BENZINE le energie della tua mente Un’idea e una produzione Fondazione Marino Golinelli in collaborazione con La Triennale di Milano Un progetto di Giovanni Carrada Scienza a cura di Giovanni Carrada Arte a cura di Cristiana Perrella Assistente curatore Alessandra Troncone Con il Patrocinio di Main sponsor Concept allestimento Catalogo Un ringraziamento particolare Ministero per i Beni e le Attività Culturali Rai Segretariato Sociale Città e siti italiani/Patrimonio Mondiale Unesco Alfa Wassermann Iosa Ghini Associati testi Giovanni Carrada Cristiana Perrella con interventi di Marino Golinelli Annamaria Testa Comune di Bologna per la collaborazione ed il concreto sostegno Accademia Nazionale dei Lincei Sponsor CAST Centro Arte, Scienza e Tecnologia Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca /USR Emilia-Romagna IMA Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca /USR Lombardia Unindustria Bologna MARPOSS Confcommercio Ascom - Provincia di Bologna Banca Popolare dell’Emilia Romagna Regione Emilia-Romagna Regione Lombardia Provincia di Bologna Provincia di Milano Comune di Bologna Comune di Milano Alma Mater Studiorum Università di Bologna Expo 2015 Istituto Mario Negri di Milano Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Bologna Progetto e testi exhibit Giovanni Carrada Progetto grafico della mostra e della comunicazione Raffaella Ottaviani Maria Teresa Pizzetti Documentazione iconografica Manuela Fugenzi Video e videografiche: storyboard e regia Raffaella Ottaviani Maria Teresa Pizzetti voce Francesco Prando animazione e montaggio Roberto Baldassari ottimizzazione Marcello Rossi musiche Paolo Modugno Marco Rosano post-produzione audio oasi studio Realizzazione allestimento Arredart studio Zola Predosa (BO) Ufficio Stampa Delos servizi per la cultura Milano progetto grafico Raffaella Ottaviani Maria Teresa Pizzetti Fondazione Corriere della Sera per la collaborazione nella realizzazione a Milano degli incontri collegati alla mostra coordinamento Fiorella Buffignani Si ringraziano redazione schede opere Alessandra Troncone Fotografie e filmati British Movietone collection/AP Archive Archivio e Centro Storico Fiat Archivio Nazionale Cinema d’Impresa – Fondazione CsC, Ivrea. Filmati Olivetti per gentile concessione dell’Associazione Archivio Storico Olivetti Archivio Storico Luce Bridgeman Art Library/Archivi Alinari Getty Images Ken Garland Keystone Archival films from the collections of the Library of Congress Science Photo Library/Contrasto Illustrazioni Darwin: cortesia John van Wyhe ed. The Complete Work of Charles Darwin Online. (http://darwin-online.org.uk/) Contributi video con il patrocinio sponsor main sponsor Apple Store New York City di Sumit Soncker Pastry Chef Alban Barta di wbpstarscom BMW Production di clubrt Angry Birds Space di RovioMobile Open rehearsal Sir Roger Norrington di ic247tv Occupy: London Stock Exchange di TheGuardian Working at Google Krakow di Life at Google Bike Blenheim Championships di blenheimpalace Ferrari F1 di Norwell9Productions Elisabetta Ghirardini - laboratorio di restauro; di Silvia Degani Show Me What You’re Made di Jnas24 We Are Embraer di Embraer Calcutta life and death di Joelevil Elblog-De Tokyo “Echoes” di BlueEdenHD Intel Factory Tour di NewsFrom TheShed Gli artisti • I prestatori Dale Mc Farland, Toby Kress Frith Street Gallery, London Cristina Guerra, Inês Teixeira Cristina Guerra Contemporary Art, Lisbona Umberto Raucci, Carlo Santamaria Raucci/Santamaria Gallery, Napoli Umberto Di Marino Maria Di Niola Galleria Umberto di Marino, Napoli Sree Banerjee Goswami, Priyanshi Saxena Project 88, Mumbai Nils Staerk, Nikolaj Stobbe, Anne-Mette Schultz Nils Staerk, Copenhagen Heide Häusler Sprüth Magers, London/Berlin Andrew Richards Catherine Belloy Marian Goodman Gallery, New York Bjorn Alfers Galerie Eva Presenhuber, Zürich Si ringraziano inoltre Fondazione Guglielmo Marconi per il prestito dell’apparato del primo esperimento di Marconi Jeanette Winterson Extract from The Secret Life of Us by Jeanette Winterson translated into italian reprinted by permission of Peter Fraser & Dunlop (www. peterfraserdunlop.com) on behalf of Jeanette Winterson Fondazione Marino Golinelli Fondatore e Presidente Marino Golinelli Consiglio di Amministrazione Presidente Marino Golinelli Vice Presidente Andrea Zanotti Consiglieri Andrea Bonaccorsi Dario Braga Marco Cammelli Filippo Cavazzuti Luca De Biase Stefano Golinelli Andrea Zanotti Collegio dei revisori Sergio Parenti Antonella Vannucchi Direttore Generale Antonio Danieli Area Formazione ed Educazione Giorgia Bellentani Area Comunicazione e Relazioni esterne Sara Mattioli Life Learning Center Divisione formativa e didattica Scuole Secondarie Responsabile del laboratorio e delle attività didattiche Raffaella Spagnuolo Didattica e rapporti con le scuole Patrizia Zambonelli Segreteria didattica Stefania Barbieri Assistenti di laboratorio Giuliano Matteo Carrara Maria Chiara Pascerini Tutor di laboratorio Senior Sara Bernardi Alessandro Saracino Tutor di laboratorio Junior Lorenza Camaggi Pia De Paola Paolo Manzi Stefania Zampetti Life Learning Center si avvale del supporto di un gruppo di tutor qualificati laureati, dottorandi o dottorati. Start Laboratorio di Culture Creative • Divisione educativa scuole primarie e dell’infanzia Responsabile Antonio Danieli Coordinamento operativo Giorgia Bellentani Tutor di laboratorio Gigliola Fuiano Sara Giovacchini Eliana Lacorte Pierdomenico Memeo Vanessa Nicastro Amalia Persico Supervisione scientifica area 2/5 anni START si avvale del supporto dei Servizi educativi del Comune di Bologna Comitato scientifico START si avvale della collaborazione di eminenti esperti scientifici START si avvale inoltre del supporto di un gruppo di tutor qualificati laureati, dottorandi o dottorati. Area Progetti Speciali Fiorella Buffignani Ufficio stampa e Content editor Annalisa Perrone Fondazione Museo del Design Consiglio d’Amministrazione Claudio De Albertis Presidente Mario Giuseppe Abis Giulio Ballio Renato Besana Ennio Brion Flavio Caroli Angelo Lorenzo Crespi Carlotta de Bevilacqua Alessandro Pasquarelli Consiglio d’Amministrazione Mario Giuseppe Abis Presidente Giulio Ballio Andrea Cancellato Consigliere Delegato Consiglio d’Amministrazione Arturo Dell’Acqua Bellavitis Presidente Maria Antonietta Crippa Carlo Alberto Panigo Anty Pansera Organo di controllo Maurizio Scazzina Direttore Generale Andrea Cancellato Ufficio Servizi Tecnici Marina Gerosa Collegio Sindacale Salvatore Percuoco Presidente Maria Rosa Festari Andrea Vestita Collegio dei Revisori dei conti Emanuele Giuseppe Maria Gavazzi Presidente Alessandro Danovi Salvatore Percuoco Direttore Generale Andrea Cancellato Settore Affari Generali Maria Eugenia Notarbartolo Franco Romeo Settore Biblioteca, Documentazione, Archivio Tommaso Tofanetti Claudia Di Martino Elvia Redaelli Ufficio Servizi Tecnici Alessandro Cammarata Cristina Gatti Franco Olivucci Xhezair Pulaj Segreteria generale e organizzativa Cristina Lertora Responsabile per la sicurezza Marcello Verrocchio Triennale di Milano Servizi Srl Settore Iniziative Laura Agnesi Roberta Sommariva Laura Maeran Carla Morogallo Violante Spinelli Barrile Alessandra Cadioli Area Amministrazione Daniele Vandelli Segreteria didattica e organizzativa: Pier Francesco Bellomaria Lucia Tarantino Fondazione La Triennale di Milano Fondazione Marino Golinelli è partner di La Triennale di Milano per Arte e Scienza Ufficio Servizi Amministrativi Paola Monti Marina Tuveri Ufficio Stampa e Comunicazione Antonella La Seta Catamancio Marco Martello Micol Biassoni Partner per Arte e scienza Fondazione Marino Golinelli Ufficio Servizi Amministrativi Anna Maria D’Ignoti Isabella Micieli Ufficio Marketing Valentina Barzaghi Olivia Ponzanelli Caterina Concone Triennale Design Museum Direttore Silvana Annicchiarico Producer attività museo Roberto Giusti Collezioni e ricerche museali Marilia Pederbelli Archivio del Design Italiano Giorgio Galleani Ufficio iniziative Maria Pina Poledda Ufficio stampa e Comunicazione Damiano Gullì Attività Triennale DesignMuseum Kids Michele Corna Web designer Cristina Chiappini Triennale Design Museum Studio Camuffo Triennale Design Museum Kids Logistica Giuseppe Utano Laboratorio di Restauro, Ricerca e Conservazione Barbara Ferriani, coordinamento Alessandra Guarascio Rafaela Trevisan Immaginare e costruire un nuovo mondo Marino Golinelli Con la mostra “BENZINE. Le energie della tua mente” il percorso della Fondazione “Marino Golinelli” sull’esplorazione delle connessioni tra arte e scienza è giunto alla sua quarta edizione (le edizioni precedenti: ANTROPOSFERA, nuove forme della vita nel 2010; HAPPY TECH, macchine dal volto umano nel 2011; Da ZERO a CENTO, le nuove età della vita nel 2012). La mostra, con i laboratori che la accompagnano, è uno degli strumenti adottati dalla Fondazione per favorire e stimolare la curiosità, la creatività, e dunque anche il desiderio di bambini, ragazzi, adulti di cimentarsi in maniera proattiva in iniziative creative. La Fondazione Marino Golinelli infatti si pone l’obiettivo di fornire ai giovani - futuri cittadini del domani - e alla cittadinanza, indirizzi e strumenti che consentano loro di crescere responsabilmente, civilmente e socialmente, favorendo il sorgere di una società della conoscenza in grado di crescere, innovare e restare competitiva in un mondo globalizzato. La Fondazione vuole concretamente aiutare i giovani a “trovare dentro se stessi la capacità di immaginare e poi di creare qualcosa di nuovo” fornendo loro anche strumenti interpretativi concreti della realtà che ci circonda. C’è infatti sempre una prima intuizione in forma di immagine (quella che François Jacob chiamava la “scienza della notte”) alla base di una nuova impresa umana – nella scienza come nell’arte, nell’imprenditoria o in qualsiasi altro tipo di progetto – intuizione che ha poi naturalmente bisogno di altre discipline, metodi e molteplici tecnologie (“la scienza del giorno”) per essere portata concretamente nel mondo. 10_11 La Fondazione interpreta questa idea, dal 2010, con il format stesso delle mostre e, tra i primi, ha proposto di esplorare problemi o ambiti della realtà da entrambi i punti di vista, quello dell’arte e quello della scienza. derati come tappe fondamentali di un processo continuo, dall’infanzia alla maturità. Occorrerà sviluppare nuovi metodi di insegnamento, allineandosi ai sistemi-paese in tal senso più avanzati. Lo studio delle interconnessioni tra l’arte e la scienza si manifesta in tutti gli ambiti di intervento della Fondazione: nei progetti educativi e formativi con le scuole e gli insegnanti, nelle attività culturali per stimolare il dibattito sul futuro del mondo e proporre “nuove narrazioni” alla collettività, per stimolare e intercettare la creatività naturale dei giovani e dei giovanissimi. Imprescindibile per tutti sarà la capacità di emozionarsi, e di provare la “passione” per superare i propri limiti, passione intesa nelle sue declinazioni anche più irrazionali come l’amore e la rabbia. Come la mostra illustra, ragione ed emozione non vanno in direzioni opposte, ma parallelamente possono procedere verso gli stessi obiettivi. In una visione culturale ampia le BENZINE sono le “energie” della nostra mente. Energie che già tutti noi possediamo e potremo riattivare per poter guardare al futuro e sperare in una ripresa dello sviluppo sociale ed economico del nostro Paese, soprattutto in un momento di forte crisi come questo. La “creatività”, sarà sempre più una “benzina” fondamentale per ideare il nuovo e aiutarci a costruirlo. Non si tratta solo della necessità di nuove invenzioni intese come “prodotti e servizi”, ma occorre ri-pensare e ri-costruire la società in senso più ampio; la creatività è sintesi tra la visione del progetto e la disciplina nella realizzazione, con l’obiettivo di una società solidale. Sono sette le “benzine” raccontate dalla mostra. L’“arte” sarà importante per aiutarci a immaginare qualcosa di nuovo grazie alla possibilità che questa ci offre di una decostruzione dei punti vista per noi usuali a cui ci riferiamo per interpretare il mondo. Il “nuovo” ha infatti bisogno di matrici interpretative e cognitive e l’arte ci può aiutare a produrne di innovative ed originali. Sarà fondamentale il “saper imparare”; ancor più dei contenuti, “del cosa”, occorrerà porre attenzione al “come” si sviluppano i processi di apprendimento; formazione, educazione e crescita culturale devono essere consi- Queste BENZINE, assieme ad altre raccontate dalla mostra, sono già dentro di noi, dobbiamo acquisirne consapevolezza e dobbiamo trovare la capacità di utilizzarle al meglio: scopriamo “le energie della nostra mente” per progettare il futuro e forse, quella che oggi chiamiamo crisi, domani ci sembrerà una grande trasformazione in un nuovo mondo completamente rivoluzionato, ma che noi sapremo interpretare appieno perché ne saremo stati gli artefici proattivi e non le vittime. LA CREATIVITÀ NEGLETTA NEL PAESE CHE FU IL PIÙ CREATIVO DEL MONDO Annamaria Testa 12_13 Fino a pochi anni fa, qui in Italia, creatività e creativo erano parole impronunciabili. Tali da evocare, nella migliore delle ipotesi, persone e attività vanitose e modaiole, e nella peggiore un’ampia gamma di comportamenti non solo irritanti ma disdicevoli (la finanza creativa, per dire truffaldina. Le soluzioni creative, per dire abborracciate, improbabili e inefficaci). Storicamente del tutto differenti l’attenzione e l’atteggiamento di altri paesi, e specie del mondo anglosassone, in primis gli Stati Uniti ma non solo, verso l’idea stessa di creatività intesa come motore del progresso umano: la preziosa e peculiare attitudine degli individui a scovare soluzioni nuove, a scoprire elementi e connessioni sconosciute, a sperimentare e a inventare. Le idee sul produrre idee È un parroco scozzese, William Duff, a pubblicare nel 1767 An Essay on Original Genius, il primo trattato che prova a indagare le dinamiche della creatività. È l’inglese Francis Galton, scienziato eclettico, antropologo, cugino di Darwin e pioniere della biometria a formalizzare per primo la distinzione tra nature e nurture, cioè tra eredità e ambiente, e a segnalare, in Hereditary Genius, quanto l’educazione può nel bene e nel male influenzare l’esprimersi del talento. Risale agli inizi del secolo scorso una delle prime, e forse ancor oggi la più convincente fra le moltissime definizioni di “creatività”: fa capo al grande matematico francese Henri Poincaré, che nel 1906, in Scienza e metodo, parla di trovare connessioni nuove, e utili, tra elementi distanti tra loro. Pochi anni dopo è il tedesco Wolfgang Köhler, uno dei fondatori della Psicologia della Gestalt, a coniare il termine insight per definire l’illuminazione creativa e a intuirne la natura istantanea e inattesa. Val la pena di ricordare che lo fa descrivendo la performace creativa di Sultano, il più sveglio fra gli scimpanzé ospitati nella stazione zoologica di Tenerife, e mentre in buona parte d’Europa infuria – siamo nel 1917 – la prima guerra mondiale. Così, grazie a Sultano e all’ingegnosità degli esperimenti di Köhler, l’idea di creatività si estende, anche se con tutte le necessarie distinzioni, ad alcune specie animali superiori. Quali? Ce lo dice Alberto Oliverio: sviluppano comportamenti creativi le specie che sono predatrici e non predate, i cui piccoli giocano e, quando dormono, sognano. A partire dal comportamento dei topi nei labirinti è invece l’americano Edward Tolman a intuire, verso la fine degli anni Quaranta, quanto flessibilità e finalizzazione siano importanti per raggiungere un obiettivo, e a formulare il concetto di mappa cognitiva. Un paio di decenni prima, il tedesco Karl Jaspers si è interrogato (1922) sui legami tra genio e follia, mentre nel 1926 l’inglese Graham Wallas ha concepito un efficace modello – in quattro fasi: preparazione, incubazione, insight e verifiche – del processo creativo. E ancora: è l’americano Joy Paul Guilford a formulare, negli anni Cinquanta, il concetto di pensiero divergente, che l’angloungherese Arthur Koestler riprenderà chiamandolo bisociazione. Negli anni Sessanta è l’americano Mel Rhodes a definire, mettendo a sistema la mole di studi prodotti fino ad allora, i quattro fattori che concorrono al verificarsi di un fenomeno creativo: le qualità individuali, il processo mentale attivato, la messa a punto di un prodotto originale e valido socialmente, il contesto socioculturale. Person, Process, Product e Place sono le quatto P della creatività. È l’americano Sarnoff Mednick a disegnare il RAT (Remote Association Test), che indaga la capacità creativa di scovare connessioni tra elementi eterogenei, ed è l’americano Ellis Paul Torrance a sviluppare, a partire dalle intuizioni di Guilford, il primo test affidabile del pensiero creativo, il TTCT, che prende in esame la fluidità, la flessibilità, l’originalità e il grado di elaborazione che connotano i diversi prodotti creativi. Sono, tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, gli americani Gardner e Sternberg a divulgare, anche presso il largo pubblico, un’idea di intelligenza come complesso di capacità e di attitudini differenti. In tempi più recenti, è il croato-americano Mihaly 14_15 Csikszentmihalyi a mettere a punto il concetto di flow, lo stato di flusso, la condizione psichica di chi è totalmente immerso in un compito creativo e lo padroneggia. È Dean Simonton dell’University of California a dare, al fenomeno della creatività e sulla orme di Francis Galton, una dimensione quantitativa. È Teresa Amabile ad analizzare, presso la Harvard Busines School, le mille relazioni tra creatività dei singoli e creatività di gruppo, innovazione, impresa. E si potrebbe continuare accostando nomi a nomi, intuizioni a intuizioni. Meglio ricordare, invece, che l’interesse statunitense nei confronti dei fenomeni creativi subisce un enorme impulso già alla fine degli anni Cinquanta grazie a cospicui finanziamenti governativi volti a difendere la supremazia scientifico-tecnologica americana nei confronti dei sovietici in occasione della Space Race, la gara per la conquista dello spazio. In seguito ci si accorge che ragionare di creatività serve anche a sviluppare l’innovazione che mantiene competitive le imprese. Barak Obama, nel discorso per la rielezione del 2012, afferma che gli Stati Uniti resteranno un grande paese non perché hanno un grande esercito, ma perché hanno grandi università. Del resto la creatività è anche, non dimentichiamolo, un importantissimo fattore di adattamento e, come tale, costituisce un vantaggio evolutivo non solo per gli scimpanzé come il Sultano studiato da Köhler ma anche per gli esseri umani, e si traduce in vantaggio competitivo per le nazioni. Gli italiani e la creatività: per quasi tutti un po’ astuzia, un po’ dono del cielo In Italia, a parte pochi pionieri inascoltati – tra questi è necessario ricordare almeno Gabriele Calvi, autore de Il problema psicologico della creatività a metà anni Sessanta, e Aldo Carotenuto per alcuni scritti – il mondo accademico e scientifico appare per decenni piuttosto disinteressato all’argomento. Silvano Arieti, autore di Creatività, La sintesi magica, lavora negli Stati Uniti. In tempi più recenti, ben che vada, gli imprenditori più curiosi, i manager più attenti e i lettori di saggistica divulgativa vanno a cercarsi sui bestseller americani che vengono tradotti nella nostra lingua (alcuni meritevoli, altri assai meno) qualche ricetta ready to use per avere idee. Solo da una manciata di anni i lavori di Melucci, Antonietti, Legrenzi, Masi e non molti altri cominciano a destare attenzione e a diffondere qualche prospettiva nuova e più consistente. Non c’è dunque da meravigliarsi se la prima grande ricerca sull’idea che gli italiani nel loro complesso hanno della creatività, svolta da Eurisko nel 2004, restituisce percezioni superficiali e contraddittorie: per un intervistato su due la creatività è importante per moda (60% di risposte positive) e cucina (43%)… per poco più di uno su venti (6% di risposte positive) è importante per l’economia. Per la maggior parte degli intervistati, compresi i giovani universitari, la creatività si risolve nel rompere (si noti bene: non nel superare, ma nel trasgredire) le regole, ed è un fatto privato che può rendere la vita più gratificante appagando il narcisismo individuale: magari si traduce in un hobby da coltivare senza troppe pretese nel tempo libero, magari coincide con la capacità di destreggiarsi astutamente in campo lavorativo. Insomma: nella pratica quotidiana, per i nostri connazionali, la creatività non è altro che una versione più sofisticata dell’arte di arrangiarsi mentre, se viene considerata in una più ampia prospettiva storica, appare come un misterioso dono del cielo che in passato ha benedetto pochi eletti famosissimi (Leonardo, Michelangelo…), e che tuttora, per motivi altrettanto misteriosi, continua a essere una gratuita benedizione permanente per il Paese. Che, qualsiasi cosa “creatività” significhi, a molti sembra “creativo” per definizione, anche se gli unici esempi di creatività che le persone hanno in mente ormai riguardano personaggi resi famosi dalla tv. Da segnalare l’eccezione di due gruppi: le élite produttive (professionisti, imprenditori…) dichiarano che creatività vuol dire talento e tenacia, conoscenza, competenza, sfida per ottenere risultati che hanno valore. È una visione condivisa anche dagli anziani, e il dato è meno sorprendente di quanto sembri: si tratta delle medesime 16_17 persone che, nel dopoguerra, hanno saputo, con tenacia e talento, ricostruire l’Italia, avviandola a una stagione di espansione e benessere. La pratica della creatività è stata concreta nelle loro mani ed è rimasta intatta nella loro memoria. Creatività, istruzione, caratteri personali e situazioni ambientali Nel 2006 viene pubblicato il rapporto UE/Kea intitolato l’Economia della cultura in Europa: si tratta di un grande studio sistematico che prova - cosa non facile - a dare una lettura ampia e organizzata delle dinamiche dell’intero comparto delle attività culturali e creative, e a valutarne l’impatto economico: editoria, moda, design, cinema e fotografia, radio e tv, web, teatro, videogiochi, arti visive, musei, siti archeologici, turismo culturale… i risultati sono impressionanti. L’intero settore culturale e creativo in Europa vale, nel 2003, più di 654 miliardi di euro. Fattura più del doppio di tutta l’industria dell’automobile (271 miliardi) e contribuisce al PIL europeo più di tutte le attività immobiliari. Cresce, in cinque anni, del 12,3% in più rispetto alla crescita economica globale. In quasi tutti i paesi europei il settore della cultura e della creatività dà il maggior singolo contributo alla crescita della ricchezza nazionale. In Italia vale il 2,3% del PIL, in Gran Bretagna il 3%, in Francia il 3,4%. E bisogna considerare un fatto rilevante: per come è strutturato, il rapporto non tiene conto (è un gran peccato, e una carenza che andrebbe rimediata) della creatività espressa nella ricerca scientifica e tecnologica: la ricerca di base e quella applicata e le attività che riguardano l’innovazione di processo e di prodotto. Se si riuscisse – di nuovo: non è facile – a valorizzare anche questi ambiti, e a misurarne le ricadute in termini di valore, si potrebbe finalmente avere la sensazione tangibile di quanto, nel loro complesso e per l’economia di una nazione, possono contare le idee. Il rapporto UE/Kea passa, nel nostro Paese, del tutto sotto silenzio. Esattamente come da sempre passano sotto silenzio, o quasi, gli sconfortanti risultati dei test Ocse-Pisa, che misurano la performance scolastica dei nostri ragazzi e segnalano un consistente deficit (oggi in leggero miglioramento), e ancor più preoccupanti disparità territoriali per quanto riguarda la capacità di leggere, scrivere e comprendere testi, la competenza matematica e scientifica e, ahimé, la capacità di problem solving. Si tratta di capacità di base, in assenza delle quali di creatività non si parla proprio. Senza formazione di base e senza preparazione specialistica è impossibile per chiunque immaginare, inventare, e dunque produrre innovazione di valore. È il Nobel Herbert Simon, padre dell’intelligenza artificiale, a formulare la Teoria dei dieci anni: non si possono ottenere risultati originali in qualsiasi ambito, dagli scacchi alla fisica quantistica, se non dopo almeno un decennio di costante applicazione, e dopo aver interiorizzato almeno cinquantamila chunks (letteralmente: “grossi pezzi”) di informazione. Creatività e cultura: un intreccio indissolubile Creatività e cultura sono intimamente intrecciate non solo negli studi che indagano le dimensioni dell’ICC, l’industria culturale e creativa. Sono intrecciate perché l’una alimenta l’altra. La capacità di pensare in modo creativo e di inventare qualcosa di nuovo non è un dono del cielo: è una conquista dell’individuo che decide di mettere a frutto un proprio grande o piccolo talento: studia, impara, sperimenta con tenacia ostinata, dedizione e passione. Lo fa per affermare se stesso. Per sfidarsi. Per curiosità e irrequietezza, per tenere sotto controllo un disagio, per trovare una ragione di vita. Lo fa essendo disposto a lavorare in modo intensivo (le persone creative sono in genere workaholic, e il problema non è convincerle a lavorare ma, se mai, a smettere). Raramente lo fa – su questo tutti gli studiosi concordano – solo per soldi: la motivazione intrinseca (il senso di gratificazione e orgoglio che ciascuno trae dal proprio saper pensare e saper fare, e dall’essere riconosciuto come persona capace) è, in termini di produzione creativa, molto più potente di quella estrinseca, costituita da premi materiali: la creatività ha una componente epica che andrebbe rispettata, e mai sottovalutata. 18_19 L’altro dato da non sottovalutare, per il governante che, magari, decidesse di promuovere e sviluppare la capacità creativa nazionale in funzione anticiclica, è l’importanza del contesto nel favorire o contrastare la vocazione creativa dei singoli: e “contesto” significa tante cose. Istruzione e formazione di buona qualità disponibili per tutti, e valorizzazione sociale dell’essere istruiti e formati. Fluidità sociale e meritocrazia. Apertura culturale. Disponibilità di risorse e di finanziamenti, e trasparenza nell’allocare le une e gli altri. Alta pressione sugli individui perché raggiungano risultati eccellenti, ma disponibilità degli strumenti indispensabili per raggiungerli. E ancora, capacità di integrare conoscenze, esperienze, generazioni, generi: diversi studi dimostrano che la creatività dei gruppi non è correlata tanto alla creatività individuale dei singoli partecipanti quanto alla varietà di competenze, esperienze e prospettive che ciascun gruppo esprime nel suo complesso. In questa logica occorre sottolineare che istituire e promuovere in ogni campo, con forza, un patto generazionale per il trasferimento di conoscenze può fare, per lo sviluppo della creatività nazionale, molto più e meglio che un “largo ai giovani” detto così, a prescindere. In altre parole: buttar via l’acqua sporca insieme all’anziano esperto può rivelarsi, nel tempo, una pessima idea. Quali prospettive, nel paese che è stato il più creativo del mondo? Ancora nel 2010 il ministro Giulio Tremonti, varando una Finanziaria che taglia i già modesti investimenti nazionali sulla cultura, giustifica la propria scelta a muso duro sostenendo che la cultura non si mangia. Non è vero, né in senso metaforico né in senso letterale. Poco dopo uno studio European House – Ambrosetti dimostra che l’impatto economico di ogni euro investito nel settore culturale genera 2,49 euro di risultato economico (diretto, indiretto e indotto). E che per ogni incremento di una unità di lavoro nel settore culturale si ottiene un incremento totale delle unità di lavoro nel sistema economico di 1,65. A riportare questi numeri con una certa soddisfazione è, tra gli altri, Famiglia Cristiana. Gli ultimi dati disponibili riguardanti lo sviluppo delle imprese culturali e creative nazionali fanno capo al Rapporto Civita sull’industria culturale e creativa pubblicato a novembre 2012: le imprese private italiane del settore sono poco meno di 180 mila e rappresentano il 4,5% del totale nazionale delle imprese. Solo in Germania ce ne sono di più (190mila). L’Industria creativa si addensa al Nord (il 54,2% del totale nazionale) e quella culturale al Centro (39,8%). Nelle regioni meridionali si trovano, rispettivamente, il 21,4% e il 13,1% dei centri di produzione. A Milano e a Roma si concentrano il 17,5% e il 17,2% degli addetti. Spesso le imprese sono piccolissime e stentano non solo a fare sistema e a promuoversi, ma anche a tirare avanti. Stiamo comunque parlando di 355.825 posti di lavoro, il 2,2% del totale nazionale. È il 2,9% in Germania, il 3,0% in Spagna, il 3,2% in Francia e nel Regno Unito. In rapporto alla popolazione, il peso dell’industria culturale e creativa è maggiore nel Regno Unito (105,4 addetti per 10 mila abitanti), seguito da Spagna (88,1), Francia (85,9) e Germania (81,5). In Italia abbiamo solo 60 addetti per 10 mila abitanti. Dunque perfino in Italia, perfino oggi, e con tutti gli evidenti ambiti di miglioramento, i numeri del lavoro creativo restano importanti. E occorre ricordare che, ancora una volta, dall’indagine manca ogni cenno alla creatività scientifico-tecnologica. Eppure, alla base dell’invenzione di una proteina sintetica, di un film, del nuovo profilo di un alettone o di una scultura o di un brano musicale c’è sempre un’intuizione, individuale o di gruppo, e un gran lavoro di ricerca e sviluppo. I linguaggi impiegati sono diversi, come sono diversi gli ambiti e i processi nel loro dettaglio ma, come dire?, la materia prima – il pensiero che sfida se stesso e la norma esistente per andare oltre – è la medesima. Sono identiche le esigenze delle persone che, nonostante i tempi grami e per pura passione, decidono di mettersi in gioco nelle attività creative e troppo spesso si trovano (nei laboratori, negli studi professionali, nelle imprese, nelle case editrici, nelle agenzie… o come singoli autori, ricercatori o artisti) ad affrontare situazioni di precarietà insostenibile e di sfruttamento, con scarsissime tutele, poca formazione struttu- La crescita comincia dentro la nostra testa Giovanni Carrada 20_21 rata, e in un isolamento pressoché totale proprio perché il sistema è frammentato, le imprese sono minuscole, il riconoscimento sociale del lavoro creativo è scarsissimo, le politiche di sviluppo sono inesistenti e l’eterogeneità dei compiti e degli ambiti sembra impedire alle persone stesse che svolgono lavori creativi di riconoscersi come appartenenti a un’unica, grande, multiforme categoria che potrebbe, e dovrebbe, rivendicare con orgoglio la propria importanza. In questi anni non stiamo attraversando una crisi. Ne stiamo attraversando due. La prima è la crisi finanziaria internazionale iniziata nel 2008, che presto finirà. La seconda è invece iniziata molto prima e probabilmente finirà molto dopo, ed è causata dalla nostra difficoltà ad adattarci a un mondo che sta cambiando rapidamente. Sia personalmente sia come società, continuiamo spesso a regolarci come se vivessimo ancora in un mondo che non c’è più. Forse è venuto il momento di cambiare le cose anche nel nostro Paese, che secoli fa – non certo oggi – è stato sì il più creativo del mondo. E potrebbe tornare, se solo sapesse coltivare i propri talenti, a conquistarsi un buon ruolo nella produzione di idee che generano ricchezza, benessere e crescita, non solo materiale. La pesante crisi sistemica attuale potrebbe trasformarsi in un’opportunità. Perché questo succeda, è però indispensabile che si diffonda tra gli italiani la consapevolezza di quanto valgono le idee, e prima ancora di che cosa significa “pensiero creativo”, e di come questo sia strategico per affrontare un futuro incerto e necessariamente segnato da cambiamenti vorticosi. Quella che oggi chiamiamo “crisi” domani ci sembrerà forse soprattutto una grande trasformazione. Siamo infatti in mezzo alla transizione fra un’economia industrale novecentesca e un’economia basata sulla conoscenza e la creatività, nella quale l’innovazione, a qualsiasi livello e in qualsiasi settore, ha un valore centrale. Tra una società e un’economia in cui tutti sanno che cosa devono fare e una società e un’economia in cui sempre più persone devono trovare soluzioni nuove a problemi nuovi. Inizia così la presentazione della mostra Benzine – le energie della tua mente prodotta dalla Fondazione Marino Golinelli. Se c’è un buon punto da cui partire per svolgere il compito fondamentalissimo di spiegare, mostrare, raccontare, educare, suscitando - anche - l’emozione e la speranza che sono indispensabili al nascere di una visione nuova, è proprio questo. Fino a ieri vivevamo infatti in una sorta di isola protetta chiamata “mondo occidentale”. Protetta da frontiere commerciali, dalla sua superiorità tecnologica, da un livello economico, sociale e culturale incomparabilmente più alto rispetto agli altri paesi. In quel mondo, eravamo noi a dettare le regole. A cominciare dagli anni Novanta, con la fine della Guerra Fredda che direttamente o indirettamente aveva “congelato” intere regioni in sistemi politici ed economici che non funzionavano, il resto del mondo si è svegliato. Le frontiere si sono aperte al commercio e alla finanza internazionali e profonde riforme economiche hanno rimesso in moto le economie di enormi paesi, come l’India e soprattutto la Cina. Il mondo è all’improvviso diventato più grande, basti pensare all’arrivo sulla scena internazionale di oltre un miliardo e trecento milioni di cinesi, la cui economia negli ultimi trent’anni è cresciuta cento volte, fino a diventare la seconda del mondo. E i nuovi protagonisti non forniscono più solo manodopera a basso costo: sempre la Cina è oggi il paese che produce più laureati. In tutto questo, un ruolo fondamentale l’ha giocato lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni. Il mondo è diventato più grande anche perché tutti possono comunicare e collaborare in tempo reale con tutti, un privilegio prima riservato a piccole élite. Così oggi nel mondo ci sono già due miliardi e mezzo di connessioni Internet, il 60% delle quali nei paesi emergenti, e sei miliardi di abbonamenti alla telefonia cellulare, tre quarti dei quali nei paesi emergenti. E la possibilità di comunicare ha un impatto enorme sulla vitalità economica: un aumento del 10% nella 22_23 diffusione della banda larga, cioè dell’Internet veloce, produce un aumento dell’1% nella ricchezza prodotta da un paese avanzato, e un aumento ancora maggiore in un paese emergente. Il risultato sono state una crescita economica globale come non se ne erano mai verificate prima nel corso della storia, e la diffusione del benessere a enormi masse di persone che ne erano sempre state escluse. Accompagnate, tuttavia, da una serie di forti squilibri sociali, culturali e ambientali. Si è però anche sviluppata una competizione economica molto più intensa, all’inizio su produzioni ad alta intensità di manodopera non specializzata, come abbigliamento, giocattoli, assemblaggio di apparecchi elettronici, che poi si è via via estesa anche a prodotti e servizi sempre più sofisticati, dall’informatica indiana ai sistemi di telecomunicazione cinesi, agli aeroplani brasiliani. Sotto la spinta di questa competizione, intere industrie e antichi primati del mondo occidentale, quindi anche italiani, sono stati spazzati via o comunque fortemente ridimensionati. Viviamo ormai in mondo “multipolare”, senza potenze dominanti. Ma la rivoluzione tecnologica ha avuto anche altre profonde conseguenze. Milioni di posti di lavoro un tempo appartenuti ai “colletti bianchi” o alle “aristocrazie operaie” delle classi medie nate dopo la Seconda Guerra mondiale sono stati sostituiti dai computer negli uffici e dall’automazione nelle fabbriche. Le funzioni basate sull’applicazione di regole fisse vengono affidate a delle macchine, più affidabili e soprattutto più economiche. La possibilità di comunicare facilmente e a bassissimo costo da un capo all’altro del pianeta ha permesso di portare in altri paesi molte produzioni, dalle scarpe alle automobili, agli stessi computer, oppure di frammentarne la produzione in tanti paesi, salvo poi riunirne i pezzi grazie a lunghe e complesse supply chain. Persino la produzione di un oggetto sofisticato come il nuovo Boeing 787, un grande aeroplano civile, è oggi suddivisa fra oltre cento aziende di dieci paesi fra i quali Cina, Giappone e Italia, oltre che Stati Uniti. Il lavoro va dunque dove è più conveniente produrre, ma sempre più spesso anche dove ci sono le persone capaci di inventare e di progettare. In India per i software, in Italia per l’arredamento di design, in California per i computer. Anche i vecchi pilastri della ricchezza di un paese – terra, braccia, risorse naturali – tendono infatti infatti a contare sempre meno. Al loro posto diventa sempre più importante l’innovazione, non solo nell’alta tecnologia ma anche nei processi produttivi, nell’organizzazione, nella digitalizzazione, nei servizi di ogni tipo: dal cibo alla finanza. Più che sulle economie di scala permesse dalla semplice produzione di massa, come in passato, oggi il valore lo creano le nuove idee, quasi sempre basate però su conoscenze molto complesse. Innovare in agricoltura o nell’offerta di viaggi può essere oggi altrettanto complicato che innovare nelle assicurazioni o nella microelettronica. Spesso le nuove idee sono il frutto della connessione fra imprese, conoscenze, servizi o persone diverse resa possibile da Internet: dai servizi di prenotazione del tavolo al ristorante alla vendita online ormai alla portata anche di singole persone, alla creazione collettiva di nuovi software. E siccome le nuove idee nascono da altre idee, che oggi si scambiano come mai era stato prima possibile, ecco che anche l’innovazione sta accelerando come mai prima. Se fino a ieri era limitata ai prodotti fatti di bit, oggi la possibilità per chiunque di realizzare qualcosa si sta estendendo anche agli oggetti. Le nuove stampanti 3D consentono infatti di fabbricare oggetti in diversi materiali a basso costo, quasi come le grandi fabbriche. Così possono diventare globali non solo le grandi corporation, ma anche le piccole aziende e i microimprenditori: in pratica, per sempre più persone con una buona idea è possibile sviluppare, produrre e vendere ovunque sia quello producono, sia quello che sanno. Sta quindi rapidamente cambiando anche il mondo del lavoro, dove vecchie competenze e vecchi mestieri muoiono per far posto ai nuovi, ma dove può anche succedere che vecchi mestieri conoscano una seconda vita: persino una produzione 24_25 artigianale di merletti italiana può trovare clienti in Asia o in Nordamerica. Il valore della conoscenza e dell’innovazione, unito alla possibilità di spostare produzione e servizi in qualsiasi punto del mondo, non sta solo creando opportunità diverse fra paesi più attrezzati e paesi meno attrezzati. La nuova economia tende anche a creare due classi distinte di lavoratori: quella dei ricchi creatori di prodotti o servizi nuovi e sofisticati e quella dei poveri produttori di oggetti di massa o impiegati nei servizi più basici. Se ieri le distinzioni correvano soprattutto tra una parte del mondo più ricca e un’altra più povera, oggi corrono all’interno di ciascun paese, dove si può formare una “sottoclasse” di persone tagliate fuori. Quella che è stata chiamata la “classe creativa”, e che ha vinto in questi anni, è composta da persone istruite, capaci di creare qualcosa di nuovo, sempre pronte a imparare e a reimparare ancora, a reinventarsi, in grado di capire da sole che cosa fare anche se lavorano per un’impresa. E possono essere professionisti come artigiani specializzati, imprenditori come creatori di applicazioni per tablet e smartphone. Ma tutti gli altri? La via d’uscita ce la indicano alcuni dati paradossali: nel 2011, cioè in piena crisi, c’erano in Italia ben 117.000 posizioni disponibili per mancanza di persone con la qualificazione necessaria per occuparle. E la stessa cosa è stata registrata nel 2012 negli Stati Uniti, dove le posizioni disponibili erano tre milioni nonostante un tasso di disoccupazione all’8%. Dalla crisi, quella più profonda, possiamo quindi uscire solo se questo tipo di capacità si allargherà anche al resto della società. Dovremo cioè riuscire a compiere uno sforzo paragonabile a quello iniziato cento anni fa, quando i figli di milioni di lavoratori della terra cominciarono ad andare a scuola e poi a lavorare nelle fabbriche o nelle altre organizzazioni della nuova società industriale. Oggi bisogna fare un altro passo avanti e mettere a frutto l’enorme patrimonio umano rimasto ancora inespresso, ma anche riparare degli squilibri sociali che non possono essere tollerati a lungo. Rimetterci al passo con i grandi cambiamenti in corso nel mondo dipende naturalmente da grandi scelte collettive, quindi politiche, sul funzionamento delle nostre società. Richiede ad esempio di investire molto di più nell’istruzione e nella ricerca, quindi nella formazione dei giovani, tutti beni pubblici i cui benefici si riverberano dalle persone all’intera società. Non solo in termini di risorse materiali, ma soprattutto di attenzione, impegno e verifica continua dei progressi fatti. Si può forse avere l’impressione, a questo punto, di dover fare un grande sforzo, che dovremmo cambiare solo perché costretti dalle nuove dure circostanze. Prima, non vivevamo forse su un’isola protetta? In realtà, questo grande cambiamento offre per la prima volta alla maggior parte delle persone l’opportunità di conciliare finalmente la realizzazione economica con la realizzazione personale. Solo gli occhiali della nostalgia ci possono impedire di vedere che nel mondo di ieri quasi tutti erano (e in parte ancora sono) semplici esecutori di obiettivi e procedure pensati da qualcun altro. Possiamo invece sperare di essere molto di più che semplici robot, e diventare tutti persone in grado di creare qualcosa che esprime chi siamo, di crescere personalmente e di scegliere il proprio futuro. Soprattutto se siamo giovani, e la nostra vita la stiamo costruendo o la stiamo cominciando proprio adesso. Poiché è solo nella nostra testa che, grazie alla creatività, la conoscenza può essere trasformata in innovazione, è innanzitutto in noi stessi che dobbiamo trovare le vere risorse che ci servono. Per questo abbiamo scelto di raccontare sette risorse della mente, sette “benzine” che tutti possiamo conoscere meglio e sviluppare perché sono elementi fondamentali dell’essere uomini e donne: l’arte, cioè la capacità di vedere in modo nuovo e di immaginare qualcosa di nuovo; le idee, la vera moneta del nuovo mondo; la creatività, ovvero la capacità di produrre idee originali; L’energia rinnovabile dell’arte Cristiana Perrella 26_27 gli altri, quindi la collaborazione con le altre persone; il nuovo, cioè la capacità di capire, adeguarsi e guidare i cambiamenti; saper imparare, vale a dire la voglia e gli strumenti per continuare a imparare o a usare quanto già imparato in situazioni nuove; la passione, cioè la capacità di motivarsi da soli per riuscire sempre meglio in vista di obiettivi più grandi del nostro interesse personale. La mostra ne parla attraverso la sensibilità di alcuni artisti, ma anche e soprattutto attraverso quello che oggi sappiamo, più di ieri, sul funzionamento della nostra mente. L’altra buona notizia infatti è che tutti possiamo sviluppare queste capacità. Forse la più grande scoperta della psicologia e delle neuroscienze di questi anni è che le risorse della nostra mente non sono fisse, perché il cervello è un organo che si adatta più di tutti gli altri a quello che gli chiediamo o gli permettiamo di fare. Uscire dalla crisi, insomma, dipende alla fine da quello che ciascuno di noi riuscirà a tirare fuori dalla propria mente. La crescita oggi tanto invocata comincia dalla nostra crescita personale. Capri-batterie (1985) è una delle ultime opere di Joseph Beuys, un multiplo costituito da un limone connesso a una lampadina verniciata di giallo, che (potenzialmente) si accende grazie al noto processo per cui corrente a bassa tensione viene prodotta con l’uso di acido citrico e rame. Beuys la realizza mentre si trova a Capri, cercando di curare al calore del sole mediterraneo una malattia polmonare. L’elettricità che fluisce dal frutto, illuminando la lampadina, sembra rappresentare la carica di energia vitale necessaria per il fisico debilitato dell’artista. Allo stesso tempo l’opera comunica, con la sua straordinaria sintesi formale, una riflessione poetica e più universale sull’energia rinnovabile, tema molto caro a Beuys, noto per l’impegno ecologista che lo porta a essere il fondatore del movimento dei Verdi in Germania. Con il suo colore brillante e il suo profumo, il funzionamento elementare e quasi magico, Capri-batterie sembra suggerire che l’unione di arte, scienza e natura possa nutrire e risanare una cultura (o un individuo) sofferente. È l’ennesimo e ultimo atto di fede di un artista–sciamano -che con le sue azioni e le sue sculture ha inteso espandere il concetto d’arte, permeando la vita di atti creativi- nella trasformazione, sia spirituale sia materiale, che l’arte può operare sulla società contemporanea. Una trasformazione spesso associata, nei suoi lavori, al concetto di energia fisica, usata come potente metafora, immediatamente e universalmente suggestiva. Cambiare lo stato delle cose, trasformarle, produrre il nuovo; nella sua forma più astratta, nella sua definizione più generica, questi sono infatti i poteri attribuiti all’energia. Energia è la capacità di un corpo o di un sistema di svolgere un lavoro, di agire e dunque di provocare un cambiamento. L’arte è per questo un combustibile essenziale, anzi una fonte rinnovabile di energia, perché proviene da quelle due matrici gemelle, perennemente generative, che sono il linguaggio e l’immaginazione. Ogni forma di creazione culturale, sia essa 28_29 opera d’arte o romanzo, poesia, saggio filosofico, film, è espressione di un’energia attraverso la quale i nostri modelli di pensiero interagiscono con il mondo, ci aiutano a vederlo e, così facendo, a giudicare e a orientare la nostra azione su di esso. Senza questa energia culturale una società non può vivere, non meno che senza le risorse energetiche materiali. Non solo, ma è proprio la cultura ad aiutarci a comprendere come fare di quest’ultime il miglior uso, alimentando in noi la consapevolezza del legame tra i nostri stili di vita e il mondo, umano e naturale, su cui essi ricadono. A differenza di forme espressive e comunicative che si consumano nell’immediato, l’arte nutre la coscienza critica di una società. Proprio perché si generano con modi differenti e in tempi più lunghi di quelli del circuito ininterrotto di produzione e consumo, le opere d’arte hanno il potere di trasmettere alla società quell’energia che le consente di fare i conti con la natura e con se stessa, con i propri bisogni, ma anche con le proprie criticità, permettendole così di reinventarsi continuamente, ripensare i propri valori e i propri stili di vita, proiettarsi verso il futuro. È su questa convinzione, che il circuito energetico della creatività, della cultura, sia la vera grande spinta dinamizzatrice di una società, che si fonda la mostra Benzine. Sulla necessità, come affermava Beuys, della scoperta individuale del proprio potenziale creativo in grado di modificare il mondo, soprattutto in un momento storico, come il nostro, in cui i punti di riferimento, i sistemi di valori cambiano con rapidità sconcertante. Le opere scelte per accompagnare le varie sezioni del percorso espositivo intendono proporre diversi punti di vista sulle energie della mente, le sette “benzine”, individuate come risorse dal cui sviluppo dipende la nostra possibilità di crescere, di cambiare per il meglio. Ad aprire la mostra è l’idea di arte come capacità di vedere la realtà con occhi diversi, stimolando nuove percezioni e nuovi stati d’animo. È quello che fa Terence Koh, utilizzando spesso materiali banali, oggetti quotidiani, trasposti in un’estetica classica, quasi archeologica, nelle sue installazioni che diventano per il visitatore esperienze surreali. Sottilissime polveri bianche (o talvolta nere) ricoprono oggetti o interi spazi creando una lattiginosa, sospesa e congelata atmosfera di attesa, densa di pathos. Ogni suo lavoro nasconde domande sul senso della vita, interrogativi spesso non risolti che vengono posti dall’artista attraverso la giustapposizione di quelli che chiama “frammenti d’universo”, elementi disparati che rimandano a suoi ricordi d’infanzia, a immagini fantastiche, all’arte, alla storia, al sesso ma anche alle cose più ordinarie, ad esperienze quotidiane, tutto connesso da legami inaspettati e totalmente personali, che, come sinapsi, attivano la trasmissione di un pensiero diverso sul mondo. L’abilità di cambiare lo stato delle cose attraverso la creatività, anche solo con spostamenti impercettibili all’interno di una situazione data, è ciò che emerge anche dalle fotografie di Gabriel Orozco. Osservando i suoi scatti viene alla luce tutta la poeticità insita nei contesti più scontati, semplicemente grazie al cambio di prospettiva operato dall’artista. Nelle foto di Orozco, “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”: basta un abbinamento insolito, un movimento silenzioso, perché la scena cambi completamente e acquisti un nuovo significato. Se le idee sono carburante, è fondamentale garantirne una circolazione; è quello che fanno i Superflex, un collettivo di artisti danesi che dal 1993 dà vita a strategie comunicative appropriandosi di volta in volta di idee già esistenti ma rielaborandole e riattualizzandole in chiave contemporanea. Ne è un chiaro esempio il progetto Copyshop, un vero e proprio spazio commerciale che si propone di discutere il concetto di valore e quindi di originalità, nello stesso luogo dove questo concetto nasce ed è distribuito, cioè il mercato. Forum di discussione sui limiti legali ed etici della riproduzione ma anche vero e proprio negozio, Copyshop propone in vendita prodotti che mettono alla prova il concetto di proprietà intellettuale, che siano originali modificati, copie migliorate, contro-loghi politici come la Mecca Cola o Supercopy, nuovi originali, opere in cui si rivendica la possibilità di creare il nuovo partendo da lavori già esistenti, come in I Copy Therefore I Am, tratto dal celeberrimo I Shop Therefore I Am di Barbara Kruger. 30_31 La creazione del nuovo è anche alla base del video di Peter Fischli e David Weiss; stavolta però il processo è attivato in modo (apparentemente) del tutto casuale, tramite una reazione di eventi a catena che sembra annunciare un imminente disastro ma che in realtà mette in campo una sequenza di movimenti e trasformazioni incredibilmente coordinate tra loro. Come registi dietro le quinte, gli artisti innescano il processo in cui ogni movimento, ogni cambiamento di stato, porta una conseguenza, una metamorfosi, una distruzione produttiva. Nell’attribuire alle energie della mente un ruolo fondamentale come motore per la costituzione di un nuovo stato di cose, un ruolo rilevante all’interno della mostra è stato attribuito ai progetti collettivi che si fondano sull’interazione e la condivisione con gli altri per una riuscita corale. Marinella Senatore, artista e filmmaker, ha impostato gran parte della sua ricerca sulla produzione di film “collettivi”, dove attori, scenografi, sceneggiatori sono reclutati direttamente in loco tramite provini. Il lavoro site-specific e i rapporti interpersonali che di volta in volta si creano rappresentano il focus dell’opera, che risulta sempre uno spaccato affascinante su un particolare contesto socio-culturale. Era successo con Noi simu, uno dei film più noti dell’artista, succede anche con Variations, nel quale alle fasi di realizzazione fa da sfondo la realtà multietnica del Lower East side newyorkese. Altro esempio di lavoro collettivo è quello che Tim Rollins conduce ormai da trent’anni con i K.O.S., “i bambini della sopravvivenza”, gruppo dalla conformazione sempre diversa dove i singoli sono ormai un’unica identità collettiva. Le opere di Rollins sono il risultato di un lungo di lavoro di ricerca e di studio, di confronto e di dialogo, portato avanti con i K.O.S., suoi giovani allievi e non solo. Ancor più dell’attività artistica è soprattutto la vocazione didattica a caratterizzare il lavoro di Rollins, volto a stimolare i ragazzi a saper imparare e a dar loro la possibilità di esprimere il proprio potenziale creativo, di dare forma alle loro energie sotto forma di idee. Se l’insegnamento ha la funzione di “raffinare” le idee e di farle crescere, la passione è lo stimolo personale che permette di portarle avanti. Nel suo video Casting, João Onofre ci racconta però come, soprattutto tra le generazioni più giovani, sia sempre più difficile trovare le giuste motivazioni. La gravità della celebre frase pronunciata da Ingrid Bergaman nel finale del film Stromboli di Roberto Rossellini, “Che io abbia la forza, la convinzione e il coraggio”, sembra risuonare nel vuoto, priva di ogni forza e trasformata in un motto inutile senza alcun significato. A ristabilire il giusto livello di elettricità nell’aria ci pensano i RAQS, con i quali simbolicamente la mostra si chiude: tornando all’assunto iniziale per cui l’energia è il potere di cambiare le cose, il collettivo di artisti indiani fa proprio questo concetto coniando una parola inesistente dall’implicita carica rivoluzionaria: “Revoltage”. Tra voltaggio e rivolta, in un’esplosione di energia elettrica che ricorda le luminarie da festa, i RAQS sembrano ricordarci l’alto potenziale delle idee, talmente alto da essere l’unica cosa davvero in grado di cambiare le cose, ovvero di far esplodere una – forse utopistica – rivoluzione. ARTE Terence Koh 34_35 Cinese di nascita, cresciuto in Canada e newyorkese d’adozione, Terence Koh (Pechino, 1977; vive a New York) ha fatto della contaminazione di linguaggi e materiali diversi il tratto distintivo della sua ricerca. L’utilizzo di media tradizionali, quali pittura, scultura, fotografia, si accompagna alla creazione di libri d’artista o prodotti eccentrici come i sex toys. Nella sua opera le influenze punk e underground (che l’hanno fatto conoscere nell’ambiente artistico con l’appellativo di asianpunkboy), con numerose incursioni nel mondo pornografico e delle celebrities, si mescolano ad una spiritualità propria delle sue origini orientali, evidente nella scelta di materiali che alludono alla fugacità della vita e nell’uso del monocromo, bianco o nero, a cui viene attribuito un forte valore simbolico. Untitled (White Light #1), già presentata alla Kunsthalle di Zurigo e al Whitney Museum di New York, è un’installazione che si compone di 42 vetrine contenenti diverse tipologie di oggetti, compresi alcuni materiali organici. Dipinti di bianco, immersi in una luce accecante e presentati come fossero reperti archeologici della contemporaneità, gli elementi scelti e ingabbiati dall’artista sembrano comporre una sorta di moderno reliquiario. L’uso del bianco rimanda alla diversa simbologia che questo colore rappresenta nel contesto occidentale - dove è simbolo di nascita e purezza - e in quello orientale, dove invece allude alla morte; allo stesso modo, il contenuto delle vetrine sembra aver subito un processo di purificazione ma anche aver rinunciato alla propria vitalità. Come in molte altre opere, Terence Koh affronta qui il rapporto tra la vita e la morte restituendo l’immagine di una bellezza malinconica e portando ad interrogarsi sull’identità e sulla storia di oggetti qualsiasi che, trasformati dall’artista in qualcosa di prezioso, hanno ormai perso il loro legame originario con la realtà, stimolando nuove percezioni e nuovi stati d’animo. Terence Koh Untitled (White Light), 2006 Installazione, materiali diversi tra cui vernice, gesso, cera, porcellana, legno, metallo, ossa, teschi, plastica, bronzo e materiali organici in 42 vetrine di vetro. Dimensioni variabili (in figura 272 x 185 x 190 cm) Collezione privata, Bologna La ragione non è niente senza l’immaginazione. Cartesio 36_37 Prima di fare, dobbiamo immaginare. È vero per qualsiasi cosa: un’opera d’arte come un’attività commerciale, una scoperta scientifica, una casa, una campagna pubblicitaria, un’associazione, un’invenzione, un progetto qualsiasi. Negli ultimi anni, le neuroscienze hanno cominciato a indagare questa radice comune a ogni nuova impresa umana. Lo studio del cervello con l’aiuto della risonanza magnetica funzionale, che permette di vedere quali regioni sono attive mentre svolgiamo un compito, ha rivelato che quando vediamo e quando immaginiamo usiamo molti degli stessi circuiti neurali. In pratica, l’immaginazione è un po’ una visione che funziona al contrario. La visione però non è una semplice registrazione degli stimoli luminosi che raggiungono la retina, ma qualcosa che è stato filtrato dalla mente. Il cervello infatti cerca di risparmiare energie: quando una cosa ci sembra ormai familiare, non la guarda più bene, ma la “indovina”, per così dire, in base alle proprie aspettative e alle esperienze del passato. E quando la deve immaginare, fa la stessa cosa. Per immaginare come cambiare qualcosa, dobbiamo prima imparare a vederla con occhi nuovi. Non c’è quindi cosa migliore per stimolare l’immaginazione che vedere qualcosa di insolito, ad esempio frequentando ambienti diversi, coltivando nuovi interessi, conoscendo persone nuove o viaggiando. Le nuove circostanze costringono il nostro sistema visivo a prestare nuova attenzione, a cambiare aspettativa o punto di vista, quindi a notare aspetti o problemi diversi. In pratica a vedere – e quindi poi a immaginare – cose nuove. Per poter ritrarre il mondo – quello esterno come quello interiore – in un modo unico e originale, gli artisti l’hanno sempre innanzitutto visto con occhi nuovi. La loro immaginazione si distingue poi per una libertà in più. Mentre un imprenditore si deve confrontare con le condizioni del mercato, uno scienziato con le leggi della natura e la verifica sperimentale, e un architetto con i materiali disponibili e i costi, oggi un artista può tradurre in realtà il prodotto della sua immaginazione senza neppure il vincolo delle poche tecniche a disposizione, o di temi e canoni stilistici fortemente condizionati dalla tradizione, come in passato. Un artista ha ormai ben pochi limiti nella sua esplorazione della realtà. L’arte può quindi aiutare tutti noi ad abituarci a guardare il mondo con occhi nuovi, liberandoci di vecchi schemi mentali, a immaginare anche nuove soluzioni ai nostri problemi. In famiglia, a scuola, sul lavoro o nella società. L’arte insomma non è un semplice abbellimento, ma un modo per riprogrammare la nostra percezione, arricchire la nostra mente e nutrire la nostra immaginazione. EXHIBIT LE IDEE Superflex 40_41 Fondato nel 1993 da Jakob Fenger, Rasmus Nielsen e Bjørnstjerne Christiansen, Superflex è un collettivo di artisti danesi che ha scelto un’identità aziendale per dar vita a progetti che attraversano diversi ambiti, in particolare le arti visive, la musica e il design. Con uno sguardo al sociale, i lavori di Superflex rielaborano riferimenti e citazioni dalla cultura di massa o dalla storia dell’arte per suscitare una riflessione sulle dinamiche di comunicazione, ricezione e appropriazione nella società contemporanea. I Copy Therefore I Am è un manifesto che ricalca, anche nella grafica, il celebre slogan I Shop Therefore I Am, titolo e soggetto di una delle opere più famose dell’artista americana Barbara Kruger. Realizzato nel 1987, il lavoro della Kruger si ispira a sua volta all’assunto cartesiano “Cogito ergo sum” (Penso quindi sono) per puntare i riflettori sul consumismo e la cultura di massa, utilizzando una veste grafica attraente per muovere una critica sottile ma esplicita al fenomeno che vede l’acquisto compulsivo sostituirsi al pensiero nella definizione dell’identità personale e collettiva. Partendo dallo slogan di Barbara Kruger, i Superflex operano un passaggio successivo che segna simbolicamente l’avvento di una nuova era: non è più il “comprare” l’essenza dell’uomo contemporaneo ma il “copiare”, ovvero l’appropriarsi di idee e modelli preesistenti per trasformarli e poi farli circolare, in modo che assumano una forma sempre diversa e potenzialmente sempre nuova. Come in altri lavori del collettivo danese, I Copy Therefore I Am insiste sulla messa in crisi del concetto di copyright, mostrando come il confine tra i concetti di copia e originale sia sempre più labile. SUPERFLEX I Copy Therefore I Am, 2009-2011 Stampa fotografica su vinile, 282 x 287 cm Edizione di 3, +1 AP Courtesy Nils Stærk, Copenhagen; Photo credit AndersSuneBerg Il modo migliore per avere una buona idea è avere tante idee. EXHIBIT Linus Pauling 42_43 In passato, il modo migliore per arricchirsi era quello di impossessarsi di risorse fisiche, come terra, minerali, legna o braccia: per queste cose si facevano le guerre. Oggi, invece, la vera base della crescita economica sono le idee. Anzi, le nuove idee. Per questo i paesi più avanzati non sono quelli più ricchi di risorse naturali, ma quelli i cui abitanti sono più istruiti e più creativi nella scienza, nella tecnologia, nel commercio o nella finanza. E la stessa cosa avviene con le persone: uno studente universitario con l’idea giusta può dar vita a Facebook. Una parte sempre maggiore di ogni prodotto o servizio non è infatti costituito da cose ma da idee: quasi il 60% del prezzo di vendita di un iPhone va alla Apple, che non lo costruisce ma ha avuto l’idea, l’ha progettato e possiede il marchio. E c’è una differenza importante fra le cose e le idee, che ha una conseguenza importante per la crescita economica, così come per la creazione di valore per una persona o un’organizzazione. Se io ho un telefono, che è una cosa, e lo do a te, io non lo posso usare più. Ma se io ti do l’idea del telefono, la possiamo usare tutti e due. Non solo. Tutti e due possiamo migliorarla aggiungendovi nuove idee. Possiamo fare un telefono più leggero, con più funzioni, con la batteria che dura più a lungo, e così via, e poi scambiarci anche queste idee. Le idee che vengono usate da più persone non si consumano, come avviene con le cose, ma si arricchiscono. In altre parole, più cose si inventano, più cose si possono inventare: per questo, a mano a mano che più persone nel mondo creano, comunicano e collaborano, il ritmo dell’innovazione continua a crescere. La seconda sorpresa è che le idee permettono di superare i limiti delle cose, creando risorse che prima non esistevano. Con la stessa quantità di silicio contenuta in un chip di trent’anni fa si può fare oggi un chip quasi centomila volte più potente, grazie a tutto quello che nel frattempo abbiamo imparato sulla fabbricazione dei chip. Il grano produce oggi anche sette volte di più rispetto a cento anni fa grazie all’invenzione di fertilizzanti e agrofarmaci e alla creazione di nuove varietà con l’aiuto della genetica. Questo progresso può essere accelerato favorendo la circolazione delle idee. L’attuale sistema di protezione della proprietà intellettuale per mezzo di brevetti è nato per incoraggiare gli innovatori – persone o aziende – garantendo loro di poterli sfruttare per un certo periodo. Col tempo, però, la durata dei brevetti e il tipo di idee che questi possono proteggere si sono estesi sempre più, fino a diventare in alcuni campi un ostacolo serio all’innovazione perché le idee, come abbiamo visto, sono nate per essere copiate. Oppure possiamo far nascere più idee, investendo sull’istruzione e sulla creazione di ambienti di studio e di lavoro più aperti e stimolanti. Perché le nuove idee possono nascere solo dalla nostra testa. COSTO DEL LAVORO VALORE DELL’IDEA LA CREATIVITà Gabriel Orozco 46_47 Poliedrico, giocoso, ironico, il lavoro di Gabriel Orozco (Jalapa, Veracruz, Messico, 1962; vive a New York, Parigi e Città del Messico) si caratterizza per l’attenzione agli oggetti quotidiani e alle relazioni, anche casuali, che tra essi intercorrono. Costante della sua ricerca è il processo di alterazione a cui tali oggetti vengono sottoposti e attraverso il quale l’artista invita a guardare con altri occhi e secondo altre prospettive ciò che più ci è familiare. Tra le sue opere più celebri vi sono la DS (1993), una Citröen di colore argento che l’artista ha diviso in tre parti e poi ricomposto togliendo quella centrale, e Black Kites (1997), un teschio vero su cui sono stati disegnati a matita degli scacchi romboidali in stile optical. Nelle sue serie fotografiche realizzate negli anni Novanta, Orozco lavora sulla stessa linea, cogliendo situazioni insolite, presentando oggetti secondo inediti punti di vista o operando, con sensibilità scultorea, piccoli spostamenti all’interno di una situazione preesistente, come nel suo celebre scatto Cats and Watermellons, dove scatolette di cibo per gatti sono appoggiate su cataste di angurie in un supermercato e gli occhi dei gatti raffigurati sull’etichetta sembrano diventare quelli dei cocomeri. Il risultato è sempre costituito da immagini che, nella loro semplicità, si rivelano sorprendenti e suggestive, rivelando inaspettate qualità formali del reale e donando un nuovo senso alle cose. Focalizzandosi sugli aspetti più effimeri e sui dettagli meno nobili di situazioni ordinarie, spesso in riferimento al contesto urbano, Orozco li decostruisce e capovolge offrendoci uno spaccato affascinante e insospettabilmente poetico della realtà di tutti i giorni, da riscoprire grazie allo sguardo dell’artista. Gabriel Orozco Cats and Watermelons, 1992 Stampa cromogenica a colori, 31.5 x 47.3 cm Courtesy Marian Goodman Gallery, New York Creatività è connettere cose. EXHIBIT Steve Jobs 48_49 Creatività significa prendere elementi già esistenti per fare qualcosa di nuovo e di utile. In altre parole, serve a trasformare la conoscenza in innovazione. In realtà, i prodotti della creatività sono anche imprevedibili, nel senso che non sono in alcun modo il frutto di una formula, una ricetta o – più precisamente – un algoritmo. Sono invece il frutto di un’associazione individuata dalla mente fra i tantissimi materiali che ha accumulato attraverso processi di cui non siamo coscienti. Per questo ci sorprendono sempre. Purtroppo non possono uscire da un computer (o forse per fortuna, altrimenti saremmo tutti sostituibili). La nascita di una nuova idea resta quindi un mistero della nostra mente. L’osservazione di moltissimi casi di creatività – nelle scienze, nelle arti, nell’imprenditoria, nella soluzione dei problemi della vita di ogni giorno – rivela però che questo processo ha delle fasi spesso (ma non sempre) riconoscibili. Tutto ha inizio con la percezione di un problema, una sfida o una mancanza, e con la voglia di fare qualcosa al riguardo. La creatività non si applica infatti ai problemi chiari, ben strutturati e circoscritti, per i quali basta applicare delle tecniche di problem solving, ma alle questioni non strutturate, nuove, difficili persino da definire. La fase successiva è la preparazione e consiste nel raccogliere e organizzare informazioni e materiali. A volte questa fase può durare anche anni, e richie- de studio, applicazione e pazienza. Si continua ad affrontare il problema da più punti di vista, ad accumulare soluzioni di problemi analoghi, a sbatterci la testa contro. Poi viene la fase di incubazione, che consiste nella ricerca di un nuovo senso nei dati raccolti. La mente si rigira il problema in tanti modi, ma il processo è essenzialmente inconscio. Anzi, se ci si pensa consapevolmente, è difficile che si arrivi alla soluzione, perché si continua a tornare sulle solite idee, già scartate. A questo punto è meglio lasciare stare il problema. È infatti nel momento in cui ci rilassiamo che la mente è più libera di fare nuove associazioni, superando gli schemi mentali che normalmente ne limitano la prospettiva. Ora può avvenire l’insight, il momento dell’illuminazione, quello in cui improvvisamente la soluzione ci appare, chiarissima e sorprendente. È il momento in cui Archimede salta fuori dalla vasca da bagno gridando “eureka”, “ho trovato”. Quello in cui alcuni degli elementi raccolti si collegano fra loro in modo nuovo e inaspettato. L’ultima fase è quella di verifica, che consiste nel rivedere il tutto, affinarlo e presentarlo agli altri e può anch’essa richiedere molto tempo. Il “lampo” di genio è insomma solo un’illusione: senza tutto il lavoro che lo precede, e spesso anche quello che lo segue, è difficile che ci sia vera creatività. PARADOSSO DEL PROGRESSO GLI ALTRI Marinella Senatore 52_53 Artista e filmmaker, Marinella Senatore (Cava dei Tirreni, Salerno, 1977; vive tra Roma e Madrid) lavora coinvolgendo intere comunità di persone che divengono protagonisti consapevoli nella produzione delle sue opere con ruoli diversi (sceneggiatori, attori, scenografi) e contribuiscono così alla realizzazione di un prodotto corale. Attingendo alla specificità dei luoghi e delle persone che vivono nelle città dove i suoi lavori sono ambientati, Marinella Senatore attiva un processo di scambio attivo e partecipato, restituendo di volta in volta intensi ritratti collettivi. Variations è un progetto partecipativo che mette insieme più di 200 residenti del Lower East Side di New York, tra i 7 e gli 80 anni, di diversa provenienza (americana, afro-americana, ispanica ed europea). Grazie ad una serie di interviste - parte del lavoro finale insieme alle riprese di backstage - l’artista sceglie le persone che scriveranno e gireranno un film sul loro quartiere, cui spetta il compito di offrire il proprio sguardo sulle problematiche di ogni giorno. Emerge così, anche grazie alla composizione multietnica del quartiere - che a sua volta rispecchia quella della metropoli newyorkese - una riflessione sull’identità culturale e sulle possibilità di collaborazione e condivisione di pensieri, suggestioni, conoscenze. Un work in progress, documentato dall’artista, che si pone come fondamento per la costruzione di un’unica identità condivisa. Marinella Senatore Variations, 2011 Stills da video Courtesy l’artista e galleria Umberto Di Marino, Napoli Nessun uomo è un’isola. John Donne 54_55 Nessuno, da solo, ha mai potuto fare niente di importante. È la lezione della storia, se non dell’esperienza di ciascuno di noi, ma è anche la lezione della scienza. Discendiamo infatti da primati sociali, e già nel corso della nostra evoluzione siamo probabilmente stati la specie che viveva nei gruppi sociali più numerosi, composti da 150-200 individui. Secondo alcuni studiosi, avremmo anzi sviluppato un cervello così grande proprio per gestire rapporti personali di collaborazione e competizione con tante altre persone. È poi all’interno di questi gruppi, soprattutto a partire dall’acquisizione del linguaggio parlato, che abbiamo cominciato a usare la nostra “arma” più preziosa: le conoscenze scambiate fra di noi e trasmesse da una generazione all’altra, cioè un’evoluzione culturale ben più rapida ed efficace di quella biologica. La nascita delle città ha poi accelerato questa evoluzione, tanto che non c’è quasi innovazione che non sia nata fra le loro mura. Oggi però l’urbanizzazione è sempre più rapida: ogni settimana, nel mondo, oltre un milione di persone va a vivere in città, attratte dalle opportunità che le città offrono. Analizzando dati di decine di centri urbani, è stato scoperto che le opportunità offerte sono tanto maggiori quanto maggiore è il numero di abitanti. E che una semplice equazione descrive questo rapporto: una città con il doppio degli abitanti di un’altra ha circa il 15% in più di brevetti, imprese, ricchezza prodotta, scienziati, professionisti, stipendi, depositi bancari. In una città più grande aumenta infatti la possibilità di conoscere persone con le quali collaborare o dalle quali di venire semplicemente a sapere qualcosa di utile. Le migliori opportunità ce le offrono proprio le persone con le quali abbiamo dei cosiddetti “legami deboli” – le semplici conoscenze, insomma – perché ci permettono di accedere ad altre cerchie sociali, quindi a persone diverse da noi, le quali ci fanno conoscere cose che non sappiamo o ci aiutano in ciò che non sappiamo fare. La cosa interessante è che la forza di attrazione delle città non è diminuita con lo sviluppo di Internet e delle comunicazioni a distanza, ma è aumentata. Le grandi città diventano infatti sempre più grandi e più ricche, e vi si concentrano i migliori talenti. L’area metropolitana di Tokyo, ad esempio, produce una ricchezza pari a quella prodotta dall’intera Germania. La spiegazione di questo apparente paradosso è il fatto che in un’economia sempre più basata sulle idee e la creatività, le informazioni che si possono scambiare solo di persona diventano sempre più preziose. Il nostro cervello, d’altra parte, si è evoluto per fare esattamente questo. Per questo la scelta della città in cui vivere o in cui far crescere i nostri figli, o del modo in cui viviamo la nostra città, è fra le più importanti della nostra vita. EXHIBIT IL NUOVO Peter Fischli & David Weiss 58_59 Ironici e fantasiosi, attenti osservatori e narratori dell’assurdo che le cose più banali possono nascondere, Peter Fischli (Zurigo, 1952) e David Weiss (Zurigo, 1946–2012) hanno collaborato come duo artistico dal 1979 usando diversi media, dalla fotografia al video, dalla scultura alle installazioni multimediali. Der Lauf der Dinge (Il corso delle cose) è l’opera che li ha resi famosi; si tratta di un film girato in un capannone industriale che mette in scena un surreale processo di personificazione degli oggetti, in un set privo di attori e di dialoghi. Protagonisti sono infatti scatole di cartone, bicchieri, scale a pioli, copertoni, candele, teiere che divengono parte di una lunghissima reazione a catena di deliranti eventi fisico-chimici, innescata dagli artisti in veste di “apprendisti stregoni”. Ogni oggetto perde quindi la sua staticità e funzione di partenza per acquistare una vita propria, che lo porta ad essere parte di un unico processo di trasformazione e costituzione del nuovo. L’apparente casualità che domina gli eventi, come un effetto domino a metà tra un disastro annunciato e un riuscito esperimento da laboratorio, riporta alla concatenazione di causa ed effetto che regola ogni cosa, ma anche all’assurdità apparente delle basi su cui poggia l’universo. Peter Fischli/David Weiss Der Lauf Der Dinge, 1987 Stills da video Copyright Peter Fischli, David Weiss Courtesy Sprüth Magers Berlin London; Galerie Eva Presenhuber, Zürich; Matthew Marks Gallery, New York A chi non vive lo spirito del suo tempo, del suo tempo toccano solo i mali. EXHIBIT Voltaire 60_61 Da quasi duecento anni, il mondo non fa che cambiare “a ondate”: l’età del vapore, quella dell’elettricità, dell’automobile, delle telecomunicazioni, del computer, e così via. Queste ondate sono sollevate dai “venti della distruzione creatrice”, come l’economista Joseph Schumpeter chiamò il meccanismo con il quale le economie di mercato evolvono. “Distruzione” perché ogni volta che il vecchio finisce delle aziende falliscono, si perdono posti di lavoro, molti mestieri e interi settori produttivi scompaiono. “Creatrice” perché col tempo il nuovo porta nuove aziende, nuovi posti di lavoro, nuovi mestieri e nuove industrie. I cavalli hanno ceduto il posto al treno, all’automobile e all’aereo, il lavoro nei campi a quello nelle fabbriche e poi a quello negli uffici, la pellicola alla fotografia digitale, la pubblicità sui giornali a quella televisiva e ora sul web. Alla fine di ogni passaggio siamo sempre stati meglio: il progresso materiale e sociale è aumentato, e soprattutto si è esteso a strati sempre più larghi della popolazione, prima nei paesi occidentali e oggi anche nel resto del mondo. Il paradosso del progresso, però, è che per avere qualcosa di nuovo e di migliore (che arriva col tempo) bisogna prima distruggere il vecchio (cosa che avviene subito), passando quindi per un periodo di transizione che per molti è doloroso, e nel quale si perdono anche molte cose buone del passato. Le novità ci possono far sentire sradicati, perché la nostra identità è fatta anche di abitudini e di memoria. Oggi stiamo vivendo uno di questi momenti: i progressi della scienza e della tecnologia ci affascinano, spesso addirittura ci entusiasmano, ma al tempo stesso ci inquietano, e il futuro ci fa paura. Ma se al nuovo cerchiamo spesso di resistere, rifugiandoci nella nostalgia di un passato idealizzato, oppure temiamo che una qualche catastrofe sia alle porte, è perché la nostra mente è fatta così. Si è infatti evoluta in epoche in cui i progressi erano lentissimi, e fare qualcosa di diverso da quello che si era sempre fatto, era un azzardo che poteva costare la vita. Nel 2002, lo psicologo Daniel Kahneman ha vinto il premio Nobel per l’economia dimostrando, fra le altre cose, che la nostra mente teme molto di più le possibili perdite di quanto speri nei possibili guadagni: per prendere una decisione dall’esito incerto, i possibili guadagni devono essere almeno due volte più grandi. Per lo stesso motivo siamo così sensibili ai rischi e alle cattive notizie, e sottovalutiamo quanto di buono i nuovi tempi possono portare. Tutto questo non per dire che dovremmo accettare qualsiasi cosa il futuro ci porti: lo lasceremmo solo scegliere a qualcun altro. Dovremmo invece andare incontro al nuovo con intelligenza, innanzitutto cercando di capirlo, e poi cercando di capire come adattarci e possibilmente coglierne le opportunità. Solo così potremo contribuire a scegliere il nostro futuro, e non a subirlo. E a conservare il buono che c’è nel passato, anziché buttarlo via. DISTRUZIONE CREATRICE PARADOSSO DEL PROGRESSO SAPER IMPARARE Tim Rollins + K.O.S. 64_65 La ricerca di Tim Rollins (Pittsfield, ME, Stati Uniti, 1955; vive a New York) si configura come esperienza artistica e didattica insieme, volta a costituire un nuovo modello di insegnamento che si fonda sulla condivisione delle idee e sul lasciar spazio alle capacità individuali degli studenti/collaboratori che di volta in volta partecipano alla realizzazione delle sue opere. Nel 1982 Rollins, chiamato ad insegnare alla Public School 52 del South Bronx di New York - in un contesto problematico ma al tempo stesso caratterizzato da un forte potenziale creativo -, sviluppa un proprio metodo di insegnamento basato sulla lettura, il disegno e la pittura; il suo gruppo di lavoro assume il nome di K.O.S. (Kids of Survival), ovvero “i ragazzini della sopravvivenza”. Le opere realizzate da Tim Rollins + K.O.S. partono da una riflessione e lettura in gruppo di alcuni testi poetici, letterari, filosofici, scientifici e politici, dalle cui suggestioni nascono grandi quadri, spesso realizzati su un supporto costituito da carta di libri e di giornali, materiali “poveri” e facilmente reperibili. Il processo collettivo di ideazione e realizzazione dell’opera diviene parte integrante del risultato finale e rientra in un più complesso progetto sociale di diffusione culturale. Per la mostra Benzine Tim Rollins ha realizzato con K.O.S. (ormai un’identità collettiva i cui singoli membri cambiano continuamente) un lavoro ispirato all’Origine delle specie di Charles Darwin, presentato con opere appartenenti a serie diverse ma legate tra loro dalla stessa metodologia di ricerca. Tim Rollins and K.O.S. On the Origin of Species (after Darwin), 2012 Inchiostro, acrilico opaco, pagine di libro su pannello, 91.4 x 121.9 cm Courtesy Maureen Paley Gallery, London e Raucci/Santamaria Gallery, Napoli Non limitare tuo figlio a quello che sai tu, perché lui è nato in un altro tempo. Rabindranath Tagore 66_67 Una buona istruzione è indispensabile per vivere in una società avanzata e farla funzionare. E se la società cambia rapidamente, altrettanto rapidamente cambiano anche le cose da sapere. Quindi bisogna continuare a imparare. Paradossalmente, però, è raro che la scuola ci prepari a questo compito. La scuola che conosciamo è nata infatti cento anni fa per uno scopo diverso: fornire alle nuove industrie e alle nuove burocrazie lavoratori tutti uguali, pronti a fare quello che veniva loro detto di fare, e con una preparazione che sarebbe servita loro per tutta la vita. Allora servivano persone istruite, non persone brillanti, perché il compito di pensare, creare e decidere era riservato a pochi. Oggi la nostra scuola risente ancora di questa impostazione, ma il mondo intorno a lei è cambiato profondamente. In ogni settore e quasi a tutti i livelli, l’economia ha infatti sempre più bisogno di persone capaci di inventare cose nuove. Persone che non hanno semplicemente accumulato conoscenze – oggi sempre a portata di Internet – ma le sanno usare in modo nuovo. Persone capaci di capire da sole che cosa devono fare, perché ogni organizzazione deve essere più rapida e flessibile. Persone capaci di connettere fra loro altre persone, informazioni, macchine, imprese o culture, perché è così che oggi si crea più valore. Il mondo del lavoro si va infatti sempre più divaricando fra questo tipo di persone e chi resta un semplice ese- cutore, sostituibile in qualsiasi momento. Molti paesi, come Finlandia, Canada e Olanda stanno già cambiando il modo di fare scuola. Perfino Giappone e Cina, che fino a ieri si basavano sull’apprendimento a memoria per superare un esame dietro l’altro, oggi privilegiano invece l’iniziativa, il pensiero critico, l’analisi dei dati, la creatività e la capacità di decidere e di risolvere problemi reali. Grazie a un uso intelligente delle tecnologie digitali si può personalizzare l’educazione, perché le scienze cognitive ci hanno confermato qualcosa di cui molti si sono sempre accorti: ciascuno di noi impara in modo diverso. La Corea, ad esempio, ha imboccato con decisione questa strada. Le nostre scuole invece si basano ancora sull’idea che bisogna prima imparare tutto quello che c’è da sapere, per poi un giorno poterlo applicare nella vita. Solo che a quel punto molti hanno ormai perso ogni curiosità e interesse. La voglia di studiare è invece forse la cosa più preziosa che un sistema scolastico deve coltivare nei ragazzi, perché ognuno di noi impara davvero solo quando decide di farlo. Oltre a fornire una solida preparazione di base, è questo il compito più importante per una scuola oggi, dal momento che i ragazzi vanno preparati per lavori che non esistono ancora, tecnologie che non sono state ancora inventate e problemi che non possiamo prevedere. EXHIBIT LA PASSIONE João Onofre 70_71 Ispirandosi e citando apertamente opere d’arte storiche, celebri canzoni e film, João Onofre (Lisbona, 1976; vive a Lisbona) si muove tra performance, video e fotografia per rielaborarne i contenuti iniziali e dare a questi un nuovo significato. Nei suoi lavori Onofre coinvolge diverse persone con l’intento di indagare la complessità delle dinamiche di gruppo, le condizioni e i presupposti attraverso i quali si verificano i processi di aggregazione sociale. Nel video Casting (2000) alcuni ragazzi che partecipano all’audizione per un film sono chiamati a recitare la frase “Che io abbia la forza, la convinzione e il coraggio” pronunciata da Ingrid Bergman nella scena in cui sta per attraversare il vulcano in Stromboli di Roberto Rossellini. Disposti su tre file gli aspiranti attori si guardano mentre uno alla volta scandiscono le parole della battuta, la cui gravità contrasta vivamente con il loro comportamento apatico e svogliato. La motivazione che si presuppone essere alla base di un qualsiasi provino si annulla nella piattezza della recitazione, facendosi così metafora di una condizione generazionale in cui è sempre più difficile lasciarsi guidare dalla passione. Mostrando l’assenza di qualsiasi convinzione e coinvolgimento emotivo, l’artista sottolinea così l’importanza e il peso che essi assumono nel raggiungimento dei propri obiettivi. João Onofre Casting, 2000 stills da video Courtesy l’artista e Cristina Guerra Contemporary Art, Lisbona Trova un lavoro che ti piace, e non lavorerai mai un giorno in vita tua. Confucio 72_73 La risorsa della nostra mente che assomiglia di più a una “benzina” vera è la passione, cioè la motivazione che ci spinge a tirare fuori da noi stessi molto di più in termini di energia, intelligenza, tenacia, creatività. Non sempre il mondo di ieri premiava la passione. In moltissimi mestieri, nelle fabbriche come nelle grandi burocrazie pubbliche o private, servivano piuttosto obbedienza e diligenza nell’esecuzione di compiti scelti da altri, secondo regole dettate da altri. Oggi invece è sempre più necessario trovare questa motivazione in noi stessi. Per inventarci un lavoro, per eseguirne uno anche se non c’è nessuno che ci dica come si fa, per tenere gli occhi aperti e capire dove sta andando il mondo, per collaborare con gli altri. Ma soprattutto perché solo la passione può stimolare la creatività. Una serie di esperimenti di psicologia compiuti negli ultimi anni ha infatti dimostrato un effetto sorprendente. Se dobbiamo svolgere un compito semplice, chiaro, meccanico, la promessa di una ricompensa economica è molto efficace nello spingerci a fare di più. Ma se invece il compito è complesso, incerto e creativo, la stessa ricompensa non è altrettanto efficace. Spesso, anzi, ci fa produrre risultati peggiori. In altre parole, riusciamo a tirare fuori il meglio non quando lavoriamo solo perché ce lo ha ordinato qualcuno, ma quando lavoriamo per la soddisfazione di farlo. La motivazione non è infatti il frutto di un ragiona- mento, ma di un’emozione. La testa ci può dire come fare qualcosa, ma solo il “cuore” ci dice che cosa fare, e ci dà l’energia necessaria. Nell’economia della mente, il compito delle emozioni è infatti proprio quello di indirizzarci verso un obiettivo anziché verso altri. Ragione ed emozione non sono quindi forze che ci spingono in direzioni opposte, come si è a lungo pensato. Anzi, l’osservazione di pazienti che a causa di traumi, ictus o tumori hanno subito danni ai centri cerebrali responsabili delle emozioni ha rivelato che queste persone non riescono a vivere una vita normale. Anche se le loro facoltà razionali sono intatte, sono paralizzate di fronte a qualsiasi decisione. Ma verso quali obiettivi ci dovrebbero indirizzare oggi le emozioni? Ogni motivazione serve a soddisfare dei bisogni, ed esiste una gerarchia dei bisogni umani. Solo quando sono stati soddisfatti i bisogni di base, come quelli fisiologici o di sicurezza, si può passare a quelli superiori come appartenenza, stima, autorealizzazione. Per trovare la motivazione necessaria per affrontare le sfide del lavoro e della vita di oggi, bisogna rivolgersi alla soddisfazione di bisogni superiori: poter lavorare in autonomia, provare gusto nel diventare sempre più bravi in qualcosa, sforzarsi per raggiungere uno scopo più grande e più importante del nostro immediato interesse personale. EXHIBIT Raqs Media Collective 76_77 Raqs Media Collective è un gruppo costituitosi a New Delhi, in India, nel 1992 e formato da Monica Narula, Jeebesh Bagchi e Shuddhabrata Sengupta. Giocando con una pluralità di ruoli, Raqs opera su fronti sempre diversi, realizzando opere d’arte ma anche curando mostre, pubblicando libri, collaborando con architetti, programmatori di computer, scrittori e registi di teatro nell’ambito di progetti trasnsdisciplinari che offrono una pluralità di sguardi sulla cultura contemporanea indiana e non solo. Revoltage è un’installazione prodotta in tre diverse edizioni che diviene rappresentativa dell’attitudine del Raqs Media Collective a manipolare e a giocare con le parole. Nove giganti lettere, formate da una schiera di lampadine, riproducono la parola “Revoltage” e sembrano alludere a luminarie da festa. Le lettere si accendono in modo alternato e si uniscono per proporre un ibrido incandescente, illuminando alternativamente le parole “Revolt” e “Voltage”. La forza dell’immagine si associa a quella del testo al fine di coniare un nuovo pensiero che si concretizza in una parola inesistente ma fortemente evocativa, “Revoltage”, tra energia pura, visibile, ed energia simbolica come slancio verso una rivolta per ora solo annunciata. Raqs Media Collective Revoltage, 2010 Lampadine, policarbonato, elettricità 91,44 x 63,5 x 10,16; 182,88 x 63,5 x 10,16; 152,4 x 63,5 x 10,16 cm Courtesy gli artisti e Project 88, Mumbai. i libri di benzine Roger Abravanel e Luca D’agnese, Italia, cresci o esci! Garzanti Chris Anderson, Makers, Random House Edoardo Boncinelli, La vita della nostra mente, Laterza Edoardo Boncinelli, Come nascono le idee, Laterza Norman Doidge, Il cervello infinito, Ponte alle Grazie Seth Godin, La chiave di svolta, Sperling & Kupfer Robin Dunbar, L’evoluzione del cervello sociale, Espress edizioni Seth Godin, The Icarus deception, Denis Dutton, The art instinct, Carol Dweck, Mindset, Robinson Seth Godin, Hugh MacLeod, V is for vulnerable, Daniel Goleman, L’intelligenza emotiva, BUR Rizzoli Sian Ede, Art & science, Tauris Daniel Goleman, Ray Michael, Paul Kaufman, Lo spirito creativo, BUR Rizzoli David Edwards, Artscience, Harvard University Press Lynda Gratton, Il salto, Il saggiatore Carlo De Benedetti, Mettersi in gioco, Einaudi Richard Florida, La classe creativa spicca il volo, Mondadori Chip & Dan Heath, Switch, Random House Edward De Bono, Il pensiero laterale, Rizzoli Richard Florida, Who’s your city, Basic Books Jane Jacobs, Vita e morte delle grandi città, Einaudi Edward De Bono, Come Pensare, Il Sole24Ore libri Thomas Friedman, Il mondo è piatto, Mondadori Steven Johnson, Dove nascono le grandi idee, BUR Rizzoli Edward De Bono, Sei cappelli per pensare, Rizzoli Benjamin Friedman, Il valore etico della crescita, Università Bocconi Daniel Kahneman, Pensieri lenti e veloci, Mondadori Domenico De Masi, La fantasia e la concretezza, Rizzoli Howard Gardner, Cinque chiavi per il futuro, Feltrinelli Tom Kelley, I dieci volti dell’innovazione, Sperling & Kupfer) Domenico De Masi, L’emozione e la regola, Rizzoli Howard Gardner, Sapere per comprendere, Feltrinelli Domenico De Masi, Il futuro del lavoro, Rizzoli Richard Glaeser, The Triumph of Cities, Pan Jonah Lehrer, Imagine, Canongate David Landes, La ricchezza e la povertà delle nazioni, Garzanti) John Dewey, Arte come esperienza, Aesthetica Seth Godin, Sapere quando restare, capire quando lasciare, Sperling & Kupfer Ludovica Lumer, Semir Zeki, La bella e la bestia: arte e neuroscienze, Laterza Antonio Damasio, Alla ricerca di Spinoza, Adelphi Antonio Damasio, L’errore di Cartesio, Adelphi John Medina, Il cervello Istruzioni per l’uso, Bollati Boringhieri Roberta Ness, Innovation generation, Oxford University Press Alberto Oliverio, Come nasce un’idea, Rizzoli Daniel Pink, Drive, Etas Matt Ridley, The Rational Optimist, Harper Collins Walter Santagata, La fabbrica della cultura, Il Mulino Annamaria Testa, La trama lucente, Rizzoli Annamaria Testa, La creatività a più voci, Laterza Sarah Thornton, Il giro del mondo dell’arte in sette giorni, Feltrinelli Lester Thurow, Capire l’economia, Il Sole24Ore Libri Norbert Wiener, L’invenzione, Bollati Boringhieri Stampato da Multiprint - Roma gennaio 2013
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