Catalogo - Benzine - Le energie della tua mente

BENZINE
le energie della tua mente
Un’idea e una produzione
Fondazione Marino Golinelli
in collaborazione con
La Triennale di Milano
Un progetto di
Giovanni Carrada
Scienza
a cura di Giovanni Carrada
Arte
a cura di Cristiana Perrella
Assistente curatore
Alessandra Troncone
Con il Patrocinio di
Main sponsor
Concept allestimento
Catalogo
Un ringraziamento particolare
Ministero per i Beni e le
Attività Culturali
Rai Segretariato Sociale
Città e siti italiani/Patrimonio
Mondiale Unesco
Alfa Wassermann
Iosa Ghini Associati
testi
Giovanni Carrada
Cristiana Perrella
con interventi di
Marino Golinelli
Annamaria Testa
Comune di Bologna
per la collaborazione
ed il concreto sostegno
Accademia Nazionale
dei Lincei
Sponsor
CAST
Centro Arte, Scienza
e Tecnologia
Ministero dell’Istruzione,
dell’Università
e della Ricerca /USR
Emilia-Romagna
IMA
Ministero dell’Istruzione,
dell’Università
e della Ricerca /USR
Lombardia
Unindustria Bologna
MARPOSS
Confcommercio
Ascom - Provincia di Bologna
Banca Popolare
dell’Emilia Romagna
Regione Emilia-Romagna
Regione Lombardia
Provincia di Bologna
Provincia di Milano
Comune di Bologna
Comune di Milano
Alma Mater Studiorum
Università di Bologna
Expo 2015
Istituto Mario Negri di Milano
Camera di Commercio,
Industria, Artigianato
e Agricoltura di Bologna
Progetto e testi exhibit
Giovanni Carrada
Progetto grafico della mostra
e della comunicazione
Raffaella Ottaviani
Maria Teresa Pizzetti
Documentazione iconografica
Manuela Fugenzi
Video e videografiche:
storyboard e regia
Raffaella Ottaviani
Maria Teresa Pizzetti
voce Francesco Prando
animazione e montaggio
Roberto Baldassari
ottimizzazione Marcello Rossi
musiche Paolo Modugno
Marco Rosano
post-produzione audio
oasi studio
Realizzazione allestimento
Arredart studio
Zola Predosa (BO)
Ufficio Stampa
Delos servizi per la cultura
Milano
progetto grafico
Raffaella Ottaviani
Maria Teresa Pizzetti
Fondazione
Corriere della Sera
per la collaborazione
nella realizzazione a Milano
degli incontri collegati
alla mostra
coordinamento
Fiorella Buffignani
Si ringraziano
redazione schede opere
Alessandra Troncone
Fotografie e filmati
British Movietone collection/AP
Archive
Archivio e Centro Storico Fiat
Archivio Nazionale Cinema
d’Impresa – Fondazione CsC,
Ivrea. Filmati Olivetti per gentile
concessione dell’Associazione
Archivio Storico Olivetti
Archivio Storico Luce
Bridgeman Art Library/Archivi
Alinari
Getty Images
Ken Garland
Keystone
Archival films from the collections
of the Library of Congress
Science Photo Library/Contrasto
Illustrazioni Darwin: cortesia John
van Wyhe ed. The Complete Work
of Charles Darwin Online.
(http://darwin-online.org.uk/)
Contributi video
con il patrocinio
sponsor
main sponsor
Apple Store New York City
di Sumit Soncker
Pastry Chef Alban Barta
di wbpstarscom
BMW Production di clubrt
Angry Birds Space
di RovioMobile
Open rehearsal Sir Roger
Norrington di ic247tv
Occupy: London Stock Exchange
di TheGuardian
Working at Google Krakow
di Life at Google
Bike Blenheim Championships
di blenheimpalace
Ferrari F1 di Norwell9Productions
Elisabetta Ghirardini - laboratorio
di restauro; di Silvia Degani
Show Me What You’re Made
di Jnas24
We Are Embraer di Embraer
Calcutta life and death
di Joelevil Elblog-De
Tokyo “Echoes” di BlueEdenHD
Intel Factory Tour
di NewsFrom TheShed
Gli artisti • I prestatori
Dale Mc Farland, Toby Kress
Frith Street Gallery, London
Cristina Guerra, Inês Teixeira
Cristina Guerra Contemporary
Art, Lisbona
Umberto Raucci,
Carlo Santamaria
Raucci/Santamaria Gallery,
Napoli
Umberto Di Marino
Maria Di Niola
Galleria Umberto di Marino,
Napoli
Sree Banerjee Goswami,
Priyanshi Saxena
Project 88, Mumbai
Nils Staerk, Nikolaj Stobbe,
Anne-Mette Schultz
Nils Staerk, Copenhagen
Heide Häusler
Sprüth Magers, London/Berlin
Andrew Richards
Catherine Belloy
Marian Goodman Gallery,
New York
Bjorn Alfers
Galerie Eva Presenhuber, Zürich
Si ringraziano inoltre
Fondazione
Guglielmo Marconi
per il prestito dell’apparato
del primo esperimento di Marconi
Jeanette Winterson
Extract from The Secret Life of Us
by Jeanette Winterson translated
into italian reprinted by permission
of Peter Fraser & Dunlop (www.
peterfraserdunlop.com) on behalf of
Jeanette Winterson
Fondazione
Marino Golinelli
Fondatore e Presidente
Marino Golinelli
Consiglio di Amministrazione
Presidente
Marino Golinelli
Vice Presidente
Andrea Zanotti
Consiglieri
Andrea Bonaccorsi
Dario Braga
Marco Cammelli
Filippo Cavazzuti
Luca De Biase
Stefano Golinelli
Andrea Zanotti
Collegio dei revisori
Sergio Parenti
Antonella Vannucchi
Direttore Generale
Antonio Danieli
Area Formazione
ed Educazione
Giorgia Bellentani
Area Comunicazione
e Relazioni esterne
Sara Mattioli
Life Learning Center
Divisione formativa
e didattica Scuole
Secondarie
Responsabile del laboratorio
e delle attività didattiche
Raffaella Spagnuolo
Didattica e rapporti
con le scuole
Patrizia Zambonelli
Segreteria didattica
Stefania Barbieri
Assistenti di laboratorio
Giuliano Matteo Carrara
Maria Chiara Pascerini
Tutor di laboratorio Senior
Sara Bernardi
Alessandro Saracino
Tutor di laboratorio Junior
Lorenza Camaggi
Pia De Paola
Paolo Manzi
Stefania Zampetti
Life Learning Center
si avvale del supporto
di un gruppo di tutor qualificati
laureati, dottorandi o dottorati.
Start Laboratorio
di Culture Creative •
Divisione educativa
scuole primarie
e dell’infanzia
Responsabile
Antonio Danieli
Coordinamento operativo
Giorgia Bellentani
Tutor di laboratorio
Gigliola Fuiano
Sara Giovacchini
Eliana Lacorte
Pierdomenico Memeo
Vanessa Nicastro
Amalia Persico
Supervisione scientifica
area 2/5 anni
START si avvale del supporto
dei Servizi educativi
del Comune di Bologna
Comitato scientifico
START si avvale della
collaborazione di eminenti
esperti scientifici
START si avvale inoltre del
supporto di un gruppo di tutor
qualificati laureati, dottorandi
o dottorati.
Area Progetti Speciali
Fiorella Buffignani
Ufficio stampa
e Content editor
Annalisa Perrone
Fondazione Museo
del Design
Consiglio d’Amministrazione
Claudio De Albertis
Presidente
Mario Giuseppe Abis
Giulio Ballio
Renato Besana
Ennio Brion
Flavio Caroli
Angelo Lorenzo Crespi
Carlotta de Bevilacqua
Alessandro Pasquarelli
Consiglio d’Amministrazione
Mario Giuseppe Abis
Presidente
Giulio Ballio
Andrea Cancellato
Consigliere Delegato
Consiglio d’Amministrazione
Arturo Dell’Acqua Bellavitis
Presidente
Maria Antonietta Crippa
Carlo Alberto Panigo
Anty Pansera
Organo di controllo
Maurizio Scazzina
Direttore Generale
Andrea Cancellato
Ufficio Servizi Tecnici
Marina Gerosa
Collegio Sindacale
Salvatore Percuoco
Presidente
Maria Rosa Festari
Andrea Vestita
Collegio dei Revisori dei conti
Emanuele Giuseppe
Maria Gavazzi
Presidente
Alessandro Danovi
Salvatore Percuoco
Direttore Generale
Andrea Cancellato
Settore Affari Generali
Maria Eugenia Notarbartolo
Franco Romeo
Settore Biblioteca,
Documentazione, Archivio
Tommaso Tofanetti
Claudia Di Martino
Elvia Redaelli
Ufficio Servizi Tecnici
Alessandro Cammarata
Cristina Gatti
Franco Olivucci
Xhezair Pulaj
Segreteria generale
e organizzativa
Cristina Lertora
Responsabile per la sicurezza
Marcello Verrocchio
Triennale di Milano
Servizi Srl
Settore Iniziative
Laura Agnesi
Roberta Sommariva
Laura Maeran
Carla Morogallo
Violante Spinelli Barrile
Alessandra Cadioli
Area Amministrazione
Daniele Vandelli
Segreteria didattica
e organizzativa:
Pier Francesco Bellomaria
Lucia Tarantino
Fondazione
La Triennale di Milano
Fondazione Marino Golinelli
è partner di
La Triennale di Milano
per Arte e Scienza
Ufficio Servizi Amministrativi
Paola Monti
Marina Tuveri
Ufficio Stampa e Comunicazione
Antonella La Seta Catamancio
Marco Martello
Micol Biassoni
Partner per Arte e scienza
Fondazione Marino Golinelli
Ufficio Servizi Amministrativi
Anna Maria D’Ignoti
Isabella Micieli
Ufficio Marketing
Valentina Barzaghi
Olivia Ponzanelli
Caterina Concone
Triennale Design Museum
Direttore
Silvana Annicchiarico
Producer attività museo
Roberto Giusti
Collezioni e ricerche museali
Marilia Pederbelli
Archivio del Design Italiano
Giorgio Galleani
Ufficio iniziative
Maria Pina Poledda
Ufficio stampa e Comunicazione
Damiano Gullì
Attività Triennale
DesignMuseum Kids
Michele Corna
Web designer
Cristina Chiappini
Triennale Design Museum
Studio Camuffo
Triennale Design Museum Kids
Logistica
Giuseppe Utano
Laboratorio di Restauro,
Ricerca e Conservazione
Barbara Ferriani,
coordinamento
Alessandra Guarascio
Rafaela Trevisan
Immaginare e costruire un nuovo mondo
Marino Golinelli
Con la mostra “BENZINE. Le energie della tua mente” il percorso della
Fondazione “Marino Golinelli” sull’esplorazione delle connessioni tra arte e
scienza è giunto alla sua quarta edizione (le edizioni precedenti: ANTROPOSFERA, nuove forme della vita nel 2010; HAPPY TECH, macchine dal
volto umano nel 2011; Da ZERO a CENTO, le nuove età della vita nel 2012).
La mostra, con i laboratori che la accompagnano, è uno degli strumenti
adottati dalla Fondazione per favorire e stimolare la curiosità, la creatività, e
dunque anche il desiderio di bambini, ragazzi, adulti di cimentarsi in maniera
proattiva in iniziative creative.
La Fondazione Marino Golinelli infatti si pone l’obiettivo di fornire ai giovani - futuri cittadini del domani - e alla cittadinanza, indirizzi e strumenti che
consentano loro di crescere responsabilmente, civilmente e socialmente,
favorendo il sorgere di una società della conoscenza in grado di crescere,
innovare e restare competitiva in un mondo globalizzato.
La Fondazione vuole concretamente aiutare i giovani a “trovare dentro se
stessi la capacità di immaginare e poi di creare qualcosa di nuovo” fornendo loro anche strumenti interpretativi concreti della realtà che ci circonda.
C’è infatti sempre una prima intuizione in forma di immagine (quella che
François Jacob chiamava la “scienza della notte”) alla base di una nuova impresa umana – nella scienza come nell’arte, nell’imprenditoria o in qualsiasi
altro tipo di progetto – intuizione che ha poi naturalmente bisogno di altre
discipline, metodi e molteplici tecnologie (“la scienza del giorno”) per essere
portata concretamente nel mondo.
10­_11
La Fondazione interpreta questa idea, dal 2010, con il format stesso delle
mostre e, tra i primi, ha proposto di esplorare problemi o ambiti della realtà
da entrambi i punti di vista, quello dell’arte e quello della scienza.
derati come tappe fondamentali di un processo continuo, dall’infanzia alla
maturità. Occorrerà sviluppare nuovi metodi di insegnamento, allineandosi
ai sistemi-paese in tal senso più avanzati.
Lo studio delle interconnessioni tra l’arte e la scienza si manifesta in tutti gli
ambiti di intervento della Fondazione: nei progetti educativi e formativi con
le scuole e gli insegnanti, nelle attività culturali per stimolare il dibattito sul
futuro del mondo e proporre “nuove narrazioni” alla collettività, per stimolare
e intercettare la creatività naturale dei giovani e dei giovanissimi.
Imprescindibile per tutti sarà la capacità di emozionarsi, e di provare la “passione” per superare i propri limiti, passione intesa nelle sue declinazioni anche più irrazionali come l’amore e la rabbia. Come la mostra illustra, ragione
ed emozione non vanno in direzioni opposte, ma parallelamente possono
procedere verso gli stessi obiettivi.
In una visione culturale ampia le BENZINE sono le “energie” della nostra mente. Energie che già tutti noi possediamo e potremo riattivare per poter guardare al futuro e sperare in una ripresa dello sviluppo sociale ed economico
del nostro Paese, soprattutto in un momento di forte crisi come questo.
La “creatività”, sarà sempre più una “benzina” fondamentale per ideare il
nuovo e aiutarci a costruirlo. Non si tratta solo della necessità di nuove invenzioni intese come “prodotti e servizi”, ma occorre ri-pensare e ri-costruire la
società in senso più ampio; la creatività è sintesi tra la visione del progetto e
la disciplina nella realizzazione, con l’obiettivo di una società solidale.
Sono sette le “benzine” raccontate dalla mostra.
L’“arte” sarà importante per aiutarci a immaginare qualcosa di nuovo grazie
alla possibilità che questa ci offre di una decostruzione dei punti vista per noi
usuali a cui ci riferiamo per interpretare il mondo. Il “nuovo” ha infatti bisogno di matrici interpretative e cognitive e l’arte ci può aiutare a produrne di
innovative ed originali.
Sarà fondamentale il “saper imparare”; ancor più dei contenuti, “del cosa”,
occorrerà porre attenzione al “come” si sviluppano i processi di apprendimento; formazione, educazione e crescita culturale devono essere consi-
Queste BENZINE, assieme ad altre raccontate dalla mostra, sono già
dentro di noi, dobbiamo acquisirne consapevolezza e dobbiamo trovare la
capacità di utilizzarle al meglio: scopriamo “le energie della nostra mente”
per progettare il futuro e forse, quella che oggi chiamiamo crisi, domani ci
sembrerà una grande trasformazione in un nuovo mondo completamente
rivoluzionato, ma che noi sapremo interpretare appieno perché ne saremo
stati gli artefici proattivi e non le vittime.
LA CREATIVITÀ NEGLETTA
NEL PAESE CHE FU IL PIÙ CREATIVO DEL MONDO
Annamaria Testa
12­_13
Fino a pochi anni fa, qui in Italia, creatività e creativo erano parole impronunciabili.
Tali da evocare, nella migliore delle ipotesi, persone e attività vanitose e modaiole, e
nella peggiore un’ampia gamma di comportamenti non solo irritanti ma disdicevoli
(la finanza creativa, per dire truffaldina. Le soluzioni creative, per dire abborracciate,
improbabili e inefficaci).
Storicamente del tutto differenti l’attenzione e l’atteggiamento di altri paesi, e specie
del mondo anglosassone, in primis gli Stati Uniti ma non solo, verso l’idea stessa di
creatività intesa come motore del progresso umano: la preziosa e peculiare attitudine
degli individui a scovare soluzioni nuove, a scoprire elementi e connessioni sconosciute, a sperimentare e a inventare.
Le idee sul produrre idee
È un parroco scozzese, William Duff, a pubblicare nel 1767 An Essay on Original Genius, il primo trattato che prova a indagare le dinamiche della creatività. È l’inglese
Francis Galton, scienziato eclettico, antropologo, cugino di Darwin e pioniere della
biometria a formalizzare per primo la distinzione tra nature e nurture, cioè tra eredità
e ambiente, e a segnalare, in Hereditary Genius, quanto l’educazione può nel bene e
nel male influenzare l’esprimersi del talento.
Risale agli inizi del secolo scorso una delle prime, e forse ancor oggi la più convincente fra le moltissime definizioni di “creatività”: fa capo al grande matematico francese
Henri Poincaré, che nel 1906, in Scienza e metodo, parla di trovare connessioni nuove, e utili, tra elementi distanti tra loro.
Pochi anni dopo è il tedesco Wolfgang Köhler, uno dei fondatori della Psicologia della
Gestalt, a coniare il termine insight per definire l’illuminazione creativa e a intuirne la
natura istantanea e inattesa. Val la pena di ricordare che lo fa descrivendo la performace creativa di Sultano, il più sveglio fra gli scimpanzé ospitati nella stazione zoologica di Tenerife, e mentre in buona parte d’Europa infuria – siamo nel 1917 – la prima
guerra mondiale. Così, grazie a Sultano e all’ingegnosità degli esperimenti di Köhler,
l’idea di creatività si estende, anche se con tutte le necessarie distinzioni, ad alcune
specie animali superiori. Quali? Ce lo dice Alberto Oliverio: sviluppano comportamenti creativi le specie che sono predatrici e non predate, i cui piccoli giocano e, quando
dormono, sognano.
A partire dal comportamento dei topi nei labirinti è invece l’americano Edward Tolman a intuire, verso la fine degli anni Quaranta, quanto flessibilità e finalizzazione
siano importanti per raggiungere un obiettivo, e a formulare il concetto di mappa cognitiva. Un paio di decenni prima, il tedesco Karl Jaspers si è interrogato (1922) sui
legami tra genio e follia, mentre nel 1926 l’inglese Graham Wallas ha concepito un
efficace modello – in quattro fasi: preparazione, incubazione, insight e verifiche – del
processo creativo.
E ancora: è l’americano Joy Paul Guilford a formulare, negli anni Cinquanta, il concetto di pensiero divergente, che l’angloungherese Arthur Koestler riprenderà chiamandolo bisociazione. Negli anni Sessanta è l’americano Mel Rhodes a definire, mettendo a sistema la mole di studi prodotti fino ad allora, i quattro fattori che concorrono al
verificarsi di un fenomeno creativo: le qualità individuali, il processo mentale attivato,
la messa a punto di un prodotto originale e valido socialmente, il contesto socioculturale. Person, Process, Product e Place sono le quatto P della creatività.
È l’americano Sarnoff Mednick a disegnare il RAT (Remote Association Test), che
indaga la capacità creativa di scovare connessioni tra elementi eterogenei, ed è l’americano Ellis Paul Torrance a sviluppare, a partire dalle intuizioni di Guilford, il primo
test affidabile del pensiero creativo, il TTCT, che prende in esame la fluidità, la flessibilità, l’originalità e il grado di elaborazione che connotano i diversi prodotti creativi.
Sono, tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, gli americani Gardner e Sternberg a
divulgare, anche presso il largo pubblico, un’idea di intelligenza come complesso
di capacità e di attitudini differenti. In tempi più recenti, è il croato-americano Mihaly
14­_15
Csikszentmihalyi a mettere a punto il concetto di flow, lo stato di flusso, la condizione psichica di chi è totalmente immerso in un compito creativo e lo padroneggia. È
Dean Simonton dell’University of California a dare, al fenomeno della creatività e sulla
orme di Francis Galton, una dimensione quantitativa. È Teresa Amabile ad analizzare,
presso la Harvard Busines School, le mille relazioni tra creatività dei singoli e creatività
di gruppo, innovazione, impresa. E si potrebbe continuare accostando nomi a nomi,
intuizioni a intuizioni.
Meglio ricordare, invece, che l’interesse statunitense nei confronti dei fenomeni creativi subisce un enorme impulso già alla fine degli anni Cinquanta grazie a cospicui
finanziamenti governativi volti a difendere la supremazia scientifico-tecnologica americana nei confronti dei sovietici in occasione della Space Race, la gara per la conquista dello spazio. In seguito ci si accorge che ragionare di creatività serve anche a
sviluppare l’innovazione che mantiene competitive le imprese.
Barak Obama, nel discorso per la rielezione del 2012, afferma che gli Stati Uniti resteranno un grande paese non perché hanno un grande esercito, ma perché hanno
grandi università.
Del resto la creatività è anche, non dimentichiamolo, un importantissimo fattore di
adattamento e, come tale, costituisce un vantaggio evolutivo non solo per gli scimpanzé come il Sultano studiato da Köhler ma anche per gli esseri umani, e si traduce
in vantaggio competitivo per le nazioni.
Gli italiani e la creatività: per quasi tutti un po’ astuzia, un po’ dono del cielo
In Italia, a parte pochi pionieri inascoltati – tra questi è necessario ricordare almeno
Gabriele Calvi, autore de Il problema psicologico della creatività a metà anni Sessanta, e Aldo Carotenuto per alcuni scritti – il mondo accademico e scientifico appare
per decenni piuttosto disinteressato all’argomento. Silvano Arieti, autore di Creatività, La sintesi magica, lavora negli Stati Uniti.
In tempi più recenti, ben che vada, gli imprenditori più curiosi, i manager più attenti e i
lettori di saggistica divulgativa vanno a cercarsi sui bestseller americani che vengono
tradotti nella nostra lingua (alcuni meritevoli, altri assai meno) qualche ricetta ready
to use per avere idee. Solo da una manciata di anni i lavori di Melucci, Antonietti, Legrenzi, Masi e non molti altri cominciano a destare attenzione e a diffondere qualche
prospettiva nuova e più consistente.
Non c’è dunque da meravigliarsi se la prima grande ricerca sull’idea che gli italiani nel
loro complesso hanno della creatività, svolta da Eurisko nel 2004, restituisce percezioni superficiali e contraddittorie: per un intervistato su due la creatività è importante
per moda (60% di risposte positive) e cucina (43%)… per poco più di uno su venti (6%
di risposte positive) è importante per l’economia.
Per la maggior parte degli intervistati, compresi i giovani universitari, la creatività si
risolve nel rompere (si noti bene: non nel superare, ma nel trasgredire) le regole, ed è
un fatto privato che può rendere la vita più gratificante appagando il narcisismo individuale: magari si traduce in un hobby da coltivare senza troppe pretese nel tempo libero, magari coincide con la capacità di destreggiarsi astutamente in campo lavorativo.
Insomma: nella pratica quotidiana, per i nostri connazionali, la creatività non è altro
che una versione più sofisticata dell’arte di arrangiarsi mentre, se viene considerata
in una più ampia prospettiva storica, appare come un misterioso dono del cielo che
in passato ha benedetto pochi eletti famosissimi (Leonardo, Michelangelo…), e che
tuttora, per motivi altrettanto misteriosi, continua a essere una gratuita benedizione
permanente per il Paese. Che, qualsiasi cosa “creatività” significhi, a molti sembra
“creativo” per definizione, anche se gli unici esempi di creatività che le persone hanno
in mente ormai riguardano personaggi resi famosi dalla tv.
Da segnalare l’eccezione di due gruppi: le élite produttive (professionisti, imprenditori…) dichiarano che creatività vuol dire talento e tenacia, conoscenza, competenza, sfida per ottenere risultati che hanno valore. È una visione condivisa anche dagli
anziani, e il dato è meno sorprendente di quanto sembri: si tratta delle medesime
16­_17
persone che, nel dopoguerra, hanno saputo, con tenacia e talento, ricostruire l’Italia,
avviandola a una stagione di espansione e benessere. La pratica della creatività è
stata concreta nelle loro mani ed è rimasta intatta nella loro memoria.
Creatività, istruzione, caratteri personali e situazioni ambientali
Nel 2006 viene pubblicato il rapporto UE/Kea intitolato l’Economia della cultura in Europa: si tratta di un grande studio sistematico che prova - cosa non facile - a dare una
lettura ampia e organizzata delle dinamiche dell’intero comparto delle attività culturali
e creative, e a valutarne l’impatto economico: editoria, moda, design, cinema e fotografia, radio e tv, web, teatro, videogiochi, arti visive, musei, siti archeologici, turismo
culturale… i risultati sono impressionanti.
L’intero settore culturale e creativo in Europa vale, nel 2003, più di 654 miliardi di euro.
Fattura più del doppio di tutta l’industria dell’automobile (271 miliardi) e contribuisce
al PIL europeo più di tutte le attività immobiliari. Cresce, in cinque anni, del 12,3% in
più rispetto alla crescita economica globale. In quasi tutti i paesi europei il settore della
cultura e della creatività dà il maggior singolo contributo alla crescita della ricchezza nazionale. In Italia vale il 2,3% del PIL, in Gran Bretagna il 3%, in Francia il 3,4%. E bisogna
considerare un fatto rilevante: per come è strutturato, il rapporto non tiene conto (è un
gran peccato, e una carenza che andrebbe rimediata) della creatività espressa nella
ricerca scientifica e tecnologica: la ricerca di base e quella applicata e le attività che
riguardano l’innovazione di processo e di prodotto.
Se si riuscisse – di nuovo: non è facile – a valorizzare anche questi ambiti, e a misurarne
le ricadute in termini di valore, si potrebbe finalmente avere la sensazione tangibile di
quanto, nel loro complesso e per l’economia di una nazione, possono contare le idee.
Il rapporto UE/Kea passa, nel nostro Paese, del tutto sotto silenzio. Esattamente
come da sempre passano sotto silenzio, o quasi, gli sconfortanti risultati dei test
Ocse-Pisa, che misurano la performance scolastica dei nostri ragazzi e segnalano un
consistente deficit (oggi in leggero miglioramento), e ancor più preoccupanti disparità territoriali per quanto riguarda la capacità di leggere, scrivere e comprendere testi,
la competenza matematica e scientifica e, ahimé, la capacità di problem solving. Si
tratta di capacità di base, in assenza delle quali di creatività non si parla proprio.
Senza formazione di base e senza preparazione specialistica è impossibile per chiunque immaginare, inventare, e dunque produrre innovazione di valore. È il Nobel Herbert Simon, padre dell’intelligenza artificiale, a formulare la Teoria dei dieci anni: non si
possono ottenere risultati originali in qualsiasi ambito, dagli scacchi alla fisica quantistica, se non dopo almeno un decennio di costante applicazione, e dopo aver interiorizzato almeno cinquantamila chunks (letteralmente: “grossi pezzi”) di informazione.
Creatività e cultura: un intreccio indissolubile
Creatività e cultura sono intimamente intrecciate non solo negli studi che indagano
le dimensioni dell’ICC, l’industria culturale e creativa. Sono intrecciate perché l’una
alimenta l’altra.
La capacità di pensare in modo creativo e di inventare qualcosa di nuovo non è un
dono del cielo: è una conquista dell’individuo che decide di mettere a frutto un proprio
grande o piccolo talento: studia, impara, sperimenta con tenacia ostinata, dedizione
e passione. Lo fa per affermare se stesso. Per sfidarsi. Per curiosità e irrequietezza,
per tenere sotto controllo un disagio, per trovare una ragione di vita.
Lo fa essendo disposto a lavorare in modo intensivo (le persone creative sono in genere workaholic, e il problema non è convincerle a lavorare ma, se mai, a smettere).
Raramente lo fa – su questo tutti gli studiosi concordano – solo per soldi: la motivazione intrinseca (il senso di gratificazione e orgoglio che ciascuno trae dal proprio
saper pensare e saper fare, e dall’essere riconosciuto come persona capace) è, in
termini di produzione creativa, molto più potente di quella estrinseca, costituita da
premi materiali: la creatività ha una componente epica che andrebbe rispettata, e
mai sottovalutata.
18_19
L’altro dato da non sottovalutare, per il governante che, magari, decidesse di promuovere e sviluppare la capacità creativa nazionale in funzione anticiclica, è l’importanza del contesto nel favorire o contrastare la vocazione creativa dei singoli: e
“contesto” significa tante cose. Istruzione e formazione di buona qualità disponibili
per tutti, e valorizzazione sociale dell’essere istruiti e formati. Fluidità sociale e meritocrazia. Apertura culturale. Disponibilità di risorse e di finanziamenti, e trasparenza
nell’allocare le une e gli altri. Alta pressione sugli individui perché raggiungano risultati
eccellenti, ma disponibilità degli strumenti indispensabili per raggiungerli. E ancora,
capacità di integrare conoscenze, esperienze, generazioni, generi: diversi studi dimostrano che la creatività dei gruppi non è correlata tanto alla creatività individuale
dei singoli partecipanti quanto alla varietà di competenze, esperienze e prospettive
che ciascun gruppo esprime nel suo complesso.
In questa logica occorre sottolineare che istituire e promuovere in ogni campo, con
forza, un patto generazionale per il trasferimento di conoscenze può fare, per lo sviluppo della creatività nazionale, molto più e meglio che un “largo ai giovani” detto
così, a prescindere. In altre parole: buttar via l’acqua sporca insieme all’anziano
esperto può rivelarsi, nel tempo, una pessima idea.
Quali prospettive, nel paese che è stato il più creativo del mondo?
Ancora nel 2010 il ministro Giulio Tremonti, varando una Finanziaria che taglia i già
modesti investimenti nazionali sulla cultura, giustifica la propria scelta a muso duro
sostenendo che la cultura non si mangia.
Non è vero, né in senso metaforico né in senso letterale. Poco dopo uno studio European House – Ambrosetti dimostra che l’impatto economico di ogni euro investito
nel settore culturale genera 2,49 euro di risultato economico (diretto, indiretto e indotto). E che per ogni incremento di una unità di lavoro nel settore culturale si ottiene
un incremento totale delle unità di lavoro nel sistema economico di 1,65. A riportare
questi numeri con una certa soddisfazione è, tra gli altri, Famiglia Cristiana.
Gli ultimi dati disponibili riguardanti lo sviluppo delle imprese culturali e creative nazionali fanno capo al Rapporto Civita sull’industria culturale e creativa pubblicato a
novembre 2012: le imprese private italiane del settore sono poco meno di 180 mila
e rappresentano il 4,5% del totale nazionale delle imprese. Solo in Germania ce ne
sono di più (190mila). L’Industria creativa si addensa al Nord (il 54,2% del totale nazionale) e quella culturale al Centro (39,8%). Nelle regioni meridionali si trovano, rispettivamente, il 21,4% e il 13,1% dei centri di produzione. A Milano e a Roma si concentrano il 17,5% e il 17,2% degli addetti. Spesso le imprese sono piccolissime e stentano
non solo a fare sistema e a promuoversi, ma anche a tirare avanti.
Stiamo comunque parlando di 355.825 posti di lavoro, il 2,2% del totale nazionale.
È il 2,9% in Germania, il 3,0% in Spagna, il 3,2% in Francia e nel Regno Unito. In rapporto alla popolazione, il peso dell’industria culturale e creativa è maggiore nel Regno
Unito (105,4 addetti per 10 mila abitanti), seguito da Spagna (88,1), Francia (85,9) e
Germania (81,5). In Italia abbiamo solo 60 addetti per 10 mila abitanti.
Dunque perfino in Italia, perfino oggi, e con tutti gli evidenti ambiti di miglioramento,
i numeri del lavoro creativo restano importanti. E occorre ricordare che, ancora una
volta, dall’indagine manca ogni cenno alla creatività scientifico-tecnologica.
Eppure, alla base dell’invenzione di una proteina sintetica, di un film, del nuovo profilo
di un alettone o di una scultura o di un brano musicale c’è sempre un’intuizione, individuale o di gruppo, e un gran lavoro di ricerca e sviluppo. I linguaggi impiegati sono
diversi, come sono diversi gli ambiti e i processi nel loro dettaglio ma, come dire?, la
materia prima – il pensiero che sfida se stesso e la norma esistente per andare oltre
– è la medesima.
Sono identiche le esigenze delle persone che, nonostante i tempi grami e per pura
passione, decidono di mettersi in gioco nelle attività creative e troppo spesso si trovano (nei laboratori, negli studi professionali, nelle imprese, nelle case editrici, nelle
agenzie… o come singoli autori, ricercatori o artisti) ad affrontare situazioni di precarietà insostenibile e di sfruttamento, con scarsissime tutele, poca formazione struttu-
La crescita comincia dentro la nostra testa
Giovanni Carrada
20­_21
rata, e in un isolamento pressoché totale proprio perché il sistema è frammentato, le
imprese sono minuscole, il riconoscimento sociale del lavoro creativo è scarsissimo,
le politiche di sviluppo sono inesistenti e l’eterogeneità dei compiti e degli ambiti sembra impedire alle persone stesse che svolgono lavori creativi di riconoscersi come
appartenenti a un’unica, grande, multiforme categoria che potrebbe, e dovrebbe,
rivendicare con orgoglio la propria importanza.
In questi anni non stiamo attraversando una crisi. Ne stiamo attraversando due.
La prima è la crisi finanziaria internazionale iniziata nel 2008, che presto finirà. La seconda è invece iniziata molto prima e probabilmente finirà molto dopo, ed è causata
dalla nostra difficoltà ad adattarci a un mondo che sta cambiando rapidamente. Sia
personalmente sia come società, continuiamo spesso a regolarci come se vivessimo
ancora in un mondo che non c’è più.
Forse è venuto il momento di cambiare le cose anche nel nostro Paese, che secoli
fa – non certo oggi – è stato sì il più creativo del mondo. E potrebbe tornare, se solo
sapesse coltivare i propri talenti, a conquistarsi un buon ruolo nella produzione di
idee che generano ricchezza, benessere e crescita, non solo materiale.
La pesante crisi sistemica attuale potrebbe trasformarsi in un’opportunità. Perché
questo succeda, è però indispensabile che si diffonda tra gli italiani la consapevolezza di quanto valgono le idee, e prima ancora di che cosa significa “pensiero creativo”,
e di come questo sia strategico per affrontare un futuro incerto e necessariamente
segnato da cambiamenti vorticosi.
Quella che oggi chiamiamo “crisi” domani ci sembrerà forse soprattutto una grande
trasformazione. Siamo infatti in mezzo alla transizione fra un’economia industrale novecentesca e un’economia basata sulla conoscenza e la creatività, nella quale l’innovazione, a qualsiasi livello e in qualsiasi settore, ha un valore centrale. Tra una società
e un’economia in cui tutti sanno che cosa devono fare e una società e un’economia
in cui sempre più persone devono trovare soluzioni nuove a problemi nuovi.
Inizia così la presentazione della mostra Benzine – le energie della tua mente prodotta dalla Fondazione Marino Golinelli.
Se c’è un buon punto da cui partire per svolgere il compito fondamentalissimo di
spiegare, mostrare, raccontare, educare, suscitando - anche - l’emozione e la speranza che sono indispensabili al nascere di una visione nuova, è proprio questo.
Fino a ieri vivevamo infatti in una sorta di isola protetta chiamata “mondo occidentale”.
Protetta da frontiere commerciali, dalla sua superiorità tecnologica, da un livello economico, sociale e culturale incomparabilmente più alto rispetto agli altri paesi. In quel
mondo, eravamo noi a dettare le regole.
A cominciare dagli anni Novanta, con la fine della Guerra Fredda che direttamente
o indirettamente aveva “congelato” intere regioni in sistemi politici ed economici che
non funzionavano, il resto del mondo si è svegliato.
Le frontiere si sono aperte al commercio e alla finanza internazionali e profonde riforme economiche hanno rimesso in moto le economie di enormi paesi, come l’India
e soprattutto la Cina. Il mondo è all’improvviso diventato più grande, basti pensare
all’arrivo sulla scena internazionale di oltre un miliardo e trecento milioni di cinesi, la
cui economia negli ultimi trent’anni è cresciuta cento volte, fino a diventare la seconda del mondo. E i nuovi protagonisti non forniscono più solo manodopera a basso
costo: sempre la Cina è oggi il paese che produce più laureati.
In tutto questo, un ruolo fondamentale l’ha giocato lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni. Il mondo è diventato più grande anche perché
tutti possono comunicare e collaborare in tempo reale con tutti, un privilegio prima
riservato a piccole élite. Così oggi nel mondo ci sono già due miliardi e mezzo di
connessioni Internet, il 60% delle quali nei paesi emergenti, e sei miliardi di abbonamenti alla telefonia cellulare, tre quarti dei quali nei paesi emergenti. E la possibilità di
comunicare ha un impatto enorme sulla vitalità economica: un aumento del 10% nella
22­_23
diffusione della banda larga, cioè dell’Internet veloce, produce un aumento dell’1%
nella ricchezza prodotta da un paese avanzato, e un aumento ancora maggiore in un
paese emergente.
Il risultato sono state una crescita economica globale come non se ne erano mai
verificate prima nel corso della storia, e la diffusione del benessere a enormi masse di
persone che ne erano sempre state escluse. Accompagnate, tuttavia, da una serie
di forti squilibri sociali, culturali e ambientali.
Si è però anche sviluppata una competizione economica molto più intensa, all’inizio
su produzioni ad alta intensità di manodopera non specializzata, come abbigliamento, giocattoli, assemblaggio di apparecchi elettronici, che poi si è via via estesa anche
a prodotti e servizi sempre più sofisticati, dall’informatica indiana ai sistemi di telecomunicazione cinesi, agli aeroplani brasiliani. Sotto la spinta di questa competizione,
intere industrie e antichi primati del mondo occidentale, quindi anche italiani, sono
stati spazzati via o comunque fortemente ridimensionati. Viviamo ormai in mondo
“multipolare”, senza potenze dominanti.
Ma la rivoluzione tecnologica ha avuto anche altre profonde conseguenze. Milioni di
posti di lavoro un tempo appartenuti ai “colletti bianchi” o alle “aristocrazie operaie”
delle classi medie nate dopo la Seconda Guerra mondiale sono stati sostituiti dai
computer negli uffici e dall’automazione nelle fabbriche. Le funzioni basate sull’applicazione di regole fisse vengono affidate a delle macchine, più affidabili e soprattutto
più economiche.
La possibilità di comunicare facilmente e a bassissimo costo da un capo all’altro del
pianeta ha permesso di portare in altri paesi molte produzioni, dalle scarpe alle automobili, agli stessi computer, oppure di frammentarne la produzione in tanti paesi, salvo poi riunirne i pezzi grazie a lunghe e complesse supply chain. Persino la produzione di un oggetto sofisticato come il nuovo Boeing 787, un grande aeroplano civile, è
oggi suddivisa fra oltre cento aziende di dieci paesi fra i quali Cina, Giappone e Italia,
oltre che Stati Uniti. Il lavoro va dunque dove è più conveniente produrre, ma sempre
più spesso anche dove ci sono le persone capaci di inventare e di progettare. In India
per i software, in Italia per l’arredamento di design, in California per i computer.
Anche i vecchi pilastri della ricchezza di un paese – terra, braccia, risorse naturali
– tendono infatti infatti a contare sempre meno. Al loro posto diventa sempre più importante l’innovazione, non solo nell’alta tecnologia ma anche nei processi produttivi,
nell’organizzazione, nella digitalizzazione, nei servizi di ogni tipo: dal cibo alla finanza.
Più che sulle economie di scala permesse dalla semplice produzione di massa, come
in passato, oggi il valore lo creano le nuove idee, quasi sempre basate però su conoscenze molto complesse. Innovare in agricoltura o nell’offerta di viaggi può essere
oggi altrettanto complicato che innovare nelle assicurazioni o nella microelettronica.
Spesso le nuove idee sono il frutto della connessione fra imprese, conoscenze, servizi o persone diverse resa possibile da Internet: dai servizi di prenotazione del tavolo
al ristorante alla vendita online ormai alla portata anche di singole persone, alla creazione collettiva di nuovi software. E siccome le nuove idee nascono da altre idee, che
oggi si scambiano come mai era stato prima possibile, ecco che anche l’innovazione
sta accelerando come mai prima.
Se fino a ieri era limitata ai prodotti fatti di bit, oggi la possibilità per chiunque di realizzare qualcosa si sta estendendo anche agli oggetti. Le nuove stampanti 3D consentono infatti di fabbricare oggetti in diversi materiali a basso costo, quasi come le
grandi fabbriche.
Così possono diventare globali non solo le grandi corporation, ma anche le piccole
aziende e i microimprenditori: in pratica, per sempre più persone con una buona
idea è possibile sviluppare, produrre e vendere ovunque sia quello producono, sia
quello che sanno.
Sta quindi rapidamente cambiando anche il mondo del lavoro, dove vecchie competenze e vecchi mestieri muoiono per far posto ai nuovi, ma dove può anche succedere che vecchi mestieri conoscano una seconda vita: persino una produzione
24­_25
artigianale di merletti italiana può trovare clienti in Asia o in Nordamerica.
Il valore della conoscenza e dell’innovazione, unito alla possibilità di spostare produzione e servizi in qualsiasi punto del mondo, non sta solo creando opportunità diverse fra paesi più attrezzati e paesi meno attrezzati. La nuova economia tende anche
a creare due classi distinte di lavoratori: quella dei ricchi creatori di prodotti o servizi
nuovi e sofisticati e quella dei poveri produttori di oggetti di massa o impiegati nei
servizi più basici. Se ieri le distinzioni correvano soprattutto tra una parte del mondo
più ricca e un’altra più povera, oggi corrono all’interno di ciascun paese, dove si può
formare una “sottoclasse” di persone tagliate fuori.
Quella che è stata chiamata la “classe creativa”, e che ha vinto in questi anni, è composta da persone istruite, capaci di creare qualcosa di nuovo, sempre pronte a imparare e a reimparare ancora, a reinventarsi, in grado di capire da sole che cosa fare
anche se lavorano per un’impresa. E possono essere professionisti come artigiani
specializzati, imprenditori come creatori di applicazioni per tablet e smartphone. Ma
tutti gli altri?
La via d’uscita ce la indicano alcuni dati paradossali: nel 2011, cioè in piena crisi,
c’erano in Italia ben 117.000 posizioni disponibili per mancanza di persone con la
qualificazione necessaria per occuparle. E la stessa cosa è stata registrata nel 2012
negli Stati Uniti, dove le posizioni disponibili erano tre milioni nonostante un tasso di
disoccupazione all’8%.
Dalla crisi, quella più profonda, possiamo quindi uscire solo se questo tipo di capacità si allargherà anche al resto della società. Dovremo cioè riuscire a compiere uno
sforzo paragonabile a quello iniziato cento anni fa, quando i figli di milioni di lavoratori
della terra cominciarono ad andare a scuola e poi a lavorare nelle fabbriche o nelle
altre organizzazioni della nuova società industriale. Oggi bisogna fare un altro passo
avanti e mettere a frutto l’enorme patrimonio umano rimasto ancora inespresso, ma
anche riparare degli squilibri sociali che non possono essere tollerati a lungo.
Rimetterci al passo con i grandi cambiamenti in corso nel mondo dipende naturalmente da grandi scelte collettive, quindi politiche, sul funzionamento delle nostre
società. Richiede ad esempio di investire molto di più nell’istruzione e nella ricerca,
quindi nella formazione dei giovani, tutti beni pubblici i cui benefici si riverberano dalle
persone all’intera società. Non solo in termini di risorse materiali, ma soprattutto di
attenzione, impegno e verifica continua dei progressi fatti.
Si può forse avere l’impressione, a questo punto, di dover fare un grande sforzo, che
dovremmo cambiare solo perché costretti dalle nuove dure circostanze. Prima, non
vivevamo forse su un’isola protetta? In realtà, questo grande cambiamento offre per
la prima volta alla maggior parte delle persone l’opportunità di conciliare finalmente la
realizzazione economica con la realizzazione personale. Solo gli occhiali della nostalgia ci possono impedire di vedere che nel mondo di ieri quasi tutti erano (e in parte
ancora sono) semplici esecutori di obiettivi e procedure pensati da qualcun altro.
Possiamo invece sperare di essere molto di più che semplici robot, e diventare tutti
persone in grado di creare qualcosa che esprime chi siamo, di crescere personalmente e di scegliere il proprio futuro. Soprattutto se siamo giovani, e la nostra vita
la stiamo costruendo o la stiamo cominciando proprio adesso.
Poiché è solo nella nostra testa che, grazie alla creatività, la conoscenza può essere
trasformata in innovazione, è innanzitutto in noi stessi che dobbiamo trovare le vere
risorse che ci servono.
Per questo abbiamo scelto di raccontare sette risorse della mente, sette “benzine”
che tutti possiamo conoscere meglio e sviluppare perché sono elementi fondamentali dell’essere uomini e donne:
l’arte, cioè la capacità di vedere in modo nuovo e di immaginare qualcosa di nuovo;
le idee, la vera moneta del nuovo mondo;
la creatività, ovvero la capacità di produrre idee originali;
L’energia rinnovabile dell’arte
Cristiana Perrella
26­_27
gli altri, quindi la collaborazione con le altre persone;
il nuovo, cioè la capacità di capire, adeguarsi e guidare i cambiamenti;
saper imparare, vale a dire la voglia e gli strumenti per continuare a imparare o a
usare quanto già imparato in situazioni nuove;
la passione, cioè la capacità di motivarsi da soli per riuscire sempre meglio in vista di
obiettivi più grandi del nostro interesse personale.
La mostra ne parla attraverso la sensibilità di alcuni artisti, ma anche e soprattutto attraverso quello che oggi sappiamo, più di ieri, sul funzionamento della nostra
mente. L’altra buona notizia infatti è che tutti possiamo sviluppare queste capacità.
Forse la più grande scoperta della psicologia e delle neuroscienze di questi anni
è che le risorse della nostra mente non sono fisse, perché il cervello è un organo
che si adatta più di tutti gli altri a quello che gli chiediamo o gli permettiamo di fare.
Uscire dalla crisi, insomma, dipende alla fine da quello che ciascuno di noi riuscirà a
tirare fuori dalla propria mente. La crescita oggi tanto invocata comincia dalla nostra
crescita personale.
Capri-batterie (1985) è una delle ultime opere di Joseph Beuys, un multiplo costituito da un limone connesso a una lampadina verniciata di giallo, che (potenzialmente) si accende grazie al noto processo per cui corrente a bassa tensione
viene prodotta con l’uso di acido citrico e rame. Beuys la realizza mentre si trova a
Capri, cercando di curare al calore del sole mediterraneo una malattia polmonare.
L’elettricità che fluisce dal frutto, illuminando la lampadina, sembra rappresentare
la carica di energia vitale necessaria per il fisico debilitato dell’artista. Allo stesso
tempo l’opera comunica, con la sua straordinaria sintesi formale, una riflessione
poetica e più universale sull’energia rinnovabile, tema molto caro a Beuys, noto per
l’impegno ecologista che lo porta a essere il fondatore del movimento dei Verdi in
Germania. Con il suo colore brillante e il suo profumo, il funzionamento elementare
e quasi magico, Capri-batterie sembra suggerire che l’unione di arte, scienza e
natura possa nutrire e risanare una cultura (o un individuo) sofferente. È l’ennesimo
e ultimo atto di fede di un artista–sciamano -che con le sue azioni e le sue sculture
ha inteso espandere il concetto d’arte, permeando la vita di atti creativi- nella trasformazione, sia spirituale sia materiale, che l’arte può operare sulla società contemporanea. Una trasformazione spesso associata, nei suoi lavori, al concetto di
energia fisica, usata come potente metafora, immediatamente e universalmente
suggestiva.
Cambiare lo stato delle cose, trasformarle, produrre il nuovo; nella sua forma più
astratta, nella sua definizione più generica, questi sono infatti i poteri attribuiti all’energia. Energia è la capacità di un corpo o di un sistema di svolgere un lavoro, di
agire e dunque di provocare un cambiamento.
L’arte è per questo un combustibile essenziale, anzi una fonte rinnovabile di energia, perché proviene da quelle due matrici gemelle, perennemente generative, che
sono il linguaggio e l’immaginazione. Ogni forma di creazione culturale, sia essa
28_29
opera d’arte o romanzo, poesia, saggio filosofico, film, è espressione di un’energia attraverso la quale i nostri modelli di pensiero interagiscono con il mondo, ci
aiutano a vederlo e, così facendo, a giudicare e a orientare la nostra azione su di
esso. Senza questa energia culturale una società non può vivere, non meno che
senza le risorse energetiche materiali. Non solo, ma è proprio la cultura ad aiutarci
a comprendere come fare di quest’ultime il miglior uso, alimentando in noi la consapevolezza del legame tra i nostri stili di vita e il mondo, umano e naturale, su cui
essi ricadono.
A differenza di forme espressive e comunicative che si consumano nell’immediato, l’arte nutre la coscienza critica di una società. Proprio perché si generano con
modi differenti e in tempi più lunghi di quelli del circuito ininterrotto di produzione e
consumo, le opere d’arte hanno il potere di trasmettere alla società quell’energia
che le consente di fare i conti con la natura e con se stessa, con i propri bisogni, ma
anche con le proprie criticità, permettendole così di reinventarsi continuamente,
ripensare i propri valori e i propri stili di vita, proiettarsi verso il futuro.
È su questa convinzione, che il circuito energetico della creatività, della cultura, sia
la vera grande spinta dinamizzatrice di una società, che si fonda la mostra Benzine.
Sulla necessità, come affermava Beuys, della scoperta individuale del proprio potenziale creativo in grado di modificare il mondo, soprattutto in un momento storico, come il nostro, in cui i punti di riferimento, i sistemi di valori cambiano con rapidità sconcertante. Le opere scelte per accompagnare le varie sezioni del percorso
espositivo intendono proporre diversi punti di vista sulle energie della mente, le
sette “benzine”, individuate come risorse dal cui sviluppo dipende la nostra possibilità di crescere, di cambiare per il meglio.
Ad aprire la mostra è l’idea di arte come capacità di vedere la realtà con occhi
diversi, stimolando nuove percezioni e nuovi stati d’animo. È quello che fa Terence
Koh, utilizzando spesso materiali banali, oggetti quotidiani, trasposti in un’estetica classica,
quasi archeologica, nelle sue installazioni che diventano per il visitatore esperienze surreali.
Sottilissime polveri bianche (o talvolta nere) ricoprono oggetti o interi spazi creando una lattiginosa, sospesa e congelata atmosfera di attesa, densa di pathos. Ogni suo lavoro nasconde
domande sul senso della vita, interrogativi spesso non risolti che vengono posti dall’artista
attraverso la giustapposizione di quelli che chiama “frammenti d’universo”, elementi disparati
che rimandano a suoi ricordi d’infanzia, a immagini fantastiche, all’arte, alla storia, al sesso
ma anche alle cose più ordinarie, ad esperienze quotidiane, tutto connesso da legami inaspettati e totalmente personali, che, come sinapsi, attivano la trasmissione di un pensiero
diverso sul mondo.
L’abilità di cambiare lo stato delle cose attraverso la creatività, anche solo con spostamenti
impercettibili all’interno di una situazione data, è ciò che emerge anche dalle fotografie di
Gabriel Orozco. Osservando i suoi scatti viene alla luce tutta la poeticità insita nei contesti
più scontati, semplicemente grazie al cambio di prospettiva operato dall’artista. Nelle foto di
Orozco, “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”: basta un abbinamento insolito, un
movimento silenzioso, perché la scena cambi completamente e acquisti un nuovo significato.
Se le idee sono carburante, è fondamentale garantirne una circolazione; è quello che fanno i
Superflex, un collettivo di artisti danesi che dal 1993 dà vita a strategie comunicative appropriandosi di volta in volta di idee già esistenti ma rielaborandole e riattualizzandole in chiave
contemporanea. Ne è un chiaro esempio il progetto Copyshop, un vero e proprio spazio
commerciale che si propone di discutere il concetto di valore e quindi di originalità, nello
stesso luogo dove questo concetto nasce ed è distribuito, cioè il mercato. Forum di discussione sui limiti legali ed etici della riproduzione ma anche vero e proprio negozio, Copyshop
propone in vendita prodotti che mettono alla prova il concetto di proprietà intellettuale, che
siano originali modificati, copie migliorate, contro-loghi politici come la Mecca Cola o Supercopy, nuovi originali, opere in cui si rivendica la possibilità di creare il nuovo partendo da lavori
già esistenti, come in I Copy Therefore I Am, tratto dal celeberrimo I Shop Therefore I Am di
Barbara Kruger.
30_31
La creazione del nuovo è anche alla base del video di Peter Fischli e David Weiss;
stavolta però il processo è attivato in modo (apparentemente) del tutto casuale,
tramite una reazione di eventi a catena che sembra annunciare un imminente disastro ma che in realtà mette in campo una sequenza di movimenti e trasformazioni
incredibilmente coordinate tra loro. Come registi dietro le quinte, gli artisti innescano il processo in cui ogni movimento, ogni cambiamento di stato, porta una
conseguenza, una metamorfosi, una distruzione produttiva.
Nell’attribuire alle energie della mente un ruolo fondamentale come motore per la
costituzione di un nuovo stato di cose, un ruolo rilevante all’interno della mostra
è stato attribuito ai progetti collettivi che si fondano sull’interazione e la condivisione con gli altri per una riuscita corale. Marinella Senatore, artista e filmmaker,
ha impostato gran parte della sua ricerca sulla produzione di film “collettivi”, dove
attori, scenografi, sceneggiatori sono reclutati direttamente in loco tramite provini.
Il lavoro site-specific e i rapporti interpersonali che di volta in volta si creano rappresentano il focus dell’opera, che risulta sempre uno spaccato affascinante su un
particolare contesto socio-culturale. Era successo con Noi simu, uno dei film più
noti dell’artista, succede anche con Variations, nel quale alle fasi di realizzazione fa
da sfondo la realtà multietnica del Lower East side newyorkese.
Altro esempio di lavoro collettivo è quello che Tim Rollins conduce ormai da
trent’anni con i K.O.S., “i bambini della sopravvivenza”, gruppo dalla conformazione sempre diversa dove i singoli sono ormai un’unica identità collettiva. Le opere di
Rollins sono il risultato di un lungo di lavoro di ricerca e di studio, di confronto e di
dialogo, portato avanti con i K.O.S., suoi giovani allievi e non solo. Ancor più dell’attività artistica è soprattutto la vocazione didattica a caratterizzare il lavoro di Rollins,
volto a stimolare i ragazzi a saper imparare e a dar loro la possibilità di esprimere
il proprio potenziale creativo, di dare forma alle loro energie sotto forma di idee.
Se l’insegnamento ha la funzione di “raffinare” le idee e di farle crescere, la passione
è lo stimolo personale che permette di portarle avanti. Nel suo video Casting, João
Onofre ci racconta però come, soprattutto tra le generazioni più giovani, sia sempre più difficile trovare le giuste motivazioni. La gravità della celebre frase pronunciata da Ingrid Bergaman nel finale del film Stromboli di Roberto Rossellini, “Che
io abbia la forza, la convinzione e il coraggio”, sembra risuonare nel vuoto, priva di
ogni forza e trasformata in un motto inutile senza alcun significato.
A ristabilire il giusto livello di elettricità nell’aria ci pensano i RAQS, con i quali simbolicamente la mostra si chiude: tornando all’assunto iniziale per cui l’energia è il
potere di cambiare le cose, il collettivo di artisti indiani fa proprio questo concetto
coniando una parola inesistente dall’implicita carica rivoluzionaria: “Revoltage”. Tra
voltaggio e rivolta, in un’esplosione di energia elettrica che ricorda le luminarie da
festa, i RAQS sembrano ricordarci l’alto potenziale delle idee, talmente alto da essere l’unica cosa davvero in grado di cambiare le cose, ovvero di far esplodere una
– forse utopistica – rivoluzione.
ARTE
Terence Koh
34­_35
Cinese di nascita, cresciuto in Canada e newyorkese d’adozione, Terence Koh (Pechino, 1977; vive a New York) ha fatto della contaminazione di linguaggi e materiali
diversi il tratto distintivo della sua ricerca. L’utilizzo di media tradizionali, quali pittura,
scultura, fotografia, si accompagna alla creazione di libri d’artista o prodotti eccentrici come i sex toys. Nella sua opera le influenze punk e underground (che l’hanno fatto
conoscere nell’ambiente artistico con l’appellativo di asianpunkboy), con numerose
incursioni nel mondo pornografico e delle celebrities, si mescolano ad una spiritualità
propria delle sue origini orientali, evidente nella scelta di materiali che alludono alla
fugacità della vita e nell’uso del monocromo, bianco o nero, a cui viene attribuito un
forte valore simbolico.
Untitled (White Light #1), già presentata alla Kunsthalle di Zurigo e al Whitney Museum di New York, è un’installazione che si compone di 42 vetrine contenenti diverse
tipologie di oggetti, compresi alcuni materiali organici. Dipinti di bianco, immersi in
una luce accecante e presentati come fossero reperti archeologici della contemporaneità, gli elementi scelti e ingabbiati dall’artista sembrano comporre una sorta di
moderno reliquiario. L’uso del bianco rimanda alla diversa simbologia che questo
colore rappresenta nel contesto occidentale - dove è simbolo di nascita e purezza - e
in quello orientale, dove invece allude alla morte; allo stesso modo, il contenuto delle
vetrine sembra aver subito un processo di purificazione ma anche aver rinunciato alla
propria vitalità. Come in molte altre opere, Terence Koh affronta qui il rapporto tra
la vita e la morte restituendo l’immagine di una bellezza malinconica e portando ad
interrogarsi sull’identità e sulla storia di oggetti qualsiasi che, trasformati dall’artista
in qualcosa di prezioso, hanno ormai perso il loro legame originario con la realtà,
stimolando nuove percezioni e nuovi stati d’animo.
Terence Koh
Untitled (White Light), 2006
Installazione, materiali diversi tra cui vernice, gesso, cera, porcellana,
legno, metallo, ossa, teschi, plastica, bronzo e materiali organici
in 42 vetrine di vetro.
Dimensioni variabili (in figura 272 x 185 x 190 cm)
Collezione privata, Bologna
La ragione non è niente
senza l’immaginazione.
Cartesio
36_37
Prima di fare, dobbiamo immaginare. È vero per qualsiasi cosa: un’opera d’arte come un’attività commerciale, una scoperta scientifica, una casa, una campagna pubblicitaria, un’associazione, un’invenzione, un
progetto qualsiasi.
Negli ultimi anni, le neuroscienze hanno cominciato a indagare questa radice comune a ogni nuova
impresa umana. Lo studio del cervello con l’aiuto
della risonanza magnetica funzionale, che permette di vedere quali regioni sono attive mentre
svolgiamo un compito, ha rivelato che quando vediamo e quando immaginiamo usiamo molti degli
stessi circuiti neurali. In pratica, l’immaginazione è
un po’ una visione che funziona al contrario.
La visione però non è una semplice registrazione
degli stimoli luminosi che raggiungono la retina, ma
qualcosa che è stato filtrato dalla mente. Il cervello infatti cerca di risparmiare energie: quando una
cosa ci sembra ormai familiare, non la guarda più
bene, ma la “indovina”, per così dire, in base alle
proprie aspettative e alle esperienze del passato.
E quando la deve immaginare, fa la stessa cosa.
Per immaginare come cambiare qualcosa, dobbiamo prima imparare a vederla con occhi nuovi. Non
c’è quindi cosa migliore per stimolare l’immaginazione che vedere qualcosa di insolito, ad esempio
frequentando ambienti diversi, coltivando nuovi interessi, conoscendo persone nuove o viaggiando.
Le nuove circostanze costringono il nostro sistema visivo a prestare nuova attenzione, a cambiare
aspettativa o punto di vista, quindi a notare aspetti
o problemi diversi. In pratica a vedere – e quindi poi
a immaginare – cose nuove.
Per poter ritrarre il mondo – quello esterno come
quello interiore – in un modo unico e originale, gli artisti l’hanno sempre innanzitutto visto con occhi nuovi.
La loro immaginazione si distingue poi per una
libertà in più. Mentre un imprenditore si deve
confrontare con le condizioni del mercato, uno
scienziato con le leggi della natura e la verifica sperimentale, e un architetto con i materiali disponibili e i costi, oggi un artista può tradurre in realtà il
prodotto della sua immaginazione senza neppure
il vincolo delle poche tecniche a disposizione, o di
temi e canoni stilistici fortemente condizionati dalla
tradizione, come in passato.
Un artista ha ormai ben pochi limiti nella sua esplorazione della realtà. L’arte può quindi aiutare tutti
noi ad abituarci a guardare il mondo con occhi nuovi, liberandoci di vecchi schemi mentali, a immaginare anche nuove soluzioni ai nostri problemi. In
famiglia, a scuola, sul lavoro o nella società.
L’arte insomma non è un semplice abbellimento,
ma un modo per riprogrammare la nostra percezione, arricchire la nostra mente e nutrire la nostra
immaginazione.
EXHIBIT
LE IDEE
Superflex
40_41
Fondato nel 1993 da Jakob Fenger, Rasmus Nielsen e Bjørnstjerne Christiansen,
Superflex è un collettivo di artisti danesi che ha scelto un’identità aziendale per dar
vita a progetti che attraversano diversi ambiti, in particolare le arti visive, la musica e il
design. Con uno sguardo al sociale, i lavori di Superflex rielaborano riferimenti e citazioni dalla cultura di massa o dalla storia dell’arte per suscitare una riflessione sulle dinamiche di comunicazione, ricezione e appropriazione nella società contemporanea.
I Copy Therefore I Am è un manifesto che ricalca, anche nella grafica, il celebre slogan I Shop Therefore I Am, titolo e soggetto di una delle opere più famose dell’artista
americana Barbara Kruger. Realizzato nel 1987, il lavoro della Kruger si ispira a sua
volta all’assunto cartesiano “Cogito ergo sum” (Penso quindi sono) per puntare i riflettori sul consumismo e la cultura di massa, utilizzando una veste grafica attraente
per muovere una critica sottile ma esplicita al fenomeno che vede l’acquisto compulsivo sostituirsi al pensiero nella definizione dell’identità personale e collettiva. Partendo dallo slogan di Barbara Kruger, i Superflex operano un passaggio successivo che
segna simbolicamente l’avvento di una nuova era: non è più il “comprare” l’essenza dell’uomo contemporaneo ma il “copiare”, ovvero l’appropriarsi di idee e modelli
preesistenti per trasformarli e poi farli circolare, in modo che assumano una forma
sempre diversa e potenzialmente sempre nuova. Come in altri lavori del collettivo
danese, I Copy Therefore I Am insiste sulla messa in crisi del concetto di copyright,
mostrando come il confine tra i concetti di copia e originale sia sempre più labile.
SUPERFLEX
I Copy Therefore I Am, 2009-2011
Stampa fotografica su vinile, 282 x 287 cm
Edizione di 3, +1 AP
Courtesy Nils Stærk, Copenhagen; Photo credit AndersSuneBerg
Il modo migliore
per avere una buona idea
è avere tante idee.
EXHIBIT
Linus Pauling
42­_43
In passato, il modo migliore per arricchirsi era quello di impossessarsi di risorse fisiche, come terra,
minerali, legna o braccia: per queste cose si facevano le guerre. Oggi, invece, la vera base della crescita economica sono le idee. Anzi, le nuove idee.
Per questo i paesi più avanzati non sono quelli più
ricchi di risorse naturali, ma quelli i cui abitanti sono
più istruiti e più creativi nella scienza, nella tecnologia, nel commercio o nella finanza. E la stessa cosa
avviene con le persone: uno studente universitario
con l’idea giusta può dar vita a Facebook.
Una parte sempre maggiore di ogni prodotto o
servizio non è infatti costituito da cose ma da idee:
quasi il 60% del prezzo di vendita di un iPhone va
alla Apple, che non lo costruisce ma ha avuto l’idea, l’ha progettato e possiede il marchio. E c’è
una differenza importante fra le cose e le idee, che
ha una conseguenza importante per la crescita
economica, così come per la creazione di valore
per una persona o un’organizzazione.
Se io ho un telefono, che è una cosa, e lo do a te, io
non lo posso usare più. Ma se io ti do l’idea del telefono, la possiamo usare tutti e due. Non solo. Tutti
e due possiamo migliorarla aggiungendovi nuove
idee. Possiamo fare un telefono più leggero, con più
funzioni, con la batteria che dura più a lungo, e così
via, e poi scambiarci anche queste idee. Le idee che
vengono usate da più persone non si consumano,
come avviene con le cose, ma si arricchiscono. In
altre parole, più cose si inventano, più cose si possono inventare: per questo, a mano a mano che più
persone nel mondo creano, comunicano e collaborano, il ritmo dell’innovazione continua a crescere.
La seconda sorpresa è che le idee permettono di
superare i limiti delle cose, creando risorse che prima non esistevano. Con la stessa quantità di silicio
contenuta in un chip di trent’anni fa si può fare oggi
un chip quasi centomila volte più potente, grazie a
tutto quello che nel frattempo abbiamo imparato
sulla fabbricazione dei chip. Il grano produce oggi
anche sette volte di più rispetto a cento anni fa grazie all’invenzione di fertilizzanti e agrofarmaci e alla
creazione di nuove varietà con l’aiuto della genetica.
Questo progresso può essere accelerato favorendo la circolazione delle idee. L’attuale sistema di
protezione della proprietà intellettuale per mezzo
di brevetti è nato per incoraggiare gli innovatori
– persone o aziende – garantendo loro di poterli
sfruttare per un certo periodo. Col tempo, però, la
durata dei brevetti e il tipo di idee che questi possono proteggere si sono estesi sempre più, fino a
diventare in alcuni campi un ostacolo serio all’innovazione perché le idee, come abbiamo visto,
sono nate per essere copiate. Oppure possiamo
far nascere più idee, investendo sull’istruzione e
sulla creazione di ambienti di studio e di lavoro più
aperti e stimolanti. Perché le nuove idee possono
nascere solo dalla nostra testa.
COSTO DEL LAVORO
VALORE DELL’IDEA
LA CREATIVITà
Gabriel Orozco
46­_47
Poliedrico, giocoso, ironico, il lavoro di Gabriel Orozco (Jalapa, Veracruz, Messico,
1962; vive a New York, Parigi e Città del Messico) si caratterizza per l’attenzione agli
oggetti quotidiani e alle relazioni, anche casuali, che tra essi intercorrono.
Costante della sua ricerca è il processo di alterazione a cui tali oggetti vengono sottoposti e attraverso il quale l’artista invita a guardare con altri occhi e secondo altre
prospettive ciò che più ci è familiare.
Tra le sue opere più celebri vi sono la DS (1993), una Citröen di colore argento che
l’artista ha diviso in tre parti e poi ricomposto togliendo quella centrale, e Black Kites
(1997), un teschio vero su cui sono stati disegnati a matita degli scacchi romboidali
in stile optical.
Nelle sue serie fotografiche realizzate negli anni Novanta, Orozco lavora sulla stessa
linea, cogliendo situazioni insolite, presentando oggetti secondo inediti punti di vista
o operando, con sensibilità scultorea, piccoli spostamenti all’interno di una situazione preesistente, come nel suo celebre scatto Cats and Watermellons, dove scatolette di cibo per gatti sono appoggiate su cataste di angurie in un supermercato e
gli occhi dei gatti raffigurati sull’etichetta sembrano diventare quelli dei cocomeri. Il
risultato è sempre costituito da immagini che, nella loro semplicità, si rivelano sorprendenti e suggestive, rivelando inaspettate qualità formali del reale e donando un
nuovo senso alle cose.
Focalizzandosi sugli aspetti più effimeri e sui dettagli meno nobili di situazioni ordinarie, spesso in riferimento al contesto urbano, Orozco li decostruisce e capovolge
offrendoci uno spaccato affascinante e insospettabilmente poetico della realtà di tutti
i giorni, da riscoprire grazie allo sguardo dell’artista.
Gabriel Orozco
Cats and Watermelons, 1992
Stampa cromogenica a colori, 31.5 x 47.3 cm
Courtesy Marian Goodman Gallery, New York
Creatività è connettere cose.
EXHIBIT
Steve Jobs
48­_49
Creatività significa prendere elementi già esistenti
per fare qualcosa di nuovo e di utile. In altre parole,
serve a trasformare la conoscenza in innovazione.
In realtà, i prodotti della creatività sono anche imprevedibili, nel senso che non sono in alcun modo
il frutto di una formula, una ricetta o – più precisamente – un algoritmo. Sono invece il frutto di un’associazione individuata dalla mente fra i tantissimi
materiali che ha accumulato attraverso processi di
cui non siamo coscienti. Per questo ci sorprendono sempre. Purtroppo non possono uscire da un
computer (o forse per fortuna, altrimenti saremmo
tutti sostituibili).
La nascita di una nuova idea resta quindi un mistero della nostra mente. L’osservazione di moltissimi
casi di creatività – nelle scienze, nelle arti, nell’imprenditoria, nella soluzione dei problemi della vita
di ogni giorno – rivela però che questo processo
ha delle fasi spesso (ma non sempre) riconoscibili.
Tutto ha inizio con la percezione di un problema,
una sfida o una mancanza, e con la voglia di fare
qualcosa al riguardo. La creatività non si applica
infatti ai problemi chiari, ben strutturati e circoscritti, per i quali basta applicare delle tecniche di
problem solving, ma alle questioni non strutturate,
nuove, difficili persino da definire.
La fase successiva è la preparazione e consiste nel
raccogliere e organizzare informazioni e materiali.
A volte questa fase può durare anche anni, e richie-
de studio, applicazione e pazienza. Si continua ad
affrontare il problema da più punti di vista, ad accumulare soluzioni di problemi analoghi, a sbatterci
la testa contro.
Poi viene la fase di incubazione, che consiste nella
ricerca di un nuovo senso nei dati raccolti. La mente si rigira il problema in tanti modi, ma il processo è
essenzialmente inconscio. Anzi, se ci si pensa consapevolmente, è difficile che si arrivi alla soluzione,
perché si continua a tornare sulle solite idee, già
scartate. A questo punto è meglio lasciare stare il
problema. È infatti nel momento in cui ci rilassiamo
che la mente è più libera di fare nuove associazioni,
superando gli schemi mentali che normalmente ne
limitano la prospettiva.
Ora può avvenire l’insight, il momento dell’illuminazione, quello in cui improvvisamente la soluzione ci
appare, chiarissima e sorprendente. È il momento
in cui Archimede salta fuori dalla vasca da bagno
gridando “eureka”, “ho trovato”. Quello in cui alcuni
degli elementi raccolti si collegano fra loro in modo
nuovo e inaspettato.
L’ultima fase è quella di verifica, che consiste nel rivedere il tutto, affinarlo e presentarlo agli altri e può
anch’essa richiedere molto tempo.
Il “lampo” di genio è insomma solo un’illusione:
senza tutto il lavoro che lo precede, e spesso anche quello che lo segue, è difficile che ci sia vera
creatività.
PARADOSSO
DEL PROGRESSO
GLI ALTRI
Marinella Senatore
52­_53
Artista e filmmaker, Marinella Senatore (Cava dei Tirreni, Salerno, 1977; vive tra Roma
e Madrid) lavora coinvolgendo intere comunità di persone che divengono protagonisti consapevoli nella produzione delle sue opere con ruoli diversi (sceneggiatori,
attori, scenografi) e contribuiscono così alla realizzazione di un prodotto corale. Attingendo alla specificità dei luoghi e delle persone che vivono nelle città dove i suoi lavori
sono ambientati, Marinella Senatore attiva un processo di scambio attivo e partecipato, restituendo di volta in volta intensi ritratti collettivi.
Variations è un progetto partecipativo che mette insieme più di 200 residenti del Lower East Side di New York, tra i 7 e gli 80 anni, di diversa provenienza (americana,
afro-americana, ispanica ed europea). Grazie ad una serie di interviste - parte del
lavoro finale insieme alle riprese di backstage - l’artista sceglie le persone che scriveranno e gireranno un film sul loro quartiere, cui spetta il compito di offrire il proprio
sguardo sulle problematiche di ogni giorno. Emerge così, anche grazie alla composizione multietnica del quartiere - che a sua volta rispecchia quella della metropoli
newyorkese - una riflessione sull’identità culturale e sulle possibilità di collaborazione
e condivisione di pensieri, suggestioni, conoscenze. Un work in progress, documentato dall’artista, che si pone come fondamento per la costruzione di un’unica identità
condivisa.
Marinella Senatore
Variations, 2011
Stills da video
Courtesy l’artista e galleria Umberto Di Marino, Napoli
Nessun uomo è un’isola.
John Donne
54_55
Nessuno, da solo, ha mai potuto fare niente di
importante. È la lezione della storia, se non dell’esperienza di ciascuno di noi, ma è anche la lezione
della scienza. Discendiamo infatti da primati sociali, e già nel corso della nostra evoluzione siamo
probabilmente stati la specie che viveva nei gruppi
sociali più numerosi, composti da 150-200 individui. Secondo alcuni studiosi, avremmo anzi sviluppato un cervello così grande proprio per gestire
rapporti personali di collaborazione e competizione con tante altre persone. È poi all’interno di questi gruppi, soprattutto a partire dall’acquisizione
del linguaggio parlato, che abbiamo cominciato a
usare la nostra “arma” più preziosa: le conoscenze
scambiate fra di noi e trasmesse da una generazione all’altra, cioè un’evoluzione culturale ben più
rapida ed efficace di quella biologica.
La nascita delle città ha poi accelerato questa evoluzione, tanto che non c’è quasi innovazione che
non sia nata fra le loro mura. Oggi però l’urbanizzazione è sempre più rapida: ogni settimana, nel
mondo, oltre un milione di persone va a vivere in
città, attratte dalle opportunità che le città offrono.
Analizzando dati di decine di centri urbani, è stato scoperto che le opportunità offerte sono tanto
maggiori quanto maggiore è il numero di abitanti.
E che una semplice equazione descrive questo
rapporto: una città con il doppio degli abitanti di
un’altra ha circa il 15% in più di brevetti, imprese,
ricchezza prodotta, scienziati, professionisti, stipendi, depositi bancari.
In una città più grande aumenta infatti la possibilità di conoscere persone con le quali collaborare o
dalle quali di venire semplicemente a sapere qualcosa di utile. Le migliori opportunità ce le offrono
proprio le persone con le quali abbiamo dei cosiddetti “legami deboli” – le semplici conoscenze,
insomma – perché ci permettono di accedere ad
altre cerchie sociali, quindi a persone diverse da
noi, le quali ci fanno conoscere cose che non sappiamo o ci aiutano in ciò che non sappiamo fare.
La cosa interessante è che la forza di attrazione
delle città non è diminuita con lo sviluppo di Internet e delle comunicazioni a distanza, ma è aumentata. Le grandi città diventano infatti sempre più
grandi e più ricche, e vi si concentrano i migliori
talenti. L’area metropolitana di Tokyo, ad esempio, produce una ricchezza pari a quella prodotta
dall’intera Germania. La spiegazione di questo
apparente paradosso è il fatto che in un’economia sempre più basata sulle idee e la creatività,
le informazioni che si possono scambiare solo di
persona diventano sempre più preziose. Il nostro
cervello, d’altra parte, si è evoluto per fare esattamente questo.
Per questo la scelta della città in cui vivere o in cui
far crescere i nostri figli, o del modo in cui viviamo la
nostra città, è fra le più importanti della nostra vita.
EXHIBIT
IL NUOVO
Peter Fischli & David Weiss
58­_59
Ironici e fantasiosi, attenti osservatori e narratori dell’assurdo che le cose più banali
possono nascondere, Peter Fischli (Zurigo, 1952) e David Weiss (Zurigo, 1946–2012)
hanno collaborato come duo artistico dal 1979 usando diversi media, dalla fotografia
al video, dalla scultura alle installazioni multimediali.
Der Lauf der Dinge (Il corso delle cose) è l’opera che li ha resi famosi; si tratta di un
film girato in un capannone industriale che mette in scena un surreale processo di
personificazione degli oggetti, in un set privo di attori e di dialoghi. Protagonisti sono
infatti scatole di cartone, bicchieri, scale a pioli, copertoni, candele, teiere che divengono parte di una lunghissima reazione a catena di deliranti eventi fisico-chimici,
innescata dagli artisti in veste di “apprendisti stregoni”. Ogni oggetto perde quindi
la sua staticità e funzione di partenza per acquistare una vita propria, che lo porta
ad essere parte di un unico processo di trasformazione e costituzione del nuovo.
L’apparente casualità che domina gli eventi, come un effetto domino a metà tra un
disastro annunciato e un riuscito esperimento da laboratorio, riporta alla concatenazione di causa ed effetto che regola ogni cosa, ma anche all’assurdità apparente
delle basi su cui poggia l’universo.
Peter Fischli/David Weiss
Der Lauf Der Dinge, 1987
Stills da video
Copyright Peter Fischli, David Weiss
Courtesy Sprüth Magers Berlin London;
Galerie Eva Presenhuber, Zürich;
Matthew Marks Gallery, New York
A chi non vive lo spirito
del suo tempo, del suo tempo
toccano solo i mali.
EXHIBIT
Voltaire
60­_61
Da quasi duecento anni, il mondo non fa che cambiare “a ondate”: l’età del vapore, quella dell’elettricità,
dell’automobile, delle telecomunicazioni, del computer, e così via. Queste ondate sono sollevate dai
“venti della distruzione creatrice”, come l’economista
Joseph Schumpeter chiamò il meccanismo con
il quale le economie di mercato evolvono. “Distruzione” perché ogni volta che il vecchio finisce delle
aziende falliscono, si perdono posti di lavoro, molti
mestieri e interi settori produttivi scompaiono. “Creatrice” perché col tempo il nuovo porta nuove aziende,
nuovi posti di lavoro, nuovi mestieri e nuove industrie.
I cavalli hanno ceduto il posto al treno, all’automobile e all’aereo, il lavoro nei campi a quello nelle
fabbriche e poi a quello negli uffici, la pellicola alla
fotografia digitale, la pubblicità sui giornali a quella
televisiva e ora sul web. Alla fine di ogni passaggio
siamo sempre stati meglio: il progresso materiale
e sociale è aumentato, e soprattutto si è esteso a
strati sempre più larghi della popolazione, prima nei
paesi occidentali e oggi anche nel resto del mondo.
Il paradosso del progresso, però, è che per avere
qualcosa di nuovo e di migliore (che arriva col tempo) bisogna prima distruggere il vecchio (cosa che
avviene subito), passando quindi per un periodo di
transizione che per molti è doloroso, e nel quale si
perdono anche molte cose buone del passato. Le
novità ci possono far sentire sradicati, perché la nostra identità è fatta anche di abitudini e di memoria.
Oggi stiamo vivendo uno di questi momenti: i progressi della scienza e della tecnologia ci affascinano, spesso addirittura ci entusiasmano, ma al tempo stesso ci inquietano, e il futuro ci fa paura. Ma se
al nuovo cerchiamo spesso di resistere, rifugiandoci
nella nostalgia di un passato idealizzato, oppure temiamo che una qualche catastrofe sia alle porte, è
perché la nostra mente è fatta così. Si è infatti evoluta in epoche in cui i progressi erano lentissimi, e
fare qualcosa di diverso da quello che si era sempre
fatto, era un azzardo che poteva costare la vita. Nel
2002, lo psicologo Daniel Kahneman ha vinto il premio Nobel per l’economia dimostrando, fra le altre
cose, che la nostra mente teme molto di più le possibili perdite di quanto speri nei possibili guadagni:
per prendere una decisione dall’esito incerto, i possibili guadagni devono essere almeno due volte più
grandi. Per lo stesso motivo siamo così sensibili ai
rischi e alle cattive notizie, e sottovalutiamo quanto
di buono i nuovi tempi possono portare.
Tutto questo non per dire che dovremmo accettare
qualsiasi cosa il futuro ci porti: lo lasceremmo solo
scegliere a qualcun altro. Dovremmo invece andare incontro al nuovo con intelligenza, innanzitutto
cercando di capirlo, e poi cercando di capire come
adattarci e possibilmente coglierne le opportunità.
Solo così potremo contribuire a scegliere il nostro
futuro, e non a subirlo. E a conservare il buono che
c’è nel passato, anziché buttarlo via.
DISTRUZIONE
CREATRICE
PARADOSSO
DEL PROGRESSO
SAPER IMPARARE
Tim Rollins + K.O.S.
64­_65
La ricerca di Tim Rollins (Pittsfield, ME, Stati Uniti, 1955; vive a New York) si configura
come esperienza artistica e didattica insieme, volta a costituire un nuovo modello
di insegnamento che si fonda sulla condivisione delle idee e sul lasciar spazio alle
capacità individuali degli studenti/collaboratori che di volta in volta partecipano alla
realizzazione delle sue opere.
Nel 1982 Rollins, chiamato ad insegnare alla Public School 52 del South Bronx di
New York - in un contesto problematico ma al tempo stesso caratterizzato da un
forte potenziale creativo -, sviluppa un proprio metodo di insegnamento basato sulla
lettura, il disegno e la pittura; il suo gruppo di lavoro assume il nome di K.O.S. (Kids of
Survival), ovvero “i ragazzini della sopravvivenza”.
Le opere realizzate da Tim Rollins + K.O.S. partono da una riflessione e lettura in
gruppo di alcuni testi poetici, letterari, filosofici, scientifici e politici, dalle cui suggestioni nascono grandi quadri, spesso realizzati su un supporto costituito da carta di
libri e di giornali, materiali “poveri” e facilmente reperibili. Il processo collettivo di ideazione e realizzazione dell’opera diviene parte integrante del risultato finale e rientra
in un più complesso progetto sociale di diffusione culturale. Per la mostra Benzine
Tim Rollins ha realizzato con K.O.S. (ormai un’identità collettiva i cui singoli membri
cambiano continuamente) un lavoro ispirato all’Origine delle specie di Charles Darwin,
presentato con opere appartenenti a serie diverse ma legate tra loro dalla stessa
metodologia di ricerca.
Tim Rollins and K.O.S.
On the Origin of Species (after Darwin), 2012
Inchiostro, acrilico opaco, pagine di libro su pannello, 91.4 x 121.9 cm
Courtesy Maureen Paley Gallery, London e Raucci/Santamaria Gallery, Napoli
Non limitare tuo figlio
a quello che sai tu,
perché lui
è nato in un altro tempo.
Rabindranath Tagore
66_67
Una buona istruzione è indispensabile per vivere
in una società avanzata e farla funzionare. E se la
società cambia rapidamente, altrettanto rapidamente cambiano anche le cose da sapere. Quindi
bisogna continuare a imparare.
Paradossalmente, però, è raro che la scuola ci prepari a questo compito. La scuola che conosciamo
è nata infatti cento anni fa per uno scopo diverso:
fornire alle nuove industrie e alle nuove burocrazie
lavoratori tutti uguali, pronti a fare quello che veniva
loro detto di fare, e con una preparazione che sarebbe servita loro per tutta la vita. Allora servivano persone istruite, non persone brillanti, perché il compito
di pensare, creare e decidere era riservato a pochi.
Oggi la nostra scuola risente ancora di questa impostazione, ma il mondo intorno a lei è cambiato
profondamente. In ogni settore e quasi a tutti i livelli, l’economia ha infatti sempre più bisogno di
persone capaci di inventare cose nuove. Persone
che non hanno semplicemente accumulato conoscenze – oggi sempre a portata di Internet – ma
le sanno usare in modo nuovo. Persone capaci di
capire da sole che cosa devono fare, perché ogni
organizzazione deve essere più rapida e flessibile.
Persone capaci di connettere fra loro altre persone, informazioni, macchine, imprese o culture,
perché è così che oggi si crea più valore. Il mondo
del lavoro si va infatti sempre più divaricando fra
questo tipo di persone e chi resta un semplice ese-
cutore, sostituibile in qualsiasi momento.
Molti paesi, come Finlandia, Canada e Olanda
stanno già cambiando il modo di fare scuola. Perfino Giappone e Cina, che fino a ieri si basavano
sull’apprendimento a memoria per superare un
esame dietro l’altro, oggi privilegiano invece l’iniziativa, il pensiero critico, l’analisi dei dati, la creatività e la capacità di decidere e di risolvere problemi
reali. Grazie a un uso intelligente delle tecnologie
digitali si può personalizzare l’educazione, perché
le scienze cognitive ci hanno confermato qualcosa
di cui molti si sono sempre accorti: ciascuno di noi
impara in modo diverso. La Corea, ad esempio, ha
imboccato con decisione questa strada.
Le nostre scuole invece si basano ancora sull’idea
che bisogna prima imparare tutto quello che c’è
da sapere, per poi un giorno poterlo applicare nella
vita. Solo che a quel punto molti hanno ormai perso ogni curiosità e interesse.
La voglia di studiare è invece forse la cosa più preziosa che un sistema scolastico deve coltivare nei
ragazzi, perché ognuno di noi impara davvero solo
quando decide di farlo.
Oltre a fornire una solida preparazione di base, è
questo il compito più importante per una scuola
oggi, dal momento che i ragazzi vanno preparati
per lavori che non esistono ancora, tecnologie che
non sono state ancora inventate e problemi che
non possiamo prevedere.
EXHIBIT
LA PASSIONE
João Onofre
70­_71
Ispirandosi e citando apertamente opere d’arte storiche, celebri canzoni e film, João
Onofre (Lisbona, 1976; vive a Lisbona) si muove tra performance, video e fotografia
per rielaborarne i contenuti iniziali e dare a questi un nuovo significato. Nei suoi lavori
Onofre coinvolge diverse persone con l’intento di indagare la complessità delle dinamiche di gruppo, le condizioni e i presupposti attraverso i quali si verificano i processi
di aggregazione sociale.
Nel video Casting (2000) alcuni ragazzi che partecipano all’audizione per un film sono
chiamati a recitare la frase “Che io abbia la forza, la convinzione e il coraggio” pronunciata da Ingrid Bergman nella scena in cui sta per attraversare il vulcano in Stromboli
di Roberto Rossellini. Disposti su tre file gli aspiranti attori si guardano mentre uno alla
volta scandiscono le parole della battuta, la cui gravità contrasta vivamente con il loro
comportamento apatico e svogliato. La motivazione che si presuppone essere alla
base di un qualsiasi provino si annulla nella piattezza della recitazione, facendosi così
metafora di una condizione generazionale in cui è sempre più difficile lasciarsi guidare
dalla passione. Mostrando l’assenza di qualsiasi convinzione e coinvolgimento emotivo, l’artista sottolinea così l’importanza e il peso che essi assumono nel raggiungimento dei propri obiettivi.
João Onofre
Casting, 2000
stills da video
Courtesy l’artista e Cristina Guerra Contemporary Art, Lisbona
Trova un lavoro che ti piace,
e non lavorerai
mai un giorno in vita tua.
Confucio
72­_73
La risorsa della nostra mente che assomiglia di più a
una “benzina” vera è la passione, cioè la motivazione
che ci spinge a tirare fuori da noi stessi molto di più
in termini di energia, intelligenza, tenacia, creatività.
Non sempre il mondo di ieri premiava la passione.
In moltissimi mestieri, nelle fabbriche come nelle
grandi burocrazie pubbliche o private, servivano
piuttosto obbedienza e diligenza nell’esecuzione di
compiti scelti da altri, secondo regole dettate da altri.
Oggi invece è sempre più necessario trovare questa motivazione in noi stessi. Per inventarci un lavoro, per eseguirne uno anche se non c’è nessuno
che ci dica come si fa, per tenere gli occhi aperti e
capire dove sta andando il mondo, per collaborare
con gli altri. Ma soprattutto perché solo la passione
può stimolare la creatività.
Una serie di esperimenti di psicologia compiuti
negli ultimi anni ha infatti dimostrato un effetto
sorprendente. Se dobbiamo svolgere un compito
semplice, chiaro, meccanico, la promessa di una
ricompensa economica è molto efficace nello spingerci a fare di più. Ma se invece il compito è complesso, incerto e creativo, la stessa ricompensa
non è altrettanto efficace. Spesso, anzi, ci fa produrre risultati peggiori. In altre parole, riusciamo
a tirare fuori il meglio non quando lavoriamo solo
perché ce lo ha ordinato qualcuno, ma quando lavoriamo per la soddisfazione di farlo.
La motivazione non è infatti il frutto di un ragiona-
mento, ma di un’emozione. La testa ci può dire
come fare qualcosa, ma solo il “cuore” ci dice che
cosa fare, e ci dà l’energia necessaria.
Nell’economia della mente, il compito delle emozioni è infatti proprio quello di indirizzarci verso un
obiettivo anziché verso altri. Ragione ed emozione
non sono quindi forze che ci spingono in direzioni
opposte, come si è a lungo pensato. Anzi, l’osservazione di pazienti che a causa di traumi, ictus o
tumori hanno subito danni ai centri cerebrali responsabili delle emozioni ha rivelato che queste
persone non riescono a vivere una vita normale.
Anche se le loro facoltà razionali sono intatte, sono
paralizzate di fronte a qualsiasi decisione.
Ma verso quali obiettivi ci dovrebbero indirizzare
oggi le emozioni?
Ogni motivazione serve a soddisfare dei bisogni,
ed esiste una gerarchia dei bisogni umani. Solo
quando sono stati soddisfatti i bisogni di base,
come quelli fisiologici o di sicurezza, si può passare a quelli superiori come appartenenza, stima,
autorealizzazione. Per trovare la motivazione necessaria per affrontare le sfide del lavoro e della
vita di oggi, bisogna rivolgersi alla soddisfazione
di bisogni superiori: poter lavorare in autonomia,
provare gusto nel diventare sempre più bravi in
qualcosa, sforzarsi per raggiungere uno scopo più
grande e più importante del nostro immediato interesse personale.
EXHIBIT
Raqs Media Collective
76­_77
Raqs Media Collective è un gruppo costituitosi a New Delhi, in India, nel 1992 e formato da Monica Narula, Jeebesh Bagchi e Shuddhabrata Sengupta. Giocando con
una pluralità di ruoli, Raqs opera su fronti sempre diversi, realizzando opere d’arte
ma anche curando mostre, pubblicando libri, collaborando con architetti, programmatori di computer, scrittori e registi di teatro nell’ambito di progetti trasnsdisciplinari
che offrono una pluralità di sguardi sulla cultura contemporanea indiana e non solo.
Revoltage è un’installazione prodotta in tre diverse edizioni che diviene rappresentativa dell’attitudine del Raqs Media Collective a manipolare e a giocare con le parole.
Nove giganti lettere, formate da una schiera di lampadine, riproducono la parola “Revoltage” e sembrano alludere a luminarie da festa. Le lettere si accendono in modo
alternato e si uniscono per proporre un ibrido incandescente, illuminando alternativamente le parole “Revolt” e “Voltage”. La forza dell’immagine si associa a quella del
testo al fine di coniare un nuovo pensiero che si concretizza in una parola inesistente
ma fortemente evocativa, “Revoltage”, tra energia pura, visibile, ed energia simbolica
come slancio verso una rivolta per ora solo annunciata.
Raqs Media Collective
Revoltage, 2010
Lampadine, policarbonato, elettricità
91,44 x 63,5 x 10,16; 182,88 x 63,5 x 10,16; 152,4 x 63,5 x 10,16 cm
Courtesy gli artisti e Project 88, Mumbai.
i libri di benzine
Roger Abravanel
e Luca D’agnese,
Italia, cresci o esci!
Garzanti
Chris Anderson,
Makers,
Random House
Edoardo Boncinelli,
La vita della nostra mente,
Laterza
Edoardo Boncinelli,
Come nascono le idee,
Laterza
Norman Doidge,
Il cervello infinito,
Ponte alle Grazie
Seth Godin,
La chiave di svolta,
Sperling & Kupfer
Robin Dunbar,
L’evoluzione del cervello
sociale,
Espress edizioni
Seth Godin,
The Icarus deception,
Denis Dutton,
The art instinct,
Carol Dweck,
Mindset,
Robinson
Seth Godin, Hugh MacLeod,
V is for vulnerable,
Daniel Goleman,
L’intelligenza emotiva,
BUR Rizzoli
Sian Ede,
Art & science,
Tauris
Daniel Goleman,
Ray Michael,
Paul Kaufman,
Lo spirito creativo,
BUR Rizzoli
David Edwards,
Artscience,
Harvard University Press
Lynda Gratton,
Il salto,
Il saggiatore
Carlo De Benedetti,
Mettersi in gioco,
Einaudi
Richard Florida,
La classe creativa
spicca il volo,
Mondadori
Chip & Dan Heath,
Switch,
Random House
Edward De Bono,
Il pensiero laterale,
Rizzoli
Richard Florida,
Who’s your city,
Basic Books
Jane Jacobs,
Vita e morte
delle grandi città,
Einaudi
Edward De Bono,
Come Pensare,
Il Sole24Ore libri
Thomas Friedman,
Il mondo è piatto,
Mondadori
Steven Johnson,
Dove nascono le grandi idee,
BUR Rizzoli
Edward De Bono,
Sei cappelli per pensare,
Rizzoli
Benjamin Friedman,
Il valore etico della crescita,
Università Bocconi
Daniel Kahneman,
Pensieri lenti e veloci,
Mondadori
Domenico De Masi,
La fantasia e la concretezza,
Rizzoli
Howard Gardner,
Cinque chiavi per il futuro,
Feltrinelli
Tom Kelley,
I dieci volti dell’innovazione,
Sperling & Kupfer)
Domenico De Masi,
L’emozione e la regola,
Rizzoli
Howard Gardner,
Sapere per comprendere,
Feltrinelli
Domenico De Masi,
Il futuro del lavoro,
Rizzoli
Richard Glaeser,
The Triumph of Cities,
Pan
Jonah Lehrer,
Imagine,
Canongate
David Landes,
La ricchezza e la povertà
delle nazioni,
Garzanti)
John Dewey,
Arte come esperienza,
Aesthetica
Seth Godin,
Sapere quando restare,
capire quando lasciare,
Sperling & Kupfer
Ludovica Lumer, Semir Zeki,
La bella e la bestia:
arte e neuroscienze,
Laterza
Antonio Damasio,
Alla ricerca di Spinoza,
Adelphi
Antonio Damasio,
L’errore di Cartesio,
Adelphi
John Medina,
Il cervello
Istruzioni per l’uso, Bollati
Boringhieri
Roberta Ness,
Innovation generation,
Oxford University Press
Alberto Oliverio,
Come nasce un’idea,
Rizzoli
Daniel Pink,
Drive,
Etas
Matt Ridley,
The Rational Optimist,
Harper Collins
Walter Santagata,
La fabbrica della cultura,
Il Mulino
Annamaria Testa,
La trama lucente,
Rizzoli
Annamaria Testa,
La creatività a più voci,
Laterza
Sarah Thornton,
Il giro del mondo dell’arte
in sette giorni,
Feltrinelli
Lester Thurow,
Capire l’economia,
Il Sole24Ore Libri
Norbert Wiener,
L’invenzione,
Bollati Boringhieri
Stampato da
Multiprint - Roma
gennaio 2013