4 MAFIA CAPITALE la Repubblica LUNEDÌ 8 DICEMBRE 2014 . PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.anticorruzione.it L’inchiesta Raffaele Cantone Parla il presidente dell’Anticorruzione: “Sembra di essere tornati a Mani Pulite, i cittadini sono indignati, ma non possiamo farci prendere dall’emotività” “In Italia un clima da ’93 la gente mi chiede di mandarli tutti in carcere la politica faccia pulizia” “ RADICALI La corruzione non è un male che si vince urlando due giorni, c’è bisogno di cambiamenti radicali FARE DI PIÙ Potevamo fare di più da aprile? Ho fatto tutto quello che umanamente era possibile fare contro il malaffare ” LIANA MILELLA ROMA. Cantone? Poltrona scomoda la sua in queste ore... «Non me ne parli... La gente mi ferma per strada e mi dice “arrestateli tutti... “». E lei si meraviglia? «La cosa mi preoccupa molto perché mi ricorda la voglia di forca e le monetine del ‘93». Il presidente dell’Anac Raffaele Cantone rivela le sue preoccupazioni. Ci racconta della gente che la ferma, dov’è successo? «Dovunque, a Roma, a Napoli, e in tutti i luoghi in cui mi sono recato in questi giorni». E lei come si sente da uomo delle istituzioni, che risponde? «Sono preoccupato della generalizzazione nel considerare tutta la politica corrotta. Ho provato a spiegare che noi dell’Anac non arrestiamo nessuno e che il nostro compito è molto meno evidente nei risultati, ma ha un obiettivo più ambizioso, provare a prevenire la corruzione». La gente vuole risultati immediati? «La gente, in questa fase, fatica a ragionare. In un Paese in crisi, vedere chi ruba indigna ancora di più e quindi è difficile far ragionare la pancia delle persone. Ma il nostro compito è ra- gionare e non farci prendere dall’emotività». Come dar torto a chi è indignato contro chi ruba, quando, come dimostra il caso di Roma, ci sono politici del Pd a libro paga di un fascista? «Vorrei che l’indignazione di un giorno delle persone e della politica fosse sostituita da un impegno duraturo. La corruzione non è un male che si vince urlando due giorni, c’è bisogno di cambiamenti radicali da parte della politica e dei cittadini». La politica deve cambiare. Si dice a ogni inchiesta. Anziché fare il commissario anti-corruzione, non sarebbe meglio che lei fosse il commissario che seleziona gli uomini politici? «Malgrado la difficoltà del periodo, io vedo segnali positivi...». Eh lo so, mi sta per parlare bene di Renzi... «Sto per citare fatti, e non persone. Ricordo la nomina all’unanimità del presidente dell’Anac, l’approvazione di una legge che ci ha consentito di commissariare gli appalti dell’Expo e il consorzio Mose. Si può dire che non basta, ma certamente è un segnale positivo. E poi non me la sentirei mai di fare il selezionatore della politica». Forse perché sa già che sarebbe una ANTICORRUZIONE Raffaele Cantone dal 28 aprile presiede l’autorità anticorruzione voluta da Renzi sconfitta? «Io, al massimo, posso essere bravo ad applicare le norme, ma non certo a selezionare gli uomini politici. E poi la selezione lasciata a una persona rischia di essere un pericolo. Qui c’è bisogno di un gruppo di persone per bene in grado di allontanare le mele marce». In questo clima non è grottesco che nell’Italicum si parli di capilista bloccati e non scelti dalla gente? «Ma l’indagine di Roma non ha dimostrato che i soldi servivano per comprare voti in qualche caso destinati perfino alle primarie? Non è la prova che forse le preferenze rischiano di peggiorare la situazione?». La tabella dei pagamenti di Carminati ai politici rivela che il problema della corruzione è lì, in chi si fa pagare... «L’indagine va molto oltre la politica, coinvolge pezzi significativi del ceto amministrativo, dei portaborse dei politici, degli amministratori delle società miste e mette in rilievo negativo perfino uno dei vanti della nostra società, il mondo cooperativo». Lei è al vertice dell’Anac dal 28 aprile. Ma Roma è scoppiata lo stesso. Poteva fare di più? «Ho fatto tutto quello che umanamente era possibile fare. In questi mesi, io e gli altri 4 quattro colleghi al vertice dell’Anac, siamo entrati in santuari intoccabili, di Expo e del Mose già si sa, ma abbiamo imposto regole rigide di trasparenza alle società pubbliche, agli ordini professionali, abbiamo attivato la vigilanza su un enorme numero di appalti, abbiamo stipulato convenzioni con tutti gli organi per la formazione dei pubblici dipendenti, con Confindustria abbiamo lavorato al loro codice etico...». Ma lei fino a oggi ha fatto arrestare qualcuno? «Io non sono più un pm... Certamente il nostro lavoro potrà servire per inchieste future. Ma non è solo con gli arresti che si vince la corruzione. La politica deve recuperare fino in fondo il valore etico della sua funzione”. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL COMUNE/ IL SINDACO REPLICA A BERLUSCONI: NO LEZIONI Mossa Marino: Comune parte civile Commissari, il prefetto va da Alfano ROMA.Giovedì sarà inviata al ministro degli Interni Alfano una prima relazione sullo stato di salute dell’amministrazione romana, piagata dalle infiltrazioni criminali. È la prima scadenza che il prefetto Giuseppe Pecoraro si è imposto, sulla scia dell’inchiesta giudiziaria su Mafia Capitale. Domani per altro ministro e prefetto si incontreranno per vagliare la situazione. Se lo scioglimento viene scartato per il momento per mancanza dei requisiti di «pervasività e attualità» delle infiltrazioni criminali (le persone coinvolte sono state arrestate o si sono comunque dimesse), la strada che la Prefettura percorre è quella dell’accesso agli atti attraverso tre viceprefetti inviati da Pecoraro, una sorta di comitato che appunto in settimana tirerà le prime somme destinate al Viminale. Il sindaco Ignazio Marino annuncia che il Comune si costituirà parte civile «perché vogliamo che i soldi sottratti tornino indietro alla città». E a Berlusconi che lo invita alle dimissioni risponde a muso duro: «Sta scontando una pena, da che pulpito viene la predica». Matteo Orfini, il presidente democratico che ha commissariato il partito romano an- nuncia a partire da domani controlli a tappeto su tutti i cento e oltre circoli cittadini. Chi li sostiene, chi paga l’affitto, quanti iscritti, persone conosciute e militanti o semplici tessere? La novità sarà «l’introduzione dell’obbligo di certificazione del bilancio» per il partito a Roma, ma anche un sistema di regole più severe per i bilanci dei circoli e una stretta sul meccanismo dei tesseramenti. «Intanto abbiamo bloccato i congressi — spiega Orfini — di sicuro qualche circolo dopo questi controlli sarà chiuso, ma dobbiamo smontare la filiera». Quella che in qualche caso portava a terminali di malaffare. Matteo Salvini tiene la linea dura e alla Annunziata che in tv gli chiede se sosterrebbe Giorgia Meloni (Fdi) risponde: «È una faccia pulita. Ma se si votasse domani correremmo da soli». Con Fi e grillini, anche l’Ncd con la capogruppo Nunzia De Girolamo sostiene la tesi dello scioglimento del Comune. «Il Pd ha saputo fare autocritica — replica il ministro Maria Elena Boschi intervistata per Sky da Maria Latella — gli altri partiti ancora più coinvolti cosa hanno fatto?» (c.l.) © RIPRODUZIONE RISERVATA IN BICI Il sindaco Ignazio Marino si presenta in bici (applaudito) alla convention dei giovani democratici a Roma 6 MAFIA CAPITALE la Repubblica LUNEDÌ 8 DICEMBRE 2014 . L’inchiesta Le intercettazioni Nell’informativa del Ros la conversazione fra tre indagati “Quattro viaggi col figlio, passava dal varco riservato” L’ex sindaco: falsità, lì solo una volta e per una vacanza Le confidenze della banda sulle trasferte di Alemanno “Andava in Argentina con le valigie piene di soldi” “ L’ACCUSA Ma a te sembra normale che un sindaco si porti via così i contanti... un vero attore per me Luca Odevaine LA DIFESA Oggi sono più povero di quando sono stato eletto Quella volta partii con amici per il Capodanno Gianni Alemanno ” MARIA ELENA VINCENZI IL CASO ROMA. «Alemanno ha fatto quattro viag- gi, lui e il figlio, con le valigie piene di soldi in Argentina. Ma te sembra normale che un sindaco...». È il 31 gennaio scorso. Luca Odevaine, ex vice capo gabinetto di Veltroni e fino a martedì scorso, giorno dell’arresto, componente del coordinamento per i rifugiati del Viminale, è negli uffici della Fondazione Integrazione e parla con Mario Schina e Sandro Coltellacci, ex responsabile del Decoro urbano del Comune di Roma il primo, dirigente di una cooperativa il secondo. Tutti e tre sono indagati nell’inchiesta della procura di Roma su Mafia Capitale. La conversazione, ascoltata dai carabinieri del Ros, è tra gli atti allegati all’ordinanza di custodia cautelare. I militari dedicano a questo episodio un capitolo dell’informativa del 31 luglio scorso. Sono le 11.35 del mattino. I tre chiacchierano di qualcuno, di cui non fanno mai il nome, che, dicono, abita nello stesso palazzo in cui ha sede la fondazione presieduta da Odevaine: una persona che in passato avrebbe litigato con Alemanno. «Abita qua, dentro a ‘sto palazzo — dice Odevaine — che fijo de ‘na mignotta... ha litigato con Alemanno. Per soldi se so’ scannati... ma sai che Alemanno si è portato via... ha fatto quattro viaggi... lui ed il figlio con le valigie piene di soldi in Argentina... se so’ portati... con le valigie piene de contanti... ma te sembra normale che un sindaco...». Il segnale si perde per qualche istante, poi si sente la stessa voce che dice: «Me l’ha detto questo della Polaria». Schina, incuriosito, chiede: «E nessuno lo ha controllato?». «È passato al varco riservato... un attore per me...». Coltellacci non è convinto: «Io pensavo che i soldi se li Quando la deputata grillina si mosse per la gara bloccata Carla Ruocco, deputata del Movimento Cinquestelle ROMA. La deputata pd Micaela Campana rifiutò di fare un’interrogazione parlamentare a favore di una delle imprese di Salvatore Buzzi che si era vista sospendere un appalto dal Tar. Ma un’interrogazione sul caso alla fine venne fatto lo stesso. Da chi? Dalla parlamentare grillina Carla Ruocco. La quale, però, smentisce categoricamente di avere avuto input da Buzzi. «Non lo conosco. Mai avuto alcun contatto con lui», spiega la deputata Ruocco, uno dei cinque membri del direttorio 5Stelle. «Quel giorno — aggiunge — il mio assistente che fa la rassegna stampa mi segnalò un articolo sul “Tempo” che denunciava la criticità. Ho ritenuto che fosse mio compito di parlamentare chiedere ai ministri competenti se quelle notizie fossero vere». (a. cus.) portava via tutti lui... sembrava che il sindaco non toccasse... invece ‘a toccati... però che il sindaco... due e tre... Panzironi dieci, penso che gli equilibri erano quelli». Probabilmente quello di cui Coltellacci era convinto è che a prendere le mazzette fosse solo l’ex ad di Ama, Franco Panzironi, anche lui in carcere da martedì scorso con l’accusa di essere parte dell’associazione di stampo mafioso guidata da Massimo Carminati. Odevaine prosegue il racconto: «A un certo punto deve essere successo un casino, perché ad un certo punto ad Alemanno gli hanno fatto un furto a casa... Cercavano qualche pezzo de carta.... credo che hanno litigato perché lui ha pensato che ce li ha mandati questo». Parole alle quali i carabinieri del Ros hanno cercato riscontro. Invano. Nonostante una serie di verifiche sui residenti di quel palazzo (ne pubblicano tutta la lista) nessuno di loro risulta avere mai avuto rapporti di alcun tipo con l’ex sindaco. Ma le indagini su questo episodio sarebbero ancora in corso. L’ex primo cittadino, però, smentisce. «Si tratta di una millanteria totalmente infondata. Non ho portato mai soldi all’estero, tantomeno in Argentina. Io sono l’unico sindaco di Roma che al termine del suo mandato è più povero di quando ha cominciato, perché ho dovuto vendere una casa e aprire un mutuo per pagare i debiti della campagna elettorale». Non nega di essere stato in Argentina (paese in cui ri- sulta tra l’altro essere membro onorario della Camera di commercio). Ma solo una volta: «Ci sono andato per pochi giorni con la mia famiglia e un folto gruppo di amici a Capodanno 2011-2012 per andare a vedere i ghiacciai della Patagonia. Ci sono amici che possono confermare». L’ex sindaco parla anche del furto. «È avvenuto ad ottobre 2013 e basta aprire Google per constatare che è stato ampiamente pubblicizzato». Lo hanno riportato tutti i giornali, certo. Eppure, stando agli accertamenti del Ros, «non ci sono riscontri sulle banche dati, in quanto non risultano essere state sporte denunce né da Giovanni Alemanno, né dalla moglie convivente, Isabella Rauti». © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LUNEDÌ 8 DICEMBRE 2014 . 7 PER SAPERNE DI PIÙ http://roma.repubblica.it www.repubblica.it Ecco le prove delle tangenti “In due anni 44 bonifici per pagare 226mila euro” IL RETROSCENA FABIO TONACCI NELLA BUFERA Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma. È indagato per associazione a delinquere di stampo mafioso ROMA.Quarantaquattro bonifici bancari in due anni transitati dalle cooperative di Salvatore Buzzi sui conti correnti dell’ex moglie e del figlio di Luca Odevaine. Che poi li giravano dopo pochi giorni a lui, l’uomo che giocava su tre tavoli. Tutti i passaggi di denaro sono stati fatti attraverso la Banca Popolare di Verona, semplicemente taroccando le causali dei versamenti. A volte erano fatture inesistenti, altre volte rate di mutuo per appartamenti mai affittati. Un totale di 226mila euro in entrata, e 248mila in uscita. Eccola qui la prova di come Mafia Capitale pagava tangenti. Nero su bianco, in 44 distinte riferite ad altrettante operazioni fatte tra il 12 gennaio 2012 e il 10 febbraio 2014, rintracciate dagli investigatori del Ros che a Odevaine hanno dedicato ben quattro informative e più di duemila pagine. Le merita tutte, il personaggio. Perché l’ex direttore di gabinetto di Veltroni e del prefetto Morcone, nonché ex capo della polizia provinciale di Roma e gancio di Carminati e Buzzi al Tavolo per l’accoglienza dei rifugiati al Viminale, è un uomo che conta parecchio, in questa storia. Non per niente lo chiamano “il Padrone”. È l’unico che riesce a muoversi e a muovere pedine sui tre tavoli che interessano ai sodali per i loro affari: Campidoglio, Provincia di Roma, ministero dell’Interno. Un uomo da coccolare, appunto, con uno stipendio parallelo. Pescando a caso tra i bonifici, l’8 maggio 2012 la Eriches 29 di Buzzi gira sul conto di Lozanda Hernandez Nitza del Valle, la ex di Odevaine (si erano sposati nel 2011) 5.000 euro per “canoni locazione mese maggio”. Sei I pagamenti delle coop di Buzzi all’ex moglie e al figlio di Odevaine, il destinatario finale LA REPLICA “COSSUTTA, FANGO SU MIO PADRE” Maura Cossutta si dice “arrabbiata e disgustata” dopo la pubblicazione del nome del padre che compare nelle carte dell’inchiesta. “Non si può gettare fango a piene mani nel mucchio. La notizia che abbia preso denari non solo è manifestamente infondata e falsa, senza alcun riferimento fattuale, ma ingiustificata” giorni dopo la donna li ritrasferisce a Odevaine in due tranche, da 2.000 e 3.000 come “restituzione prestito”. Ma verificando all’Agenzia delle entrate, i carabinieri scoprono qualcos’altro. «Non esiste alcun contratto di locazione — si legge nell’informativa del 30 luglio scorso — tra gli immobili a disposizione di Odevaine o dei suoi congiunti e le società riconducibili a Buzzi». Le transazioni si ripetono 44 volte, cambiano solo i beneficiari (a volte è lei, altre volte è il figlio Thomas Edinzon Enriques Lozada) e le causali: “affitto settembre”, “saldo fattura”, “trasferimento fondi”, “affitto gennaio”, “anticipo fattura”, “restituzione prestito”. Non cambia il destinatario finale, Luca Odevaine. Ma in calce a questa sfilza di cifre, i carabinieri scrivono una frase che assomiglia tanto a uno scacco matto: «Tali bonifici non sono giustificati dall’esistenza di rapporti lavorativi tra i titolari dei conti e le cooperative». Solo Thomas, il figlio acquisito di Odevaine, tra il 2010 e il 2012 ha avuto rapporti con le coop Eriches 29, Abitus e Percorso, «ma gli importi erano molto inferiori rispetto a quelli successivi». Usano pure una parola in codice, per il sollecito. «Puoi verificarmi gli affitti — chiede a Buzzi con un sms il 15 febbraio 2013 — Sono un po’ in difficoltà. Grazie, un abbraccio». “Affitti”, stando alle indagini era il segnale che l’appetito era torna- to. E infatti dopo quel messaggino la segreteria di Buzzi si attivò per saldare il ”canone di maggio” di una casa — stando alle indagini — inesistente. A Odevaine viene anche offerto di entrare, attraverso la Fondazione IntegrAzione di cui è presidente, nella gestione del centro di Anguillara. «Si stanno mettendo un po’ sporche le cose?», gli chiede preoccupata Rossana Calistri, funzionario del Campidoglio. «So’ loro che so’ storti…». Del resto di conoscenze da spendere, Odevaine, ne ha pa- I CONTI IN CELLA Qui sopra, Luca Odevaine. In alto, la ricostruzione dei bonifici sul suo conto fatta dal Ros recchie. E nei posti giusti. È stato mandato al Tavolo del Viminale dall’allora presidente della Provincia Luca Zingaretti, e lì è rimasto fino al giorno dell’arresto, peraltro senza averne tito- lo, perché il suo mandato con l’Unione province italiane era scaduto. «Sono in grado di orientare i flussi», si vanta, per accreditarsi quale soggetto da “ungere” con mazzette per riempire di rifugiati gli 8 centri romani che interessavano a Buzzi. Un credito che anche gli investigatori gli riconoscono: «Aveva influenza sui vertici del Dipartimento immigrazione del ministero dell’Interno». Il riferimento è al prefetto Mario Morcone, di cui è stato capo di gabinetto quando fece il commissario di Roma dopo le dimissioni di Veltroni. Nel giugno scorso Morcone è stato nominato dal governo proprio capo di quel Dipartimento. E Odevaine commenta così: «Hanno fatto questa scelta perché io sono andato a parlare con questo qua della segreteria del Pd… M’ha chiamato pure per ringraziarmi (si riferisce a Morcone, ndr), perché si vede che gli hanno detto che c’è stato un mio intervento…». Millanterie, o forse qualcosa di più, dell’uomo che giocava su tre tavoli. © RIPRODUZIONE RISERVATA MAFIA CAPITALE la Repubblica LUNEDÌ 8 DICEMBRE 2014 . 9 PER SAPERNE DI PIÙ http://roma.repubblica.it www.repubblica.it Le carte “La Cupola tentò di truccare le elezioni” Febbraio 2013: Luca Gramazio, all’epoca candidato in Regione per il Pdl, parla in una intercettazione di “fare inserimenti” I carabinieri allertati ritirano le schede in esubero e avvertono la procura. Spuntano nuovi indagati dell’ex giunta Alemanno MAURO FAVALE GIOVANNA VITALE ATTIVO Luca Gramazio: al telefono dice di essere disposto a manipolare il risultato del voto ROMA.Sedici secondi di intercettazione. Poche frasi carpite grazie a una cimice che gettano un’ombra sulle elezioni del febbraio 2013 e mettono in moto la corsa di carabinieri, prefettura e procura per evitare i brogli. Già, perché dalle carte dell’inchiesta su Mafia capitale emerge anche l’ipotesi che qualcuno volesse turbare l’esito del voto. Un reato per il quale viene iscritto nel registro degli indagati Luca Gramazio, ex capogruppo di Forza Italia in consiglio regionale (si è dimesso dal suo ruolo pochi giorni fa) e, all’epoca dei fatti, proprio candidato alla Regione Lazio. È il 2 febbraio 2013, mancano poco più di 20 giorni all’apertura delle urne per rinnovare l’assemblea della Pisana travolta dallo scandalo Fiorito. Gramazio chiama al telefono Si- mone Foglio (eletto qualche mese dopo col Pdl nell’VIII Municipio). Ma non è quello che Gramazio dice al cellulare a interessare i carabinieri del Ros che lo ascoltano. È la microspia ambientale a cogliere quei pochi secondi di conversazione, quelle frasi rivolte a una terza Due giorni prima dell’apertura delle urne parte la nota urgente del pm Ielo alle prefetture: c’è il sospetto di fogli “precompilati” persona presente nella stanza: «Finite le operazioni di voto — dice Gramazio — le urne vanno in alcune sedi dove vengono (incomprensibile, annotano i militari), contate, tutto. Non si tratta della classica operazione di controllo del- le schede. Per quello c’abbiamo ancora il tempo per fa’ degli inserimenti». Nel frattempo, Foglio risponde al telefono ma Gramazio continua a parlare col suo interlocutore di persona: «Me ce provo. Se stiamo in tempo la metto». Una conversazione presa molto sul serio dal Ros e dalla Procura di Roma. Sono giorni di febbrile attività investigativa. Arrivano altri riscontri, gli inquirenti capiscono che la possibilità di truccare l’esito del voto è concreta e si convincono che l’unico modo per evitarla è assicurarsi la massima sorveglianza sulle schede che solitamente vengono stampate in quantità maggiore rispetto al numero di elettori. Per questo i magistrati scrivono alla prefettura della capitale per avere tutti i dettagli delle tipografie incaricate dalla Zecca di stampare le schede e i loro “itinerari” fino alle sezioni. Due giorni prima dell’apertura delle urne parte la nota urgente del pm Paolo Ielo alle prefetture che segnala l’ipotesi di sostituzione delle schede con altre preconfezionate. I commissariati sono allertati, così come le stazioni dell’Arma e della guardia di Finanza in tutto il Lazio. Viene così deciso di ritirate le schede in esubero per evitare ulteriori rischi sul voto che riguardava non solo le Regionali ma anche le Politiche. Intanto, sul fronte dell’inchiesta su mafia capitale, a metà settimana sono attese le prime udienze del riesame per i 37 arrestati. Il registro degli indagati, invece, si arricchisce di nuovi nomi. Sono quelli di Marco Visconti, ex assessore all’Ambiente della giunta Alemanno, Alessandro Cochi, delegato allo Sport dell’ex sindaco, e Paolo Pollak, consigliere municipale di Fi. Il primo è accusato di associazione mafiosa, abuso d’ufficio e violazione del segreto d’ufficio, gli altri due di turbativa d’asta. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’INCONTRO Luca Gramazio, ex capogruppo di Forza Italia nel Consiglio regionale del Lazio, fotografato dai carabinieri con Salvatore Buzzi, il capo delle coop rosse al centro dell’inchiesta sulla cupola romana. Gramazio, figlio del senatore Domenico, si è dimesso “Sono io il boss dei boss” Così manovrava Diotallevi dalla maxi-tangente al sindaco di Fiumicino Ernesto Diotallevi, 70 anni IL RACCONTO CARLO BONINI ROMA. Nel Mondo di Mezzo di cui è il riconosciuto Signore, Massimo Carminati ha la sua ombra. Un uomo classe ’44, un “Kaiser Soze” di 70 anni già anello di congiunzione tra la Banda della Magliana e Cosa Nostra, di cui è plenipotenziario a Roma. Immune all’usura del tempo e alla giustizia penale da sempre, che di sé dice «so’ il boss dei boss», e al cui cospetto la città si genuflette o trema: Ernesto Diotallevi. Ed è catturando le sue confidenze, i suoi ordini, che le cimici del Ros dei carabinieri tirano un altro significativo filo di questa storia. Che porta di nuovo allo studio legale incaricato di sigillare i silenzi di Riccardo Mancini e i segreti della maxi-tangente da 650mila euro destinata a un misterioso onorevole, alle elezioni per il sindaco di Fiumicino, che, come Roma, doveva diventare Cosa Loro, a una centrale dell’intossicazione e dossieraggio. Con ordine, dunque. L’AVVOCATO DI MANCINI Diotallevi ha battezzato un avvocato che è, insieme, punto di riferimento di Massimo Carminati, Michele Senese (plenipotenziario della Camorra a Roma), Riccardo Mancini (protesi e tasca di Alemanno), Giovanni “Giovannone” De Carlo, astro nascente su cui Diotallevi scommette per la sua successione, e Fabrizio Testa, “facilitatore” di Carminati con la pubblica amministrazione. E quell’avvocato è proprio quel Pierpaolo Dell’Anno il cui studio di via Nicotera diventa la cabina di regia di silenzi e dissimulazione quando Mancini viene arrestato e il segreto della maxi-tangente Breda sembra dover crollare. Dell’Anno è a tal punto in balia di Diotallevi che, conversando con De Carlo, la definizione è lapidaria: «L’abbiamo inventato noi. Perché non contava un cazzo». Ora, al contrario, quel “ragazzo” figlio dell’ex consigliere di Cassazione Paolino Dell’Anno (“devoto” di Claudio Vitalone e già nel collegio del giudice ammazzasentenze Corrado Carnevale) conta. E dunque, deve fare quello che gli viene ordinato. Da Diotallevi, da Carminati, da Senese, da De Carlo. «Sta sotto la cappella», soprattutto «di Michele» (Senese ndr.), chiosa Diotallevi conversando con i figli Leonardo e Mario, che - come documentano alcune foto contenute in un anonimo agli atti dell’inchiesta - crescono alla scuola del padre. Annodando relazioni con un tipo come Stefano Ricucci o la trentaduenne deputata e avvocato di Forza Italia Annagrazia Calabria, già coordinatrice nel Lazio di “Azzurro donna”. Ebbene, Diotallevi, come del resto anche Giovanni De Carlo sembrano molto interessati a quali mosse siano necessarie con l’arresto di Mancini. Al punto che il vecchio boss scommette: «Vedrai che ora Giovanni (De Carlo ndr.) gli dirà di mollarlo», di abbandonarne la difesa e «de manna’ affanculo anche Massimo (Carminati ndr.)». Perché? Le intercettazioni non offrono una risposta. Ma in qualche modo si conferma che nella partita della corruzione politica entrino anche Diotallevi, De Carlo, Senese. Le “altre Mafie”. Che nel domino dei tre Mondi davvero tutto si mischi. CANDIDATO DI MALAVITA Non fosse altro perché le opportunità sono molte. Come la conquista del comune di Fiumicino, “Il Porto di Roma”, 81mila anime, dove, nella primavera 2013, si sfidano il candidato del Pd Esterino Montino (già vice di Marrazzo in Regione e quindi capogruppo negli anni della Polverini e di Fiorito) e quello Pdl Mauro Gonnelli, l’uomo su cui scommette Dio- tallevi: «A noi ce interessa che questo qua diventa sindaco. Se ce diventa, sai come piottamo (corriamo ndr.)? Fallo diventa’ sindaco e compramo quella proprietà là. E sai che ce famo? Un grattacielo. C’è da arricchisse». Per agganciare e “battezzare” Gonnelli, Ernesto Diotallevi muove un maresciallo capo della Finanza a Fiumicino, Giuseppe Volpe, un tipo che dice essere «a disposizione». E per ammaestrarlo si affida al figlio Mario, cui spiega il contegno da tenere con “il candidato”: «Nun esse’ acido. Anche perché quello (Gonnelli ndr.) è un mitomane, impiastrato de’ malavita». Mario concorda: «E’ talmente impiastrato de’ malavita che te sei la divinità per questo». La campagna elettorale di Gonnelli ha in cima all’agenda la «lotta alla criminalità» e «la sicurezza dei cittadini» con la promessa di «installare telecamere per la sorveglianza nei 13 centri urbani che formano il Comune di Fiumicino». E sembra destinata a un trionfo. Anche perché, dopo il primo turno, il vantaggio su Esterino Montino è di 3.600 voti, l’11%. Poi, al ballottaggio, accade evidentemente qualcosa, che ha qualcosa di matematicamente curioso. Gonnelli perde 2.500 voti. Montino ne guadagna 2.200. Montino è sindaco. LA P3, I “CAMILLIANI” E I DOSSIER Per la verità, non è il solo Gonnelli a essere rapito dal fascino di Diotallevi. Il vecchio boss, conversando con il figlio, sostiene di avere in mano tale “Paolo”, «un colonnello della Finanza» in carico ai Servizi, «in procinto di passare alla Sicurezza Vaticana». In realtà - come accerta il Ros - si tratta di Paolo Oliverio. Un tipo che di mestiere fa il commercialista, traffica con l’ordine dei Camilliani, e che ha come clienti, tra gli altri, uomini della P3 e che verrà arrestato dalla Finanza nel gennaio scorso. Mettendogli le manette, il Gico scoprirà che custodisce un archivio capace di «esercitare un forte condizionamento della pubblica amministrazione attraverso ricatti, dossieraggio e finanziamento illecito della politica, grazie alla partecipazione nelle attività criminali di esponenti dell’Ndrangheta, della Banda della Magliana, di logge coperte e autorevoli prelati». Ancora una volta, il Mondo di Mezzo, appunto. © RIPRODUZIONE RISERVATA 10 MAFIA CAPITALE . la Repubblica LUNEDÌ 8 DICEMBRE 2014 Il racconto. In quattro anni un’escalation di affarismo ha sfigurato la politica. Duemila posti distribuiti per clientelismo in Atac e Ama. Tangenti a Eur Spa. Varianti alla Metro C per favorire i costruttori E anche le camere mortuarie diventano occasione di business Da Batman alle parentopoli la carica dei 101 indagati che hanno ridotto Roma a capitale della corruzione Il s ma co di Ro ac 3 SEBASTIANO MESSINA ONO centouno, come i dalmata della cari- S ca disneyana. Centouno personaggi della Roma che conta, politici in testa ma anche funzionari comunali, rettori, comandanti dei vigili, geometri, magistrati e manager delle municipalizzate che negli ultimi quattro anni sono finiti sotto inchiesta per aver usato il loro potere per far soldi, per far arricchire gli amici o per sistemare figli e nipoti. Centouno storie che ancora prima della de- flagrante scoperta di «Mafia Capitale» ci avevano segnalato l’assalto ai forzieri pubblici. Centouno tasselli che aggiunti a quelli degli affari sporchi del clan Carminati completano il mosaico del sacco di Roma. L’immagine che per prima torna in mente, certo, è quella di «er Batman», quel Franco Fiorito il cui arresto — 2 ottobre 2012 — toglie il coperchio alla Rimborsopoli della Regione Lazio, forse il più spettacolare degli scandali non tanto e non solo per il suo picaresco protagonista ma per le feste in costume a Cine- città o allo Stadio dei Marmi («C’erano delle gnocche travestite con gonnelline bianche» racconterà Fiorito) dove i consiglieri del Pdl spendevano i soldi dei contribuenti in aragoste e champagne. Crolla tutto, il Consiglio regionale viene sciolto, i toga-party sospesi e Fiorito — accusato di essersi appropriato di 1,4 milioni di euro — viene condannato a tre anni e 4 mesi. Ma la caccia al tesoro non è finita, come dimostra il caso di Marco Di Stefano, l’ex assessore della giunta Marrazzo, oggi deputato Pd, sotto inchiesta per una tan- RISSA IN CAMPIDOGLIO Venerdì scorso tensione durante il consiglio comunale di Roma per una protesta in aula Giulio Cesare da parte di leghisti e Movimento 5 Stelle gente da 1,8 milioni che secondo la Procura avrebbe ricevuto dai costruttori in cambio di un generosissimo contratto d’affitto per gli uffici dell’assessorato: lui non organizzava feste, ma a quanto pare con i soldi della Regione s’è comprato una laurea in Scienze Giuridiche. Ben più sconcertante — anche se meno spettacolare — era stato lo scandalo di due anni prima, quello che ci aveva mostrato di cosa erano capaci i politici romani: la parentopoli delle municipalizzate. Due ondate di assun- la Repubblica LUNEDÌ 8 DICEMBRE 2014 . 11 PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.goffredobettini.it LE TAPPE FIORITO Nel 2012 è il caso di Franco Fiorito, detto “er Batman” a scoperchiare lo scandalo di Rimborsopoli zioni pilotate all’Ama (raccolta rifiuti) e all’Atac (trasporti urbani) da far sbiancare i vecchi maestri del clientelismo: 1357 posti di operatori ecologici, autisti di compattatori, seppellitori, dirigenti e semplici impiegati all’Ama e altri 854 (per chiamata diretta) nell’azienda di bus e tram, un’occupazione fisica delle municipalizzate da parte della giunta Alemanno, una generosissima lotteria a numero chiuso che distribuiva cariche e stipendi a figli, generi, nipoti, amanti e segretarie della destra romana (compresa una cubista assunta all’Atac per meriti ancora oggi misteriosi). Ma non bastavano le assunzioni. All’Atac gli uomini nominati da Alemanno si erano messi a stampare anche biglietti falsi, ovvero autentici ma con numeri di serie non registrati e dunque non fatturati, rivenduti ai distributori per accumulare fondi neri a San Marino da distribuire ai politici, agli amici e probabilmente a loro stessi: sono indagati in sei, e ancora non si sa quanto fosse profondo quel pozzo. Non si sa nemmeno — al momento — a chi sia finita la maxi-mazzetta di 800 mila euro per la quale il 25 marzo 2013 finisce in manette l’ex amministratore delegato di Eur Spa Riccardo Mancini (altro sodale di Alemanno, anche lui arrestato con Carminati e soci). Di certo c’è che la Breda Menarini l’ha pagata per ottenere l’appalto per 45 filobus da impiegare sulla nuova linea di Tor Pagnotta, e che proprio l’amministratore delegato della società, dal carcere, ha chiamato in causa Mancini. Ma l’amico dell’ex sindaco, che al- L’INTERVISTA/ GOFFREDO BETTINI “Mai fatto pressioni per favorire Buzzi ma nel Pd un degrado impressionante” PAOLO BOCCACCI ROMA. Onorevole Bettini, discutendo di come aggiudicarsi l’appalto di un centro per immigrati Salvatore Buzzi dice “a noi ci manda Goffredo”. E quel “Goffredo” sarebbe lei. «Si esaltano notizie di carte che non hanno per la Procura rilievo nell’indagine. È il modo per salvare i corrotti e sporcare chi ha fatto della correttezza una ragione di vita. Querelo chi dovesse affermare che ho compiuto pressioni o ingerenze per favorire la cooperativa 29 Giugno. Non so neanche cosa sia quell’appalto». Ma lei Buzzi lo conosceva o no? «Questo è il dramma, il paradosso: la 29 Giugno è stata fin dalla nascita un simbolo della sinistra. Tutti avevano rapporti con loro. Come si poteva immaginare quello che c’era dietro? È ridicolo dire: mai conosciuti! Il suo era un mondo con riferimenti lontani da me, come si evince da alcune intercettazioni. Ma io non ho mai pensato, e ancora oggi sono allibito, che lì dentro ci fosse corruzione. Ho già segnalato il rischio che si arrivi alla impraticabilità di campo per ogni tipo di impegno pubblico, perché si arriva perfino a maledire un incontro, una chiacchierata, un consiglio. Non si sa più con chi si parla. Ma allora muore la democrazia, la politica». Bettini, lei è stato il dominus del Pd romano per vent’anni. Recentemente ha parlato di un partito balcanizzato. Chi sono i “capibastone” a Roma? «Ho parlato in termini politici». E in termini politici chi sono? «È un sistema di vita complessivo del partito. Riterrei sgradevole utilizzare questo momento, di grande dolore e sconcerto, per lucrare qualche misero vantaggio politico. Posso dire che in tempi non sospetti, era il 2009, scrissi parole profetiche nel mio libro Oltre i partiti: “Il campanello d’allarme va suonato, non ci vogliono “ SPORCARE Ho fatto della correttezza una ragione di vita, non mi faccio sporcare da accuse senza fondamento ” i giudici per comprendere che la corruzione è tornata e nessuno può pensare che si fermi sulla soglia del centrosinistra”». Alle europee lei è stato molto combattuto da alcuni capicorrente. Chi erano? Gasbarra? Marroni? O chi altro? «Che senso ha soffermarsi sui nomi? Con Gasbarra per anni ho avuto rapporti di amicizia. La verità è che, dopo la vittoria di Alemanno, molti disse- ro che era fallito il “modello Roma” anche per sbarazzarsi di una classe dirigente autorevole e capace, ma ritenuta soffocante, tant’è che io subito dopo lasciai ogni incarico politicoistituzionale e me ne andai all’estero a occuparmi di cultura e a scrivere libri». È vero che qualsiasi persona può andare in un circolo Pd e comprare cento, mille tessere, che poi regala a chi vuole in cambio di un voto? «Il Pd, non solo a Roma, ha raggiunto livelli preoccupanti di degrado della vita interna. Il tesseramento spesso si è fatto procurandosi tessere a 10 euro da distribuire. Anche a persone del tutto estranee. Le correnti non hanno quasi mai un significato politico ideale, ma sono gruppi spuri che mirano al potere. Da anni invoco un partito di persone che decidono in libertà contro la logica “proporzionale” delle correnti». Di Stefano, il deputato del Pd indagato per una tangente, in uno sfogo arriva a dire che le primarie del Pd sono state truccate e minaccia rivelazioni clamorose. «Non so se il termine “truccate” sia giusto, so che quando le primarie non sono per ruoli di spicco, come un sindaco o un premier, che riguardano centinaia di migliaia di elettori, finiscono per esaltare il condizionamento interno delle correnti. Detto questo, il Pd rimane uno straordinario campo di energie positive e di persone perbene». © RIPRODUZIONE RISERVATA CON VELTRONI Goffredo Bettini è stato braccio destro di Veltroni al Campidoglio e senatore del Pd. È eurodeputato dem l’Eur Spa aveva nominato direttore commerciale il camerata Carlo Pucci (ex di “Terza Posizione”), anche in cella tiene la bocca chiusa. Hanno fatto invece un salto sulla sedia i 21 manager, funzionari pubblici e rappresentanti dei costruttori che otto settimane fa si sono ritrovati sotto indagine dalla Corte dei Conti per l’appalto della Metro C. Per il danno causato alle casse pubbliche dalle 45 varianti accordate ai costruttori per il primo tratto della linea C, adesso si sono visti chiedere dalla magistratura contabile l’astronomico risarcimento di 364 milioni di euro. Altri due dirigenti di «Roma Metropolitane» sono contemporaneamente indagati per abuso d’ufficio per aver riconosciuto ai costruttori un indennizzo di 230 milioni di euro sul quale i magistrati vogliono hanno, a quanto pare, molti sospetti. Ma non ci sono solo politici e manager, nel racconto del sacco di Roma. Anche i vigili urbani hanno voluto dare il loro contributo. L’ex comandante Angelo Giuliani è stato arrestato per corruzione, accusato di aver fatto assegnare l’appalto per la pulizia delle strade dopo gli incidenti a una società amica, la «Sicurezza e ambiente», in cambio di 30 mila euro versati come sponsorizzazioni per il circolo della polizia municipale. Altri due vigili sono stati arrestati per aver cancellato migliaia di multe, ovviamente senza averne il potere. E altri tre sono finiti in manette perché avevano tentato di estorcere 60 mila euro ai commercianti del centro, tempestandoli di multe. Ormai nella Capitale tutto si può comprare e tutto si può vendere. Comprese le sentenze. Può confermarlo il giudice del Tar Franco Angelo Maria De Bernardi che l’anno scorso è stato arrestato insieme ad altri sei con l’accusa di aver venduto le sue sentenze ai «clienti» che potevano permetterselo, una lista nella quale figuravano anche due ammiragli della Marina Militare. Non si salva neanche l’università, teatro dieci anni fa della compravendita degli esami: in tempi di crisi, anche i professori pensano ai figli. E al rettore Luigi Frati, che è appena andato in pensione, non bastava aver dato una cattedra alla moglie e alla figlia. Adesso è sotto processo per abuso d’ufficio, accusato di essersi inventato una «Unità programmatica di cardiochirurgia» solo per farne diventare direttore il figlio prediletto, Giacomo. A Roma non ci si ferma davanti a niente. Neanche davanti alla morte, che per qualcuno è diventata un lucrosissimo business: ne sanno probabilmente qualcosa quei 29 politici, dirigenti delle Asl e naturalmente impresari di pompe funebri sui quali la Procura sta indagando per associazione a delinquere di stampo mafioso e voto di scambio politicomafioso dopo aver visto quello che succede negli ospedali romani. Tra ai 29 sotto inchiesta ci sono l’ex senatore di An Domenico Gramazio e suo figlio Luca, fino a tre giorni fa capogruppo di Forza Italia alla Pisana. Era lui che annunciava euforico, nella villa di Carminati: «Stanno ad arrivà i sordi, alla Regione!». Ora si è dimesso: per lui non ci sarà un altro giro. © RIPRODUZIONE RISERVATA AMA E ATAC Nel 2010 il caso delle assunzioni alle municipalizzate della giunta Alemanno: 1357 posti all’Ama e 854 all’Atac EUR SPA Si indaga su chi abbia intascato la tangente da 800mila euro costata il carcere all’ad di Eur Spa Riccardo Mancini METROPOLITANA 21 manager sono indagati per l’appalto della Metro C. Devono versare un risarcimento di 364 milioni VIGILI URBANI L’ex comandante dei vigili romani, Angelo Giuliani, è accusato di avere intascato una tangente da 30 mila euro 12 LE SCELTE DEI PARTITI la Repubblica LUNEDÌ 8 DICEMBRE 2014 . Movimento 5Stelle M5S, la sfida di Pizzarotti “Autocritica e niente espulsioni Grillo è già un passo indietro” Il leader: io più vivo che mai SENZA PAURA Federico Pizzarotti all’assemblea di Parma. “Dobbiamo dirci quel che pensiamo - ha detto tra l’altro - senza paura di essere mandati via” Quattrocento a Parma, nasce la corrente dei dissidenti La deputata Sarti: discutiamo se togliere Beppe dal simbolo “ MENO SCONTRINI Riscopriamo i valori delle origini Meno scontrini, più contenuti. Il passo indietro di Grillo? È nei fatti FEDERICO PIZZAROTTI VIVO PIÙ CHE MAI Sono vivo più che mai. Nonostante questo tentativo di seppellimento mio, di Casaleggio e del Movimento BEPPE GRILLO ” IL SIMBOLO PROPRIETÀ DI GRILLO Il logo del M5s appartiene a Beppe Grillo, ricorda la deputato Giulia Sarti: “Non deve esserne tabù discuterne la proprietà”. D’accordo Pizzarotti. DAL NOSTRO INVIATO ANNALISA CUZZOCREA PARMA. Alla fine di una giornata interminabile, fatta di parole, lacrime, applausi, abbracci, telecamere, palchetti improvvisati e streaming che si inceppano, Federico Pizzarotti legge sul suo Android il post di Beppe Grillo, e ride. La risposta del fondatore dei 5 stelle a coloro che hanno osato sfidare la sua leadership dicendo: «Il Movimento siamo noi» appare debole e sfocata rispetto alla forza di quei numeri e di quelle facce. «Sono vivo e più vivo che mai», dice Grillo, annunciando che il 13 dicembre comincerà la raccolta firme per il referendum contro l’euro. «Non ho fatto un passo indietro, ma avanti», è il messaggio. Peccato che – all’hotel Villa Ducale di Parma – sembrava andasse avanti senza di lui. Sono arrivati fin dal mattino, i quattrocento, di cui 160 eletti e molti attivisti della prima ora («Ad altri 100 abbiamo dovuto dir di no»). C’erano l’europarlamentare Marco Affronte, i deputati Rizzetto, Rostellato, Bechis, Iannuzzi, Baldassarre,Turco, Sarti, Mucci, Montevecchi, Barbanti. Il sindaco di Pomezia Fabio Fucci (quello di Livorno, Filippo Nogarin, alla fine è rimasto a casa, ma ha mandato un messaggio di “vicinanza”). Poi i senatori espulsi, Romani, Mussini, Bencini, Bignami. Perché «dietro le etichette, ci sono le persone», dice il sindaco. Non è arrivato l’ultimo messo fuori, Massimo Artini, ma c’è e resta tutto il tempo l’ex consigliere emiliano Andrea Defranceschi, cacciato anche lui («Avrei voluto che la sua esperienza fosse usata in campagna elettorale – si rammarica Pizzarotti – tutti abbiamo avuto pressioni per non attestare vicinanza a questo o a quello, me ne sono vergognato, non ho più intenzione di farlo»). Pretende libertà, il sindaco di Parma. Mostra un filmato della serie americana Newsroom, in cui l’anchorman Will McAvoy ammette che gli Stati Uniti non sono il Paese migliore del mondo: «Non eravamo così paurosi, per risolvere un problema bisogna riconoscere che ce n’è uno», sono le parole di Jeff Daniels sullo schermo. «Ci dobbiamo dire quali sono i nostri problemi apertamente – dice il sindaco in sala - possiamo dirci quel che pensiamo senza la paura di essere mandati via?». Prende fiato: «Io non vado da nessuna parte, io sono del Mo- I PROTAGONISTI GIULIA SARTI “Non deve essere tabù ridiscutere la proprietà del simbolo” dice la deputata ANDREA DEFRANCESCHI Ex consigliere emiliano, espulso: “Ripartire da Parma contro l’estinzione” FABIO FUCCI Il sindaco 5 stelle di Pomezia dice “basta a espulsioni e scie chimiche” WALTER RIZZETTO “Oggi non c’è alcuna conta. Questa non è una Leopolda, né una scissione” dice il deputato vimento 5 Stelle e vorrei che il Movimento riconoscesse il lavoro che faccio». Standing ovation, e si riparte da lì. Dalla necessità di non avere paura. «Del giudizio degli attivisti, dei parlamentari, delle filastrocche». «Quella della settimana scorsa sul blog non era di buon gusto, non ha insegnato niente, è questo che dobbiamo superare». Racconta di una telefonata con Luigi Di Maio, il vicepresidente della Camera ed esponente di punta del direttorio: «Gli ho detto che dobbiamo parlarci, che serve un incontro, una grande assemblea con 500-600 persone». Un congresso? «Chiamatelo come volete». Come per incanto, voci spesso timide in Parlamento escono fuori con tutta la forza e l’emozione dei giorni importanti. La deputata imolese Mara Mucci piange dicendo che autocritica è una parola bellissima, e che «se chi insulta non si rende conto che dietro la tastiera ci sono persone perdiamo umanità». Giulia Sarti ragiona sulle espulsioni: «Il problema non è che è stata saltata l’assemblea, Beppe Grillo ha la proprietà del simbolo, può cacciare chi vuole. Forse è di questo che dovremmo discutere. Non deve essere un tabù». Pizzarotti propone che si riveda la decisione sulle espulsioni, ma «devono chiederlo i parlamentari, hanno i numeri per farlo. Senza Grillo non saremmo qui, ma se non raccogliessimo le firme, se non andassimo nei consigli, IL CASO IL CAPO DELLA LEGA VA A MOSCA: “CAMBIEREI PUTIN CON RENZI” “Fascista”, “Cappuccetto Rosso”. Lite Boschi-Salvini ROMA. «Fascista». «Cappuccetto rosso». Maria Elena Boschi contro Matteo Salvini. Il botta e risposta a distanza, in tv, parte dal ministro delle Riforme, chiamata a commentare il discusso servizio fotografico del segretario leghista su Oggi (quello del nudo con cravatta verde) su Skytg24. «Non so — afferma rispondendo a una domanda di Maria Latella — se l’idea di Salvini di fare quella copertina abbia funzionato. Ma non mi preoccupa la copertina ma quando incontra la Le Pen (Marine, ndr), leader di un partito che tecnicamente ha una deriva fascista. Lì si vede come la pensa e mi preoccupa perché a me hanno insegnato ad aver paura del fascismo». La replica di Salvini arriva nel pomeriggio, durante la trasmissione “In mezz’ora” su Rai3, quando la conduttrice Lucia Annunziata gli legge quanto dichiarato dal ministro. E Salvini secco: «Io fascista? Io sono sicuramente leghista e milanista....La signora Boschi mi sembra Cappuccetto rosso che ha paura del lupo mannaro. La signora Boschi è quella che dovrebbe fare le riforme in Italia, e già questo è allucinante». Quindi la stoccata, con riferimento alle foto in bikini del ministro SCONTRO Maria Elena Boschi e Matteo Salvini la scorsa estate: «Non do giudizio sulle foto, sui bikini e via dicendo». Per chiudere con un «non esiste l’uomo nero». Boschi e Renzi, sostiene il leader del Carroccio, «hanno tolto milioni di euro ai ciechi e ai disabili e noi abbiamo combattuto questa legge di stabilità: questo è essere fascisti? Il Fascismo è interessante per i libri di scuola, ma a chi ci guarda interessa se deve pagare l’Imu sui terreni agricoli». Poi, per confermare la sua fama “contro”, Salvini vola a Mosca per il ponte di Sant’Ambrogio ad omaggiare il vero uomo nero d’Europa, Vladimir Putin. «Il governo e l’Europa se ne fregano — dichiara in tv — e allora per provare a fare qualcosa a Mosca ci vado io: l’ultimo degli scemi». L’ultima provocazione prima di indossare il colbacco e partire: «Io farei a cambio tra Putin e Renzi domani mattina». © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LUNEDÌ 8 DICEMBRE 2014 . 13 PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.beppegrillo.it Il personaggio Amico dei dissidenti, geloso della sua autonomia, punto di riferimento di chi “cerca soluzioni”. Grillo lo aspettava sulla riva del fiume e invece lui è diventato il suo primo vero rivale LA CAMPAGNA DEL 2012 L’abbraccio di Beppe Grillo all’allora sconosciuto Federico Pizzarotti nella primavera del 2012. Pizzarotti al primo turno ottenne il 17 per cento IL FUOCO AMICO: SEI “CAPITAN PIZZA” L’8 aprile scorso Grillo attacca dal suo blog il sindaco: “Capitan Pizza non è d’accordo con le regole del M5s”. Al Circo Massimo, in settembre, non lo farà parlare dal palco L’ASSEMBLEA A VILLA DUCALE Ieri a Parma con Pizzarotti 160 eletti, tra parlamentari e consiglieri di enti locali, e più di 350 militanti di base. Altri cento sono rimasti fuori per mancanza di posti Meno blog e più realismo ora il sindaco è la sesta stella “Mi sento come Rosa Parks” DAL NOSTRO INVIATO MICHELE SMARGIASSI non esisteremmo. Il Movimento siamo noi e siete voi». È la fine della paura. Ed è contagiosa: «Beppe ha acceso la scintilla, ma se non ci fossimo stati noi il Movimento non esisterebbe», dice Gessica Rostellato. «Oggi è il giorno della rinascita del Movimento, noi siamo il Movimento 5 stelle», quasi urla il solitamente silente Tancredi Tur- > BELPAESE co. Il cuore di tutto, è nelle parole del capogruppo dei 5 stelle a Parma, Marco Bosi: «Nel 2010 non ci chiedevamo come avere consenso, ma come risolvere i problemi. Ci serve la forza di tornare ai contenuti. Non ci sono soluzioni semplici, la politica non è semplice, ma le cose si possono cambiare». © RIPRODUZIONE RISERVATA ALESSANDRA LONGO La gaffe del sottosegretario EBASTIANO Satta era un grande poeta barbaricino di cui si sono celebrati a Nuoro, in questi giorni, i 100 anni dalla morte. Salvatore Satta, che non c‘entra nulla con Sebastiano, era invece un giurista sardo, autore del cult “Il giorno del giudizio” pubblicato postumo. La sarda Francesca Barracciu, sottosegretaria alla Cultura, guest star delle manifestazioni per Sebastiano, ha confuso i due più volte seguendo un testo scritto. Imbarazzo in sala, lei contrita: «Non ho dormito per la gaffe ma è stata una leggerezza del mio staff». Michela Murgia, scrittrice, già in corsa per le Regionali, twitta: «Tutti possono dire una cosa misera ma è solo quando si cerca di incolpare un altro che si diventa miserabili». Così il sottosegretario alla Cultura: «Uno, due volte, cento volte miserabile, è chi utilizza a mani basse le persone in funzione del suo ricco delirio e del suo misero arrivismo». Di fioretto. S © RIPRODUZIONE RISERVATA PARMA.Ieri mattina Federico Pizzarotti si è svegliato sentendosi come Rosa Parks (lui ha detto Parker, ma passi), la donna nera dell’Alabama che nel ‘55 si rifiutò di cedere a un bianco il suo sedile del bus e scatenò la rivolta per i diritti civili negli Usa. Anche lui ha deciso di non alzarsi e di non cedere il posto. «Io nel Movimento 5Stelle ci resto». Chi diceva «oggi la scissione»? Niente affatto. Non ha bisogno che Gennaro, militante venuto da Milano solo per questo, s’aggiri davanti all’albergo con un cartello “Pizzarotti, dentro il movimento uno vale uno, fuori uno vale zero”. Lo sa benissimo da sé. Infatti non ci pensa proprio a fare un altro partito. Lancia la sfida a Grillo per quello che c’è già. Non è più “capitan Pizza”, bersaglio di dileggi e strofette sul blog del Capo, non è più l’arrendevole temporeggiatore che evita sempre di misura la scomunica e ingoia le umiliazioni, come l’esclusione dal palco del Circo Massimo. Ha passato il Rubicone. Il dado è tratto, si apre la prima vera sfida alla leadership nel Movimento del Capo Inevitabile. Ha aspettato il momento giusto. È cresciuto, si è fatto le spalle robuste anche grazie a una spin doctor speciale, sua moglie Cinzia, minuscola e implacabile, che se le chiedi di Federico risponde «noi stiamo facendo...». Bastava guardarlo, sciolto sorridente, sul palco della sua “Pizzopolda” di successo (quattrocento, un giornalista ogni quattro partecipanti), mattatore sempre in scena, per capire che Pizzarotti non è più il trentanovenne dalla faccina pulita e sbalordita che nel 2012 umiliò il Pd Bernazzoli in un’epica rimonta al ballottaggio, dal 17 al 59% in due settimane. Perito tecnico, consulente bancario, computer nerd dall’età di otto anni, attore dilettante, judoka semipro, bricoleur, frutticultore, tutto ma sindaco non se lo immaginava proprio, neppure di una città massacrata dagli scandali. Prima stella della corona di Beppe, primo grillino di governo, ma durò poco. Troppo amico dei dissidenti emiliani, troppo geloso della sua autonomia di sindaco, troppo disposto a governare mediando con il principio di realtà, ad esempio ingollando l’inaugurazione dell’inceneritore che aveva promesso di chiudere. Così Grillo cominciò ad aspettarlo sulla riva del fiume, quel cadavere politico. Ma non è passato. Gli passa invece davanti il suo primo vero rivale, piuttosto vivo. Che gli scatena contro un arsenale simbolico impressionante per potenza di fuoco: se Rosa Parks evoca il razzismo, la poesia di Brecht (quella «prima presero i comunisti, poi gli zingari, poi gli ebrei e non dissi mai nulla, poi presero me e non c’era più nessuno per dire qualcosa») scaglia contro le epurazioni spettri ancora più truci. Pizzarotti dipinge un movimento dominato da un clima di intimidazione e di paura, dove l’etichetta «dissidente» fa di te un reietto di cui «non si dice più il nome», «tanti che prima mi abbracciavano ora mi evitano, questo è insopportabile», dove la libertà di parola è schiacciata dalla paura «che arrivi un Ps sul blog». Pizzarotti ribalta il terreno di gioco di Grillo. Dove il guru tonante capitalizza LE CITAZIONI BERTOLT BRECHT Il sindaco cita Brecht: “Prima presero i comunisti, poi gli zingari, poi gli ebrei e non dissi nulla, poi presero me e non c’era più nessuno per dire qualcosa” ROSA PARKS Pizzarotti cita la donna nera dell’Alabama che nel ‘55 si rifiutò di cedere a un bianco il suo sedile del bus scatenando la rivolta per i diritti civili negli Usa la rabbia e lo sberleffo, sentimenti aggressivi, lui tocca l’altra metà dell’animo del militante, solletica le emozioni positive, «basta lotte interne, basta talebani e dissidenti, il nemico è fuori», non irride ma sorride, non condanna ma include. Osa ribaltare perfino il cuore mitologico della prassi grillina, la democrazia online, il «popolo della Rete» diventa un’orda senza volto di «leoni della tastiera» che demoliscono gli altri dal riparo di un display, «non perdiamo mai di vista che dietro uno schermo c’è un uomo». Corpi e cuori contro like e link, controffensiva audace, ma non temeraria. Perché Pizzarotti sa che i Cinquestelle non nascono dalla multisolitudine dei computer ma dalle salette accaldate dei meetup. «Io c’ero, il 4 ottobre del 2009 al teatro Smeraldo», a Milano, parto del grillismo politico, e quando evoca lo «spirito del 2009» è questo che invoca, il ritorno alla politica fatta «di persona», e «sul territorio». Sa bene a chi sta parlando. Li ha davanti al palco. Parla ad Antonio Russo, consigliere a Imperia, che si sente «un amministratore, in minoranza, non all’opposizione, cerco soluzioni per la mia città». Parla a Saverio di Livorno, reduce entusiasta dal restauro «con mille ore di lavoro volontario dei militanti» di una struttura per l’handicap. Parla a quelli che cominciano a pensare a un Movimento post-Grillo, grazie Beppe, ora andiamo avanti noi. Parla soprattutto a quelli come la siciliana Valeria, che quando ha detto «vado a Parma» si è sentita dire «ah sei una dissidente» e s’è arrabbiata, «io sto nel Movimento dal 2008 e sapete cosa, se domani mi arriva un post sul blog, me ne infischio». Non è una scissione: somiglia invece a una riappropriazione. L’attacco di Pizzarotti arriva con un tempismo perfetto, nel momento in cui il vertice del Movimento è assieme «stanchino» e scomunicante, e le retromarce nell’urna bruciano. Parla ai #figlidellestelle in ansia dietro i loro tweet, dando loro la speranza che le stelle tornino a brillare. Ne aggiunge un’altra, la sesta, la sua. Solo una cosa può rovinare tutto. Che Parma lo tradisca. Le mamme in protesta contro il taglio dei servizi ai disabili, il comitato contro i tagli alle biblioteche riecheggiano le “pentolate” che tre anni fa abbatterono la giunta degli scandali. Governare un Comune, di questi tempi, è dura anche per una stella nascente. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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