Mutilazioni genitali femminili Marica Livio* Definizione del problema Si definiscono oggi Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) un insieme di pratiche tradizionali, antiche e radicate, volte ad alterare permanentemente l’apparato genitale esterno femminile per ragioni culturali o comunque non-terapeutiche. La classificazione dell’OMS distingue quattro tipi, anche se forme intermedie sono possibili: Tipo I – circoncisione femminile: incisione o ablazione del prepuzio clitorideo. Tipo II – escissione: rimozione di prepuzio e clitoride con asportazione parziale o totale delle piccole labbra. Tipo III – infibulazione: escissione con scarificazione delle grandi labbra che vengono fatte aderire e cicatrizzare insieme fino a coprire uretra e introito vaginale, lasciando un piccolo foro posteriore per il deflusso di mestruo ed urina. Tipo IV – non classificato: include varie altre pratiche lesive dell’apparato genitale femminile a mezzo di tagli, raschiature e introduzione di sostanze in vagina con lo scopo di estenderla o restringerla. Diffuse prevalentemente in Africa – dove interessano oltre 25 paesi di un’ampia fascia sub-sahariana – sono presenti anche lungo il Golfo Persico, presso gruppi minoritari in Amazzonia, India, Indonesia, Malesia, nonché, con l’emigrazione, in Australia, Europa e Nord America. Si calcolano intorno ai 120-140 milioni le persone di sesso femminile sottoposte a qualche forma di mutilazione dei genitali, e sono almeno 2 milioni le bambine a rischio ogni anno. In ambiente rurale prevale ancora oggi l’esecuzione tradizionale, senza anestesia o sterilizzazione dei rudimentali strumenti utilizzati. Le ragioni per cui questi costumi si sono tramandati vengono classificate in quattro ordini: psicosessuali, sociologiche, religiose ed igienico-estetiche. Per alcuni popoli si tratta di un abbellimento della donna, e una misura preventiva igienico-sanitaria (Eritrea, Nigeria); altrove fa parte di riti iniziatici di ingresso nella classe delle donne, accompagnato da insegnamenti specifici (Sierra Leone); per altri è prevalentemente una misura per preservare la verginità/castità delle donne (Somalia); per altri ancora un modo per demarcare i sessi (Burkina Faso, Mali), o un dettame religioso (cristiano copto, islamico sunnita). Percentuale di donne operate in SOMALIA DJIBOUTI ETIOPIA/ ERITREA MALI SUDAN (NORD) SIERRA LEONE BURKINA FASO GAMBIA COSTA D’AVORIO KENIA SENEGAL EGITTO GUINEA GUINEA BISSAU NIGERIA MAURITANIA REPUBBLICA AFRICA CENTRALE NIGERIA CIAD BENIN TOGO GHANA TANZANIA UGANDA ZAIRE 100 100 90 90 90 90 70 60 60 60 50 50 50 50 50 25 20 20 20 20 20 20 10 <5 <5 In ambiente urbano si assiste alla diffusione della medicalizzazione ed all’adesione conformista ad un costume ormai ampiamente avulso dal contesto originario di riferimento. Condannate dall’OMS fin dai primi anni ’80, le MGF sono considerate «un problema di salute pubblica e primaria» per la loro diffusione e per le conseguenze psicofisiche che rivestono nell’arco di tutta la vita di chi le ha subite. Età, modalità e tipo di intervento determinano la gravità e durata delle complicanze, più gravi e frequenti nel Tipo III. Tra le conseguenze immediate ricordiamo: dolore acuto, emorragia anche profusa, lesione a organi adiacenti, fratture o slogature (per i tentativi di divincolarsi), shock, ritenzione urinaria acuta, infezioni (setticemia, tetano), morte. Si segnala l’alto rischio di trasmissione di dell’infezione da HIV nelle cerimonie collettive tipiche dell’Africa Occidentale, dove lo stesso strumento non sterile è utilizzato in successione su di un gruppo anche esteso di bambine o ragazze. Le complicazioni a medio-lungo termine comprendono: infezioni pelviche croniche, anemia, formazione di cisti dermoidi e cheloidi, dismenorrea e amenorrea, ematocolpo (che colpisce il 2-3,5% delle donne in Somalia), infezioni ricorrenti o croniche del tratto urinario, ritenzione urinaria. Tra le complicazioni psicosessuali, frequenti dispareunia e lo sviluppo di un neuroma del nervo dorsale del clitoride, e - come conseguenza della difficoltà a consumare il rapporto in caso di infibulazione - falsa vagina e incontinenza anale da ricorso a sesso anale. Infertilità e aborti spontanei sono causati dalle infezioni, mentre travaglio e parto sono complicati da distocia delle parti molli, prolungamento della seconda fase del travaglio, episiotomie multiple che non impediscono sempre lacerazioni perineali con ulteriore rischio di infezione, esepsi, emorragia, fistole, prolasso, fino al ricorso ingiustificato al cesareo in presenza di personale sanitario non addestrato alle problematiche ostetriche legate alle MGF. Aspetti psicologici e sessuali Molto si è detto nell’ultimo decennio sulle mutilazioni genitali femminili, sia a mezzo stampa scientifica che a mezzo mass-media. Tuttavia, i progressi nel campo della ricerca sulle origini e ragioni, e sulle conseguenze psicologiche e psicosessuali hanno fornito solo scarsi dati e ricerche spesso non comparabili, anche a causa delle evidenti difficoltà nel condurre tali indagini. Le implicazioni psicologiche e sessuali delle MGF, poco note, si possono ritenere comunque importanti e assai diverse nel contesto tradizionale e in migrazione, modificandosi anche drasticamente nei due casi i poli di riferimento della costruzione dell’identità personale, psicosessuale e socioculturale. Per quanto attiene la donna mutilata nel suo contesto d’origine, la letteratura menziona principalmente i seguenti aspetti problematici relativamente alle complicanze della vita sessuale: lacerazioni, vaginismo, dispareunia, apareunia, falsa vagina; piacere: orgasmo sì/no; attivazione di nuove zone erogene ecc; desiderio: sì/no, confuso con il piacere nelle “motivazioni”. Come complicanze psicologiche si segnalano: ansia, paura della notte di nozze/del menarca, depressione, paura del marito, frigidità, fino a casi di psicosi e suicidio (per infertilità secondaria, prolasso, incontinenza). Assai interessante anche se poco approfondita, l’area della psicolinguistica delle MGF, a partire dalla storia delle definizioni: dapprima, negli anni ’70, Circoncisione Femminile, poi divenuta Mutilazioni “Sessuali” Femminili, infine e a livello internazionale Mutilazioni Genitali Femminili, fino al più recente termine americano Cutting, che vorrebbe superare il concetto di “mutilazione”, connotato negativamente in particolare dalle attiviste africane. Significativi anche i termini che a livello locale sono utilizzati per definire la mutilazione e la bambina/donna se questa è mutilata o non ancora, come dai seguenti esempi: • charmutta (cioè “prostituta”, detto di bambina anche piccola ma aperta, Somalia); • me stessa (area genitale della donna mutilata, Sudan); • s’assoir sous le couteau («sedersi sotto il coltello», cioè effettuare le MGF, in lingua Bambara). MGF come dispositivo culturale Le MGF non vanno intese come abuso/tortura, (attenzione all’etnocentrismo!), ma come un dispositivo culturale avente lo scopo di iscrivere l’individuo nella società attraverso un atto rituale traumatico che costruisce l’identità psicosessuale del singolo in armonia con l’identità collettiva del gruppo di appartenenza. L’organizzazione deliberata di un traumatismo psichico ha come scopo la ristrutturazione logica interna dell’individuo e la modificazione dell’identità in funzione del contesto esterno. Quindi, il traumatismo psichico dell’iniziazione rituale “lega” il mondo esterno a quello interno al soggetto, iscrivendo nella memoria e nel corpo del soggetto stesso la discriminazione degli spazi logici culturalmente definiti. Nelle società tradizionali, i confini biologici “vaghi” vengono demarcati socialmente, così come i ruoli sessuati, in modo complementare e armonico alla sopravvivenza del gruppo in un dato contesto. Il senso dell’essere-nel-mondo come donna in alcune società sta anche nell’essere “mutilata”, passiva, figlia-mogliemadre in contrapposizione ad un pericoloso essere “donna”. Vero e proprio atto d’amore, se pur doloroso, della madre verso la propria figlia, la MGF è un passaggio obbligato per la piena accettazione della giovane da parte della comunità. I vantaggi secondari (altrimenti incomprensibili) relativi al costume, in un contesto tradizionale, sono: • integrazione sociale vs integrità fisica; • salute intesa come armonia del gruppo, benessere globale; • poesia e bellezza (C. Lévi-Strauss), purezza (M. Duglas); • identità di gruppo – appartenenza alla classe “donna”; • identità sessuale – identificazione nel ruolo riproduttivo; • matrimoniabilità – moralità individuale e familiare/collettiva; • per le bimbe: festa, doni, passaggio di età e status; • per le operatrici: fonte di reddito. È essenziale comprendere come i benefici sociali nel contesto originario ri-compensano e fanno superare gli aspetti dolorosi e traumatici. Si possono riassumere nella preparazione cognitiva ed affettiva da parte dei cari (donne della famiglia); nell’attesa trepidante a volte accompagnata dalla richiesta di anticipare l’evento; nella consapevolezza dell’importanza familiare/collettiva dell’evento stesso; nell’autoconsapevolezza di status acquisito attraverso il costume; nel senso di comunione con le compagne. Tuttavia, non si può negare che l’evento in questione sia un evento traumatico così come definito dal DSM IV, che identifica il “Disturbo Post-Traumatico da Stress” dalle seguenti caratteristiche di un fatto accaduto: 1. La persona ha vissuto, assistito o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri; 2. La risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza o di orrore. Dall’analisi di disegni effettuati da bambine somale a metà degli anni ’80, si ha la conferma di come, sul piano inconscio, emergono gli aspetti emotivi traumatici negati nelle razionalizzazioni, che enfatizzano invece in modo esclusivo i vantaggi sociali (Grassivaro Gallo, 1986). MGF: bambine, giovani e migrazione Migrare o nascere in migrazione comporta attraversamenti di mondi e conflitti, la costituzione di una doppia (o meglio, multipla) identità e l’appartenenza a diversi gruppi di riferimento, che concorrono in diversa misura a costruire – ma più spesso a de-costruire - il senso delle MGF in migrazione. Molti sono i fattori che possiamo individuare, e che riassumiamo per gruppi sociali di riferimento: Comunità di origine: controllo sociale del gruppo di origine; anzianità di migrazione; presenza di più generazioni; gruppi organizzati di riferimento, vissuto del/dei gruppi etnici di appartenenza rispetto alla società “ospite”. Famiglia: progetto migratorio per sé e per i figli/mito del ritorno; livello di elaborazione del “trauma migratorio”, modifica dell’identità a seguito dell’esperienza migratoria, autostima, accesso ai servizi, pari opportunità; perdita o enfasi del potere parentale, necessità di controllo dei figli che acquisiscono un ruolo e status sociale nuovo (più disinvolti dei genitori nell’uso della lingua italiana e dei servizi); ambivalenza vs tradizione valida al paese di origine e non in migrazione; vissuto di minoranza etnica che si deve difendere arroccandosi sui valori tradizionali portati a bandiera di una differenziazione positiva. Gruppi dei pari: età di migrazione; peso dei pari nella costruzione dell’identità; conflitti intergenerazionali e interrazziali; presenza e valenza di altri gruppi di riferimento. Le tipologie di giovani “a rischio” si possono così riassumere: 1. arrivate già mutilate; 2. nate qui da coppia straniera o arrivate intatte; 3. figlie di coppie miste (madre o padre straniero, di etnìa a tradizione mutilatoria); 4. figlie di padre straniero e madre italiana “convertita” all’Islam (anch’ella certe volte a rischio). Le tipologie di MGF praticate in migrazione sono le seguenti: 1. Italia/Europa da parte di medici stranieri/italiani 2. Italia/Europa da parte di operatrici tradizionali 3. Africa (proprio o altro paese) da parte di medici/operatori tradizionali. Caratteristiche delle MGF in migrazione: 1. età tendenzialmente elevata, che incrementa il pericolo di Disturbo Post-Traumatico da Stress; 2. mancanza di preparazione e spiegazione, che elimina i preziosi vantaggi secondari; 3. inganno, forzatura, che induce un senso di tradimento nelle relazioni familiari. Possibili conseguenze psicosessuali di MGF in contesto di migrazione: 1. Immediate: • paura dell’evento, ansia (a chi chiedo aiuto?); • agitazione psicomotoria, turbe del carattere. 2. Nel tempo: • mancanza di fiducia nei genitori, sentimento di tradimento, insofferenza dell’autorità (dove eravate mentre mi succedeva?); • rifiuto della famiglia (in opposizione allo scopo); • sentimento di impotenza, ineluttabilità, passività, remissività; • vergogna, imbarazzo, umiliazione, disistima; • coscienza di menomazione/mutilazione: non sono intera, mi manca qualcosa, sono diversa, sono handicappata; senso di abuso, facilmente accentuato dai mass-media; • allontanamento dai coetanei italiani, isolamento; • concezione svalorizzante dell’essere donna, accentuata dal contrasto con il modello occidentale; • paura del mestruo, del sesso e del matrimonio; • repressione di emozioni come rabbia e dolore; • paura degli estranei, di essere toccata, di oggetti taglienti, delle operazioni, dei medici; • sogni simbolici ricorrenti, incubi; • trauma secondario alla visita ginecologica/al parto, accentuato spesso da un atteggiamento errato dell’operatore sanitario. Rischi impliciti nell’atteggiamento della società cosiddetta “ospite”: • negazione del problema; • relativismo culturale esasperato – laissez faire; • choc culturale e “accanimento etnico-antropologico”; • etnocentrismo esasperato, orrore, razzismo; • “caccia” alla mutilata/mutilazione; • campagna “terroristica” mass-media; • repressione – legge ad hoc contro le MGF. Sosteniamo qui l’ipotesi che il senso delle MGF varia nella prima e nelle successive generazioni di migranti, e che le appartenenze identitarie delle figlie di migranti sono complesse ed articolate, e non fanno riferimento esclusivamente al mondo spesso mitizzato della terra d’origine dei genitori. Dai disegni somali di bambina mutilata/bambina non mutilata creati a Mogadiscio nei primi anni ’80 si può trarre un’idea di questa multipla costruzione dell’identità della giovane in migrazione, in cui le due figure, presumibilmente, rappresentano diverse parti di sé, e devono in qualche modo convivere. Azioni e conclusioni Dalla fine degli anni ’80 presso il Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova è attivo un gruppo di lavoro sulle MGF in migrazione. Numerosi studi socio-antropologici ed epidemiologici hanno analizzato vari aspetti del fenomeno, portando alle seguenti considerazioni: • si stanno puntualmente riproducendo in Italia le condizioni strutturali e socio ambientali che in altri paesi occidentali hanno già dimostrato di essere funzionali al mantenimento della pratica di MGF in migrazione; • dalla fine degli anni ’80 vivono in Italia donne portatrici di MGF, bambine “a rischio” e persone in grado di mutilarle, e ci sono riscontri di MGF eseguite su bambine in Italia sia da personale medico che da operatori tradizionali; • l’impatto del personale medico-sanitario con pazienti mutilate si è intensificato dal 1990; • esiste una disinformazione grave e generalizzata sulle pratiche tradizionali nocive alla salute materno-infantile sulle MGF in particolare, nel settore medico sanitario italiano, nonché in quelli socio-assistenziali, psicologico e psicosessuale, educativo, giuridico; • queste conoscenze mancano anche al personale sanitario e ai religiosi che si recano in servizio nei luoghi della tradizione e che dovrebbero essere invece messi al corrente della dimensione internazionale del problema, per non trovarsi ad agire in senso contrario ai programmi sopranazionali e alle leggi locali in materia, in continuo mutamento. • è possibile avanzare una stima della popolazione immigrata portatrice di sequele di MGF o a rischio di mutilazione in Italia: si propone di considerare le MGF un problema di salute pubblica anche nel nostro paese, vista la presenza di circa 40.000 donne provenienti da paesi a tradizione mutilatoria, di cui almeno 20.000 sono stimabili a rischio di portare su di sé i segni e le complicazioni del costume, e di dover forse subire la tradizione se bambine. Nel corso degli ultimi anni, si sono succedute interrogazioni parlamentari e proposte di legge sulle MGF; sono stati portati all’attenzione della Giustizia i primi casi di MGF avvenuti su bambine straniere dimoranti in Italia; il Codice di Deontologia Professionale degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri ha introdotto un preciso riferimento alle MGF; il Comitato Nazionale per la Bioetica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il 25 settembre 1998 ha approvato un documento su La circoncisione: profili bioetici, che ritiene «eticamente inammissibili sotto ogni profilo» le MGF, che vanno «esplicitamente combattute e proscritte». Le MGF si pongono così oggi all’attenzione della nostra società, sempre più multiculturale. In particolare, in ambito socio-sanitario occorre mettere il personale in condizione di: • conoscere le MGF e le relative complicazioni psicofisiche; • riconoscere i segni fisici di una MGF; • essere consapevole dei complessi aspetti culturali ed etici correlati alla pratica; • sviluppare un approccio transculturale sensibile e partecipato nei confronti di pazienti mutilate sessualmente o che richiedono le procedura per sé o per le figlie; • attuare azioni di prevenzione, counseling e tutela, eventualmente coinvolgendo le comunità e Mediatori LinguisticoCulturali, opportunamente selezionati e formati; • rifiutarsi di eseguire ogni tipo di MGF, re infibulazione post-partum compresa; • conoscere le conseguenze legali di una eventuale trasgressione. Nell’affrontare il complesso tema delle MGF in migrazione, l’Italia ha a disposizione l’esperienza accumulata dall’Africa, dalla comunità internazionale e dai paesi di immigrazione che per primi si sono accostati al problema. Le principali Dichiarazioni internazionali e nazionali possono servire da cornice al modello di intervento, che deve necessariamente prevedere un ambito medico-sanitario (psicosessuale compreso), un ambito relativo alle iniziative socio-culturali ed uno legislativo. È necessario promuovere ricerca e interventi sulle MGF nel campo dell’etnoantropologia medica, dell’epidemiologia, della psicologia e della medicina preventiva e di comunità, all’interno dei gruppi considerabili a rischio per appartenenza culturale favorente la propensione alla perpetuazione del costume delle MGF sulle figlie. Crediamo invece che non sia necessario – anche se periodicamente proposto – emanare leggi specifiche in materia, in quanto già adeguate quelle vigenti ed in quanto tale linea di intervento si presterebbe ad alto rischio di stigmatizzazione di una popolazione già sottoposta ad occasioni di discriminazione. Riteniamo che le leggi vadano applicate in maniera esemplare ma non repressiva, e che debbano essere accompagnate da programmi riabilitativi e preventivi, affinché si offrano alternative autenticamente sostenibili alle donne e alle giovani che si vogliono allontanare da questa tradizione, oggi, in Italia. La circoncisione femminile nei disegni delle bambine 12 anni 13 anni 11 anni 16 anni 11 anni circoncisa Confronto tra la rappresentazione grafica di una donna circoncisa e di una non circoncisa Non circoncisa BIBLIOGRAFIA American Academy of Pediatrics – Commettee on Bioethics (1998), Female Genital Mutilation, Pediatrics, Vol. 102, N. 1, July:153156. Comitato Nazionale per la Bioetica (1998), La circoncisione: profili bioetici, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 25 settembre. Grassivaro Gallo P. (1986), La circoncisione femminile in Somalia, Franco Angeli, Milano. Grassivaro Gallo P. (1998), Figlie d’Africa mutilate – Indagini epidemiologiche sull’escissione in Italia, L’Harmattan Italia, Torino. Livio M. (1993), Le mutilazioni genitali femminili nel mondo occidentale: …e l’Italia sta a guardare, in: Grassivaro Gallo P. e Viviani F., Le Mutilazioni Sessuali Femminili, Atti di una Giornata di Studio, Unipress, Padova. Lupo E., Livio M., Zaffaroni M., Alloni V., Benevenuta E., Bona G. (2000), Le mutilazioni genitali femminili, Riv. Ital. Pediatr. (IJP); 26: 771-777. Mazzetti M. (a cura di) (2000), Senza le ali – Le mutilazioni genitali femminili, Franco Angeli, Milano. Organizzazione Mondiale della Sanità/ World Health Organization (1997), An agencies call for end to female genital mutilation, Geneva, April 9. Organizzazione Mondiale della Sanità/ World Health Organization (1995), Female genital mutilation: report of a WHO, technical working group meeting, Geneva, 17-19 July. Geneva, 1996a. Organizzazione Mondiale della Sanità/ World Health Organization (1996b), Female genital mutilation, a joint WHO/ UNICEF/ UNFPA statement, Geneva. Smith J. (1995), Visions and Discussions on the Genital Mutilation of Girls – An International Survey, Defence for the Children, Amsterdam. * Marica Livio: Psicologa, Naga - Milano. Gruppo di Lavoro sulle MGF in Migrazione, Dipartimento Psicologia Generale Università di Padova. Collabora con il Servizio di Psicologia DSM Como Ospedale Sant’Anna.
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