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N. 00209/2014REG.PROV.COLL.
N. 08243/2013 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex
artt.
38
e
60
cod.
proc.
amm.
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 8243 del 2013, proposto da:
COMUNE DI CARIATI, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Oreste
Morcavallo, con domicilio eletto presso Oreste Morcavallo in Roma, via Arno, n. 6;
contro
GRECO FILOMENA, CRITELLI TOMMASO, SERO MARIO, COSENTINO FRANCESCO,
rappresentati e difesi dagli avv. Alfredo Gualtieri e, Demetrio Verbaro, con domicilio eletto presso
B Bei Anna C/O Studio Rosati in Roma, via Ovidio, n. 10;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO, Sez. II, n. 904 dell’11 settembre 2013,
resa tra le parti, concernente mancanza quorum per approvazione delibera "esercizio finanziario
2012 - salvaguardia degli equilibri di bilancio";
Visti il ricorso e i relativi allegati;
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Visto l'atto di costituzione in giudizio dei signori Filomena Greco, Tommaso Critelli, Mario Sero e
Francesco Cosentino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2013 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le
parti gli avvocati Morcavallo e Gualtieri;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I signori Filomena Greco, Tommaso Critelli, Mario Sero e Francesco Cosentino, nella qualità di
consiglieri comunali del Comune di Cariati, hanno chiesto al Tribunale amministrativo regionale
per la Calabria l’annullamento della delibera consiliare n. 63 del 29 novembre 2012, avente ad
oggetto “Esercizio Finanziario 2012. Salvaguardia degli equilibri di bilancio e ricognizione stato di
attuazione dei programmi - Art. 193 D. Lgs. n. 267/2000”, deducendone l’illegittimità per
“Violazione ed errata applicazione dell’art. 11, comma 18, dello Statuto comunale e dell’art. 22,
comma 1, del Regolamento per il funzionamento del Consiglio comunale, con riferimento all’art.
38, comma 2, del T.U. degli Enti locali approvato con d. lgs. n. 267/2000” e per “Violazione
dell’art. 21, comma 9, del Regolamento per il funzionamento del Consiglio comunale”.
Ad avviso dei ricorrenti innanzitutto la delibera impugnata era stata adottata con la presenza di sette
componenti il consesso, compreso il sindaco, laddove le disposizioni statutarie e regolamentari
prevedevano ai fini della validità delle riunioni in prima convocazione la presenza di otto
consiglieri, senza computare il sindaco, così che nel caso di specie era mancato il quorum
strutturale; inoltre, la documentazione concernente gli argomenti indicati all’ordine del giorno non
era stata depositata in segretaria contestualmente alla redazione del predetto ordine del giorno.
2. L’adito tribunale, sez. II, con la sentenza n. 904 dell’11 settembre 2013, nella resistenza
dell’intimata amministrazione comunale, riconosciuta la legittimazione dei ricorrenti, ha ritenuto
fondato (ed assorbente) il primo motivo di censura, annullando la delibera impugnata.
3. Il Comune di Cariati ha chiesto la riforma di tale sentenza, lamentandone l’erroneità e
l’ingiustizia alla stregua di un’unica articolata serie di motivi,rubricata “Sopravvenuta carenza di
interesse e/o sopravvenuta improcedibilità – Erroneità e/o infondatezza, illogicità, difetto di
motivazione, carenza di istruttoria – Inammissibilità dell’impugnativa originaria per difetto di
legittimazione e/o difetto di interesse”.
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In sintesi, secondo l’amministrazione appellante: a) il ricorso di primo grado doveva essere
dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, essendo state adottate nelle more del
giudizio le delibere consiliari n. 5 del 23 marzo 2013 (di adesione alla procedura di riequilibrio
finanziario decennale di cui all’art. 342 bis del D. Lgs. n. 267 del 2000) e n. 19 del 22 maggio 2013
(di approvazione del piano di riequilibrio pluriennale), non impugnate il cui contenuto era
assolutamente inconciliabile con quello della delibera impugnata; b) i ricorrenti in primo grado, poi,
non erano legittimati all’impugnazione, la carenza del quorum strutturale essendo esclusiva
conseguenza della loro libera determinazione di non partecipare alla riunione consiliare del 29
novembre 2012, così che nessuna lesione del loro jus ad officium si era verificata, anche in
considerazione della natura meramente programmatica della delibera impugnata; v) peraltro,
diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, la delibera contestata era stata correttamente
assunta con la presenza di sei consiglieri, oltre al sindaco, dodici essendo i consigliere spettanti
all’ente e dovendo ritenersi prevalente la norma di legge (ex art. 273, comma 6, del D. Lgs. 267 del
2000 che rinvia all’art. 127 del R.D. 4 febbraio 1915, n. 148) rispetto a quelle statutarie e
regolamentari, nelle more del loro adeguamento necessario per l’entrata in vigore della legge n. 42
del 2010 (che ha ridotto il numero dei consiglieri dell’ente da 16 a 12); d) era infine infondato il
secondo motivo del ricorso di primo grado, non esaminato per assorbimento, tutti i consiglieri
comunali, compresi i ricorrenti, avendo avuto completa e documentata conoscenza degli argomenti
all’ordine del giorno, ritualmente comunicati cinque giorni prima della riunione.
Hanno resistito al gravame gli originari ricorrente che, costituendosi in giudizio, ne hanno chiesto il
rigetto.
4. All’udienza in camera di consiglio del 17 dicembre 2013, fissata per la decisione sull’istanza
cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, le parti sono state informate
dell’intenzione della Sezione di decidere l’affare direttamente nel merito.
La causa, dopo la rituale discussione, è stata trattenuta in decisione.
5. L’appello è infondato.
5.1. Innanzitutto, diversamente da quanto sostenuto dall’amministrazione appellante, sussiste la
legittimazione dei ricorrenti in primo grado (attuali appellati), quali consiglieri comunali,
all’impugnazione della delibera consiliare n. 63 del 29 novembre 2012.
E’ sufficiente al riguardo richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale che riconosce la
legittimazione dei consiglieri comunali a ricorrere avverso le deliberazioni collegiali quando essere
investono direttamente la propria sfera giuridica ovvero quando siano violate norme che attengono
all’iter formativo dell’atto collegiale, precludendo ai consiglieri il regolare svolgimento del proprio
ufficio (C.d.S., sez. V, 21 marzo 2012, n. 1610; 2 ottobre 2012, n. 5184; 9 ottobre 2007, n. 5280).
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Nel caso di specie il vizio denunciato riguarda la mancanza del quorum strutturale per la validità
della riunione del consiglio comunale nel corso della quale è stata adottata la delibera impugnata ed
incide pertanto direttamente sullo jus ad officium dei ricorrenti, essendo stato loro precluso il
corretto e regolare esercizio della funzione di consigliere comunale; è del resto del tutto irrilevante,
oltre che infondata, la pur suggestiva argomentazione difensiva dell’appellante, secondo cui il
mancato raggiungimento del quorum strutturale sarebbe stato diretta ed esclusiva conseguenza della
consapevole ed autonoma determinazione volitiva degli stessi ricorrenti di non essere presenti alla
riunione.
5.2. Neppure può dubitarsi, sotto altro concorrente profilo, della persistenza in capo agli originari
ricorrenti dell’interesse all’annullamento della delibera impugnata in relazione alla sopraggiunta
adozione delle delibere consiliari n. 5 del 23 marzo 2013 e n. 19 del 22 maggio 2013,
rispettivamente di adesione alla procedura di riequilibrio finanziario decennale di cui all’art. 342 bis
del D. Lgs. n. 267 del 2000 e di approvazione del piano di riequilibrio pluriennale.
Infatti, come osservato in precedenza, il vizio denunciato attiene direttamente allo jus ad officium,
incidendo sull’effettivo esercizio delle peculiari funzioni di consigliere comunale ed in particolare
sulla partecipazione alla corretta formazione della volontà dell’organo collegiale, è astrattamente
idoneo ad impedire la regolare ed adeguata contrapposizione dialettica tra maggioranza ed
opposizione che costituisce lo strumento privilegiato per la piena, consapevole ed adeguata
determinazione volitiva del consiglio comunale.
Ciò posto, quel che rileva non è tanto l’effettivo contenuto della delibera impugnata (solo rispetto al
quale può porsi la questione degli effetti delle indicate delibere sopravvenute), quanto piuttosto
proprio il fatto che i ricorrenti non abbiano effettivamente potuto svolgere le proprie funzioni e
dunque contribuire alla determinazione consiliare, il che non è minimamente travolte dalle
successive delibere consiliari.
5.3. Quanto al merito, la Sezione osserva che, com’è del resto pacifico tra le parti, il comma 18
dell’art. 11 dello Statuto comunale stabilisce che “le sedute del consiglio comunale sono valide
quando vi interviene almeno otto consiglieri senza computare a tal fine il Sindaco. Nella seduta di
seconda convocazione sono sufficienti almeno sei consiglieri sempre senza computare il Sindaco.
E’ seduta di seconda convocazione quella tenuta dopo una prima andata deserta per mancanza del
numero legale, per l’intera seduta od anche per i soli punti non potuti trattare per lo stesso motivo”;
analogamente l’art. 22 del Regolamento per il funzionamento del Consiglio e delle Commissioni
consiliari, disciplinando in particolare la “seduta in prima convocazione” prevede espressamente,
tra l’altro, che “Il consiglio non può deliberare su alcuno degli argomenti iscritti all’ordine del
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giorno se, alla seduta di prima convocazione, non intervengono almeno otto consiglieri senza
computare a tal fine il sindaco”.
Le ricordate disposizioni stabiliscono in modo fisso e predeterminato il numero dei consiglieri, otto,
che devono essere presenti ai fini della validità della riunione consiliare in primo consiliare, senza
alcun riferimento, neppure implicito, al fatto che tale numero corrisponda alla metà dei consiglieri
effettivamente spettanti all’ente (al momento dell’approvazione dello statuto e del regolamento per
il funzionamento del consiglio), così che, diversamente da quanto sostenuto dall’amministrazione
comunale, la circostanza che il numero dei consiglieri spettanti all’ente sia stato ridotto dalla legge
da 18 a 12 non può incidere direttamente ed automaticamente sullo statuto e sul regolamento,
determinando nel numero di sei i consiglieri che devono essere presenti per la validità delle riunioni
consiliari in prima convocazione, essendo a tal fine necessario una puntuale modifica o un
adeguamento, che nel caso di specie sono mancate.
D’altra parte rientra nei poteri propri del Comune l’adozione (e la modifica) dello Statuto e dei
regolamenti, che costituiscono strumenti della sua peculiare autonomia che, nel campo che ci
occupa, comprende espressamente il funzionamento del consiglio ed in particolare, tra l’altro, le
modalità per la convocazione e per la presentazione e la discussione delle proposte, nonché
l’individuazione del numero dei consiglieri necessari per la validità delle seduti, ai sensi dell’art. 38,
comma 2, del D. Lgs. n. 267 del 2000, che stabilisce a tal fine soltanto un limite minimo, precisando
che il regolamento deve prevedere in ogni caso la presenza di almeno un terzo dei consiglieri
assegnati per legge all’ente, senza computare il sindaco.
E’ appena il caso di rilevare peraltro che neppure la disposizione (art. 2, comma 184, della legge 23
dicembre 2009, n. 191, modificato dall’art. 1, comma 1, del decreto legge 25 gennaio 2010, n. 2,
convertito con modificazioni dalla legge 26 marzo 20109, n. 42), che ha ridotto il numero dei
consiglieri comunali, prevede, in via eccezionale, un’automatica modifica degli statuti e dei
regolamenti comunali vigenti relativamente al quorum per la validità delle riunioni dei consigli
comunali, mentre è del tutto infondato il richiamo all’art. art. 273, comma 6, del D. Lgs. n.
267/2000 (ed il rinvio ivi contenuto all’articolo 127 testo unico approvato con il R.D. 4 febbraio
1915, n. 148), atteso che non solo esso riproduce testualmente il quinto comma dell’art. 28 della
legge 3 agosto 1999, n. 265, senza dar vita ad un’autonoma disposizione transitoria applicabile ogni
qualvolta sia necessario un adeguamento degli statuti e dei regolamenti comunali, per quanto la
disposizione dell’articolo 127 è del tutto inconciliabile con l’autonomia statutaria e regolamentare
di cui sono titolari i comuni nella materia in esame.
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6. Alla stregua delle osservazioni svolte la sentenza impugnata merita conferma, il che esime la
sezione dall’ esaminare il secondo motivo di doglianza spiegato con il ricorso introduttivo di
giudizio, correttamente ritenuto assorbito dai giudici di prime cure.
Le spese del presente grado di giudizio, stante la novità della questione, possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal
Comune di Cariati avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sez.
II, n. 904 dell’11 settembre 2012, lo respinge.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2013 con l'intervento dei
magistrati:
Francesco Caringella, Presidente FF
Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore
Manfredo Atzeni, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/01/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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