[email protected] DELLE 32 www.corrierecomunicazioni.it n°12. 7 luglio 2014 www.economyup.it Europa vs Usa, Londra si candida a tech capital of the world L’ Unione Europea sta cominciando a metabolizzare l’importanza della nuova imprenditorialità per il sistema economico continentale e Bruxelles prova a farsi capitale politica delle startup. In un’ideale distinzione di ruoli con un’altra grande città europea, che consolida la sua posizione di capitale economica dell’innovazione, Londra. Non solo per la lingua. Le ragioni, ricorda un report di Bloomberg Philantropies pubblicato in giugno, sono altre. C’è la volontà politica di diventare la “tech capital of the world”. Ci sono i capitali. C’è la capacità di attrarre talenti. Ci sono infrastrutture efficienti per le startup. E la competizione con gli Stati Uniti diventa possibile. Il primato nel fintech è indiscusso. Nei big data viene solo dopo la Silicon Valley. Ma se si considerano anche Oxford e Cambridge, la “grande Londra” ha più lavoratori tech della California. Se il processo non sarà interrotto, potrebbe essere un’opportunità per tutta l’Europa, a patto di non perdersi in scaramucce di bandiera. E nonostante la Gran Bretagna sia fuori dall’euro. Giovanni Iozzia Un visto ad hoc per i nuovi imprenditori Il Mise, insieme con Affari esteri, Interni e Lavoro, sdogana l’Italia Startup Visa: si ottiene online e consente agli startupper di tutto il mondo di lavorare nel nostro Paese e di avviare imprese maurizio di lucchio S tartupper di tutto il mondo, venite in Italia: ora c’è lo strumento giusto per accogliervi. È questo l’appello che il Belpaese lancia idealmente ai talenti imprenditoriali internazionali con l’introduzione di Italia Startup Visa, il visto di lavoro per gli imprenditori extra-Ue che intendono avviare una nuova impresa innovativa in Italia. L’iniziativa, messa a punto dal ministero dello Sviluppo economico in collaborazione con i dicasteri di Affari esteri, Interni e Lavoro, consiste in un sistema di semplificazioni burocratiche per ottenere il visto d’ingresso. se, che valuta le richieste. A guidarlo sarà il direttore generale per la politica federica guidi industriale del ministero di via Veneministro to, Maria Ludovica Agrò, a dimostraSviluppo zione che il nuovo visa è ritenuto uno economico L’Italia fra i pochi Paesi al mondo che si sono dotati dello strumento Unica garanzia: disponibilità di 50mila euro per l’impresa Un modello impensabile fino a qualche anno fa, dal momento che nella nostra tradizione il visto è stato sempre considerato più un metodo di controllo che un sistema per attrarre talenti. “È un tassello per facilitare le procedure e incrementare la capacità di attrazione approfittando della mobilità crescente dei cervelli e degli imprenditori innovativi su scala globale”, ha detto la titolare dello Sviluppo economico, Federica Guidi, durante la presentazione. La procedura per richiedere lo startup visa tricolore è tutta online sul sito (in inglese) italiastartupvisa.mise.gov. it. Il cittadino extra-Ue che vuole ricevere il visa può presentare la domanda direttamente oppure fare richiesta attraverso un incubatore certificato che fa da “sponsor” e dichiara la disponibilità ad accogliere l’impresa nelle proprie strutture. In questo caso, il rilascio del nullaosta diventa automatico. Che si segua la prima o la seconda strada, bisogna fornire in modalità telematica alcuni certificati. Per esempio, è necessario dimostrare di avere un luogo dove alloggiare e - unico parametro economico-finanziario richiesto - provare la disponibilità di risorse per l’attività, di almeno 50mila euro. Le novità introdotte con lo startup visa sono numerose. Tra le più rilevanti c’è la natura pubblico-privata del Comitato tecnico, insediato presso il Mi- strumento di policy industriale a tutti gli effetti. A esaminare i business plan degli stranieri, però, saranno i rappresentanti dell’ecosistema italiano: associazioni riconosciute, incubatori, venture capitalist, business angel. Il Comitato ha il compito di analizzare le domande e di rilasciare il nullaosta entro 30 giorni, durante i quali lo startupper resta nel suo Paese: tutta la procedura, come detto, si fa sul web. Investimenti Non si vive di sola Silicon Valley Le startup in diminuzione. Si migra verso altri «lidi» Si stima che siano circa 460 milioni ie persone che hanno creato o stanno avviando una nuova impresa. La mecca per chi vuol fare startup resta la Silicon Valley, seguita da Tel Aviv e Los Angeles, in una lista che vede tra le città europee Londra al settimo posto, Parigi all’undicesimo e Berlino al quindicesimo. Ma nel 2013 San Francisco, Londra e Berlino hanno visto rallentare in modo significativo la nascita di nuove startup. Sono dati raccolti da studi di enti diversi e incrociati tra loro per cercare di costruire un quadro di insieme che ancora effettivamente manca. A tutt’oggi non è facile capire quante startup esistano a livello planetario, considerata l’estensione e la complessità della ricerca. Tra gli organismi più accreditati c’è il Global Entrepreneurship Monitor (Gem), la più vasta survey mondiale sull’imprenditoria. Dal rapporto 2012, condotto in 37 Paesi che rappresentano il 92% del Pil mondiale, è emerso che 286 milioni di persone, cioè il 12% della forza lavoro, sono impegnate nell’avvio e nella conduzione di un nuovo business. I ricercatori ne deducono che, complessivamente, i nuovi imprenditori in tutto il pianeta ammontino a circa 460 milioni. Uno studio del 2012 di Startup Genome e Telefonica sull’ecosistema globale delle startup presenta invece la lista dei posti più adatti per coltivare una neo-impresa. Dietro i già citati primi tre c’è un trio di città americane: Seattle, New York City e Boston. Fuori degli Usa spiccano il 12esimo posto di Sidney, il 13esimo di Sao Paulo e il 14esimo di Mosca. Ma la sorpresa (per i non addetti ai lavori) è Santiago del Cile, sia pure fanalino di coda al 20esimo posto. Infine SeedTable, piattaforma di dati sulle startup della rivista TechCrunch, ha rilevato che nel 2013 a San Francisco sono state fondate 64 startup rispetto alle 336 del 2012, mentre a Londra, sempre nel 2013, ne sono nate 39 (l’anno prima erano 216). L.M. Ottenuto il via libera, l’imprenditore porta i documenti in ambasciata e si prepara a partire per l’Italia. Una volta arrivato qui, ha otto giorni di tempo per chiedere il permesso di soggiorno. Lo startup visa dura un anno, periodo entro il quale deve essere costituita una società. A quel punto, il permesso è rinnovato in automatico per altri due anni. Anziché limitarsi al singolo fondatore, ciascun visto vale per cinque persone, limite che può essere esteso in determinate circostanze fino a dieci. Le nuove imprese possono quindi portare in Italia team piuttosto nutriti. Inoltre, è allo studio la possibilità di trasformare in startup visa i visti per motivi di studio agli studenti stranieri Ciascun visto vale per cinque persone e può essere esteso fino a dieci in Italia. “Può sembrare un intervento piccolo ma è importante”, ha sottolineato Guidi. “Spazza via le lungaggini e introduce un percorso veloce e tempi certi”. L’introduzione del visa inserisce l’Italia tra i pochi Paesi del mondo che si sono organizzati per attrarre imprenditoria innovativa. Un sistema simile, per esempio, è quello del Canada, che apre le porte rapidamente ai giovani imprenditori stranieri su cui i venture capitalist hanno deciso di investire. In Europa invece il primo Paese a essersi attrezzato è stato l’Irlanda, che con l’Entrepreneur Visa Programme dà un finanziamento di 75mila euro alle nuove aziende che vogliono stabilire la sede nella terra dei quadrifogli e si impegnano ad assumere almeno dieci dipendenti e a raggiungere un fatturato di almeno un milione di euro entro tre anni. Uno dei Paesi più virtuosi su questo fronte è il Cile, che con il programma Start-up Chile concede agli startupper stranieri il visto di un anno, oltre 36mila dollari di finanziamento e una serie di servizi di incubazione e mentorship. Infine, ci sono Francia e Regno Unito, che pur non avendo uno strumento specifico per le startup innovative, beneficiano del fatto di essere ex Stati coloniali e consentono pertanto l’accesso a cittadini-imprenditori provenienti da diversi Paesi al di fuori dell’Ue.
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