n. 11 Ottobre 2014 / Gennaio 2015 Il Corpo come Spazio. Un nuovo concetto di gioiello di Chiara Pignotti “We are used to seeing people wearing jewelry, why not jewelry wearing People?” Pierre Degen Nell’uso comune si considera la relazione corpo-gioiello come l’uno il supporto dell’altro. Nel corso degli ultimi cinquant’anni, alcuni artisti operanti nell’ambito della gioielleria hanno iniziato a discutere e a riformulare questo paradigma. Il corpo è diventato quindi spazio di sperimentazione, dove testare le possibilità espressive della gioielleria. Questa ricerca ha posto le basi per un nuovo concetto di gioiello, appartenente in un certo qual modo – come vedremo – al campo “allargato” dell’arte e vicino, al contempo, a un’idea primitiva di monile. Il fenomeno artistico della “Gioielleria Contemporanea” nasce nei primi anni Sessanta a fronte della necessità avvertita da alcuni orafi europei e statunitensi di svicolare la propria pratica artistica dal limitante concetto di arte applicata. Questo fenomeno ha portato a una vera e propria rottura con la tradizione della gioielleria moderna occidentale; il rapporto che implicitamente sono tenuti ad avere i gioielli con il corpo, diventa, sotto questa nuova luce, un rilevante tema di studio e riflessione. La “Gioielleria Contemporanea”, in quanto espressione artistica, usa un linguaggio che interagisce sensorialmente con il corpo e concettualmente con la mente. La questione della portabilità è stata e rimane quindi uno dei principali temi di discussione circa il limite formale di ciò che si può comunemente considerare come gioiello. 1 L’orafo Bruce Metcalf, uno dei principali teorici nordamericani di questo fenomeno, ha dedicato nel 1996 un articolo al tema della portabilità, o come lui stesso rettifica, della “non-portabilità”. Nella sua analisi rivolta al lavoro di orefici che realizzano gioielli troppo grandi, pesanti, taglienti o troppo fragili – che, in breve, sfidano l’ergonomia provocando il rifiuto dell’opinione pubblica a considerarli come tali –, Metcalf si è chiesto se la vera essenza di un gioiello possa risiedere nella portabilità. Secondo il suo pensiero, affermare ciò significherebbe universalizzare la concezione di gioiello come esclusiva della cultura occidentale, dato che lo stesso oggetto si relaziona in modo differente con il corpo a seconda dei valori della cultura che lo concepisce.1 Di fatto ciò che si considera comunemente come gioielleria, in contesti altri rispetto al mondo occidentale instaura una relazione più ampia con il corpo. Basterà citare l’etnia etiope Mursi, i cui gioielli addirittura modificano le fattezze fisiche di coloro che li indossano, subordinando la naturalezza formale del corpo ai valori esteticosimbolici che quella determinata cultura gli attribuisce. Un altro esempio è quello delle narigueras, gli anelli da naso delle culture colombiane Quimbaya, Sinú e Muisca che, con la loro peculiare magnificenza, coprono quasi tutto il volto di chi le indossa. Una trasfigurazione contemporanea delle narigueras è l’opera dell’artista colombiano Andrès Fonseca [fig. 1]. Giunto in Europa negli anni Settanta, Fonseca si è lasciato sedurre dal fervore creativo delle principali scuole dove s’iniziava a sviluppare la ricerca intorno al gioiello, ovvero la Massana di Barcellona e l’Accademia d’arte di Monaco di Baviera. In questi ambienti di “disinibizione espressiva”, Fonseca ha rintracciato nelle origini della gioielleria preispanica nuove possibilità per l’elaborazione delle sue creazioni. Ha ricordato di recedente l’autore a questo proposito: «Durante i miei studi nella scuola Massana di Barcellona, mentre imparavo le tecniche della gioielleria tradizionale, mi confrontavo costantemente con una percezione distinta della mia provenienza sudamericana. Alcune persone chiedevano se venivo dalle colonie Insurgenti del Sur – che non esistevano più dal 1810 – altri mi facevano i complimenti per parlare correttamente il castigliano, altri ancora mi consideravano come un personaggio amazzonico con piume e tanga. Ho iniziato così a riflettere sulle mie radici indigene, una parte di me che non conoscevo, avendo vissuto da sempre in una città moderna con più di trenta milioni di 2 abitanti. Grazie alle tecniche di gioielleria e a una ricerca bibliografica sulla cultura colombiana indigena ho oggettivato le mie riflessioni nella serie delle Narigueras. Sono una serie di anelli da naso con i quali sperimento nueve relazioni tra i gioielli e parti non convenzionali del corpo».2 In consonanza con le correnti sperimentali dell’arte degli anni Settanta, il corpo ha iniziato a essere considerato spazio scenico di un teatro senza finzione, un teatro che narrava l’esperienza reale e diretta dell’artista attraverso il proprio corpo. In questo senso l’orefice austriaco Peter Skubic, considerato uno dei “pionieri” della “Gioielleria Contemporanea”, considera il gioiello come «un esperimento, un body happening, un atto di liberazione creativa che va più in là delle frontiere stabilite».3 Emblematica è la sua azione Jewellery Under the Skin del 1975, durante la quale si impiantò un gioiello sotto della pelle, e lo portò con sé per sette anni: un importante antecedente della moda del body implant e delle scarificazioni, quale rilettura moderna della relazione atavica con lo spazio corporale. La differenza sta, nel caso di Skubic, nell’intenzione di usare il concetto di gioiello per un atto artistico e non come una volontà di decorazione con connotazioni simboliche. La ricerca sulla relazione tra corpo e gioiello, ha creato nei primi anni Ottanta un’ondata di proposte estreme formulate da giovani orefici residenti a Londra, tra cui Pierre Degen e Caroline Broadhead. Questi artisti hanno sperimentato non solo l’oggetto-gioiello attraverso la propria esperienza corporale, ma anche il cambio provocato dall’oggetto-gioiello nella relazione della mobilità spaziale del corpo.4 Pierre Degen, affascinato dagli oggetti d’uso quotidiano, ha intrapreso una riflessione sul concetto di utilità, ornamento e simbolo. Assemblando questi oggetti e convertendoli in ludiche opere di “gioielli-teatrali”, ha modificato così la relazione di chi le indossa, tanto con il proprio corpo quanto con lo spazio circostante. I suoi lavori potrebbero essere definiti come «gioielli extra-large, sculture portabili, o anche strumenti senza un uso specifico»5 ma ad interessare Degen è essenzialmente la relazione tra gioiello, corpo e spazio. Un esempio rappresentativo di questa sua ricerca è l’opera Large Propeller del 1982, dove minimizza l’oggetto-gioia, aumentando però il suo spazio d’azione: un semplice meccanismo permette un movimento ellittico che traccia una frontiera esterna del corpo, delimitando lo spazio circostante [fig. 2]. 3 A ispirare la ricerca di una gioielleria relazionata alla forma del corpo, è stata per Caroline Broadhead l’esperienza d’un viaggio in Africa orientale alla fine degli anni Settanta.6 Da allora l’artista ha cominciato a sperimentare gioielli che modificano il corpo, lo manipolano e addirittura che lo annientano. Broadhead si avvale delle peculiarità di nuovi materiali, come la flessibilità, la resistenza e la trasparenza dei fili di nylon, che permettono un ampliamento delle dimensioni delle sue opere, dandole la possibilità di addentrarsi in una nuova coscienza spaziale del raggio d’azione intorno al corpo. Citiamo a questo proposito la sua famosa collana-velo [fig. 3]: una collana che si può convertire in uno schermo-filtro, attraverso cui guardare lo spazio esteriore. Le sue opere si fanno così sempre più grandi, vestendo letteralmente il corpo e spostando l’interesse poetico-concettuale dell’artista verso le nuove frontiere dell’abbigliamento: «il mio lavoro – afferma Broadhead – si è evoluto in un viaggio verso l’esterno del corpo. Partendo con il più personale degli oggetti del design – il gioiello – ho realizzato opere per essere indossate al lato del corpo, per essere manipolate, e modificate dalla manipolazione. Tutto ciò mi ha condotto gradualmente a usare gli indumenti, che, trasformati, hanno preso le distanze dalla forma umana (…) diventando metafora della persona. Il lavoro successivo ha esplorato le estensioni esterne del corpo per mezzo di luci, ombre e riflessi. M’interessano i limiti dell’individuo; tra l’interno e l’esterno, il pubblico e il privato, tutto ciò che implica un senso di territorio e lo spazio personale, presenza e assenza, e la creazione di un equilibrio tra la sostanza e l’immagine».7 Sin dai primi esperimenti nell’ambito della gioielleria si è giunti a conclusioni che prescindono addirittura dal gioiello, come la serie Extensions di Pierre Degen (1977), o il bracciale Shadow di Gijs Bakker (1973), o le foto di Susanna Heron e David Ward [fig. 4], dove più che al gioiello in sé viene data importanza all’esperienza visiva delle luci e delle ombre che questo produce nel corpo o nello spazio. Caroline Broadhead stabilisce due relazioni fondamentali, quali il portatore-gioiello e gioiello-spettatore, affermando a riguardo di quest’ultima: «Il mio interesse nell’atto del guardare, in particolare un’immagine insostanziale e fugace, è sempre inerente alla mia pratica artistica. Gran parte del mio lavoro s’incentra nelle ombre e nelle immagini distorte e duplicate nel corpo».8 4 Nel contesto odierno proliferano progetti che seguono le orme di questi primi esperimenti, i quali implicano un cambio radicale dei parametri convenzionali della “funzione” della gioielleria e invitano ad interrogarsi se è ancora possibile chiamare “gioielli” questi artefatti contemporanei. A questa domanda Damian Skinner, critico neozelandese di arti applicate e design, risponde che «la “Gioielleria Contemporanea” entra nel territorio dove le antiche certezze non hanno più la stessa autorità e dove qualsiasi cosa può essere confutata (…). Molte persone hanno realizzato opere che dimostrano che la “Gioielleria Contemporanea” non ha nemmeno il bisogno di essere propriamente un oggetto. Ma queste pratiche sono comunque gioielli in un certo senso, in quanto legati alla storia degli oggetti».9 Parafrasando la teoria di Rosalind Krauss sulla scultura come “campo allargato”, potremmo avanzare l’ipotesi che anche la gioielleria è stata impastata, allungata e contorta, dimostrando una straordinaria elasticità, dimostrando come un termine culturale possa allargarsi e includere qualsiasi cosa.10 Finalmente il gioiello diventa metafora, un compendio di valori e significati simbolici a disposizione dell’artista, in un dialogo con il corpo come spazio, in assonanza con il movimento “appropiazionista” e “concettuale” dell’arte contemporanea. __________________________________ (1) (2) (3) (4) (5) (6) Bruce Metcalf, “The Wearability Issue”, rivista Metalsmith, inverno 1996, pp. 6 e 51. Andrés Fonseca, intervistato da Chiara Pignotti nel laboratorio GID (Gruppo di Ricerca e Sviluppo della gioielleria), Facoltà di Disegno Industriale dell’Università Nazionale Autonoma di Messico, agosto 2014. Citazione tratta dalla presentazione della mostra “Radical. Peter Skubic Jewellery”, consultabile online sul portale della Pinakothek Der Moderne: http://www.pinakothek.de/en/kalender/2011-03-19/10534/radical-peterskubic-jewelry (ultimo accesso 29/09/2014). Cfr. con Domier,P. e Turner, R. La nueva joyería. diseños actuales y nuevas tendencias. Barcellona, Ed. Blume, 1986. Karen s. Chambers, “Pierre Degen, plays by his own rules”, rivista Metalsmit, inverno 1996, pp. 33-37. Informazione tratta da “Collection Database: Caroline Broadhead”, consultabile online sul portale del MAD, Museum of Art and Design: http://collections.madmuseum.org/code/emuseum.asp?emu_action=search 5 (7) (8) (9) (10) request&moduleid=2&profile=people¤trecord=1&searchdesc=Carolin e%20Broadhead&style=single&rawsearch=constituentid/,/is/,/155/,/false/,/ true (ultimo accesso 29/09/2014). Citazione di Caroline Broadhead tratta da “Jewellery and Textiles Programme”, consultabile online sul portale della University of the arts London, web: http://www.arts.ac.uk/csm/people/teaching-staff/textilesand-jewellery/caroline-broadhead/ (ultimo accesso 29/09/2014). Ibidem. Neyman Bella, “Assume Nothing” (intervista a Damian Skinner) in American Craft Magazine, ottobre/novembre 2013. Consultabile online sul seguente portale: http://craftcouncil.org/magazine/article/assume-nothing (ultimo accesso 29/09/2014). Cfr. Rosalind Krauss, “La scultura nel campo allargato” (1978) in L’originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti (1985), Roma, Ed. Fazi, 2007, pp. 283-297. IMMAGINI: 1. Andrès Fonseca. Narigueras, 1970. 2. Pierre Degen. Large Propeller, 1982. 3. Caroline Broadhead. (da sinistra a destra) Nylon monofilament, 1983; Double Dresses, 2000. 4. Susanna Heron, (da sinistra a destra) Light Projection, 1979; Jubilee Neckpiece, 1977. Autore delle foto: David Ward. 6
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