08 12 14 La Repubblica Linchiesta sulla mafia capitale

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MAFIA CAPITALE
la Repubblica LUNEDÌ 8 DICEMBRE 2014
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PER SAPERNE DI PIÙ
www.repubblica.it
www.anticorruzione.it
L’inchiesta
Raffaele Cantone
Parla il presidente dell’Anticorruzione: “Sembra di essere tornati a Mani Pulite,
i cittadini sono indignati, ma non possiamo farci prendere dall’emotività”
“In Italia un clima da ’93
la gente mi chiede
di mandarli tutti in carcere
la politica faccia pulizia”
“
RADICALI
La corruzione non è
un male che si vince
urlando due giorni, c’è
bisogno
di cambiamenti
radicali
FARE DI PIÙ
Potevamo fare di più
da aprile? Ho fatto
tutto quello che
umanamente era
possibile fare contro il
malaffare
”
LIANA MILELLA
ROMA. Cantone? Poltrona scomoda
la sua in queste ore... «Non me ne
parli... La gente mi ferma per strada e mi dice “arrestateli tutti... “». E
lei si meraviglia? «La cosa mi preoccupa molto perché mi ricorda la voglia di forca e le monetine del ‘93».
Il presidente dell’Anac Raffaele
Cantone rivela le sue preoccupazioni.
Ci racconta della gente che la ferma,
dov’è successo?
«Dovunque, a Roma, a Napoli, e in
tutti i luoghi in cui mi sono recato in
questi giorni».
E lei come si sente da uomo delle istituzioni, che risponde?
«Sono preoccupato della generalizzazione nel considerare tutta la
politica corrotta. Ho provato a spiegare che noi dell’Anac non arrestiamo nessuno e che il nostro compito è molto meno evidente nei risultati, ma ha un obiettivo più ambizioso, provare a prevenire la corruzione».
La gente vuole risultati immediati?
«La gente, in questa fase, fatica a ragionare. In un Paese in crisi, vedere
chi ruba indigna ancora di più e quindi è difficile far ragionare la pancia delle persone. Ma il nostro compito è ra-
gionare e non farci prendere dall’emotività».
Come dar torto a chi è indignato
contro chi ruba, quando, come dimostra il caso di Roma, ci sono politici del Pd a libro paga di un fascista?
«Vorrei che l’indignazione di un
giorno delle persone e della politica
fosse sostituita da un impegno duraturo. La corruzione non è un male che
si vince urlando due giorni, c’è bisogno di cambiamenti radicali da parte
della politica e dei cittadini».
La politica deve cambiare. Si dice a
ogni inchiesta. Anziché fare il commissario anti-corruzione, non sarebbe meglio che lei fosse il commissario che seleziona gli uomini politici?
«Malgrado la difficoltà del periodo,
io vedo segnali positivi...».
Eh lo so, mi sta per parlare bene di Renzi...
«Sto per citare fatti, e non persone.
Ricordo la nomina all’unanimità del
presidente dell’Anac, l’approvazione di una legge che ci ha consentito di
commissariare gli appalti dell’Expo
e il consorzio Mose. Si può dire che
non basta, ma certamente è un segnale positivo. E poi non me la sentirei mai di fare il selezionatore della
politica».
Forse perché sa già che sarebbe una
ANTICORRUZIONE
Raffaele Cantone
dal 28 aprile
presiede l’autorità
anticorruzione
voluta da Renzi
sconfitta?
«Io, al massimo, posso essere bravo ad applicare le norme, ma non certo a selezionare gli uomini politici. E
poi la selezione lasciata a una persona rischia di essere un pericolo. Qui
c’è bisogno di un gruppo di persone
per bene in grado di allontanare le
mele marce».
In questo clima non è grottesco che nell’Italicum si parli di capilista bloccati e
non scelti dalla gente?
«Ma l’indagine di Roma non ha dimostrato che i soldi servivano per
comprare voti in qualche caso destinati perfino alle primarie? Non è la
prova che forse le preferenze rischiano di peggiorare la situazione?».
La tabella dei pagamenti di Carminati ai politici rivela che il problema
della corruzione è lì, in chi si fa pagare...
«L’indagine va molto oltre la politica, coinvolge pezzi significativi del ceto amministrativo, dei portaborse dei
politici, degli amministratori delle società miste e mette in rilievo negativo
perfino uno dei vanti della nostra società, il mondo cooperativo».
Lei è al vertice dell’Anac dal 28 aprile.
Ma Roma è scoppiata lo stesso. Poteva
fare di più?
«Ho fatto tutto quello che umanamente era possibile fare. In questi
mesi, io e gli altri 4 quattro colleghi al
vertice dell’Anac, siamo entrati in
santuari intoccabili, di Expo e del Mose già si sa, ma abbiamo imposto regole rigide di trasparenza alle società pubbliche, agli ordini professionali, abbiamo attivato la vigilanza
su un enorme numero di appalti, abbiamo stipulato convenzioni con tutti gli organi per la formazione dei
pubblici dipendenti, con Confindustria abbiamo lavorato al loro codice
etico...».
Ma lei fino a oggi ha fatto arrestare
qualcuno?
«Io non sono più un pm... Certamente il nostro lavoro potrà servire
per inchieste future. Ma non è solo
con gli arresti che si vince la corruzione. La politica deve recuperare fino in
fondo il valore etico della sua funzione”.
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IL COMUNE/ IL SINDACO REPLICA A BERLUSCONI: NO LEZIONI
Mossa Marino: Comune parte civile
Commissari, il prefetto va da Alfano
ROMA.Giovedì sarà inviata al ministro
degli Interni Alfano una prima relazione sullo stato di salute dell’amministrazione romana, piagata dalle infiltrazioni criminali. È la prima scadenza che il prefetto Giuseppe Pecoraro si è imposto, sulla scia dell’inchiesta
giudiziaria su Mafia Capitale. Domani
per altro ministro e prefetto si incontreranno per vagliare la situazione.
Se lo scioglimento viene scartato per
il momento per mancanza dei requisiti
di «pervasività e attualità» delle infiltrazioni criminali (le persone coinvolte
sono state arrestate o si sono comunque dimesse), la strada che la Prefettura percorre è quella dell’accesso agli atti attraverso tre viceprefetti inviati da
Pecoraro, una sorta di comitato che appunto in settimana tirerà le prime
somme destinate al Viminale. Il sindaco Ignazio Marino annuncia che il Comune si costituirà parte civile «perché
vogliamo che i soldi sottratti tornino indietro alla città». E a Berlusconi che lo
invita alle dimissioni risponde a muso
duro: «Sta scontando una pena, da che
pulpito viene la predica». Matteo Orfini, il presidente democratico che ha
commissariato il partito romano an-
nuncia a partire da domani controlli a
tappeto su tutti i cento e oltre circoli cittadini. Chi li sostiene, chi paga l’affitto,
quanti iscritti, persone conosciute e militanti o semplici tessere? La novità
sarà «l’introduzione dell’obbligo di certificazione del bilancio» per il partito a
Roma, ma anche un sistema di regole
più severe per i bilanci dei circoli e una
stretta sul meccanismo dei tesseramenti. «Intanto abbiamo bloccato i congressi — spiega Orfini — di sicuro qualche circolo dopo questi controlli sarà
chiuso, ma dobbiamo smontare la filiera». Quella che in qualche caso portava
a terminali di malaffare. Matteo Salvini tiene la linea dura e alla Annunziata
che in tv gli chiede se sosterrebbe Giorgia Meloni (Fdi) risponde: «È una faccia
pulita. Ma se si votasse domani correremmo da soli». Con Fi e grillini, anche
l’Ncd con la capogruppo Nunzia De Girolamo sostiene la tesi dello scioglimento del Comune. «Il Pd ha saputo fare autocritica — replica il ministro Maria Elena Boschi intervistata per Sky da
Maria Latella — gli altri partiti ancora
più coinvolti cosa hanno fatto?»
(c.l.)
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IN BICI
Il sindaco
Ignazio Marino
si presenta in
bici (applaudito)
alla
convention dei
giovani
democratici
a Roma
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MAFIA CAPITALE
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L’inchiesta
Le intercettazioni
Nell’informativa del Ros la conversazione fra tre indagati
“Quattro viaggi col figlio, passava dal varco riservato”
L’ex sindaco: falsità, lì solo una volta e per una vacanza
Le confidenze della banda
sulle trasferte di Alemanno
“Andava in Argentina
con le valigie piene di soldi”
“
L’ACCUSA
Ma a te
sembra
normale che
un sindaco si
porti via così
i contanti...
un vero attore
per me
Luca Odevaine
LA DIFESA
Oggi sono
più povero di
quando sono
stato eletto
Quella volta
partii con
amici per il
Capodanno
Gianni Alemanno
”
MARIA ELENA VINCENZI
IL CASO
ROMA. «Alemanno ha fatto quattro viag-
gi, lui e il figlio, con le valigie piene di soldi
in Argentina. Ma te sembra normale che
un sindaco...». È il 31 gennaio scorso. Luca
Odevaine, ex vice capo gabinetto di Veltroni e fino a martedì scorso, giorno dell’arresto, componente del coordinamento per i rifugiati del Viminale, è negli uffici della Fondazione Integrazione e parla
con Mario Schina e Sandro Coltellacci, ex
responsabile del Decoro urbano del Comune di Roma il primo, dirigente di una
cooperativa il secondo. Tutti e tre sono indagati nell’inchiesta della procura di Roma su Mafia Capitale. La conversazione,
ascoltata dai carabinieri del Ros, è tra gli
atti allegati all’ordinanza di custodia cautelare. I militari dedicano a questo episodio un capitolo dell’informativa del 31 luglio scorso.
Sono le 11.35 del mattino. I tre chiacchierano di qualcuno, di cui non fanno mai
il nome, che, dicono, abita nello stesso palazzo in cui ha sede la fondazione presieduta da Odevaine: una persona che in passato avrebbe litigato con Alemanno.
«Abita qua, dentro a ‘sto palazzo — dice
Odevaine — che fijo de ‘na mignotta... ha
litigato con Alemanno. Per soldi se so’
scannati... ma sai che Alemanno si è portato via... ha fatto quattro viaggi... lui ed il
figlio con le valigie piene di soldi in Argentina... se so’ portati... con le valigie piene de
contanti... ma te sembra normale che un
sindaco...». Il segnale si perde per qualche
istante, poi si sente la stessa voce che dice:
«Me l’ha detto questo della Polaria».
Schina, incuriosito, chiede: «E nessuno
lo ha controllato?». «È passato al varco riservato... un attore per me...». Coltellacci
non è convinto: «Io pensavo che i soldi se li
Quando la deputata grillina
si mosse per la gara bloccata
Carla
Ruocco,
deputata del
Movimento
Cinquestelle
ROMA. La deputata pd Micaela Campana rifiutò di
fare un’interrogazione parlamentare a favore di una
delle imprese di Salvatore Buzzi che si era vista
sospendere un appalto dal Tar. Ma
un’interrogazione sul caso alla fine venne fatto lo
stesso. Da chi? Dalla parlamentare grillina Carla
Ruocco. La quale, però, smentisce categoricamente
di avere avuto input da Buzzi. «Non lo conosco. Mai
avuto alcun contatto con lui», spiega la deputata
Ruocco, uno dei cinque membri del direttorio 5Stelle.
«Quel giorno — aggiunge — il mio assistente che fa la
rassegna stampa mi segnalò un articolo sul “Tempo”
che denunciava la criticità. Ho ritenuto che fosse mio
compito di parlamentare chiedere ai ministri
competenti se quelle notizie fossero vere». (a. cus.)
portava via tutti lui... sembrava che il sindaco non toccasse... invece ‘a toccati...
però che il sindaco... due e tre... Panzironi
dieci, penso che gli equilibri erano quelli».
Probabilmente quello di cui Coltellacci
era convinto è che a prendere le mazzette
fosse solo l’ex ad di Ama, Franco Panzironi, anche lui in carcere da martedì scorso
con l’accusa di essere parte dell’associazione di stampo mafioso guidata da Massimo Carminati.
Odevaine prosegue il racconto: «A un
certo punto deve essere successo un casino, perché ad un certo punto ad Alemanno gli hanno fatto un furto a casa... Cercavano qualche pezzo de carta.... credo che
hanno litigato perché lui ha pensato che
ce li ha mandati questo».
Parole alle quali i carabinieri del Ros
hanno cercato riscontro. Invano. Nonostante una serie di verifiche sui residenti
di quel palazzo (ne pubblicano tutta la lista) nessuno di loro risulta avere mai avuto rapporti di alcun tipo con l’ex sindaco.
Ma le indagini su questo episodio sarebbero ancora in corso.
L’ex primo cittadino, però, smentisce.
«Si tratta di una millanteria totalmente
infondata. Non ho portato mai soldi all’estero, tantomeno in Argentina. Io sono l’unico sindaco di Roma che al termine del
suo mandato è più povero di quando ha cominciato, perché ho dovuto vendere una
casa e aprire un mutuo per pagare i debiti
della campagna elettorale». Non nega di
essere stato in Argentina (paese in cui ri-
sulta tra l’altro essere membro onorario
della Camera di commercio). Ma solo una
volta: «Ci sono andato per pochi giorni con
la mia famiglia e un folto gruppo di amici
a Capodanno 2011-2012 per andare a vedere i ghiacciai della Patagonia. Ci sono
amici che possono confermare».
L’ex sindaco parla anche del furto. «È
avvenuto ad ottobre 2013 e basta aprire
Google per constatare che è stato ampiamente pubblicizzato». Lo hanno riportato
tutti i giornali, certo. Eppure, stando agli
accertamenti del Ros, «non ci sono riscontri sulle banche dati, in quanto non risultano essere state sporte denunce né da
Giovanni Alemanno, né dalla moglie convivente, Isabella Rauti».
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PER SAPERNE DI PIÙ
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Ecco le prove delle tangenti
“In due anni 44 bonifici
per pagare 226mila euro”
IL RETROSCENA
FABIO TONACCI
NELLA BUFERA
Gianni Alemanno,
ex sindaco di Roma.
È indagato per associazione
a delinquere
di stampo mafioso
ROMA.Quarantaquattro bonifici bancari in due anni transitati
dalle cooperative di Salvatore
Buzzi sui conti correnti dell’ex
moglie e del figlio di Luca Odevaine. Che poi li giravano dopo
pochi giorni a lui, l’uomo che
giocava su tre tavoli. Tutti i passaggi di denaro sono stati fatti
attraverso la Banca Popolare di
Verona, semplicemente taroccando le causali dei versamenti.
A volte erano fatture inesistenti, altre volte rate di mutuo per
appartamenti mai affittati. Un
totale di 226mila euro in entrata, e 248mila in uscita.
Eccola qui la prova di come
Mafia Capitale pagava tangenti. Nero su bianco, in 44 distinte
riferite ad altrettante operazioni fatte tra il 12 gennaio 2012 e
il 10 febbraio 2014, rintracciate
dagli investigatori del Ros che a
Odevaine hanno dedicato ben
quattro informative e più di
duemila pagine. Le merita tutte, il personaggio. Perché l’ex direttore di gabinetto di Veltroni
e del prefetto Morcone, nonché
ex capo della polizia provinciale
di Roma e gancio di Carminati e
Buzzi al Tavolo per l’accoglienza dei rifugiati al Viminale, è un
uomo che conta parecchio, in
questa storia. Non per niente lo
chiamano “il Padrone”. È l’unico
che riesce a muoversi e a muovere pedine sui tre tavoli che interessano ai sodali per i loro affari: Campidoglio, Provincia di
Roma, ministero dell’Interno.
Un uomo da coccolare, appunto, con uno stipendio parallelo.
Pescando a caso tra i bonifici,
l’8 maggio 2012 la Eriches 29 di
Buzzi gira sul conto di Lozanda
Hernandez Nitza del Valle, la ex
di Odevaine (si erano sposati
nel 2011) 5.000 euro per “canoni locazione mese maggio”. Sei
I pagamenti delle coop
di Buzzi all’ex moglie
e al figlio di Odevaine,
il destinatario finale
LA REPLICA
“COSSUTTA, FANGO SU MIO PADRE”
Maura Cossutta si dice
“arrabbiata e disgustata” dopo
la pubblicazione del nome del
padre che compare nelle carte
dell’inchiesta. “Non si può
gettare fango a piene mani nel
mucchio. La notizia che abbia
preso denari non solo è
manifestamente infondata e
falsa, senza alcun riferimento
fattuale, ma ingiustificata”
giorni dopo la donna li ritrasferisce a Odevaine in due tranche,
da 2.000 e 3.000 come “restituzione prestito”. Ma verificando
all’Agenzia delle entrate, i carabinieri scoprono qualcos’altro.
«Non esiste alcun contratto di
locazione — si legge nell’informativa del 30 luglio scorso — tra
gli immobili a disposizione di
Odevaine o dei suoi congiunti e
le società riconducibili a Buzzi».
Le transazioni si ripetono 44
volte, cambiano solo i beneficiari (a volte è lei, altre volte è il figlio Thomas Edinzon Enriques
Lozada) e le causali: “affitto settembre”, “saldo fattura”, “trasferimento fondi”, “affitto gennaio”, “anticipo fattura”, “restituzione prestito”. Non cambia il
destinatario finale, Luca Odevaine. Ma in calce a questa sfilza
di cifre, i carabinieri scrivono
una frase che assomiglia tanto a
uno scacco matto: «Tali bonifici
non sono giustificati dall’esistenza di rapporti lavorativi tra
i titolari dei conti e le cooperative». Solo Thomas, il figlio acquisito di Odevaine, tra il 2010 e il
2012 ha avuto rapporti con le
coop Eriches 29, Abitus e Percorso, «ma gli importi erano
molto inferiori rispetto a quelli
successivi».
Usano pure una parola in codice, per il sollecito. «Puoi verificarmi gli affitti — chiede a Buzzi con un sms il 15 febbraio 2013
— Sono un po’ in difficoltà. Grazie, un abbraccio». “Affitti”,
stando alle indagini era il segnale che l’appetito era torna-
to. E infatti dopo quel messaggino la segreteria di Buzzi si attivò per saldare il ”canone di
maggio” di una casa — stando
alle indagini — inesistente. A
Odevaine viene anche offerto di
entrare, attraverso la Fondazione IntegrAzione di cui è presidente, nella gestione del centro
di Anguillara. «Si stanno mettendo un po’ sporche le cose?»,
gli chiede preoccupata Rossana
Calistri, funzionario del Campidoglio. «So’ loro che so’ storti…».
Del resto di conoscenze da
spendere, Odevaine, ne ha pa-
I CONTI
IN CELLA
Qui sopra,
Luca Odevaine.
In alto, la
ricostruzione
dei bonifici
sul suo conto
fatta dal Ros
recchie. E nei posti giusti. È stato mandato al Tavolo del Viminale dall’allora presidente della
Provincia Luca Zingaretti, e lì è
rimasto fino al giorno dell’arresto, peraltro senza averne tito-
lo, perché il suo mandato con
l’Unione province italiane era
scaduto. «Sono in grado di orientare i flussi», si vanta, per accreditarsi quale soggetto da “ungere” con mazzette per riempire di rifugiati gli 8 centri romani
che interessavano a Buzzi. Un
credito che anche gli investigatori gli riconoscono: «Aveva influenza sui vertici del Dipartimento immigrazione del ministero dell’Interno». Il riferimento è al prefetto Mario Morcone,
di cui è stato capo di gabinetto
quando fece il commissario di
Roma dopo le dimissioni di Veltroni.
Nel giugno scorso Morcone è
stato nominato dal governo proprio capo di quel Dipartimento.
E Odevaine commenta così:
«Hanno fatto questa scelta perché io sono andato a parlare con
questo qua della segreteria del
Pd… M’ha chiamato pure per
ringraziarmi (si riferisce a Morcone, ndr), perché si vede che
gli hanno detto che c’è stato un
mio intervento…». Millanterie,
o forse qualcosa di più, dell’uomo che giocava su tre tavoli.
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PER SAPERNE DI PIÙ
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Le carte
“La Cupola tentò di truccare le elezioni”
Febbraio 2013: Luca Gramazio, all’epoca candidato in Regione per il Pdl, parla in una intercettazione di “fare inserimenti”
I carabinieri allertati ritirano le schede in esubero e avvertono la procura. Spuntano nuovi indagati dell’ex giunta Alemanno
MAURO FAVALE
GIOVANNA VITALE
ATTIVO
Luca Gramazio:
al telefono dice
di essere disposto
a manipolare il
risultato del voto
ROMA.Sedici secondi di intercettazione. Poche
frasi carpite grazie a una cimice che gettano
un’ombra sulle elezioni del febbraio 2013 e
mettono in moto la corsa di carabinieri, prefettura e procura per evitare i brogli. Già, perché dalle carte dell’inchiesta su Mafia capitale
emerge anche l’ipotesi che qualcuno volesse
turbare l’esito del voto. Un reato per il quale
viene iscritto nel registro degli indagati Luca
Gramazio, ex capogruppo di Forza Italia in consiglio regionale (si è dimesso dal suo ruolo pochi giorni fa) e, all’epoca dei fatti, proprio candidato alla Regione Lazio.
È il 2 febbraio 2013, mancano poco più di 20
giorni all’apertura delle urne per rinnovare
l’assemblea della Pisana travolta dallo scandalo Fiorito. Gramazio chiama al telefono Si-
mone Foglio (eletto qualche mese dopo col Pdl
nell’VIII Municipio). Ma non è quello che Gramazio dice al cellulare a interessare i carabinieri del Ros che lo ascoltano. È la microspia
ambientale a cogliere quei pochi secondi di
conversazione, quelle frasi rivolte a una terza
Due giorni prima dell’apertura
delle urne parte la nota urgente
del pm Ielo alle prefetture: c’è
il sospetto di fogli “precompilati”
persona presente nella stanza: «Finite le operazioni di voto — dice Gramazio — le urne vanno in alcune sedi dove vengono (incomprensibile, annotano i militari), contate, tutto. Non si
tratta della classica operazione di controllo del-
le schede. Per quello c’abbiamo ancora il tempo per fa’ degli inserimenti». Nel frattempo,
Foglio risponde al telefono ma Gramazio continua a parlare col suo interlocutore di persona: «Me ce provo. Se stiamo in tempo la metto».
Una conversazione presa molto sul serio dal
Ros e dalla Procura di Roma. Sono giorni di febbrile attività investigativa. Arrivano altri riscontri, gli inquirenti capiscono che la possibilità di truccare l’esito del voto è concreta e si
convincono che l’unico modo per evitarla è assicurarsi la massima sorveglianza sulle schede
che solitamente vengono stampate in quantità maggiore rispetto al numero di elettori.
Per questo i magistrati scrivono alla prefettura della capitale per avere tutti i dettagli delle
tipografie incaricate dalla Zecca di stampare le
schede e i loro “itinerari” fino alle sezioni. Due
giorni prima dell’apertura delle urne parte la
nota urgente del pm Paolo Ielo alle prefetture
che segnala l’ipotesi di sostituzione delle schede con altre preconfezionate. I commissariati
sono allertati, così come le stazioni dell’Arma
e della guardia di Finanza in tutto il Lazio. Viene così deciso di ritirate le schede in esubero
per evitare ulteriori rischi sul voto che riguardava non solo le Regionali ma anche le Politiche.
Intanto, sul fronte dell’inchiesta su mafia
capitale, a metà settimana sono attese le prime udienze del riesame per i 37 arrestati. Il registro degli indagati, invece, si arricchisce di
nuovi nomi. Sono quelli di Marco Visconti, ex
assessore all’Ambiente della giunta Alemanno, Alessandro Cochi, delegato allo Sport dell’ex sindaco, e Paolo Pollak, consigliere municipale di Fi. Il primo è accusato di associazione
mafiosa, abuso d’ufficio e violazione del segreto d’ufficio, gli altri due di turbativa d’asta.
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L’INCONTRO
Luca Gramazio,
ex capogruppo
di Forza Italia
nel Consiglio
regionale del
Lazio,
fotografato
dai carabinieri
con Salvatore
Buzzi, il capo
delle coop
rosse al centro
dell’inchiesta
sulla cupola
romana.
Gramazio,
figlio
del senatore
Domenico,
si è dimesso
“Sono io il boss dei boss”
Così manovrava Diotallevi
dalla maxi-tangente
al sindaco di Fiumicino
Ernesto Diotallevi, 70 anni
IL RACCONTO
CARLO BONINI
ROMA. Nel Mondo di Mezzo di cui è il riconosciuto Signore, Massimo Carminati ha la sua
ombra. Un uomo classe ’44, un “Kaiser Soze” di
70 anni già anello di congiunzione tra la Banda
della Magliana e Cosa Nostra, di cui è plenipotenziario a Roma. Immune all’usura del tempo
e alla giustizia penale da sempre, che di sé dice
«so’ il boss dei boss», e al cui cospetto la città si
genuflette o trema: Ernesto Diotallevi.
Ed è catturando le sue confidenze, i suoi ordini, che le cimici del Ros dei carabinieri tirano un altro significativo filo di questa storia.
Che porta di nuovo allo studio legale incaricato di sigillare i silenzi di Riccardo Mancini e i segreti della maxi-tangente da 650mila euro destinata a un misterioso onorevole, alle elezioni per il sindaco di Fiumicino, che, come Roma,
doveva diventare Cosa Loro, a una centrale
dell’intossicazione e dossieraggio. Con ordine, dunque.
L’AVVOCATO DI MANCINI
Diotallevi ha battezzato un avvocato che è,
insieme, punto di riferimento di Massimo Carminati, Michele Senese (plenipotenziario della Camorra a Roma), Riccardo Mancini (protesi e tasca di Alemanno), Giovanni “Giovannone” De Carlo, astro nascente su cui Diotallevi scommette per la sua successione, e Fabrizio Testa, “facilitatore” di Carminati con la
pubblica amministrazione. E quell’avvocato è
proprio quel Pierpaolo Dell’Anno il cui studio
di via Nicotera diventa la cabina di regia di silenzi e dissimulazione quando Mancini viene
arrestato e il segreto della maxi-tangente Breda sembra dover crollare.
Dell’Anno è a tal punto in balia di Diotallevi
che, conversando con De Carlo, la definizione
è lapidaria: «L’abbiamo inventato noi. Perché
non contava un cazzo». Ora, al contrario, quel
“ragazzo” figlio dell’ex consigliere di Cassazione Paolino Dell’Anno (“devoto” di Claudio
Vitalone e già nel collegio del giudice ammazzasentenze Corrado Carnevale) conta. E dunque, deve fare quello che gli viene ordinato.
Da Diotallevi, da Carminati, da Senese, da
De Carlo. «Sta sotto la cappella», soprattutto
«di Michele» (Senese ndr.), chiosa Diotallevi
conversando con i figli Leonardo e Mario, che
- come documentano alcune foto contenute in
un anonimo agli atti dell’inchiesta - crescono
alla scuola del padre. Annodando relazioni con
un tipo come Stefano Ricucci o la trentaduenne deputata e avvocato di Forza Italia Annagrazia Calabria, già coordinatrice nel Lazio di
“Azzurro donna”.
Ebbene, Diotallevi, come del resto anche
Giovanni De Carlo sembrano molto interessati a quali mosse siano necessarie con l’arresto
di Mancini. Al punto che il vecchio boss scommette: «Vedrai che ora Giovanni (De Carlo
ndr.) gli dirà di mollarlo», di abbandonarne la
difesa e «de manna’ affanculo anche Massimo
(Carminati ndr.)». Perché? Le intercettazioni
non offrono una risposta. Ma in qualche modo
si conferma che nella partita della corruzione
politica entrino anche Diotallevi, De Carlo, Senese. Le “altre Mafie”. Che nel domino dei tre
Mondi davvero tutto si mischi.
CANDIDATO DI MALAVITA
Non fosse altro perché le opportunità sono
molte. Come la conquista del comune di Fiumicino, “Il Porto di Roma”, 81mila anime, dove, nella primavera 2013, si sfidano il candidato del Pd Esterino Montino (già vice di Marrazzo in Regione e quindi capogruppo negli
anni della Polverini e di Fiorito) e quello Pdl
Mauro Gonnelli, l’uomo su cui scommette Dio-
tallevi: «A noi ce interessa che questo qua diventa sindaco. Se ce diventa, sai come piottamo (corriamo ndr.)? Fallo diventa’ sindaco e
compramo quella proprietà là. E sai che ce famo? Un grattacielo. C’è da arricchisse».
Per agganciare e “battezzare” Gonnelli, Ernesto Diotallevi muove un maresciallo capo
della Finanza a Fiumicino, Giuseppe Volpe, un
tipo che dice essere «a disposizione». E per ammaestrarlo si affida al figlio Mario, cui spiega
il contegno da tenere con “il candidato”: «Nun
esse’ acido. Anche perché quello (Gonnelli
ndr.) è un mitomane, impiastrato de’ malavita». Mario concorda: «E’ talmente impiastrato
de’ malavita che te sei la divinità per questo».
La campagna elettorale di Gonnelli ha in cima all’agenda la «lotta alla criminalità» e «la
sicurezza dei cittadini» con la promessa di
«installare telecamere per la sorveglianza
nei 13 centri urbani che formano il Comune
di Fiumicino». E sembra destinata a un
trionfo. Anche perché, dopo il primo turno, il
vantaggio su Esterino Montino è di 3.600 voti, l’11%. Poi, al ballottaggio, accade evidentemente qualcosa, che ha qualcosa di matematicamente curioso. Gonnelli perde 2.500
voti. Montino ne guadagna 2.200. Montino è
sindaco.
LA P3, I “CAMILLIANI” E I DOSSIER
Per la verità, non è il solo Gonnelli a essere
rapito dal fascino di Diotallevi. Il vecchio
boss, conversando con il figlio, sostiene di
avere in mano tale “Paolo”, «un colonnello
della Finanza» in carico ai Servizi, «in procinto di passare alla Sicurezza Vaticana». In
realtà - come accerta il Ros - si tratta di Paolo
Oliverio. Un tipo che di mestiere fa il commercialista, traffica con l’ordine dei Camilliani, e che ha come clienti, tra gli altri, uomini della P3 e che verrà arrestato dalla Finanza nel gennaio scorso. Mettendogli le manette, il Gico scoprirà che custodisce un archivio
capace di «esercitare un forte condizionamento della pubblica amministrazione attraverso ricatti, dossieraggio e finanziamento illecito della politica, grazie alla partecipazione nelle attività criminali di esponenti dell’Ndrangheta, della Banda della Magliana, di
logge coperte e autorevoli prelati». Ancora
una volta, il Mondo di Mezzo, appunto.
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MAFIA CAPITALE
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la Repubblica LUNEDÌ 8 DICEMBRE 2014
Il racconto. In quattro anni un’escalation di affarismo
ha sfigurato la politica. Duemila posti distribuiti per clientelismo in Atac
e Ama. Tangenti a Eur Spa. Varianti alla Metro C per favorire i costruttori
E anche le camere mortuarie diventano occasione di business
Da Batman alle parentopoli
la carica dei 101 indagati
che hanno ridotto Roma
a capitale della corruzione
Il s
ma
co di Ro
ac
3
SEBASTIANO MESSINA
ONO centouno, come i dalmata della cari-
S
ca disneyana. Centouno personaggi della Roma che conta, politici in testa ma anche funzionari comunali, rettori, comandanti dei vigili, geometri, magistrati e manager
delle municipalizzate che negli ultimi quattro anni sono finiti sotto inchiesta per aver
usato il loro potere per far soldi, per far arricchire gli amici o per sistemare figli e nipoti.
Centouno storie che ancora prima della de-
flagrante scoperta di «Mafia Capitale» ci avevano segnalato l’assalto ai forzieri pubblici.
Centouno tasselli che aggiunti a quelli degli
affari sporchi del clan Carminati completano
il mosaico del sacco di Roma.
L’immagine che per prima torna in mente,
certo, è quella di «er Batman», quel Franco
Fiorito il cui arresto — 2 ottobre 2012 — toglie
il coperchio alla Rimborsopoli della Regione
Lazio, forse il più spettacolare degli scandali
non tanto e non solo per il suo picaresco protagonista ma per le feste in costume a Cine-
città o allo Stadio dei Marmi («C’erano delle
gnocche travestite con gonnelline bianche»
racconterà Fiorito) dove i consiglieri del Pdl
spendevano i soldi dei contribuenti in aragoste e champagne. Crolla tutto, il Consiglio regionale viene sciolto, i toga-party sospesi e
Fiorito — accusato di essersi appropriato di
1,4 milioni di euro — viene condannato a tre
anni e 4 mesi. Ma la caccia al tesoro non è finita, come dimostra il caso di Marco Di Stefano, l’ex assessore della giunta Marrazzo, oggi deputato Pd, sotto inchiesta per una tan-
RISSA IN CAMPIDOGLIO
Venerdì scorso tensione
durante il consiglio
comunale di Roma per
una protesta in aula Giulio
Cesare da parte di leghisti
e Movimento 5 Stelle
gente da 1,8 milioni che secondo la Procura
avrebbe ricevuto dai costruttori in cambio di
un generosissimo contratto d’affitto per gli
uffici dell’assessorato: lui non organizzava feste, ma a quanto pare con i soldi della Regione s’è comprato una laurea in Scienze Giuridiche.
Ben più sconcertante — anche se meno
spettacolare — era stato lo scandalo di due anni prima, quello che ci aveva mostrato di cosa
erano capaci i politici romani: la parentopoli
delle municipalizzate. Due ondate di assun-
la Repubblica LUNEDÌ 8 DICEMBRE 2014
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PER SAPERNE DI PIÙ
www.repubblica.it
www.goffredobettini.it
LE TAPPE
FIORITO
Nel 2012 è il caso di
Franco Fiorito,
detto “er Batman” a
scoperchiare
lo scandalo
di Rimborsopoli
zioni pilotate all’Ama (raccolta rifiuti) e all’Atac (trasporti urbani) da far sbiancare i
vecchi maestri del clientelismo: 1357 posti di
operatori ecologici, autisti di compattatori,
seppellitori, dirigenti e semplici impiegati all’Ama e altri 854 (per chiamata diretta) nell’azienda di bus e tram, un’occupazione fisica
delle municipalizzate da parte della giunta
Alemanno, una generosissima lotteria a numero chiuso che distribuiva cariche e stipendi a figli, generi, nipoti, amanti e segretarie
della destra romana (compresa una cubista
assunta all’Atac per meriti ancora oggi misteriosi).
Ma non bastavano le assunzioni. All’Atac
gli uomini nominati da Alemanno si erano
messi a stampare anche biglietti falsi, ovvero
autentici ma con numeri di serie non registrati e dunque non fatturati, rivenduti ai distributori per accumulare fondi neri a San
Marino da distribuire ai politici, agli amici e
probabilmente a loro stessi: sono indagati in
sei, e ancora non si sa quanto fosse profondo
quel pozzo.
Non si sa nemmeno — al momento — a chi
sia finita la maxi-mazzetta di 800 mila euro
per la quale il 25 marzo 2013 finisce in manette l’ex amministratore delegato di Eur
Spa Riccardo Mancini (altro sodale di Alemanno, anche lui arrestato con Carminati e
soci). Di certo c’è che la Breda Menarini l’ha
pagata per ottenere l’appalto per 45 filobus
da impiegare sulla nuova linea di Tor Pagnotta, e che proprio l’amministratore delegato
della società, dal carcere, ha chiamato in causa Mancini. Ma l’amico dell’ex sindaco, che al-
L’INTERVISTA/ GOFFREDO BETTINI
“Mai fatto pressioni per favorire Buzzi
ma nel Pd un degrado impressionante”
PAOLO BOCCACCI
ROMA. Onorevole Bettini, discutendo di come aggiudicarsi l’appalto di un centro per
immigrati Salvatore Buzzi dice “a noi ci manda Goffredo”.
E quel “Goffredo” sarebbe lei.
«Si esaltano notizie di carte
che non hanno per la Procura
rilievo nell’indagine. È il modo
per salvare i corrotti e sporcare
chi ha fatto della correttezza
una ragione di vita. Querelo chi
dovesse affermare che ho compiuto pressioni o ingerenze per
favorire la cooperativa 29 Giugno. Non so neanche cosa sia
quell’appalto».
Ma lei Buzzi lo conosceva o
no?
«Questo è il dramma, il paradosso: la 29 Giugno è stata fin
dalla nascita un simbolo della
sinistra. Tutti avevano rapporti con loro. Come si poteva immaginare quello che c’era dietro? È ridicolo dire: mai conosciuti! Il suo era un mondo con
riferimenti lontani da me, come si evince da alcune intercettazioni. Ma io non ho mai
pensato, e ancora oggi sono allibito, che lì dentro ci fosse corruzione. Ho già segnalato il rischio che si arrivi alla impraticabilità di campo per ogni tipo
di impegno pubblico, perché si
arriva perfino a maledire un incontro, una chiacchierata, un
consiglio. Non si sa più con chi
si parla. Ma allora muore la democrazia, la politica».
Bettini, lei è stato il dominus
del Pd romano per vent’anni.
Recentemente ha parlato di
un partito balcanizzato. Chi
sono i “capibastone” a Roma?
«Ho parlato in termini politici».
E in termini politici chi sono?
«È un sistema di vita complessivo del partito. Riterrei
sgradevole utilizzare questo
momento, di grande dolore e
sconcerto, per lucrare qualche
misero vantaggio politico. Posso dire che in tempi non sospetti, era il 2009, scrissi parole profetiche nel mio libro Oltre
i partiti: “Il campanello d’allarme va suonato, non ci vogliono
“
SPORCARE
Ho fatto della
correttezza una
ragione di vita,
non mi faccio
sporcare da accuse
senza fondamento
”
i giudici per comprendere che
la corruzione è tornata e nessuno può pensare che si fermi
sulla soglia del centrosinistra”».
Alle europee lei è stato molto
combattuto da alcuni capicorrente. Chi erano? Gasbarra? Marroni? O chi altro?
«Che senso ha soffermarsi
sui nomi? Con Gasbarra per anni ho avuto rapporti di amicizia. La verità è che, dopo la vittoria di Alemanno, molti disse-
ro che era fallito il “modello Roma” anche per sbarazzarsi di
una classe dirigente autorevole e capace, ma ritenuta soffocante, tant’è che io subito dopo
lasciai ogni incarico politicoistituzionale e me ne andai all’estero a occuparmi di cultura
e a scrivere libri».
È vero che qualsiasi persona
può andare in un circolo Pd e
comprare cento, mille tessere, che poi regala a chi vuole in
cambio di un voto?
«Il Pd, non solo a Roma, ha
raggiunto livelli preoccupanti
di degrado della vita interna. Il
tesseramento spesso si è fatto
procurandosi tessere a 10 euro
da distribuire. Anche a persone del tutto estranee. Le correnti non hanno quasi mai un
significato politico ideale, ma
sono gruppi spuri che mirano
al potere. Da anni invoco un
partito di persone che decidono in libertà contro la logica
“proporzionale” delle correnti».
Di Stefano, il deputato del Pd
indagato per una tangente,
in uno sfogo arriva a dire che
le primarie del Pd sono state
truccate e minaccia rivelazioni clamorose.
«Non so se il termine “truccate” sia giusto, so che quando
le primarie non sono per ruoli
di spicco, come un sindaco o un
premier, che riguardano centinaia di migliaia di elettori, finiscono per esaltare il condizionamento interno delle correnti. Detto questo, il Pd rimane
uno straordinario campo di
energie positive e di persone
perbene».
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CON VELTRONI
Goffredo Bettini è stato
braccio destro di Veltroni al
Campidoglio e senatore del
Pd. È eurodeputato dem
l’Eur Spa aveva nominato direttore commerciale il camerata Carlo Pucci (ex di “Terza Posizione”), anche in cella tiene la bocca chiusa.
Hanno fatto invece un salto sulla sedia i 21
manager, funzionari pubblici e rappresentanti dei costruttori che otto settimane fa si
sono ritrovati sotto indagine dalla Corte dei
Conti per l’appalto della Metro C. Per il danno
causato alle casse pubbliche dalle 45 varianti
accordate ai costruttori per il primo tratto della linea C, adesso si sono visti chiedere dalla
magistratura contabile l’astronomico risarcimento di 364 milioni di euro. Altri due dirigenti di «Roma Metropolitane» sono contemporaneamente indagati per abuso d’ufficio
per aver riconosciuto ai costruttori un indennizzo di 230 milioni di euro sul quale i magistrati vogliono hanno, a quanto pare, molti sospetti.
Ma non ci sono solo politici e manager, nel
racconto del sacco di Roma. Anche i vigili urbani hanno voluto dare il loro contributo. L’ex
comandante Angelo Giuliani è stato arrestato per corruzione, accusato di aver fatto assegnare l’appalto per la pulizia delle strade dopo gli incidenti a una società amica, la «Sicurezza e ambiente», in cambio di 30 mila euro
versati come sponsorizzazioni per il circolo
della polizia municipale. Altri due vigili sono
stati arrestati per aver cancellato migliaia di
multe, ovviamente senza averne il potere. E
altri tre sono finiti in manette perché avevano tentato di estorcere 60 mila euro ai commercianti del centro, tempestandoli di multe.
Ormai nella Capitale tutto si può comprare e tutto si può vendere. Comprese le
sentenze. Può confermarlo il giudice del
Tar Franco Angelo Maria De Bernardi che
l’anno scorso è stato arrestato insieme ad
altri sei con l’accusa di aver venduto le sue
sentenze ai «clienti» che potevano permetterselo, una lista nella quale figuravano anche due ammiragli della Marina Militare.
Non si salva neanche l’università, teatro
dieci anni fa della compravendita degli esami: in tempi di crisi, anche i professori pensano ai figli. E al rettore Luigi Frati, che è appena andato in pensione, non bastava aver dato
una cattedra alla moglie e alla figlia. Adesso è
sotto processo per abuso d’ufficio, accusato di
essersi inventato una «Unità programmatica
di cardiochirurgia» solo per farne diventare
direttore il figlio prediletto, Giacomo.
A Roma non ci si ferma davanti a niente.
Neanche davanti alla morte, che per qualcuno è diventata un lucrosissimo business: ne
sanno probabilmente qualcosa quei 29 politici, dirigenti delle Asl e naturalmente impresari di pompe funebri sui quali la Procura sta
indagando per associazione a delinquere di
stampo mafioso e voto di scambio politicomafioso dopo aver visto quello che succede
negli ospedali romani. Tra ai 29 sotto inchiesta ci sono l’ex senatore di An Domenico Gramazio e suo figlio Luca, fino a tre giorni fa capogruppo di Forza Italia alla Pisana. Era lui
che annunciava euforico, nella villa di Carminati: «Stanno ad arrivà i sordi, alla Regione!».
Ora si è dimesso: per lui non ci sarà un altro giro.
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AMA E ATAC
Nel 2010 il caso
delle assunzioni
alle municipalizzate
della giunta
Alemanno: 1357
posti all’Ama
e 854 all’Atac
EUR SPA
Si indaga su chi
abbia intascato
la tangente da
800mila euro
costata il carcere
all’ad di Eur Spa
Riccardo Mancini
METROPOLITANA
21 manager sono
indagati per
l’appalto della
Metro C. Devono
versare un
risarcimento
di 364 milioni
VIGILI URBANI
L’ex comandante
dei vigili romani,
Angelo Giuliani, è
accusato di avere
intascato
una tangente da 30
mila euro
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LE SCELTE DEI PARTITI
la Repubblica LUNEDÌ 8 DICEMBRE 2014
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Movimento 5Stelle
M5S, la sfida di Pizzarotti
“Autocritica e niente espulsioni
Grillo è già un passo indietro”
Il leader: io più vivo che mai
SENZA PAURA
Federico Pizzarotti
all’assemblea di Parma.
“Dobbiamo dirci quel che
pensiamo - ha detto tra
l’altro - senza paura di
essere mandati via”
Quattrocento a Parma, nasce la corrente dei dissidenti
La deputata Sarti: discutiamo se togliere Beppe dal simbolo
“
MENO SCONTRINI
Riscopriamo i
valori delle origini
Meno scontrini, più
contenuti. Il passo
indietro di Grillo?
È nei fatti
FEDERICO PIZZAROTTI
VIVO PIÙ CHE MAI
Sono vivo più che
mai. Nonostante
questo tentativo di
seppellimento mio,
di Casaleggio e
del Movimento
BEPPE GRILLO
”
IL SIMBOLO
PROPRIETÀ DI GRILLO
Il logo del M5s appartiene
a Beppe Grillo, ricorda la
deputato Giulia Sarti: “Non
deve esserne tabù
discuterne la proprietà”.
D’accordo Pizzarotti.
DAL NOSTRO INVIATO
ANNALISA CUZZOCREA
PARMA. Alla fine di una giornata interminabile, fatta di parole, lacrime, applausi, abbracci,
telecamere, palchetti improvvisati e streaming che si inceppano, Federico Pizzarotti legge
sul suo Android il post di Beppe
Grillo, e ride. La risposta del fondatore dei 5 stelle a coloro che
hanno osato sfidare la sua leadership dicendo: «Il Movimento siamo noi» appare debole e
sfocata rispetto alla forza di
quei numeri e di quelle facce.
«Sono vivo e più vivo che mai»,
dice Grillo, annunciando che il
13 dicembre comincerà la raccolta firme per il referendum
contro l’euro. «Non ho fatto un
passo indietro, ma avanti», è il
messaggio. Peccato che – all’hotel Villa Ducale di Parma –
sembrava andasse avanti senza di lui.
Sono arrivati fin dal mattino,
i quattrocento, di cui 160 eletti
e molti attivisti della prima ora
(«Ad altri 100 abbiamo dovuto
dir di no»). C’erano l’europarlamentare Marco Affronte, i deputati Rizzetto, Rostellato, Bechis,
Iannuzzi,
Baldassarre,Turco, Sarti, Mucci, Montevecchi, Barbanti. Il
sindaco di Pomezia Fabio Fucci
(quello di Livorno, Filippo Nogarin, alla fine è rimasto a casa,
ma ha mandato un messaggio
di “vicinanza”). Poi i senatori
espulsi, Romani, Mussini, Bencini, Bignami. Perché «dietro le
etichette, ci sono le persone»,
dice il sindaco. Non è arrivato
l’ultimo messo fuori, Massimo
Artini, ma c’è e resta tutto il
tempo l’ex consigliere emiliano Andrea Defranceschi, cacciato anche lui («Avrei voluto
che la sua esperienza fosse usata in campagna elettorale – si
rammarica Pizzarotti – tutti abbiamo avuto pressioni per non
attestare vicinanza a questo o a
quello, me ne sono vergognato,
non ho più intenzione di farlo»).
Pretende libertà, il sindaco di
Parma. Mostra un filmato della
serie americana Newsroom, in
cui l’anchorman Will McAvoy
ammette che gli Stati Uniti non
sono il Paese migliore del mondo: «Non eravamo così paurosi,
per risolvere un problema bisogna riconoscere che ce n’è
uno», sono le parole di Jeff Daniels sullo schermo. «Ci dobbiamo dire quali sono i nostri problemi apertamente – dice il sindaco in sala - possiamo dirci
quel che pensiamo senza la paura di essere mandati via?».
Prende fiato: «Io non vado da
nessuna parte, io sono del Mo-
I PROTAGONISTI
GIULIA SARTI
“Non deve essere tabù
ridiscutere la proprietà del
simbolo” dice la deputata
ANDREA DEFRANCESCHI
Ex consigliere emiliano,
espulso: “Ripartire da Parma
contro l’estinzione”
FABIO FUCCI
Il sindaco 5 stelle di
Pomezia dice “basta a
espulsioni e scie chimiche”
WALTER RIZZETTO
“Oggi non c’è alcuna conta.
Questa non è una Leopolda, né
una scissione” dice il deputato
vimento 5 Stelle e vorrei che il
Movimento riconoscesse il lavoro che faccio». Standing ovation, e si riparte da lì. Dalla necessità di non avere paura. «Del
giudizio degli attivisti, dei parlamentari, delle filastrocche».
«Quella della settimana scorsa
sul blog non era di buon gusto,
non ha insegnato niente, è questo che dobbiamo superare».
Racconta di una telefonata con
Luigi Di Maio, il vicepresidente
della Camera ed esponente di
punta del direttorio: «Gli ho detto che dobbiamo parlarci, che
serve un incontro, una grande
assemblea con 500-600 persone». Un congresso? «Chiamatelo come volete». Come per incanto, voci spesso timide in Parlamento escono fuori con tutta
la forza e l’emozione dei giorni
importanti. La deputata imolese Mara Mucci piange dicendo
che autocritica è una parola bellissima, e che «se chi insulta non
si rende conto che dietro la tastiera ci sono persone perdiamo umanità». Giulia Sarti ragiona sulle espulsioni: «Il problema non è che è stata saltata
l’assemblea, Beppe Grillo ha la
proprietà del simbolo, può cacciare chi vuole. Forse è di questo
che dovremmo discutere. Non
deve essere un tabù». Pizzarotti propone che si riveda la decisione sulle espulsioni, ma «devono chiederlo i parlamentari,
hanno i numeri per farlo. Senza
Grillo non saremmo qui, ma se
non raccogliessimo le firme, se
non andassimo nei consigli,
IL CASO IL CAPO DELLA LEGA VA A MOSCA: “CAMBIEREI PUTIN CON RENZI”
“Fascista”, “Cappuccetto Rosso”. Lite Boschi-Salvini
ROMA. «Fascista». «Cappuccetto rosso».
Maria Elena Boschi contro Matteo Salvini.
Il botta e risposta a distanza, in tv, parte
dal ministro delle Riforme, chiamata a
commentare il discusso servizio fotografico del segretario leghista su Oggi (quello
del nudo con cravatta verde) su Skytg24.
«Non so — afferma rispondendo a una domanda di Maria Latella — se l’idea di Salvini di fare quella copertina abbia funzionato. Ma non mi preoccupa la copertina
ma quando incontra la Le Pen (Marine,
ndr), leader di un partito che tecnicamente ha una deriva fascista. Lì si vede come la
pensa e mi preoccupa perché a me hanno
insegnato ad aver paura del fascismo».
La replica di Salvini arriva nel pomeriggio, durante la trasmissione “In mezz’ora”
su Rai3, quando la conduttrice Lucia Annunziata gli legge quanto dichiarato dal
ministro. E Salvini secco: «Io fascista? Io
sono sicuramente leghista e milanista....La signora Boschi mi sembra Cappuccetto rosso che ha paura del lupo mannaro. La signora Boschi è quella che dovrebbe fare le riforme in Italia, e già questo è allucinante». Quindi la stoccata, con
riferimento alle foto in bikini del ministro
SCONTRO
Maria Elena Boschi e Matteo Salvini
la scorsa estate: «Non do giudizio sulle foto, sui bikini e via dicendo». Per chiudere
con un «non esiste l’uomo nero». Boschi e
Renzi, sostiene il leader del Carroccio,
«hanno tolto milioni di euro ai ciechi e ai disabili e noi abbiamo combattuto questa
legge di stabilità: questo è essere fascisti?
Il Fascismo è interessante per i libri di
scuola, ma a chi ci guarda interessa se deve pagare l’Imu sui terreni agricoli».
Poi, per confermare la sua fama “contro”, Salvini vola a Mosca per il ponte di
Sant’Ambrogio ad omaggiare il vero uomo nero d’Europa, Vladimir Putin. «Il governo e l’Europa se ne fregano — dichiara
in tv — e allora per provare a fare qualcosa
a Mosca ci vado io: l’ultimo degli scemi».
L’ultima provocazione prima di indossare
il colbacco e partire: «Io farei a cambio tra
Putin e Renzi domani mattina».
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la Repubblica LUNEDÌ 8 DICEMBRE 2014
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PER SAPERNE DI PIÙ
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www.beppegrillo.it
Il personaggio
Amico dei dissidenti, geloso della sua autonomia, punto
di riferimento di chi “cerca soluzioni”. Grillo lo aspettava sulla
riva del fiume e invece lui è diventato il suo primo vero rivale
LA CAMPAGNA DEL 2012
L’abbraccio di Beppe Grillo all’allora
sconosciuto Federico Pizzarotti nella
primavera del 2012. Pizzarotti al primo
turno ottenne il 17 per cento
IL FUOCO AMICO: SEI “CAPITAN PIZZA”
L’8 aprile scorso Grillo attacca dal suo blog
il sindaco: “Capitan Pizza non è d’accordo
con le regole del M5s”. Al Circo Massimo,
in settembre, non lo farà parlare dal palco
L’ASSEMBLEA A VILLA DUCALE
Ieri a Parma con Pizzarotti 160 eletti, tra
parlamentari e consiglieri di enti locali,
e più di 350 militanti di base. Altri cento
sono rimasti fuori per mancanza di posti
Meno blog e più realismo
ora il sindaco è la sesta stella
“Mi sento come Rosa Parks”
DAL NOSTRO INVIATO
MICHELE SMARGIASSI
non esisteremmo. Il Movimento siamo noi e siete voi». È la fine della paura. Ed è contagiosa:
«Beppe ha acceso la scintilla,
ma se non ci fossimo stati noi il
Movimento non esisterebbe»,
dice Gessica Rostellato. «Oggi è
il giorno della rinascita del Movimento, noi siamo il Movimento 5 stelle», quasi urla il solitamente silente Tancredi Tur-
>
BELPAESE
co. Il cuore di tutto, è nelle parole del capogruppo dei 5 stelle
a Parma, Marco Bosi: «Nel 2010
non ci chiedevamo come avere
consenso, ma come risolvere i
problemi. Ci serve la forza di tornare ai contenuti. Non ci sono
soluzioni semplici, la politica
non è semplice, ma le cose si
possono cambiare».
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ALESSANDRA LONGO
La gaffe del sottosegretario
EBASTIANO Satta era un grande poeta barbaricino di
cui si sono celebrati a Nuoro, in questi giorni, i 100
anni dalla morte. Salvatore Satta, che non c‘entra
nulla con Sebastiano, era invece un giurista sardo, autore del cult “Il giorno del giudizio” pubblicato postumo. La
sarda Francesca Barracciu, sottosegretaria alla Cultura,
guest star delle manifestazioni per Sebastiano, ha confuso i due più volte seguendo un testo scritto. Imbarazzo in
sala, lei contrita: «Non ho dormito per la gaffe ma è stata
una leggerezza del mio staff». Michela Murgia, scrittrice,
già in corsa per le Regionali, twitta: «Tutti possono dire
una cosa misera ma è solo quando si cerca di incolpare un
altro che si diventa miserabili». Così il sottosegretario alla Cultura: «Uno, due volte, cento volte miserabile, è chi
utilizza a mani basse le persone in funzione del suo ricco
delirio e del suo misero arrivismo». Di fioretto.
S
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PARMA.Ieri mattina Federico Pizzarotti
si è svegliato sentendosi come Rosa
Parks (lui ha detto Parker, ma passi), la
donna nera dell’Alabama che nel ‘55 si
rifiutò di cedere a un bianco il suo sedile
del bus e scatenò la rivolta per i diritti civili negli Usa. Anche lui ha deciso di non
alzarsi e di non cedere il posto. «Io nel Movimento 5Stelle ci resto». Chi diceva «oggi la scissione»? Niente affatto. Non ha
bisogno che Gennaro, militante venuto
da Milano solo per questo, s’aggiri davanti all’albergo con un cartello “Pizzarotti, dentro il movimento uno vale uno,
fuori uno vale zero”. Lo sa benissimo da
sé. Infatti non ci pensa proprio a fare un
altro partito. Lancia la sfida a Grillo per
quello che c’è già.
Non è più “capitan Pizza”, bersaglio di
dileggi e strofette sul blog del Capo, non
è più l’arrendevole temporeggiatore
che evita sempre di misura la scomunica e ingoia le umiliazioni, come l’esclusione dal palco del Circo Massimo. Ha
passato il Rubicone. Il dado è tratto, si
apre la prima vera sfida alla leadership
nel Movimento del Capo Inevitabile. Ha
aspettato il momento giusto. È cresciuto, si è fatto le spalle robuste anche grazie a una spin doctor speciale, sua moglie
Cinzia, minuscola e implacabile, che se
le chiedi di Federico risponde «noi stiamo facendo...». Bastava guardarlo, sciolto sorridente, sul palco della sua “Pizzopolda” di successo (quattrocento, un
giornalista ogni quattro partecipanti),
mattatore sempre in scena, per capire
che Pizzarotti non è più il trentanovenne dalla faccina pulita e sbalordita che
nel 2012 umiliò il Pd Bernazzoli in un’epica rimonta al ballottaggio, dal 17 al
59% in due settimane. Perito tecnico,
consulente bancario, computer nerd
dall’età di otto anni, attore dilettante,
judoka semipro, bricoleur, frutticultore, tutto ma sindaco non se lo immaginava proprio, neppure di una città massacrata dagli scandali. Prima stella della
corona di Beppe, primo grillino di governo, ma durò poco. Troppo amico dei dissidenti emiliani, troppo geloso della sua
autonomia di sindaco, troppo disposto a
governare mediando con il principio di
realtà, ad esempio ingollando l’inaugurazione dell’inceneritore che aveva promesso di chiudere. Così Grillo cominciò
ad aspettarlo sulla riva del fiume, quel
cadavere politico. Ma non è passato.
Gli passa invece davanti il suo primo
vero rivale, piuttosto vivo. Che gli scatena contro un arsenale simbolico impressionante per potenza di fuoco: se Rosa
Parks evoca il razzismo, la poesia di Brecht (quella «prima presero i comunisti,
poi gli zingari, poi gli ebrei e non dissi
mai nulla, poi presero me e non c’era più
nessuno per dire qualcosa») scaglia contro le epurazioni spettri ancora più truci. Pizzarotti dipinge un movimento dominato da un clima di intimidazione e di
paura, dove l’etichetta «dissidente» fa
di te un reietto di cui «non si dice più il nome», «tanti che prima mi abbracciavano
ora mi evitano, questo è insopportabile», dove la libertà di parola è schiacciata dalla paura «che arrivi un Ps sul blog».
Pizzarotti ribalta il terreno di gioco di
Grillo. Dove il guru tonante capitalizza
LE CITAZIONI
BERTOLT BRECHT
Il sindaco cita Brecht: “Prima
presero i comunisti, poi gli zingari,
poi gli ebrei e non dissi nulla, poi
presero me e non c’era più
nessuno per dire qualcosa”
ROSA PARKS
Pizzarotti cita la donna nera
dell’Alabama che nel ‘55 si rifiutò
di cedere a un bianco il suo sedile
del bus scatenando la rivolta
per i diritti civili negli Usa
la rabbia e lo sberleffo, sentimenti aggressivi, lui tocca l’altra metà dell’animo del militante, solletica le emozioni
positive, «basta lotte interne, basta talebani e dissidenti, il nemico è fuori»,
non irride ma sorride, non condanna ma
include. Osa ribaltare perfino il cuore mitologico della prassi grillina, la democrazia online, il «popolo della Rete» diventa un’orda senza volto di «leoni della
tastiera» che demoliscono gli altri dal riparo di un display, «non perdiamo mai di
vista che dietro uno schermo c’è un uomo».
Corpi e cuori contro like e link, controffensiva audace, ma non temeraria.
Perché Pizzarotti sa che i Cinquestelle
non nascono dalla multisolitudine dei
computer ma dalle salette accaldate dei
meetup. «Io c’ero, il 4 ottobre del 2009 al
teatro Smeraldo», a Milano, parto del
grillismo politico, e quando evoca lo «spirito del 2009» è questo che invoca, il ritorno alla politica fatta «di persona», e
«sul territorio». Sa bene a chi sta parlando. Li ha davanti al palco. Parla ad Antonio Russo, consigliere a Imperia, che si
sente «un amministratore, in minoranza, non all’opposizione, cerco soluzioni
per la mia città». Parla a Saverio di Livorno, reduce entusiasta dal restauro
«con mille ore di lavoro volontario dei militanti» di una struttura per l’handicap.
Parla a quelli che cominciano a pensare
a un Movimento post-Grillo, grazie Beppe, ora andiamo avanti noi. Parla soprattutto a quelli come la siciliana Valeria, che quando ha detto «vado a Parma»
si è sentita dire «ah sei una dissidente» e
s’è arrabbiata, «io sto nel Movimento dal
2008 e sapete cosa, se domani mi arriva
un post sul blog, me ne infischio». Non è
una scissione: somiglia invece a una
riappropriazione. L’attacco di Pizzarotti
arriva con un tempismo perfetto, nel
momento in cui il vertice del Movimento è assieme «stanchino» e scomunicante, e le retromarce nell’urna bruciano.
Parla ai #figlidellestelle in ansia dietro i
loro tweet, dando loro la speranza che le
stelle tornino a brillare. Ne aggiunge
un’altra, la sesta, la sua.
Solo una cosa può rovinare tutto. Che
Parma lo tradisca. Le mamme in protesta contro il taglio dei servizi ai disabili,
il comitato contro i tagli alle biblioteche
riecheggiano le “pentolate” che tre anni
fa abbatterono la giunta degli scandali.
Governare un Comune, di questi tempi,
è dura anche per una stella nascente.
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