Questa `e una delle principali cause
di disaccordo tra i vari modelli, perch´e un aumento del vapore acqueo
implica un aumento dell’effetto serra (retroazione positiva), mentre le nubi
hanno due effetti principali: assorbono l’IR (ancora retroazione positiva), ma
diffondono la luce solare (retroazione negativa). L’importanza attribuita dal
modello a questi effetti contrastanti influenza molto i risultati. Ecosistemi
vegetali e coltivazioni necessitano di acqua in misura che dipende anche dalla
temperatura; perci`o, se fa pi`
u caldo, si possono instaurare condizioni di aridit`a
anche senza che diminuisca l’acqua a disposizione. La maggior parte dei
62
modelli prevede un estendersi delle zone aride o semi-aride all’interno dei
grandi continenti.
La tabella che segue elenca alcune delle prevedibili conseguenze di un eventuale
riscaldamento globale.
Va sottolineato che l’impatto dei cambiamenti
climatici non `e tanto legato alla loro entit`a, quanto alla rapidit`a con cui si
verificherebbero. I passaggi dai periodi glaciali ai successivi periodi interglaciali
sono stati eventi improvvisi dal punto di vista geologico, ma la variazione
di temperatura, dell’ordine di 10◦ C, `e avvenuta nell’arco di 10-20000 anni.
I modelli GCM prevedono invece un riscaldamento 20-100 volte pi`
u rapido.
La terza colonna indica il segno degli effetti di retroazione nei riguardi del
clima, classificandoli come positivi o negativi a seconda se tenderebbero a fare
aumentare ulteriormente le temperature o a moderare l’aumento.
Possibili conseguenze del
cambiamento climatico.
Spostamento delle fasce
di latitudine ottimale
per le coltivazioni.
Spostamento delle fasce
di latitudine ottimale
per gli ecosistemi.
Arretramento dei ghiacciai.
Ricadute su ecosistemi
ed attivit`
a umane.
Problemi nelle produzioni
agricole; alcuni paesi
favoriti, altri danneggiati.
Perdit`a di biodiversit`a;
declino di alcuni ecosistemi.
Retroazioni
sul clima.
Alterazione del ciclo dell’acqua.
+
Scongelamento del permafrost
e del pack artico.
Incremento nel livello dei
mari.
Maggiore frequenza di
fenomeni estremi.
Diffusione di insetti e
microrganismi dannosi.
Alterazione dell’ambiente
artico.
Inondazione di zone costiere.
Salinizzazione delle falde.
Ondate di caldo, uragani
distruttivi.
Danni all’agricoltura,
malattie infettive.
+
+/−
+/−
Le prime due righe indicano che le coltivazioni e gli ecosistemi naturali
dovrebbero adattarsi, in gran parte spostandosi a latitudini maggiori. Per
quanto riguarda le colture, ci`o comporta una serie di problemi, tecnici ed
economici, pi`
u facilmente risolvibili nei paesi ricchi che in quelli del terzo
mondo; d’altra parte, alcune regioni saranno maggiormente danneggiate ed
altre invece saranno avvantaggiate, in genere senza compensazione all’interno
dei singoli stati. Il problema `e pi`
u grave per gli ecosistemi naturali, che non
possono spostarsi in tempi cos`ı brevi: si pensi ad esempio al tempo necessario
63
per la disseminazione e crescita degli alberi di una foresta e per la formazione
di suolo fertile; inoltre, gran parte del territorio con clima accettabile `e
attualmente occupato da attivit`a umane (agricoltura, trasporti, industrie
ed insediamenti), perci`o non `e disponibile per l’espansione degli ecosistemi
naturali. La probabile diminuzione della biomassa degli ecosistemi naturali e
le variazioni (dello stesso segno od opposte) riguardanti le coltivazioni possono
scatenare effetti di retroazione, sia positivi che negativi. Una retroazione
positiva sarebbe legata alla restituzione di CO2 dalla biosfera all’atmosfera, in
gran parte attraverso la degradazione di materiale organico morto, ma anche
attraverso incendi in zone divenute aride o l’interruzione di cicli di ricrescita
stagionali. Inoltre, le degradazioni operate da batteri e funghi in molti
casi sarebbero accelerate dall’innalzamento di temperatura, portando ad una
diminuzione del materiale organico morto gi`a presente. L’eventuale aumento
dei terreni non coperti da vegetazione potrebbe avere l’effetto opposto, perch´e
aumenterebbe la quantit`a di polveri trasportate dal vento, le quali intercettano
la luce solare analogamente agli aerosol vulcanici.
Figura 2.10: Ghiacciaio Indren (gruppo del M. Rosa) nel 1920 e nel 2000.
1920
2000
Figura 2.11: Ghiacciaio sommitale del Kilimangiaro nel 1993 e nel 2000.
1993
2000
L’arretramento dei ghiacciai `e un fatto evidente, soprattutto nelle principali
catene montuose; ad esso si pu`o aggiungere lo scioglimento del pack artico
(ghiaccio galleggiante) e del permafrost (terreno ghiacciato) nel nord della
Siberia, dell’Alaska e del Canada. L’evoluzione di un ghiacciaio `e normalmente
64
lenta, e quindi segue le variazioni climatiche pi`
u rapide con un certo ritardo.
Oltre alla temperatura estiva, che determina il ritmo di scioglimento della parte
bassa del ghiacciaio, un fattore molto importante sono le precipitazioni che
lo alimentano, soprattutto nella parte alta (in qualche caso, come succede in
Antardide, si tratta di condensazione diretta del vapore acqueo atmosferico sul
ghiaccio). I ghiacciai scivolano continuamente verso il basso a velocit`a diverse,
fino a quote dove il ghiaccio si scioglie; l’aumento o diminuzione della massa
` quindi
ghiacciata dipende dal bilancio tra scioglimento e alimentazione. E
ovvio che un aumento di temperatura, a parit`a di precipitazioni, implica un
arretramento dei ghiacciai; ma, poich´e un riscaldamento climatico pu`o anche
portare ad un aumento delle precipitazioni, non `e del tutto evidente la relazione
di causa-effetto. Per giunta, l’arretramento dei ghiacciai prosegue, con fasi
alterne, da pi`
u di un secolo, quindi sembra essere cominciato prima che il clima
potesse essere perturbato per l’aumento dei gas-serra. Sembra probabile che i
ghiacciai di montagna nelle zone calde e temperate del pianeta siano destinati
a ridursi di molto se le temperature medie continueranno ad aumentare, e
lo stesso potrebbe avvenire per il pack, ma non per i ghiacci antartici. Il
ritiro dei ghiacciai ha un’importanza immediata perch´e essi costituscono le
pi`
u importanti riserve di acqua dolce, essenziali per molte regioni e citt`a
attraversate da fiumi che nascono in montagna. Inoltre, i ghiacciai e le distese
innevate riflettono la luce del sole, quindi la loro riduzione va a detrimento
dell’albedo del pianeta, con un effetto di retroazione positiva sul clima. Questo
effetto `e uno degli ingredienti principali nella spiegazione delle glaciazioni 2 .
Lo scioglimento del permafrost, che in piccola parte si sta verificando,
pu`o causare alterazioni gravi dell’ambiente artico e dello stile di vita delle
popolazioni eschimesi che lo abitano. Se questo fenomeno si estendesse a larga
scala, potrebbero liberarsi grandi quantit`a di metano, contenuto nel ghiaccio
sotto forma di clatrati (inclusione negli spazi vuoti dei cristalli di ghiaccio).
Poich´e il metano `e un potente gas-serra, ci`o risulterebbe in un’importante
retroazione positiva sul clima.
Lo scioglimento dei ghiacciai (ma non quello del pack galleggiante) pu`o
contribuire all’innalzamento del livello dei mari. Nei prossimi decenni,
comunque, la dilatazione termica dell’acqua dovrebbe avere un effetto pi`
u
2
Le glaciazioni mostrano una simultaneit`
a quasi perfetta con le variazioni periodiche dei
parametri orbitali della Terra (precessione degli equinozi e cambiamenti dell’inclinazione
dell’asse terrestre sull’eclittica e dell’ellitticit`
a dell’orbita). Questa coincidenza fu scoperta
da M. Milankovitch negli anni 1930, e la spiegazione astronomica delle glaciazioni `e oggi
generalmente accettata. Tuttavia, le differenze nell’irraggiamento solare causate dalle
variazioni nell’orbita terrestre sono molto piccole, e occorre ammettere che le retroazioni
positive insite nel sistema climatico ne abbiano di molto amplificato gli effetti.
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importante. Complessivamente, i modelli prevedono aumenti di livello che
vanno da 10 a 90 cm; infatti, vi `e molta incertezza sull’effettivo riscaldamento
dell’acqua dei mari, specialmente a profondit`a superiori a qualche decina
di metri. L’aumento di livello del mare pu`o determinare l’inondazione,
permanente o temporanea, di vaste zone costiere pianeggianti; soprattutto,
sono vulnerabili gli insediamenti posti sul delta di grandi fiumi, come quello
del Gange-Bramaputra, tra India e Bangladesh. Un altro problema pu`o
essere l’incursione di acqua salata nelle falde acquifere lungo la costa, con
le conseguenti difficolt`a di approvvigionamento idrico.
Un clima pi`
u caldo significa maggiore energia termica nell’atmosfera e quindi la
possibilit`a che si verifichino fenomeni meteorologici pi`
u violenti. In particolare,
sembra ragionevole aspettarsi una maggiore frequenza di piogge molto intense
e cicloni o uragani tropicali. Questi ultimi si formano in zone di bassa
pressione, dove il riscaldamento dell’aria e dell’acqua dell’oceano crea una
forte corrente ascendente di aria umida; la condensazione del vapore acqueo
mette a disposizione ulteriore energia (vedi sezione 2.1); i venti convergono
verso la zona di bassa pressione, ma acquistano la tipica rotazione antioraria
(nell’emisfero nord) a causa della forza di Coriolis. La frequenza e la
potenza degli uragani tropicali sono attentamente monitorate per scoprire
eventuali significativi aumenti nell’una e/o nell’altra (da non confondere con la
capacit`a di produrre danni a persone o cose, che dipende molto dalla crescente
concentrazione di attivit`a ed insediamenti lungo le coste). Ci sono indizi,
da confermare nel prossimo futuro, di una maggiore frequenza di uragani
estremamente potenti negli ultimi anni. A parte gli specifici meccanismi che
possono causare una maggiore incidenza di “eventi meteorologici estremi”, per
certi tipi di eventi `e sufficiente un puro effetto statistico. Per esempio, la
frequenza di giornate particolarmente calde, che superano una determinata
soglia di temperatura nel corso del mese di luglio, `e data dalla “coda” di una
distribuzione a campana centrata approssimativamente su una temperatura
media; se la distribuzione rimane uguale, ma si sposta di pochi gradi verso
l’alto, la coda pu`o crescere di molto, passando da eventi molto rari a eventi
che si verificano quasi tutti gli anni.
Infine, il cambiamento climatico pu`o favorire l’espansione delle aree con
condizioni favorevoli per insetti e microrganismi ora confinati alle zone
tropicali. Si possono avere quindi danni alle coltivazioni ed agli ecosistemi
di climi temperati, nonch´e la diffusione di malattie infettive causate da germi
che si moltiplicano meglio a temperature pi`
u alte, o sono trasportati da vettori
(insetti o altro) caratteristici di climi caldi.
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