color y vida: 20 artisti per frida kahlo

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Quaderni di Casa America
anno•VII numero•2
COLOR Y VIDA:
20 ARTISTI
PER FRIDA KAHLO
IN COLLABORAZIONE CON
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Quaderni di Casa America
anno•VII numero•2
Autorizzazione Tribunale di Genova n. 21208
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Sommario
Roberto Speciale
presidente Fondazione Casa America
Editoriale
4
Miguel Ruiz-Cabañas
Ambasciatore del Messico in Italia
Messaggio dell’Ambasciatore del Messico
7
Sonia Pedalino
Associazione “R. Aiolfi”
Quando la sofferenza diventa arte
9
Silvia Bottaro
Presidente associazione “R. Aiolfi”
Albero della speranza tienti saldo
12
Opere in mostra
19
Fabiola Guenther Quezada
Pittrice
Frida Kahlo, ricordi, colori ed emozioni
Frida rappresenta identità; di donna, di artista e di messicana
38
Carlotta Gualco
Direttrice del Centro in Europa
e coordinatrice delle attività di Fondazione Casa America
Il dolore delle donne. Dal Messico al Congo, passando dall’Europa
41
INTERVENTI TENUTI IL 20 SETTEMBRE 2014 A PALAZZO DUCALE
DURANTE LA PRESENTAZIONE DEL PRECEDENTE NUMERO DI QUESTA RIVISTA
“FRIDA KAHLO TRA MESSICO E ITALIA”
Luciano Caprile
Critico d’arte
47
Marco Cipolloni
Università di Genova e Università di Modena e Reggio Emilia
49
Pietro Tarallo
Giornalista e scrittore
58
Inaugurazione della mostra “20 artisti per Frida”
Fondazione Casa America cambia sede!
Corsi di lingua dell’associazione Amici di Casa America
Abbonarsi alla rivista Quaderni di Casa America
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Editoriale
RobeRto SpecIale
PRESIDENTE DI FONDAZIONE CASA AMERICA
Fondazione Casa America e l’associazione “R. Aiolfi” di Savona hanno voluto accompagnare la grande mostra di
Frida Kahlo e Diego Rivera al Palazzo
Ducale di Genova, preceduta da
un’esposizione a Roma alle Scuderie
del Quirinale, con un’iniziativa di
omaggio a Frida da parte di 19 artisti
italiani e di una pittrice messicana.
Le loro opere sono state create appositamente per questa occasione e donate
agli organizzatori. Si tratta di artisti
molto diversi, per età, per stile, per tecniche utilizzate ma tutti noti e di talento. Anche questo fatto sottolinea
l’interesse diffuso per Kahlo e il segno
“universale” di quel riconoscimento.
Dopo la mostra e la pubblicazione dedicata da Fondazione Casa America a
Tina Modotti, fotografa italo-messicana
con una vita straordinaria, questo è il
secondo capitolo di una storia di arte,
di cultura, di passioni al femminile, tra
America ed Europa.
Alcuni si sono chiesti se alla base dello
straordinario successo di Frida Kahlo
non ci sia stata e non ci sia ancora una
certa “fridomania”, quasi a dire un eccesso di attenzione oltre ai meriti indubbi. Può darsi ma sicuramente Frida
Kahlo è stata una pittrice di grande valore ed una personalità di immenso fascino e le due questioni si sono congiunte.
A me piace pensare però che ci sia in
questo successo la riscoperta del Messico storico e dell’importanza di quel
Paese anche oggi.
La Rivoluzione messicana infatti, e non
sempre viene ricordato, è stata la prima
grande rivoluzione del ‘900, antece-
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dente alla Cina di Sun-Yat-sen e alla
Rivoluzione d’ottobre, sovietica.
L’insurrezione fu annunciata da Francisco Madero il 20 novembre del 1910
alle ore 18. Con un po’ di benevola ironia nel suo bel libro Massimo De Giuseppe annota “è vero che ben pochi si
mobilitarono in orario ma, rispetto a
precedenti ribellioni, questa volta l’innesco si generò”.
Cosa caratterizza quella Rivoluzione (e
che ritroviamo anni dopo nell’opera di
Diego Rivera e Frida Kahlo)? Intanto
la sua dimensione di massa: operai,
contadini, artigiani, indigeni ed europei
ecc. e poi l’emersione della presenza
(senza precedenti mi pare) delle donne
nella rivoluzione armata (le soldaderas)
ma anche nell’arte, nella cultura, nella
vita quotidiana. Sono splendide per
esempio le foto di Tina Modotti delle
silenziosi madri indigene e delle mani
dei campesinos.
Ancora: per la prima volta si fa un uso
così intenso e qualitativo della stampa
(i reporters al fronte), della fotografia,
del cinema (per es. lo stesso Eisenstein
filma il Messico) e si usano in modo così
diffuso le nuove tecnologie degli armamenti (la dinamite, la cucaracha, ecc.).
La Rivoluzione messicana (o meglio le
diverse rivoluzioni al Nord e al Sud e
in fasi diverse) lascia, tragicamente, una
lunga scia di sangue e divora tutti i suoi
protagonisti (muoiono assassinati Pancho Villa, Carranza, Madero e Zapata).
Dieci anni dopo il 1910 il censimento
indica quasi un milione di messicani in
meno, da 15 a 14 milioni.
Eppure quella rivoluzione tragica fa entrare il Messico nell’Era moderna, gli fa
recuperare un’identità nazionale unitaria, porta alla ribalta la realtà indigena
e la cultura tradizionale, costruisce, nel
bene e nel male, un’immagine internazionale senza precedenti superando la
grave ferita dei rovesci militari e territoriali della guerra contro gli USA
mezzo secolo prima nella quale il Messico fu costretto a cedere quasi la metà
del Paese.
È questa immagine che attrae una personalità come quella di Peppino Garibaldi, il nipote dell’Eroe dei Due Mondi,
che combatte a fianco di Madero, e che
attira irresistibilmente come una calamità l’intellettualità europea e latinoamericana e che fa diventare il Messico
per un certo periodo terra ospitale e rifugio di molti dissidenti (a cominciare
da Trockij). Si dà vita insomma, pur preceduto e accompagnato da tragedie di
vita e dimorte, ad un grande rinnovamento culturale e nazionale. Il Messico
si apre al mondo.
Da quei caratteri nasce il progetto dei
Murales nei luoghi pubblici e cioè l’idea
di raccontare la rivoluzione, la sua storia
e i suoi obiettivi e di celebrarla come
rifondazione della nazione. Il principale
protagonista, il più grande di tutti i pittori messicani e forse dell’America latina è Diego Rivera, che è anche un
grande narratore.
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Città del Messico, 2014. © Melissa Bugarini
“Frida - dice Cacucci nel suo libro Viva
la Vida - è l’anima profonda del Messico, rappresenta le sue radici ancestrali
e l’ostinato attaccamento alla vita nonostante tutto”. Frida trasforma il dolore e l’amore in arte, dipinge pensieri,
stati d’animo.
Rivera è la storia, lei forse è l’immediatezza, il sentimento. Come diceva di lei
André Breton “è una bomba avvolta in
nastri di seta”.
Può darsi che i suoi autoritratti ripetuti
in modo “ossessivo” dimostrino un
certo solipsismo ma sono anche sempre
diversi e cangianti ed arrivano, seppure
in modo contraddittorio, a tutti.
Insomma abbiamo voluto ricordare una
grande artista, una donna di forte personalità ma anche la ventata culturale
senza precedenti che ha soffiato in quel
periodo in Messico e che, per questo,
ha saputo parlare al mondo.
Desidero infine ringraziare tutti i bravi artisti che hanno accolto generosamente il
nostro invito, l’Ambasciatore del Messico,
Silvia Bottaro e Sonia Pedalino dell’Associazione “R. Aiolfi”, i Comuni di Savona,
Genova e Millesimo, la Regione Liguria,
gli autori degli articoli di questo CatalogoRivista e tutti coloro che hanno collaborato
e reso possibile questo piccolo, grande
omaggio a Frida e al Messico.
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Messaggio
dell’ambasciatere del Messico
MIguel RuIz-cabañaS
AMBASCIATORE DEL MESSICO IN ITALIA
Quale Ambasciatore del Messico in Italia
non posso che ritenermi più che soddisfatto
del grande e meritato successo ottenuto
dalle attività tenutesi in Italia durante il
2014 intorno alla vita e le opere di Frida
Kahlo.
Esse sono iniziate a marzo, con una splendida retrospettiva su quest’artista messicana
nella bellissima sede delle Scuderie del
Quirinale a Roma, che è stata la terza
mostra più visitata nella storia di questo
prestigioso palazzo, dopo quelle sul Caravaggio ed i Tesori dell’Hermitage.
Parallelamente, nel Palazzo delle Esposizioni della capitale si sono tenuti eventi
collaterali quali conferenze, dibattiti e pro-
iezioni di films su Frida Kahlo, durante i
quali si sono evidenziate le diverse sfaccettature di questo personaggio complesso
ed affascinante. Molte delle opere esposte
a Roma sono attualmente in mostra nello
storico Palazzo Ducale di Genova, arricchite
da diversi lavori di un altro artista messicano
mondialmente conosciuto: Diego Rivera.
Frida e Diego, una coppia dal rapporto
travagliato ma indissolubile, l’una icona
per passione, carattere e impegno; l’altro
un genio del muralismo messicano, inizialmente suo mentore, e poi inseparabile
compagno di vita, legati da un profondissimo amore per il loro paese e le sue
radici. Ed è proprio l’amore per il Messico
che ritroviamo nelle opere di questi straordinari artisti. La forza ed emotività che
Frida Kahlo è riuscita a plasmare nelle
sue creazioni l’hanno convertita in una
delle artiste più riconosciute ed ammirate
a livello mondiale.
I 20 lavori presenti in questa pubblicazione,
appositamente realizzati da altrettanti ceramisti e pittori di talento con cui mi congratulo -19 italiani ed una messicana, Fa-
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biola Guenther Quezada- rendono omaggio a Frida Kahlo, in una sinergia artistica
nell’ottica del rinsaldamento dei già ottimi
rapporti di collaborazione in essere fra
l’Italia ed il Messico.
Infatti, negli ultimi anni tale collaborazione
è stata potenziata in tutti gli ambiti, specialmente artistico-culturale, come in
questo caso grazie all’iniziativa promossa
dalla Fondazione “Casa America” che,
nel manifestare il suo amore per Frida
Kahlo, in senso più ampio riflette l’affetto
nei confronti del Messico.
I campi di interesse comune fra le nostre
nazioni sono molteplici e svariati e spaziano
dall’architettura, alla pittura, fotografia,
letteratura, musica, antropologia e cinema.
Durante il presente anno, nel settore delle
arti plastiche il Messico è alla 14.ma
Mostra Internazionale di Architettura di
Venezia con un padiglione individuale;
ha presentato la mostra dell’incisore José
Guadalupe Posada insieme agli artisti
contemporanei Blanca Rivera e Carlos
Castañeda, oltre all’esposizioni degli altri
contemporanei Carmen Maza e Irma Palacios, come pure la grande mostra “Messico circa 2000” con opere di più di 80
artisti messicani.
In ambito musicale, si sono tenuti concerti
di prestigiosi gruppi quali il Cuarteto Latinoamericano, Michael Tsalka con Angélica
Minero ed il Parnassu Trio, oltre alle orchestre Filarmonica dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM)
e Sinfonica di Guanajuato.
Per quanto riguarda il cinema, il Messico
ha partecipato al Festival Internazionale
del Cinema di Venezia e quello Iberoamericano “SCOPRIR” a Roma.
Altre nostre presenze importanti si sono
registrate al Congresso Internazionale di
Americanistica, al Laboratorio sull’Epigrafia
Maya, alla Conferenza sulle Religioni Preispaniche ed al Festival Internazionale dei
Giochi Antichi di Strada “TOCATI”.
Infine, vale la pena di ricordare gli omaggi
al diplomatico Gilberto Bosques, il “Perlasca” messicano, ed allo scrittore Octavio
Paz, Premio Nobel per la Letteratura 1990,
nonché l’imminente donazione di un
lotto di opere contemporanee all’Istituto
Nazionale per la Grafica.
Come si può apprezzare, il fluire delle attività è continuo, ed è iniziato nel lontano
1492, quando il genovese Cristiforo Colombo scoprì il Nuovo Mondo, a cui seguirono i viaggi del fiorentino Amerigo
Vespucci, di Giovanni de Paoli (Juan de
Pablos) che lasciò la sua Brescia alla volta
del Messico per aprirvi la prima tipografia,
e di Lorenzo Boturini, originario di Sondrio,
che visse in Messico nella prima metà del
1700, dove si dedicò a riunire una straordinaria collezione di oggetti, documenti e
codici, che è stata una preziosa fonte di
riferimento nella ricostruzione della storia
messicana precolombiana.
Insomma, un gran fermento di attività, a
riconferma che la cooperazione italomessicana è vitale, intensa e proficua,
grazie ai rispettivi talenti e creatività,
derivati dal ricco bagaglio ereditato dalle
rispettive storie e culture millenarie.
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Quando la sofferenza
diventa arte
SonIa pedalIno
ASSOCIAZIONE R. AIOLFI
Artista, militante comunista, anticonformista, donna indomita e vitale, a dispetto
di un’esistenza segnata dal dolore, Frida
Kahlo, non incarna solo l’anima del Messico, ma è un mito che ha catturato l’immaginario collettivo.
“Pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho
sempre dipinto la mia realtà, non i miei
sogni.” (27 aprile 1953). Realtà che per
gran parte della sua vita vedeva dal suo
letto a causa della sua malattia. In con-
comitanza con la mostra a Genova a Palazzo Ducale, l’associazione culturale
“Renzo Aiolfi” di Savona, in collaborazione con la Fondazione Casa America
di Genova, ha organizzato una esposizione di arte contemporanea, ispirata a
Frida Kahlo che nello stesso tempo, vuole
essere un omaggio alla grande artista.
Ma chi è nello specifico Frida Kahlo? Era
nata a Coyoacán, vicino a Città del Messico, il 6 luglio 1907, ma ha sempre dichiarato di essere nata nel 1910 perché
si sentiva figlia della rivoluzione messicana, che proprio in quell’anno ebbe inizio. Suo padre era un fotografo nato in
Germania da famiglia ebrea - ungherese
e sua madre una benestante messicana
di origini ispanico - amerinde.
Affetta da spina bifida, che le causò l’arresto dello sviluppo della gamba destra,
aveva continui dolori alla schiena e soffriva di problemi circolatori, che nel corso
degli anni portarono all’amputazione
delle dita dei piedi e poi della gamba.
Fin dall’adolescenza manifestò una personalità molto forte, unita a un singolare
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Quaderni di Casa America
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talento artistico e uno spirito indipendente e passionale, riluttante verso ogni
convenzione sociale.
Studiò inizialmente al Collegio Alemàn,
una scuola tedesca, e nel 1922, aspirando
a diventare medico, s’iscrisse all’Escuela
National preparatoria. Qui si lega ai Cachuchas, un gruppo di studenti politicamente impegnati, il cui nome deriva dal
berretto indossato come segno distintivo,
e inizia a dipingere per divertimento i ritratti dei compagni di studio. Il gruppo
ammira il rivoluzionario José Vasconcelos
e si occupa in particolare di letteratura;
molte attenzioni erano riservate soprattutto a Alejandro Gomez Arias, studente
di diritto e giornalista, capo spirituale e
ispiratore dei Cachuchas e di cui Frida si
innamora.
Il 17 settembre del 1925 rimane gravemente ferita nello scontro, contro un
muro, dell’autobus sul quale viaggiava.
L’incidente fu grave e ne conseguì una
lunga degenza in ospedale e una faticosa
riabilitazione durante la quale inizia a dipingere. Gli strascichi dell’incidente si
faranno sentire per tutta la vita costringendola a numerosi interventi. Nel 1929
sposa Diego Rivera con il quale condivide
la fede politica e la passione per l’arte,
ma sarà un rapporto tormentato a causa
dei continui tradimenti di lui. Anche lei
lo tradisce a sua volta e così si separeranno nel 1939. Rivera tornò da Frida un
anno dopo: malgrado i tradimenti non
aveva smesso di amarla. Le fece una
nuova proposta di matrimonio che lei
accettò con riserve, in quanto era rimasta
pesantemente delusa dall’infedeltà del
coniuge. Si risposarono nel 1940 a San
Francisco. Da lui aveva assimilato uno
stile naïf, che la portò a dipingere piccoli
autoritratti ispirati all’arte popolare ed
alle tradizioni precolombiane. La sua intenzione era, ricorrendo a soggetti tratti
dalle civiltà native, di affermare la propria
identità messicana.
Il letto a baldacchino, con annessa l’installazione di uno specchio che i genitori
le regalarono, durante il suo prolungato
immobilismo, ebbero per Frida un effetto
sconvolgente e la portarono al ricorrente
tema dell’autoritratto. Il primo che dipinse fu per il suo amore adolescenziale,
Alejandro. Nei suoi ritratti raffigurò molto
spesso gli aspetti drammatici della sua
vita, il più importante dei quali fu senza
dubbio l’incidente del 1925.
Nonostante le avversità di ogni tipo, Frida
non ha mai rinunciato a vivere quasi
come una dea pagana, dedita alla bellezza
e alla vita stessa. Non perde occasione
per offrire grandi banchetti ai suoi amici,
beve alcolici in grande quantità e fuma
continuamente, ascolta musica in una atmosfera impregnata di profumi che la
aiutano ad allontanare la malinconia.
Frida capisce che vivere è un mistero da
gustare più che da capire. Considera la
sua infermità come un luogo nel quale
coltivare lo spirito, il luogo della sua provata solitudine a cui nessuno può accedere e nel quale dar vita ad un linguaggio
pittorico in grado di registrare la memoria
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del dolore nella sua dimensione quotidiana e nelle sue tragedie pre-vissute,
come quella della mutilazione, un tema
che compare nei suoi dipinti fin dal 1938,
quindici anni prima che le venga amputata la gamba. I suoi quadri affrontano
un’analisi profonda dei sentimenti come
la colpa, l’amore, il desiderio, il dolore e
la gelosia. La creatività è uno scudo per
difendersi dal tempo, dalla minaccia della
vecchiaia e della morte. L’immagine della
pittrice è quella di un personaggio carismatico e cerimoniale con indosso i tipici
vestiti messicani, soprattutto quelli della
regione all’istmo Tehuantepec, accostati
a capi da lei creati. Non segue una moda,
ma crea una propria immagine originale.
Il suo stile si irradia alla sua casa; Casa
Azzurra Coyoacán che oggi è il suo museo e che fu il laboratorio della sua anima.
La disabilità di Frida Kahlo è stata dissimulata dalla sua capacità di sublimare il
dolore personale in opere artistiche che
sono apprezzate a prescindere dalla sua
straordinaria biografia.
La sua vita, fu intensa e crudele, caratterizzata da tormenti e forti emozioni che
le procurarono depressione, estraniamento, perdita. Ma la sua arte è testimonianza di un successo raggiunto che la
salva dall’essere considerata sia una “vittima” che un’“icona con disabilità”, a dispetto di una cultura patriarcale, di un
marito infedele e di un orribile incidente
che avrebbero potuto alimentarne il mito
di “eroina tragica”. Fin dagli esordi affrontò la sua difficile condizione opponendosi alla sorte avversa, riuscendo a
trasformare l’immobilità in opportunità
artistica e successivamente a trasformare
la sofferenza in arte. Il dolore rappresentato nelle sue tele non è mai tragico, caso
mai sfrontato e vivido: Frida disegna l’intensità e la debolezza del genere umano.
I numerosi autoritratti, inusuali e pieni di
colore, ci fanno percepire quanto questo
corpo di donna ferita, sia stato centrale
nella sua arte e nella sua esistenza.
Frida era una donna con una forza speciale, probabilmente necessaria per dover affrontare sia i problemi di salute
che quelli più strettamente personali.
L’essersi sottoposta a trenta operazioni
chirurgiche, alcune non indispensabili
da un punto di vista medico, o l’accanimento con cui cercò di portare a termine ben tre gravidanze, senza riuscirvi,
mostra la determinazione nel voler superare la barriera del suo corpo fragile,
ritenuto un ostacolo per la sua forte
personalità e l’enorme sete di vita. Questo rapporto ossessivo con il suo corpo
martoriato caratterizza uno degli aspetti
fondamentali della sua arte.
Tre importanti esposizioni le furono dedicate nel 1938 a New York, l’anno successivo a Parigi e nel 1953, un anno prima
della morte, a Città del Messico.
Frida si spegne il 13 luglio 1954 nella sua
casa a Coyoacán per edema polmonare.
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Albero della speranza
tieniti saldo
SIlVIa bottaRo
PRESIDENTE ASSOCIAZIONE R. AIOLFI
La speranza e il dolore di Frida Kahlo sono la
sua arte e hanno ispirato questo “omaggio”.
L’arte di Frida Kahlo (1907-1954) è un
tutt’uno con la sua vicenda umana ma,
mi pare, che essa interpreti in modo
esemplare il secolo in cui ha vissuto,
così cadenzato dalle tante drammaticità
(dalle due guerre mondiali, da Hitler a
Stalin, all’olocausto nucleare di Hiroshima). Il suo corpo diviene la carta
geografica di tali sventure, a partire dal
maledetto incidente di cui è stata vittima
a diciotto anni e che segnerà per sempre
la sua vita, scandita per di più da decine
di interventi chirurgici. Questa breve
premessa è necessaria per addentrarci
nella sua arte così complessa, unica
dove eros e amore vanno di pari passo
con pathos e dolore, senza, però, mai
abbandonare la speranza. Ha scritto
nel suo diario: Non ho mai dipinto i
sogni. Ho dipinto la mia realtà. La sua
sete di vivere non è stata compressa e
abbattuta dalle sventure fisiche che
l’hanno segnata, anche psicologicamente; l’aver avuto il coraggio di ascoltare il suo cuore pulsare e battere per
l’amore del marito Diego Rivera, aver
creduto nella forza della natura e nella
storia financo autentica e sociale delle
sue Genti l’hanno, certamente, aiutata
a trasformare il dolore in una sorta di
grimaldello per scavare nella quotidianità
per arrivare alla verità. Renderle omaggio
non è facile senza cadere nel banale,
perché la Kahlo è tutt’altro che con-
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venzionale e insignificante, nulla nelle
sue tele è pedestre, scialbo o dozzinale,
ogni riferimento, anche minimo, ha
qualcosa di inconsueto e, perciò, è singolare: dai colori accesi e della tradizione
folcloristica messicana, al suo personale
“verziere” che discende molto dalla
pittura fiamminga financo barocca, ma
risolta in chiave “rivoluzionaria”, così
come i ritratti che vanno al di là del
mero dato personale ma raccontano,
tra le sue dipinte, nette e arcuate sopracciglia, il legame stretto con l’uomo
della sua vita, fino al calvario delle sue
carni, raggiungendo un richiamo universale alle torture effettuate nel secolo
in cui ha vissuto. Pittura in forma di
crasi sociologica e d’arte; canto al piacere,
ai piaceri della vita; festa di colori, quelli
della sua amata Terra, quelli presenti a
tutte le latitudini nelle leggende, nei
costumi delle varie etnie, nella musica
e nelle poesie delle Genti del Mondo.
Mi ha colpito, osservando i suoi lavori,
la ricerca dell’anima dell’abitare, ovvero,
la pittrice messicana avverte la comunità
come avventura alla ricerca delle pluralità
dei modelli di vita posti all’interno dello
scorrere del tempo che, anche, inconsapevolmente ci affascina, guardando
le testimonianze delle pietre che nel
tempo hanno trasformato una condizione naturale in una condizione culturale. La città, il luogo ove si vive, se
indagato in quest’ottica, diviene essa
stessa strumento di comunicazione,
molto complesso, dove noi possiamo
riscoprire il nostro essere partecipi di
una comunità. La ricerca della propria
identità dentro una città fisica, carica di
valori simbolici, deve necessariamente
passare attraverso il senso di appartenenza a un territorio, sia fisico, sia culturale, sia sociale e politico, alimentando
la nostra speranza per il futuro. Frida
Kahlo, a mio parere, sentiva la città
come casa collettiva e sapeva che nelle
periferie viveva lo specchio, autentico
e inesorabile, dello scorrere di ogni
giorno fatto di drammi e dell’avventura
dell’umanità, mentre nel centro storico
si è sedimentata la stratificazione densa
delle esperienze storiche e delle memorie, da cui non si può e non si deve
fuggire. La città diviene una sorta di
grembo umano dove si alimentano le
radici ed il senso della civiltà, tra promesse e utopie. Pare davvero sconcertante il fatto che la Kahlo non abbia
potuto divenire “madre” biologica, ma
certamente è stata “madre” di una visione viva e vitale del suo essere donna
libera in un contesto, come quello dell’America Latina, dove la condizione
urbana si espande a ritmo serrato (così
in Asia e Africa) avanzando nuove richieste: le piazze, gli ospedali, i mercati
ecc. divengono di essenziale importanza,
un diritto andando al di là di una mera
visione ideologica; in ciò la Kahlo è
stata alimentata dall’esuberanza della
Natura della sua Terra, senza esaltare
appieno una città “proletaria” e popolare
che può favorire la ghettizzazione ma
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cercando di capire, invece, la dialettica
di cui una città è formata: non solo
lotta di classe, ma dialogo, alleanze,
condivisioni, osmosi e trasformazioni.
Alcune sue opere mi sembrano vere
preghiere laiche: un inno alla bellezza
atemporale delle città e, allora, chiudo
con alcuni versi di Giorgio Caproni dedicati a Genova:
“La mia città degli amori in salita,
Genova mia di mare tutta scale
e su dal porto, risucchi di vita
viva fino a raggiungere il crinale
di lamiera dei tetti, ora con quale
spinta nel petto, qui dove è finita
In piombo la parola, jodio e sale
rivibra sulla punta delle dita
che sui tasti mi dolgono?... Oh il carbone
a Di Negro celeste! Oh la sirena
marittima, la notte quando appena
l’occhio s’è chiuso, e nel cuore la pena
del futuro s’è aperta nel bandone
scosso di soprassalto da un portone”
(Sirena, da “Il passaggio di Enea”, 1952)
Le mie osservazioni hanno il mero intento
di fare da breve preambolo all’impegno
che gli Artisti partecipanti a questa inedita
rassegna hanno impresso al loro “esserci”
accettando, con autentico impegno e fervore, l’invito a cimentarsi con questa complessa figura dell’arte contemporanea. Attraverso tali lavori, forse, o meglio questa
è la scommessa, vorremmo scoprire ancora
molto di questa Donna, del suo fare arte
perché ogni opera è il suo universo che
custodisce la sua esistenza e, a ben guardare, le emozioni universali. A tutte queste
“voci” dell’arte contemporanea un grazie
sentito.
Ora in sintesi un conciso commento
per ciascuno per mettere in rilievo le
loro peculiarità perché saranno, poi, le
opere a comunicare, certamente, meglio
e molto di più di queste mie parole.
GLI ARTISTI CHE RENDONO
“OMAGGIO” A FRIDA KAHLO
Maria Paola Amoretti, allieva a Milano
dello scultore Mauro Baldessari. Indaga
con forza, oltre agli schemi imperanti, la
vera identità del sé e del rapporto con
l’altro e fa ciò con la semplice “terra”
che viene manipolata, decorata con ritmi
liberi, coinvolgenti laddove si avverte
forte la visione illuminante dell’arte intesa
come comunicazione universale con percorsi costellati da rimandi, storici, umanistici, sociali, politici, non tralasciando
ombre e proiezioni dell’infanzia.
Dino Aresca, usa il colore in un modo
originale e non scevro dall’antica lezione
appresa da Pietro Mazzotti con la scultura
lignea. Cerca la bidimensionalità con
spatolate spesse di colore e col “dripping”
lascia una comunicazione libera. Nelle
sue opere si avverte la ricerca, anche, di
una sorta di carta geografica delle emozioni contemporanee, catturate in una
rete, reticoli di luci dove emerge la forza
del “segno”, della parola visiva che vuole
scrivere o riscrivere le tracce dell’ordinario,
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
esaltando la spazialità, l’intimità e la spiritualità di un artista.
Sandra Cavalleri, artista che da decenni
si dedica alla ceramica che “comunica”
anche la sua vicinanza allo yoga. Abile
nella tecnica raku declinata in modo
personale, ricerca una forma naturale
di comunicazione dove le forme, i gesti,
i colori sono “altro” dalla vita frenetica
reale: ai confini, quindi, tra il caos metropolitano e l’indagine necessaria alle
radici culturali di ognuno di noi, dove
anche la minima cosa può essere essenziale, cercando il limite straniante
tra realtà e finzione.
Anna Corti, artista informale, ovvero
usa la tela, le stoffe, per scrivere con altri
frammenti e/o lustrini lemmi di quegli
alfabeti del Mondo che paiono tenerci
lontani gli uni dagli altri, ma in realtà
solo quei segni ed il colore ci unificano
in un canto universale. I segni, poi, alla
fine siccome non c’è il disegno, sono
matasse, grovigli spesso disperati, altre
volte invece ricchi di vita interiore per
arrivare a quella vita così priva di un
ordine interno ma creata dalla volontà
ferma di ogni persona. Pittura certamente
non decorativa, scenografica, coinvolgente.
Tessuti, quindi, per cattura l’inafferabile.
Maria Giulia Drago, con i colori fulgenti
di quel sole splendente nella cultura
antica del centro America, la portano a
far vibrare il suo lavoro dal di dentro,
sentendo forte i legami, anche più intimi,
che legano la Kahlo alle sue Genti. La
natura alimenta la percezione dell’im-
maginario, così la passione, la sessualità
sono un tutt’uno in questa Pittrice che è
diventata, non a caso, un simbolo universale dell’emancipazione femminile e
la Drago ne avverte la forza interiore, la
musicalità dell’armonia che Frida cerca
tra sé e la natura per cercare pace e dare
un senso alla vita di tutti, anche degli
umili, dei più sventurati dal fato.
Silvia Fucilli mette in luce una attitudine
molto personale che, seppur connessa,
in un certo modo, alle atmosfere di Alberto Sughi, svolge con una tavolozza
rutilante, violenta, vistosa congiunta ad
un segno calcato. Crea situazioni finanche incorrotte, in un certo senso,
accentuate dal volume degli abiti delle
sue donne, spesso sensuali, con un
“racconto” ricco di riferimenti ambientali
ed esuberanti di decorazioni. Pittura di
grande effetto coloristico e di forme
fatte spiccare volutamente, ridondanti,
alcune vogliono essere provocatorie e
provocanti, forse per rimarcare uno spirito di vera ribellione ed emancipazione
femminile.
Roberto Giannotti, architetto, designer,
ceramista. Ha scritto: “Perché la ceramica?
Perché è creazione, gioco, emozione, sogno,
fantasia che diventa materia pura”. Perché
è la mia sfida di voler creare, di far nascere
qualcosa dalle nostre mani, di trasformare
una nostra idea in materia pura(…)”. La
tradizione ligure, legata alle Albisole
ha influenzato la sua originale comunicazione: dalle pignatte alle sue “ sogliole” dove luce e forma giocano in
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
molti rimandi in un caleidoscopio di
colori, segni che mettono in risalto la
fantasia dell’artista, così alchemico con
la realtà che lo circonda.
Luisa Giovagnoli fa parte di una scuola
legata all’arte sempre “verde” genovese
che va dalla musica alla poesia, alla pittura
(da Tenco a De Andrè, da Caminati al
Gruppo Cobra per citarne alcuni). In tale
contesto la Nostra, allieva di Luigi Maria
Rigon, usa le geometrie per scandire comunicazioni visive sempre puntuali caratterizzate da pregnanza figurativa, soprattutto tali puzzle ci introducono alla
ricerca sul paesaggio che penetra, quasi,
con le case, gli alberi cercando una vera
sintesi essenziale. Altre volte la sua pittura
è lo specchio di molte inquietudini contemporanee ed i suoi lavori debbono
essere letti cercando, anche, quella poetica
del contrasto che pare alimentarli.
Carlo Giusto è rimasto colpito dal
grido di Frida rivolto alla natura: essa
non è una barriera, un muro di mattoni
scanditi dal tempo, da abbattere, una
barriera divisoria tra l’uomo contemporaneo e la sua vita, anzi l’essere
umano vive bene solo in un ambiente
naturale rispettato, compreso appieno
e tutelato. Così pennellate larghe scandiscono, come in una dettato di una
lapide, questa verità universale, anche
etica, che deve rimanere imperitura.
Segni veloci ed espressivi che interagiscono in un dialogo serrato sui meccanismi della percezione attraverso atmosfere sospese, financo enigmatiche.
Bruno Gorgone con le sue peculiari mitocromie guarda incantato il “giardino”
della vita di Frida (dalle angurie sapide,
ai colori sgargianti dei pappagalli ) dove
le luci rade, calde, esplodenti imprimono
forza alla spirito di libera ribellione della
Pittrice. Un “giardino” che diviene icona
alla ricerca di una sorta di armonizzazione degli elementi che s’incontrano
nella vita di ognuno con la forza della
speranza di un canto del verziere che
venga ascoltato, fuori dagli schemi convenzionali. il suo lavoro si contraddistingue per una progressiva sintesi fra
segno, forma e colore, sino ad evolvere
verso una pittura di pattern quale “linguaggio concettualmente avanzato dei
reciproci scambi tra figurazione e astrazione” come hanno rilevato i critici Tommaso Trini e Vittorio Sgarbi.
Rossana Gotelli, lavora a Quarto, nel
levante genovese. Ha frequentato lo
studio dello scultore Lorenzo Garaventa
ed a Milano artisti rappresentanti dell’Arte Povera. Nelle sue sculture ceramiche cerca, sempre, di scovare ciò che
non appare: tra gioco e sogno e mettendo l’opera a diretto contatto col fruitore spronandolo ad interrogarsi. Le
opere sono mutevoli, intrise di “semi
di vita” e di sete di vita. Chi guarda
può avverte che vi è la massima libertà,
non ci sono regole, dobbiamo ascoltare
il cuore e andare “oltre” alla vita quotidiana, abbandonandoci alle nostre
emozioni ed ai sentimenti: desideri,
passioni, odi, felicità, morte.
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Carlo Iacomucci, maestro dell’incisione
e pittore. È di origine urbinate e tale retroterra culturale è sempre ben presente
nel suo colto ed articolato bagaglio iconografico, innestato nelle Marche dove
vive e lavora. Le sue opere sono delicate
e, nel contempo, intense come i versi di
una poesia. La sua cifra originale va oltre
il mero dato storico e quotidiano per
parlarci di un mondo, forse, ideale dove
la natura con la bellezza dialoga con
l’uomo e cerca di insegnargli la qualità
della vita nel rispetto del paesaggio, sia
quello naturale sia quello culturale dove
si vive e si opera, sia quello mentale. Il
suo segno è sempre dinamico, elegante,
in evoluzione ed innestato in una composizione euritmica, basata sull’equilibrio
musicale delle forme e dei colori.
Caterina Massa, dagli anni Novanta del
Novecento, incessantemente compie ricerche sulla materia (la creta) e sulle tecniche (raku) fino ad esiti scultorei sempre
più indefiniti, informali, pur mantenendo
una insita poetica e musicalità. Lavori,
anche, introspettivi, carichi di emozioni,
in cui vi è la magica mescolanza della
fragilità della Terra con la durezza della
tecnica usata in modo magistrale e che
indica l’asprezza, l’inclemenza delle vicende umane fino alla disabilità che non
può e non deve essere un limite. Opere
le sue che sono da inserire tra realtà
sociale e sensibilità lirica.
Maria Luisa Montanari, mette in luce
una straordinaria padronanza delle difficili tecniche dell’acquerello e dell’in-
cisione. Il suo segno, tagliente, interrogativo indaga il “racconto” intimo del
soggetto svolto, ponendolo alla nostra
riflessione. Avverte la natura e l’uomo
intrecciati indissolubilmente, in un sol
respiro. Opere le sue razionali e, anche,
metafisiche con echi simbolisti. Spesso
lo “spazio” dove si svolge il suo racconto
“visivo” ci porta a luoghi inverosimili,
favolistici, immaginativi con un verziere
rigoglioso oltre il reale, indicendo, così,
un’idea di inquietudine diffusa e molto
calzante con l’attualità.
Vittorio Patrone, personalità creativa
che spazia dalla fotografia alla pittura
alla ceramica. Con la fotografia resta,
come dire, ancorato alla realtà, fissandone momenti da istantanea narrativa.
Con la pittura, invece, vuole evadere
dalla realtà con visioni siderali, alla
ricerca di un mondo primigenio e, quindi, comune a tutti, quasi alla ricerca di
una mitologia contemporanea, stando
al di fuori della pop art. La ceramica,
più concreta come materia povera e
universale, diventa luogo per le forme,
i colori e dove la natura è sentita come
monumento ed armonia tra artificio e
realtà cercando di dare vita ad un inedito
dialogo che sfocia nello stupore.
Ylli Plaka, diplomato a Tirana in ceramica
e scultura, si è trasferito in Italia dal 1991
ed ora vive e lavora a Savona. La sua
arte è considerata una delle voci più originali della scultura con la ceramica: esamina attentamente le forme ed i loro significati traendo una comunicazione ri-
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volta al fruitore nello scandaglio di un
universo molto contemporaneo, seppur
mosso dall’interesse per il primitivo, ovvero le radici della culture. La sua costante
maturazione lo ha portato a giungere ad
un personale specifico linguaggio che fa
di Plaka uno dei protagonisti dell’attuale
plastica italiana ed europea.
Cristina Sosio mette in campo una
sua particolare versatilità, eleganza e
leggerezza compositiva, percorrendo le
varie tematiche attraverso una “lettura”
del tutto personale e con l’uso affinato
dalla ricerca della tecnica, conquistata,
ormai, con vitalità e autenticità. Le sue
opere, sempre coinvolgenti, indagano
anche i particolari, arrivando ad una
atmosfera stimolante tra sogno e realtà,
Segno delicato e di fuoco nel contempo.
I suoi personaggi, classici ma, in un
certo senso, disinvolti hanno una sorta
di doppia vita come i personaggi dei
miti ai quali molto spesso si riferisce.
Nani Tedeschi, artista che ama la letteratura, la poesia, i grandi della storia (da
Cervantes a Garibaldi), fissandone tratti
psicologici anche intimi con il suo “segno”
vigoroso, formidabile, a volte molto drammatico, espressivo. Profili incisi sulla carta
che stanno tra la Sacra Rappresentazione
popolare ed i Compianti, giungendo a
vere laudi laiche. Ritratti fulgenti, schegge
di natura silente con una innata eleganza
anche in certe figure strizzate dal dramma,
altri segni più croccanti e ricchi di pathos.
Idee, immagini, visioni, richiami alle radici
(per Tedeschi il suo Po con le brume) in
uno spazio abitato dalla cultura popolare,
avvertita come linguaggio condiviso, seppur ancora misterioso per certi aspetti,
pur essendo globale.
Giuseppe Trielli immerge la figura
femminile di Frida in un universale
“canto” dedicato alla Natura, quella
sua di figlia, prima, compagna e madre
purtroppo mancata, poi inserita nel
contesto del paesaggio che entra dentro
il suo modo di essere, rispettoso delle
tradizioni, delle idee, dei sentimenti.
Nell’emblematica ricerca dal suo esordio
nel 1967 ad oggi, l’artista è molto impegnato con una pittura, si può dire,
d’ordine naturalistico, via via maturata
con linguaggi originali tra formale-informale ma, pur sempre, molto armonica
e poetica. Opere che paiono avere anche
alcuni punti di contatto con l’esistenzialismo inteso quale filosofia che vede
la vita come l’agitarsi, a volte, inintelligibile della materia.
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Amoretti Maria Paola: Omaggio a Frida Kahlo, terra refrattaria bianca
con interventi con terre fini colorate di pasta rossa, blu, verde e nera, cm. 27x30x33
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Aresca Dino: Risuona nell’anima, olio su tela cm. 100x100
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Cavalleri Sandra: Frida, raku, raku nudo e viti in ferro, cm. 22x20x56 (h.)
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Corti Anna: W la vida, disegno,
pittura e collage su telo ricavato da lenzuolo ricamato, cm. 100x85
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Drago Maria Giulia: Omaggio a Frida Kahlo, 2014, olio su lino, cm. 100x100
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Fucilli Silvia: Omaggio a Frida, olio su tela, cm. 100x60
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Giannotti Roberto: Albisola omaggio a Frida, olio su tela, cm. 30x30
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Giovagnoli Luisa: Fuga dal tempo, olio su tela, cm. 100x60
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Giusto Carlo: Forme e colori, tutto esiste e si muove, acrilico su tela, cm 70x70
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Gorgone Bruno: Duets, 2011 – 2014, olio su tela, cm 80x100
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Gotelli Rossana: Omaggio a Frida Kahlo, tecnica raku, cm. 17xh12x9
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Iacomucci Carlo: F.K. - Un volo per vitafiorita, 2014, acrilico e penna china, cm. 35x50
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Massa Caterina: Custode di Memorie, ceramica raku, cm. 35 diametro
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Montanari Maria Luisa: L’armonia del cerchio della vita, olio su tela, cm. 100x120
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Patrone Vittorio: A cielo aperto, acrilico e tecnica mista su tela, cm. 40x30
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Plaka Ylli: Libera, grès 1260° C, cm. h 36 x 21 x 13
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Sosio Cristina: Frida, olio su cartone telato con inserti di carta ritagliata, cm. 70x40
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Tedeschi Nani: Per Frida Kahlo, 2014, tecnica mista su carta, cm. 100x53
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Trielli Giuseppe: Il giardino infinito (La ragazza di Gauguin), olio su tela, 2009, cm. 100x100
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Frida Kahlo, ricordi,
colori ed emozioni
Frida rappresenta identità di donna, di artista e di messicana
fabIola guentheR Quezada
PITTRICE
vano mia nonna e mia mamma, il patio
interno con le piante curatissime. Quest’ambiente era per me, che non vivevo
più con i miei genitori, senza dubbio
molto accogliente.
I miei viaggi in Europa, la curiosità di
vedere dal vivo le opere dei grandi mae-
Ho sempre amato disegnare. Sono cresciuta in un paese vicino a Città del
Messico circondato da campi d’agavi,
da un cielo azzurro e luminoso sempre
nostalgicamente in me presente. I colori
che producono quella luce sono nelle
mie vene e vanno diritti sulla tela.
Da giovane, quando studiavo a Città
del Messico, ho visitato diverse volte la
“casa azul”; allora non era necessario
fare la fila e pagare il biglietto come invece occorre oggi. Entrare in quella dimora era magico, mi ricordava alcune
case del mio paese, quell’ambiente mi
era molto famigliare. Il tipo di cucina,
le pentole appese al muro, come ave-
La pelona, olio su tela, 2014, cm. 40x40
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stri dell’arte in Italia, Francia, Inghilterra,
Spagna, Svizzera e Germania e il percorso intrapreso all’accademia di Brera
a Milano; è stato il periodo più bello
della mia vita. Dove mi sono confrontata
con artisti appartenenti al mondo antico,
moderno e contemporaneo.
Frida anche se non possedeva una qualità artistica classica, rinascimentale,
aveva una valenza universale. Attraverso
i suoi quadri racconta tutta la sofferenza
che accumuna gli essere umani, plasmata con simboli, dettagli e in particolare il dolore fisico femminile. Oggi il
dolore che condivido con l’essere umano
è: malinconia, demoralizzazione, miseria
mentale; una lotta interna. La ricerca
Mujercita, olio su tela, 2007, cm. 40x30
dell’anima, dove trovare forza e ottimismo, è sempre più difficile. La figura
umana frammentata vuole donare piacere visivo, ma allo stesso modo chiede
allo spettatore di riflettere. Come Frida
amo la vita, la solidarietà verso il prossimo, il debole e il popolo.
Mia figlia da piccola era molto attratta
da un libro della Kahlo che avevo portato con me dal Messico, mi diceva
quanto la sua vita assomigliasse a quella
di Frida, infatti, anche lei aveva i “nonni
così lontani, così diversi” e s’identificava
anche fisicamente nel dipinto “mis
abuelos, mis padres y yo”.
Mia figlia è nata nel 1993, anno in cui
cominciò a svelarsi l’aberrante femmi-
Alas para volar, tecnica mista su tela, 2014, cm. 40x40
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
nicidio che tuttora colpisce il
Messico. Per questo motivo,
vedere mia figlia crescere in
Europa mi è stato di conforto. Come Messicana essere lontana dal mio paese,
leggere e sentire quello che
vi accade, mi mortifica e mi
fa male. I miei dipinti, spesso,
portano a riflettere sulla situazione odierna della mia
patria.
Frida Kahlo, icona dell’arte
latinoamericana nel ‘900. Figlia di un emigrato dall’Europa, trova continuità in
un’esperienza inversa e con- 43, acrilico su tela, 2014, cm. 40x40
temporanea - la mia - che
parte dal Messico e arriva in Europa, confermando l’Europa odierna quale terra
d’opportunità culturale con Genova come porto d’incontro.
fabiola Quezada nasce a temascalapa vicino a città del Messico. nel 1991 ottiene la laurea in amministrazione industriale al politecnico di città del Messico, contemporaneamente studia pittura
con l’artista messicano José Sirahuen e partecipa alle prime mostre collettive. nel 1992 il lavoro
e la vita familiare la portano a stabilirsi in europa. dal 1999 studia all’accademia di belle arti di
brera a Milano, dove approfondisce il tema del corpo nella pittura e nella fotografia e dove si diploma in pittura nel 2003. Vince il premio lissone 2004. le sue opere fanno parte di collezioni
d’arte pubbliche e private in Italia e in Svizzera. Vive e lavora tra la Svizzera, l’Italia e il Messico.
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Il dolore delle donne
Dal Messico al Congo, passando dall’Europa
caRlotta gualco
DIRETTRICE DEL CENTRO IN EUROPA
E COORDINATRICE DELLE ATTIVITÀ DI
FONDAZIONE CASA AMERICA
Dalle molteplici suggestioni indotte
dalle opere e dalla vita di Frida Kahlo
ce n’è una, suggerita anche da alcuni
contributi a questo numero dei “Quaderni di Casa America”, che mi ha indotta a qualche riflessione.
Come sottolinea assai efficacemente Sonia Pedalino, la vicenda della pittrice messicana può essere riassunta nel paradigma
della “sofferenza che diventa arte”.
Tra le sue numerose opere ispirate dal
dolore, mi colpisce “La Columna Rota”
del 1944: il corpo giovane e grazioso di
Frida è squarciato e come tenuto insieme
dalle cinghie di un busto. A sorreggerne
la posizione eretta e il capo una colonna
fratturata in più punti. Una miriade di
chiodi ne trafiggono il corpo e il viso,
solcato dalle lacrime. Un’intensità della
raffigurazione del dolore che ho ritrovato
in una delle opere della mostra Color y
vida: 20 artisti per Frida Kahlo, e cioè
la scultura “Frida” di Sandra Cavalleri.
Un busto senza volto, stretto dalle cinghie; un feto a ricordare la maternità
tanto desiderata dalla pittrice messicana
e mai realizzata.
Il dolore del corpo e dell’anima, come
ricordano le biografie, pervade la vita e
l’attività artistica di Frida Kahlo. La storia del suo dolore riecheggia temi più
generali della sofferenza umana e femminile, come nel “richiamo universale
alle torture effettuate nel secolo nel secolo in cui visse” (Silvia Bottaro), riportando in qualche modo alla mente
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La Columna Rota (© http://www.museodoloresolmedo.org.mx/blog/portfolio-item/frida-kahlo/)
l’“aberrante femminicidio che tuttora
colpisce il Messico” (Fabiola Quezada).
Crimini spaventosi che richiamano il
quadro di Frida “Unos cuantos pique-
titos!” (1935), ispirato ad un fatto di
cronaca. Una donna giace morta sul
letto, nuda: indossa solo una calza arrotolata sulla gamba e una scarpa. San-
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Unos cuantos piquetitos!
(© https://www.google.com/culturalinstitute/asset-viewer/a-few-small-nips/oQG_590SEeTDaw?exhibitId=wQa9NecS)
gue dappertutto, anche sulla cornice del
dipinto; il corpo è martoriato dal coltello
di un uomo, ritto accanto a lei, che la
guarda. Il titolo, che campeggia in un
cartiglio sostenuto da due uccelli, suggerisce ironicamente che, per l’autore
del crimine, tutto sommato non si è
trattato di una gran cosa: “[Le ho dato]
solo qualche piccola pugnalata!”. Come
se la colpa dell’assassinio ricadesse sulla
vittima e non sul carnefice: quante volte
abbiamo sentito aleggiare questa interpretazione in occasione di atti di violenza perpetrati ai danni delle donne?
Il tema universale del dolore “specifico”
delle donne, quello causato dalla violenza
degli uomini, mi induce a fare a mia
volta un’associazione. Il premio Sacharov,
il riconoscimento che ogni anno il Parlamento europeo assegna a chi si distingue nell’ambito della libertà di pensiero, è andato quest’anno a un gineco-
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
© http://www.europarl.europa.eu/resources/library/images/20141015PHT74186/20141015PHT74186_original.jpg
logo congolese, Denis Mukwege, ribattezzato “l’uomo che ripara le donne”
per la sua opera indefessa di cura delle
donne vittime di stupri di guerra nel
suo Paese. Ascoltarlo dal vivo a Genova,
al Palazzo Ducale, è stato per me e credo
per molti altri presenti un misto di orrore
e di speranza. Orrore per la sistematicità
e ferocia della pratica, destinata a distruggere “in modo più economico” di
una guerra combattuta il tessuto sociale
del nemico; orrore per la gravità dello
strazio inflitto alle donne sotto il profilo
fisico e morale; orrore perché i mariti di
queste donne, umiliati dallo stupro,
spesso abbandonano le loro compagne,
come se fossero strumenti ormai inutilizzabili e non persone profondamente
ferite, delle quali prendersi cura. Speranza
per l’opera del dottor Mukwege e dell’ospedale Panzi da lui fondato a Bukavu
(Repubblica Democratica del Congo)
nel 1998. Attraverso la Fondazione Panzi,
non ci si limita alla cura fisica e psicologica
delle donne ma ci si impegna anche a
renderle autonome sotto il profilo economico, ad esempio attraverso iniziative
di auto imprenditorialità. Le donne non
vengono solo “riparate” ma si tenta
anche di farle rinascere, avviandole a un
nuovo e diverso modello di vita.
Il Premio Sacharov 2014 è in sostanza un
uomo che sostiene una risposta positiva
e di autoaffermazione da parte delle
donne. La stessa risposta che dà Frida Kahlo, colpita più dalla sorte avversa che
dall’esplicita violenza di altri (i tradimenti
del marito Diego Rivera, per altro ricambiati, ritengo possano rientrare nell’”ordinaria amministrazione” di gran parte
delle vite sentimentali di ognuno). Frida
reagisce e dispiega, come sottolinea ancora Pedalino, la sua forza di spirito sfuggendo, attraverso la sua arte e il suo stile
di vita, al cliché della “vittima”, dell’“icona
con disabilità” e dell’”eroina tragica”.
Uno straordinario esempio per tutte le
donne, e per tutti gli uomini.
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INTERVENTI
tenuti il 20 settembre 2014
a Palazzo Ducale
durante la presentazione
del precedente numero di questa rivista
“Frida Kahlo tra Messico e Italia”
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lucIano capRIle
CRITICO D’ARTE
Vorrei innanzitutto fare una breve riflessione sul rapporto tra Frida Kahlo e
Diego Rivera. Come ha detto l’ambasciatore Ruiz-Cabañas, Rivera è stato
un grande artista che ha sperimentato
un percorso importante in Europa, specialmente in Francia. Nel 1907, più o
meno contemporaneamente alla nascita
di Frida Kahlo, Diego si reca prima a
Madrid, quindi in Olanda, a Londra e
finalmente approda nel 1912 a Parigi
dove ha modo di conoscere artisti del
calibro di Modigliani e di Picasso entrando in stretto rapporto col mondo
dei cubisti. Nell’esposizione del Ducale
compaiono infatti alcune tele d’ im-
pianto cubista di quel periodo a testimonianza di come su di lui abbia influito questa avanguardia. Un altro
evento importante avviene nel 1921 e
riguarda il suo rapporto con l’Italia. Per
la prima volta in questa mostra vengono
esposti i suoi taccuini, i suoi appunti del
viaggio intrapreso nel nostro Paese che
costituiscono una sorpresa per i visitatori. A Venezia l’artista s’innamora del
Tintoretto riprendendone e reinterpretandone alcuni elementi stilistici. Tuttavia non si limita a questo: studia la tecnica
dell’affresco
apprezzando
soprattutto Michelangelo che diventerà
un costante punto di riferimento nei
suoi murales dove entra infatti in gioco
la maestosità e la monumentalità. Molti
potrebbero rinvenire nelle opere di Rivera anche un’impronta naif rilevabile
solo attraverso un’interpretazione del
suo mondo e del suo tempo.
Tornato in Messico, si dedica quindi ai
murales: mentre è intento a dipingere
a Città del Messico “La creazione” avviene l’incontro con Frida Kahlo.
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Frida in quel momento è una studentessa
di pittura affascinata da Diego Rivera, una
personalità di prim’ordine dell’arte messicana. Lei entrerà più tardi nella vita di
Rivera e nelle sue opere, come dimostra
chiaramente l’attuale esposizione.
Nel 1938 Breton, interessato a organizzare una mostra a Parigi di Rivera, si
reca a Città del Messico e rimane folgorato dalla pittura di Frida. Breton era
alla ricerca di aderenti a quel surrealismo che aveva fondato nel 1924 con
Miró e Masson: trova pertanto in Frida
Kahlo una persona al di fuori di quel
clima surrealista che fino allora si respirava in Europa. Vede nelle sue opere
un surrealismo vissuto nell’intimo. Breton riesce a convincerla a esporre i suoi
lavori in una mostra a Parigi. Nel 1939
la Kahlo, recatasi nella capitale francese, ha un impatto traumatico con la
realtà surrealista, come risulta da una
lettera inviata all’amico fotografo Nickolas Muray: le dissertazioni nei caffè
e nei salotti di questi personaggi vengono da lei interpretate come fuorvianti
e lontane dalla vita. Lei infatti è abituata a trovare dentro di sé quello che
costoro ricercano nei sogni, nell’immaginario.
Frida usa se stessa come modello impietoso: in un suo autoritratto addirittura esaspera certi suoi difetti estetici
come le folte sopracciglia e la peluria
sul labbro. Nel testo di Bellingeri, che
compare nell’ultimo numero dei Quaderni di Casa America, viene messo in
risalto come sia il corpo stesso di Frida
Kahlo a tradursi in opera d’arte, in un
suggerimento di sofferenza esistenziale.
In una citazione di Picasso Frida Kahlo
viene celebrata come un’artista capace di
trasmettere attraverso i suoi autoritratti
tutto quel mondo interiore che ci riguarda.
Perché l’arte di Frida è così popolare oggi?
Perché lei è riuscita a inserire nei suoi lavori l’universo delle nostre insicurezze e
la difficoltà di vivere. In conclusione sia
Diego che Frida hanno esibito una straordinaria capacità non solo di rappresentare la realtà che li toccava da vicino ma
anche di proiettarla nel nostro tempo.
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MaRco cIpollonI
UNIVERSITÀ DI GENOVA E UNIVERSITÀ DI MODENA E REGGIO EMILIA
Il percorso di questa mostra è molto ricco
di spunti circostanziali, che ci invitano a
riflettere sui tempi e i luoghi del rapporto
tra Diego e Frida, ma anche sul contrappunto che molto spesso è stato utilizzato
come chiave di lettura, sia artistica che
personale e politica, di tale rapporto.
Come contributo a questa riflessione mi
piacerebbe spostare l’attenzione dalle
molte cose che in mostra ci sono verso
alcune di quelle che ci sono di meno, o
in modo meno esplicito.
Questa è una mostra di pittura, come è
giusto che sia. Io però vorrei provare a
ripercorrere l’arte e la vita di Diego e
Frida attraverso l’occhio di un corpus fo-
tocinematografico, considerato da varie
angolature. Il punto di partenza è la diversa importanza che la fotografia ha
avuto per le diverse generazioni cui appartengono Diego (nato nel 1886) e Frida
(nata nel 1907). Oltre alla sottolineatissima differenza di genere e di prospettiva
di genere, c’è infatti, tra Diego e Frida,
anche una fondamentale differenza di
generazione. In Messico, il loro scarto
generazionale comporta una diversa
contemporaneità con la Rivoluzione
messicana, e con tutti i processi di trasformazione sociale, economica e culturale ad essa collegati. Rispetto a questo
divario, la fotografia e il cinema muto
sono stati un elemento linguistico di notevole forza testimoniale. Il riferimento
è al cinema muto e non al cinema in genere non solo per ovvie per ragioni filologiche (cioè perché ai tempi della rivoluzione messicana il cinema era muto e
il muto era il cinema), ma anche per ragioni assai più strettamente fotografiche
e di dialogo con la fotografia. Oggi siamo
ormai abituati ad un fotogramma che si
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è sempre più allungato, nel corso della
storia del cinema, per dare spazio a una
visione panoramica della nostra vita, ma
anche per fare posto alle tracciature ottiche e magnetiche rese necessarie dall’introduzione del sonoro. Il fotogramma
del cinema muto era quasi quadrato, in
sostanza con una proporzione di 4:3, denominata formato 1.33:1.
Quadri, riquadro e inquadratura sono
parole che non casualmente restano ancora oggi ben presenti nel lessico professionale del cinema. Si tratta di un formato culturale che possiamo facilmente
ritrovare anche nella storia dell’arte occidentale, non esclusa quella d’avanguardia (sperimentata anche da Diego, come
la mostra ben documenta). Uno dei movimenti e delle riviste d’avanguardia che
più hanno esplicitato questo peculiare
rapporto tra contenuto e contenitore, sia
in Europa che in America Latina (anche
perché tra i promotori dell’iniziativa
c’erano artisti spagnoli e latinoamericani), è la rivista “Cercle et carré” (che
proprio in America Latina ha poi conosciuto una seconda serie, intitolata “Círculo y Cuadrado”). Secondo i membri di
questo gruppo tutta l’avanguardia può
essere rubricata nel segno di una tensione dialettica tra ciò che è tondo e ciò
che è quadrato, cioè tra percorsi di
(in)quadratura e rappresentazioni di circolarità e ciclicità. In questo gioco dialettico, la fotografia e il cinema muto incarnano molto bene il principio del carré.
La fotografia, in particolare, è importan-
tissima sia nella rappresentazione degli
eventi e dei tempi di Frida e Diego, sia
nella rappresentazione tanto della loro
immagine fisica, quanto del loro rapporto. Entrambi sono stati molto fotografati, sia insieme che individualmente,
Il corpus delle foto che li ritraggono è
abbastanza ampio, ma è anche molto
importante come canone linguistico. Per
Frida, come tutti sanno, sono estremamente importanti gli autoritratti, le immagini di sé. Bene. I famosi autoritratti
di Frida non sono semplici autoritratti,
sono autoritratti in posa. Lei si ritrae lavorando davanti allo specchio per note
ragioni di salute, ma anche per ragioni
che non hanno a che vedere con la sua
salute. Il modello che usa è spesso quello
della posa fotografica, e lo è consapevolmente perché Frida è figlia di un fotografo di professione. Guillermo Kahlo
era un fotografo. Quindi, fin da bambina,
Frida è stata circondata dagli oggetti e
dalle tecniche della fotografia, ma anche
dalla grammatica della visione fotografica
professionale.
Quando si metteva in posa davanti ai
grandi fotografi messicani, statunitensi e
francesi, interpretando per loro il ruolo
dell’esotica signora Rivera, Frida non solo
sapeva bene cosa stava facendo, ma sapeva bene anche cosa loro stavano facendo.
Anche nella parte della sua vita in cui ha
cominciato a godere di una fama autonoma e propria ed è stata ritratta in
quanto Frida Kahlo, questa coscienza
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non l’ha mai abbandonata (il suo
sguardo, nelle foto, cerca e sente la camera molto più e in modo molto più determinato e consapevole di quanto non
faccia lo sguardo di Diego). La Frida famosa, oltre a sè stessa, colloca nelle foto
i suoi oggetti più pregiati, mischiando
spontaneità e artificio, scena e messa in
scena, con una maestria ed una naturalezza che viene da lontano. Si vede che,
anche da bambina, nel teatro domestico
delle foto di famiglia, Frida è stata fotografata da un professionista e si è abituata
ad esserlo. A Frida piaceva molto aiutare
il padre, anche nelle fasi di trattamento
della pellicola, di sviluppo e di stampa.
La sua visione, la sua idea di come inquadrare le immagini, di come costruire
le immagini, di come costruire un ritratto
ed eventualmente un autoritratto è dunque un’idea molto fotografica e fotograficamente molto consapevole. Molti altri
elementi della sua arte dialogano con
questa consapevolezza ed entrano in
gioco grazie ad essa (per esempio le tavole votive, i santitos, ecc.). La foto è, per
tutto il suo percorso di donna e di artista,
uno dei moduli compositivi base del lavoro e della vita di Frida Kahlo. Il suo
canone artistico trae origine, anche in
termini formali, da un canone fotografico.
Persino il formato dei suoi quadri è piuttosto piccolo, compatibile con quello
delle fotografie e rimane tale anche
quando le sue tele diventano relativamente grandi, come nel caso di Las dos
Fridas e La mesa herida, i due quadri pre-
sentati alla mostra del surrealismo del
’40, che segnano una svolta decisiva per
la sua fama.
Se consideriamo le dimensioni, vediamo
che uno è perfettamente quadrato, mentre l’altro ha la proporzione di due quadrati accostati. Sono con tutta evidenza,
conscia e inconscia, moduli di un discorso che nasce da una matrice formale.
Il caso di Diego è diverso, ma non meno
significativo. Diego usava le foto per rapportarsi agli ambienti da affrescare, per
preparare i bozzetti, per controllare lo sviluppo del proprio lavoro e, ovviamente,
almeno fino a quando non inventa i murales portatili (molti pannelli dei quali
sono davvero molto fotografici), dipendeva dalle foto per far circolare fuori dal
Messico l’immagine dei propri lavori.
In parallelo con tutto questo, Diego e Frida
sono stati per la fotografia anche oggetti
rappresentati e da rappresentare, in
quanto persone importanti e da fotografare. In prima battuta, possiamo pensare
a queste foto come alle immagini che illustrano un album. In molte di esse Frida
compare per esempio come oggetto ornamentale e decorativo. Viene cioè rappresentata come spazio prima e più che
come soggetto autonomo. Esiste in rapporto a qualcos’altro (spesso a Diego).
Non è lei l’oggetto principale della rappresentazione. La sua presenza non ha
funzioni denotative, ma connotative. Il
suo corpo vestito è scena e costume di
scena, teatro e scenografia. Frida è un oggetto fotografico relativamente periferico,
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associato ad altro e dipendente da altro
anche quando si avvicina al centro della
scena. In molte foto è associata alle sue
case, o al suo lavoro di pittrice (è cioè raffigurata mentre dipinge). La Frida delle
foto è in questo senso molto meno fotografica della Frida dipinta negli autoritratti.
Mentre nei suoi quadri occupa quasi sempre una posizione molto centrale, molto
assiale, nelle foto è spesso un po’ disassata, un po’ periferica. Questo vale per le
foto che la rappresentano assieme al suo
lavoro, assieme alle sue case, assieme agli
animali, ma vale ancora di più per le foto
in cui compare assieme al marito. Se per
paradossale effetto della dilagante fridamania, Diego, come ha ben detto l’Ambasciatore del Messico, è ormai diventato
il marito di Frida Kahlo, per gran parte
della sua vita Frida Kahlo è stata l’esotica
moglie e compagna di Diego Rivera. Il
soggetto principale delle foto dove compaiono insieme è quasi sempre Diego Rivera, sia che si tratti di eventi artistici, sia
che si tratti di eventi politici, sia che si
tratti di inaugurazioni, ecc. Le didascalie,
anche per effetto del machismo mediatico
messicano, sottolineano impietosamente
questo divario (“el pintor Diego Rivera”,
“el pintor Diego Rivera, acompañado por
su mujer”, “el pintor Diego Rivera, acompañado por su mujer, la también pintora
Frida Kahlo”, etc.).
Le cose cambiano poco quando si tratta
di altri grandi personaggi dell’arte e/o
della politica che vanno a visitare Diego
e Frida in Messico. Il caso più famoso è
quello di Trockij (anche in questo caso, a
voler essere precisi, si tratta dei coniugi
Trockij). Chi fa le riprese cinematografiche o inquadra la foto include intenzionalmente Frida, ma come un contorno,
come una nota di colore (anche e soprattutto quando le foto sono in B/N). Il
centro d’interesse della foto è l’incontro
tra il pittore Diego Rivera e gli importanti
personaggi che sono andati a trovarlo. Il
Messico dei tempi di Diego e Frida è un
Paese molto cosmopolita e molto provinciale insieme.Verso tutto ciò che viene
da fuori ha un rapporto duplice, ambivalente. All’ interesse per ragioni di cosmopolitismo si somma sempre un parallelo interesse per ragioni di esotismo.
Trockij o Breton non fanno eccezione.
Accanto a loro Frida è una comparsa, sia
pure di lusso. Tuttavia, la sua presenza è
importante e catalizza l’attenzione. Perché, specie in queste foto, Frida porta su
di sé, nei suoi vestiti, ma anche nel suo
atteggiamento e nel suo sguardo, una
serie di segni che rendono fotograficamente visibile l’anima profonda del Messico. Non solo: Frida si veste e traveste
con deliberata e consapevole intenzione
da anima profonda del Messico e quindi
compare anche come una rivisitazione
eversiva e surrealisticamente sovversiva
del topico dell’esotismo che molto seriamente incarna. La signora con il vestito
colorato, con il vestito tradizionale, con
il pappagallo, con le collane e con tutta
una serie di elementi codificati dal nostro
esotismo e leggibili attraverso di esso.
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Un’icona esotica di straordinaria intensità
e con pochi paragoni (tra l’altro tutti professionali: le grandi dive del cinema messicano, le star del bolero, i luchadores, i
toreri o icone continentali come Carmen
Miranda completa di tuttifrutti hat e zapatos de plataforma). L’esotismo, intensificato, si ribalta e diventa tratto di rivendicazione identitaria, arma di liberazione,
grido di autenticità e paradossale forma
di provocazione e nudità. Il corpo vestito
diventa corpo svelato. La foto in costume
si sposta verso il nudo, con una logica
simile a quella di certe foto etnografiche
e molto vicina a quella con cui Tina Modotti fotografava le mani nude dei messicani o con cui Weston aveva collocato
“en la azotea” la statuaria nudità della
stessa Modotti.
Questo paradosso ne introduce un altro.
Quando Frida e Diego appaiono fotografati insieme, il soggetto è spesso
Diego, ma quella che riconosciamo di
più (e che meglio illustra Diego) è Frida.
Questa ineguale riconoscibilità rinvia in
modo molto diretto alla loro pittura. Riconosciamo la Frida delle foto, perché
conosciamo quella dei quadri, di Diego
(che in più occasioni la ritrae), ma soprattutto di Frida. La riconosciamo con
tanta facilità e forza non solo e non tanto
perché lei compare ossessivamente dentro i suoi quadri, ma perché in essi compare quasi sempre in una posa fotografica. Nei quadri non solo c’è lei, ma c’è
una lei fotografica, una lei in posa, esattamente come quella delle foto. Il perno
di tutto è il suo sguardo. Lo sguardo di
Frida è inquietante, è carico di intensità
è, con un gioco di parole tipico di Frida e
già molte volte ripreso (anche dal cinema), naturaleza viva. Quello sguardo
contiene ed esprime (cioè trattiene a fatica e spreme) un tentativo deliberato di
animare di rompere la fotografia.
Questo tratto è abbastanza evidente se
compariamo il corpus fotografico con
quello delle immagini cinematografiche,
che sono quasi tutte riconducibili a due
tipologie, molto diverse tra loro.
a) da un lato, troviamo immagini che
sono l’equivalente in movimento delle
foto di cui abbiamo parlato: Frida, le
sue case, il suo lavoro, i suoi incontri
pubblici, ecc. Queste immagini, però,
a differenza di quelle fotografiche, che
sono quasi sempre scatti di fotografi
professionisti (spesso importanti), sono
in prevalenza immagini artigianali, girate da persone che giocano con la telecamera come faremmo noi. Questo
evidente divario di competenza tecnica
rende molto interessante il confronto
tra questi due corpora;
b) dall’altro lato, ci sono invece le immagini che il cinema a soggetto ha
prodotto di Frida e del suo lavoro nei
film biografici. Oltre ai lungometraggi,
come quello di Paul Leduc e quello di
Julie Taymor, ci sono diverse produzioni, molto varie per tecnica e metraggio (con elementi di animazione,
fotoritocco, etc.). Nel lotto ci sono anche cortometraggi molto belli. Alcuni
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li segnalo nel mio contributo al volume Frida tra Messico e Italia [Quaderni di Casa America n.17].
Il cinema a soggetto e con attori utilizza
molto il corpus fotografico, sia come elemento di ambiente, sia come modello
per il trucco degli attori che interpretano
Diego e delle attrici che interpretano
Frida. Da questo punto di vista, Frida è
stata più fortunata del marito, perché offriva alle proprie interpreti un’immagine
più iconica, ma anche perché ha trovato
interpreti di sé che, al di là dei loro talenti,
si sono dedicate anima e corpo al compito, applicandosi con feroce dedizione.
Per nessuna delle attrici che l’hanno interpretata il ruolo di Frida è stato un ruolo
qualsiasi. Tutte sono state coinvolte in
una vera e propria fridamania, che si è
prolungata anche dopo. Il caso più noto
è quello di Salma Hayek, ma ci sono anche altri casi. In tutti questi casi, il percorso è inverso rispetto a quello che abbiamo considerato finora: assistiamo
cioè, alla derivazione dell’immagine fotografica e cinematografica di Frida Kahlo
dall’immagine pittorica che Frida ha prodotto di sé. Questi film sono infatti costruiti a partire da effetti di tableau vivant.
Sono spesso realizzati in location reali o
in fedeli riproduzioni di location reali (per
esempio Casa Azul), ma regolarmente
cedono alla tentazione di riprodurre non
quegli ambienti, ma le loro riproduzioni,
cioè i dipinti di Frida che li rappresentano
e che vengono utilizzati come matrici di
scena e momenti di ciak.
Registi e sceneggiatori animano i quadri,
fanno muovere i quadri e fanno dipendere le inquadrature e la narratività dei
loro film dalla riproduzione delle tele,
spesso usata come riconoscibile effetto
di impaginazione. La cosa è ovvia nei
film e negli inserti di animazione, ma è
evidente anche nei film di live action.
Si tratta di una strategia molto comune
quando il cinema racconta le vite dei pittori, specialmente dei pittori figurativi.
Se c’è un elemento figurativo, lo si riproduce e lo si trasforma in spunto e in
passaggio narrativo (di solito in posizione
di incipit o explicit di una scena o di una
sequenza). Questo genera un effetto criticamente pericoloso, perché alimenta
l‘idea che l’arte di tutti gli artisti sia
un’arte realista, il ritratto un mondo (interiore od esterno) che loro hanno semplicemente trasposto sulla tela. Ciò che
realmente lo spettatore vede è poco
meno che l’inverso: il lavoro di un cineasta che traspone in un film biografico
l’ambientazione di un dipinto.
Nessun cineasta ha finora osato costruire
un film storico partendo da un tableau
vivant di uno dei murales di Diego, ma
tutti i film su Frida hanno giocato pesante
con gli effetti di rispecchiamento resi possibili dai quadri di Frida.
Questo ci porta a riconsiderare ciò che
succede a Diego e all’immagine di Diego
in una storia per immagini progressivamente invasa dalla potenza iconica di
Frida e del suo mito, divenuta soverchiante con l’avvento della foto e del ci-
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nema a colori. Almeno fino a che il B/N
è stato egemone, l’immagine di Diego è
stata un’immagine potentissima, fattaapposta per contrastare con quella di
Frida e dominarla. Diego grande, grosso
e panzón, occupa molto spazio e lo moltiplica con uno sguardo esteso, con occhi
enormi e di distrazione onnicomprensiva
e sconfinata. Il suo sguardo è panorama
e appetito. Guarda quasi sempre altrove,
oltre l’obiettivo che lo ritrae. Non a caso
lui stesso e Frida accostavano spesso la
sua immagine a quella (fiabesca) di un
sapo, un principe trasformato in rospo.
Come e più di Frida, Diego era consapevole del forte impatto di immagine e del
potere di seduzione che gli derivavano
dalla invadente bruttezza del suo corpo
e dei suoi occhi. Frida ne era addirittura
gelosa. Quando appaiono uno accanto
all’altra, ciò che soprattutto spicca è il
contrasto dimensionale. Al cinema,
quando i loro personaggi vengono interpretati da attori, questa sproporzione
fisica viene un po’ camuffata e riportata
entro gli standard cinematografici, per
esigenze di inquadratura.
Specie a Hollywood, se l’attrice è troppo
bassa, come per esempio nel citato caso
di Carmen Miranda (con Frida l’altra
grande icona kitsch e femminile dell’America Latina), deve mettere gli zatteroni e un cesto di frutta in testa, in
modo da diventare alta come gli altri (e
le altre) e da poter essere agevolmente
filmata insieme agli altri.
Se confrontiamo il corpus delle immagini
fotografiche dei veri Frida e Diego con
quello delle immagini cinematografiche,
con Frida e Diego interpretati da attori,
vediamo che al cinema o Frida diventa
un po’ più grande o l’immagine di Diego
un po’ si contiene. Ne risulta un effetto
prospettico curioso, specie se lo si combina con il destino critico che nel corso
dei decenni ha progressivamente allontanato (e quindi rimpicciolito e sfocato)
l’immagine di Diego e avvicinato (e
quindi ingigantito e messo a fuoco)
quella di Frida. Il mito fotografico di Frida
come signora Rivera viene compensato
da quello cinematografico di Diego come
signor Kahlo.
Personalmente, sono convinto che Diego
e Frida, ciascuno nella sua dimensione
(in tutte le possibili accezioni, pittoriche,
fisiche e critiche del termine), sia un
grande artista e un artista più grande del
loro dialogo, ma anche che questo dialogo ci consenta di capire molto meglio
la vita e l’arte di entrambi. Gli aspetti comuni sono molti e molto importanti, anche se, vedendoli assieme, non possiamo
che subire il fascino del contrappunto e
della disgiunzione.
C’è un bellissimo saggio di Octavio Paz,
intitolato proprio Conjunciones y disyunciones. Non parla del Messico, perché è
dedicato alla cultura orientale, per la
quale Paz aveva una enorme passione,
ma mi piacerebbe ugualmente applicare
lo schema proposto da Octavio Paz alle
immagini fotografiche e cinematografi-
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che di Frida e Diego. Insieme disegnano
una coreografia e raccontano una storia
fatta di congiunzioni e disgiunzioni.
Spesso i critici sono stati tentati dalla disgiunzione perché offre uno schema facile per collocare l’arte dell’uno agli antipodi di quella dell’altro.
I biografi sono invece stati tentati dalle
congiunzioni, cioè dalle passioni politiche
che Frida e Diego hanno condiviso, dalle
singolari case in cui hanno (co)abitato e,
ovviamente, dal grande mosaico di felicità,
infelicità e vitalità disegnato dal ricco catalogo delle loro disordinate vite amorose.
A me piacerebbe usare il corpus fotocinematografico come leva con cui ribaltare
questo prevedibile gioco. Suggerisco in
sostanza di visitare la mostra provando
a pensare alla congiunzione in termini
critici, prima e più che in termini biografici. La congiunzione non è solo una possibile chiave interpretativa del percorso
artistico di entrambi, ma è uno dei modelli formali che hanno segnato e reso
possibile la loro arte e il loro dialogo.
Provo a chiarire il punto con un esempio
che ci riporta indietro nella storia dell’arte
messicana, fino all’Ottocento e addirittura all’epoca coloniale. Il rapporto tra
Diego Rivera e Frida Kahlo è, da questo
punto di vista, un rapporto tra due tradizioni importanti dell’arte pittorica del
Messico ispanico.
La prima tradizione è quella dei cicli della
pintura de castas, con pannelli la cui serie
offriva grandi e meticolose rappresentazioni del complicato sistema delle caste
razziali che caratterizzavano la società
coloniale. L’intera e complessa architettura della civitas barocca veniva scomposta e segmentata in una serie di sagradas familias, ciascuna delle quali
composta da un padre, una madre e un
bimbo appartenenti ciascuno a una diversa e discreta gradazione del continuum razziale. Ogni casella era cifra e
contenitore di un destino, implicava cioè
una collocazione abbastanza precisa per
il risultato di ciascun incrocio nei meccanismi di inclusione ed esclusione del
mercato culturale, politico ed economico
novoispano.
Nella pintura de castas tutto dipende dai
dettagli e quasi niente è lasciato al caso.
Il mondo e il destino del bimbo sono
prefigurati dagli abiti e dai gesti di
mamma e papà e dagli oggetti dell’ambiente domestico in cui ciascun ritratto
di famiglia si inserisce.
La cosa importante, però, è che questi
quadri non si compravano e vendevano
uno per volta. Il contratto riguardava
l’esecuzione di un intero ciclo. Nel sistema delle caste gli incroci etichettati e
passibili di didascalia erano 36, quindi ci
voleva una sala molto grande per esporli
tutti assieme, realizzando qualcosa di
molto simile ad uno dei murales a pannelli di Diego Rivera. Il mondo a puntate
della pintura de castas ha una funzione
illustrativa e pedagogica ed è anche in
questo un credibile precedente del sovrappopolato mondo storico che caratterizza i grandi affreschi di Diego Rivera
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Guadalajara, 2014. © Melissa Bugarini
(ideologicamente legati alla rivoluzione
e tecnicamente ispirati all’esperienza di
Michelangelo, del Rinascimento italiano,
ecc). I murales sono, come e più dei cicli
di casta, un’illustrazione pedagogico-didattica il più possibile completa della
complessità del Messico.
La seconda tradizione, popolarissima, riguarda la pittura delle tavolette votive.
Come i ritratti dei cicli di casta, anche le
tavolette votive hanno committenza,
sono destinate ad affollare un unico spazio e prevedono l’uso di didascalie scritte,
volte però a sottolineare la circostanziale
eccezionalità di ogni caso e non la sua
rappresentatività. Il complesso rapporto
di Frida con questo mondo è molto esplicito e talvolta dichiarato, ma è fino a qui
stato più censito e registrato che davvero
valutato.
Se utilizziamo questi occhiali per guardare alla vita artistica di Diego ed a
quella di Frida, se cioè colleghiamo il
loro lavoro al retroterra rappresentato
dai cicli della pintura de castas e dalla
serialità delle tavolette votive, troviamo
tracce di una prossimità artistica più storica che biografica. Il loro dialogo appare
in effetti alimentato dalla profonda e radicale messicanità dei loro rivoluzionari
mondi artistici. L’uno e l’altra dialogano
e polemizzano con un canone illustrativo e quasi didascalico, sviluppando, a
partire da esso, modelli di rappresentazione e comunicazione pubblica a dir
poco provocatori. Per questa via non
solo è facile congiungere Frida a Diego
e Diego a Frida, ma è quasi impossibile
disgiungerli.
Il mio invito è proprio questo: visitare
la mostra seguendo con ostinazione il
filo della storia (del Messico e dell’arte
messicana), a costo di offrire un po’ di
resistenza alla facile logica del contrappunto e alle affascinanti circostanze
della biografia.
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Quaderni di Casa America
COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
pIetRo taRallo
GIORNALISTA E SCRITTORE
Volevo portarvi sui luoghi di Frida Kahlo,
in Messico, di cui nessuno ha finora parlato, li ritroverete nella mostra a Palazzo
Ducale “Frida Kahlo e Diego Rivera” che
vi attende e vi affascinerà. L’altro giorno
ho avuto modo di ritrovare, nella mia biblioteca, un libro che vi consiglio: Frida
Kahlo autorretrato de una mujer, di Rauda
Jamis (Edivision, Editorian Diana, Mexico1987), forse un po’ naif nella descrizione, ma che ci consente di entrare nel
vivo della vita turbolenta di questi due
artisti, Frida e Diego.
La prima volta che sono stato a Città
del Messico era il 1975 e a quel tempo
la Casa azúl nella quale Frida aveva vissuto, era ancora una casa privata. Oggi
è diventata un museo.
Si trova in un quartiere molto bello della
città, detto “il luogo del coyote” (ossia
Coyoacán), a circa 10 km dal Casco antiguo, un’enclave di natura e tranquillità,
lontana dal grande caos della capitale.
Nella Casa azùl, Frida ha vissuto gran
parte della propria vita e vi è morta, dal
1929 al 1954. Ancora oggi i custodi della
casa, perpetuano una tradizione cui
Frida era particolarmente legata, quella
del culto dei morti, manifestata attraverso le varie rappresentazioni iconografiche della morte e dell’amore per
la morte. Una tradizione tipica del popolo messicano, che è anche un modo
per esorcizzare la paura stessa della
morte e abituarsi a convivere con l’idea
della morte.
Un’altra particolarità della casa di Frida
è la presenza costante dei gatti che lei
amava molto e che, da allora, hanno
continuato a riprodursi e ad abitare
quella dimora e quel giardino.
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
A circa un chilometro dalla Casa azùl,
in Avenida Río Churubusco 410, si trova
Vila Forteza, l’abitazione nella quale ha
vissuto León Trockij, a partire dal 1937
e dove è morto. Lì è possibile visitare la
stanza e la scrivania, là dove fu ammazzato dal sicario di Stalin Ramón Mercader, che è rimasta completamente intatta. Ferma ai quei tragici momenti.
Complice forse la fotografa italiana Tina
Modotti.
Appena arrivato a Città del Messico,
Trockij fu ospitato da Frida, con la quale
ebbe una relazione molto intima e fu
proprio la moglie Natalia a convincerlo
a trovare un’altra casa per ovviare al fascino e alla sensualità di Frida. È innegabile quanto l’immagine di questa
donna incarni pienamente l’idea e la
forma delle donne messicane nella loro
“messicanità”, proprio in questa tendenza naturale alla seduzione.
Vorrei condurvi, inoltre, in un luogo di solito poco noto ai turisti, ma nel quale si
può scoprire un nuovo e ulteriore aspetto
legato alla particolarità di un artista come
Diego Rivera. A 10 minuti di taxi dalla
Casa azùl, a bordo di un tipico maggiolino
sedán messicano, si giunge a una casa che
ha quasi le sembianze di una fortezza. Si
trova in calle del Museo 150, nella colonia
di San Pablo ed ha un nome molto complesso: Anahuacalli. Nel rapporto estremamente controverso e conflittuale con
la moglie, Rivera ha cercato un’oasi di
pace in cui isolarsi. Fu lo stesso Rivera a
disegnarlo e a farlo costruire tra il 1953 e
il 1957. Severo e austero edificio in pietra
molto simile a una piramide azteca nella
quale ha inserito la sua collezione di reperti precolombiani, così vasta da far concorrenza al museo stesso di Antropologia
di Città del Messico. Vi è anche lo studio
dell’artista con alcune sue opere.
All’interno di questa casa, salendo fino al
piano superiore, si arriva sulla terrazza
dalla quale è possibile ammirare uno
splendido panorama di tutta la capitale.
Concludo questo mio intervento con
una poesia di Frida Kahlo che mi ha
toccato profondamente e che, a mio parere, rappresenta pienamente la sua relazione con la complessa personalità di
Diego Rivera:
Diego principio
Diego constructor
Diego mi niño
Diego mi novio
Diego pintor
Diego mi amante
Diego mi esposo
Diego mi amigo
Diego mi padre
Diego mi madre
Diego mi hijo
Diego yo
Diego Universo
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Inaugurazione della mostra
Color y vida:
20 artisti per Frida Kahlo
Gennaio 2015
Fondazione Casa America inaugurerà la mostra “Color y vida: 20 artisti per Frida
Kahlo” a gennaio presso la sua nuova sede di via dei Giustiniani, 12, sempre a
Genova. La mostra sarà esposta sino a febbraio. Da marzo sarà allestita presso
l’atrio del Palazzo Comunale del Comune di Savona e poi presso la Sala consiliare
del Comune di Millesimo (SV). Ultima tappa, a maggio, al castello di Rapallo.
Fondazione Casa America
cambia sede!
Dal 10 novembre Fondazione
Casa America si è trasferita
nella nuova sede in via dei
Giustiniani, 12/4, assieme alle
associazioni Amici di Casa
America e Centro in Europa.
Così, dopo quindici anni a Villa
Rosazza, la Fondazione lascia il
luogo che l’ha vista nascere e
dal quale ha tratto il proprio
logo. La nuova sede è ubicata
nel centro di Genova e proprio
su questa nuova centralità puntiamo per un rilancio delle nostre attività.
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COLOR Y VIDA: 20 ARTISTI PER FRIDA KAHLO
Corsi di lingua
dell’Associazione
Amici di Casa America
L’Associazione Amici di Casa America organizza corsi di spagnolo, portoghese e inglese tenuti da docenti madrelingua laureati che utilizzano il metodo comunicativo.
I corsi collettivi suddivisi in vari livelli sono offerti a gruppi di massimo 12 persone e
hanno inizio dall’autunno sino alla primavera, con moduli di 30, 48 o 60 ore.
lIngua Spagnola
(4 livelli: principiante – intermedio – avanzato – conversazione e cultura)
lIngua poRtogheSe
(3 livelli: principiante – intermedio – avanzato)
lIngua IngleSe
(livello principiante)
Inoltre l’Associazione organizza corsi di italiano per stranieri suddivisi in moduli
mensili e ripetibili della durata di 12 ore ciascuno.
Sono previsti anche:
• Corsi individuali di spagnolo e portoghese
• Corsi presso le aziende e le scuole di spagnolo e portoghese
• Corsi di preparazione ai diplomi D.E.L.E.
• Servizio traduzioni e interpretariato (italiano – spagnolo – portoghese)
• Accesso alla biblioteca con servizio prestito
per tutte le informazioni potete rivolgervi alla segreteria della Associazione Amici di
Casa America, aperta dal lunedì al venerdì dalle 15 alle 19 presso via dei Giustiniani,
12/3, sede della Fondazione Casa America,
o telefonando allo 010 2518972 - 010 2518368.
[email protected] - www.casamerica.it
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FINITO DI STAMPARE
NEL MESE DI DICEMBRE
2014