Articolo 15 settembre 2014 ItaliaOggisette diritto oblio

Secondo gli avvocati, nonostante le sentenze in sede Uè, molti aspetti vanno definiti
Diritto all'oblio, anno zero
La tutela della privacy su internet
è ancora agli albori
CTS
Luigi Manna
Giulio Enea
Vigavani
M a r c o Berliri
Emilio Tosi
Fabio Lepri
Erich Schmidt
Pagina
a
cura
DI F E D E R I C O U N N I A
I
l d i r i t t o all'oblio su int e r n e t ? Ancora t u t t o d a
costruire.
Due sentenze, emesse
a d i s t a n z a di m e s i , h a n n o
i n f a t t i fatto r i a c c e n d e r e il
dibattito sulla effettiva tutela del diritto alla privacy on
line: la Corte di giustizia europea nel caso Google Spagna
e il t r i b u n a le di Roma nella
sentenza Angelucci vs Wikipedia. Secondo la Corte europea, va riconosciuto il diritto a
opporsi all'indicizzazione dei
dati personali ad opera di u n
motore di ricerca, e alla conseguente visualizzazione dei
risultati della ricerca quando
tali dati si riferiscano a fatti divenuti i n a d e g u a ti e non
più pertinenti. Per il Tribunale di Roma, Wikipedia non è
responsabile civilmente per i
contenuti diffamatori che gli
utenti inseriscono.
Mercoledì si è r i u n i t o a
Roma il comitato che Google
h a formato dopo la sentenza
U è sul diritt o all'oblio. «Ci
sono delle complicazioni nelle richieste che riceviamo» h a
detto aprendo i lavori il presidente di Google Eric S c h midt. «Dobbiamo bilanciare il
diritto all'informazione e capire come procedere e vogliamo
considerare le d o m a n d e del
panel di esperti che abbiamo
invitato. Siamo interessati e
vogliamo soprattutto ascoltare». Fanno p a r t e
del comitato consultivo di Google,
t r a gli altri e oltre a Schmidt,
anche
David
Drummond,
chief legai officer
di Google, F r a n k
L a R u e , i n v i ato speciale delle
Nazioni Unite
per la promozione e la tutela del
diritto alla libertà di opinione ed espressione,
Caterina
Malavenda
J i m m y Wales, fondatore di
Wikipedia, L u c i a n o Floridi,
professore di filosofia ed etica
dell'informazione all'Università di Oxford e S y l v i e Kauffman, direttore editoriale del
quotidiano francese
U n tema amplissimo insomma, e modernissimo. «Il diritto
all'oblio è u n diritto tutt'altro
che pienamente formato ed è
dimostrato dal fatto che i suoi
spazi e confini sono ancora
da disegnare», dice D e b o r a
S t e l l a s e n i o r a s s o c i a t e di
Bird&Bird.
«Si deve trovare il giusto bilanciamento t r a
privacy e diritto del cittadini
ad essere informati, senza che
tale compito improbo sia affidato a soggetti privati come i
motori di ricerca».
U n a sentenza, quella della
Corte di giustizia, cui Google h a deciso di ottemperare
s e b b e n e abbia m a n i f e s t a t o
perplessità attraverso le parole del suo VP corporate development e chief legai office
Google Drummond in merito
alla difficoltà di trovare un
equilibrio tra diritto all'oblio
e diritto del pubblico di accesso all'informazione. A tal fine
la società ha messo in atto
interventi volti a dialogare
con tutti i diretti interessati
per raccogliere spunti e suggerimenti utili a definire una
griglia di principi e regole di
condotta ritenuti adeguati al
compito. Ne è un esempio il
comitato consultivo costituito da Google e il tour che ha
preso il via nei giorni scorsi
in alcune capitali europee,
tra cui Roma il 10 settembre
scorso.
Per Stefano Longhini, direzione affari legali di Mediaset,
«la questione dei
motori di ricerca e
dei portali è molto
delicata perché le
notizie non vengono cancellate,
né attualizzate,
ma r i m a n g o n o
impresse senza
che ulteriori accadimenti le riportino in auge
come succede, per
esempio, nell'ambito della comunicazione televisiva e della
carta stampata. Per quanto
attiene a doveri di intervento e responsabilità il tema è
capire la natura di
chi pubblica: se si
tratta di un hosting
provider passivo,
non vi è un obbligo
di preventivo e incondizionato di controllo del materiale
immesso e circolante in rete; se invece
siamo dianzi ad un
content provider o
ad un hosting attivo abbiamo una
piena responsabilità sui contenuti diffusi con
un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni
trasmesse o memorizzate e
un obbligo generale di ricerca
attiva di fatti o circostanze che indichino la presenza
di attività illecite.
Anche l'hosting
provider passivo
«puro», se informato dell'esistenza di
condotte illecite,
deve attivarsi per
eliminarle.
Secondo Fabio
Lepri, name partner dello studio
legale Lepri, «il
rapporto tra privacy
e diritto di cronaca è inevitabilmente conflittuale. Sicché
il problema di fondo è quello
di trovare un reale e concreto pmiili hrin tra valori rnntrapposti, parimenti tutelati
a livello costituzionale. È la
ricerca di questo equilibrio,
del delicato bilanciamento caso
per caso, a costituire leitmotiv
di molte decisioni del Garante
e dei Tribunali.
Personalmente
sono convinto
dell'inutilità di
ulteriori innovazioni normative
sul piano della
tutela inibitoria
e del blocco dei
dati. Perché ritengo
che vi sia oggi uno strumentario sufficiente per assicurare, anche in via d'urgenza,
la cessazione della violazione
in tema di privacy. Si può e si
deve invece riflettere sull'aspetto
risarei torio».
«Desta perplessità che Google abbia
istituito una sorta
di organismo «para-giurisdizionale»
a sé interno, al solo
fine di applicare
una sentenza i cui
dettami sono estremamente chiari,
così come appare
davvero elevato il
numero di richieste rigettate;
peraltro, in assenza dell'indicazione
dei criteri adottati,
è impossibile verificare la conformità delle decisioni
di Google a quanto prescritto dalla
sentenza», commenta Stefano
Previti, fondatore
dello Studio Previti Associazione
professionale.
«Dalle comunicazioni pubbliche sembra che
il rigetto venga spesso giustificato invocando il diritto di
cronaca e, o, di critica, cui però
non fa riferimento la sentenza. Non è un caso: il problema
del contemperamento degli
interessi all'informazione non
concerne i motori di ricerca —
che si dichiarano
da sempre totalmente estranei ai
contenuti cui rinviano i loro link
- ma, semmai,
i gestori dei siti
che divulgano le
informazioni.
Per Caterina Malavenda,
avvocato specializzato in diritto
dell'informazione, sempre più
di frequente, richiamando il diritto all'oblio,
gli interessati ne chiedono
la cancellazione, creando dei
veri e propri buchi nella memoria della rete. «Si tratta
di una figura elaborata da
tempo dalla giurisprudenza,
con particolare riferimento al
diritto di cronaca,
la cui applicabilità
è stata negata, in
presenza di notizie
assai datate, riproposte senza alcuna
ragione, a tutela
del diritto dell'interessato a essere dimenticato, se non vi
sono ragioni contingenti che riattualizzino vicende passate. Questa figura è,
perciò, difficilmente
adattabile
al mondo di internet, nel quale le
notizie rimangono visualizzabili
anche dopo molti
anni, senza che
nessuno le abbia
reimmesse in circuito, con conseguenze evidenti
e inevitabili per
gli interessati. I
giudici nazionali
e stranieri, perciò,
stanno cercando di
disciplinare la materia, spesso con decisioni contrastanti,
orientate a volte solo dalla notorietà dell'interessato, piuttosto che dal bilanciamento fra
interessi contrapposti, essenziale per tutelare
anche il diritto ad
informare ma, soprattutto, a essere
informati».
Per
Giulio
Enea Vigavani,
professore di diritto costituzionale e di diritto
dell'informazione
Scuola di Giurisprudenza Università degli Studi
di Milano-Bicocca,
«La sentenza Google Spain
della Corte di giustizia del 13
maggio 2014 va in questa direzione, affermando il diritto
di ottenere l'eliminazione, a
determinate condizioni, dei
link verso pagine web contenenti informazioni che lo
r i g u a r d a n o . Ma
lo fa a un prezzo
non certo irrisorio:
i dati che la stessa
Google sta comunicando confermano molti timori avanzati dopo la
sentenza: l'equilibrio tra diritto alla
privacy e diritto a
informare si sta
spostando dal potere pubblico a un
soggetto privato,
il motore di ricerca. E di tale
costo occorre essere ben consapevoli».
Secondo Luigi Manna,
partner di Marini
Manna
Avvocati, in materia di tutela del diritto all'oblio online,
l'Italia è stata per qualche
tempo tra i paesi all'avanguardia in Europa. «Con la
sentenza Google Spain del
maggio di quest'anno, la Corte
di giustizia europea ha tuttavia fatto — e fatto fare all'intera Unione europea — un balzo
in avanti, imponendo obblighi
di collaborazione nella tutela
del diritto all'oblio ai gestori
di motori di ricerca, un principio che in Italia non era
mai passato. Personalmente,
ritengo la «soluzione italiana»
più equilibrata, eccetto forse
in quei casi in cui il responsabile del sito ed. sorgente non
sia identificabile
o rintracciabile,
ed allora il gestore del motore di
ricerca diventi il
soggetto più «prossimo» all'illecito».
Per
Emilio
Tosi, aggregato
di Diritto privato e
diritto delle nuove
tecnologie Università di Milano Bicocca e Managing
Partner di T'osi &
Partners
High
tech legai «il diritto all'oblio
dovrebbe essere prudentemente modulato in relazione
al contrapposto diritto della
collettività all'informazione
e all'esercizio della memoria storica: un tema cruciale
e quanto mai complesso che
certamente non si può esaurire nei ristretti termini della
sentenza del caso Google - limitata, vale la pena di ricordare, alla deindicizzazione
dai motori di ricerca — ma
che occorre essere ponderato
attentamente in sede regolamentare Uè. Occorre che
il legislatore comunitario, in
sede di riforma del diritto alla
privacy Uè in discussione in
questi mesi - raccolga la sfida del diritto all'oblio senza
lasciare l'arduo compito solamente alla giurisprudenza e
ai codici di autodisciplina.
Secondo Marco Berliri,
socio responsabile del dipartimento di Tmt di Hogan Lovells, studio che assiste Google e Wikipedia in
Italia in relazione
a temi di privacy
e diritto all'oblio,
«la sentenza della
Corte di Giustizia
è viziata da un
errore di fondo:
consente infatti
l'esercizio del diritto all'oblio nei
confronti del soggetto sbagliato,
ovvero il motore di
ricerca, e non del
sito fonte che ospita la notizia
che si vorrebbe cancellare o
aggiornare (come fino ad oggi
riconosciuto unanimemente
dalla giurisprudenza in Italia.
La storia rischia di essere riscritta a colpi di ricorsi».