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n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
E se la WebTax Crescita record per
LG, contrazione
all’ungherese
arrivasse da noi? per Samsung? 10
In Ungheria ci hanno provato a varare la
WebTax. Una piazza fatta da centinaia di
migliaia di smartphone – fortunatamente – ha
respinto l’attacco e ha costretto un governo
non propriamente tra i più liberali al mondo a
tornare sui propri passi: per adesso non se ne fa
nulla. Ma il proposito del governo ungherese di
fare cassa tassando il traffico su Internet è solo
rinviato alla prossima primavera. La notizia ha
avuto grande riscontro sui mezzi d’informazione
e fra l’opinione pubblica. E questo non accade
certo a tutte le proposte di tasse che vengono
formulate negli altri Paesi. La “benzina” che
in questo frangente ha infiammato gli animi
riguarda il fatto che il governo ungherese aveva
pensato di tassare il traffico internet un tot al
gigabyte. E non serve neppure capire a quanti
euro corrisponde questo tot: per indignarsi
basta sapere che questo tot esista.
Non c’è alcuna ragione per la quale il traffico
Internet possa essere legittimamente tassato.
Tutti d’accordo. Così d’accordo che nel nostro
Paese il coro di critiche verso il premier ungherese Orban, anti-europeista convinto, si è alzato
unanime. In fondo Orban ha dichiarato: “Noi
dobbiamo capire dove vanno gli enormi profitti
generati online e vedere se esiste un modo per
trattenerne una parte in Ungheria per alimentare il nostro bilancio”. Cambiate Ungheria con
Italia e vengono fuori, occhio e croce, le parole
con le quali l’on. Francesco Boccia promuoveva
qualche mese fa la sua inapplicabile WebTax
all’italiana, prima approvata e poi disinnescata
all’ultimo dal governo Renzi. L’On. Boccia,
almeno a parole, con i soldi ricavati dalla sua
WebTax voleva ridurre la tassazione sul lavoro
e il cuneo fiscale; una tassa per abbassarne
un’altra, in poche parole. Ma la WebTax
all’italiana avrebbero dovuto pagarla - secondo
le dichiarazioni dei promotori - le multinazionali, Google e compagni. Guarda un po’, le
stesse multinazionali che dovrebbero pagare il
compenso per copia privata. Che invece grava,
ovviamente, sui consumatori.
E allora, forse, ci si rende conto che l’Ungheria
non è così lontana dall’Italia. Italia dove già si
sente serpeggiare in alcuni ambienti il proposito
di tariffare (non tassare, tariffare) lo spazio cloud
gravandolo di compensi per copia privata; l’Italia
dove il clamore e l’indignazione per gli aumenti
delle tariffe SIAE voluti dal ministro Franceschini
sono già evaporati, lasciando spazio alla serena
rassegnazione dei cittadini, che facilmente
dimenticano e ancora più facilmente si abituano
a pagare anche le cose ingiuste. E allora sorge
spontanea la domanda: ma se la tassa su internet l’avesse proposta il nostro premier Renzi, in
quanti sarebbero scesi in piazza a manifestare?
Sarebbe riuscita la piazza a dissuadere il nostro
governo? Forse no, un po’ per “sordità” del
premier e un po’ per evanescenza della piazza.
E mentre i giornali sono pieni di nuove tasse
che servono per cercare di ridurre le tasse, ci
risulta più chiaro che qualcuno tenterà anche
qui da noi ad introdurre una tassa su Internet. E
non potendo imporre alcunché ad aziende che
operano dall’estero, a pagare dovranno essere,
ancora una volta, i cittadini. In fondo – altra
assurdità – in Italia si paga una tassa sugli
abbonamenti al cellulare: il modello è fin troppo
chiaro; stanno solo aspettando il momento politicamente più propizio (o meno sbagliato) per il
colpo di mano. È solo questione di tempo.
Gianfranco GIARDINA
Accordo tra SIAE
e i rivenditori
di elettronica 12
Il plasma è
morto, anche LG
stacca la spina 13
Microsoft ha pronto
il suo smartwatch
02
Voci insistenti danno per imminente
il lancio, potrebbe arrivare per Natale
In attesa di Apple Pay
vediamo come pagare
con NFC e Android in Italia
IN PROVA
24
Facciamo il punto della situazione con
gli operatori TIM, Vodafone e PosteMobile
Sony Z3 Compact
potere ai piccoli
31
05
Panasonic: tutta la verità
su OLED, plasma e TV curvi
Intervista esclusiva a Mr. Kusumi, Director
of Television Business Division di Panasonic
14
Chrome OS può
sostituire Windows?
35
Kia Soul Eco-Electric
guidare nel silenzio
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3 NOVEMBRE 2014
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MOBILE Voci insistenti danno per imminente il lancio di un device indossabile targato Microsoft
Lo smartwatch Microsoft arriverà a Natale?
Un po’ smartwatch e un po’ fitness band, da Redmond puntano al colpaccio per Natale
S
di Massimiliano ZOCCHI
ono mesi che circolano voci su
un possibile device indossabile
di Microsoft. Dapprima una sorta
di “Lumia da polso”, poi una smart band
con bracciali intercambiabili, ma di fatto
notizie certe non ce ne sono mai state.
Ora fonti vicine all’azienda hanno assicurato a Forbes e a The Verge che il prodotto è finalmente in arrivo, addirittura
questione di poche settimane e in tempo
per le festività natalizie. Non è chiaro se il
prodotto assomiglierà effettivamente alle
immagini circolate tempo fa riguardanti
un brevetto depositato, ma pare che la
scelta sia ricaduta su una sorta di “ibrido”. Notizie da prendere con le pinze, ma
la fonte parla di un dispositivo che avrà
funzioni di smartwatch, sebbene sia molto simile anche a una fitness band, con
misurazione del battito cardiaco costante,
rilevazione contapassi e calorie bruciate,
grazie a diversi sensori integrati. Non è
tutto: le voci parlano anche di autonomia
che può arrivare fino a due giorni, il che
lo renderebbe molto appetibile, e anche
il fatto che possa interfacciarsi sia con
terminali Windows Phone che Android.
Se le voci si confermassero attendibili
non sarebbe il primo wearable proposto
da Big M. Nel lontano 2004 venne presentato SPOT, un antenato dei moderni
smartwatch dotato di schermo mono-
cromatico e che era in grado di inviare
via FM dei segnali tramite Messenger; il
progetto fu un flop e dichiarato defunto
già nel 2009. Ora i tempi sembrano più
maturi e Microsoft è l’unica grande azienda che manca all’appello. Non è ancora
chiaro se verrà sviluppata un’app per
supportare anche iOS: di sicuro, però,
con questa mossa Redmond potrebbe
“rubare” potenziali clienti a Apple Watch.
Oregon Scientific Dynamo 2, lo smartwatch low-cost
Il braccialetto tiene d’occhio lo stato di salute e informa di messaggi e telefonate in arrivo
L
di Roberto FAGGIANO

torna al sommario
Oppo ha presentato ben
due smartphone
Il top di gamma N3 con
fotocamera ruotabile e
motorizzata e l’R5, uno
degli smartphone più
sottili in assoluto
di Paolo CENTOFANTI
MOBILE Oregon Scientific ha pensato a uno strumento semplice ma con molte funzioni utili
o smartwatch è di moda ed è bello
poterlo indossare per usufruire delle
sue tante funzioni. Però chi possiede uno smartphone “normale” non può
pensare di comprare uno strumento che
costa più del telefono stesso. Così Oregon Scientific ha pensato di creare uno
strumento più semplice ma comunque
con molte funzioni utili, offerto a un prezzo abbordabile. I braccialetti Dynamo 2
e Dynamo 2+ costano rispettivamente
80 e 100 euro, si abbinano tramite Bluetooth a qualsiasi smartphone, mentre
l’applicazione dedicata è disponibile per
Android o iOS. Entrambi i modelli hanno
un pratico display OLED per visualizzare
l’ora, sveglia e allarmi, le chiamate in arrivo e il nome di chi ci sta mandando un
Oppo annuncia
gli smartphone
N3 e R5
messaggio, anche dai Social Network.
Inoltre è disponibile il doppio servizio di
avviso sonoro e con vibrazione quando il
Dynamo 2 si allontana dal suo smartphone e viceversa, un mezzo utile per ricordarci dove abbiamo lasciato il braccialetto dopo averlo tolto oppure per avvisarci
che stiamo dimenticando lo smartphone
in qualche luogo. Le applicazioni fitness
e salute sono controllabili dall’apposita
app gratuita, realizzata con una grafica
semplice e già predisposta per condividere sui social network i propri risultati di
allenamento. Si può anche impostare un
programma di allenamento e verificare
se lo stiamo portando a termine oppure
quanta attività fisica ancora ci manca.
Sono proprio le funzioni fitness a distinguere i due modelli: su entrambi i Dynamo 2 troviamo il contapassi, il misuratore
distanza percorsa, il consumo di calorie
e la qualità del riposo notturno. Solo sul
Dinamo 2+ troviamo inoltre il sensore
ECG per determinare la frequenza cardiaca. In ogni momento è possibile visualizzare l’ora semplicemente scuotendo il bracciale per due volte. Il Dynamo 2
è disponibile con il bracciale in silicone
nero, il 2+ è invece disponibile in colore
fucsia oppure blu.
Sono due i prodotti annunciati
dal produttore all’evento Oppo di
Singapore: l’N3 e l’R5. Dopo tutti
i teaser delle scorse settimane,
qualcuno poteva aspettarsi qualcosa di rivoluzionario e invece
l’N3 è alla fine “solo” un buon top
di gamma, con un design originale e materiali di qualità. La caratteristica di punta del dispositivo
è la fotocamera motorizzata da
16 Megapixel che può ruotare di
206 gradi funzionando così sia
da fotocamera frontale che posteriore e di fatto rendendo l’N3
lo smartphone con la risoluzione
più alta per i selfie. Le altre caratteristiche tecniche sono processore Qualcomm Snapdragon
801, schermo da 5,5” Full HD,
2 GB di RAM, batteria da 3000
mAh e Android 4.4. Ci sono però
ancora il lettore di impronte digitali sul retro, il telaio in lega di
alluminio “industriale” e il telecomando Bluetooth O-Click 2.0 (in
dotazione) per controllare alcune
funzioni come l’orientamento della fotocamera. L’N3 sarà disponibile da dicembre a 649 dollari.
L’altra novità è lo smartphone R5,
con processore Snapdragon 615,
forse il più sottile smartphone sul
mercato, con uno spessore di soli
4,85 mm. Lo schermo è un OLED
da 5,2” Full HD e l’R5 è dotato
sempre di 2 GB di RAM, fotocamera posteriore da 13 MP e frontale da 5 MP e uscirà con Android
4.4 e interfaccia personalizzata
ColorOS 2.0 a 499 dollari.
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MAGAZINE
MOBILE Il braccialetto Band si collega al servizio Microsoft Health e costa 199 dollari
Microsoft Band, smartwatch e fitness band
Microsoft lancia Band, il suo primo wearable, braccialetto intelligente con 10 sensori e GPS
M
di Roberto PEZZALI
icrosoft lancia un nuovo prodotto
dedicato a fitness, salute e movimento: è il nuovo Band, riempito
di sensori di ogni tipo, ben 10, per riuscire a dare una mappa abbastanza precisa
della salute di chi lo indossa. Il prodotto
Microsoft è un mix tra uno sportband e
uno smartwatch: con uno schermo da
310x102 pixel ricorda molto il Gear Fit di
Samsung, un bracciale snello e leggero
che funziona come fitness tracker ma si
sincronizza con lo smartphone per fornire aggiornamenti e notifiche. Oltre ad
avere Cortana come assistente vocale.
Sensore UV, battito cardiaco, accelerometro, sensore per lo stress e pure GPS
sono alcuni dei moduli che Microsoft ha
usato. Tanti sensori vuole anche dire autonomia non certo egregia: Band si ferma
a 2 giorni, ma non essendo un orologio
e funzionando anche senza smartphone
associato l’obiettivo è raggiunto: non è
un oggetto da tenere ogni giorno e ogni
ora al polso come viene invece richiesto
a uno smartwatch. Per sincronizzare i dati
di Band, Microsoft
ha realizzato un
nuovo framework
simile a Healtkit
e a Google Fit: si
chiama Health e
raccoglie i dati dei
sensori, li analizza
e li formatta in un
modo leggibile e
chiaro per la visualizzazione tramite l’app
dedicata. Nell’idea di Microsoft, Band
non è un dispositivo legato al suo mondo, ma un device cross-platform: l’idea è
che possa funzionare anche con Apple
Healtkit e Android Fit, e allo stesso modo
Microsoft vorrebbe che produttori terzi
come Nike e Fitbit rendano i loro prodotti Health compatibili. Alcuni produttori di hardware e app, come Jawbone,
MapMyFitness, MyFitnessPal e RunKeeper hanno già aderito al programma. Tra
le funzionalità di Health, oltre alla raccolta dati, la possibilità di condividere con il
medico o personal trainer il proprio profilo personale e un “Intelligent Engine”
che offre suggerimenti mirati in base ai
risultati degli esercizi.
Alcuni giorni fa, a poche ore dal lancio
in USA a 199$, Band era già esaurito sia
negli store fisici sia sul Microsoft Store
Online. testimonianza di una scommessa vinta da parte di Microsoft e della
vitalità di un segmento che può fare la
differenza.
Fitbit si fa in tre, per la gioia di tutti gli sportivi
I tre prodotti Fitbit, Charge, Charge HR e Surge, sono dedicati principalmente al fitness
F

itbit, che mantiene una posizione
dominante nel mercato degli Activity
Tracker, rinnova la gamma dei suoi
prodotti, che nel 2015 sarà composta
da tre modelli: Charge, Charge HR e
The Surge. Il primo è il modello base e
l’unico che uscirà in tempo per le festività natalizie: ha un look simile al modello
dello scorso anno, un piccolo display per
le informazioni essenziali e per la funzionalità di notifica delle chiamate dello
smartphone collegato. Il materiale è una
plastica anallergica, ha una settimana di
autonomia e, tra le nuove funzionalità, il
riconoscimento automatico del sonno; il
prezzo è di 130 dollari. Charge HR, che
costerà 20 dollari in più, sarà identico a
Charge ma con in più un sensore di battito cardiaco da usare per tutti gli scopi
di fitness permessi dall’app; rispetto al
modello base l’autonomia passa da 7 a
torna al sommario
5 giorni. Surge è, invece, pensato non tanto
come tracker dell’attività quotidiana ma
per il fitness e l’attività
sportiva in senso stretto. È più grande, più
spesso, ha funzionalità
di orologio, un sensore di battito cardiaco e
un modulo GPS per la
corsa e tutte le attività all’aperto. Si propone come soluzione “tutto in uno” dedicata allo sport, che non necessita di uno
smartphone di controllo sempre in tasca
né di una fascia cardio supplementare,
sebbene si stimi che le rilevazioni non
siano parimenti precise. Un display touch, può controllare la riproduzione musicale del dispositivo connesso e la notifica
delle chiamate, tutto per 250 dollari, con
uscita nel 2015. A proposito di Surge, James Park, CEO dell’azienda, ha comuni-
Un trolley pieno
di sensori, sempre
connesso e con molte
funzionalità
È in crowdfunding
su Indiegogo
di Paolo CENTOFANTI
GADGET I braccialetti usciranno da qui al 2015 e avranno prezzi dai 130 ai 250 dollari
di Emanuele VILLA
Con Bluesmart
bagaglio a mano
smart
cato a Mashable che non solo il proprio
dispositivo non è uno smartwatch, ma
anche che l’azienda non ha nessun piano
di ingresso in questo segmento. interessante la sua spiegazione: gli smartwatch
non hanno una reale utilità, e per questo
l’adozione da parte degli utenti è piuttosto lenta. In pratica, gli smartwatch non
sono utili, non hanno una collocazione
ben definita a differenza degli strumenti
dedicati al fitness, sui quali continuerà a
concentrarsi l’attenzione dell’azienda.
Il trolley di Bluesmart in
crowdfunding su Indiegogo è un
bagaglio controllabile da smartphone tramite app, una valigia
da bagaglio a mano che integra
un modulo GPS e connettività cellulare per sapere sempre dove si
trova. Sensori di prossimità permettono di ricevere notifiche se ci
stiamo allontanando dalla valigia,
con mappa di prossimità sull’app
per rintracciarla. C’è una chiusura
di sicurezza elettronica, approvata dalle autorità aeroportuali, per
chiudere la valigia dallo smartphone; la maniglia integra una bilancia
che comunica allo smartphone
il peso del bagaglio e c’è una
batteria integrata per ricaricare
smartphone e tablet riposti nel
bagaglio. La valigia è rivestita da
tre strati di policarbonato e da uno
strato in poliuretano per rendere
l’esterno resistente e impermeabile. Uno scompartimento frontale
è studiato per alloggiare laptop,
tablet e smartphone. La maniglia
è in alluminio anodizzato per resistenza e leggerezza e per una
migliore trasportabilità la parte inferiore è dotata di quattro rotelle. Il
costo previsto una volta iniziata la
produzione è di circa 450 dollari,
ma per gli early adopter che parteciperanno alla campagna di finanziamento c’è un prezzo speciale
di 235 dollari per le prime unità. Il
progetto ha già raccolto 144.000
dollari contro i 50.000 richiesti.
Per vedere i primi esemplari uscire
dalle fabbriche occorrerà aspettare la prossima estate.
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MOBILE La svizzera Dwiss ha in cantiere un progetto di cover e cinturini davvero niente male
Sono di Dwiss i primi accessori Apple Watch
Non si sa nemmeno quando uscirà, ma c’è chi già pensa agli accessori per Apple Watch
N
di Emanuele VILLA
on sappiamo ancora quando lo
smartwatch Apple vedrà la luce
ma qualcuno si sta già muovendo per “costruirci” i migliori accessori
possibili. Nella fattispecie, quello che
Dwiss SA (azienda di orologeria svizzera con base a Lugano) sta progettando, e per il quale chiede l’intervento
di finanziatori privati via Indiegogo, è
LG G Watch R
arriverà in
Italia a inizio
novembre

Lo smartwatch di LG, il G Watch R, arriverà nei negozi italiani agli inizi
di novembre. Lo ha ufficialmente
confermato LG, in un comunicato che
annuncia l’arrivo sul mercato internazionale del secondo smartwatch
Android Wear di LG, in leggero ritardo
rispetto a quanto preventivato. Se
il primo G Watch era per lo più un
prodotto pensato per accompagnare
il lancio del sistema operativo di
Google, il G Watch R è un prodotto più
elaborato e originale, a cominciare
dal suo caratteristico display P-OLED
circolare da 1,3 pollici. Lo smartwatch è dotato di cassa in alluminio e
acciaio inossidabile con certificazione
di impermeabilizzazione IP67 e
integra il processore Snapdragon 400
di Qualcomm, accelerometro, giroscopio, bussola digitale, barometro
e un misuratore di battito cardiaco.
Avevamo già avuto modo di vedere il
nuovo smartwatch in azione all’IFA di
Berlino lo scorso settembre e ci aveva
piacevolmente colpito. Il prezzo di
listino per l’Italia sarà di 269,90 euro.
torna al sommario
un set completo di cover e di cinturini tali da
permettere un livello di
personalizzazione infinito al primo smartwatch
della mela. Al momento
in cui si scrive, il progetto ha raccolto circa
2.000 dollari americani
dei 30.000 richiesti per
entrare in produzione,
ma c’è ancora più di un mese per raggiungere l’obiettivo.
Niente di particolare da dire sulle cover:
il principio è precisamente lo stesso di
qualsiasi smartphone attuale, ovvero
fornire massima protezione senza (per
quanto possibile) sacrificare il design,
e saranno disponibili in svariati colori
per assecondare il look del dispositivo Apple. Decisamente più elaborati e
belli da vedere, con look che va dallo
sportivo all’elegante, sono i cinturini:
abbiamo senz’altro una predilezione
per il design colorato e sportivo, con
cinturini in silicone pensati per abbinarsi alle “faces” che l’orologio mostrerà ai propri utenti, ma troviamo anche
degli ottimi cinturini metallici in acciaio
(albatross black e albatross silver) e anche una versione in pelle. Per ulteriori
informazioni, questa è la pagina del
progetto.
MOBILE L’atteso smartwatch Android Wear subisce ancora ritardi
Rinvio Moto 360: in Italia nel 2015
di Emanuele VILLA
na buona notizia per Motorola, una meno buona per gli appassionati: causa forti richieste a livello mondiale, il Moto 360 viene ulteriormente rinviato
in Italia e in alcuni altri stati europei. Una mossa sicuramente non prevista
da parte dell’azienda, che mai come nel perido Natalizio dovrebbe presentarsi in forze su tutti i mercati, ma si vede che la domanda è stata inizialmente
sottostimata e e ora ne paga le conseguenze chi lo sta aspettando da un po’.
Ricordiamo infatti che l’uscita
del prodotto era inizialmente
prevista per ottobre, poi novembre, ora dobbiamo attendere altri 2 mesi. Moto 360 è
lo smartwatch Android Wear
più atteso in assoluto, e questo non tanto per le peculiarità
del sistema operativo, ma per
il look al tempo stesso moderno e raffinato dell’orologio,
che assomiglia in tutto e per
tutto a un bel modello tradizionale (giustamente preso a
modello per le versioni 2.0).
Chi non potesse proprio farne
a meno non avrà comunque
difficoltà a trovarne un’esemplare all’estero, considerando
tra l’altro che in alcuni Stati
europei l’orologio è (o sarà)
correttamente distribuito.
U
Galaxy S5
si rinnova
e diventa Plus
Potenza senza
compromessi
Samsung rinnova
Galaxy S5 e lo
fa diventare Plus
Non cambia nulla
esteticamente, ma
il processore è uno
Snapdragon 805
“simile” a quello
del Note 4
di Emanuele VILLA
Con una mossa a sorpresa, Samsung ha aggiornato il suo terminale di punta alle ultime soluzioni tecnologiche. E così il Galaxy
S5 diventa Galaxy S5 Plus, resta
immutato sotto il profilo estetico
ma raggiunge nuove vette prestazionali. Tra l’altro la notizia ha
particolare rilevanza perché il
lancio di S5 Plus dovrebbe essere imminente e riguardare anche
l’Europa: prezzo tutt’altro che
confermato, ma si parla di 699
euro di listino; l’attuale Galaxy
S5 dovrebbe restare in gamma,
semplicemente verrà riposizionato più in basso. Nessuna novità
estetica, resta l’ottimo display
da 5,1’’ Full HD Amoled, stessa
RAM, stessa fotocamera, stesso
tutto ad eccezione del cuore del
sistema, il SoC: si passa da un
già “performante” processore
snapdragon 801 allo snapdragon
805 da 2,5GHz; non è precisamente lo stesso SoC montato sul
Galaxy Note 4 (che è da 2,7 GHz)
ma poco ci manca e supponiamo
che, complice il display Full HD
contro il Quad HD del Note 4, le
prestazioni di Galaxy S5 Plus siano davvero prive di ogni compromesso. Attendiamo nuove indicazioni da parte di Samsung Italia.
n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE Abbiamo cercato di fare il punto della situazione italiana sui pagamenti NFC con TIM, Vodafone e PosteMobile
Ecco come pagare via NFC in Italia con Android
I modelli che integrano il sistema di comunicazione contactless sono sempre di più ma quali sono e dove si possono utilizzare?
di Paolo CENTOFANTI
omplice l’ingresso nell’arena dei pagamenti contactless da parte di Apple con la sua soluzione
Apple Pay, si torna a parlare di NFC e pagamenti
tramite lo smartphone. Perché di NFC scriviamo ormai
da anni, e la tecnologia è già disponibile su tantissimi smartphone Android e Windows Phone, ma a conti
fatti sono pochissimi coloro che hanno avuto modo di
provare questa funzione, anche perché le banche che
offrono servizi di pagamento contactless via smartphone sono ancora poche e sembrano far di tutto per
non pubblicizzare la cosa. Eppure qualcosa negli ultimi
mesi in realtà si è mosso, soprattutto grazie agli operatori telefonici, a cominciare da Vodafone e TIM, e oggi
utilizzare lo smartphone al posto della carta di credito o
del bancomat è possibile. Vediamo come.
C
Il ruolo degli operatori telefonici
e le SIM NFC
Prima di vedere come poter pagare con lo smartphone e NFC, facciamo un passo indietro per capire come
funziona il sistema. Al momento la maggior parte delle
soluzioni di pagamento via smartphone e NFC in Italia
coinvolgono gli operatori telefonici, questo perché viene dato un ruolo molto importante per quanto riguarda
la sicurezza alla SIM del nostro telefono.
Per abilitare lo smartphone ad effettuare pagamenti, infatti, occorre in primo luogo “virtualizzare” una carta di
pagamento rilasciata da una banca o un istituto di carte
di credito all’interno di un’app sullo smartphone, il digital wallet o portafoglio digitale. Per custodire in modo
sicuro i dati della carta e impedire che questi vengano
sottratti via software da eventuali malware o via hardware manomettendo il terminale, viene infatti utilizzato quello che è chiamato Secure Element, un’area di
memoria cifrata della SIM in cui vengono memorizzate
le chiavi univoche necessarie per effettuare le transazioni. È per questo motivo che per abilitare questi servizi occorrono delle SIM NFC specifiche. In sostanza
le banche affidano la sicurezza alla SIM dell’operatore,
che in cambio riceve una fetta della commissione applicata alla transazione (non a carico dell’utente finale).
Google, Apple e a breve CartaSì
scavalcano la SIM

Un’altra soluzione svincolata dagli operatori telefonici,
relativamente più recente, è quella definita HCE (Host
Card Emulation), che consiste in una totale emulazione
via software e servizi cloud delle carte di pagamento.
Questo secondo metodo di gestione della sicurezza ha
avuto un grosso impulso con il supporto da parte di
Google a cominciare da Android KitKat, ed è la tecnica
utilizzata dal Google Wallet per i pagamenti NFC nei
trial negli Stati Uniti.
MasterCard e VISA hanno annunciato circa un anno fa
l’adozione dell’HCE e la realizzazione della relativa infrastruttura cloud e c’è da credere che sarà la soluzione
prediletta da tutti gli operatori cosiddetti over-the-top
torna al sommario
(come PayPal per intenderci). In Italia, questo sistema
debutterà con CartaSì che ha annunciato la prossima
introduzione di MySi, digital wallet per Android KitKat
che potrà essere utilizzato da tutti i possessori di una
carta di credito CartaSì VISA.
Per il suo servizio di pagamento Apple Pay, invece, Apple ha sfruttato il suo controllo totale sia sull’hardware
che sul software per scavalcare a suo modo il bisogno
di utilizzare la SIM, integrando il secure element nel
chip apposito già all’interno dei nuovi iPhone e iPad
con Touch ID. In questo caso la sicurezza della transazione è affidata principalmente ad Apple che stringerà
direttamente gli accordi con le varie banche come sta
facendo in questa fase iniziale negli Stati Uniti.
I servizi disponibili in Italia
Si paga solo con Android
Come abbiamo visto, attualmente il modello che ha
preso piede in Italia è quello che si appoggia alla SIM
NFC grazie alla spinta data dagli operatori telefonici.
Le banche che hanno dato il loro appoggio ai pagamenti via smartphone sono però ancora poche, mentre
tra le carte di credito troviamo sia i circuiti MasterCard
che VISA. Le soluzioni oggi offerte sono principalmente quelle delle carte prepagate, segno che le banche
stanno ancora più che altro tastando il terreno. I servizi disponibili hanno tutti dei requisiti comuni: uno
smartphone Android compatibile - non solo NFC ma
anche con il servizio offerto dall’operatore/banca -,
l’app dell’operatore, l’app della banca o della carta di
credito e naturalmente un esercizio commerciale con
un POS compatibile. Per quanto riguarda quest’ultimo
punto tutte le soluzioni sono compatibili con i metodi
di pagamento VISA PayWave e MasterCard PayPass.
Il funzionamento, infatti, non è poi diverso proprio da
quello delle normali carte di credito abilitate ai pagamenti contactless: al posto della carta si appoggia al
POS lo smartphone e anche in questo caso per i pa-
gamenti fino a 25 euro non è necessario inserire il PIN.
In caso di furto dello smartphone basta bloccare la SIM
per disattivare anche il digital wallet e quindi le funzioni
di pagamento.
TIM Wallet con Intesa Sanpaolo
e Banca Mediolanum
TIM ha lanciato la scorsa estate il TIM Wallet per Android, portafoglio digitale compatibile con due carte
di pagamento rilasciate rispettivamente da Banca
Mediolanum e a breve Intesa Sanpaolo.
La prima ad essere stata resa disponibile è quella di
Mediolanum, la Freedom Easy Card, realizzata in collaborazione con CartaSì. Si tratta di una carta prepagata
che funziona come carta di credito del circuito MasterCard e può essere utilizzata quindi presso i negozi
che offrono la possibilità di pagare con MasterCard
PayPass. Per richiederla occorre aprire un conto corrente con Banca Mediolanum e per utilizzarla ci vuole
uno smartphone Android compatibile e oltre all’app
TIM Wallet anche il Mediolanum Wallet sempre disponibile su Play Store. TIM SmartPAY, che appartiene al
segue a pagina 06 
n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE Molti esemplari sono rimasti sugli scaffali e diversi i fornitori da pagare. Le aspettative non sono state rispettate
Il flop di Fire Phone costa ad Amazon 170 milioni di dollari
Trimestre finanziario infelice per l’azienda di Bezos, soprattutto per lo smartphone. Prodotto sbagliato o troppa attesa?
D
di Massimiliano ZOCCHI
opo il successo dei tablet Amazon
Fire, forse gli unici con numeri di
vendita importanti oltre ai soliti noti, ci si aspettava molto dal primo
smartphone prodotto dall’azienda “sorridente”. Promesse che purtroppo per
Jeff Bezos sono state completamente
disattese. Amazon ha, infatti, dichiarato
pessimi risultati per l’ultimo trimestre, e
il solo Fire Phone ha generato un buco
di 170 milioni di dollari. Troppi sono rimasti nei magazzini e sugli scaffali, per
un valore di 83 milioni, e il restante è
il dovuto ai fornitori che (giustamente)
vanno pagati. Tanta pubblicità con effet-
to WOW alzò l’asticella, e malgrado una
buona qualità generica, le aspettative
non sono state rispettate. Difficile dire
di preciso cosa sia andato storto, anche
perché Amazon ci ha provato davvero a
proporre qualcosa di innovativo, come
ad esempio il sistema di tracciamento
3D con diverse fotocamere sul perimetro. Forse l’attesa è stata troppa, e Fire
Phone è stato lanciato nella mischia
quando i concorrenti erano ormai troppi
e a un livello qualitativo elevatissimo. Lo
stesso CFO Tom Szkutak lo ha definito
“un buon terminale in un mercato molto competitivo”, andando un po’ contro
alle dichiarazioni del suo stesso CEO. Il
sistema operativo poi, nonostante sia
basato su Android, è pesantemente personalizzato e non ha
incontrato i favori del pubblico,
che amano sentirsi rassicurati
in determinati ecosistemi.
Inoltre, la paura di AT&T di
trovarsi con numerose scorte
invendute non ha di certo aiutato. Sbattere in prima pagina
il telefono di Bezos a solo 99
centesimi ha avuto un effetto boomerang, alimentando la cattiva pubblicità
anziché le vendite.
Di sicuro il programma Amazon Prime,
incluso per un anno con ogni Fire Phone
venduto, aiuterà a recuperare parte degli introiti persi, si spera tramite l’acqui-
sto di contenuti e software come accaduto con i tablet della stessa famiglia.
Questi, però, vengono visti più come un
centro multimediale anche per la famiglia, mentre in un telefono il cliente desidera più un uso diretto e difficilmente
lo identifica in un mezzo d’acquisto.
MOBILE
NFC in Italia con Android
circuito VISA, è la carta prepagata rilasciata da Intesa
Sanpaolo. Si tratta di una carta prepagata sottoscrivibile dai clienti TIM e senza necessità di aprire un conto
corrente con Intesa Sanpaolo. L’attivazione della carta,
che ha un costo di 4,90 euro, può essere effettuata
completamente online e, per chi attiverà la carta entro
il 30 aprile 2015, le ricariche saranno gratuite per tutto
il 2015. Inoltre, ogni 50 euro spesi con SmartPAY si tradiranno in un bonus di 1 euro sul proprio conto telefonico. Da gennaio 2015, inoltre, tutte le carte di pagamento di Intesa Sanpaolo saranno importabili all’interno del
TIM Wallet e quindi utilizzabili per pagare via NFC con
il proprio smartphone. Il TIM Wallet è compatibile con
quasi tutti gli smartphone Android NFC e la lista completa è disponibile sul sito di TIM.
smartphone. Il Vodafone Wallet è già abilitato non solo
ai pagamenti ma anche ad ospitare un gran numero
di carte fedeltà, tessere carburante e carte miglia di
alcune compagnie aeree. In più è possibile utilizzare
il Wallet per l’acquisto di biglietti per i mezzi pubblici
di un buon numero di città italiane. Queste carte non
fanno però ancora uso dell’NFC, ma vengono semplicemente memorizzate sul Wallet per essere mostrate
sul display. L’unica eccezione è una sperimentazione
al momento in atto in alcuni supermercati della catena
Bennet. Più avanti, anche Vodafone Wallet supporterà la carta prepagata di Banca Mediolanum Freedom
Easy Card, anche se non è ancora stata annunciata la
data di lancio del servizio. Vodafone è, inoltre, in trattativa con altre banche per i pagamenti NFC ma non ci
sono ancora annunci in proposito. Il Vodafone Wallet è
compatibile con molti smartphone Android con NFC e
la lista completa è disponibile qui.
Vodafone Wallet per SmartPass
e tante carte fedeltà
PosteMobile ha l’NFC per Postepay
e Postamat
Vodafone offre una soluzione molto simile a quella che
abbiamo appena visto con TIM, il Vodafone Wallet
lanciato per Android insieme alla carta prepagata
Vodafone SmartPass lo scorso aprile. La carta, dedicata ai clienti Vodafone, è
in questo caso rilasciata
direttamente dall’operatore telefonico in collaborazione con CartaSì,
non si appoggia a una
banca specifica e appartiene al circuito MasterCard. Può essere quindi
richiesta direttamente
a Vodafone e richiede
una SIM Vodafone 4G
NFC per poter essere
utilizzata sul proprio
L’operatore PosteMobile ha da pochissimo lanciato la
nuova SIM NFC per supportare le carte di pagamento
del gruppo Poste e quindi Postepay e Postamat. Anche
in questo caso sono supportati solo i telefoni Android
- tra l’altro con una lista di compatibilità che non include ancora terminali come LG G3 o HTC One (la lista
completa è qui). Il servizio richiede la nuova Super SIM
NFC e supporta una lunga lista di carte di pagamento
di BancoPosta. In più è possibile generare dall’app per
Android di PosteMobile, che funziona anche da digital
wallet, una carta virtuale e-Postepay. L’NFC di PosteMobile funziona sia con MasterCard che VISA a seconda della carta BancoPosta che viene importata nel wallet. Il servizio sfrutta la sinergia tra le varie divisioni del
gruppo Poste ed è, se vogliamo, una soluzione verticale per i clienti BancoPosta. Poste ha annunciato anche
la futura possibilità di utilizzare il wallet e l’NFC anche
per l’acquisto di biglietti sui mezzi pubblici di alcune

segue Da pagina 05 
torna al sommario
città, ma al momento non sono ancora stati annunciati i
dettagli di chi aderirà al servizio e con quali modalità.
Non c’è ancora la soluzione per tutti
ma qualcosa si muove
Quello che emerge da questa panoramica è che siamo ancora in una fase embrionale per i pagamenti via
NFC. Le offerte ci sono ma per la maggior parte delle
persone il ridotto numero di soluzioni richiede oggi o il
cambio di operatore o l’apertura di un nuovo rapporto
con una nuova banca, a meno ovviamente di non essere già clienti della giusta combinazione. In questo senso, in attesa di sapere come sarà la soluzione di TIM,
se si è clienti Vodafone, la carta prepagata SmartPass
è forse il modo più semplice per provare l’ebrezza di utilizzare il proprio
smartphone NFC. E qui
viene l’altra nota dolente.
Al momento i pagamenti
NFC sono disponibili solo
per piattaforma Android
e solo su alcuni modelli.
Tagliati fuori dunque i
possessori di Windows
Phone e naturalmente gli
utenti iPhone, visto che
Apple ha integrato l’NFC
solo sui nuovissimi iPhone 6 e iPhone 6 Plus e
Apple Pay al momento è
ancora lungi dall’arrivare in Europa. Tutto ciò è dovuto
anche all’attuale ecosistema che prevede un po’ troppi
attori: le banche, le carte di credito, gli operatori telefonici e i produttori hardware. L’avvento dell’HCE potrebbe semplificare le cose mettendo in comunicazione
diretta le carte di credito con le app per smartphone
e l’arrivo del wallet di CartaSì per le carte VISA sarà
un’interessante banco di prova.
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3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE TIM, insieme a Intesa Sanpaolo e VISA, ha lanciato la carta prepagata SmartPAY
Con TIM SmartPAY paghi con lo smartphone NFC
Tutti gli utenti TIM possono acquistare con smartphone NFC su tutti i POS contactless di VISA
di Paolo CENTOFANTI
ggi tutti i clienti TIM possono
chiedere gratuitamente la sostituzione della propria SIM con
una SIM NFC e quindi sottoscrivere la
nuova carta di pagamento prepagata
TIM SmartPAY. Si tratta di una carta rilasciata da Intesa Sanpaolo e VISA e che
consente di utilizzare lo smartphone
NFC (oggi Android a breve anche Windows Phone) per effettuare pagamenti
nei sempre più diffusi punti vendita con
POS contactless. La carta permette di
pagare tramite il circuito VISA presso
tutti i POS compatibili VISA PayWave e
può essere richieste direttamente online, senza dover passare in filiale e soprattutto senza dover aprire un nuovo
conto con Intesa Sanpaolo. Il costo di
attivazione di TIM SmartPAY è di appena 4,90 euro per la versione solo “virtuale” NFC e, per chi l’attiva entro il 30
aprile 2015, i costi di ricarica saranno
gratuiti fino al 2016, e per sempre per
le ricariche effettuate via bonifico bancario. Inoltre per ogni 50 euro spesi
con TIM SmartPAY, l’utente riceverà un
bonus di 1 euro sul traffico telefonico.
La carta è disponibile anche in versione di plastica, ma con un costo di attivazione di 9,90 euro e ha dei massimali
di spesa di 999 euro, con una ricarica
O
massima annuale di 2500 euro. Se si
è anche clienti Intesa Sanpaolo, allora
è possibile richiedere, sempre a 9,90
euro, anche la versione nominativa
della carta, con il vantaggio di avere
un massimale di 5000 euro. Qualunque sia il formato scelto, la carta TIM
SmartPAY viene virtualizzata all’interno
dell’app TIM Wallet per Android, operazione che abilita quindi i pagamenti
NFC tramite il proprio smartphone. Il
wallet di TIM per Windows Phone è in
avanzata via di sviluppo e dovrebbe invece venire rilasciato entro fine anno.
Come per le carte contactless, fino a
25 euro di spesa non è richiesto il PIN
della carta quando si effettua un acquisto e in caso di furto o smarrimento
dello smartphone, basta disattivare la
SIM per bloccare anche la funzione di
pagamento. La collaborazione tra TIM
e Intesa Sanpaolo non si esaurisce
però solo con la nuova SmartPAY: entro fine gennaio 2015, infatti, il gruppo
bancario ha annunciato che tutte le
carte di pagamento Intesa Sanpaolo
saranno virtualizzabili all’interno del
TIM Wallet, cosa che potenzialmente
potrebbe dare un notevole impulso alla
diffusione dell’utilizzo dell’NFC. TIM
oggi ha annunciato anche altre iniziative legate al TIM Wallet come la futura
PosteMobile lancia la
nuova SIM NFC che
permette di caricare
sul propio digital
wallet carte Postepay
e Postamat e pagare
così con lo smartphone
ovunque c’è un POS
contactless
La carta potrà essere richiesta
anche direttamente dall’app TIM
Wallet. Il portafoglio digitale di TIM
può contenere anche carte fedeltà,
coupon, biglietti dei mezzi pubblici e,
il prossimo anno i biglietti di ingresso
di Expo 2015.
possibilità di virtualizzate anche carte
fedeltà, coupon e titoli di viaggio dei
trasporti pubblici. A questo proposito,
Sergio Cozzolino di Telecom Italia, ci
ha confermato che entro febbraio 2015
partirà la possibilità di utilizzare smartphone NFC per accedere alla rete dei
trasporti milanesi di ATM.
MOBILE La soluzione software Google dedicata al fitness è disponibile nello store Android
Google Fit disponibile per tutti: semplice e completo
Grafica molto “asciutta” e senza tante opzioni, ma con grandi possibilità di espansione
D
di Emanuele VILLA

opo averlo annunciato mesi fa,
Google ha pubblicato sul proprio
store il tool “definitivo” per la gestione dell’attività fisica via Android, Google Fit. Il principio è lo stesso di healthkit
di Apple, anzi il tool di Google rappresenta l’ovvia risposta dell’azienda all’agguerrito competitor.
L’idea è quella di fornire una piattaforma
stabile per il fitness e la salute in ambiente
Android, piattaforma da “ampliare” nelle
funzionalità con app e dispositivi di terze
parti. Google Fit quindi non ha intenzione
di eliminare le app già disponibili proponendosi come alternativa “ufficiale”, ma
vuole diventare la base condivisa per il
torna al sommario
mondo fitness Android, sulla
quale costruire nuove funzionalità, apparecchi e via dicendo. Inoltre, è l’app “ufficiale”
per il fitness ottimizzata per i
dispositivi Android Wear, sui
quali offre notifiche, aggiornamenti e permette anche l’interazione diretta con l’utente.
L’app è gratuita, disponibile
per smartphone e tablet Android e semplicissima da usare, al punto che apparentemente può sembrare un po’ scarna.
Ci abbiamo giocato qualche minuto: si
impostano i dati personali, il tipo di attività
e basta, dopo di che l’app in background
“forma” il database dell’attività fisica e
dello stato di forma dell’utente. Carina la
Con la SIM NFC
Postepay
e BancoPosta
si usano con lo
smartphone
possibilità di studiare l’andamento mediante grafici, creare routine personalizzate e, appunto, estendere l’esperienza
mediante smartwatch Android Wear e
svariati apparecchi ad hoc. Merita sicuramente una prova, quanto meno per metterlo in relazione con il concorrente più
agguerrito. Questo il link diretto.
di Paolo CENTOFANTI
I pagamenti via NFC stanno cominciando lentamente a prendere
piede. L’ultima novità arriva da PosteMobile che ha annunciato la disponibilità della nuova Super SIM
NFC. Rispetto alla versione precedente, la nuova SIM consente di
caricare sul digital wallet dell’app
di PosteMobile per smartphone
anche le carte Postepay e Postemat del proprio conto BancoPosta, senza necessità di creare una
carta virtuale apposita. Con questa
funzionalità diventa così possibile
pagare con uno smartphone con
NFC invece della carta tradizionale in tutti gli esercizi commerciali
dotato di POS contactless compatibile con VISA PayWave e MasterCard PayPass. Oltre ai pagamenti,
l’app di PosteMobile e la Super
SIM NFC supporteranno a breve
anche carte fedeltà, coupon ma
PosteMobile parla anche di mezzi pubblici, anche se al momento
non sono stati comunicati altri
dettagli. Per utilizzare il servizio
occorre uno smartphone Android
compatibile e la lista include soprattutto modelli Samsung ed LG.
Per quanto riguarda la sicurezza,
i pagamenti NFC funzionano in
modo simile alle carte contactless,
per cui per pagamenti fino a 25
euro non è richiesta la digitazione
del PIN, mentre in caso di perdita o
furto dello smartphone basta bloccare la SIM per disattivare anche
tutte le funzioni di pagamento. La
nuova Super SIM NFC è acquistabile online sul sito di PosteMobile,
oppure presso gli uffici postali.
n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE Nuove soluzioni per chi trova gli smartphone di oggi troppo difficili da utilizzare
Da Doro lo smartphone e il PC per la “terza età”
L’azienda svedese ha presentato dei dispositivi facili da usare dedicati agli utenti senior
I
Google dichiara
che lo smartphone
componibile
Project Ara avrà
il suo store componenti
Sarà una piattaforma
“free and open”
e chiunque potrà
vendere i suoi prodotti
Il modello è Play Store
di Paolo CENTOFANTI
l progresso tecnologico avanza, ma
la semplicità di utilizzo spesso non
va di pari passo, almeno non per tutti. Doro è un’azienda svedese specializzata in prodotti semplificati per utenti
senior o comunque che hanno bisogno
magari di qualche aiutino e ha presentato nuove soluzioni che puntano a
mettere a disposizione le più moderne
forme di comunicazioni anche a chi è
un po’ più avanti con gli anni.
Liberto 820 ad esempio è un nuovo
smartphone Android con molte caratteristiche pensate appositamente per
semplificarne il più possibile l’utilizzo.
L’interfaccia, ad esempio, basata su An-

cazione Android, ma l’aspetto più interessante è il Doro Manager.
Sul Liberto 820 l’app offre guide e accesso rapido a funzionalità base, ma
LAPTOP DORO EASY PC
permette anche di controllare il cellulare anche in remoto da qualsiasi altro
smartphone Android. Con Doro Manager è possibile controllare a distanza
la ricezione del segnale, la luminosità
dello schermo, il livello della suoneria
e così via dello smartphone dato in uso
ad esempio a un anziano che vive da
solo: in questo modo è possibile magari accertarsi che se non risponde al
telefono è perché ha per sbaglio disattivato la suoneria. Sempre tramite
Doro Manager è possibile inviare foto,
droid 4.4 KitKat, offre una home screen file e persino applicazioni da scaricare
con icone grandi e ben distinguibili in modo molto semplice per chi li deve
per tutte le funzionalità principali dello ricevere.
smartphone: chiamate, messaggi, con- Anche l’hardware è stato studiato per
tatti e così via. Un sistema di training in- chi magari non è abituato a uno smarsegna all’utente passo per passo come tphone tradizionale. Il vetro frontale, ad
effettuare le operazioni più comuni e le esempio, è protetto da un bordo più
applicazioni delle funzioni base sono alto del solito del guscio del telefono,
state ottimizzate per una migliore leg- così da essere meno suscettibile a
gibilità e semplicità d’uso. Non manca graffi quando appoggiato senza tropcomunque il Google Play Store e la pe attenzioni. Per la ricarica invece è
possibilità di utilizzare qualsiasi appli- prevista un’apposita basetta che sostituisce la classica ricarica tramite connessione
micro USB, spinotto
decisamente poco pratico. Inoltre, come su altri
prodotti Doro, sul retro
del Liberto 820 troviamo
il tasto di allarme che
permette a un anziano
in difficoltà di lanciare un
allarme chiamando dei
numeri di telefono predefiniti. Il sistema permette di impostarne fino
My Doro Manager, l’app che consente di controllare
a cinque, che verranno
in remoto il Liberto 820.
chiamati in sequenza fino
torna al sommario
Project Ara avrà
il suo store di
componenti
di Emanuele VILLA
EASYPHONE 508
a quando uno di questi non risponde,
scartando i risponditori automatici. Lo
smartphone è dotato di schermo da
4,5 pollici con risoluzione di 940 x 560
pixel, processore quad core, fotocamera da 8 Megapixel con tasto di scatto
dedicato, altoparlante ad alto volume,
supporto a codifica HD Voice per una
migliore qualità delle conversazioni telefoniche, Bluetooth 4.0 e ha un prezzo
di listino di 259 euro.
Oltre a Liberto 820, già disponibile,
Doro lancerà a gennaio anche un portatile semplificato basato su un modello Acer con display da 15,6 pollici.
Il laptop Doro Easy PC è caratterizzato
da una cover per tastiera che offre tasti
più grandi e meglio leggibili e un’interfaccia grafica molto semplice che dà
agevolmente accesso a funzioni come
la posta elettronica, contatti, lettore
multimediale e browser web. I dati tecnici parlano di processore Intel Celeron
2955U, 4GB di RAM, hard disk da 500
GB e webcam da 1,3 Megapixel. Sarà
disponibile a un prezzo di 699 euro.
Doro ha presentato anche nuovi telefoni tradizionali semplificati, tutti dotati
di tasto di allarme, i nuovi EasyPhone
613 e 508 (sopra) e ha annunciato la
prossima introduzione anche di un tablet Android, sempre con interfaccia
semplificata in stile Easy PC, che verrà
presentato in tempo per il Mobile World Congress.
Ancora nessuna notizia circa il
debutto di Project Ara, lo smartphone componibile realizzato
sotto l’ala protettiva di Google,
ma si intensificano le informazioni (questa volta, ufficiali) sul
suo ecosistema. Oggi Paul Eremenko di Google ha dichiarato,
in un’intervista alla Purdue University, che Google ha intenzione
di seguire il modello di Android
dotando Project Ara di un suo
store centralizzato per la vendita di moduli “certificati” per lo
smartphone componibile.
Seguendo le orme di Play Store,
Google intende creare una piattaforma “free and open” e disponibile a chiunque, di modo tale che
chiunque possa creare, realizzare
e vendere moduli per Project Ara.
Tutto ciò rappresenta senz’altro
un’ottima notizia per startupper e
sviluppatori di tutto il mondo, nonostante Google debba fornire al
più presto specifiche e dettagli
in merito, soprattutto per quanto concerne i test di verifica cui
i moduli verranno sottoposti prima di essere commercializzati. In
ogni caso, si prospetta una nuova
opportunità di business per molti:
probabilmente ne sapremo di più
al CES di Las Vegas.
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n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MERCATO l bilancio della divisione smartphone di LG segna un attivo a doppia cifra, +39%
Crescita record per LG, Samsung invece...
Samsung mette le mani avanti e annuncia una probabile contrazione a -60% rispetto al 2013
di Michele LEPORI
L’uomo che ha dedicato
gli ultimi dieci anni a
far diventare grande
Android si dedicherà
alle start up hardware
Ma i motivi dell’addio
non sono chiari
I
l cielo sopra Seoul non è mai stato
così diviso. L’annuncio dei dati finanziari relativi alle performance della
divisione smartphone di LG vede, rispetto al 2013, una crescita pari a +39%
con 16,8 milioni di smartphone venduti,
che portano il fatturato a 4,14 miliardi di
dollari con un utile netto di 163,16 milioni di dollari. Si tratta semplicemente
del miglior quarto degli ultimi 5 anni, a
detta del direttivo coreano. Il successo
di questi numeri è figlio delle vendite di
G3, uno dei migliori terminali Android
disponibili sul mercato, ma anche e
soprattutto del consolidamento del gigante biancorosso nella fascia media
del mercato, dove i terminali di serie L
stanno facendo sempre più presa sul
pubblico desideroso di avere gli ultimi ritrovati della tecnologia ma ad un
prezzo più contenuto dei top di gamma.
Se allarghiamo l’angolo visuale a tutta
LG Electronics, i dati continuano ad essere positivi con un +7,4% di crescita sul
di Roberto PEZZALI
2013, ricavi per 14,54 miliardi di dollari
ed utili per 449,61 milioni.
Sull’altra sponda del fiume Han, invece,
Samsung non sembra navigare nelle
stesse tranquille acque. Anzi: i numeri
del trimestre non sono ancora stati ufficializzati ma il colosso biancazzurro
mette le mani avanti per cercare di contenere lo scossone che arriverà in borsa
e sul mercato, annunciando previsioni
non ottimistiche e un forte segno meno,
attorno al -60% per quello che riguarda
gli utili YoY (year-over-year).
L’inarrestabile successo di iPhone al
vertice e la spinta dal basso delle varie
Xiaomi, Lenovo e la stessa LG sono le
ragioni individuate da Samsung a giustificazione delle perdite: c’è bisogno
di una nuova strategia, visto che stiamo
per entrare nel periodo più importante
dell’anno e la sfida non è mai stata così
accesa.
MERCATO Xiaomi snocciola numeri i molto incoraggianti: crescita di +25,2% su base annuale
Xiaomi entra nell’Olimpo degli smartphone
Il colosso di Pechino guadagna il gradino basso del podio alle spalle di Samsung ed Apple
di Michele LEPORI
n un mercato globalizzato come
quello di oggi può anche capitare
che dominare un solo mercato sia
sufficiente per entrare nel novero delle
Grandi: è quello che succede a Xiaomi,
l’astro più splendente del firmamento
Android che oggi è il leader indiscusso
del “solo” mercato cinese, ma tanto basta per piazzarsi alle spalle di Samsung
e della storica rivale Apple, che con i
due nuovi iPhone sta turbando più di
un dirigente biancazzurro. Secondo
IDC, infatti, Xiaomi è attualmente il terzo produttore di smartphone al mondo.
I numeri di Xiaomi parlano chiaro:
Bloomberg e Strategy Analytics fissano
a 327,6 milioni di pezzi venduti (+25,2%
YoY e +8,7% sul Q2) il successo della
realtà fondata da Jun Lei. Il faro delle
vendite è senza dubbio MI4, il flagship
che mette nel mirino S5 ed iPhone 6
e 6 Plus, senza dimenticare che l’aggressiva politica dei prezzi Xiaomi, che

I
torna al sommario
Andy Rubin
via da Google
Android perde
il suo papà
tramite la vendita diretta dello
store online, permette una riduzione dei costi al
minimo indispensabile.
La nuova sfida
sono ora i giovani e rampanti mercati del
sudest asiatico
e non, quali Singapore, HK, Vietnam,
Malaysia, Indonesia, Thailandia, Filippine, Turchia, Messico, India, Russia e
Brasile, dove la giovane realtà di Pechino tenterà l’espansione territoriale
e finanziaria.
Di contro troviamo Samsung, che dopo
l’annuncio dell’ottima trimestrale di LG,
ha messo le mani avanti su risultati che
saranno annunciati in profondo rosso,
secondo Strategy Analytics in ribasso
non solo finanziariamente ma anche
in termini di quote-mercato: dal 35%
di un anno fa al 24,7% stimato ad oggi.
La competizione serrata nel mercato
smartphone viene analizzata così da
Ryan Reith, program director di IDC:
“…oggi la sfida è diventata quella di
riuscire a guadagnare su prodotti che
stanno diventando alla stregua dei
beni di prima necessità ad una velocità
incredibile”. Non ci resta che aspettare i
dati ufficiali di Samsung per confermare
o smentire le previsioni degli analisti.
Andy Rubin se ne va: dopo
Hugo Barra, che è passato in
Xiaomi e sta davvero facendo
bene nel suo nuovo ruolo, Android (e Google) perdono un altro
pezzo da novanta. Andy Rubin
è uno dei creatori di Android,
10 anni sul progetto prima della decisione, maturata qualche
anno fa, di lasciare il timone di
Android a Sundar Pichai. Andy
Rubin era una delle figure forti in
Google e nell’ultimo anno aveva
ricoperto una carica abbastanza
importante, ovvero la direzione della divisione robotica dei
Google X Labs, i laboratori segreti dove sono nati i Glasses
e dove vengono progettati i
prodotti del futuro di Android. I
motivi dell’addio non sono noti:
secondo il Wall Street Journal
si è trattato semplicemente
della necessità di trovare nuovi stimoli, non a caso Rubin si
occuperà di start up hardware,
ma circolano anche indiscrezioni che spingono l’ipotesi della
rottura con i vertici aziendali.
Nel suo ruolo in Google, e con
un budget praticamente infinito,
Rubin poteva infatti soddisfare
ogni suo stimolo creativo, quindi un abbandono non ha molto
senso. Il suo posto in ogni caso
verrà ricoperto ora James Kuffner, mentre per quanto riguarda
Android Rubin ormai aveva ben
poca voce in capitolo. Sintetico il commento di Larry Page, il
CEO del motore di ricerca, che
ha ringraziato Rubin per aver
“realizzato qualcosa di davvero
incredibile con Android, il sistema operativo per smartphone
più diffuso al mondo”.
n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MERCATO Come previsto inizia la fase finale di passaggio dal brand Nokia a quello Microsoft
Benvenuti Microsoft Lumia, addio Nokia
Imminente il lancio del primo prodotto targato Redmond, le pagine social ufficiali si adeguano
di Massimiliano ZOCCHI
S
e dovessimo usare un’espressione popolare potremmo dire “il Re
è morto, viva il Re!”. Che sta più
o meno a significare che tutto cambia
restando sempre uguale. Dopo l’acquisizione da parte di Microsoft della
divisione mobile di Nokia è iniziato un
processo graduale per l’abbandono
del brand finlandese in favore di quello
americano. Processo già iniziato con
piccoli cambiamenti di marketing e di
comunicazione, che pare ora arrivato
alla fase definitiva. È quanto emerge
da un’intervista rilasciata da Tuula Rytilä, Vice Presidente per il marketing, sul
blog ufficiale Nokia Conversation. Le
sue parole appaiono subito chiare: dopo
i primi timidi cambiamenti, nei prossimi
giorni assisteremo a interventi più consistenti, a partire dalle pagine ufficiali
sui social network (Facebook, Twitter
e Instagram) che adotteranno la denominazione “Microsoft Lumia”. Lo stesso
blog dove troviamo le dichiarazioni di
Tuula migrerà presto abbandonando il
dominio Nokia.com. Sempre secondo la
Vice Presidente, ci saranno altri cambiamenti per quanto riguarda il packaging
dei prodotti e per il settore retail, con
il probabile adeguamento del materiale pubblicitario ed espositivo. Tutto
come precedentemente pianificato e
perfettamente nei tempi della tabella
di marcia predefinita. Nei giorni scorsi
ci sono stati diversi rumor riguardanti la
possibile presentazione di nuovi dispositivi della gamma Lumia, oltre che di
un possibile device indossabile. Tuula
Rytilä non si è certo lasciata sfuggire informazioni preziose, ma ha comunque
rivelato che effettivamente è previsto il
lancio a breve del primo dispositivo denominato Microsoft Lumia e che l’azienda, sotto la guida di Satya Nadella, spingerà molto per l’integrazione dei propri
servizi, Office, OneDrive, Skype e Bing.
Al termine del botta e risposta con Nokia Conversation, l’esperta di marketing
ha rassicurato tutti i possessori di modelli precendenti, chiarendo che non
verranno affatto considerati obsoleti,
e citando direttamente i recenti Lumia
730/735 e 830, facendo presagire che
molto probabilmente si tratta degli ultimi terminali sui quali vedremo il logo
Nokia. Logo che tuttavia non sparirà,
dato che tramite licenza ufficiale Microsoft produrrà telefoni cellulari dalla
caratteristiche entry level. Anche per
andare incontro alle abitudini di una
certa fascia di clientela, questi feature
phone continueranno a mostrare il glorioso marchio finlandese.
MERCATO Secondo Sonos, gli speaker Heos di Denon sono troppo simili ai propri modelli
Sonos e Denon: va in scena la guerra dei brevetti
Per far valere le sue idee, la casa di Santa Barbara non ha paura di andare in tribunale
di Michele LEPORI
e guerre di brevetti e licenze vanno
veramente di moda negli ultimi anni:
senza andare a ripescare i contenziosi fra Apple e Samsung che hanno
segnato a loro modo la storia delle due
aziende, stavolta sotto gli occhi della giuria ci sono due importanti nomi dell’audio quali D&M Holdings (più conosciuta
come Denon) e Sonos. Oggetto del contendere, il design dei brevetti della neonata linea Heos di Denon che secondo
il co-fondatore di Sonos Craig Shelburne
condivide ben più di qualche spunto
d’ispirazione. Anche la stampa specializzata americana e non si è interrogata
sulle similitudini fra i prodotti e proprio
questi articoli sono ad oggi parte integrante del documento con cui Sonos

L
torna al sommario
presenta il caso
all’attenzione
delle aule di giustizia statunitensi, sottolineando
come i rivali abbiano
infranto
almeno quattro
brevetti fra cui Multi-Channel Pairing in a
Media System, Method and Apparatus for
Controlling Multimedia Players in a MultiZone system, Method and Apparatus for
Adjusting Volume Levels in a Multi-Zone
System e Control Strip for Electronic Appliances: al di là degli aspetti tecnici e di
design, Sonos contesta anche il marketing della casa giapponese fin dal nome
e dalla pubblicità dei prodotti; Denon,
per pubblicizzare Heos, recita un “Fill
every room with music” troppo simile
all’originale “Fill your home with music”.
Dal 2002, anno in cui Sonos è entrata
nel mercato cominciando a dettar legge,
tutte le grandi hanno cercato di mettere
i bastoni fra le ruote alla nuova arrivata
ma questo sarebbe il primo caso - qualora i giudici avvalorassero le tesi portate in
aula - di questo tipo. Sonos giura di non
volere rimborsi economici ma solo la protezione delle sue idee e dei suoi valori.
4G Vodafone
in oltre
2.400 comuni
La rete 4G di Vodafone
continua a crescere
arrivando in 2.400
comuni e circa il 72%
della popolazione
Vodafone promette
entro il 2016 la crescita
anche della rete 3G
HSPA+ e della rete fissa
in fibra ottica
di Massimiliano ZOCCHI
Prosegue l’estensione della rete
4G di Vodafone Italia. L’azienda
comunica che sono circa 2.400 i
comuni raggiunti, pari a circa il 72%
della popolazione. Lo sviluppo della rete resta una priorità e oltre al
4G con il piano denominato Spring
verranno investiti altri 3,6 miliardi di euro per raggiungere quota
90% entro il 2016, traguardo entro
il quale verrà potenziata anche la
rete 3G HSPA+ e la rete fissa con
fibra ottica FTTC. Diverse sono le
iniziative di Vodafone che gravitano attorno al 4G, a partire dal roaming internazionale. Vodafone offre ai propri clienti la possibilità di
navigare in 4G in 18 paesi in tutto
il mondo senza spese aggiuntive.
Per sfruttare la banda disponibile
poi ci sono diversi servizi associati
al 4G: audio e video in streaming,
musica, film ed eventi sportivi. Da
segnalare, in particolare, la collaborazione con Spotify (sei mesi di
musica illimitata), le serie TV con
Infinity e le dirette del campionato
di calcio e coppe europee in HD
con Vodafone Calcio. Tutto questo
a partire da 5 euro al mese per il
piano con 1 GB di dati. Dallo scorso febbraio, inoltre, Vodafone ha
iniziato a Napoli la sperimentazione pubblica della tecnologia LTE
Advanced, che consente di raggiungere la velocità di 250 Mbps
su rete mobile.
n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MERCATO I nemici di ieri, adesso si stringono la mano per realizzare un protocollo di intesa
Accordo tra SIAE e i rivenditori di elettronica
Firmato un accordo tra SIAE, AIRES e ANCRA per il monitoraggio dei compensi per copia privata
di Gianfranco GIARDINA
IAE ha siglato un protocollo di
intesa con AIRES (Associazione
Italiana Retailer Elettrodomestici
Specializzati) e ANCRA (Associazione
Nazionale Commercianti Radio Televisione Elettrodomestici Dischi e Affini)
al fine di costituire un gruppo di lavoro
congiunto sul tema del compenso per
copia privata (nella foto a destra Gino
Paoli, presidente di SIAE, e Alessandro
Butali, presidente di AIRES) . L’intento dichiarato è quello di monitorare il mercato dei prodotti soggetti al compenso per
copia privata - come recita il comunicato
stampa - al fine di “di contrastare azioni
scorrette che possano compromettere
la giusta raccolta e la conseguente distribuzione dei diritti d’autore ai titolari e,
al tempo stesso, creare forme di concorrenza sleale a discapito degli operatori
commerciali onesti”. Il gruppo di lavoro
sarà composto da quattro componenti,
due per SIAE e uno ciascuno per le due
associazioni dei rivenditori, che presteranno la loro opera a titolo gratuito.
Da quanto si arguisce dal comunicato
stampa, si direbbe che il neocostituito
gruppo di lavoro debba identificare,
ovviamente facendo leva sulla conoscenza del mercato di AIRES e ANCRA,
eventuali comportamenti di possibile
evasione del compenso per copia privata; sarà poi SIAE, a cui spetta per
legge l’attività ispettiva su questo tema,
a fare le opportune verifiche e ad esigere gli eventuali versamenti mancanti.
In questo modo si vorrebbe evitare che
rivenditori “fuorilegge” si avvantaggino
dal mancato pagamento dei compensi
per copia privata, mettendo così in difficoltà i rivenditori onesti.
S
Voci di corridoio
prevedono l’integrazione
del servizio di streaming
Beats Music all’interno
di iTunes
Questo gruppo di lavoro si affianca
a quello appena costituito e nato da
un altro protocollo di intesa di fresca
firma tra SIAE e Federconsumatori,
che si è recentemente arricchito di un
nuovo membro, Adusbef (Associazione
Difesa Utenti Servizi Bancari Finanziari
Postali e Assicurativi): il tema è simile, lo
schema di accordo anche, ma il tavolo,
purtroppo, diverso. In pratica SIAE sta
ricostruendo, ma fuori dalle sedi istituzionali, il cosiddetto tavolo tecnico sulla
copia privata istituito dal Ministero dei
Beni Culturali e mai convocato; lo sta
facendo, però, creando una serie di
interlocuzioni “private” e asincrone in
cui assume il ruolo di “centro stella”.
Eppure, tanto per fare un esempio, a
questo tavolo tra SIAE e i rivenditori, i
consumatori (magari anche oltre la sola
Federconsumatori) sarebbero stati graditi garanti.
Siamo riusciti a entrare in possesso
del protocollo di intesa SIAE-AIRESANCRA scaricabile integralmente da
questo link. Dal documento emergono
più chiaramente gli obiettivi del tavolo

SIAE continua la sua campagna acquisti: Gino Paoli, presidente di SIAE, stringe
la mano a Elio Lannutti, presidente Adusbef.
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L’idea di Apple
Beats Music
in iTunes a 5$
al mese
congiunto tra SIAE e rivenditori. In particolare l’attività che il comitato dovrebbe svolgere riguarda l’individuazione
di situazioni di possibile evasione del
compenso da parte di rivenditori poco
trasparenti per permettere a SIAE, in
raccordo con le Forze dell’Ordine, di intervenire con l’attività ispettiva. Emerge
anche che il gruppo di lavoro dovrebbe
redigere semestralmente una relazione
sul lavoro svolto e sulle problematiche
emerse. Resta apertissima la questione relativa ai siti esteri che vendono a
consumatori italiani (ovviamente senza
compensi SIAE) e alla quale difficilmente questo gruppo di lavoro riuscirà a
dare concrete risposte e il cui effetto di
competizione anomala è in alcuni ambiti dirompente.
Di certo alcuni aspetti dell’accordo stupiscono: le posizioni tra SIAE e rivenditori erano molto distanti solo tre mesi fa,
proprio sul tema copia privata. AIRES e
ANCRA partecipavano alle conferenze
sull’argomento schierandosi tra i più agguerriti detrattori dell’intera disciplina e
degli atteggiamenti della stessa SIAE.
Per contro SIAE, proprio durante l’estate, era entrata in evidente conflitto con i
rivenditori italiani insegnando ai consumatori a comprare all’estero con l’ormai
celebre “scivolone” dell’acquisto degli
iPhone in Francia e prima ancora con
la dichiarazione-provocazione di voler
diventare essa stessa un rivenditore
di smartphone. La vicinanza del Natale
e una certa dose di sano realismo devono aver placato gli animi.
In ogni caso, al di là ogni considerazione
preliminare, gli unici elementi sulla base
dei quali potrà essere valutata questa
iniziativa sono le azioni che il gruppo
di lavoro porrà in essere nei prossimi
mesi. Non resta che attendere.
di Massimiliano ZOCCHI
Da quando Apple ha rilevato Beats
Music non passa settimana senza
un rumor o una notizia sulla nuova
unione. Questa volta non si tratta
di problemi di brevetti o simili, ma
delle modalità con cui Cupertino
fonderà Beats Music (attualmente
disponibile solo in USA) nel suo
ecosistema. Fonti vicine al Wall
Street Journal parlano di 2015
come traguardo in cui vedremo
il servizio di streaming musicale
Beats Music integrato all’interno
di iTunes.
Sempre secondo il Journal, nell’ultimo anno c’è stato un calo nelle
vendite musicali all’interno di iTunes Store, con un ribasso del 13%.
Difficoltà già emerse nel 2013 ma
con diminuzioni in singola cifra. Sicuramente una parte significativa
di questo calo è da attribuirsi al
proliferare di servizi di streaming
musicale, spesso con modalità
gratuite e dalla buona qualità, oltre che on demand su PC e
tablet. I vari
Spotify,
Deezer, la
stessa iTunes Radio,
sono visti
ovviamente
di buon occhio
dagli utenti poco
propensi alla spesa, o che non
vogliono spendere affatto. Nulla
di certo su quelle che potrebbero
essere le modalità di abbonamento, ma alcuni rumor vedono Apple
costantemente al tavolo con le
major per negoziare accordi che
permetterebbero l’ascolto illimitato su tutti i dispositivi per 5 dollari mensili, la metà di tutti i servizi
concorrenti. In questo modo Apple, che arriva nello streaming musicale in ritardo, potrebbe davvero
rientrare in partita.
n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
TV E VIDEO LG alla fine del mese di novembre interromperà la produzione dei TV al plasma
Il plasma è morto: anche LG stacca la spina
A dare l’annuncio è un dirigente di LG. Il plasma ormai non era più un business interessante
di Roberto PEZZALI
I
l plasma ora è morto per davvero.
Panasonic ha scavato la buca,
Samsung ha comprato la bara e LG
si prepara a celebrare il funerale.
Un dirigente di LG Electronics, infatti,
ha dichiarato che a fine novembre LG
dismetterà il reparto plasma, una nicchia di mercato che valeva solo il 2.4%
del fatturato annuale. I plasma LG non
sono mai stati nel cuori dagli appassionati, ma l’azienda coreana aveva
costruito attorno al plasma di grosso
formato a basso costo un enorme business, soprattutto nei paesi emergenti.
“Abbiamo tenuto fino a quando abbiamo potuto”, ha dichiarato il portavoce
di LG Ken Hong alla Reuters, “il plasma
non è più un business”.
A fine novembre anche Samsung SDI,
Il regista di Avatar non
è impressionato dalla
realtà virtuale e non la
vede come un nuovo
schermo per il cinema
E per il mancato
“sfondamento” del
3D nella case dice: se
Apple facesse un iPad
con schermo 3D...
l’azienda che realizzava i pannelli per
Samsung Electronics, cesserà la produzione e si concentrerà su altri segmenti di mercato. L’addio al plasma di
LG è comunque il meno sofferto, non
tanto per i prodotti ma più che altro
perché LG, con i suoi investimenti
sull’OLED, è l’unica azienda che al
momento può far ben sperare quella
nicchia di appassionati che amava il
nero super che solo un plasma, prima
dell’OLED, poteva offrire.
ENTERTAINMENT Secondo la società di analisi Bernstein sarebbe un vantaggio per entrambe
Mediaset Premium ceduta a Sky: solo fantasie?
Mediaset si libera di un asset in perdita, Sky diventa il deux ex machina della pay TV
U
di Roberto PEZZALI

na cessione della pay TV
Premium da Mediaset a Sky sarebbe sensata e darebbe vantaggi a tutti, sia alle aziende sia ai consumatori. Sono queste le conclusioni a
cui è giunta una analisi di Bernstein in
seguito alle indiscrezioni che parlavano di una trattativa tra Sky e Mediaset
per mettere le mani sul pacchetto pay
del Biscione. Secondo la società di
analisi le indiscrezioni erano in realtà
pilotate da Sky che voleva in qualche
modo recapitare un messaggio chiaro
a Mediaset: siamo disposti a valutare
l’acquisizione, anche perché la scelta
di altre vie potrebbe essere davvero
rischiosa per Mediaset.
Una operazione, quella della cessione
di Mediaset Premium a Sky, che “farebbe nascere di fatto un unica grande
pay TV italiana, con diversi benefici
per i consumatori. Prima di tutto Sky
avrebbe a disposizione anche tutte le
frequenze del digitale terrestre e potrebbe diversificare la sua offerta, e in
secondo luogo l’assenza di concorrenza abbasserebbe i prezzi dei pacchetti
più delicati, soprattutto del calcio dove
torna al sommario
Secondo
James Cameron
Oculus Rift
è noioso
negli ultimi anni si è registrato un rialzo
dei costi.”
Secondo Bernstein, l’antitrust potrebbe
addirittura accettare una acquisizione
così clamorosa, soprattutto se c’è il benestare di Silvio Berlusconi. Mediaset
Premium, dopo i primi anni in difficoltà,
sta registrando un sostanziale pareggio
tuttavia per restare in questa situazione
dovrebbe incrementare nei prossimi
anni i suoi abbonati del 25%, operazione tutt’altro che facile: la pay TV infatti
deve trovare il modo di bilanciare con
le entrate le spese per i diritti della
Champions, acquisiti in esclusiva.
Secondo la società di analisi quindi tenere Premium da sola nei prossimi anni
vuol dire anche rischiare di aggiungere
un segno meno al bilancio Mediaset,
mentre la cessione a Sky con la possibilità di inserire pubblicità e magari
qualche prodotto Mediaset potrebbe
portare più introiti. Da escludere la terza strada, quella della fusione di Mediaset Premium con Telecom: in assoluto è
la più pericolosa.
di Paolo CENTOFANTI
I primi commenti pubblici di
James Cameron sull’ultima novità in fatto di realtà virtuale,
l’Oculus Rift, sono piuttosto tiepidi, fino a definire il prodotto tutto
sommato noioso. In Strange Dyas,
scritto e prodotto da Cameron, la
realtà virtuale è una droga usata
per rivivere esperienze passate
di altri. Di certo per Cameron non
rappresenta qualcosa di nuovo, né il futuro del cinema: “Vuoi
muoverti in un ambiente di realtà
virtuale? Si chiama video gioco”,
sottolineando come l’Oculus sia
un buono schermo per sperimentare qualcosa che già c’è. Piuttosto, ha detto Cameron nell’intervista alla conferenza WSJ.D Live
del Wall Street Journal, sarebbe
interessante esplorare una nuova
forma di narrativa interattiva, che
mischi elementi del cinema e dei
video giochi. Sul tema del 3D, invece, Cameron ammette che sulla
diffusione nelle case si è sbagliato e la colpa è sicuramente degli
occhialini, qualcosa che le persone sono disposte a indossare al
cinema e non nel proprio salotto.
L’unica speranza, dice Cameron,
sarebbe nelle TV 3D senza occhiali, ma “ci vorrebbe qualcosa
come un iPad 3D per farlo entrare
davvero nelle vite delle persone”.
n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
TV E VIDEO Abbiamo intervistato Yuki Kusumi, Director of Television Business Division Panasonic
Panasonic: tutta la verità su OLED e plasma
Ci ha parlato di OLED, di TV curvi e dei plasma sostituiti dall’arrivo di un prodotto migliore
I
di Roberto PEZZALI

l capo della divisione TV, audio e home audio di Panasonic è
Mr. Kusumi e la sua parola conta
quando si tratta di decidere se continuare con I plasma, di realizzare un TV
curvo o di partire con gli OLED. Lo abbiamo incontrato e non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di fargli qualche
domanda...
DDay: Cosa è successo al plasma?
Yuki Kusumi: “E’ stata una decisione
davvero dura. Dal nostro punto di vista
abbiamo il dovere di dare ai nostri consumatori il miglior prodotto. È chiaro
che Panasonic era ed è tutt’ora tifosa
del plasma, ma i tempi per cambiare
erano maturi. Il plasma aveva grandi
vantaggi, come le performance nella
riproduzione dei colori e il suo essere
“self emitting”, tuttavia abbiamo capito
che oltre non si poteva andare. Quando abbiamo visto che con il nostro ultimo pannello, quello usato sulla serie
AX900, siamo riusciti a ottenere prestazioni analoghe abbiamo maturato
la decisione di proseguire sulla strada
che aveva più ampi margini di miglioramento. E’ stata un lavoro durissimo,
ma grazie ad un color management
system completo e ad un sistema di
retro-illuminazione veloce siamo riusciti ad ottenere da un pannello LED
quello che prima ci aspettavamo da un
plasma”.
DDay: Il plasma tuttavia fa parte della
storia di Panasonic, il LED invece è una
pietra miliare della storia di Samsung.
I consumatori forse si aspettavano, al
posto del plasma, qualcosa che potesse non essere equivalente al plasma
ma migliore. L’OLED, che sembrava
imminente che fine ha fatto?
YK: “L’OLED è una tecnologia ancora
molto costosa. Il pannello è costoso, troppo costoso. I pannelli OLED
che esponiamo alle fiere sono solo
“sondaggi” per capire se ci sono margini per realizzare sample da dare ai
rivenditori e a tutti i nostri potenziali
clienti. L’idea attuale è il LED e forse
dobbiamo migliorare nella comunicazione: il nostro obiettivo non è realizzare il miglior LCD LED, ma realizzare
un pannello che sia meglio del plasma.
Quello che vogliamo far capire è che
abbiamo abbandonato il plasma solo
per dare qualcosa di migliore”.
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B&O PlayA2
Il diffusore
portatile a 360°
La creatura della
famiglia B&O Play
non ha fronte-retro
e sopra-sotto, ha una
batteria da 24 ore
di autonomia e una
finitura molto elegante
Costa 349 euro
di Roberto FAGGIANO
DDay: Cosa ne pensa Panasonic dei
TV curvi?
YK: “La nostra forza è sempre stata la
qualità di visione. Da un punto di vista
della qualità di visione ci sentiremmo
in imbarazzo ad affermare che i TV
curvi hanno una qualità d’immagine
migliore”.
DDay: Quindi secondo Panasonic i TV
curvi sono peggio di quelli piatti?
YK: “No, semplicemente pensiamo che
non ci siano miglioramenti. L’angolo
di visione diventa molto più stretto
ad esempio, e l’unico vero motivo per
scegliere un TV curvo è estetico, un TV
curvo arreda da solo”.
DDay: Tutti però stanno facendo TV
curvi...
YK: “Certo. Tutti i rivenditori ci stanno
chiedendo di realizzare TV curvi, perché alla fine è quello che la gente chiede quando entra nei negozi. Anche i
nostri rivenditori all’inizio erano un po’
dubbiosi, poi si sono convinti che il curvo era qualcosa che dovevano avere:
sono i frutti della pubblicità massiccia
di Samsung”.
DDay: Capitolo Smart TV, dopo 5 anni
possiamo definirlo un fallimento?
YK: “Noi stiamo cercando di migliorare
anno dopo anno. Ci rendiamo conto
che tante cose ormai si possono fare
anche con il tablet, ma il nostro approccio è quello di dare qualcosa in
più e soprattutto su uno schermo più
grande. Sono tentativi, ovviamente,
e ogni anno ne aggiungiamo di nuovi: non tutto quello che facciamo può
andare a buon fine, ma riusciremo a
trovare la giusta ricetta”.
DDay: Avete detto che voi siete per
la qualità. Perché non togliete tutto
quello che è in più e non ridate alla
gente un TV semplice, solo tuner e
ingressi, con un media player ben
fatto e con una grandissima qualità
di visione?
YK: “Nella nostra visione di TV del
futuro il TV non è più quella classica
di oggi. Non è solo uno schermo, ma
un display integrato nella casa che
può divertire e essere anche utile. Resta sempre uno schermo, è vero, ma
i canali, le app e molto di quello che
definiamo oggi TV andrà a sparire, per
tornare sotto una nuova forma. Non
vogliamo chiamarlo TV: quella che
abbiamo in mente è qualcosa che va
oltre il TV, è entertainment a 360° che
esce dal classico concetto di TV. Per
farlo ovviamente abbiamo bisogno ora
di studiare nuove idee e la Smart TV
ci aiuta”.
Panasonic VIERA AX902
Il nuovo AX900: secondo Panasonic
è meglio del plasma
Il nuovo BeoPlay A2 è un diffusore portatile per diffondere musica
da smartphone e tablet, la sua
particolarità è la diffusione sonora
a 360°, ottenuta tramite la collocazione di altoparlanti anche sul
lato posteriore. In particolare sul
diffusore sono montati due larga
banda da 7 cm, due radiatori passivi rettangolari e due tweeter da
2 cm. Questa specularità sui due
lati è chiamata True360 sound
experience e diffonde la musica
in modo più ampio rispetto al solito, una soluzione utile nell’uso
portatile. La potenza disponibile
è di 180 watt con amplificazione
in classe D. Fuori dal comune
anche la durata della batteria ricaricabile integrata, ben 24 ore
con 3 ore di tempo di ricarica. Il
collegamento a smartphone e
tablet avviene tramite Bluetooth
con aptX, disponibile comunque
anche un ingresso minijack stereo universale. Le dimensioni del
Play A2 non sono proprio microscopiche: le misure precise sono
di 256 x 142 x 44 mm (L x A x P)
con un peso contenuto a 1,1 kg
grazie al telaio in alluminio. Per
il trasporto si può utilizzare l’elegante cinghietta in pelle, con colore coordinato alle tre versioni
disponibili: nero, verde chiaro e
grigio/crema. Concludiamo con
il prezzo, quasi contenuto per il
marchio, pari a 349 euro.
n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
TV E VIDEO Visita alla fabbrica dove Delta produce e sviluppa apparecchi per decine di brand
Siamo stati in Cina alla scoperta di Delta
Qui nascono (quasi) tutti i videoproiettori
Pochi conoscono Delta Electronics, ma molti hanno in casa qualcosa prodotto da loro
di Roberto PEZZALI
elta Electronics è una azienda di
Taiwan che fattura oltre 7 miliardi
di dollari all’anno: apparentemente il nome Delta non dice molto, ma siamo abbastanza certi che ognuno in casa
ha almeno un dispositivo prodotto da
Delta. Delta infatti produce oltre il 50%
di tutti gli alimentatori, fissi e portatili, dei
dispositivi che vengono utilizzati ogni
giorno: l’alimentatore interno di PS3 e
PS4 è prodotto da Delta, e prodotti da
Delta sono anche gli alimentatori esterni
di quasi tutti i portatili, MacBook inclusi. Negli ultimi anni la produzione si è
spostata poi sui piccoli alimentatori per
smartphone e tablet, un business enorme. Creata nel 1971 da Bruce Cheng,
Delta Electronics è cresciuta anno dopo
anno, investendo il 5% del fatturato in ricerca e sviluppo e ampliando i suoi settori di interesse dalla pura alimentazione
ai componenti industriali, all’illuminazione e al consumer.
L’impatto di Delta sul mondo in cui viviamo è incredibile: l’ottimizzazione
dell’efficienza dei suoi alimentatori dal
2010 al 2012 hanno permesso di ridurre
Fire TV Stick è una
chiavetta HDMI con
8 GB di memoria
e la logica Fire TV
per accedere
ai contenuti di Amazon
D
In Delta vengono prodotti tantissimi
modelli di proiettore: gli operai
studiano il manuale di assemblaggio
prima di mettersi all’opera.

Il cuore di un proiettore a 3 chip
DMD: la costruzione è complessa
così come la taratura.
torna al sommario
Amazon lancia
Fire TV Stick
L’ennesimo
tentativo di
cambiare la TV
di Roberto PEZZALI
le emissioni di CO2 di 5 tonnellate. La
storia di Delta Electronics è affascinante
e lunga: il suo fondatore, Bruce Cheng,
ha scritto una autobiografica dal titolo
“Solid Power” interessante e allo stesso
tempo piena di aneddoti: vale la pena di
leggerla. Vi stiamo raccontando questo
perché siamo stati a visitare una delle
aziende di Delta a Suhzou, in Cina, per
la precisione la fabbrica di videoproiettori. Quello che non vi abbiamo ancora
detto di Delta, infatti, è l’esistenza di
un ramo d’azienda dedicato al video e
noto come Vivitek. Vivitek è un marchio
decisamente giovane, è stato creato
nel 2008 e presentato all’IFA il settembre successivo, e della famiglia Delta
/ Vivitek fa parte anche il brand Qumi,
proiettori piccolissimi a LED dedicati all’installazione portatile e pratica.
Il perché una azienda come Delta si sia
messa a fare videoproiettori con il suo
marchio lo abbiamo scoperto proprio
a Suzhou, nelle sue fabbriche: Delta
da anni produce e sviluppa proiettori
DLP di ogni tipo per quasi tutti i brand
del mercato. E’ bene soffermarsi sulle
parole “sviluppa” e “produce” perché
il ruolo di Delta non è uguale a quello
di altre aziende cinesi che assemblano:
Delta ha centri di sviluppo e ingegneri
che sono in grado di realizzare proiettori partendo dal chip DMD, e questo vale
per proiettori di tutti i tagli e di tutte le
dimensioni inclusi anche i grossi e delicati 3 chip DLP. Per tutelare i suoi clienti
durante la nostra visita Delta non ci ha
ovviamente permesso di fotografare la
catena produttiva di Nec, Barco, Optoma e di altri brand, ma abbiamo visto
con i nostri occhi le scatole, le schede
e i prodotti che venivano montati e provati da un numero praticamente infinito
di impiegate. In Delta, a Suzhou, lavora-
no infatti circa 30000 persone e 25000
sono donne tra i 18 e i 30 anni: sono loro
a mettere insieme i pezzi dei prodotti e a
collaudarli, mentre lo sviluppo delle varie piattaforme avviene a Taipei e negli
altri centri di ricerca dell’azienda.
Il modo di lavoro di Delta in qualche
modo stupisce: ogni anno Delta crea
una serie di proiettori con specifiche e
caratteristiche differenti e i vari produttori acquistano il “progetto” per metterlo in produzione con un loro design.
Semplici economie di scala, ma anche
la consapevolezza che nel mondo della proiezione due prodotti che possono
anche sembrare diversi sotto la scocca
potrebbero anche essere identici (e non
sono nel mondo della videoproiezione).
Delta è in grado di offrire una personalizzazione a diversi livelli, dal solo percorso ottico al proiettore completo: in
qualche caso, soprattutto per i proiettori
più costosi, alla produzione partecipa
anche il committente e il progetto ovviamente non viene poi condiviso con altri
produttori. Un know how, questo, che è
sfociato nella produzione di proiettori
con il proprio brand, Vivitek, proiettori
dal design unico che sono il frutto proprio delle conoscenze di Delta raccolte
producendo proiettori per terzi. Fatta
eccezione per il chip DMD, prodotto da
Texas Instrument, e per la lampada, che
può arrivare da diversi fornitori, tutti i
componenti sono prodotti direttamente
da Delta, inclusi i filtri della ruota colore e tutti gli elementi ottici. urtroppo la
maggior parte delle sezioni che abbiamo visitato sono coperte da rigide politiche di sicurezza e non è stato possibile
fare foto. Ci riferiamo ad esempio ai laboratori chimici per l’analisi dei materiali,
a quelli per le emissioni elettromagnetiche e alla divisione lenti e ottiche.
Ad Amazon non basta Fire TV:
dopo aver lanciato il suo set top
box per la TV interattiva il colosso dell’ecommerce replica con
una chiavetta, la Fire TV Stick.
Si collega in HDMI alla TV, ha un
telecomando e permette di accedere via internet a tutti i contenuti presenti su Amazon Prime,
ad alcune app selezionate e a
video e foto e nell’account Amazon Cloud Drive. Non arriverà in
Italia, almeno per ora: la sezione
contenuti video è attualmente
inesistente e un prodotto simile
non avrebbe senso per Amazon.
La nuova Fire TV Stick, in vendita a soli 39 dollari, è una piccola
chiavetta con processore dual
core, 1 GB di RAM, 8 GB di memoria e una doppia antenna per il
WI-FI: si collega alla rete e mette
in mostra una interfaccia semplice e pratica. Amazon Fire TV Stick
non è comunque Chromecast: la
chiavetta di Google, infatti, è un
adattatore privo di interfaccia
che serve a riprodurre contenuti
selezionati su uno smartphone
che funziona come telecomando,
mentre la Fire TV Stick ha una
sua interfaccia e una sua logica
di gestione. Ben venga il nuovo
hardware, tuttavia è bene non
dimenticare che sono i servizi a
fare la differenza.
n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
HI-FI E HOME CINEMA Bowers & Wilkins ha presentato il suo primo diffusore portatile, costa 349€
B&W T7 è il diffusore Bluetooth a nido d’ape
Dimensioni e peso sono contenuti, la tecnologia deriva dai prestigiosi diffusori domestici
E
di Roberto FAGGIANO
cco il diffusore che mancava in
casa B&W. Il nuovo T7 si candida a
diventare il riferimento tra i piccoli
diffusori portatili per smartphone con
connessione Bluetooth e aptX.
Dal punto di vista estetico il nuovo
diffusore mette subito in luce una sua
caratteristica esclusiva, la struttura a
nido d’ape Micro Matrix che circonda
il diffusore vero e proprio, creando una
barriera contro le vibrazioni in ogni situazione.
All’interno del T7 troviamo poi un sistema di altoparlanti stereo con doppio
altoparlante in fibra di vetro da 5 cm e
un radiatore passivo centrale per le frequenze più basse. Entrambi sono realizzati specificatamente per questo modello, per fornire le migliori prestazioni
anche con un cabinet così piccolo.
L’amplificazione è del tipo digitale in
classe D con potenza di 12 watt e circuito di elaborazione DSP. La batteria
Costa ben 20 dollari
al mese ma offre
streaming audio FLAC
e videoclip musicali
in alta definizione
Con un database
di 25 milioni di brani
è la scelta ideale
per l’audiofilo
ricaricabile integrata
ha un’autonomia di
circa 18 ore. Oltre al
Bluetooth è presente
un ingresso minijack
per collegare direttamente qualsiasi sorgente. I controlli
diretti per il volume sono sul lato superiore. Le dimensioni del T7 sono di
210 x 114 x 54 mm (L x A x P) mentre
di Emanuele VILLA
il peso è di 940 grammi. Il prezzo del
nuovo diffusore è di 349 euro. la disponibilità è immediata.
HI-FI E HOME CINEMA Tante funzioni e riproduzione Bluetooth per l’ultimo arrivo da Tivoli Audio
Tivoli Music System Three: radio e Bluetooth portatile
Può essere facilmente trasportato e funziona anche a batteria. Prezzo a partire da 299 euro
di Roberto FAGGIANO
L

a famiglia di radio Tivoli Audio è
sempre più ampia. L’ultimo arrivato
è il Music System Three, un modello portatile che funziona con batteria
ricaricabile e si rifà nell’estetica alla recente radio Albergo. Il nuovo modello è
in versione stereo con doppio altoparlante e accordo reflex posteriore. Oltre
alla radio in versione FM oppure DAB+,
il Three riceve segnali anche via Bluetooth da qualsiasi dispositivo compatibile; inoltre è disponibile un ingresso
minijack per qualsiasi sorgente e l’uscita cuffia. Potete usare il System Three
anche come sveglia grazie al doppio
orario impostabile. Nonostante le dimensioni non proprio contenute, pari
a 29 x 11 x 11 cm (Lx A x P) e al peso di
circa 1,8 kg, il nuovo modello Tivoli ha
un pratico incavo sul retro per facilitare il trasporto. La batteria integrata ha
un’autonomia dichiarata di 20 ore.
Oltre al telecomando in dotazione c’è
torna al sommario
Tidal è lo
streaming
musicale
per audiofili
anche un’applicazione per il controllo
a distanza da smartphone Android e
iOS. Per migliorare la resa sonora dai
due larga banda da 7,5 cm, è stato integrato un circuito “Analog wide” per
ampliare il fronte stereofonico; disponibili anche i controlli di tono su bassi
e acuti. Il display centrale può mostrare
l’orologio, la sveglia, la frequenza FM,
il nome della stazione radio, tutte le
informazioni del DAB+ e altri dati sulla
musica trasmessa senza fili.
Il Music System Three è già disponibile in colore bianco o nero; i prezzi
di listino sono di 299 euro per la versione con radio FM e 349 euro per la
versione DAB+. Curiosamente il prezzo è identico a quelli delle analoghe
versioni Albergo, per le quali è quindi
prevedibile una diminuzione.
Diciamolo subito, onde evitare
fraintendimenti: il servizio offerto
da Tidal è al momento disponibile solo negli Stati Uniti e in UK
ma, stante l’origine europea dell’azienda, non c’è dubbio che a
breve arriverà un po’ ovunque
nel vecchio continente. Quello
che Tidal soffre agli amanti della
qualità musicale un’alternativa
“hi-end” ai vari Spotify, Deezer,
Rdio e affini: potrebbe sembrare
un servizio di nicchia per pochi
appassionati e, soprattutto, dotato
di pochi brani, ma in realtà il database da 25 milioni di brani FLAC a
16 bit (vera e propria “qualità CD”,
essendo FLAC un codec lossless)
lo rendono adatto a tutti, a patto di
voler ascoltare con la medesima
qualità della sorgente originale.
L’azienda, la svedese Aspiro AB,
è convinta che una piattaforma di
streaming di elevata qualità sia comunque sostenibile, a patto di far
pagare agli utenti un abbonamento premium da 20 dollari mensili.
Oltre alla musica l’abbonamento
a Tidal permette l’accesso a migliaia di videoclip musicali, anche
qui con qualità HD di alto livello,
e a svariati contenuti editoriali a
tema musicale, come biografie,
articoli e approfondimenti a tema.
Il servizio è attualmente disponibile via Web ma anche tramite app
iOS e Android.
n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
PC Un tool permette eliminare da Chrome le estensioni e i moduli installati da altri programmi
Google rimuove le “schifezze” da Chrome
In pochi secondi è possibile ripulire il PC senza necessariamente reinstallare Windows
L
di Roberto PEZZALI
a maggior parte dei software o
programmi disponibili su internet
spesso installa anche estensioni
e programmi di terze parti non desiderati. L’installazione “standard” di
molti freeware, infatti, nasconde anche
l’aggiunta di componenti dei browser o
estensioni come le barre di ricerca che
sono difficili da debellare se non si è
un esperti.Non sono virus, sia chiaro,
ma semplicemente programmi invasivi
denominati “creeepware” che creano
solo fastidio e spesso anche rallentamenti o situazioni indesiderate, come
ad esempio l’impostazione di altri motori di ricerca al posto di quello preselezionato.
Google ha realizzato un tool denominato Software Removal Tool che promette
l’eliminazione di tutti i componenti e le
estensioni che in qualche modo hanno
PC
Windows 10
ama l’MKV

Windows 10 strizza l’occhio al
formato MKV: il noto container per
file video, infatti, viene riprodotto
dalla build 9860 senza bisogno di
installare codec o player. Una scelta
che farà piacere a molti e che solleverà qualche polemica tra gli addetti ai
lavori nel segmento “Cinema e Entertainment”, che non vedono di buon
occhio il formato MKV, container preferito per veicolare contenuti pirata
in HD. Se è vero che non è il formato
ad essere illegale, ma l’uso che se ne
fa, è anche vero che i contenuti legali
compressi MKV si contano sulle dita
di una mano. Chi ha installato l’ultima build di Windows può fare una
prova molto semplice, scaricando dal
sito di DIVX un breve trailer del cortometraggio Sintel compresso appunto
in MKV: Windows Media Player avverte l’utente che il formato potrebbe
non essere supportato, ma dopo aver
confermato la propria decisione il
video parte senza problemi. E’ una
prima integrazione molto povera,
senza sottotitoli e con supporto ai
vari formati audio molto limitato, ma
c’è tempo per migliorare, o per fare
marcia indietro.
torna al sommario
Con 49 euro
puoi usare
Kinect di Xbox
su Windows
Con un accessorio
i sensori Kinect per
Xbox One si potranno
utilizzare anche su
Windows: Microsoft per
stimolare l’uso di Kinect
anche sul PC ha aperto
una sezione dedicata
sul Windows Store
cambiato il comportamento di Chrome,
ripristinando il sistema al suo stato originale. Il tool funziona bene: abbiamo
provato a lanciarlo su alcuni computer
e in un caso ha rilevato una minaccia
che ha prontamente eliminato. Purtroppo Google non ci dice qual’era la
minaccia e cosa comportava, l’ha sem-
plicemente debellata. Una buona cosa,
anche perché spesso sono elementi
che non si eliminano disinstallando e
reinstallando il browser ma richiedono
una pulizia più profonda e a volte la
reinstallazione del sistema operativo.
Purtroppo la “pulizia” di Google è efficace solo in ambito Chrome.
PC L’accesso a Gmail diventa più sicuro con la Security Key
In Gmail si entra con la chiavetta
di Emanuele VILLA
oogle ha annunciato il supporto per Security Key, uno standard aperto il cui
fine è quello di permettere l’accesso ad account web usando uno strumento
fisico, ovvero una chiavetta USB. Per Google si tratta dell’ennesimo tentativo
di rafforzare la security del proprio sistema, che già prevede (a richiesta) un sistema di autenticazione a due passaggi mediante l’uso della password e di un codice
generato dinamicamente, anche tramite un’app per Android e iOS. Il sistema non
è nulla di rivoluzionario, sistemi basati sull’autenticazione fisica esistono da decenni, ma questa è la prima volta che viene impiegato in una piattaforma consumer
così diffusa come Gmail. Google non rinuncia all’uso della password, che dovrà
comunque essere inserita al momento del log in per evitare che chiunque possa
accedere alla posta altrui solo con la chiavetta. Essendo un prodotto consumer
deve essere anche molto economico e in effetti i vari OEM propongono chiavette
anche a 6 dollari di prezzo. Inoltre, si ipotizza che la chiavetta sia solo il primo
passo e che nelle intenzioni di Google ci sia già l’autenticazione sicura via sensori
biometrici, NFC e via dicendo.
G
di Roberto PEZZALI
Chi ha una Xbox con Kinect ma
ha deciso che alla fine di Kinect
non sa proprio cosa farsene ora
può riciclarlo a basso costo sfruttandolo con Windows. Microsoft
ha infatti annunciato un adattatore che permette di usare Kinect
di Xbox One anche su Windows,
evitando così di dover comprare
la versione che Microsoft ha appositamente preparato per i PC.
Microsoft vuole spingere l’adozione di Kinect sui desktop e
per farlo ha anche rilasciato gratuitamente il nuovo SDK Kinect
2.0, per permettere lo sviluppo
di app dedicate al sensore 3D.
Una ulteriore spinta alla creazione di applicazioni che sfruttano il
riconoscimento vocale e gestuale
arriverà anche dalla possibilità di
creare e vendere queste app sul
Microsoft Store: per la prima volta
gli sviluppatori potranno monetizzare sulle app create per Kinect
e gli utenti avranno una sezione
dello Store dedicata a questo tipo
di applicazioni. Una scelta che potrebbe spingere anche la stampa
3D in ambito casalingo: tra le app
gratuite rilasciate da Microsoft e
utilizzabili con Kinect su PC c’è
infatti 3D Builder, un software che
permette di scansionare persone
e oggetti realizzando un modello
3D da replicare o modificare.
n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
PC HP Sprout e un PC desktop con pad, proiettore e camera 3D al posto di mouse e tastiera
HP ha presentato il PC desktop del futuro
Dedicato a un pubblico creativo, è disponibile negli Stati Uniti al prezzo di 1899 dollari
di Emanuele VILLA
I
n un periodo in cui l’innovazione latita
un po’ su tutti i fronti, l’idea di rivoluzionare il concetto di desktop computer va accolta positivamente, anche se
non possiamo sapere quanto ciò avrà
successo. HP Sprout è, in sostanza, un
PC desktop basato su Windows, un po’
come tutti gli altri. Ha il suo bel display
ampio, il suo storage da 1 TB e il processore Core i7 per garantire prestazioni di
alto livello: in più il display è touch, il che
lo rende un “all in one” di nuova concezione. Ma quello che lo rende il PC del
futuro (disponibile da questo mese, ndr)
è il fatto che non ha nessun mouse nè
tastiera: al loro posto un pad di ampie
dimensioni abilitato al multitouch e, soprattutto, un evoluto sistema posto sulla
cornice superiore e dotato di proiettore
DLP e lampada LED, camera RealSense
3D e modulo fotografico da 14,6 Mpixel.
Il motivo di tutto ciò è presto detto, anche se poi le applicazioni saranno infinite: mentre il proiettore “disegna” l’immagine sul pad touch, con il quale l’utente
YouTube finalmente
gestisce i video a 48p
e 60p in modalità
nativa, ne beneficiano
le sequenze di gioco
i video girati con le
action cam, i timelapse
e gli slow motion
Prossimo passo HEVC
può interagire (da un banale uso come
tastiera fino alla manipolazione avanzata di oggetti), la fotocamera esegue la
scansione, anche 3D, degli oggetti posti
sul pad e che possono essere poi utilizzati da app ad hoc. È dunque evidente
la destinazione di HP Sprout verso un
pubblico di utenti creativi e di tutti coloro che vogliono realizzare contenuti
in maniera più evoluta rispetto ad oggi.
Non per niente HP ha lavorato insieme
a un team di aziende per realizzare questo prodotto: da Microsoft e 3M, da Intel
di Roberto PEZZALI
HP Sprout
a Texas Instrument; il prodotto vedrà la
luce a novembre negli Stati Uniti per un
prezzo indicativo di 1899 dollari.
SCIENZA E FUTURO Dall’Inghilterra arriva un incredibile concept di aereo privo dei finestrini
OLED al posto dei finestrini: l’aereo consuma meno
L’interno della fusoliera è ricoperto con un immenso display OLED flessibile e interattivo
di Paolo CENTOFANTI
aereo del futuro potrebbe essere
più sicuro, più leggero e consumare di meno, a patto di eliminare completamente i finestrini. È un concept proposto dal Centre for Process
Innovation o CPI, istituto di ricerca britannico secondo il quale rinunciando
ai finestrini, è possibile diminuire sensibilmente spessore e peso della fusoliera e allo stesso tempo aumentarne
la robustezza. Ciò permetterebbe di
avere più spazio per i sedili in cabina
e soprattutto di ridurre sensibilmente
i consumi di carburante, rendendo più
efficienti i velivoli e meno costosi da far
volare. Nessuno, crediamo, vorrebbe
però volare in un tubo senza nemmeno una vista sull’esterno, e per questo
il CPI ha trovato una soluzione alternativa: tappezzare l’interno dell’aereo
con un immenso schermo interattivo
composto da più pannelli OLED fles-

L’
torna al sommario
YouTube a 60 fps
Una goduria
per giochi
e action cam
sibili che circonda completamente i
passeggeri.
Lo schermo, composto idealmente da
pannelli OLED da 50 cm di altezza con
risoluzione di 150 ppi, può mostrare
l’esterno del velivolo come se la fusoliera fosse completamente trasparente,
e allo stesso tempo dare accesso ai
servizi di bordo con funzionalità touch.
L’area dello schermo vicina al passeggero, sempre nel concept di CPI, po-
trebbe essere anche personalizzabile
con sfondi a piacere durante il volo notturno. Un’idea certamente estrema, ma
chissà che qualche costruttore di aerei
di linea non decida di provare a metterla in pratica. Anche perché quella di CPI
non è solo un’idea capata per aria e c’è
già una roadmap per arrivare nel giro di
cinque anni alla produzione dei componenti, tramite lo sviluppo di tecniche di
stampa di pannelli e circuiti elettronici.
YouTube passa all’high frame
rate: ora supporta la riproduzione nativa a 60p dei video caricati
sulla piattaforma dagli utenti.
Il privilegio dei 60p, infatti, era
concesso solo ad alcuni account,
ma ora tutti possono caricare video di giochi, timelapse e spettacolari riprese sportive fatte con
una GoPro e ottenere un video a
1080@60p di ottimo impatto scenico. La funzionalità al momento
è compatibile solo con il player
HTML5 e sia con Chrome che
con Safari non abbiamo avuto
problemi di sorta. Visualizzando
un contenuto rapido e definito,
quale può essere un videogioco la differenza è abissale: il
video di Super Mario Cart, mostra quale siano i benefici dei
60 fpos rispetto ai tradizionali
30 dei classici video HD di YouTube. L’uso del 1080p a 60 fps,
ovviamente, richiede anche più
banda: per poterli visualizza correttamente i video in real time
servono 14 Mbps, altrimenti ci si
deve appoggiare al buffer. Un
ottimo passo avanti, anche se
l’esigenza in termini di banda tra
video in HD e 60p inizia a essere
un po’ alta: il prossimo step per
YouTube sarà il passaggio ad un
altro codec, o il suo VP9 oppure
il più flessibile HEVC.
n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
GAMING Il sito giapponese Pocketnews ha smontato il nuovo modello CUH-1100
Cosa cambia tra la prima PS4 e la nuova
Solo un’antenna Wi-Fi più efficiente, per il resto migliorie per ridurre i costi di produzione
di Roberto PEZZALI
N
elle scorse settimane Sony ha iniziato a immettere sul mercato, in
alcuni bundle e in soluzioni stand
alone, un nuovo modello di console PS4.
La nuova versione di hardware, denominata CUH-1100, sostituisce il modello di
lancio CUH-1000 e porta con sé qualche piccola novità. Il sito giapponese
Pocketnews ha smontato interamente
due console per evidenziare ogni piccola differenza, e alla fine si è capito che il
nuovo modello non è altro che una versione leggermente più semplice da produrre e con qualche componente meno
costoso, come il dissipatore. Una cosa
questa normale nel mondo delle console, con modifiche hardware e cambi di
componenti mirati proprio ad abbassare
i costi e a migliorare l’efficienza. La nuova console è leggermente più leggera
GAMING
(50 grammi) del
primo modello e
sfrutta un sistema
di alimentazione
diverso per CPU
e GPU, cosa che
comporta un leggero risparmio in
termini di consumi
con la console in
stand-by.
Cambia anche il trasformatore, più leggero di qualche grammo, e il dissipatore: il vecchio modello era ottimizzato
per gestire la dissipazione a seconda
della zona con alette orientabili, il nuovo
è invece più economico e ha una disposizione delle lamelle standard su tutta
la superficie. Rivisto anche il design
dell’antenna Wi-Fi: riduce i disturbi ed è
leggermente più efficace.
GAMING Disponibilità in Italia del tuner opzionale per Xbox One
Digital TV Tuner per Xbox One
La TV si guarda anche sul tablet
Activision aveva assoldato per la
difesa niente meno che l’ex sindaco
di New York Rudolph Giuliani, ma
alla fine il processo non ci sarà. Il
giudice del tribunale di Los Angeles
ha respinto la causa che l’ex dittatore di Panama, Manuel Noriega,
aveva intentato contro Activision,
per l’inclusione di un personaggio
dalle fattezze (e background)
simili all’interno della campagna
singolo giocatore di Call of Duty:
Black Ops II. “Era una causa
legale assurda sin dall’inizio” ha
commentato Giuliani, “la decisione
è un’importante vittoria per la
difesa della libertà di espressione”.
In caso di processo e sentenza a
favore di Noriega si sarebbe infatti
creato un precedente che avrebbe
messo in discussione l’utilizzo di
personaggi storici in tutte le opere
di finzione. Per Activision è stata
senza dubbio una doppia vittoria,
vista la pubblicità gratuita che tutta
la faccenda ha prodotto per la saga
videoludica.
di Paolo CENTOFANTI
i è voluto un po’ di tempo, ma il piccolo tuner opzionale per Xbox One, il Digital TV Tuner, è ora disponibile in Italia. L’accessorio, che aggiunge il decoder
DVB-T/DVB-T2 alla console Microsoft, era stato annunciato lo scorso agosto,
con funzionalità come la guida interattiva ai programmi OneGuide e la modalità di
visione snap, cioè ridotta in una tile per tenere la TV in sottofondo mentre si utilizzano
giochi o app sulla console. Ora però arriva anche un’ulteriore benvenuta funzionalità,
l’integrazione tramite SmartGlass delle nuove funzioni TV con uno smartphone o un
tablet iOS o Windows. Clicca qui per il video. In particolare sarà possibile controllare il
tuner da tablet visualizzando sul suo schermo OneGuide, oppure ancora riprodurre in
streaming dalla console al tablet i canali TV sintonizzati dal tuner, indipendentemente
da quello che stiamo facendo sulla console. Sempre OneGuide visualizzerà anche
quali programmi TV sono disponibili on demand su eventuali app installate sul proprio dispositivo. SmartGlass per Android sarà lanciato in un secondo tempo. Come si
vede nel video, il Digital TV Tuner supporta anche la funzionalità Pause Live TV che
utilizza essenzialmente il disco della console per effettuare il time shifting, con la
registrazione che continua
in background anche mentre stiamo giocando.
Xbox One Digital TV Tuner
è disponibile sullo store
online a un prezzo di 29,99
euro.

M. Noriega
e Call of Duty
No al processo
torna al sommario
C
Xbox One a
349 $: e in Italia?
Microsoft gioca
d’anticipo e propone in
Usa un grosso sconto
per i nuovi bundle per
Xbox One: 349 dollari
con Assassin Creed
Unity Call of Duty
Advanced Warfare e
Sunset Overdrive
di Roberto PEZZALI
Xbox One inizia a a recuperare terreno su PS4: dopo l’inizio
un po’ traballante la console
Microsoft ha recuperato il gap
da PS4 grazie al taglio di prezzo,
e già il mese scorso è risultata
essere la console più venduta
in molti Paesi. Ora Microsoft si
prepara al sorpasso con un’offerta interessante: dal 2 novembre infatti è possibile acquistare
Xbox One in Usa a 50$ in meno,
a partire da 349$. Un prezzo interessantissimo, soprattutto se si
calcola che a 349$ si potranno
acquistare il bundle con Assassin
Creed Unity e quello con Sunset
Overdrive. Tra i bundle scontati
ci sarà anche quello con Call of
Duty Advanced Warfare, edizione
speciale con console e controller
in edizione limitata e hard disk da
1 TB disponibile a 449 $. L’offerta
durerà fino a gennaio, poi il prezzo tornerà quello standard.
Microsoft ha dichiarato che la
stessa promozione potrà essere
adottata anche in altri Paesi al di
fuori degli Stati Uniti, con modalità che potrebbero variare da Paese a Paese. A momento Microsoft
Italia non ha confermato nulla,
ma visti gli ultimi volantini delle
grosse catene siamo abbastanza
certi che sia PS4 sia Xbox One a
Natale si potranno acquistare a
meno, anche a 299 euro.
n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
SMARTHOME Il lancio del piccolo dispositivo è previsto per giugno 2015 a 149 dollari
Comfort massimo in casa con Ambi Climate
Rendere i condizionatori domestici ancora più smart non solo è possibile ma anche facile
O
di Emanuele VILLA
rmai moltissime persone non
possono più fare a meno del condizionatore: d’estate, senz’altro,
ma anche durante l’inverno. Il problema
è che, nella maggior parte dei casi, si
possono giusto regolare temperatura e
velocità della ventola, il che li rende tanto utili quanto poco smart. Ambi Climate
vuole dare una marcia in più ai comuni
condizionatori, e il fatto che se ne senta
l’esigenza è confermato da una campagna di crowdfunding che, a 22 giorni
dalla chiusura, ha già raggiunto 86.000
dollari contro i 25.000 richiesti per il finanziamento.
Il meccanismo di funzionamento è ingegnoso: il piccolo dispositivo si installa
dove si vuole nell’ambiente da climatizzare, si scarica l’apposita app che comunica con il dispositivo e a sua volta con il
climatizzatore per applicare il profilo più
corretto sulla base delle sue rilevazioni.
Da notare che l’apparecchio comunica
via IR con il climatizzatore, per cui lo si
può usare praticamente con tutti i clima
esistenti in commercio.
Dyson ha presentato
a Tokyo il suo
umidificatore che
diffonde in ambiente
acqua sterilizzata con
raggi UV: si chiama
Hygienic Mist e costa
circa 450 euro
di Emanuele VILLA
Per stabilire le impostazioni da “inviare”
al climatizzatore, Ambi Climate è dotato
di svariati sensori e mescola un’infinità
di dati: alcuni provenienti dai suoi sensori, altri dall’app, altri ancora dal Cloud
e da Internet (è dotato di Wi-Fi); parlando solo dei suoi sensori, Ambi Climate
rileva umidità, temperatura, livello di
attività nella stanza e calore solare incidente, oltre al fatto che, tramite l’app,
è in grado di imparare le abitudini dell’utente e “replicarle” nelle varie stanze
in cui viene installato.
Ovviamente
è possibile
regolare manualmente
le impostazioni da remoto, di modo tale
da ottimizzare il clima per i nostri animali domestici o semplicemente per arrivare a casa e trovare già un clima ottimale.
Alcune unità beta vedranno la luce alla
fine di novembre, mentre il lancio finale è previsto per giugno del prossimo
anno a 149 dollari.
Clicca qui per il video.
SMARTHOME Fa parte della linea Chef Collection, il forno con piano a induzione da 3699 $
Samsung lancia il piano a induzione con le fiamme
Piano a induzione con un fuoco virtuale che aiuta lo chef: più è alto più la pentola è calda
di Massimiliano ZOCCHI
amsung lancia per la sua serie
premium Chef Collection il modello NE58H9970WS/AA, forno con
piano cottura a induzione dalle caratteristiche al top. Al top anche il prezzo,
per un prodotto di alta gamma come
questo dovrete sborsare 3.699 dollari.
Ma cosa lo rende così diverso da altri
prodotti simili?
La caratteristica più curiosa è senza
dubbio la possibilità di proiettare tramite dei LED delle fiamme virtuali sulle
nostre pentole.
Non solo estetica, però: i vantaggi dei
piani cottura a induzione in quanto a
consumi ridotti sono noti, ma spesso
è più difficile cucinare, poiché ci sono
poche indicazioni delle temperature
raggiunte, dato che è solo ed esclusivamente la pentola a scaldarsi. Queste

S
torna al sommario
Dyson umidifica
l’aria e uccide i
batteri con
i raggi UV
finte fiamme oltre a richiamare il passato, cambiano
di dimensione in base alla
temperatura
raggiunta,
dando così un’indicazione per facilitare il vostro
lavoro ai fornelli. Le particolarità non finiscono qui.
Il forno, definito Flex Duo,
tramite l’accessorio Smart
Divider può essere separato in due parti, e tramite due controlli
separati lavorare a temperature diverse,
promettendo inoltre di non mescolare
gli aromi differenti tra loro.
Il pannello che controlla tutte le funzioni
è intuitivo e permette di selezionare le
proprie ricette preferite in breve tempo,
selezionando temperatura e durata di
cottura. Come in tutta la gamma Chef
Collection il design la fa da padrone.
Dyson entra nel settore degli umidificatori d’aria con Hygienic Mist,
un prodotto che punta sul doppio
concetto di umidificazione e di
igiene. Lo stesso James Dyson ha
dichiarato che nonostante gli umidificatori siano spesso utilizzati
come rimedio contro raffreddori e
influenze, rischiano di causare l’effetto opposto mettendo in circolo
un’infinità di batteri presenti nell’acqua. Ecco perché il Hygienic
Mist tratta con raggi UV l’acqua
presente nel contenitore ed elimina il 99,9% dei batteri presenti prima di nebulizzarla nell’ambiente
circostante, creando appunto un
effetto-nebbia.
Per la diffusione in ambiente l’apparecchio usa la collaudata tecnologia di “amplificazione d’aria” già
usata da Dyson sull’attuale linea
di ventilatori e termoventilatori, e
anche il design ricorda fortemente quello dei prodotti già in commercio. L’apparecchio è realizzato
in policarbonato e ha un’autonomia operativa di 18 ore, con tanto
di telecomando e svariati profili
d’utilizzo: al momento il prodotto
è stato presentato in Giappone ed
è dedicato al mercato domestico,
ma ovviamente si diffonderà a
macchia d’olio a partire dalla seconda metà del 2015. Come prezzi, siamo sui 450 euro.
Clicca qui per il video.
n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
AUTOMOTIVE Disponibile dai primi mesi del 2015 con prezzo a partire da 35.600 euro
Land Rover, in Italia il SUV Discovery Sport
Auto da 5 più 2 posti con soluzioni tecnologiche per guida, sicurezza e intrattenimento
L
La macchina
volante è realtà
di Paolo CENTOFANTI
and Rover ha ufficialmente presentato il 30 ottobre anche in Italia il
nuovo SUV Discovery Sport, la prima auto della nuova gamma Discovery,
che in futuro si arricchirà di un nuovo
modello dalle tecnologie avveniristiche. Non che questa prima vettura non
sia dotata di tecnologie all’avanguardia
in fatto di comfort di guida e sicurezza.
Land Rover lo definisce un SUV compatto e sicuramente rispetto alla “ordinaria”
Range Rover la nuova Discovery ha una
linea più snella e con un carattere più
giovane, ma resta comunque una 4x4
(anche in versione 4x2) da 5 più 2 posti.
Per quanto riguarda le caratteristiche di
base, l’auto sarà disponibile in diverse
configurazioni con motore a benzina
o diesel a partire da 35.600 euro, con
ulteriore versione Turbodiesel ED4 prevista più avanti caratterizzata da appena
119 g/km di emissioni CO2, praticamente
come una FIAT Panda diesel.
Parlando di tecnologia, la caratteristica
che più di ogni altra salta all’occhio è il
sistema di frenata d’emergenza Autonomous Emergency Braking, progettato
per ridurre il rischio di collisioni a velocità
inferiori agli 50 km/h e di ridurre l’entità
degli impatti sotto gli 80 km/h. Il sistema
funziona utilizzando due telecamere
installate vicino allo specchietto retrovisore per riconoscere ostacoli o altre
vetture che potrebbero rappresentare
un rischio. Segnalatori acustici avvisano
il guidatore di eventuali situazioni pericolose e nel caso di rischio di incidente,
se la nostra reazione non è sufficientemente veloce, viene attivata una frenata
automatica con la massima forza disponibile per arrestare la vettura. Il sistema
è pensato soprattutto per il traffico cittadino, oppure per la marcia in colonna ad
esempio in autostrada. Un’altra soluzione all’avanguardia per quanto riguarda
la sicurezza, questa volta dei pedoni, è
l’airbag esterno alla base del parabrezza, che si attiva in meno di 60 millisecondi quando il veicolo ha un velocità tra i 15
e i 30 km/h, per ridurre il più possibile la
pericolosità di eventuali incidenti.
Innumerevoli le soluzioni sviluppate
da Land Rover per quanto riguarda il
comfort di guida, pensate per adattare dinamicamente assetto e trazione a
qualsiasi terreno. Vale la pena citare il
Terrain Response, che regola risposta
dell’acceleratore, trasmissione, giunto
centrale, sterzo e sistemi di stabilità e
frenata in base al tipo di terreno. Il guidatore può selezionare sulla console il tipo
di programma più adatto scegliendo tra
guida generica, erba/ghiaia/neve, fango
e sabbia. Inoltre sulla Discovery Sport
debutta il nuovo Head Up Display, un
piccolo proiettore LASER che visualizza
su un’area parabrezza dati di guida come
velocità, indicazioni del navigatore e il
riconoscimento automatico dei segnali
stradali per la visualizzazione di divieti,
segni di pericolo e limiti di velocità. Infine, c’è il nuovo sistema di infotainment,
opzionalmente disponibile con sistema
audio targato Meridian composto da
17 diffusori, subwoofer e amplificatore
per una potenza complessiva da 825
Watt. Il sistema è basato su un display
touchscreen da 8’’ con risoluzione di
800x480 pixel, navigatore con controlli
vocali, Bluetooth per il collegamento di
sorgente audio esterne, ingressi USB
con supporto nativo per iPod e iPhone,
lettore DVD con opzione per display sui
poggiatesta per i sedili posteriori con
riproduzione svincolata dallo schermo
principale.
Con la funzionalità Land Rover InControl
è possibile visualizzare alcune funzionalità e app di smartphone Android e
iOS (collegati via USB) direttamente sul
display del sistema di bordo, installando
sul telefono l’apposita app. L’app InControl remote permette anche di visualizzare sullo smartphone parametri della
vettura come il livello del carburante
e lo stato della chiusura di portiere e
finestrini, e di individuare la posizione
della vettura. Infine, InControl Secure è il
servizio per inviare richieste di soccorso
automatiche in caso di incidente.
La nuova Discovery Sport sarà in consegna nei primi mesi del 2015.
Aeromobil, azienda slovacca con
un background nella costruzione
di aerei ultraleggeri, ha iniziato a
sperimentare, con voli reali, il suo
ultimo prototipo di macchina volante.
La particolare struttura e le soluzioni
tecniche utilizzate hanno permesso di
immatricolare questa macchina come
un aereo ultraleggero e il prototipo
di Aeromobil 3.0, questo il nome,
ha già percorso diversi chilometri nei
cieli di Bratislava. Unisce la sicurezza
di un ultraleggero alla praticità di
un’automobile: le ali si piegano e in
modalità “terrain” si può muovere a
una velocità discreta usando ruote
tradizionali. Il movimento a terra è
un “accessorio”: l’obiettivo è volare
e facilitare la guida anche a chi non
ha mai avuto esperienza di volo.
Aeromobil usa normale gasolio, fa
il pieno dal benzinaio e può essere
parcheggiata: la larghezza è ridotta,
la lunghezza quella di una piccola
limousine. Se i test si concluderanno
nel migliore dei modi, il velivolo verrà
fatto certificare anche dall’Unione
Europea e secondo Juraj Vaculik,
CEO e co-fondatore dell’azienda, si
potrebbe aprire una nuova era della
mobilità. Nessuna idea del prezzo.
MAGAZINE
Estratto dal quotidiano online
www.DDAY.it
Registrazione Tribunale di Milano
n. 416 del 28 settembre 2009
direttore responsabile
Gianfranco Giardina
editing
Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago,
Alessandra Lojacono, Simona Zucca
Editore
Scripta Manent Servizi Editoriali srl
via Gallarate, 76 - 20151 Milano
P.I. 11967100154
Per informazioni
[email protected]

Per la pubblicità
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n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
TEST A fronte di uno chassis ridotto lo Z3 Compact offre prestazioni di alto livello, analoghe al fratello maggiore Xperia Z3
Sony Xperia Z3 Compact: la rivincita dei piccoli
Rispetto all’Xperia Z3 cambiano leggermente il design e alcune caratteristiche tecniche, ma la sostanza rimane la stessa
D
di Emanuele VILLA
opo la prova di Xperia Z3, il nuovo flagship di
casa Sony, estendiamo la conoscenza della
gamma con il fratello minore, Z3 Compact. Nel
rapporto tra il telefono top di gamma e la sua versione “ridotta”, Sony adotta una strategia diversa rispetto a competitor come HTC, Samsung e LG: mentre
per tutti gli altri, il telefono “Mini” è una versione più
piccola e meno performante del telefono di base, qui
si tratta proprio di uno Z3 in scala, con la stessa fotocamera, lo stesso processore, un look analogo (ma
non identico) e stesse personalizzazioni software. In
pratica, Z3 Compact è la versione piccola di Z3, ma
senza rinunce sotto nessun punto di vista. Che poi
questa strategia paghi sui grandi numeri è tutto da
dimostrare: l’appassionato sa come stanno le cose,
ma l’utente comune che cerca un telefono sotto i
5’’ si trova di fronte a nomi altisonanti che costano
tutti meno. Sony propone infatti Xperia Z3 Compact
a 499 euro, mentre HTC One Mini 2 costa (sempre
parlando di listino) 50 euro in meno ma ha un look
completamente d’alluminio, G3 S costa 100 euro in
meno e Galaxy S5 Mini, pur partendo da un listino
analogo, si trova in giro a un prezzo abbondantemente inferiore. Se invece non ci fermiamo al nome
ma andiamo a spulciare le caratteristiche tecniche, ci
rendiamo conto che Z3 Compact offre il meglio che
si può pretendere da un terminale di questa fascia: il
display è un 4,6’’ HD Triluminos, inferiore come dati
di targa al Full HD del modello superiore ma equilibrato in virtù delle dimensioni del display (i pixel-perinch sono 319, praticamente gli stessi dell’iPhone 6
da 4,7’’), il processore è lo stesso Snapdragon 801 da
2,5 GHz e anche la fotocamera è lo stesso modulo
G da 1/2.3’’ e 20,7 Mpixel capace di raggiungere i
12.800 ISO e riprendere in 4K, cosa che il modello
precedente non faceva.
Sony investe sui Compact
ma salta una generazione

Tra l’altro, a differenza di Xperia Z3, Sony ha saltato una generazione di dispositivi Compact: se gli
appassionati si erano (giustamente) lamentati dello
scarso tempo intercorso tra il lancio di Xperia Z2
e Xperia Z3 (sei mesi, più o meno), qui il confronto
va fatto direttamente con Xperia Z1 Compact, uscito un annetto fa. Le differenze sulla carta ci sono,
ma ovviamente non sono rivoluzionarie: Xperia Z1
Compact resta in gamma, viene riposizionato a 379
euro di listino e offre un display HD leggermente
più piccolo (4,3’’), uno Snapdragon 800 da 2.2 GHz,
un design leggermente più spesso (9,5 mm contro
gli 8,6 mm) e più pesante (137 grammi contro 129),
certifiche di protezione meno evolute e una batteria
meno capiente, da 2.300 mAh contro i 2.600 mAh
del modello in questione.
Non abbiamo disponibilità di entrambi i modelli per
fare un raffronto, ma sulla carta le differenze danno
torna al sommario
video
Sony Xperia Z3 Compact
lab
499,00 €
NULLA DA INVIDIARE AI PIÙ GRANDI, LOOK ESCLUSO
Xperia Z3 Compact ha confermato l’ottima impressione del modello precedente, con cui Sony ha inaugurato la famiglia dei Compact. È uno
Z3 “in piccolo” ma con prestazioni allineate, hardware di alta gamma e prezzo bilanciato: molti lo riterranno un telefono molto caro, ma c’è
da dire che in virtù dell’hardware utilizzato, il rapporto qualità/prezzo resta molto elevato. Peccato solo che il look del fratello maggiore,
con tanto di cornice in alluminio, non sia stato replicato completamente sul fratello minore, che in questo modo si mostra piuttosto “rigido”
e squadrato nell’impostazione, oltre che un po’ più spesso di Xperia Z3. Niente di grave, il telefono è bello da vedere e coloratissimo, solo
non dà quella sensazione di prodotto “premium” che invece Xperia Z3 suggerisce. Le prestazioni sono di alta gamma sotto ogni profilo e la
risoluzione del display “solo HD” è un problema più teorico che pratico, a meno che non vi piaccia usare le app in piccole finestrelle. Completano il quadro una buona autonomia e le solite infinite personalizzazioni Sony, piuttosto aggressive nei confronti di Android stock ma alcune
delle quali (come la “Modalità Stamina”) anche molto utili. In sostanza, uno smartphone che vale i 499 euro di listino e che merita di essere
considerato da chi vuole un prodotto potente, longevo, waterproof e dall’autonomia apprezzabile.
8.7
Qualità
9
Longevità
9
Design
Maneggevole, robusto e waterproof
COSA CI PIACE Prestazioni generali
Autonomia e display
8
Semplicità
8
D-Factor
8
Prezzo
9
Meno bello di Xperia Z3
COSA NON CI PIACE Batteria non removibile
sì a Z3 Compact una marcia in più e sicuramente più
longevità rispetto a un modello dello scorso anno,
ma non sono tali da suggerire una sostituzione di
uno con l’altro, a meno che non si sia appassionati e
si voglia avere sempre il massimo. Difficilmente, infatti, Z3 Compact si rivolge agli utenti di Z1 Compact,
ma offre un telefono hi-end e di piccole dimensioni
(per modo di dire, è come iPhone 6) per chi ha un
modello più anziano o dalle prestazioni ormai vacillanti: in questo caso, e a patto di non preferire un
phablet (o qualcosa di simile), la scelta è vincente.
Da notare, tra l’altro, che Z3 Compact è più grande
del predecessore: 4,6’’ contro i 4,3’’ di Z1 Compact,
ma la risoluzione del display è la stessa, il che porta il conto dei ppi a favore del modello dello scorso
anno, 341 contro 319.
Ottimo da tenere in tasca
ma il fratellone è più bello
Ai fini della portabilità, le dimensioni sui 4,5’’ - 5’’
sono davvero ottimali: il display è abbastanza ampio ma Sony ha lavorato molto per ridurre davvero al
minimo la cornice, che sui due lati è di qualche millimetro appena e poco di più sulle due basi; il risultato
è un telefono che “tutto schermo” e che si porta in
segue a pagina 25 
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3 NOVEMBRE 2014
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TEST
Sony Xperia Z3 Compact
segue Da pagina 24 
giro senza difficoltà sia nella tasca dei jeans, sia in
una borsetta.
Anzi, le dimensioni ideali di schermo gli danno una
marcia in più rispetto a Z3 per quanto concerne il
possibile successo commerciale, ma questo ce lo
dirà solo il tempo. Il design, pur molto simile, non è lo
stesso di Xperia Z3: mentre il fratello maggiore propone una cornice in alluminio molto morbida e smussata sia sugli angoli che sul profilo interno, Z3 Compact prosegue la tradizione dei predecessori con un
approccio piuttosto rigido e squadrato, con cornice
laterale in plastica semitrasparente che nasconde i
classici “sportellini” della serie: questi ci sono sia nella versione regolare che in quella Compact, ma nella
prima seguono il profilo morbido del telefono, qui
sono leggermente più voluminosi e ricordano più Z2
che l’attuale versione. Non per niente Z3 è spesso
7,4 mm e Z3 Compact 8,6: niente di cui preoccuparsi,
ovvio, ma non sarebbe stato male veder replicato 1:1
il design di Z3 anche nella versione compatta. Per
il resto, Z3 Compact ripropone l’impostazione classica di tutta la serie Z: è impermeabile ed ermetico
alla polvere con certifiche IP65 e IP68, esattamente come il fratello maggiore, e può dunque essere
immerso in acqua fino a 1,5 metri per 30 minuti. Da
notare che, mentre gli sportellini dominano un lato
della cornice, l’altra ne è completamente sprovvista,
e il jack per le cuffie è scoperto nonostante l’impermeabilità dell’apparecchio. Tutto ciò ci fa supporre
che, di qui a qualche generazione, anche per gli altri
slot si potrebbero trovare soluzioni di design che superino quella degli sportellini, che per quanto non
sia brutta sotto il profilo estetico, in un telefono del
genere sa un po’ di approssimativo. Per il resto, la
solita dotazione: tasto dedicato per la fotocamera,
bilanciere del volume, tasto fisico di standby, micro
USB, micro SD e nano SIM. Ovviamente la batteria
non è sostituibile: a chi non dovessero bastare i
2.600 mAh di quella in dotazione (e bastano, ve lo
assicuriamo), resta la carta Battery Pack.
Un display luminoso e “coloratissimo”

Com’è noto, il display rappresenta uno degli aspetti
più importanti degli smartphone Sony di alta gamma,
e Z3 Compact non è di sicuro l’eccezione alla regola.
Z3 Compact sfoggia un display LCD da 4,6’’ HD con
tecnologia IPS e Live Color LED, il cui fine (grazie all’impiego di LED blu che “stimolano” i fosfori rossi e
verdi) è rendere i colori molto brillanti e vividi senza
andare a condizionare negativamente il risalto del
dettaglio. Anche qui, come negli altri esponenti della
serie Xperia, le caratteristiche regolabili del display
vanno ben oltre la generica “luminosità” che contraddistingue molti terminali Android di fascia media:
possiamo gestire il processing d’immagine attivando
l’X-Reality for Mobile o la modalità Super Vivid, il cui
intervento estende ulteriormente la vividezza cromatica e dà un tocco di Edge Enhancement (lo si nota
soprattutto sulle foto, anche quelle precaricate)
rispetto alla modalità di
base, che a sua volta offre un’immagine cromaticamente equilibrata.
L’impatto risente molto di
queste caratteristiche e
non vi è dubbio che, per
quanto concerne l’intensita e la brillantezza dei
colori, siamo ad un livello
lontano dalla media: non
parliamo
volutamente
di naturalezza ma di impatto, che si traduce in
immagini “coloratissime”,
molto contrastate e che,
soprattutto nelle foto e
nei video, coinvolgono
e catturano l’attenzione.
Per chi vuole gestire i
parametri del display, c’è
anche la possibilità di regolare il punto di bianco.
A sinistra la schermata Home, a destra il multitasking con le app attive in finestra Ai fini della prova d’uso, la
torna al sommario
luminosità e la sensibilità ai riflessi ci sono parse nella norma, ma con un avvertibile passo avanti rispetto
alla generazione precedente, soprattutto nel primo
parametro: il telefono è utilizzabile tranquillamente
in esterni in giornate soleggiate, eventualmente possiamo muovere un piccolo appunto alla regolazione
automatica che non sempre è così precisa e reattiva.
Si è parlato molto, inoltre, di presunti limiti di definizione considerando che Sony ha mantenuto in Z3
la stessa risoluzione del pannello di Z1 (che era da
4,3’’), ma a conti fatti i limiti sono più teorici che pratici: qualche contorno non perfettamente armonico
è rilevabile dall’occhio clinico, ma nulla che disturbi
l’attività quotidiana; la leggibilità dei testi resta ottima in ogni circostanza.
Tenendo conto dei limiti dell’LCD, la profondità del
nero è apprezzabile: anche alzando la luminosità al
massimo, nelle schermate nere lo scarto col bordo
del telefono è visibile ma limitato e per nulla fastidioso; si nota invece un discreto abbattimento della luminosità allo spostamento dal punto di visione
ottimale (sia in orizzontale che in verticale), ma in
questo caso non si nota la presenza di dominanti
cromatiche di alcun genere.
Le “personalizzazioni” Sony
e tanta buona musica
Sony è nota per operare una personalizzazione importante su Android stock (qui in versione 4.4.4), e
la versione Z3 Compact propone le medesime soluzioni software e di interfaccia del fratello maggiore.
Troviamo così una home letteralmente dominata dal
widget What’s new di Sony, che raggruppa in un solo
ambiente e nella stessa schermata i contenuti “top”
del momento provenienti dai vari servizi proprietari come i vari Music Unlimited, Video Unlimited e
Playstation Store, ma anche app dedicate ai terminali Xperia e presenti nel Play Store e via dicendo.
Per la riproduzione dei contenuti multimediali si fa
sempre riferimento a Walkman, Album e Film a seconda che si tratti di musica, foto o video, ma qui
in più c’è PlayStation che attiva una delle funzioni
più interessanti di questa generazione di dispositivi ovvero Remote Play, per il quale sarà comunque
necessario lo scaricamento e l’utilizzo di un’app aggiuntiva (Riproduzione remota PS4): non l’abbiamo
testata poichè il lancio della tecnologia e dell’app relativa sono previsti per novembre, ma l’interesse c’è
segue a pagina 26 
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Sony Xperia Z3 Compact
segue Da pagina 25 

tutto. La funzionalità in questione permette di giocare con PS4 usando il proprio terminale Z3 (normale,
Compact o Tablet Compact) come display, il tutto
via Wi-Fi e collegando all’apparecchio un controller
DualShock 4: è anche possibile iniziare la partita sul
TV e proseguirla sul display dello smartphone, senza
doverla riprendere da zero.
Personalizzazioni Sony, dicevamo. Sì, c’è un po’
di tutto, compresa la possibilità (che ci ricorda
Galaxy Note 4, nonostante le evidenti differenze di
stazza) di usare diverse app in finestra tramite multitasking multiwindow: ovviamente questa possibilità
ha più sbocchi pratici su Z3 “normale”, poichè i 4,6’’
della versione compact rendono il tutto molto limitato in termini di spazio. C’è da dire, però, che rispetto
al multiwindow di Note 4, le app utilizzabili sono minori in numero e che riducendole in finestra i limiti di
risoluzione del display emergono tutti: se leggere un
sito non ottimizzato “mobile” in condizioni normali è
tutt’altro che un problema, qui lo diventa senz’altro.
C’è da dire che, in generale, i prodotti della linea
Xperia si pongono come scelta d’elezione per chi
vuole usare lo smartphone Android anche come riproduttore musicale, visto l’expertise dell’azienda
nel settore e le svariate tecnologie di cui sono dotati
i propri terminali mobili. Siamo soliti ascoltare molta
musica al di fuori delle mura domestiche e abbiamo
colto l’occasione di questa prova per testare l’efficacia delle soluzioni Sony, partendo dal ClearAudio+
fino ai DSP più avanzati. Rimandiamo invece a un
momento successivo il test degli auricolari a eliminazione del rumore proposti da Sony in bundle col telefono poiché assenti nel kit dedicato ai test. Quanto
segue si riferisce dunque solo al telefono, per l’occasione dotato di auricolari Pioneer SE-CL541.
Piacevole il fatto che, oltre all’equalizzatore personalizzabile a 5 bande con ClearBass, possiamo anche selezionare le cuffie, con tanto di preset audio
personalizzato per diversi modelli Sony. È poi presente una serie di modalità surround (Studio, Club,
Sala Concerti) che però, data la finalità di supporto
audio/video, vediamo (molto) meglio sullo Z3 o sul
Tablet Z3 Compact della medesima serie: onestamente, per quanto avvolgente possa essere il suono
riprodotto da Z3 Compact, un display da 4,6’’ non
è pensato per vederci film interi. Invece la qualità
torna al sommario
audio in cuffia è fortemente personalizzabile e rappresenta sicuramente un passo avanti rispetto alla
media degli smartphone Android: abbiamo trovato i
vari preset di equalizzazione abbastanza aggressivi
e, per i migliori risultati, è meglio procedere con una
regolazione personalizzata usando Clear Bass per
compensare eventuali limiti di dinamica; in ogni caso
la qualità sonora resta appagante anche con cuffie
“generiche” e alti regimi laddove, complice l’utilizzo
di auricolari di qualità, non si avvertono distorsioni e
il quadro sonoro si mantiene bilanciato. Ovviamente
non bisogna esagerare con le regolazioni, oppure
si può sempre aggiungere un “normalizzatore di
dinamica” che appiattisce un po’ i vari brani ma impedisce scarti eccessivi tra uno e l’altro. E poi c’è
il ClearAudio+, la tecnologia Sony che disattiva tutti
gli altri effetti sonori e propone un’equalizzazione
custom basata sul tipo di sorgente: abbiamo potuto constatare che il risultato varia a seconda degli
auricolari e della sorgente; ascoltando brani rock in
mp3 parecchio compressi si ottiene un’espansione
delle gamme alta e bassa con una leggera riduzione
dell’intelligibilità del cantato a fronte di più dinamica
e coinvolgimento. In generale, considerando le mille
variabili in gioco, risultati migliori si ottengono con
equalizzazioni personalizzate: il ClearAudio+ è però
un buon compromesso tra qualità d’ascolto e rapidità di esecuzione.
Per chi ama la qualità senza compromessi c’è anche
la funzione Hi-res audio tramite USB, che consente
la connessione digitale di Xperia Z3 Compact a un
DAC esterno per l’ascolto a qualità di livello superiore e, unicamente tramite l’app Walkman, il DSEE
HX, che funge da upscaler di file compressi “avvicinandone” la qualità a quella dei brani hi-res. Avere
tante opzioni è una bella cosa, ma muoviamo a Sony
l’appunto di aver complicato un po’ la gestione tra
menu, sottomenu, opzioni presenti solo nell’area
Walkman, altre che se attivate ne disattivano di secondarie e via dicendo. Una piccola revisione dell’interfaccia utente sarebbe gradita.
Prestazioni al di sopra di ogni sospetto
Qui entriamo in un’area già esplorata durante la recensione di Xperia Z3: quella delle prestazioni. La
situazione, infatti, se non identica non può essere
troppo diversa: il SoC è il medesimo Snapdragon 801
da 2.5 Ghz, con tanto di GPU Adreno 330, la RAM è
un po’ inferiore (2GB contro 3GB) ma anche la risoluzione del display è inferiore, HD contro Full HD. Le
prestazioni, appunto, non saranno mai identiche ma
ci andiamo vicino. Ecco perchè nella routine quotidiana Xperia Z3 Compact non solo non ci ha dato
problemi neppure nei momenti più “concitati”, ma ha
gestito ogni task con la massima disinvoltura: routine
lavorativa, svago videoludico (ottime prestazioni su
segue a pagina 27 
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Sony Xperia Z3 Compact
segue Da pagina 26 
Asphalt 8, con ben oltre 30 fps), video, foto, scatti
con la fotocamera, GPS per la corsetta serale e via
dicendo. Non abbiamo mai avvertito quella lag o
quelle indecisioni nel ritorno alla Home che si avvertono frequentemente con telefoni di gamma media:
qui va tutto fluido. Non mettiamo in dubbio che un
uso “compulsivo” di app (magari in finestra), funzionalità e sensori possa causare qualche rallentamento, ma se dobbiamo giudicare dall’esperienza fatta, il
problema proprio non si è posto. Ripubblichiamo in
questa sede i grafici già inseriti nella prova di Galaxy
Note 4 (con snapdragon 805) e ottenuti con Geekbench e GFX Bench. Nel primo, Xperia Z3 Compact
è ottimo in single core e vince il confronto con l’altro
Snapdragon 801 del confronto (LG G3) anche in multicore, pur restando un po’ sotto Galaxy Alpha (basato
su Exynos Octa Core) e iPhone 6 Plus. Anche in ambito grafico, facendo una media dei valori di FPS riportati qui sotto, Xperia Z3 Compact si comporta bene,
in alcuni casi addirittura meglio rispetto allo snapdragon 805 di Galaxy Note 4, che compensa la maggior
potenza con un numero infinitamente maggiore di
pixel da “muovere”. In ogni caso, abbandonando un
attimo numeri e barrette colorate, al momento è pressochè impossibile metterlo in difficoltà con un gioco.
E questo è più che sufficiente per la stragrande maggioranza degli utenti.
Il discorso dell’autonomia si compatta rapidamente,
e ci troviamo a scrivere cose analoghe a quelle di
Xperia Z3: anche qui Sony annuncia 2 giorni di utilizzo, facendo perno sulla batteria da 2.600 mAh
integrata (e non sostituibile) e su un’infinità di tecno-
logie proprietarie di risparmio energetico. In questi
casi, e in assenza di un valore oggettivo che possa
quantificare l’autonomia dell’apparecchio, valgono
alcune considerazioni d’esperienza: il punto di partenza è che è praticamente impossibile lamentarsi
dell’autonomia dell’apparecchio, anche considerando il panorama degli smartphone attuale. Per il resto
valgono alcune considerazioni generiche: pur navigando in continuazione, usandolo tutto il giorno un
po’ in Wi-Fi un po’ tramite rete cellulare, ascoltando
musica in streaming per almeno un’oretta, giocando
in pausa pranzo e continuando (quasi compulsivamente) a controllare e aggiornare i social network,
a sera si arriva con la massima e assoluta serenità.
Usandolo in questo modo, le 2 giornate dichiarate
sono impegnative da raggiungere, ma riteniamo che
di fronte a un uso più moderato e contenuto, il valore
annunciato da Sony sia assolutamente alla portata.
E lo è senz’altro se si usano le mille tecnologie di risparmio energetico previste dal produttore: a partire
da Stamina (che sostanzialmente raddoppia la stima
di autonomia residua), fino a Ultra Stamina che, in alcune circostanze, ci ha portato l’autonomia dichiarata
anche a 15 giorni. Stime e possibilità a parte, resta il
dato oggettivo: con Xperia Z3 Compact l’autonomia
non è un problema e a sera ci si arriva sempre.
video
lab
Sony Xperia Z3 Compact
Funzione Timeshift
Modalità totalmente automatica su un controluce:
un buon livello di dettaglio, il bianco del cielo non
troppo invadente, compressione discreta.
Modalità automatica che per l’occasione si
posiziona in macro: notevole il dettaglio, buono lo
sfocato che è possibile solo in questi casi.
20 mpixel in manuale, con una semplice compensazione dell’esposizione. L’immagine è molto ben
bilanciata e la dinamica è notevole. Bello scatto.
Sotto un ponte, al buio: l’immagine è scattata in
modalità Alta Sensibilità (ISO 1600), il rumore c’è
e il dettaglio cala, ma il risultato è accettabile.
Modalità notturna a 8 mpixel, il rumore è presente
ma è più che tollerabile in virtù del tipo di prodotto; l’immagine rimane intelligibile.
Scatto a 20 mpixel in versione “macro notturna”;
l’immagine è chiaramente più morbida rispetto
alla versione diurna, bello lo sfocato.

Per quanto concerne gli aspetti puramente fotografici, ci troviamo a ripetere larga parte delle considerazioni di Xperia Z3, che a sua volta riproponeva buona
parte (ma non 1:1) di quelle del predecessore. Sony
ha l’esperienza, i componenti e le tecnologie per realizzare eccellenti camera-phone, e Z3 Compact non
fa eccezione: non è rivoluzionario, ma si inserisce
perfettamente nel filone dei camera-phone Sony ed
è capace di buone performance.
La cura si vede da tanti particolari: il pulsante dedicato per messa a fuoco/scatto, ormai una consuetudine in casa Sony, il sensore da 1/2.3’’ Exmor RS
da 20,7 mpixel, le lenti Sony G da 25mm, l’apertura f/2.0, la capacità di raggiungere i 12.800 ISO in
modalità “alta sensibilità”, lo stabilizzatore (digitale)
SteadyShot e l’infinità di tecnologie e funzionalità
integrate nell’app Camera di Sony. Queste spaziano da effetti creativi alla modalità SuperiorAuto+, da
controlli manuali estesi e che abbracciano risoluzione di scatto, compensazione dell’esposizione, bilanciamento del bianco e via dicendo, fino alla ripresa
video in 4K e in timeshift.
Qui sopra un video che abbiamo realizzato con la
funzione Timeshift: la macchina riprende a 720p e
permette di regolare successivamente l’avvio dell’effetto slow motion, che in questo caso è stato impostato circa a metà filmato. Il video, pubblicato su
YouTube, ha solo un valore di preview per valutare
l’effetto rallentato: il video originale è scaricabile da
questo indirizzo. Per il video 4K rimandiamo alla prova di Xperia Z3, con la solita raccomandazione che
registrare a lungo determina surriscaldamenti notevoli del terminale.
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Una fotocamera versatile, anche in 4K
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3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
TEST Amazon lancia un nuovo Kindle Touch ad un prezzo irresistibile, 59 euro. Ha un processore più veloce, Wi-fi e più memoria
Kindle Touch costa 59 euro. Ma non c’è la luce
Amazon ha rinunciato a qualcosa: Kindle non è illuminato. Conviene davvero spendere di più per leggere a luci spente?
di Roberto PEZZALI
mazon ha lanciato un nuovo Kindle: costa 59
euro, ha un processore più potente ed è touch
screen. Come già fatto con gli ultimi Fire, anche
per il suo ebook reader Amazon ha percorso la strada
del basso costo senza cercare di rinunciare però alle
prestazioni: a 59 euro non esiste produttore che possa
competere con Amazon. I 59 euro però sono un po’
fittizi: se si vuole proteggere al meglio lo schermo eink l’acquisto di una custodia aggiuntiva è d’obbligo, e
come sempre gli accessori si psagano cari. Per mettere le mani su una delle colorate custodie realizzate ad
hoc servono infatti altri 39 euro. Ma cosa cambia tra
questo nuovo Kindle e il vecchio Kindle? Amazon ha
rinunciato ovviamente a qualcosa offrire un prodotto
comunque soddisfacente: la plastica usata, per esempio, è più “grezza” e allo stesso modo non presenta
la finitura leggermente soft del modello precedente,
cosa che lo rende anche scivoloso se appoggiato ad
una superficie liscia. La stessa finitura, complice anche il colore nero, è abbastanza sensibile alle ditate:
qui avremmo preferito colori più allegri come quelli
dei nuovi tablet Fire. Le dimensioni sono bene o male
quelle del vecchio Kindle, mentre il peso è superiore di
20 grammi: una differenza comunque minima.
A
Chi è disposto a perdere la luce?
idSotto il profilo estetico non ci sono tasti fisici per il
cambio di pagina e non c’è uscita audio per gli audio libri (ma anche sul Paperwhite era così): la ricarica
avviene sempre tramite micro USB ma in dotazione
troviamo solo il cavo e non il caricatore.
Un ebook reader è fatto per leggere, e Amazon ha
mantenuto invariato lo schermo e-ink Pearl da 6” e
167 ppi aggiungendo più memoria e un processore
più veloce. Lo schermo non è illuminato come quello
del Kindle Paperlite, e qui forse si gioca tutto il nocciolo della questione: è vero che costa solo 59 euro, ma
chi ha provato un reader illuminato sa benissimo che
video
lab
Amazon Kindle Touch (2014)
PER INIZIARE VA BENE, MA IL PAPERWHITE È UN’ALTRA COSA
Non esiste un ebook reader a 59 euro, e Amazon ha realizzato un prodotto comunque valido. Leggere però è una passione e, come si
spendono anche 20 euro per un libro appena uscito, si possono spendere anche 130 euro per il prodotto che poi ci fa godere di questo libro.
Non stiamo dicendo che Amazon abbia fatto male a realizzare un prodotto così costoso, ma riteniamo che la luce sia quella caratteristica
dell’ebook reader che davvero può spingere anche il più sfegatato tifoso della carta al digitale. Il Kindle Touch è un invito a buttarsi nel mondo
dei libri digitali, ma chi lo prova deve tener conto che il Paperwhite è tutta un’altra cosa. In ogni caso, a 59 euro, è un regalo perfetto.
7.6
Qualità
7
Longevità
7
Design
6
Simplicità
8
D-Factor
7
Prezzo
10
Prezzo bassissimo
Assenza della luce
COSA CI PIACE Velocità di cambio pagina
COSA NON CI PIACE Si sporca facilmente
Funzione Free Time dedicata ai più piccoli
Reflow dei pdf imbarazzante
mai tornerebbe indietro ad una versione classica. Effettivamente, anche in virtù della migliore autonomia
e dello schermo più risoluto, a nostro parere il valore
di poter leggere anche a letto al buio e con poca luce
senza affaticare la vista vale più degli 80 euro che
servono per acquistare il Kindle Paperwhite. minima.
Schermo e processore
velocissimi
A sinistra un libro Kindle, a destra un PDF.
59,00 €
Lo schermo del nuovo Kindle
ha comunque una risoluzione più che buona per poter
leggere impostando anche il
carattere su una dimensione
ridotta, e onestamente su un
6” non si sente la necessità
di uno schermo più risoluto.
Inoltre su questo modello la
memoria interna è passata
da 2 GB a 4 GB (solo 3 disponibili però), e per un prodotto
che serve a contenere leggerissimi (in termini di spazio
occupato) libri sono più che
sufficienti.
Il touch screen è sensibilissimo, forse troppo, e talvolta si rischia solamente tenendo il Kindle in mano non
“bloccato” di avanzare inavvertitamente le pagine. La
maggiore reattività arriva probabilmente dall’uso del
touch capacitivo al posto di quello ottico, meno preciso e più lento. Velocissimo anche il processore da
1 Ghz: le pagine scorrono veloci, la reimpaginazione
è istantanea e anche i menu sono sufficientemente
rapidi. L’assenza di tasti hardware porta ad una revisione del modello di utilizzo: Amazon ha delineato diverse zone sensibili che ci permettono di intervenire
sulle opzioni di lettura e sulle opzioni del dispositivo:
la guida presente sul Kindle stesso, in italiano, spiega in modo facile e semplice come usare il proprio
ebook reader.
Preinstallati, come sempre, i due vocabolari italiano
e inglese, ma per la traduzione serve una connessione wi-fi (il traduttore è Bing). A breve, grazie alla funzionalità Word Wise, le parole più difficili di un testo
inglese verranno chiarite con brevi indicazioni intratestuali, una funzione utile per chi legge testi in inglese
a scopo didattico.
L’autonomia dichiarata è di un mese: ovviamente non
abbiamo atteso un mese per vedere se Amazon dice

segue a pagina 29 
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n.99 / 14
3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE Huawei annuncia per il mercato cinese uno smartphone completo e con una batteria da primato: 72 ore in utilizzo
Record Huawei: la batteria di Honor 4x dura 3 giorni
Il sogno di uno smartphone senza “le ore contate” potrebbe essersi realizzato, ma sarà tutto oro quel che luccica?
di Michele LEPORI
lzi la mano chi arriva sempre tranquillamente a fine giornata con la
batteria del proprio smartphone.
Tolti i possessori di phablet, siamo sicuri
che il problema sia abbastanza trasversale dato che i valori in mAh delle batterie per cellulari oscillano normalmente
fra 1800 ed i 2200: valori compromesso
fra esigenze di design, dimensioni della
scocca e ottimizzazione software che
incida il meno possibile su quello che
- tra 4G, giochi dalla grafica sempre più
realistica, localizzazione e sensori vari è un vero e proprio drenaggio di risorse
che troppo spesso si conclude con una
barra rossa lampeggiante.
Oggi Huawei potrebbe aver trovato la
quadratura del cerchio con Honor 4x,
l’ultimo progetto della casa cinese per
il proprio mercato casalingo che giura 3
giorni di autonomia. Senza se e senza
ma. Che cos’ha in più Honor 4x della
concorrenza? In termini di batteria sia-
RAM, una fotocamera frontale da 5 MP
ed una posteriore da 13 realizzata da
Sony. La disponibilità mondiale per ora
è un incognita tanto quanto le effettive
72 ore di autonomia: ad oggi Honor 4x
è disponibile solo su Vmall, lo store online di Huawei, ad una cifra che al netto
del cambio fissa il cartellino del prezzo
a 130 dollari.
A
mo a 3000 mAh, un valore più alto della media che però da solo non basta a
spiegare queste 72 ore di vita lontano
dalla presa di corrente: il display HD da
5,5” permette dimensioni generose alla
fonte di alimentazione e certamente troviamo funzioni software di ottimizzazione del consumo, oltre a uno Snapdra-
gon 410 a 64bit con quattro core A53
capaci di contenere al minimo le risorse
energetiche necessarie.
Huawei dal canto suo si limita a sbandierare il numero 72 ed assicurare che
non è pubblicità ma solo la realtà dei
fatti. Sempre per restare in tema di numeri, Honor 4x vanta 2 GB di memoria
TEST
Amazon Kindle Touch
segue Da pagina 28 

il vero, ma stimando il consumo in queste settimane
di lettura possiamo dire che l’indicazione è corretta.
Sotto il profilo del sistema operativo Amazon ha aggiunto tante piccole cose, ma altre devono ancora arrivare: una delle novità che più ci è piaciuta è la nuova
sezione Free Time, un’area destinata ai bambini che
unisce la facilità di lettura ai principi della gamification:
leggendo si sbloccano traguardi e badge. Free Time
è un piccolo ambiente chiuso e sicuro, una sorta di
“angolo del bambino” dal quale si esce solo con parental control.
torna al sommario
Se scarichi i libri pirata non fa per te
L’ultimo punto da affrontare è quello dei contenuti: chi
compra i libri su Amazon non ha problemi, perché sono
ottimizzati nel formato Amazon e scalano alla perfezione. Chi però vuole caricare i suoi libri (ovviamente
acquistati regolarmente e non scaricati) deve prima
convertirli se sono in formato Epub, perché il Kindle
legge solo due formati, il Mobi e l’Azw. Per farlo esistono moltissimi strumenti online (a breve facciamo una
guida) e i risultati sono davvero buoni. Per i PDF invece
è più complesso: i file vengono ovviamente letti, ma il
“reflow”, ovvero la procedura per riadattare il pdf ad
uno schermo più piccolo, è da sempre abbastanza disastrosa sul Kindle. In questo caso è consigliabile una
conversione esterna.
Per caricare i file invece sul Kindle la soluzione migliore
resta la mail: Amazon associa ad ogni prodotto Kindle
un indirizzo email al quale mandare i file da caricare sul
cloud. I file vengono resi così disponibili a tutti i dispositivi registrati, senza la necessità di software esterni; ci
sono anche altre soluzioni magari più complete (Calibre) ma anche leggermente più complesse.
Come sempre per chi agisce nella legalità le soluzioni
sono semplici: i libri acquistati si leggono benissimo,
mentre i problemi sussistono con i PDF. È anche vero
che esistono tanti PDF scaricati legalmente (vedi DDAy.
it Magazine), tuttavia in questi casi un tablet è preferibile all’ebook. Una nota finale per quanto riguarda la
parte delle “offerte”: Kindle costa 59 euro nella versio-
La parte gamification per i più piccoli.
ne con “offerte speciali”, quindi quella con la pubblicità,
altrimenti bisogna pagare 20 euro in più. Questa pubblicità non è assolutamente invasiva, e a tratti è pure
utile perché suggerisce offerte contestualizzate ai propri gusti di lettura. La questione va comunque considerata: 20 euro è il prezzo per non avere la pubblicità, ma
in entrambi i casi Amazon saprà comunque quello che
leggete e quanti libri leggete al mese.
Nuovo Loewe Connect.
Una sorprendente gamma di TV Ultra HD.
Loewe Connect. Immagini nitide e ultra-definite unite ad una eccezionale qualità audio
grazie all’avanzata tecnologia degli altoparlanti SOEN©. Un vero talento multimediale, con
hard disk integrato da 1 TB e tutta la comodità di programmare le registrazioni anche da
remoto. Disponibile in vari colori, nei formati 40‘‘ e 55‘‘. Rigorosamente Made in Germany.
www.loewe.it
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3 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
TEST Abbiamo provato l’Acer C730 con Chrome OS a bordo: facile da usare e molto sicuro, ma ci si può fare davvero poco
Chrome OS può davvero sostituire Windows?
Chrome OS è una buona idea ma non è adatto a tutti: chi è abituato ad utilizzare un computer lo troverà troppo limitato
di Roberto PEZZALI
I
Chromebook sono finalmente arrivati in Italia. Da
tempo si sente parlare del fenomeno Chromebook
e di come questi portatili a basso costo stiano
facendo benissimo oltre oceano, ma nessuno, soprattutto in Italia, ha mai avuto la percezione di cosa
volesse dire quel “benissimo”. Google non ha mai rilasciato ufficialmente numeri e nessuno ad oggi è in
grado di dire effettivamente quanti Chromebook sono
stati venduti e qual è la reale penetrazione sul mercato di questo particolare sistema operativo. Il basso
costo, che implica anche un hardware al risparmio,
rievoca un po’ il fenomeno “netbook”, una bolla durata qualche anno e poi scoppiata. L’arrivo di Chrome OS in Italia ci ha permesso di provare uno dei
primi Chromebook che sono disponibili nei negozi,
un Acer C730 con a bordo l’ultima versione di Chrome OS a 64 bit, la 38.0.2125.110 a 64 bit.
video
lab
Acer C730
Un modesto 11.6” con Bay Trail
Il Chromebook che abbiamo provato è l’Acer C730,
un onesto portatile Acer con schermo da 11.6” e un
processore della famiglia Bay Trail di Intel. Per la
precisione l’unità demo adotta un Celeron Quadcore
N2940 a 22 nanometri, 2 GB di DDR3 come memoria, un disco eMMC basato su memoria da 32 GB e
una batteria al litio da 3 celle. Non è ovviamente un
portatile di fascia media, è proprio un entry level: lo
schermo da 11.6”, ad esempio, usa un pannello TN
con risoluzione 1366 x 768, angolo di visione molto
ridotto e resa cromatica non proprio eccelsa.
Anche i materiali non sono da primo della classe:
l’Acer C730 è costruito per costare poco e non fa
nulla per nasconderlo. Sotto il profilo della connettività troviamo solo due porte USB, un’uscita HDMI
e un ingresso SD Card, ma alla fine quello che offre
basta e avanza per il sistema operativo Chrome OS.
Ricordiamo infatti che non è possibile, ad esempio,
collegare una stampante USB a Chrome OS: la stampa dei documenti può avvenire solo tramite Cloud
Print e non con connessione diretta. Per quanto riguarda l’autonomia, l’Acer C730 offre circa 7 ore di
utilizzo, inoltre, si apprezzano
un boot decisamente rapido
e una tastiera ben dimensionata con un trackpad ampio.
Purtroppo questo modello che
Acer ci ha fornito non è al momento in vendita in Italia, motivo per il quale non abbiamo
approfondito l’aspetto hardware: nei negozi si può trovare il
modello C720 a 269 euro di
listino.
Chrome OS: Chrome con qualcosa in più
Chrome OS è una versione molto particolare di
Chrome, una versione “potenziata” con l’aggiunta di
qualche elemento che lo rende di fatto più completo
del browser che siamo tutti abituati ad usare.
Google ha spinto molto sulla facilità d’uso e se all’inizio Chrome OS era pensato per un utilizzo esclusivamente online, nel corso del suo
sviluppo ha cambiato rotta abbracciando anche una serie di funzionalità che non richiedono la connessione, soluzione questa che lo
ha reso decisamente più appetibile.
Chrome OS lavora quasi esclusivamente all’interno di una finestra del
browser ed è il browser a lanciare le
applicazioni come webapp: le uniche eccezioni in questo caso sono
rappresentate dall’applicazione per
la gestione dei file e da quella della
videocamera frontale, app che Goo-
gle ha inserito a livello di sistema.
Chi ha usato Chrome si accorgerà che le differenze
tra il Chrome browser e Chrome OS sono minime:
Google ha aggiunto solo una splashscreen per autenticare l’utente, una barra di comando “simil Windows” e un desktop. La barra di comando sembra
proprio quella del sistema Microsoft: un tasto start
mostra le app installate, una quick launch bar integra
le app più usate e un parte notifiche / sistema mostra
informazioni su audio, rete, ora e livello della batteria, oltre a integrare le notifiche di Google Now.
Il desktop è solo di supporto: non possiamo metterci
né app né files e, sorprendentemente, mancano anche eventuali widget come in Android. Il desktop c’è,
ma serve solo a mostrarci la bella foto di sfondo e a
supportare le finestre.
Tutti i limiti di Chrome OS
Prima di parlarvi di quello che può fare Chrome OS
vogliamo mettere subito in chiaro alcuni limiti del

segue a pagina 32 
torna al sommario
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TEST
Acer C730 con Chrome OS
segue Da pagina 31 
sistema: non si pensi di fare con Chrome OS quello
che viene fatto con Windows o OSX. Un Chromebook non è in grado di gestire in alcun modo la rete
locale, non vede server di rete e non può accedere
a file su NAS. Allo stesso modo non ci sono drivers
per stampanti, e se si vuole stampare si deve usare
o una stampante compatibile Google Cloud Print,
oppure ci si deve appoggiare ad un PC o ad un Mac
collegato ad una stampante “non cloud” e opportunamente configurati per ricevere stampe da altri
Chrome. Allo stesso modo non c’è un media player
completo, il visualizzatore pdf interno è limitato e
moltissime cose che siamo abituati a fare con un
computer non possono essere fatte. Banalità, come
ad esempio copiare una foto da uno smartphone
collegato via USB, sono state aggiunte solo con il
supporto MTP nell’ultimo update.
App anche offline, ma sono poche

Dopo aver visto quello che non si può fare con
Chromecast vediamo quello che invece si può fare:
oltre a navigare il web con Chrome si possono sfruttare tutta una serie di webapp che si appoggiano
a Chrome, da Google Docs a Google Mail. Google
di fatto ha integrato ogni suo servizio all’interno di
Chrome OS, e tutte le estensioni che già sono disponibili per Chrome lo sono anche per Chrome OS. La
maggior parte di queste richiede un computer connesso, ma alcune, raccolte sotto un reparto “offline”,
funzionano anche in assenza di rete.
Si può quindi comporre una mail o un testo offline,
aspettando una connessione per sincronizzare tutto
con il cloud. Il fatto che siano applicazioni “web” rappresenta un limite enorme: sono tutte app che non
possono essere troppo esigenti in termini di memoria di sistema e neppure troppo complesse. Basta
navigare un po’ sullo store delle app per Chrome OS
per capire che non troveremo mai app del calibro di
Photoshop o Pixelmator, ma editor di foto molto più
semplici. Chrome OS è perfetto per chi non ha particolari esigenze, usa il computer solo per navigare
online, leggere la posta e fare piccole cose a livello
di produttività. Un recinto un po’ piccolo, ma che si
adatta a persone che non hanno mai avuto a che
torna al sommario
Menu, quick launcher e area di sistema di Chrome OS asssomigliano davvero molto a Windows
fare con un computer e che hanno esigenze davvero
base. Chrome OS offre anche una migliore sicurezza:
malware e altri elementi che spesso vengono inviati
in mail non trovano su Chrome OS terreno fertile per
una installazione, quindi Chrome OS è perfetto per
utenti sprovveduti e alle prime armi.
Perché Chrome OS e non Android?
Chrome OS è nato per essere un sistema desktop,
Android invece per essere un sistema mobile, eppure Google sta cercando di farli convergere in qualche modo.
L’ultima build di Chrome, infatti, grazie al modulo
ARC permette di eseguire applicazioni Android su
Chrome, anche se al momento la compatibilità è
limitata solo ad alcune app come Evernote e Vine.
Una mossa interessante, che in futuro permetterà
di avere su Chrome OS un numero decisamente più
ampio di applicazione di quelle attuali, oltre ad applicazioni offline più complesse.Questo ci porta però a
farci una domanda: perché Google non ha dismesso
Chrome OS in favore di Android? Android L è multipiattaforma e ha diverse declinazioni tra cui Auto e
TV: nulla avrebbe vietato a Google di pensare anche
a una versione “computer” realizzata per essere utilizzata sui Chromebook, con accesso a tutte le app e
supporto di tastiera e mouse.
Non è per tutti, anzi, è per pochi.
Chrome OS è una buona idea ma non è un sistema
operativo per tutti. Chi sa come usare un computer
rischia di trovarsi di fronte ad un sistema davvero limitato e limitante, che gli permette di fare davvero
poche cose. Paradossalmente Chrome OS permette di fare meno cose di quelle che si possono fare
con un tablet, anche se dobbiamo considerare che
un buon tablet con tastiera aggiuntiva costa quasi
il doppio. Chrome OS è perfetto per il segmento
“educational”: ha browser, mail e strumenti di base
per comporre testi e grafici, è immune ai problemi di
sicurezza ed è allineato con Google Drive, permettendo così ad uno studente di continuare a lavorare
o accedere ai dati in remoto. E’ forse in questo settore che Google sta avendo molto successo, perché
i Chromebook sono la perfetta risposta a situazioni
dove serve hardware economico, ben funzionante
e con pochi problemi di manutenzione. Ripristinare
un Chromebook infatti porta via pochi minuti, molti
meno di quelli che servono per riportare un notebook Windows ad uno stato operativo. Resta il fatto
che Chrome OS, così come è pensato ora, non può
far paura a Windows: certo, il prezzo basso potrebbe attirare un po’ di utenti ma come abbiamo detto
la bilancia pende di più dal piatto dei limiti che da
quello dei benefici.
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MAGAZINE
TEST Sony MDR-10RC è una cuffia che offre qualità e tanta versatilità, si può utilizzare comodamente in viaggio o a casa
Sony MDR-10RC, ascolto di classe in movimento
È perfetta chi non si accontenta di ascoltare musica compressa ma cerca la qualità, anche con musica ad alta risoluzione
di Roberto FAGGIANO
impegno Sony nel campo della musica in alta
risoluzione Flac e DSD si è articolato su diverse
tipologie di prodotti e tra queste non potevano
mancare le cuffie. Proprio come questa MDR-10RC
(119 euro), un modello di fascia medio alta, per poter
ascoltare adeguatamente la musica in movimento,
senza penalizzare chi non si accontenta dei soliti
MP3. Questa cuffia si fregia anche dell’indicazione
Hi-res Audio, come i più prestigiosi prodotti Sony dedicati alla riproduzione di musica in alta risoluzione.
Il collegamento alla sorgente è del tipo classico via
cavo, separabile e ben realizzato, con terminale angolato per ridurre l’ingombro.
I padiglioni hanno una struttura Bass Reflex per migliorare la resa in gamma bassa pur utilizzando un
trasduttore da 40 mm, un buon compromesso tra
prestazioni e ingombro. Le articolazioni dei padiglioni
appaiono robuste e permettono di ripiegare la cuffia
per occupare meno spazio durante il trasporto. Una
piccola pochette in tessuto viene fornita in dotazione
a tale scopo. Il peso è contenuto in 165 grammi, grazie
all’utilizzo di materiali plastici di alta qualità.
La finitura bianca dell’esemplare in prova è molto elegante, ma anche estremamente delicata e soggetta
a sporcarsi facilmente, chi teme le conseguenze del
tempo potrà scegliere più opportunamente la versione nera oppure quella con archetto nero e rivestimento padiglioni in rosso metallizzato. Anche il cavo
di collegamento è bianco, anzi per la precisione i cavi
in dotazione sono due, uno classico e uno con microfono e tastiera per gestire musica e conversazioni da smartphone di ogni sistema operativo. Per chi
possiede uno smartphone Xperia c’è la possibilità di
utilizzare un’app dedicata, la Smart Key, che permette
di configurare il tasto di chiamata per gestire svariate
funzionalità, come saltare traccia, avviare la radio FM,
attivare i controlli vocali, alzare e abbassare il volume
e via dicendo.
L’
Ascolto rilassante

Al primo contatto la cuffia Sony appare molto comoda, con padiglioni morbidi che poggiano sull’orecchio
senza esercitare troppa pressione, con ascolti prolungati però arriva il disagio sui padiglioni auricolari. Ben
calibrabile e morbido anche l’archetto, che ha comunque una robusta anima metallica pronta a sfidare il
tempo.
Sin dai primi brani la sensibilità si rivela piuttosto ele-
torna al sommario
video
lab
Sony MDR-10RC
119,00 €
FEDELE COMPAGNA DI VIAGGIO
La cuffia Sony MDR-10RC è ideale per chi desidera ascoltare musica in alta risoluzione durante un viaggio, un buon compromesso tra prestazioni, prezzo e ingombro. Riesce a creare un’atmosfera rilassante ma dinamica e dettagliata, non gradisce invece i livelli eccessivi perché
l’elevata sensibilità la può mettere facilmente in crisi con brani musicali troppo compressi. L’indubbia eleganza nella versione bianca si abbina
a una costruzione robusta e durevole. Per il prezzo però ci saremmo aspettati ancora qualcosa in più.
7.8
Qualità
8
Longevità
8
Finitura e costruzione curate
COSA CI PIACE Prestazioni sonore
Sensibilità elevata
Design
8
Semplicità
8
COSA NON CI PIACE
vata mentre l’isolamento dai rumori esterni è limitato, ma in molte
circostanze questo non è un difetto. Dall’ascolto si apprezza una
buona tridimensionalità, sempre
difficile da ricreare su una cuffia,
anche di alto livello; i suoni quindi
non si concentrano dentro la testa
ma spaziano attorno con una gradevole sensazione di profondità.
I bassi non sono molto profondi
ma sembrano privilegiare il medio
basso come accade in molti brani
musicali recenti, tuttavia la dinamica non manca e non si possono
sollevare particolari recriminazioni. Però questa cuffia
sembra destinata a un utente che preferisce un ascolto rilassante piuttosto che musica martellante nelle
orecchie. Infatti la MDR-10RC non gradisce il volume
elevato e diventa fastidiosa oltre un certo livello. Con
D-Factor
8
Prezzo
7
Non gradisce i volumi elevati
Scarso isolamento dai rumori esterni
alcuni brani Flac si nota invece la grande precisione
nel restituire dettagli e atmosfere in gamma medio
alta, degna quindi del marchio Hi-res Audio, anche se
per la verità ci aspettavamo ancora di più considerato
il prezzo di listino.
IL PIÙ SEMPLICE
IL PIÙ SMART
*LG G2 vincitore del premio Best Phone 2013 di Cellulare Magazine.
Now It’s All Possible
Cosa c’è di meglio di LG G2, eletto migliore smartphone del 2013*?
La sua sorprendente evoluzione.
Nuovo LG G3. Il più semplice, il più smart.
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3 NOVEMBRE 2014
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TEST Il nostro test drive della nuova Kia Soul Eco-Electric: che gusto poter guidare a emissioni zero e in totale silenzio
Kia Soul elettrica, che bello dire addio alla benzina
La Soul Eco-Electric offre 212 Km di autonomia e si ricarica in mezz’ora circa. Arriverà a marzo full optional, a 36mila euro
È
di Gianfranco GIARDINA
ordinabile da subito e le prime saranno consegnate a marzo 2015: si tratta della nuovissima Kia
Soul in versione totalmente elettrica, presentata a
Milano. Si tratta della prima macchina elettrica Kia ad
arrivare in Italia ma la casa coreana ha già una lunga
esperienza su autoveicoli ibridi e completamente elettrici. Il risultato è una macchina molto competitiva con
la concorrenza, soprattutto sul fronte della garanzia:
viene confermata infatti la celebre garanzia di 7 anni di
Kia anche su questo modello, batterie comprese, cosa
davvero notevole.
video
Prestazioni molto interessanti
Gli autoveicoli elettrici, almeno per ora, sono finalizzati
principalmente alla mobilità cittadina: l’autonomia ancora non consente lunghi viaggi e la necessità di contenere i pesi sconsiglia l’utilizzo di pianali troppo grandi. Si tratta, tra l’altro, di un mercato che suscita molto
interesse ma ancora pochissimi veri acquisti. Basti dire
che nel 2014 sono state immatricolate in Italia solo 771
autovetture totalmente elettriche (598 nel 2013), con
netta prevalenza della Nissan Leaf e della Smart ForTwo. Meglio le ibride, che comunque si fermano a circa
15mila immatricolazioni in Italia nel 2014. Già compresi
in questi numeri anche i primi 10 esemplari della nuova Kia Soul Eco-Electric che sono stati immatricolati in
Italia: abbiamo avuto la possibilità di utilizzarla per circa
un’ora in giro per MIlano, con grande soddisfazione e
comfort di guida. La prima cosa che ci piace segnalare è la scelta di distribuire le batterie lungo il pianale
e non - come ci è capitato di vedere in altri modelli
- semplicemente sistemate a “consumo” di parte del
bagagliaio. Il vano di carico è infatti quasi completo e
simile a quello del modello a motore termico. Questa
scelta, quindi, non impatta sull’usabilità del veicolo, che
conserva il proprio bagagliaio; ma non stravolge neppure l’assetto della vettura, che risulta uniformemente
appesantita dai pacchi batterie e quindi resta ben piantata sulle ruote anche quando si prova a scaricare a
terra tutta la coppia. Il pacco batterie ha una capienza
di 27 KWh, valore notevole, è realizzato in tecnologia
litio-polimero e consente un’autonomia che supera i
210 Km. Il motore elettrico ha una potenza di oltre 81
kW, una coppia di 285 Nm ed è in grado di portare la
Soul fino alla velocità di 145 Km/h. La ricarica avviene
attraverso uno sportello frontale motorizzato che lascia
spazio a due prese: la Soul è già pronta per entrambi
i formati di connessione previsti dai diversi tipi di colonnine. La ricarica può essere lenta, se si utilizza una
linea di alimentazione “domestica” a 240 volt (ma da
6,6 kW, quindi dimensionata appositamente): in questo caso per un “pieno” ci vogliono circa 5 ore; tempo
che ovviamente si allunga un po’ per una linea meno
potente. Nel caso invece di ricarica presso una colonnina a corrente continua a 480V, bastano 25 minuti per
riempire le batterie all’80% e 33 minuti per arrivare al
100%.In dotazione ci sono entrambi i cavi, pensati per
essere alloggiati in un apposito vano nel bagagliaio
sotto il piano di carico.
Buoni accorgimenti
per aumentare l’autonomia

L’autonomia è la caratteristica chiave di un’auto elettrica: la Soul offre una buona autonomia unita a tempi
di ricarica accettabili, soprattutto se si
utilizza un punto di ricarica adeguato.
Ma non è solo una questione di batterie: il risultato - a quanto ci spiegano
- è stato raggiunto anche grazie ad alcuni accorgimenti sull’aerodinamica.
Il più visibile riguarda i cerchi in lega,
che sono molto diversi da quelli della Soul termica: appaiono più simili ai
profili lenticolari delle ruote delle bici
da cronometro. Sono stati fatti, poi, interventi sui paraurti e su altri dettagli
per ottenere una penetrazione del-
torna al sommario
lab
l’aria migliore.
Ma, al di là dei dati di targa, che ovviamente sono ottenuti nelle migliori condizioni possibili (per esempio con
fari e climatizzatore spenti), un buon lavoro è stato fatto
sui consumi generali del veicolo. Per esempio, un intervento è stato fatto sul climatizzatore, che è uno degli
apparati di servizio più voraci di energia: innanzitutto
è un inverter a pompa di calore; poi sono stati implementati accorgimenti come la funzione che confina la
ventilazione al solo guidatore, per evitare di disperdere
energia nel caso in cui si viaggi da soli. Infine è molto
interessante la possibilità di programmare la partenza
automatica del climatizzatore mezz’ora prima dell’ora
prevista di partenza, a macchina sotto carica: in questo
modo, nel momento della partenza, la macchina è già
fresca e si può evitare di utilizzare la preziosa energia
delle batterie a questo scopo. E visto che di risparmio
stiamo parlando, citiamo anche la possibilità di programmare l’inizio della carica in modo tale da prelevare
l’energia elettrica dalla rete nelle ore in cui l’approvvigionamento costa meno.
Il piacere del silenzio
Come sempre capita con le auto elettriche, andare
in giro è un piacere innanzitutto per le orecchie: solo
con una vettura elettrica ci si rende conto veramente
della rumorosità dei motori termici. Anche in questo
caso, andare in giro per la città senza sentire altro che
il rotolamento degli pneumatici è molto più riposante.
Se ci si fa caso, non è solo questione di rumore ma anche di mancanza di vibrazioni; tanto che un passaggio
segue a pagina 36 
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3 NOVEMBRE 2014
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TEST
Kia Soul Eco-Electric
segue Da pagina 35 
su un pavè un po’ sconnesso si fa molto più notare di
quanto non accada con una vettura tradizionale.
Gli ingegneri Kia ci hanno spiegato anche che la Soul
è stata ottimizzata sul fronte del contenimento del
rumore: la base del pianale è stata ridisegnata per
minimizzare il fruscio dell’aria e il motore elettrico ha
subito un particolare isolamento in modo tale da non
trasferire all’abitacolo i propri rumori. In effetti la guida
avviene in maniera del tutto silenziosa, anche quando
proviamo a premere l’acceleratore con più vigore.
L’elettronica di bordo
Buona ma da perfezionare

Durante il nostro test drive abbiamo anche familiarizzato con i sistemi elettronici di bordo: l’impianto audio è molto buono, sia come prestazioni che come
indennità dalle vibrazioni moleste. Il sistema audio è
di progettazione Infinity è non fa nulla per nascondersi: i tweeter sono molto generosi e posti sul cruscotto, proprio sopra le bocchette dell’aria. I woofer sono
nelle portiere, ben enfatizzati da un effetto luminoso
circolare, che può essere modulato e impostato anche per seguire l’andamento della musica.
Il cuore del sistema è un generoso touch screen nella
parte centrale del cruscotto dal quale si comandano
abbastanza agevolmente un po’ tutte le funzioni. Da
segnalare la presenza del tuner DAB e un ottimo pannello di controllo della vettura, con autonomia e distanza dalla colonnina più vicina. Da segnalare anche
la presenza di uno slot SD card, da quanto abbiamo
capito, utilizzabile però solo per le mappe: un po’
troppo visibile, tanto da rischiare di essere una tentazione in più per eventuali malintenzionati.
Interessante anche la disponibilità, nella parte bassa
del cruscotto, sopra il ponte, di una doppia presa accendisigari, una da 120 watt e l’altra addirittura da 180
watt: ci risulta difficile pensare che su una vettura elettrica si vogliano alimentare apparecchi con un assorbimento così sensibile, ma se dovesse mai servire...
A fianco, presa USB e un ingresso audio analogico di
linea, in una posizione forse un po’ troppo in vista: sarebbe forse stato meglio utilizzare il vano sottostante
al bracciolo centrale. Bocciati senza appello, invece, i
comandi al volante: innanzitutto sono troppi, tanto da
impedire un utilizzo veramente preciso a occhi sulla
torna al sommario
strada; la loro disposizione, poi, rende il volante molto
poco elegante, anche per colpa di un design goffo e
- dobbiamo dire - lontano dallo stile un po’ “hipster”
di tutta la vettura. La cosa che ci è piaciuta meno è
poi l’usabilità del menù di servizio: interfaccia grafica
e fisica mal fatta e assolutamente da rivedere, non all’altezza del resto.
Come la Ford T
Niente optional (ma full optional)
Di questa Kia Soul Eco-Electric esiste un solo modello. Intendiamo dire proprio solo uno: la dotazione è
full optional, con tanto di retrocamera, cerchi in lega,
fari LED e sensori di parcheggio anteriori e posteriori.
E dato che gli optional ci sono già veramente tutti, non
ce ne sono altri ordinabili a parte. Ma il modello disponibile è talmente “blindato” che non si può neppure
scegliere la colorazione: la Soul elettrica è disponibile solo in versione bi-color bianca con tetto e profili
azzurri. Insomma, un po’ come la celebre Ford T, ma
questa volta con finiture molto buone e accessori
completissimi.
Il nostro test-drive
Auto giovane e già matura
La guida con questa Kia Soul elettrica è assolutamente piacevole: il feeling di guida è quello di un motore termico, pur senza i fastidi di quest’ultimo. Nella
modalità Eco, il recupero in frenata è importante e
quindi, non appena si lascia l’acceleratore, la vettura rallenta vistosamente, quasi fosse un po’ “legata”.
Inoltre si capisce che è elettronicamente limitata sullo spunto: ripartendo da fermo premendo al massimo l’acceleratore, non si sente la spinta violenta e
repentina tipica dei motori elettrici ma una progressione sicuramente rapida ma più simile a quella dei
motori termici. Disattivando la modalità Eco, cambia
tutto: l’accelerazione è notevole, anche se non ai livelli estremi di altri modelli provati. Ma quello che più
ci è piaciuto è la tenuta di strada in accelerazione,
malgrado non siano montati pneumatici propriamente sportivi (205/60 R16).
Quando siamo saliti in macchina la vettura stimava
un’autonomia di 162 Km; abbiamo guidato normalmente e senza strafare per circa 25-30 Km e la stima dell’autonomia è scesa di circa la metà di quelli
percorsi, a 148; segno che, con una guida non eccessivamente nervosa si può facilmente estendere
l’autonomia. Accendendo il climatizzatore, la stima di
autonomia è scesa di circa 20 Km su un totale di 160:
un limite accettabile, anche se le condizioni climatiche autunnali sicuramente non sono quelle estreme
del periodo estivo. Certo, la linea della Soul è un po’
particolare e divide: a chi piace molto e a chi proprio
non va giù. Noi siamo stati colpiti dalla cura degli interni, sia per quanto attiene alla selleria che alle giunzioni delle plastiche e alla qualità dei materiali: qualcosa che non verrebbe immediato attendersi da Kia.
Ne esce quindi una macchina certo giovane - la prima
esperienza totalmente elettrica di Kia in Italia - ma già
matura: sia perché Soul è già alla seconda serie, sia
perché il prodotto, nella sua caratteristica “elettrica”
appare già molto ben calibrato. Il consiglio è quello di
provare a farci un giro: parte in questi giorni un roadshow che dovrebbe portare le 10 vetture test presso
i principali centri italiani. Prenotare un test drive è una
buona idea, anche per chi, al momento, non ha una
vera intenzione di acquistare un veicolo elettrico.
Il prezzo e il confronto
con la concorrenza
Il prezzo è ancora una nota dolente, anche se proporzionato al valore della vettura: 36mila euro per
questa Soul Eco-Electric. Non per tutti, soprattutto
per un mezzo da città, ma non una pazzia se si pensa
che la stessa Soul in versione a motore termico con
una dotazione di accessori simili può arrivare anche
a circa 30mila euro. Il confronto di prezzo con la concorrenza è accettabile, stante anche le interessanti
prestazioni. Va detto a questo proposito che il prezzo
della Zoe non comprende i pacchi batterie che sono
a noleggio. Peraltro, tra le vetture prese in considerazione nella slide qui sopra, la Soul è quella probabilmente più grande e l’unica con di classe B-SUV.
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3 NOVEMBRE 2014
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TEST Music Beany di Archos non è solo un bel cappellino contro il freddo, ma anche una cuffia che si collega via Bluetooth
Archos Music Beany: scalda e coccola le orecchie
Il cappellino integra due altoparlanti per l’ascolto della musica e il vivacoce, è disponibile in quattro colori a meno di 30 euro
di Roberto FAGGIANO
L
a brutta stagione si avvicina e il cappello diventerà un elemento fisso dell’abbigliamento maschile
e femminile. Con questa visione Archos ha creato un cappellino che nasconde due altoparlanti e si
trasforma in una cuffia per l’ascolto musicale,
il Music Beany costa 29,99 euro ed è disponibile in
quattro colori diversi – bianco, azzurro, nero e grigio. Il Music Beany non ha bisogno di cavi di collegamento perché prende la musica da qualsiasi
smartphone o altra sorgente musicale “connessa”
tramite Bluetooth, oltre a svolgere anche la funzione
di vivavoce. La linea è unisex e molto sobria, adattabile quindi facilmente a ogni gusto anche se a dire il
vero la scelta dei colori non è molto ampia.
video
lab
Alla moda e ben realizzato
Il cappellino Archos è realizzato con 50% poliestere
e 50% acrilico con buona fattura, ha un peso medio
per tenere al caldo la testa ma senza esagerare e
consentendo la traspirazione. La classe di protezione è la IP55, cioè in grado di resistere alla polvere
e ai getti d’acqua; in pratica non teme la pioggia e
la neve. Gli altoparlanti si possono estrarre dai loro
alloggiamenti per consentire il lavaggio del berretto,
manca l’etichetta di manutenzione ma il costruttore
consiglia il solo lavaggio a mano. I comandi per il
funzionamento sono dissimulati sotto una fascetta in
simil pelle che solo da vicino rivela i tasti per cambiare traccia e variare il volume, qualora non si volesse
farlo direttamente dal telefono. Unico particolare migliorabile è il sottile cavo che collega internamente i
due trasduttori. Per la ricarica c’è la solita presa micro
USB accessibile da una fessura sul berretto, l’autonomia dichiarata è fino a 60 ore in stand-by e fino a
6 ore in conversazione/riproduzione. La taglia è universale perché il berretto ha una certa elasticità e si
adatta bene alla testa.
Stop al freddo, via libera alla musica

Per la prova del berretto Archos non abbiamo avuto a disposizione una giornata invernale, però alcune ore sotto un potente vento non proprio caldo ci
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hanno permesso di testare le qualità protettive del
Music Beany. Va fatta una prima considerazione sul
prezzo di listino, perché già un normale berretto da
solo può costare quanto il modello Archos (senza parlare di modelli firmati che possono costare ben altre
cifre). Pertanto il rapporto qualità/prezzo è favorevole
in partenza, anche considerando il costo di una cuffia
molto economica.
Ed eccoci alla prova vera e propria, partendo dalla
procedura di abbinamento che richiede la pressione
prolungata del tasto centrale dei comandi sul berretto; nella stessa zona c’è la spia colorata che segnala
l’abbinamento Bluetooth (in blu), la ricarica (in rosso) e
la batteria carica (in verde). Iniziamo l’ascolto facendo passare qualche brano dal nostro iPod e subito si
manifesta una predilezione per un suono “giovane”,
cioè piuttosto enfatizzato sugli estremi banda. Con
brani recenti e troppo compressi il risultato non è proprio esaltante, bassi troppo esuberanti e acuti spesso
esagerati. Però con brani più tranquilli e meglio registrati la situazione si fa più accettabile, specie se non
si esagera con il volume. La gamma bassa diventa
più equilibrata e meno invadente, in linea con cuffie
e auricolari di prezzo contenuto; la gamma vocale ri-
mane sbilanciata verso l’alto ma complessivamente il
risultato non è disprezzabile e anzi dovrebbe piacere
molto ai più giovani. Molto buono anche l’isolamento
dai rumori esterni, sempre utile nei trasferimenti sui
mezzi pubblici e durante le conversazioni telefoniche.
Il berretto Archos quindi esce promosso dal nostro
test, una buona unione tra protezione dal freddo e
la riproduzione musicale con funzione vivavoce, riuniti in un piacevole accessorio di abbigliamento a un
prezzo corretto.