8 Primo piano POLITICA Venerdì 8 agosto 2014 [email protected] A Palazzo Madama la maratona sulla riforma istituzionale Petrolio, gas e infrastrutture oggetto di un nuovo centralismo L’energia nelle mani dello Stato Sì al nuovo Titolo V: la materia energetica tra le competenze sottratte alle Regioni di SARA LORUSSO L’ENERGIA torna a essere materia di competenza statale. Il petrolio e il gas sono risorse che non potranno più essere indirizzate e contrattate a livello locale. È vero, nel testo costituzionale in discussione al Senato, c’è anche una norma che assegna alle Regioni una autonomia maggiore in materia di tutela ambientale. Uno stop, in qualche modo - spiegano - sarebbe sempre possibile. A meno che lo Stato non decidesse di far ricorso alla «clausola di supremazia»: lo Stato può intervenire anche in materie che non sono di propria competenza in caso di «tutela dell’interesse nazionale». Il ciclo si chiude così. «Renzi lo aveva spiegato, di che cosa stupirsi? La maggioranza sta attuando una linea che il presidente del consiglio ha più volte, tra l’altro proprio sulle trivellazioni, reso esplicita», dice Vito Petrocelli (M5S). Il gruppo del Movimento 5 Stelle a Palazzo Madama ha mantenuto la consegna del non voto, ma sul petrolio il senatore lucano aveva provato a cambiare le cose. «Ho presentato un emendamento che chiedeva di eliminare dall’elenco delle materie che passano alla competenza dello Stato quelle energetiche». Bocciato. Nel disegno di legge che modifica la Costituzione, ripristinando nel Titolo V un orientamento antecendente alla decentralizzazione del 2001, il rapporto tra Stato e Regioni è regolato dall’articolo 30. Il disegno di legge di riforma (il voto definitivo in Senato è previsto per oggi) propone una revisione delle competenze legislative dei due livelli. Viene in particolare eliminata la competenza legislativa «concorrente», In caso di interesse nazionale vale la clausola di supremazia A lato l’aula di Palazzo Madama ieri; in basso Vito Petrocelli e Giovanni Barozzino con introduzione di una nuova griglia di materie esclusive dello Stato ritenute di «interesse nazionale»: grandi reti di trasporto e navigazione, ordinamento della comunicazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. La portata della competenza statale viene poi aumentata anche da modifiche alla formulazione delle deleghe, generalizzandone l’ambito. Come per “tutela dei beni culturali e paesaggistici”, o per “ordinamento sportivo”. Per alcune materie viene invece attribuita alla potestà legislativa statale la definizione delle “di- sposizioni generali e comuni”, su cui poi, però, le regioni, in alcuni casi, potranno far valere principi di autonomia nella declinazione della norma. Vale in materia di tutela della salute, sicurezza alimentare, tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, ordinamento scolastico, istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica, ambiente e ecosistema, attività culturali e turismo, governo del territorio e sistema nazionale e coordinamento della protezione civile. A patto che le Regioni interessate siano in condizioni di equilibrio di bilancio. Voto favorevole del gruppo democratico, opposizione a sinistra. «Abbiamo votato no, con forza», dice il senatore Giovanni Barozzino (Sel). E non solo rispetto l’articolo 30. La prospettiva di Sel corre al portato della norma in terra lucana. «Significa in generale sottrarre autonomia ai territori, alle Regioni, alle comunità». Con la preoccupazione di sempre minor controllo e mediazione nei confronti del consumo della risorsa energetica, a dispetto della salvaguardia ambientale e della salute delle popolazioni. Poco importa quale sarà l’equilibrio che regolamenti, competenze locali, audizioni e pareri potranno portare. L’asticella superiore resta «l’interesse nazionale». [email protected] «Significa sottrarre autonomia a territori e comunità» © RIPRODUZIONE RISERVATA POST CONGRESSO/3 Costruiamo l’unità nel rinnovamento NICOLA CARLUCCI IL Partito Democratico di Basilicata ha consumato, in questa tardiva parentesi d’estate, la propria stagione assembleare con l’elezione del nuovo segretario regionale. Tempo insolito quello d’Agosto: forse a significare il desiderio di vivere in modo autarchico vicende solo apparentemente locali, in giorni in cui le convulse vicende nazionali possano aver distratto quanti, a livello centrale, avrebbero potuto esprimere indirizzi o alimentare mediazioni. Potrebbe apparire un’ordinaria nota di cronaca politica se non si considerasse che la vicenda riguarda il principale partito di una Regione che sta vivendo la più grave crisi sociale ed economica della sua storia recente e che s’inscrive in una fase di profonda delegittimazione della rappresentanza politica da parte del tessuto sociale di cui dovrebbe essere compiuta espressione. La politica è oggi chiamata a elabo- rare una risposta credibile in grado di ristabilire quel clima di fiducia che vicende antiche e recenti hanno contribuito a incrinare e che, come ovvio esito, hanno alimentato populismo e disincanto. Come risponde il partito democratico a queste esigenze di rinnovamento? Probabilmente in modo tuttora parziale. Il risultato emerso dal confronto assembleare appare frutto della contrapposizione tra due istanze che non hanno trovato compiuta sintesi. Le vicende che si sono delineate evidenziano elementi di speranza ma anche di preoccupazione. La speranza nasce dall’inevitabile rimodulazione delle dinamiche interne a un partito sorto dalla sintesi di esperienze culturali diverse; dalla fine o perlomeno dal ridimensionamento di quella funzione decisionale autonoma che, attraverso il “centralismo democratico” d’antica memoria, precostituiva carriere e delineava equilibri. Funzione finalmente riassegnata, attraverso le prima- rie, al giudizio e alla volontà dei cittadini, come dimostrano le vicende che hanno riguardato la scelta del candidato alla presidenza della regione. Non più quindi mera assegnazione dei poteri a rappresentanze territoriali ma confronto tra diverse istanze politiche. Certamente è la fine, sia pure ancora solo annunciata, di una visione tolemaica della politica regionale, attraverso la partecipazione paritaria di attori provenienti da ogni territorio sulla base della propria capacità di elaborare proposte. La risposta che il partito è stato in grado di formulare appare oggi conservatrice per la storia, pur degnissima, che i protagonisti rappresentano. L’occasione mancata di un rinnovamento reale delle classi dirigenti, sin dal momento delle primarie, viene solo in parte mitigata dall’assicurazione del coinvolgimento paritario in nome di un’auspicata e tuttora inattuata unità e dal riconoscimento di una funzione di traghettamento verso nuovi equili- Marcello Pittella parla all’assemblea del Pd (foto ANDREA MATTIACCI) bri generazionali. Certamente non ha colto compiutamente l’opportunità di manifestare piena sintonia con le vicende che hanno consentito al PD, a livello nazionale, di proporsi come la principale forza politica del Paese, attraverso la capacità di alimentare la speranza e la fiducia in una nuova e rinnovata visione della politica. Si delineano due idee profondamente diverse di partito, destinate certamente a confrontarsi anche negli anni futuri. Oggi è compito del nuovo segretario regionale dare seguito concreto a quel progetto di sinte- si ed unità verso il quale ha dichiarato il proprio impegno, che può convertire la conservazione in innovazione. Uno dei temi, sullo sfondo di queste vicende, è la capacità di rielaborare il ruolo della politica, in grado di individuare nel merito e nell’impegno le occasioni dello sviluppo collettivo. Una politica, insomma, che possa finalmente perdere il proprio istinto al carrierismo ed all’automantenimento e riappropriarsi della propria funzione di servizio. *Membro dell’Assemblea regionale del PD di Basilicata
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