140 - Moto.it

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Numero 140
18 Febbraio 2014
83 Pagine
Novità
Yamaha YZF-R125
Kawasaki Ninja 250RR
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
Nico Cereghini
Mi gioco la carriera:
un paio di piloti che si
sono cacciati in una
impresa molto difficile
Internazionali
d’Italia
Cairoli è Campione
nonostante un
infortunio
| prova naked |
MV Agusta
Brutale 800
Dragster
da Pag. 2 a Pag. 13
All’Interno
NEWS: Guida all’usato Ducati Monster Quattro valvole | M. Clarke I ciclomotori italiani a quattro tempi / terza parte
MOTOGP: Rossi 35 anni e tante vittorie | SBK: I test in Australia | ENDURO: Hell’s Gate gara finita da Jarvis e Walker
MV Agusta Brutale 800 Dragster
PREGI
Personalità e prestazioni
DIFETTI
Abitabilità quasi da monoposto e prezzo
Prezzo 13.490 €
Prova naked
L’altra faccia
della rabbia
La Dragster è la versione intransigente e arrogante
della Brutale 800. Più curata, esclusiva e costosa:
13.490 euro. Ha un allestimento completo,
con ABS, ed elettronica migliorata.
Il passeggero però è indesiderato
di Francesco Paolillo
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
retrovisori sono presi direttamente dalle sorelle
Turismo Veloce e Rivale, mentre i supporti delle pedane e i fregi in alluminio per il parafango
anteriore, sono specifici per questa moto, così
come la palpebra che sormonta il faro anteriore
e la sella, con cuciture a vista. L’impostazione di
guida cambia anche grazie al fatto che al posto
del manubrio della Brutale 800, ora ci sono due
semi manubri dotati di regolazione, con un’escursione utile di 7°, che corrisponde a 40 mm.
Media
Motore e ciclistica
La Dragster 800 condivide ciclistica e meccanica con la sorella Brutale 800, quindi la potenza
del tre cilindri rimane invariata, 125 cv (92 kW)
a 11.600 giri, così come la coppia, 81 Nm (8.25
kgm) a 8.600 giri, mentre il cambio a sei marce,
di tipo estraibile, è dotato di serie di quick-shift.
Il MVICS (Motor Vehicle Integrated Control System) è stato oggetto di un altro sviluppo nelle
logiche di funzionamento della centralina Eldor
M
V Agusta si muove in maniera agile e brillante in un
mercato motociclistico,
che almeno in Italia, è a
dir poco bolso e zoppicante, ma che in altri lidi è
meno sofferente e sempre in cerca di novità. E
proprio parlando di novità la casa italiana stupisce ancora, presentando un altro modello - in totale si arriva a dodici contro i tre disponibili poco
più di dieci anni fa - che allarga ulteriormente
la famiglia delle tre cilindri, andando a colmare
una nicchia, senza il clamore suscitato dalle sorelle Rivale e Turismo Veloce, ma che di certo
solleticherà le voglie di un ristretto numero di
appassionati. Che poi tanto ristretto può anche
non essere. Non è una moto da grandi numeri,
né gli uomini di MV Agusta l’hanno pensata e
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Prova
EM2.0, che garantisce un miglioramento tangibile nella dinamica e nel comportamento sia del
motore sia della moto stessa, relegando al passato le incertezze del ride by wire. Tali modifiche
non sono esclusive dei nuovi prodotti, ma sono
disponibili anche per tutte le tre cilindri che hanno da tempo varcato i cancelli della fabbrica di
Schiranna, e che in pochi minuti possono essere
aggiornate semplicemente recandosi in una concessionaria MV. L’MVICS (Motor & Vehicle Integrated System) consente, sulla Dragster come
sul resto della gamma tre cilindri, di scegliere
fra tre mappature differenti (Sport – Normal –
Rain), più una quarta aggiuntiva, Custom, completamente personalizzabile. Come sulle sorelle,
anche sulla Dragster si può intervenire su controllo di trazione (regolabile su otto livelli), intervento del freno motore e del limitatore di giri,
risposta del motore ed erogazione della coppia
e risposta del comando del gas. Le regolazioni si
possono attuare attraverso l’utilizzo dei pulsanti
realizzata a tale scopo: è un vero e proprio sfizio a due ruote, una seconda moto magari, dalla
personalità forte e irriverente, per motociclisti
senza compromessi. Deriva strettamente dalla
B3 800, ma le componenti modificate rendono
la Dragster più curata e ricercata, caratteristiche che innalzano anche il prezzo di listino fino
a 13.490 euro franco concessionario. La prima
cosa che colpisce è il codino “mozzato”, con la
sella dalla nuova conformazione in sostanza
monoposto, che rende ancora più compatta la
vista laterale della tre cilindri di Varese, mentre
i cerchi specifici per questa moto, calzano pneumatici (Pirelli Diablo Rosso II) 120/70 anteriori e
200/50 posteriori, dimensione che estremizza
ulteriormente il concetto di moto da sparo. Due
le colorazioni disponibili, Bianco oppure Grigio
Avio metallizzato opaco. Porta targa e specchi
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di selezione posizionati sui blocchetti elettrici. La
ciclistica è strettamente derivata da quella della
B3 800, e se si esclude una taratura leggermente
diversa delle sospensioni, e quindi della forcella a
steli rovesciati Marzocchi da 43 mm e del mono
Sachs (entrambi ampiamente regolabili), la Dragster 800 è una copia fedele della Brutale 800.
Certo il telaietto reggisella è stato rivisto, in virtù delle dimensioni ridotte, ma il traliccio in tubi
di acciaio ALS e le piastre in fusione di alluminio
sono gli stessi, così come il bellissimo forcellone
monobraccio.
Freni
Finalmente tutta la gamma MV a tre cilindri è ora
disponibile con l’ABS, che nel caso della Dragster
è di serie, e che quindi esce dai concessionari
dotata di un sistema Bosh 9 PLUS, che sovraintende al funzionamento della coppia di dischi
flottanti da 320 mm con pinze radiali Brembo a
quattro pistoncini e al singolo disco posteriore
da 220 mm con pinza a due pistoncini.
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Prova
Bando alle ciance: il nostro test
Un meteo avverso che ha bagnato abbondantemente le strade francesi per tutta la notte, mette
a dura prova la Dragster 800 e soprattutto chi la
guida. Il carattere irascibile della tre cilindri italiana potrebbe mal digerire asfalti scivolosi e strade
ricche di curve, mentre il gommone posteriore
da 200, dalle caratteristiche più votate alla performance che non alle prestazioni in condizioni
difficili, ci porta a guidare in maniera oltremodo
prudente. La leggerezza della Dragster è però
uno degli aspetti positivi che emergono sin dai
primi chilometri, mentre la presenza dell’ABS,
unita a quella dei controlli di trazione, sono una
bella garanzia di tranquillità. A mano a mano che
passano i chilometri, dobbiamo ricrederci, e la
tensione che sulle prime ci portava a guidare in
maniera particolarmente accorta, inizia a scemare. Il perché è presto detto, la risposta ai comandi del gas conseguente l’aggiornamento del
software di gestione del motore, hanno sortito gli
effetti sperati, e a giovarne è la guidabilitá in tutte
Alziamo il ritmo e
cominciamo a sfruttare
maggiormente le prestazioni del
“Tre Pistoni”, che è davvero
arrabbiato e arrogante quando
gira nella zona alta del contagiri
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Prova
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb
bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb
bbbbbbbbbbbbbbb
le condizioni. Il tanto acclamato ABS finalmente
consente di affrontare le frenate più impegnative
e i terreni più insidiosi, con una certa tranquillità,
e permette di sfruttare al meglio l’impianto frenante, con la novità di un freno posteriore ben
più modulabile rispetto alle versioni prive di antibloccaggio, e che è più facile e soprattutto più
piacevole da usare. Durante il test su strada, abbiamo avuto modo di guidare oltre alla Dragster,
anche la Brutale 800, quindi siamo riusciti a
metterle a confronto in tempo reale. Le differenze sono abbastanza evidenti, con una posizione di guida “più inserita” (la sella è più scavata
e offre meno possibilità di movimento rispetto
a quella della B3) e leggermente più caricata in
avanti nella Dragster, con una leggera perdita di
velocità negli inserimenti in curva e nei cambi di
direzione, a causa dell’aumento della sezione del
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pneumatico posteriore. Diciamo subito che la
Dragster rimane molto agile e reattiva nei percorsi misti, e che la dinamica non peggiora assolutamente, ma semplicemente cambia. Mentre
l’asfalto si asciuga alziamo il ritmo e cominciamo
a sfruttare maggiormente le prestazioni del Tre
Pistoni, che è davvero arrabbiato e arrogante
quando gira nella zona alta del contagiri. Questo
propulsore, a differenza del concorrente inglese e soprattutto dei neo arrivati giapponesi, è
decisamente propenso a girare alto, e mostra il
meglio di se dai 7/8.000 giri in su, regimi in cui il
suono dell’aspirazione e la musica che esce dagli scarichi fanno letteralmente godere chi gli sta
in sella. Dimostrando però che è anche capace
di girare basso e di riprendere senza incertezze
quando si va a spasso, magari in mezzo al traffico.
La prova in pista
La parte finale del test dinamico ci ha riservato
una sorpresa, perché abbiamo avuto la possibilità di provare la neonata Dragster 800 anche in
pista, a Le Castellet. Una forzatura? Sulle prime
avremmo risposto di sì, ma con il senno di poi
diciamo che ci può stare! Che a Schiranna sappiano mettere a punto le ciclistiche delle loro
creature è un dato acquisito, e questa Dragster
800 non è da meno e porta avanti la tradizione.
Il tracciato oggetto del contendere è quello del
Paul Ricard di Le Castellet, in versione accorciata, ma sempre probante e impegnativo per qualsiasi tipo di moto, e soprattutto per una naked
agile e reattiva come la MV Dragster 800. La
pioggia notturna ha lasciato tracce evidenti del
suo passaggio, e in molti punti la pista è ancora umida, per non dire bagnata, ma la voglia di
girare e di provare questa belva scatenata è tanta. Le prime sorprese riservateci riguardano sia
le prestazioni del motore, che consentono uscite
di curva e accelerazioni in stile tiro con la fionda,
senza quelle incertezze e ritardi che caratterizzavano la precedente gestione dell’elettronica,
mentre il cambio dotato di quick shift inserisce,
o meglio spara letteralmente un rapporto dietro l’altro. La reattività della ciclistica e l’immediatezza nel recepire i comandi del pilota, non
contrastano con una stabilità sul veloce che ha
dell’incredibile, e per veloce intendiamo la percorrenza della famosissima curva Signes, dopo il
lungo, e altrettanto famoso rettilineo del Mistral,
che la Dragster ha affrontato senza battere ciglio
in quarta piena, forte anche del maggiore appoggio offerto dal gommone posteriore. Nella parte
mista la naked italiana mette in mostra doti di
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ABBIGLIAMENTO
piegatrice da prima della classe, alla faccia delle
coperture di primo equipaggiamento dalla connotazione prettamente stradale, mentre pedane e scarico sono ben lungi dal grattare l’asfalto. Certo senza le macchie di umido e con due
pneumatici in mescola… L’ABS tanto apprezzato
su strada, ci mette del suo anche tra i cordoli di
questa bellissima pista, anche perché nella staccata più impegnativa in fondo al rettilineo dei box
(girando sul “corto” si deve affrontare un tornantino da prima/seconda), c’erano delle evidenti
tracce di umido che promettevano male. No problem, staccatona senza indugi, ABS che massimizza il grip del pneumatico anteriore, e via
andare. In uscita peliamo il cordolo, e sentiamo
l’intervento del controllo di trazione che finora ha
riposato bellamente, anche perché questa Dragster, come del resto tutta la gamma sviluppata
sulla piattaforma tre cilindri, ha trazione e grip
da vendere, e innescare l’intervento dell’elettronica è più difficile rispetto a molte concorrenti. La
Dragster 800 è divertente anche nell’uso estremo in pista? La risposta è sì. Estrema e modaiola
in apparenza, esclusiva nella dotazione tecnica e
nel prezzo, diamo un benvenuto a una moto che
farà parlare di sé e che innescherà, anzi l’ha già
fatto, discussioni infinite. Una moto che riesce a
emozionare nella guida su strada così come parcheggiata davanti al locale di tendenza, e perché
no, anche in pista.
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SCHEDA TECNICA
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Prova
Giacca IXS
Guanti Spidi Carbo3
Pantaloni Draggin Jeans
Casco Arai Quantum
Stivali XPD XP5-S
Tuta Spidi Track Wind Pro
MV Agusta Brutale 800 Dragster € 13.490
Tempi: 4
Cilindri: 3
Cilindrata: 798 cc
Disposizione cilindri: in linea
Raffreddamento: a liquido e olio con
radiatori separati
Avviamento: E
Potenza: 125 cv (92 kW) / 11600 giri
Coppia: 8.25 kgm (81 Nm) / 8600 giri
Marce: 6
Freni: DD-D
Misure freni: 320-220 mm
Misure cerchi (ant./post.): 17’’ / 17’’
Normativa antinquinamento: Euro 3
Peso: 167 kg
Lunghezza: 2060 mm
Larghezza: 825 mm
Altezza sella: 811 mm
Capacità serbatoio: 16.6 l
Segmento: Naked
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News
Yamaha YZF-R125
Tante novità per il 2014
Novità estetiche e di sostanza per la piccola supersportiva: design
del cupolino, gruppo ottico posteriore, iniezione elettronica, forcella
up-side down, nuovo disegno dei leveraggi della sospensione posteriore.
Prezzo 4.490 euro f.c
Y
amaha lancia il nuovo modello della
più piccola supersportiva dei tre diapason che si presenta con un nuovo
look dinamico e ispirato alle R-Series,
la ciclistica ancora più sofisticata. Tante le novità.
Nuova carena ispirata a R6
Per il 2014 YZF-R125 cambia volto con il nuovo
design del cupolino, più dinamico e ispirato alle
linee di YZF-R6. La presa d’aria ricavata tra i due
fari regala al nuovo modello un’immagine ancora
più aggressiva, che accentua il family feeling con
le R-Series e dichiara l’eredità delle competizioni. Il posteriore ha un nuovo gruppo ottico, ed è
equipaggiato da un porta targa più corto che ne
enfatizza la sportività.
Nuova iniezione elettronica
Il modello 2014 è equipaggiato con una nuova
iniezione elettronica che - garantisce Yamaha ottimizza ulteriormente i consumi, riducendoli di
circa l’11% rispetto l’attuale versione.
Nuova forcella up-side down e
leveraggi sospensione posteriore
rivisti
Il nuovo design della sospensione anteriore è una
delle innovazioni più significative. Come le sorelle maggiori YZF-R1 e YZF-R6, anche la nuova
YZF-R125 adotta una forcella a steli rovesciati da
41mm. Oltre alla nuova forcella, la versione 2014
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presenta anche un nuovo disegno dei leveraggi
della sospensione posteriore, per migliorare il
comfort del pilota e del passeggero.
Freno a disco anteriore
flottante con pinza radiale
YZF-R125 2014 adotta un freno a disco anteriore
flottante da 292mm con pinza radiale. Un’abbinata che assicura frenate più potenti, e una risposta immediata all’azione della leva.
Leggeri cerchi in lega con razze
a Y, ispirati al mondo delle
competizioni
Altra novità del 2014 sono i cerchi in lega, con
razze a Y che accentuano il look da competizione di questa moto da sogno. I nuovi cerchi calzano uno pneumatico 100/80-17 (anteriore) e
130/70-17 (posteriore), per una trazione straordinaria e una tenuta di strada impeccabile.
Strumentazione LCD
multifunzione
La strumentazione è stata completamente ridisegnata e il nuovo display LCD multifunzione
e retroilluminato indica il tachimetro digitale
e il contagiri a barre, a sinistra il display multi
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News
funzione, facilmente navigabile, offre le informazioni sulla temperatura del motore, i dati su
velocità massima, velocità media e consumo di
carburante. Attraverso il display di destra invece
il pilota riceverà informazioni sul livello di carburante e indicazione sulla riserva, il contachilometri parziale, l’indicatore dei chilometri residui e
l’orario grazie ad un orologio digitale.
Componenti della ciclistica
ridisegnati
Accanto alle modifiche più importanti sono stati
introdotti numerosi cambiamenti sulla ciclistica.
L’introduzione della nuova forcella rovesciata ha
permesso l’impiego di un nuovo parafango anteriore verniciato carbon-look che ne accentua
l’immagine di moto ispirata alle competizioni.
Per migliorare estetica e funzionalità il pedale del
freno posteriore, la leva del cambio e i supporti
delle pedane per il passeggero sono stati sviluppati in alluminio forgiato, mentre il terminale di
scarico ha un nuovo design, ancora più sportivo.
Colori e disponibilità
La nuova YZF-R125 sarà disponibile da fine aprile
nei colori Matt Grey, Anodized Red e Race Blu, al
prezzo di Euro 4.490 f.c. IVA inclusa.
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News
Kawasaki
Ninja 250RR, per ora solo in Asia
di Edoardo Licciardello | Una nuova versione della Ninja d’accesso con
propulsore monocilindrico per i mercati orientali. Difficilmente arriverà
qui da noi
S
i chiamerà Kawasaki Ninja 250RR o
250SL a seconda del mercato specifico, e sarà in un primo momento riservata ai mercati asiatici: ad Akashi,
per rendere la moto più adatta al traffico e alle
strade del lontano oriente, hanno pensato bene
di alleggerire la propria Ninja d’accesso e renderla più ricca di coppia ai bassi regimi. Niente di più
facile di adottare un propulsore monocilindrico,
rifacendo ovviamente da zero il telaio - in questo
caso in tubi d’acciaio, soluzione leggera ed efficace. La scelta tecnica ha portato ad un sacrificio in
termini di potenza massima (27,6 cv, ovvero circa
4 in meno rispetto alla 250 bicilindrica) ma, appunto, ad un miglioramento del valvore di coppia
e ad un risparmio di 23 kg rispetto al modello a
due cilindri. E’ molto difficile che, a così poca distanza dal lancio della 300 bicilindrica, la 250RR
possa arrivare in Europa. E’ invece certo che sostituirà sui mercati emergenti dell’estremo oriente la 150 con propulsore a due tempi, sempre
meno appetibile anche dove le normative ancora
ne permettono l’impiego.
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guida
all ’ usato
ducati
monster
quattro
valvole
di Edoardo Licciardello | La Ducati Monster è la naked
sportiva per definizione. Alla fine degli Anni 90 ha deciso
di fare sul serio, adottando i propulsori a quattro valvole.
Più versioni ben presenti nel mercato dell’usato: modelli,
quotazioni e parere dell’esperto
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L
eggenda vuole che nel lontano 1992
Ducati abbia creato la Monster quasi
per gioco, spogliando una 851 e mettendole un manubrio largo. Ancora
prima che la matita di Miguel Galluzzi la trasformasse in quel fenomeno di costume, però, a Borgo Panigale si resero conto che il caro, vecchio
motore a due valvole era ben più adatto – con il
suo tiro in basso e soprattutto l’assenza di pesanti e sgraziati radiatori e raccordi acqua – ad
una naked come la Monster. Così nacque la prima M900, in cui una ciclistica presa di sana pianta dalla 851 Superbike conviveva brillantemente
con il bicilindrico a due valvole della serie SS. E
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fu successo istantaneo. Il tempo però è passato
anche per lei, e meno di un decennio dopo la naked bolognese si è trovata a doversi difendere da
assalti sempre più ficcanti da parte della concorrenza. Per mantenere il primato sportivo serviva
qualcosa di più di un semplice rinvigorimento
del propulsore, nel frattempo costantemente
evoluto. Ai saloni autunnali del 2001, dopo tante
realizzazioni artigianali su base 851 ed 888, debuttò dunque il primo modello della gamma S4: il
Desmoquattro arrivava sulla gamma Monster. E
le rivali incassarono. Bastarono pochissime stagioni perché Ducati decidesse di fare ancora più
sul serio, realizzando prima la S4R e poi la S4Rs,
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spinta dal più recente Testastretta. Tre modelli
che hanno saputo rinfrescare di colpo la fama di
strappabraccia della naked bolognese, creandosi un seguito parallelo ma quasi allineato rispetto
a quello dei più tradizionali – e allo stesso tempo
molto meno impegnativi nella guida – modelli a
due valvole.
La storia attuale narra della nuova Monster 1200
che ne evolve lo stesso concetto sportivo. Vi descriviamo i modelli e la loro storia, aggiungendo
un’indicazione sulla quotazione media fra gli
usati in vendita sul nostro sito, ed integrando le
nostre indicazioni con il parere di un professionista che con Ducati lavora da anni.
Usato
Le versioni
Monster S4 (2001-2003)
Fin dalla nascita della prima Monster sono stati
diversi i Ducatisti in cerca di qualcosa di più prestante rispetto al due valvole da 900cc di cui era
dotata. Qualcuno si è rivolto alle innumerevoli
elaborazioni disponibili per il “pompone” bolognese, qualcuno invece ha preso una scorciatoia,
ritenendo più semplice adattare le sovrastrutture della Monster a una 851/888. Ducati decise di
soddisfare questi incontentabili ad inizio millennio con la S4, ovvero la prima Monster con propulsore a quattro valvole. Invece di montare sulla ciclistica del 900 un motore Desmoquattro, a
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Bologna scelsero un approccio alternativo: spogliare una ST4, all’epoca dotata del propulsore
della 916 in versione cosiddetta a camma bassa,
che garantiva un’erogazione più favorevole con
scarso sacrificio in termini di potenza (101cv).
Una soluzione che svecchiò istantaneamente la
ciclistica della Monster – fu la prima ad adottare
la sospensione con leveraggi controllati dall’astina regolabile introdotta sulla 916, abbandonando l’archetto di reazione – ma che si portò dietro
qualche dettaglio che fece storcere un po’ il naso
ai monsteristi più accaniti. A parte l’inevitabile
radiatore, infatti, la S4 adottava un manubrio
diverso dalla tradizionale unità dal sapore fuoristradistico, e che qualcuno ha criticato per una
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certa perdita di semplicità. La cosa non impedì
però all’S4 di essere un grande successo, anche
grazie a una dotazione tecnica di primissimo
piano: le sospensioni Showa non erano distanti
dalle unità adottate sulla versione base della Superbike 996, i cerchi Marchesini a cinque razze
e la colorazione Senna (pur se non ufficialmente
dichiarata) avevano – e hanno tuttora – un posto
speciale nel cuore degli appassionati. Ducati realizzò nel 2002 anche la versione Fogarty: 350
esemplari dotati di 110 cavalli invece dei 101 della
moto standard grazie al doppio scarico Termignoni in fibra di carbonio a passaggio alto, ad
un airbox più libero e alla centralina rimappata.
Le altre differenze comprendevano la forcella
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con steli trattati TiN, un radiatore maggiorato
e l’ammortizzatore di sterzo. La S4 si è rivelata
prestante ma anche molto versatile, risultando
molto apprezzata dal pubblico. Se ne trovano
diverse sul mercato dell’usato – soprattutto in
considerazione dell’età – con una quotazione
media attorno ai 3.500 euro, con qualcosa di più
per la Fogarty – a questo proposito, attenzione
alla cattiva abitudine di spacciare per questa edizione limitata normali S4 kittate: le vere Fogarty
si riconoscono con estrema facilità grazie alla
targhetta numerata sulla piastra di sterzo.
Monster S4R (2003-2007)
Nel 2003 Ducati pensiona la S4 sostituendo-
Usato
la con la S4R. La “R” si distingue fin dal primo
sguardo per la grafica con striscia longitudinale
asimmetrica (che tanto ricorda le muscle-car
americane) ma soprattutto per il doppio scarico
sovrapposto sul lato sinistro, che rompe decisamente con la tradizione precedente del Monster e risolve l’annoso problema della mancanza
di luce a terra, fastidiosa in pista ma anche su
strada per chi aveva il polso destro più sciolto.
Il prezzo da pagare è qualche interferenza del
piede destro con il paratacco (che impediva
di sciogliere le suole degli stivali sugli scarichi
roventi), una posizione di guida nettamente
più sportiva e un posto poco più che di fortuna
per il passeggero, ma parliamo in ogni caso di
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aspetti che non preoccupano minimamente il
cliente tipo della S4R. Il comparto sospensioni
mantiene dotazione Showa, ma tanto forcella
che mono migliorano decisamente nella qualità,
con la prima che riceve il trattamento superficiale degli steli al nitruro di titanio. L’impianto
frenante è al top della categoria, con componentistica Brembo serie oro pur in assenza di configurazioni radiali per pinze o pompa. Tutto serve
per imbrigliare un propulsore ben più muscoloso
rispetto all’unità della precedente: la S4R era infatti spinta dal Desmoquattro da 996 centimetri
cubici prelevato pari pari dall’ultima 996S, anche
in questo caso in configurazione a camma bassa.
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
Risultato: 113 cavalli e 95,5 Nm alla ruota. All’atto
pratico la S4R diventa una belvetta quasi più da
pista che da strada: il motore è notevole anche
per gli standard attuali grazie ad una prontezza
di risposta impressionante, e la ciclistica, pur restando stabile come da buona tradizione Ducati,
è diventata un po’ più svelta. Il motore, come per
la precedente S4, è collaudato ed affidabile e se
non si risparmia sulla manutenzione è capace di
farvi fare tanti chilometri in serenità. La S4R si
è dimostrata un grande successo commerciale
per un prezzo azzeccato (costava 12.500 euro,
cifra grossomodo allineata alla concorrenza)
ma anche per la sua relativa longevità, essendo
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rimasta in vendita anche per qualche stagione in
sovrapposizione con la S4Rs che l’ha sostituita.
Non è quindi un caso se è molto rappresentata
sul mercato dell’usato (ce ne sono quasi 70 in
vendita fra i nostri annunci) ed è reperibile a quotazioni piuttosto contenute. Possiamo indicare
la quotazione di riferimento fra i 4.500 e i 5.500
euro sulla base della percorrenza e delle condizioni estetiche; sconsigliamo di stare alla larga
da proposte eccessivamente economiche a
meno di non avere la possibilità di verificare con
la massima sicurezza le condizioni meccaniche
più che estetiche. La storia della manutenzione
documentata è un requisito indispensabile.
Usato
Monster S4Rs Testastretta (2006-2008)
Non contenta delle prestazioni del Desmoquattro, o forse semplicemente per questioni di razionalizzazione della produzione (quel propulsore era rimasto in vita sulla sola Monster S4R)
Ducati a fine 2005 alza ulteriormente la posta
con la S4Rs. Spinta dal propulsore Testastretta (come orgogliosamente dichiarato dalla targhetta metallica sui preziosi fianchetti in fibra
di carbonio), la Rs poteva essere scambiata ad
un’occhiata distratta per la precedente S4R. La
realtà però era che si trattava di tutt’altra bestia:
ad uno sguardo appena più attento balzavano
all’occhio sospensioni interamente Ohlins (le
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Usato
ha raccontato tutto quello che c’è da sapere sui
Monster a quattro valvole.
Che tipo di richiesta e offerta c’è per i Monster
a quattro valvole?
«In Italia vanno di più i due valvole, a dire la verità, anche se chi la vende ha ottime probabilità
se si rivolge al mercato straniero: specialmente
S4R ed Rs sono apprezzatissime per le loro doti
dinamiche in Germania, tanto che non è raro che
rivenditori tedeschi vengano a fare acquisti qui
da noi.
Da acquirenti la cosa significa che si fanno ottimi affari, perché sinceramente i prezzi di mercato sono inferiori al valore intrinseco di queste
moto»
Qualche annata ha subito particolari richiami?
«No, si tratta di moto che non hanno avuto problemi»
stesse montate sulla 999S), impianto frenante
Brembo con pinze Triple Bridge a montaggio
radiale, cerchi Marchesini con razze a sezione Y,
pompe al manubrio radiali ed una cornucopia di
fibra di carbonio un po’ ovunque. Facile, anche
senza leggere la già citata targhetta, riconoscere il Testastretta grazie alla coppa bassa che lo
identificava inequivocabilmente come l’unità
con alesaggio da 100mm che spingeva anche in
questo caso la 999S. La potenza sale a 130cv, la
coppia a 10,6kgm – prestazioni che hanno richiesto una serie di modifiche alla moto ben meno
visibili di quelle già citate: il telaio è stato rivisto
nelle rigidità nella zona del cannotto di sterzo, e
un forcellone di diversa fattura (e verniciato in
nero come sulle Superbike e MotoGP ufficiali)
28
ha richiesto una modifica ai carter motore su cui
era imperniato. Alla guida (trovate qui la nostra
prova) la S4Rs si è rivelata ancora più micidiale
della precedente S4R: serviva – e serve – un pilota esperto e deciso per tirarne fuori il meglio, e se
la si vuole usare in pista anche un po’ di malizia
nella messa a punto, perché con tali sospensioni
e tanto motore l’assetto di serie era naturalmente un compromesso fra le esigenze sportive e
il tentativo di evitare che gli eccessi di entusiasmo finissero con grandi spaventi se non peggio.
Piuttosto costosa all’epoca (servivano 14.500
euro per portarsela a casa) la Rs è anche durata
due sole stagioni, sostituita nel 2008 da quella
Streetfighter che ha ricoperto, almeno fino all’arrivo del Monster 1200, il ruolo di naked a quattro
valvole in casa Ducati. Fra i nostri annunci ce n’è
diverse, con quotazioni che variano sensibilmente: le più recenti e curate arrivano facilmente a
sfiorare i 10.000 euro, ma possiamo indicare in
circa 7.000 euro la cifra da mettere in preventivo
per portarsene a casa una. Anche in questo caso,
fondamentale poter disporre della documentazione relativa alla manutenzione: una S4, quale
che sia il modello, è una moto affidabile e in grado di farvi divertire a lungo. Ma solo a patto che la
manutenzione sia stata eseguita puntualmente
ad opera di qualcuno che conosce il suo lavoro.
L’opinione del concessionario
Per completare il quadro ci siamo rivolti a Unomoto, concessionario Ducati di Carpi (MO) che ci
Cosa controllare quindi se si va alla ricerca di
un buon usato?
«Le solite cose: lo stato dei consumabili – dischi
frizione, che se usurati emettono un rumoraccio
allo stacco, i dischi freno che possono incidere
pesantemente sul budget della manutenzione e
quant’altro.
Ma è fondamentale che la manutenzione sia stata eseguita presso un concessionario ufficiale, e
che la storia sia tutta documentata sul libretto
con relative fatture. Una manutenzione trascurata o approssimativa può essere fonte di grandi
dispiaceri su una di queste moto»
Con quale modello a suo avviso si fanno i migliori affari?
«Difficile da dire, perché sono moto molto diverse fra di loro e dipende molto da cosa si sta cercando e dalla disponibilità economica. Una S4 si
porta a casa con una cifra molto contenuta, ma
se ci si può permettere la spesa, una Rs è tutta
un’altra moto e costa relativamente poco per
quello che è il suo valore»
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News
100 secondi su Moto.it
sono troppe le versioni
MV a tre cilindri?
L’arrivo dell’ultima MV Brutale Dragster ha sollevato molto interesse ma
anche qualche critica perché questa 800 è stata ritenuta troppo simile
alla Brutale standard. Noi abbiamo un’opinione in merito a questa
scelta razionale. Voi che ne pensate?
L
a MV Brutale Dragster 800, qui potete
leggere la prova fatta in Francia - pista
di Le Castellet compresa - dal nostro
Paolillo, ha attirato su di sé molto interesse e molti commenti positivi. Ma fra i tanti
apprezzamenti è arrivata anche qualche critica
da parte di chi ha ritenuto l’ultima tre cilindri
varesina troppo simile, e quindi sovrapponibile,
alla Brutale 800 standard. La produzione che
prevede una base in comune per più versioni
non è una modalità recente, tra gli ultimi esempi
più efficaci vanno annovertate le boxer BMW. E
negli ultimi tempi anche Honda, con le NC, e Yamaha con le MT, 07 e 09, hanno sposato questa
30
razionale strategia produttiva che vede motore
e gran parte delle ciclistica in comune per modelli che si differenziano negli allestimenti e nelle
tarature, come negli assetti e nelle prestazioni.
Una strategia che diventa ancora più importante
per aziende di dimensioni relativamente grandi
com’è il caso della MV Agusta.
Una Casa che sulla serie “Tre Pistoni” ha messo le
basi per il rilancio. L’importante è sapere comunicare bene le diverse anime dei modelli, e non
soltanto sul piano tecnico, a chi le moto alle fine
le compera.
Voi che ne pensate?
Fatecelo sapere con i vostri commenti.
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EICMA 2014
Il battito dell’anima
La prossima edizione di Eicma, quella del centenario, si svolgerà a
novembre. Intanto parte la campagna pubblicitaria che mette al
centro la passione e la rappresenta con un cuore-motore
E’
s tato presentato al Palazzo della Permanente di Milano il claim
“Cento anni di Passione”. Sarà
questo lo slogan che accompagnerà la campagna pubblicitaria della prossima
Eicma in Italia e all’estero. Il prossimo appuntamento con Eicma, che si svolgerà alla Fiera
Milano-Rho dal 4 al 9 novembre, sarà il numero
32
72 e coinciderà con il centenario della prima edizione, sempre organizzata a Milano. La serata di
lancio del claim, condotta da Pier Francesco Caliari, direttore generale di Confindustria ANCMAEicma, è stata organizzata in via Turati perché
proprio al Palazzo della Permanente, sede di mostre, sono state ospitate alcune delle prime edizioni del celebre Salone del Ciclo e Motociclo di
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News
Milano, precisamente fra il 1925 e il 1939. Cornice dell’evento, una sintetica ma qualitativamente segnificativa rappresentanza della produzione
di moto e biciclette dal 1914 a oggi, a rimarcare il
primato storico dell’esposizione milanese. L’immagine della prossima campagna pubblicitaria,
annunciano gli organizzatori di Eicma, “Vede i
riflettori puntati su un motore, che vuole avere
un senso più ampio e non meramente funzionale e tecnologico. Si tratta del motore dell’anima,
del propulsore della passione, l’insieme di tutto
quanto è in grado di far iniziare un percorso di
storie, emozioni, sacrifici, successi, investimenti,
prospettive.
In particolare, la campagna pubblicitaria ha una
duplice valenza: da una parte rende omaggio
all’intero settore, grazie al quale l’Esposizione
varca la soglia dei cento anni; dall’altro celebra
il pubblico che riconosce in Eicma l’unico punto
di riferimento per vivere una passione che non
conosce confini”. “Il visual di quest’anno - precisa Antonello Montante, Presidente di Eicma - ha
una impostazione istituzionale, pur mantenendo
la coerenza con le precedenti campagne, perché
nel 2014 EICMA raggiunge un traguardo che ha
il sapore di un primato assoluto. Il centenario ci
offre l’opportunità di ringraziare i veri protagonisti: le aziende che accordano la propria fiducia
all’evento e il pubblico”.
La campagna sarà declinata in diverse lingue e
vivrà con un piano pubblicitario internazionale,
costituito da visibilità su carta stampata, generalista e specializzata, web e tv per un investimento di 2,5 milioni di euro. La creatività “Il battito
del motore” si deve all’agenzia Grey che cura
l’immagine e la comunicazione di Eicma da quattro anni a questa parte. I direttori creativi, Francesco Fallisi e Simona Angioni, hanno espresso
le necessità dettate dal particolare momento
storico. Il cuore, centro nevralgico delle emozioni, è stato scelto come soggetto per diversi fattori: rappresenta l’inizio di ogni forma di vita, è
elemento di condivisione, è struttura portante e
macchina perfetta.
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Babila
ci racconta le Triumph di Mr Martini
Questa volta Babila è andata a trovare Mr Martini, grande specialista
nella trasformazione di Triumph e non solo, nella sua “officina-sartoria”
di Verona. Non senza affrontare il tema di come ci si veste nel modo
giusto su una classica
I
n questa rubrica che tratta di lifestyle
cerco di descrivere il mondo della moto
dal mio punto di vista. Un punto vista naturalmente femminile, ma che vi assicuro
è ugualmente istintivo e passionale. La sensibilità che contraddistingue noi donne a volte ci fa
vedere il mondo della moto, e di coloro che lo
compongono e sostengono, in maniera diversa
da come i maschi sono abituati a considerare
e comprendere. Perché magari più attenti agli
aspetti tecnici e portati a evidenziare fattori che
sono naturalmente maschili: le officine e le mani
sporche sono e probabilmente saranno sempre
34
degli uomini. La curiosità del dietro le quinte
porta però a scoprire aspetti e persone assolutamente da conoscere. Iniziando a parlare di stile,
e del sentirsi in giusta sintonia quando si guida
la propria special classic senza intrigare la semplicità di vivere a proprio modo la moto, si cerca
sempre di avere una certa attenzione a ciò che
si indossa. In questo caso la giacca in pelle o il
trench, con tasche e tasconi sul davanti e cintura in vita, va benissimo e credo sia sempre un
must. A volte potrebbe essere più interessante
se vintage, e vanno comunque bene pure i vari
tessuti tecnici con cui molte aziende fanno ora le
Media
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giacche in chiave old stile. Il casco è molto soggettivo ma va bene sia un jet che un integrale
importante che abbia una linea classica e ancora
meglio se abbinato ad occhialoni retrò oppure
maschera sobria ma in rigorosamente in stile
offroad. Per i pantaloni vale la stessa regola o
meglio con gusto si può abbinare molto, i jeans
sono sempre un classico e oggi ne esistono molto di belli e fatti, senza compromettere le linee,
con protezioni non vistose su fianchi e ginocchia,
magari abbastanza stretti in fondo alla gamba
perché con gusto si possano infilare dentro agli
stivali. Stivali che possono essere in cuoio e alti
con placca di protezione sulla tibia e sul puntale
e con grosse cuciture a vista, l’alternativa è qualsiasi altro anfibio o polacchino in pelle con colori
o linee sobrie. Il quadro potrebbe essere completato con un grande foulard colorato, che in ogni
caso protegge, e che dona quell’ultimo tocco di
eleganza che non guasta mai. Nell’ambito del
mondo della special classic, dove tutto gira intorno al gusto e al piacere per la customizzazione
delle moto e le stesse sono considerate preziose
come veri gioielli, stavolta voglio parlarvi dei segreti di Mr Martini. Nicola Martini ed io ormai ci
News
conosciamo da un po’, e con la giusta presunzione
posso dire che siamo diventati amici. In un giorno
in cui a Verona dovevo sbrigare varie cosine, tra le
quali passare per un saluto a Nicola e al suo staff,
ne è nata una situazione curiosa. Il tutto è coinciso con una pausa pranzo, dove ho avuto il piacere
di conoscere la vera storia di Mr Martini, partendo
dai suoi primi sogni e arrivando alla realtà attuale, per poi passare alle prospettive future. Perché
ricordiamoci che non si è mai abbastanza maturi
e adulti per smettere di sognare! La sua storia
inizia circa vent’anni fa, quando insieme al padre
Mario gestiva una piccola stazione di servizio con
lavaggio auto e dove, dopo aver conosciuto Carlo
Talamo (ispiratore ed ideatore di molte situazioni
ancora in noi molto vive, tra cui la passione per le
motociclette americane, inglesi e la loro distribuzione nel nostro paese), iniziò a vendere le prime
moto. Talamo diede molta fiducia a Nicola e credette nella sua volontà di fare del marchio Triumph una bandiera in quel di Verona. Il suo primo
anno fu di pochissimi esemplari di moto vendute, era in quel primo periodo dove divideva il suo
tempo tra il lavaggio di auto e la vendita di moto,
ma già l’anno successivo fu quello della svolta, e
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i numeri diventarono decisamente interessanti. A
quel punto Talamo fece scegliere a Nicola se continuare con l’autostazione oppure trovare una situazione dove poter aprire ufficialmente le danze
per quello che è diventato oggi un punto di riferimento per la vendita delle Triumph e la personalizzazione delle stesse. Sarebbe però riduttivo
parlare della personalizzazione solo di Triumph,
perché Mr Martini ha customizzato molte moto
di altri marchi, quali Ducati, BMW, Honda, ma non
solo queste sono le moto che stanno nella cultura motociclistica di Nicola, infatti nei dialoghi con
lui fatti si può intendere che sia un uomo di assoluta completezza e conoscenza del mondo delle
due ruote. Oltre a ciò ha una spiccata predisposizione per lo stile, nell’arredo e nell’abbigliamento,
ama vestirsi e travestirsi, lo showroom che rimane di fronte alla sua concessionaria, e gli stand
fieristici che fino ad ora ci ha mostrato ne sono
la prova che la moto è si uno stile di vita, ma che
in questo caso si sposa pure con una filosofia per
lo stile. La pausa pranzo è passata velocemente,
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perché quando si ascoltano storie così belle e
piene di aspetti che prima non si conoscevano,
si rimane intrappolati in un’aureola di passione.
Quindi dopo aver saputo che la sua attuale concessionaria Triumph Verona era prima Numero
Tre Verona, e aver ascoltato i suo aneddoti, Nicola mi ha accompagnato a vedere dall’interno la
sua officina della concessionaria. Dove con gentilezza e cortesia, Fabio mi ha spiegato che è qui
che avvengono tutte le operazioni meccaniche e
motoristiche sulle moto che escono dalla vendita
e che ripassano per essere tagliandate, elaborate e personalizzate. Siamo poi passati a rivedere
alcuni dettagli del suo stupendo showroom, perché avevo già avuto il piacere di conoscerlo e di
farmi alcuni scatti in quella che ho considerato
la “bottega dello stile”. E ora signore e signori il
suo laboratorio, o meglio quello che io definirei
un ambiente d’alta sartoria e che lui custodisce
gelosamente. Quest’ambiente è stato aperto
poche volte al pubblico, infatti, solo chi ha partecipato a un paio di feste cool qui organizzate,
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ha avuto il piacere di vederlo, ma sicuramente in
quelle occasioni non era operativo come ho potuto vederlo io. Direi che vista la cura per l’ordine
e per la pulizia, più che un’officina di preparazione potrebbe sembrare una sartoria. Qui ho avuto
l’onore di vedere come Claudio, uno degli uomini
di fiducia, sotto la sua diretta guida e attentissima indicazione, esegue i lavori di customizzazione, ed è proprio qui dove riescono a rendere ogni
moto che esce da quest’atelier un pezzo unico. I
clienti che fanno personalizzare la propria moto
da Mr Martini lasciano che sia sempre lui a dare
un’interpretazione con gusto, e il successo di tutto quanto visto in questi anni sono le numerose e
varie interpretazioni, new style o old style, street
oppure racing , on o offroad che siano non importa, basta che siano costruite con il suo magico
estro. Nonostante Nicola possa a volte sembrare introverso e pure timido, dimostra un’innata
predisposizione per questo lavoro. Custodisce
gelosamente i suoi ferri in quello che diventata l’incubatrice d’idee e il luogo di definizione di
Life Style
opere su due ruote, qui vediamo anche una delle
sue moto, la Harley-Davidson XLCR 1000 Cafe
Racer, vediamo pure le moto di alcuni clienti, tra
le quali ne spiccano alcune con targhe provenienti da Paesi veramente lontani, ma questi clienti
sono disposti a investire in tempo e trasporti pur
di avere una moto che sia stata qui personalizzata. Nessun dettaglio è lasciato al caso, anzi lo
sviluppo dei dettagli ne è diventato un must, lo
scarico Zard è l’esempio, il kit Scrambler un altro.
Mi potrei dilungare ancora a parlare di Nicola ma
non vorrei sembrare noiosa perché per chi non
lo sapeva già qui è dove con artigianalità si creano le sue special. E dunque perché non provare a
fare un piccolo giro in un piazzaletto privato con
la Triumph Scrambler kittata Mr Martini, e solo
come assaggio per una prossima entusiasmante
prova, che sarà magari una rimpatriata tra amici
tutti rigorosamente a bordo di una Triumph tassellata, pronta al fango e alla perdita di aderenza,
ma senza dimenticare il giubbotto di pelle e una
gran dose di stile! A presto ragazzi.
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USA
Paese che vai... mercato che trovi
di Pietro Ambrosioni | Investire nel mercato americano, come fare,
cosa fare e cosa evitare. Quanto spendere e soprattutto...
vale davvero la pena?
I
n questi ultimi 5 anni ho seguito moltissime fiere di settore, motoraduni ed eventi,
e ho visitato almeno un centinaio di negozi
sparsi per tutto il territorio Americano, da
Seattle a Miami, da Chicago a Dallas, da Boston
a San Diego. Come ho già ripetuto fino alla nausea, il settore moto in USA non produce numeri
da capogiro in termini di percentuale (ovvero in
base alla popolazione). Ma questo non vuol dire
che la cifra globale, in soldoni, sia trascurabile:
tutt’altro. E con un mercato europeo che mi dicono sempre più anemico ed avaro di risultati
sono sempre più le aziende che vogliono provare
38
a mettere un piede negli USA. Lo so bene perché,
grazie al mio ruolo di giornalista che da anni vive
qui, non passa settimana senza che nella mia
casella di posta appaia una email con richieste
“informali” sul mercato. Informazioni molto dettagliate e precise, che normalmente costerebbe
una fortuna ottenere da consulenti specializzati... Ma lasciamo stare. Io cerco di aiutare tutti ma
ho notato che ci sono concetti fondamentali che
sembrano sfuggire a molti titolari di aziende (soprattutto italiane, ma non solo). Non mi riferisco
ai grandi nomi: le aziende di quel livello hanno ovviamente una riconoscibilità acquisita attraverso
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anni di sponsorizzazioni e risultati nelle gare,
duro lavoro sul campo di filiali e rappresentanti,
eccetera. Loro sono a posto e non vengono certo
a cercare me. Qui parlo di quelle piccole e medie aziende che sono state negli Anni ‘90 e 2000
protagoniste di un vero miracolo commerciale a
due ruote in Italia ed in Europa. Ex piloti, tecnici,
inventori, meccanici o semplici appassionati che
hanno saputo trasformare la loro passione in un
business di successo grazie alla loro iniziativa e
ad una instancabile forza di volontà e determinazione. Ora fanno fatica e guardano al qua dell’Atlantico in cerca di nuovi orizzonti commerciali o
di una semplice boccata di ossigeno. Forti del
successo che hanno avuto in patria hanno idee,
prodotti e tanta voglia di fare, e immaginano che
anche una misera fettina della torta americana potrebbe significare centinaia di migliaia di
Euro. Vero, sulla carta. Ma poi si arriva sempre
al dunque, la parolina magica, il concetto che
tutti infilano più o meno all’ultima riga: partiamo
con calma e vediamo come va. Ecco, quella frase
per me si traduce in un solo modo: DISASTRO. Il
mercato americano è così predeterminato, stratificato ed impersonale che “investire poco alla
volta” sarebbe come provare a cambiare il colore
all’oceano con una goccia di inchiostro al giorno.
E’ un discorso lungo ed articolato, che magari
svilupperò in maggior dettaglio più avanti, ma la
grossa differenza qui la fa il consumatore, o meglio il modo in cui il consumatore è abituato ad
acquistare. Tutto: dalla giacca in pelle ai libri di
scuola del figlio, dal casco in carbonio alla carne
per la grigliata del sabato. La grande distribuzione qui negli USA ha raggiunto proporzioni che
sono solamente immaginabili in Europa. Il consumatore è stato plasmato da almeno tre generazioni, con un bombardamento pubblicitario a
tappeto su ogni possibile canale: TV, radio, internet, cartelloni stradali, posta e volantinaggi vari.
Al punto da renderlo quasi insensibile, fosse solo
per puro istinto di sopravvivenza “cerebrale”.
Posso assicurarvi che la maggior parte dei miei
amici qui ha sviluppato una corteccia talmente
On the road
spessa nei confronti dell’assalto mediatico che
poco o niente di questo enorme battage arriva
veramente a destinazione. La maggior parte delle volte che menziono qualche pubblicità che mi
è sembrata divertente o diversa dal solito vengo
accolto con sguardi straniti: in pratica l’ho notata solo io... Ecco perché le marche più vendute
sono anche quelle che fanno più pubblicità: la
ripetizione (anche ossessiva) del messaggio è la
chiave del successo di un prodotto piuttosto che
un altro. La pubblicità più martellante è il cuneo
che penetra quella corteccia che dicevo, e spinge
il cliente ad andare a cercare un prodotto, oppure
a notarlo nel mare di offerte che si trova davanti
al momento di entrare in un negozio. Perché qui i
negozi tante volte sono grandi come interi quartieri... C’è poi il discorso legato alla stratificazione
dei prezzi. Il consumatore americano è abituato
a pensare in termini di prezzo che sono abbastanza prestabiliti, tipicamente $49, $99, $149,
$199 e via dicendo. Per il produttore non si tratta
di stabilire il prezzo in base a quello che si offre
(“questa giacca multifunzionale costa $239 ma
ti da molto di più”) quanto piuttosto tarare l’offerta in base ad un prezzo predeterminato (“ecco
la giacca che ti do per quei $199 che ti aspetti di
spendere oggi”). Per chiudere, altrimenti vi tedio
a morte, c’è lo scoglio del sistema distributivo.
Qui la maggior parte dei negozianti fa riferimento ai due o tre cataloghi dei maggiori distributori, presso i quali è reperibile praticamente ogni
prodotto legato al mondo moto ed ATV. Parlo
di Parts Unlimited, Tucker Rocky e WPS. Questi
“mostri” hanno ognuno 5 o 6 magazzini disposti
strategicamente sul territorio in modo da garantire il minor tempo di spedizione possibile ai loro
clienti/negozianti, che piazzano gli ordini con cadenza anche quotidiana riferendosi a cataloghi di
2 o 3mila pagine. Tipicamente un catalogo per lo
strada, uno per il fuoristrada, uno per le custom
e uno per gli ATV. Per un totale di 12mila pagine a
distributore! Il succo del mio discorso è questo:
care piccole aziende italiane, valutate bene se
davvero volete investire nel mercato americano,
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perché il gioco potrebbe non valere la candela.
Prima di tutto dovete riscrivere completamente
il vostro listino, secondo il concetto “cosa per
quanto” e non “quanto per cosa”. E visto che ci
siete, strutturatelo a scaglioni di $50. Poi ricordate che anche firmando un accordo (spesso
con numeri mostruosi ed insostenibili - e relative penali se non ottemperate) con qualcuno dei
tre “grandi” - di fatto gli unici a garantirvi una
distribuzione capillare nei negozi - non avreste alcuna garanzia di vendite. Perché il vostro
prodotto sarebbe sepolto in una delle 2 o 3mila
pagine di un catalogo pienissimo di altri prodotti,
spesso in diretta concorrenza. Sta a voi spingere
quel prodotto, motivare i venditori ed educare i
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negozianti. Non aspettarvi che lo facciano i distributori: loro spingono solo i loro marchi proprietari (Icon, Bilt, Speed & Strength, Fly Racing,
Thor, Joe Rocket e via dicendo). Spetta a voi essere presenti a fiere, eventi, rally e gare, sta a voi
generare l’attenzione che porterà il consumatore a chiedere del vostro prodotto al negoziante,
attivando la catena di vendita. Ci vogliono anni di
duro lavoro assieme a decine di migliaia di Euro
da investire prima ancora del via. Quindi il discorso “iniziamo con calma e poi vediamo come
va”... beh, proprio non regge. Piuttosto investite
in un piccolo magazzino conto terzi ed un bel sito
di eCommerce: quello potrebbe fare la differenza
senza costarvi un occhio della testa!
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
L
Media
a Nassetti, nata nel 1934, si era rapidamente ingrandita, arrivando ad avere quattro strutture di produzione in
tre diverse regioni d’Italia. Fabbricava
dispositivi elettrici di ottima qualità, principalmente destinati ad impiego aeronautico, come
generatori di corrente e magneti. Dopo il termine
del conflitto l’attività si è concentrata sui volani
magnete destinati al settore motociclistico; rapidamente le strutture produttive di Milano e di
San Pellegrino Terme sono state adibite anche
alla fabbricazione di motori ausiliari per bicicletta, che hanno ottenuto un notevole successo. I
modelli Aurora, Alba e Brunetta, rispettivamente
con trasmissione a catena, a rullo rapportato e
a rullo in presa diretta, sono entrati in produzione nei primi anni Cinquanta. I loro nomi erano
Pagine di storia
quelli delle prime tre figlie di Cesare Nassetti.
Quelli delle altre due sono stati riservati a due
ottimi ciclomotori apparsi successivamente. Oltre che per il motore sciolto, il nome Brunetta è
stato anche usato per un semplice ma efficace
bicimotore con telaio in lamiera stampata che
per l’appunto lo impiegata e che veniva prodotto
nel nuovo stabilimento di San Pellegrino Terme,
ove ben presto si è concentrata tutta l’attività
produttiva dell’azienda. Il Dilly (che sta per Diletta), era un ciclomotore a due tempi, prodotto in due versioni, con telaio rispettivamente in
lamiera stampata e in tubi e sospensioni a biscottini oscillanti (non solo anteriormente, ma
anche posteriormente!). Il Sery (da Serenella),
esso pure apparso nel 1955-56, si poneva al top
della gamma e aveva un motore a quattro tempi.
Nassetti Sery T
Il Sery (da Serenella), esso pure apparso nel 1955-56, si poneva al top della gamma e aveva un motore a quattro tempi
Massimo Clarke
“I ciclomotori italiani a quattro
tempi” / terza parte
Attorno alla metà degli anni Cinquanta queste autentiche piccole moto
hanno vissuto un periodo d’oro e se i modelli a due tempi prevalevano
numericamente era solo perché costavano meno
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Alpino 48 4T
Alpino T48 sport
Nel 1957 finalmente è entrato in produzione il T48, una bella piccola moto a quattro tempi dalle ottime caratteristiche
La potenza era di 1,8 cavalli a 6000 giri/min
Si trattava di un monocilindrico con distribuzione
ad aste e bilancieri e valvole inclinate di 80°, il che
consentiva di ottenere una camera di combustione emisferica. Il cilindro era in ghisa con canna
integrale e l’albero a gomito era in un sol pezzo.
La biella lavorava alla testa su rullini sciolti. La
frizione era montata direttamente alla estremità
sinistra dell’albero a gomito. Una trasmissione
primaria a ingranaggi a denti dritti provvedeva a
inviare il moto al cambio a tre marce, del tipo a
crociera scorrevole. La lubrificazione del motore
era affidata a un sistema a sbattimento, senza
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
pompa. Le due versioni (Turismo e Sport) avevano potenze rispettivamente di 2 e 2,4 cavalli, a un
regime di 5500 giri/min. Il telaio in tubi aveva una
struttura inconsueta, assai vicina a una doppia
culla rialzata. Ben oltre il 50% dei ciclomotori costruiti dalla Nassetti è andato a finire in Belgio e
in Olanda. In Italia i Sery oggi esistenti si contano
sulle dita delle mani e quindi costituiscono una
autentica rarità. A renderli particolarmente significativi è anche il fatto che alla loro progettazione
ha lavorato il famoso ingegner Cesare Bossaglia,
prima di passare alla Parilla. La Nassetti è uscita
dalla scena motociclistica verso la fine del 1960.
Stradella, nell’oltrepò pavese, è nota per l’ottimo
vino e le fisarmoniche ma soprattutto occupa
un posto importante nella storia del motociclismo. Nel dopoguerra infatti è stata sede di due
aziende del settore, una delle quali di importanza
addirittura internazionale. Si tratta della Alpino,
la cui nascita (avvenuta addirittura nel 1945 con
la costituzione della ditta Motobici) e i cui primi
anni di attività sono indissolubilmente legati al
nome di Pietro Trespidi. Questo ottimo tecnico
aveva già costruito moto di 250 e di 175 cm3 con
Pagine di storia
il proprio marchio nella seconda metà degli anni
Venti. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale
Trespidi progettò un motore ausiliario che, prodotto in alcuni esemplari già nel 1944, mise subito in mostra eccellenti qualità. Si arrampicava
forte sulle salite, che nella zona non mancano
certo, e per tale ragione qualcuno lo chiamò Alpino. Questo nome in seguito ha contraddistinto tutti i motori ausiliari costruiti dalla Motobici,
ed è diventato il marchio con il quale sono state
commercializzate le moto. Famose sono rimaste le 125, nelle versioni con ruote tanto da 14
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Pagine di storia
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
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bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb
bbbbbbbbbbbbbbb
bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb
bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb
bbbbbbbbbbbbbbb
Laverdino Sport
Laverdino Turismo
Ciclomotore a quattro tempi di struttura semplice e robusta
Questi ciclomotori sono usciti di produzione nella prima metà degli anni Sessanta.
quanto da 19 pollici, entrate in produzione nel
1952. Nello stesso periodo sono stati messi in listino eccellenti ciclomotori a due tempi. Nel frattempo Trespidi era uscito dall’azienda per fondare l’Ardito. Va anche menzionata una bella 175
con motore OMA. Nel 1957 finalmente è entrato
in produzione il T48 (il prototipo era stato presentato un paio di anni prima), una bella piccola
moto a quattro tempi dalle ottime caratteristiche.
Il motore aveva il cilindro in lega di alluminio con
canna riportata in ghisa, e due valvole inclinate
di 74°, comandate da aste e bilancieri. L’albero a
gomito, formato da tre parti unite per forzamento
alla pressa, poggiava su tre cuscinetti di banco.
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La trasmissione primaria a ingranaggi, posta sul
lato destro, inviava il moto a un compatto cambio
a tre marce. La lubrificazione era a carter umido,
con pompa a ingranaggi. La potenza era di 1,8 cavalli a 6000 giri/min. In seguito di questo motore
è stata realizzata anche una versione di 75 cm3,
erogante 3,7 CV a 6800 giri/min. La situazione finanziaria della azienda è andata peggiorando sul
finire degli anni Cinquanta, a causa dell’autentico
collasso del mercato motociclistico interno e del
mancato pagamento di un cospicuo quantitativo
di moto esportate in Argentina. Il marchio Alpino è scomparso dalla scena nel 1962. La Laverda ha prodotto moto di grande successo, tanto
commerciale quanto agonistico, e i suoi più importanti modelli sono ormai entrati nella leggenda.
Dei ciclomotori prodotti da questa importante
casa si parla invece piuttosto poco, anche se si
trattava di prodotti di ottima fattura. Il fatto è che
sono comparsi nel momento sbagliato, quando il
mercato motociclistico stava crollando, e quindi
sono stati venduti in numeri non molto elevati.
Il Laverdino, come è stato subito denominato,
era un ciclomotore a quattro tempi di struttura
semplice e robusta, che è stato realizzato nelle
versioni Turismo (potenza 2 CV a 6000 giri/min)
e Sport (2,5 CV a 6800). La presentazione di
questi modelli è avvenuta verso la fine del 1957,
con entrata in produzione all’inizio dell’anno successivo. Il motore aveva il cilindro in lega leggera
con canna riportata in ghisa, la testa con calotta
in ghisa (incorporata di fusione) in corrispondenza della camera di combustione emisferica e
la distribuzione ad aste e bilancieri. La trasmissione primaria era a ingranaggi e il cambio a tre
marce; il circuito di lubrificazione, a carter umido,
era dotato di una pompa a ingranaggi. Il motore
era montato a sbalzo inferiormente all’elemento
principale del telaio, realizzato in tubi. Questi ciclomotori sono usciti di produzione nella prima
metà degli anni Sessanta.
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Nico Cereghini
Mi gioco
la carriera
C’è una fase cruciale nella quale ci
si gioca tutto, e prima o poi arriva.
Ecco qui un paio di piloti che si
sono cacciati in una impresa
molto difficile e possono
uscirne in un solo modo
Media
C
iao a tutti!
Che
bello sentire
di
nuovo
cantare i
motori più
belli del mondo, la MotoGP con
i suoi primi test ufficiali e la SBK
ormai vicinissima alla prima
gara del campionato 2014. Certo, qui continua a piovere e per
molti di noi questa è una buona
scusa per risparmiare benzina. Chissà quando comincerà
finalmente la stagione nostra;
quella vera, intendo, fatta di
scorribande con la moto senza
tutti i pensieri che ci assillano.
Per il momento proviamo a
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consolarci guardando i nostri
piloti di punta che cominciano
a fare sul serio. Molti si giocano una stagione importante e
alcuni di loro si giocano proprio
la carriera. Penso a Marco Melandri, per dirne uno. Melandri,
lo sapete, è passato sull’Aprilia RSV4 che fu di Biaggi: una
moto che con Max ha vinto due
titoli e che è considerata la migliore del gruppo. In Aprilia si
aspettano molto dal Macho, e
per tante ragioni. Per cominciare sono convinti di aver buttato
via una stagione sbagliando la
politica con i due piloti ufficiali,
hanno scaricato la responsabilità su Dall’Igna senza tanti
complimenti e con pochissima
eleganza, hanno perso Laverty
che pareva più veloce di Guintoli, e alla fine devono puntare
tutto sul pilota più discusso del
Paese e il più commentato del
web. Se Melandri ce la farà –e
io faccio il tifo per lui perché il
suo talento merita la soddisfazione- tutti i tasselli andranno
a posto; ma se non dovesse
farcela prevedo tensioni e musi
lunghi. Sono quelle condizioni
che trovo le peggiori, quando
bisogna vincere per forza; sono
sicuro che il successo arriva più
facilmente se il pilota si diverte
e la squadra lavora con la testa
sgombra dai brutti pensieri.
Un altro che si gioca la carriera
è in MotoGP, e non penso certamente a Rossi -che la carriera
se l’è giocata alla grandissima
eppure ha ancora voglia di ballare- ma a Cal Crutchlow sulla
sua nuova Ducati. L’inglese è
un pilota dipinto come l’antitesi
di Melandri. Tanto tormentato
e complesso sembra l’italiano,
tanto coriaceo e granitico appare Cal, uno che per buttare
la moto nella curva spacca i
manubri come faceva Fogarty,
e se invece, sfortunatamente,
si spacca un osso, allora si fa
una bella risata e salta di nuovo
sulla moto. Al di là della retorica
che vuole vedere gli eroi anche
dove non esistono, credo che
Crutchlow abbia davvero una
solida ambizione e tanto coraggio. Ma penso anche che si sia
lanciato in una impresa molto
difficile. Dovrà trovare in fretta il feeling con la Ducati, che
al primo contatto gli è parsa
misteriosa; dovrà dimostrare
di essere più veloce di Dovizioso, che ritrova nel box, e dovrà
collaborare allo sviluppo (senza
aver mai fatto niente del genere) della moto più complicata
del pianeta. Anche qui io voglio
essere positivo, perché ho a
cuore la Ducati e poi ho caldeggiato l’arrivo di Gigi Dall’Igna
come l’unica soluzione possibile alla crisi. Ma anche qui c’è
naturalmente la tensione della
necessità: bisogna tornare a
vincere in fretta, massimo due
anni, altrimenti magari Audi si
stufa.
Editoriale
Per buttare la moto nella
curva spacca i manubri
come faceva Fogarty
49
V alentino
R ossi ,
3 5
anni
e
1 9
stagioni
di
vittorie
di Edoardo Licciardello | Il trentaquacinquesimo
compleanno di Valentino Rossi, il 16 febbraio,
è l’occasione per ripercorrerne la carriera.
Dai primi passi in Sport Production ai
recenti test di Sepang
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V
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Valentino Rossi, come dice il suo nome, sarebbe
dovuto nascere il 14 febbraio 1979. Fin da allora,
però – scherza sua madre Stefania – era un ritardatario, e ci mise altri due giorni prima di venire al mondo, il 16 febbraio appunto. L’infanzia la
trascorre sui campi di gara con il padre Graziano,
impegnato con buoni risultati nel Motomondiale
nelle classi 250 e 500, finché quest’ultimo non
resta coinvolto in un terribile incidente a Imola
nel 1982. Valentino inizia la sua carriera velocistica con i go-kart, per poi passare rapidamente
alle più economiche minimoto – i soldi in casa
sono pochi – con cui si fa notare per la velocità,
ma anche perché corre con un peluche di una
tartaruga ninja appiccicato sul casco replica
Schwantz. Nel 1993 è il momento di correre sul
serio. In famiglia dopo l’incidente del padre preferirebbero che lo facesse con le quattro ruote,
ma la situazione economica non è cambiata e
“Il Grazia” ha ancora tanti amici nel mondo delle moto. E’ così che Valentino debutta in pista in
sella a un’Aprilia, anche se inizia a correre con la
Cagiva Mito del team Lusuardi. Vince la 125 SP
l’anno successivo sulla moto ufficiale in mezzo a
qualche polemica per un contatto con Cruciani,
mentre nel frattempo fa esperienza anche in sella alle GP. Nel ’95 Graziano vorrebbe portarlo al
mondiale, ma i due test con le Honda non vanno
granché bene e Valentino, sull’Aprilia gestita da
Mauro Noccioli, ripiega sull’Europeo e continua
nel campionato nazionale. E’ la sua fortuna, perché domina l’italiano e chiude terzo l’Europeo,
conquistandosi di diritto la partecipazione nel
Mondiale.
Il debutto mondiale
La prima stagione di Rossi nel mondiale è quella del 1996. In sella a un’Aprilia privata si mette
in luce per la completa assenza di timori reverenziali: sfrontatezza e velocità gli fruttano una
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MotoGP
sempre maggior attenzione da parte di Aprilia,
mentre in pista diversi senatori della categoria
– uno per tutti Jorge Martinez – iniziano a mostrare insofferenza. A Brno conquista la prima
vittoria mondiale, prestazione che gli varrà la
moto ufficiale per il 1997. L’anno successivo Rossi domina in lungo e in largo il Mondiale: vince 11
gare e nelle restanti quattro sale sul podio altre
due volte. La sua velocità gli frutta un parallelo
con Max Biaggi da parte di un intervistatore a cui
lui risponde con l’ormai nota prontezza di spirito
girando il parallelo: da quell’episodio – leggenda
vuole – nasce l’eterna rivalità fra i due. Passa
da numero 1 alla 250, ma la fretta gli è cattiva
consigliera: va forte, però sbaglia troppo. Dopo
essersi steso all’esordio, in Giappone, in Malesia
alla seconda gara si qualifica secondo e vuole
già giocarsela con un vecchio volpone come Harada. Finisce a ruzzolare per le vie di fuga, ma il
potenziale c’è: Rossi inanella una lunga serie di
podi, poi ad Assen vince. Un altro paio di cadute
e poi, a Imola, Valentino inizia a vincere e non si
ferma più. L’anno successivo molti scommettono su di lui fin dall’inizio ma qualche errore e un
po’ di sfortuna allungano il campionato. Alla fine
vince comunque lui, sconfiggendo sulla Honda
del Team Gresini uno dei migliori Capirossi di
sempre.
La classe regina
In Aprilia si trova benissimo e a Noale lo adorano,
ma come il presidente Beggio stesso ammette,
non hanno una 500 competitiva. Nel frattempo
la carriera di Michael Doohan si è bruscamente
arrestata contro un cartellone pubblicitario a
Jerez de la Frontera, e Valentino Rossi eredita la
sua squadra – capitanata da Jeremy Burgess –
ed entrando a far parte di un team satellite dotato però di moto ufficiale. Il copione si ripete: il
primo anno, in una stagione contraddistinta da
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tante gare interrotte per pioggia, Valentino cade
tanto ma prende rapidamente le misure alla 500.
Vince la prima gara a Donington, sul bagnato, e
si ripete a Rio. Nel 2001 entra nel team ufficiale,
e al termine di una stagione di scontri epici con
Max Biaggi riporta in Italia il titolo iridato della
massima categoria dopo ben 18 anni d’assenza.
Il 2002 vede l’arrivo delle MotoGP a quattro tempi. Valentino è in sella alla Honda RC211V, mezzo una spanna sopra alle rivali, e il campionato
si chiude con largo anticipo. Rossi vince undici
gare e sale sul podio nelle altre cinque. Il 2003
sembra partire in maniera molto diversa: la tragica morte di Daijiro Kato fa salire sulla Honda
ufficiale Sete Gibernau, che diventa inaspettatamente velocissimo, e lo stesso Max Biaggi è in
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L’epoca Yamaha
La M1 era stata a dire poco deludente nei suoi
primi anni di vita. Nel 2001 aveva collezionato
due fortunose vittorie con Biaggi, nel 2002 nemmeno una e nel 2003 nessuna Yamaha ufficiale
era mai salita sul podio. Ma ad Iwata la cosa non
era andata giù, e i vertici della Casa dei tre diapason avevano iniziato a prendere provvedimenti.
L’ingaggio di Rossi era stato il secondo, dopo la
nomina di Masao Furusawa a capo del progetto
MotoGP. L’ingegnere rivoltò la M1 come un calzino, facendosi più di un nemico in Yamaha quando gettò a mare soluzioni consolidate come le
cinque valvole per cilindro o introdusse l’albero
motore con fasatura crossplane. Ma i risultati si
videro subito: la Yamaha guadagnò una competitività inaspettata e con Rossi alla guida i risultati
arrivarono fin dal primo contatto. Nel 2004 la M1
e Rossi vincono al debutto, a Welkom, sconfiggendo lo storico rivale Max Biaggi. Nove vittorie,
di cui alcune a dir poco storiche, gli fruttano un
Mondiale conquistato con una gara d’anticipo, a
Phillip Island, quando piega definitivamente un
Sete Gibernau diventato nemico da semplice rivale dopo lo sgarbo di Losail. Lo scontro fra i due
continua alla prima gara del 2005, dove Rossi
MotoGP
pur di non cedergli la vittoria entra con grinta inusitata al rampino di Jerez, ma dopo la prima gara
Valentino sembra non avere più rivali: il settimo
titolo iridato arriva sulla scia di ben 11 vittorie.
La prima sconfitta
Non va così bene nel 2006: la stagione inizia
male quando a Jerez Toni Elias stende Rossi
centrandolo al primo giro. Non basta, perché la
Yamaha diventa di colpo fragile, e le Michelin, incalzate da Bridgestone sempre più competitive,
cedono diverse volte. A metà stagione il Mondiale sembra compromesso, ma Valentino e la M1 si
esibiscono in un’improbabile rimonta, coronata
con il sorpasso dell’Estoril quando Pedrosa tenta
un sorpasso suicida su Hayden facendolo cadere. Ma a Valencia lo attende la beffa finale: l’unico
errore della stagione, una partenza a rallentatore
dalla pole position e la scivolata nelle prime battute di gara, lo costringono ad abdicare ad un determinatissimo Nicky Hayden. L’anno successivo arriva il primo cambio di regolamento dell’era
MotoGP, con il passaggio alle 800 cc. Honda si
fa trovare clamorosamente impreparata, Yamaha quasi: la M1 si rivela fragile peggio dell’anno
precedente, ma soprattutto poco competitiva,
sella ad una RCV privata. Se possibile, invece, si
tratta del campionato che inizia la consacrazione
di Rossi, con nove vittorie e gare come quella di
Phillip Island nella quale Valentino vince la gara
nonostante la penalizzazione per sorpasso sotto
regime di bandiera gialla.
La cosa non basta a convincerlo a restare in Honda: nel corso dell’anno il cinque volte iridato matura un crescente disamoramento nei confronti
di HRC, responsabile di considerarlo, secondo
lui, un normale impiegato. Con una lunga trattativa sotterranea Rossi passa alla Yamaha: tradimento che si consuma a Valencia con l’annuncio
ufficiale nella conferenza stampa del dopogara
in mezzo alle facce fra l’incredulo e il furibondo
dello stato maggiore Honda.
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nella leggenda come quelle diBarcellona, con il
suo sorpasso all’ultima curva, o di San Marino
quando Valentino, a Misano, reagisce all’errore
di Indianapolis dominando ogni singola sessione
in cui scende in pista. Arriva il nono titolo, ma
Rossi sembra sempre più in affanno nel difendersi da Lorenzo. Il 2010 sembra avviata ad essere
la stagione più difficile di sempre per Valentino,
ma le speranze di vedere uno scontro da leggenda si smorzano quasi immediatamente: l’infortunio alla spallanell’allenamento con la moto da
cross e la successiva caduta al Mugello, in cui
Rossi si frattura la gamba ed è costretto a saltare tre gare – Valentino non aveva mai perso un
GP dal debutto al Mondiale – chiudono il discorso iridato. Anche la vittoria di Sepang, arrivata
proprio nel giorno in cui Lorenzo festeggia il suo
primo titolo iridato nella classe regina, non sembra cambiare la situazione. La Yamaha è ormai
la squadra di Jorge Lorenzo, che rappresenta il
futuro della Casa di Iwata, e il pensionamento di
Masao Furusawa è l’elemento che spinge Rossi
ad andarsene.
L’era Ducati
e Rossi finisce sconfitto da Casey Stoner e dalla
Ducati. La risposta non tarda: Valentino chiede
ed ottiene le Bridgestone, e il 2008 inizia con un
tiepido ottimismo. Le vittorie però non arrivano
subito mentre il suo compagno di squadra Jorge
Lorenzo (con le Michelin) vince alla terza gara;
mentre molti stanno già suonando il De Profundis per The Doctor, lui e la squadra stanno lavorando per adattare la ciclistica della Yamaha a
pneumatici nati per la stranissima distribuzione
dei pesi della Desmosedici. Rossi ricomincia a
vincere in Cina, prende il comando del mondiale erintuzza la rimonta di Stoner con la storica gara di Laguna Seca. Da quel momento il
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mondiale svolta: l’australiano sbaglia per altre
due volte consecutive, Rossi continua a vincere
con la grinta dei giorni migliori e l’ottavo titolo iridato arriva quasi con facilità.
Il nemico in casa
Il 2009 cambia di nuovo le carte in tavola: il monogomma Bridgestone dovrebbe livellare i valori
in campo. In realtà la situazione avvantaggia chi
con Bridgestone ci ha già lavorato, per cui la lotta per il titolo si rivela in realtà uno scontro fra
Rossi e il sempre più ingombrante compagno di
squadra, Jorge Lorenzo. L’astuzia di Rossi vince
ancora, anche in questo caso con gare entrate
A Valentino resta aperta la sola porta Ducati, e
pur con mille incertezze Rossi approda a Borgo
Panigale portandosi dietro la squadra. Il primo
test con la Desmosedici è un disastro, ma Rossi soffre ancora alla spalla – che non si è ancora
operato proprio per poter provare la Ducati a Valencia, grazie ala liberatoria concessa da Yamaha – e i problemi vengono mascherati. Ma il nove
volte iridato non raggiungerà mai il giusto feeling
con la Desmosedici, e i risultati non arrivano né
subito né mai. Una leggera crescita iniziale illude i fan, ma la Desmosedici è arrivata alla fine
della sua evoluzione e lo sviluppo – necessario
per adattarsi ad un monogomma che non accetta più soluzioni differenti da quella imposta dal
gommista – non arriva mai a colmare il divario da
Honda e Yamaha. Ducati e Rossi si allontanano
sempre di più, con rimpianti reciproci per non essere riusciti a concretizzare quello che per molti
MotoGP
era un sogno: la vittoria di un binomio italiano.
Dopo un anno e mezzo di insuccessi la pressione
– esterna ed interna – si fa insostenibile, e nemmeno l’arrivo di Audi convince Rossi a restare: il
tempo stringe, e Valentino vuole vincere ancora.
Il che significa tornare dove sa di poterlo fare. In
Yamaha. Il resto è storia recente: Valentino torna nella squadra che lo ha consacrato campione
più di ogni altra, ma nell’inedito ruolo di seconda
guida. La stagione inizia con lo splendido, grintosissimo secondo posto di Losail ma le cose si
fanno presto più difficili del previsto: la M1 non è
più quella che Rossi aveva lasciato due anni fa,
la guida di Valentino non sembra adattarsi alla
moto, cambiata per venire incontro allo stile di
Lorenzo, e solo ad Assen – con Lorenzo e Pedrosa virtualmente fuori gara – Vale torna sul gradino più alto del podio. La stagione prosegue con
qualche malumore che culmina conl’inaspettato
divorzio, dopo quattordici anni di avventure, fra
Rossi e Burgess. Arriva Silvano Galbusera, che
Rossi aveva conosciuto ai tempi del recupero
dall’infortunio, e la M1 cambia un po’ avvicinandosi alle esigenze di Valentino. Sarà sufficiente
per tornare competitivi? I test di Sepang sembrano dare responso positivo, ma solo la prima
gara, il 23 marzo in Qatar, ci dirà veramente se
Rossi è rinato. A 35 anni – a proposito: auguri,
campione! – potrebbe farci parlare nuovamente
di leggenda.
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MotoGP
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Valentino Rossi
un compleanno da campione?
di Giovanni Zamagni | 294 GP disputati, 106 vinti, dei quali 80 in
MotoGP, 183 podi, 59 pole, 9 titoli mondiali: sono questi i numeri,
da paura, di Valentino Rossi, che domenica ha compiuto 35 anni
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94 GP disputati, 106 vinti, dei quali
80 in MotoGP, 183 podi, 59 pole, 9
titoli mondiali: sono questi i numeri,
da paura, di Valentino Rossi, che domenica ha compiuto 35 anni. Molto ben portati:
al suo 19esimo campionato, il fenomeno di Tavullia ha ancora voglia di lottare, di mettersi in
discussione, di provare a battere ragazzini come
Marquez, nato nel 1993, quando Valentino già
correva in moto da almeno due lustri. A 35 anni,
solo un pilota, Phil Read, è riuscito a conquistare
il titolo nella massima cilindrata, ma a quell’età
è difficilissimo anche trionfare in un singolo GP:
le statistiche dicono che ci sono riusciti in meno
di dieci, tra i quali Duke e Readman. Insomma,
Rossi ha tutto contro, non solo tre campioni
straordinari come Marquez, Lorenzo e Pedrosa
e già per questo merita ammirazione: la voglia di
correre, la passione, la dedizione a uno sport bello quanto pericoloso è superiore a tutto, anche
alla possibilità di non riuscire più a essere protagonista. A Sepang, Valentino si è presentato in
grandissima forma, sia fisica sia mentale, pronto
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a lottare come un debuttante, per nulla appagato
da successi e imprese che lo pongono, di diritto,
nell’olimpo del motociclismo. In 19 anni di mondiale, Rossi ha compiuto imprese straordinarie,
con due grandi delusioni: il titolo perso all’ultima
gara a Valencia nel 2006 e il fallimento con la
Ducati, che avrebbe dovuto consacrarlo definitivamente come il più grande della storia. Ma anche dopo quei due anni assolutamente al di sotto
delle aspettative, Valentino non ha avuto dubbi,
ha preferito il rischio alla vita tranquilla: avrebbe
potuto finire la carriera nel gruppo Audi, guadagnare un sacco di soldi, avere tutte le scuse per
non riuscire più a vincere.
Invece è tornato alla Yamaha, ha accettato di sfidare Lorenzo a parità di moto, prendendo scoppole da tutte le parti. Ma, ancora una volta, non
si è dato per vinto: ha sostituito lo storico capotecnico Jeremy Burgess con Silvano Galbusera,
ancora una volta ha eliminato qualsiasi scusante,
si è rimesso in discussione e al centro dell’attenzione.
Auguri!
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DopoGP con Nico e Zam
L’approfondimento
dei test di Sepang
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vogliamo differenziarci dagli altri, e poi perché
quello della tecnica è un argomento che ai nostri
lettori sta molto a cuore. Non a caso, in questa
prima puntata l’ospite di riferimento è l’ingegnere Giulio Bernardelle – che ha lavorato a lungo
nel reparto corse di Aprilia prima di passare alla
MotoGP con i team Honda di Tamada, prima, e
Nakano poi - che darà un prezioso contributo per
chiarire gli aspetti più importanti nella preparazione delle nuove MotoGP per la stagione che sta
per scattare. Ma tanta importanza avrete anche
voi, cari lettori. Le possibilità di interagire con
DopoGP sono molte, a cominciare dalle domande che vorrete porre ai nostri esperti – e vi invitiamo a mandarcene tante, anche in video - per
arrivare ai sondaggi in tempo reale. Ogni puntata
metterà in risalto anche i vostri commenti più
centrati, per cui vi invitiamo fin d’ora a dire la
vostra in assoluta libertà. La scaletta di questa
prima puntata prevede le considerazioni sulle tre
giornate di test che la MotoGP ha appena svolto
in Malesia, la superiorità apparente di Marquez
e della sua Honda, il bell’avvio di Valentino, le
MotoGP
perplessità di Lorenzo alle prese con una Yamaha più difficile da guidare del previsto, lo stato di
salute della Ducati con la nuova gestione tecnica
e le difficoltà del debuttante Crutchlow. Bernardelle chiarirà nei dettagli le novità regolamentari:
il passaggio dai 21 litri ai 20, le differenze tra le
moto Factory e le Open, l’attuale difficoltà della
Honda tra le Open e la convenienza di correre la
stagione in una configurazione oppure nell’altra.
E si parlerà della gestione elettronica, della libertà di azione sui motori, delle novità sui pneumatici. Gli appassionati di tecnica motociclistica saranno soddisfatti. Inoltre daremo uno sguardo ai
vari siti e alla stampa internazionale alla ricerca
di notizie eclatanti o bislacche, e commenteremo
i Tweet più interessanti che arrivano dalla parte
dei piloti. I sondaggi di questa sera sono due, e
attendiamo la vostra opinione con curiosità. Il
primo riguarda Rossi: Valentino sarà in grado di
lottare per un posto sul podio in tutte le gare oppure no? E il secondo guarda alla Ducati: le rosse
potranno ottenere buoni risultati già in questa
stagione, oppure bisognerà attendere il 2015?
Nico Cereghini conduce con Giovanni Zamagni il nuovo
approfondimento sulla MotoGP. Marquez imbattibile, Vale da
record e Ducati al lavoro. Tanta tecnica con l’ingegnere Bernardelle
DopoGP: la presentazine di Nico
E’ con piacere che vi presentiamo la prima puntata di DopoGP, il nostro programma di approfondimento sulla stagione mondiale 2014 della
MotoGP. E’ una vera prima assoluta: è la prima
volta che arriva in rete un prodotto di questo
tipo e di questa qualità, capace di approfondire
ogni tema e renderlo fruibile ad ogni ora, visibile
quando vi farà più comodo. Siamo convinti che
l’apprezzerete, e che non potrete fare a meno
di seguirci nell’arco di tutto l’anno: DopoGP vi
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informerà e vi aggiornerà puntualmente dopo
ogni Gran Premio, dalla prima gara notturna del
Qatar alla fine di marzo fino alla conclusione di
Valencia dei primi di novembre, il tutto gratuitamente per voi. Il conduttore è un motociclista
esperto che ben conoscete, Nico Cereghini, che
si avvarrà della presenza e della collaborazione
del nostro inviato sulle piste, Giovanni Zamagni
con la partecipazione di altri ospiti molto qualificati. Ampio spazio sarà riservato, su DopoGP,
alla tecnica. Perché vogliamo fare sul serio,
La scaletta di questa prima puntata
prevede le considerazioni sulle tre
giornate di test che la MotoGP ha
svolto in Malesia
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
I
t est che sono iniziati oggi sulla bellissima pista di Phillip Island hanno aperto la
stagione 2014 del mondiale Superbike.
Una stagione storica per molti motivi, il
più importante dei quali riguarda la contemporanea presenza nella stessa gara di due categorie: Superbike ed Evo. Il passato ed il futuro,
visto che questo campionato rappresenta il
canto del cigno per le sofisticate e performanti
Superbike, moto che si erano tanto allontanate
dalla produzione di serie, da avvicinarsi ai prototipi della MotoGP. Una metamorfosi che stava
costando cara alla Superbike, pericolosamente
in rotta di collisione con il campionato GP, storicamente il più famoso ed importante al mondo.
Ma come sappiamo la Dorna, braccio armato
di Bridgepoint, ha rimesso i due campionati sui
giusti binari e proprio in quest’ottica va vista l’introduzione delle Evo, moto più vicine alla serie,
Superbike
meno sofisticate e meno costose. Il regolamento definitivo che riguarda questa nuova categoria non è stato ancora varato e sarà oggetto di
varie riunioni tra le case e la Dorna, chiamata a
mediare tra la necessità dei team privati di ridurre i costi e la volontà delle case di sviluppare in pista le proprie moto di serie. Ma intanto,
in attesa dei nuovi regolamenti, questa mattina
alle 11 ora locale, Superbike ed Evo sono scese
in pista a Phillip Island, per la prima di due giornate di prove che serviranno a piloti e team per
preparare il primo round del mondiale 2014, che
si disputerà su questa stessa pista ad iniziare da
venerdì 21 febbraio. Al termine delle due sessioni
di due ore ciascuna, il più veloce è stato Laverty
che conferma i grandi miglioramenti della Suzuki
alla quale il nord irlandese sembra si sia adattato
perfettamente.
Test SBK
Laverty è il più veloce
della prima giornata a Phillip
Island
di Carlo Baldi | Con il tempo fatto segnare questa mattina Laverty è il
più veloce nella prima giornata di prove SBK a Phillip Island. Secondo
Giugliano, davanti al campione del mondo Sykes. Primo posto per
Canepa nelle Evo
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Seconda sessione
Il vento ha in parte disturbato la sessione del
pomeriggio che è stata bloccata con la bandiera
rossa a causa della caduta di Michel Fabrizio, avvenuta a venti minuti circa dalla fine del turno. Il
pilota del team Grillini è tuttora ricoverato al centro medico, ma non sembra abbia nulla di grave.
La pista è stata riaperta a meno di cinque minuti
dalla conclusione ed abbiamo assistito ad una
specie di mini Superpole, con i piloti che hanno
spinto a fondo cercando il tempo sul giro. Laverty non si è migliorato, ma il tempo della mattina
gli è bastato per chiudere in testa questa prima
giornata. Balzo in avanti di Davide Giugliano
che si è posizionato al secondo posto (ascolata
la sua intervista), proprio davanti al campione
del mondo Sykes ed all’altro ufficiale Kawasaki, Loris Baz. Anche Lowes, che evidentemente inizia a prendere confidenza con il tracciato,
ha recuperato posizioni rispetto al mattino ed
ha chiuso quinto, davanti a Melandri. L’italiano
dell’Aprilia sembra più preso dal lavoro di messa
a punto della sua RSV4 che non dalla ricerca del
Prima sessione
La prima sessione si è disputata con pista asciutta e cielo soleggiato e con temperature miti che
hanno reso meno difficile il lavoro dei piloti e
della Pirelli. Che come sempre è in apprensione
su questo tracciato caratterizzato da un asfalto
abrasivo e da una conformazione sinistrorsa che
richiede gomme molto particolari ed appositamente realizzate. Primo posto per Laverty che
con 1’30”513 si avvicina molto al giro veloce di
Checa dello scorso anno (1’30”234) e fa meglio
del record della pista da lui stesso stabilito in
gara nel 2013 (1’31”168). Una Suzuki davanti a
tutti, ma i due piloti Kawasaki Baz e Sykes sono
stati sempre costantemente nelle prime posizioni ed ha impressionato la costanza di Baz che ha
chiuso davanti al campione del mondo. Il quarto
posto di Giugliano conferma come alla Panigale
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Superbike
tempo sul giro. Haslam è il primo dei piloti Honda e precede Guintoli ed il compagno di squadra Rea, dal quale ci si aspettava qualcosa di
meglio, ma evidentemente il lavoro di messa a
punto della nuova elettronica sta richiedendo più
tempo del previsto. Davies è solo decimo a sette decimi da Giugliano, ma il metodo di lavoro di
Chaz, meticoloso e pignolo, richiede più tempo di
quanto non necessiti all’istintivo Davide. Niccolò
Canepa è salito per la prima volta sulla Panigale
del team Althea solo questa mattina, ma in entrambe le sessioni è stato il primo dei piloti Evo
e questo fa ben sperare il team di Bevilacqua,
che precede anche la Superbike di Elias, che è
però ancora dolorante a causa della caduta con
la pit bike di alcune settimane fa. Salom è il pilota Evo più vicino a Canepa e precede la MV di
Corti e la S1000RR Evo di Barrier. Il francese del
team BMW Motorrad Italia è stato vittima di una
brutta caduta alla fine della seconda sessione ed
è stato trasportato all’ospedale di Melbourne per
controlli, in quanto nella caduta aveva perso conoscenza. Guarda la classificha
piaccia molto il tracciato australiano, con Davies
che segue al settimo posto. Tra i due piloti Ducati troviamo gli ufficiali Aprilia e Melandri precede
Guintoli. Ottavo posto per Lowes che non conosce questa pista, ma è già in grado di precedere
i due piloti Honda Haslam e Rea. Lavori in corso
nel team Ten Kate che deve raffinare la nuova
elettronica della CBR. Canepa è il primo dei piloti
Evo e cede a Rea solo quattro decimi. E’ un ottimo risultato per il team Althea che non era mai
sceso in pista quest’inverno. Corti chiude tredicesimo dietro a Salom e davanti a Barrier e Scassa. Toni Elias è solo sedicesimo, ma sia lui che la
sua squadra erano fermi dall’ultima gara di Jerez
dell’ottobre 2013. Chiudono la classifica le due
EBR e le BMW private del team ungherese Toth.
Cadute senza conseguenze per Sebestyen, Lowes e Baz.
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
Superbike
Giorgio Barbier
“Phillip Island mette a
dura prova le gomme”
«
di Carlo Baldi | Dopo la prima giornata di test abbiamo chiesto al
Racing Director Pirelli come l’azienda italiana si sia preparata per il
primo round del mondiale Superbike 2014 e quali siano i programmi
relativi alla nuova classe Evo
«Il responso di questa prima
giornata di test conferma la
validità delle nostre gomme»
spiega Giorgio . La pista di Phillip Island è un difficile banco di
prova per gli pneumatici, basta
vedere cosa è successo qui alla
MotoGP lo scorso anno. Abbiamo chiesto a Giorgio Barbier
– Responsabile delle attività
sportive Pirelli moto, da undici
anni fornitore unico di pneumatici per il mondiale Superbike
- come l’azienda italiana si sia
preparata per il primo round
del mondiale Superbike 2014 e
quali siano i programmi relativi
alla nuova classe Evo.
Un inizio impegnativo per Pirelli su di una pista difficile
per le gomme come quella di
Phillip Island e con una nuova
categoria, la Evo.
«Questa di Phillip Island è una
pista che mette a dura prova
le gomme soprattutto a causa
di un asfalto molto aggressivo,
ma anche per la sua speciale
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conformazione con la maggior
parte delle curve a sinistra e
soprattutto il lunghissimo curvone che immette sul rettilineo
d’arrivo e che provoca slittamenti e surriscaldamenti degli
pneumatici. Ciò nonostante lo
scorso anno ne siamo usciti
molto bene, senza particolari problemi fornendo ai piloti
gomme in grado di garantire
prestazioni e sicurezza per l’intera durata della gara.
Mi aveva però preoccupato
quanto era successo in MotoGP, dove hanno dovuto effettuare un cambio gomme per
non mettere a rischio la sicurezza dei piloti. Temevo che la
pista fosse peggiorata, ma per
fortuna, almeno stando ai risultati dei piloti di questa mattina,
sembra che la pista sia rimasta
nelle stesse condizioni dello
scorso anno. I tempi che i piloti hanno fatto segnare sono
già molto buoni, utilizzando gli
stessi pneumatici dello scorso
anno».
Qui in Australia le gomme saranno le stesse sia per la Superbike che per la Evo.
«Per questi test abbiamo messo a disposizione dei piloti due
gomme dal profilo diverso, ai
quali aggiungeremo altre soluzioni per il weekend di gara. In
questi test i piloti ci daranno
importanti indicazioni relativamente al profilo che preferiscono utilizzare. Una volta stabilito
questo, per il weekend di gara
metteremo a loro disposizione
diversi tipi di mescole, con il
profilo che ci avranno indicato durante i test. Saranno le
stesse soluzioni sia per la Superbike che per la Evo. Questo
dipende sia dalle difficoltà che
abbiamo appena elencato legate a questo particolare tracciato, ma anche dal fatto che le
Evo non sono ancora ben definite. Abbiamo visto oggi che
alcune moto sono ancora molto simili alle Stock ed ancora in
fase di sviluppo. Mentre già ad
Aragon proporremo soluzioni
di gomme dedicate alla Evo.
Il regolamento ci consente di
proporre gomme diverse per le
Superbike e per la Evo. In pratica ad ogni gara noi proporremo
alcune soluzioni che potranno
essere utilizzate da entrambe
le categorie, alle quali aggiungeremo una o più proposte
esclusivamente per la Superbike ed una o più proposte esclusivamente per la Evo».
Come avete potuto preparare delle gomme per la Evo se
questa categoria non ha mai
corso in precedenza.
«Siamo partiti dall’esperienza
maturata lo scorso anno nel
campionato italiano Sbk, ma
è chiaro che lo sviluppo delle
gomme per le Evo procederà
in modo continuo per tutto il
campionato, così come sarà
per le gomme Superbike. Per la
Superbike partiremo dai riferimenti dello scorso anno mentre
per la Evo siamo partiti dal CIV
Superbike. Lo sviluppo delle
gomme Evo avverrà assieme ai
team ed alle loro richieste, ma
anche alla luce dei regolamenti
che definiranno le Evo del futuro, del 2015. Ancora non esiste
un regolamento definitivo relativo alle Evo del prossimo anno
e speriamo di averlo presto
sia per noi che per le case che
vogliono impegnarsi in questo
campionato».
Evo significa motori meno potenti e di conseguenza gomme più morbide?
«Non basterà fornire ai piloti
Evo delle gomme più morbide,
ma dovremo preparare pneumatici che possano fornire le
stesse alte prestazioni per l’intera durata della gara.
Per ottenerle lavoreremo sulle
mescole e sui profili. Per Pirelli sarà una nuova sfida, che
affronteremo come sempre
con il massimo impegno anche
perché le Evo sono moto molto
vicine alla serie e quindi un perfetto banco di prova per i nostri
pneumatici.
Non dimentichiamoci che il
nostro impegno nelle competizioni è mirato al costante miglioramento dei nostri prodotti
di serie».
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Motocross
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tony Cairoli
“Sono contento, erano dieci anni
che non correvo in Sicilia”
di Massimo Zanzani | Soddisfatto Antonio Cairoli per il suo secondo
centro consecutivo agli Internazionali d’Italia. Numerosi i tifosi che
hanno potuto gioire per l’ufficiale KTM
«
Ciao amici di Moto.
it, qui è una giornata bellissima in Sicilia. Siamo su una
pista che conosco da sempre e
sono contentissimo di aver vinto anche questa gara. Vi aspetto tutti il prossimo weekend a
Montevarchi, per l’ultima prova
degli Internazionali d’Italia, su
una pista rinnovata e vi aspetto
numerosi per fare un gran tifo».
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E’ stata più facile la prima o la
seconda gara?
«E’ stata una gara impegnativa,
dove abbiamo potuto provare
dei nuovi pezzi, su questi terreni duri che non sono mai stati
tra i miei preferiti, ma abbiamo
trovato lo stesso un buon feeling e per il mondiale sarà sicuramente importante».
prestata bene all’evento. Molta
gente è venuta qui a vederci e
l’importante è che il pubblico si
sia divertito».
Una pista piccola ma carina.
«Si, una pista piccola ma si è
Una bella soddisfazione?
«Si».
Da quanto tempo era che non
correvi più qui in Sicilia?
«Erano ormai dieci anni che
non facevo più una gara in Sicilia».
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
G
li Internazionali d’Italia si sono chiusi all’insegna dei colpi di scena che
non hanno praticamente avuto soluzione di continuità. Il più eclatante
è stato quello che ha coinvolto Antonio Cairoli,
colpito alla caviglia sinistra dalla forcella di un avversario mentre stava affrontando la prima curva
della partenza MX1. Una botta forte e dolorosa,
che ha lo costretto ad abbandonare subito la gara
per sottoporsi ad una veloce radiografia la quale
ha evidenziato lo stiramento dei legamenti e una
leggera incrinatura. Svanito il titolo MX1, Tony ha
fatto ricorso alla sua forte tempra e si è schierato
al via della Elite, anche perché la sola partecipazione gli avrebbe consentito di poter eliminare il
risultato come previsto dal regolamento e quindi
di assicurarsi matematicamente il primato. Il sette volte iridato non si è però risparmiato, e dopo
Motocross
essere partito settimo si è piazzato quarto scavalcando Philippaerts nell’ultima parte di gara,
posizione che ha quindi scartato mantenendo le
vittorie dei due precedenti appuntamenti grazie
ai quali si è aggiudicato la tabella di campione
Elite.
MX1
Il titolo MX1 glielo ha soffiato il belga neo acquisto
Yamaha Jeremy Van Horebeek, che ha confermato il suo buon affiatamento con la YZ450FM piazzandosi in seconda posizione e ribadendo la sua
positiva apertura stagionale terminando terzo
nella Elite. Sia quest’ultima che la gara delle 450
è andata al pilota della Kawasaki Gautier Paulin,
che in entrambe le gare ha gestito la pressione
del compagno di scuderia Steve Frossard il quale
nella MX1 ha tagliato il traguardo terzo dopo un
Media
Internazionali d’Italia
Cairoli campione
nonostante un infortunio
di Massimo Zanzani | L’ufficiale KTM si infortuna alla caviglia ma,
dopo la terza prova degli Internazionali, si aggiudica il titolo Elite.
A Van Horebeek la MX1, a Charlier la MX2 e a Rovera la 125
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Motocross
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errore a metà gara e che si è rifatto in quella conclusiva dove si è piazzato al posto d’onore. Solo
10° David Philippaerts rallentato da un problema tecnico, che nella Elite ha invece corso bene
come ha confermato il suo quinto posto; giornata
meno soddisfacente invece per Davide Guarneri,
che ha totalizzato solo un tredicesimo posto nella MX1 dopo una caduta perché poi nella Elite è
stato costretto al ritiro da noie tecniche alla sua
TM.
MX2
La MX2 ha registrato un’altra prova di forza di
Arnaud Tonus che ha piegato il francese Dylan
Ferrandis e Christophe Charlier il cui terzo posto
è stato sufficiente per laurealo campione 2014.
Quarto posto per Tim Gajser, mentre Alex Lupino
non è riuscito a fare meglio di ottavo.
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125
La 125 è stata invece condizionata dall’imprevisto incidente occorso a Tommaso Isdraele, che
nella prima manche mentre stava ripartendo
dopo una caduta è stato centrato da un avversario.
Nella caduta il leader del campionato si è lussato una spalla, col risultato di doversi ritirare e
dovendo disertare anche la seconda manche ha
dovuto dire addio ad un titolo che sembrava già
suo. Della sua defezione ne ha approfittato Lorenzo Ravera, il quale sommando la vittoria della
prima frazione ed il quarto posto della successiva ha fatto sua la tabella di campione davanti al
bulgaro Ivan Petrov e a Joakin Furbetta; vittoria
di giornata all’olandese della KTM Davy Pootjes.
Guarda tutte le classifiche
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MX Usa
Prima parte
Supercross, Arlington
doppietta di Stewart
“Bubba” replica la vittoria di San Diego, vincendo la quarantasettesima
gara della sua carriera. La 250 al debuttante Cianciarulo
D
ue vittorie di fila per James “Bubba”
Stewart: dopo la gara di Dallas il pilota Suzuki ha dominato il Main Event
della prova di Arlington, primo evento 2014 della Costa Est. La partenza ha visto l’holeshot di Ryan Dungey su KTM, che ha preceduto
di misura il leader della classifica e campione in
carica Ryan Villopoto. Alla fine del primo giro
Justin Barcia ha conquistato il terzo posto, davanti a Brayton e Roczen, con Villopoto solo sesto. Dungey ha guidato i primi tre giri prima che
Stewart prendesse la testa ed allungasse con
regolarità fino a tagliare il traguardo. Dungey ha
mantenuto saldo il secondo posto, mentre l’ultimo gradino del podio è stato oggetto di una feroce lotta fra Barcia, Brayton, Roczen e Villopoto.
Alla fine è stato Barcia a spuntarla, conquistando
il primo podio della stagione. Stewart ha portato
così a casa la quarantasettesima vittoria della
carriera - il secondo posto assoluto di Ricky Carmichael è alla portata, con sole cinque vittorie di
differenza - e raggiunge Reed e Villopoto a quota
due gare vinte nel 2014. “Sono felicissimo” ha dichiarato Stewart. “Sapevo che dovevamo essere
più veloci in finale, e lo siamo stati. La pista era
molto difficile e sapevo di dover essere perfetto
per passare e controllare la gara. Il campionato
ora non conta, devo solo continuare a guidare
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come sto facendo. Se ce la faccio andrà tutto
bene.” Villopoto, quarto, ha mantenuto la leadership di campionato con 12 punti su Roczen,
sesto. Stewart è passato in terza posizione, a 14
punti dalla prima posizione. Reed, protagonista
di un brutto incidente con infortunio la settimana
scorsa a San Diego ha provato a correre sabato nonostante una frattura a scapola, clavicola e
vertebra T1, ma ha dovuto ritirarsi.
250, Cianciarulo all’esordio
Seconda parte
Cianciarulo ha iniziato la sua prima gara nella
250SX Costa Est conquistando l’holeshot davanti ai compagni di squadra Davalos e Baggett.
Davalos, il più veloce in prova, ha preso la testa
ma è caduto al terzo giro, consentendo a Cianciarulo e Baggett di riprendersi prima e seconda
posizione. I due hanno preso il largo, con Baggett
protagonista di un bel sorpasso al settimo giro;
Cianciarulo ha però subito ripreso la testa. Una
caduta di Faith all’ottava tornata ha permesso a
Davalos di riprendersi il podio. Una volta in testa,
Cianciarulo ha allungato, ed è diventato il primo
pilota dai tempi di Trey Canard (2008) a vincere all’esordio nel Supercross. Baggett ha chiuso
secondo mentre Davalos ha recuperato un paio
di cadute, rimontando dalla sesta alla terza posizione aggiudicandosi il podio.
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Enduro
Hell’s Gate
Le foto della
gara, delle
cadute e del
pubblico!
di Andrea Perfetti | La gara
finita solo da Jarvis e Walker, la
presenza del pubblico armato di
smartphone sempre e dovunque,
le cadute (tante da non poterle
contare) e la bella cavalcata
finale. Si chiude una grande
Hell’s Gate
L’
undicesima edizione della gara di
enduro estremo si è conclusa con
la consacrazione di Graham Jarvis
che si laurea vincitore per la quarta
volta consecutiva. Dopo i cinque giri della finale
del pomeriggio si è presentato per primo sulla
diabolica salita Hell’s Peak e ha inflitto ben 22
minuti di distacco al solo avversario in grado di
impensierirlo, Johnny Walker su KTM. Al mattino
il Ciocco ha ospitato ben 124 piloti, ma solo 30
hanno superato la durissima fase eliminatoria e
sono passati alla gara del pomeriggio. Qui Jarvis non ha avuto avversari e ha distrutto i rivali
giro dopo giro. Tra gli italiani si è messo in luce
Diego Nicoletti, su Suzuki, uscito di gara al sesto
controllo dopo essere stato a lungo nella top ten.
La corsa è stata seguita da un pubblico numeroso, premiato da una giornata insolitamente
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Enduro
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calda e asciutta. Ma la gara organizzata da quel
diavolaccio di Fabio Fasola è stata comunque,
ancora una volta, tremenda. Lo dimostrano i soli
due piloti giunti sul traguardo. La Salamandra,
le Sabbie, il viscidone e la mitica Cascata hanno
decimato i pur bravi concorrenti, che giro dopo
giro hanno accomulato ritardi spaventosi dai due
fuoriclasse al comando. Il Ciocco, in Garfagnana,
è stato insolitamente caldo, con temperature superiori ai 12 gradi. Ma l’acqua caduta negli scorsi
giorni ha gonfiato i corsi d’acqua e reso davvero
scivolosi diversi punti del già difficile tracciato
toscano. Jarvis in particolare è apparso velocissimo e a suo agio là dove gli altri piloti zampettavano e annaspavano. Anche l’undicesima
edizione dell’Hell’s Gate ha consacrato le moto
a due tempi quali regine incontrastate dell’enduro estremo: la loro leggerezza e la loro coppia
ai bassi le rendono inbattibili su questi percorsi.
Graham Jarvis: “Ho corso spesso al Ciocco e
sapevo cosa aspettarmi, ma devo riconoscere
che l’edizione di quest’anno è stata una delle
più dure. Il secondo posto nella fase mattutina
è stato decisivo per avere una buona posizione
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alla partenza della gara “vera”. Allo start l’unico
obbiettivo era quello di uscire dalle prime curve
senza problemi o cadute. Poco dopo il via sono
finito in una grossa pozza d’acqua, ho cercato di
stare calmo anche se ho perso un po’ di tempo.
In breve sono comunque riuscito a portarmi a ridosso dei primi tre. Poi sia Andreas Lettenbichler
che Cody Webb hano compiuto alcuni erori, così
mi sono avvicinato a Jonny Walker che era al comando. Da lì in poi mi sono messo a testa bassa
per assicurarmi la vittoria. A circa metà del primo
giro sono riuscito a passare Walker. Quest’anno
senza la neve e il ghiaccio della scorsa edizione
mi aspettavo condizioni più facili, ma così non è
stato. Tutto il percorso era incredibilmente scivoloso. Abbiamo guidato per quasi due giri interi
col buio, e l’ultimo in particolare è stato davvero
difficile. Per fortuna, a parte un paio di piccole
cadute, non ho avuto problemi. Sono contento di
aver dato a Husqvarna questa prima vittoria alla
Hell’s Gate”.
Hell’s Gate Hard Enduro 2014 – Risultato finale
1. Graham Jarvis (Husqvarna)
2. Jonny Walker (KTM)
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Enduro
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Le cadute
Non competitivo non vuole mica dire facile e infatti è stato possibile percorrere gran parte del
giro di gara del sabato. Abbiamo visto la soddisfazione dipinta sul volto degli enduristi più allenati, mentre gli altri hanno tribolato parecchio.
Superati i tratti hard del primo giro, i partecipanti hanno avuto accesso al secondo giro, che
ripercorreva esattamente il tracciato del sabato
mattina. Insidioso, fisicamente massacrante,
tecnico ma anche fantastico. Finirlo è stata una
grande soddisfazione per i tanti che hanno partecipato e pure per il sottroscritto che ha cercato
di trasmettervi le emozioni di queste due fantastiche giornate di enduro.
Leggi anche:
Hell’s Gate 2014: vince Jarvis su Walker.
Solo due all’arrivo Hell’s Gate 2014:
a Walker l’eliminatoria!
Innumerevoli, come si addice a una gara estrema. Il Dente ne ha mietute a iosa sia al mattino
che nel pomeriggio. La Cascata ha premiato gli
audaci, lì se ti butti deciso, passi dall’altra parte.
Se hai la minima incertezza, se già per terra. Il
Viscidone non ha fatto cadere i piloti, ma li ha
abbracciati in una terribile morsa di pietre umide prima e di fango colloso dopo. Difficili, ma non
insuperabili le Giastre, mentre la Salamandra
è stata come ogni anno teatro di capitomboli e
ruzzoloni, molti dei quali terminati con un bel
tuffo carpiato nelle acque gelide dell’Hell’s Gate.
Alla fine è rimasta la salita del Diavolo, ma quella
l’hanno fatta solo in due. Jarvis primo e Walker
secondo. Ma anche loro, unici piloti a finire la
corsa, senza la corda del pubblico non sarebbero
mai giunti alla fine.
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Il pubblico
Se non ci fosse, andrebbero prese delle comparse. Perché è parte integrante della corsa. E’
vicino, vicinissimo ai piloti come in nessuna altra
competizione. Il contatto fisico non solo non è
vietato, ma è anzi necessario a trarli d’impiccio
in più zone del percorso. Quest’anno erano protagonisti assoluti gli smartphone. Ovunque gli
spettatori hanno fotografato e ripreso le gesta
dei motociclisti. Se avete degli scatti divertenti,
mandateli a Moto.it a questo indirizzo ([email protected]). Li metteremo online e anche sulla
nostra pagina Facebook!
La Cavalcata
Per il secondo anno consecutivo il Ciocco ha
ospitato la cavalcata Hell’s Lite, giro non competitivo aperto a tutti gli appassionati di enduro.
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Enduro
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