1 G.W.F. HEGEL, FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO PREFAZIONE La determinazione del rapporto che un’opera filosofica crede di avere con altri studi sullo stesso tema introduce un interesse estraneo e oscura ciò che preme nella conoscenza della verità. Quanto più si fa rigida per l’opinione l’opposizione di vero e falso, tanto più essa si aspetta d’ordinario approvazione o disapprovazione nei confronti di un dato sistema filosofico, e in un pronunciamento su di esso vede soltanto o l’una o l’altra. Anziché concepire la diversità dei sistemi filosofici come lo sviluppo progressivo della verità, l’opinione vi vede piuttosto soltanto la contraddizione. La gemma sparisce allo sbocciare del fiore, e si potrebbe dire che ne è confutata; allo stesso modo, il frutto palesa il fiore come una falsa esistenza della pianta e subentra al posto di esso come sua verità. Queste forme non solo sono distinte, ma l’una soppianta l’altra in quanto reciprocamente incompatibili. Sennonché la loro natura fluida le rende al tempo stesso momenti dell’unità organica, in cui esse non solo non si contraddicono, ma l’una è tanto necessaria quanto l’altra; e solo questa pari necessità costituisce la vita dell’intero. Ma, da un lato, la contraddizione verso un sistema filosofico non concepisce di solito se stessa in questo modo, e dall’altro la coscienza che accoglie in sé la contraddizione non sa in genere liberarla o mantenerla libera dalla sua unilateralità, né sa riconoscere momenti reciprocamente necessari in quelle che appaiono figure che combattono l’una contro l’altra. So che porre la vera figura della verità in questa scientificità – oppure, il che è lo stesso, affermare che la verità ha l’elemento della propria esistenza solo nel concetto – sembra stare in contraddizione con un’idea (e con le sue conseguenze), la cui presunzione è pari al diffuso credito di cui gode nella nostra epoca. Un chiarimento su questa contraddizione non pare perciò superfluo, sebbene qui esso non possa consistere che in un’asserzione, proprio come lo è ciò cui si oppone. Se cioè il vero esiste solo in ciò che, o piuttosto solo come ciò che, viene chiamato ora intuizione, ora sapere immediato dell’Assoluto, religione, Essere – non l’essere nel centro dell’amore divino, ma l’essere di questo stesso centro –, allora, assumendo questa prospettiva, per l’esposizione della filosofia si richiede piuttosto proprio il contrario della forma del concetto. L’Assoluto dev’essere non concepito, ma sentito e intuito; non il suo concetto, ma il suo sentimento e la sua intuizione devono avere la parola ed essere espressi. Ancor meno questa moderazione che rinuncia alla scienza deve pretendere che questo entusiasmo e questo offuscamento siano qualcosa di superiore alla scienza. Questo parlare profetico 2 crede di restare proprio nel centro e nella profondità, guarda con disprezzo alla determinatezza (allo hóros) e si tiene intenzionalmente lontano dal concetto e dalla necessità, così come dalla riflessione che dimora solo nella finitezza. Ma come c’è un’estensione vuota, così c’è anche una profondità vuota; come c’è un’estensione della sostanza che si effonde in una molteplicità finita senza avere la forza di tenerla unita, così c’è un’intensità priva di contenuto, che, comportandosi come una mera forza senza espansione, coincide con la superficialità. La forza dello spirito è grande solo quanto la sua estrinsecazione, la sua profondità è profonda solo nella misura in cui esso osa espandersi e perdersi nel corso del proprio dispiegarsi. – Inoltre, quando quel sapere aconcettuale e sostanziale dà ad intendere di aver immerso nell’essenza l’intima proprietà del sé e di filosofare in verità e santità, nasconde a se stesso che, anziché essere devoto a Dio, mediante il disprezzo della misura e della determinazione, lascia piuttosto soltanto campo libero ora in se stesso all’accidentalità del contenuto, ora in quest’ultimo al proprio arbitrio. – Nell’abbandonarsi allo sfrenato fermentare della sostanza, costoro credono, imbavagliando l’autocoscienza e rinunciando all’intelletto, di essere i suoi, cui Dio dona durante il sonno la saggezza; ciò che essi di fatto durante il sonno accolgono e partoriscono sono soltanto sogni. Inoltre tale formalismo spaccia questa monotonia e l’universalità astratta per l’Assoluto; esso asserisce che chi è insoddisfatto di questa universalità è incapace di impadronirsi del punto di vista assoluto e di mantenervisi saldo. Se un tempo la vuota possibilità di rappresentarsi qualcosa anche in modo diverso era sufficiente a confutare una rappresentazione, e questa stessa mera possibilità, il pensiero universalmente inteso, aveva anche tutto il valore positivo del conoscere reale, ora vediamo allo stesso modo che si attribuisce ogni valore all’idea universale in questa forma dell’irrealtà e assistiamo alla dissoluzione di ciò che è distinto e determinato; o piuttosto vediamo che passa per un modo di considerazione speculativo il precipitare questo distinto e determinato nell’abisso del vuoto, mentre tale operazione non è frutto di uno sviluppo né si giustifica in se stessa. Considerare un qualsiasi esistente come esso è nell’Assoluto non consiste qui se non nel dire che se ne è bensì testé parlato come di un qualcosa, e che tuttavia nell’Assoluto, nell’A = A, non c’è nulla di simile, ma che tutto vi è uno. Contrapporre quest’unico sapere, che nell’Assoluto tutto è uguale, alla conoscenza che distingue ed è compiuta, o che cerca ed esige compiutezza, oppure far passare il proprio Assoluto per la notte in cui, come si usa dire, tutte le vacche sono nere, è l’ingenuità di una conoscenza vacua. – Il formalismo, che la filosofia dell’epoca moderna ha accusato e denigrato, e che si è riprodotto in essa stessa, non scomparirà dalla scienza, sebbene la sua insufficienza sia nota e sentita, finché la conoscenza della realtà assoluta non sia venuta completamente in chiaro intorno alla propria natura. – Tenendo conto che l’idea generale, quando 3 preceda il tentativo di realizzarla, agevola la comprensione di tale realizzazione, è utile accennarvi qui sommariamente, nell’intento di allontanare al tempo stesso con l’occasione alcune forme, il cui uso è un ostacolo per la conoscenza filosofica. Secondo il mio modo di vedere, che non potrà giustificarsi se non mediante l’esposizione del sistema stesso, tutto dipende dal concepire e dall’esprimere il vero non come sostanza, ma altrettanto decisamente come soggetto. Al tempo stesso occorre notare che la sostanzialità racchiude in sé tanto l’universale, o l’immediatezza del sapere stesso, quanto anche quell’immediatezza che è essere o immediatezza per il sapere. – Se concepire Dio come l’unica sostanza indignò l’epoca in cui questa determinazione fu espressa, la ragione di ciò stava da una parte nell’istintiva consapevolezza che in tale concezione l’autocoscienza si è inabissata, e non conservata; ma, dall’altra parte, anche la posizione contraria, che tiene fermo il pensare in quanto pensare, l’universalità in quanto tale, è la medesima semplicità o indistinta, immota sostanzialità; e se, in terzo luogo, il pensare unisce con se stesso l’essere della sostanza e concepisce l’immediatezza o l’intuizione come pensare, bisogna ancora vedere se questa intuizione intellettuale non ricada nell’inerte semplicità e non rappresenti la realtà stessa in modo irreale. Il vero è l’intero. L’intero è però soltanto l’essenza che si compie mediante il suo sviluppo. Dell’Assoluto si deve dire che esso è essenzialmente risultato, che solo alla fine esso è ciò che davvero è; e proprio in questo consiste la sua natura, nell’essere un reale, soggetto o divenire-sestesso. Per quanto contraddittorio possa apparire che l’Assoluto sia essenzialmente da concepire come risultato, tuttavia è sufficiente riflettere un poco per allontanare questa parvenza di contraddizione. L’inizio, il principio, o l’Assoluto, così come è innanzitutto e immediatamente espresso, è soltanto l’universale. Quanto poco l’espressione “tutti gli animali” può passare per una zoologia, allo stesso modo è evidente che le parole “divino”, “Assoluto”, “eterno”, ecc. non esprimono ciò che vi è contenuto; esse esprimono di fatto solo l’intuizione come l’immediato. Ciò che è più di una tale parola, anche solo il passaggio ad una proposizione, contiene un divenire-altro, che dev’essere riassorbito, è una mediazione. Ma è questa mediazione ad essere esecrata, come se, prendendola in considerazione per qualcosa di più che per affermare soltanto che essa non è nulla di assoluto e non si trova affatto nell’Assoluto, si rinunziasse alla conoscenza assoluta. Il compito di condurre l’individuo dalla sua posizione incolta al sapere doveva essere inteso nel suo senso generale, e l’individuo universale, lo spirito autocosciente, doveva essere considerato nella sua formazione ed evoluzione culturale. – Per quanto concerne il loro rapporto, nell’individuo 4 universale ogni momento si mostra nella forma concreta e nella configurazione peculiare che acquisisce. L’individuo particolare è invece lo spirito incompiuto, una figura concreta, nella cui intera esistenza domina un’unica determinazione e nella quale le altre sono presenti solo con tratti sfumati. Nello spirito che si trova più in alto di un altro l’esistenza concreta inferiore è ridotta a momento privo di spicco; ciò che prima era la cosa stessa, non è altro che una traccia; la sua figura è velata ed è divenuta una semplice ombreggiatura. L’individuo la cui sostanza è lo spirito che si trova più in alto percorre questo passato alla maniera in cui chi inizia ad occuparsi di una scienza superiore ripassa le nozioni preliminari che ha interiorizzato da lungo tempo per avere presente il loro contenuto; egli le richiama alla memoria, senza che il suo interesse vi indugi. Il singolo deve percorrere i gradi della formazione e dell’evoluzione culturale dello spirito universale anche secondo il contenuto, ma come figure già deposte dallo spirito, come gradi di una strada già tracciata e spianata; allo stesso modo, in ambito conoscitivo, vediamo ridotto a nozioni, esercizi e addirittura giochi da fanciulli ciò di cui in epoche precedenti si occupava lo spirito maturo degli adulti, e nel progresso pedagogico riconosciamo – profilata come in una silhouette – la storia dell’evoluzione culturale del mondo. Questa esistenza passata è possesso già acquisito dello spirito universale, il quale costituisce la sostanza dell’individuo, e, apparendogli in questo modo come esterno, costituisce la sua natura inorganica. – Da questo punto di vista, l’evoluzione culturale, considerata dal lato dell’individuo, consiste nell’acquisizione di questa realtà che si trova a su disposizione, nel consumare in sé la propria natura inorganica e nel prenderne possesso per sé. Ma, dal lato dello spirito universale in quanto sostanza, l’elemento culturale non consiste in altro se non nel fatto che questa sostanza dà a sé la propria autocoscienza e produce in sé il proprio divenire e la propria riflessione.
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