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Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR
settimanale diretto da luigi amicone
anno 20 | numero 21 | 28 maggio 2014 |  2,00
EDITORIALE
elezioni europee
Lo sprint di Grillo all’ombra di una
foglia nascosta nell’inchiesta Expo
L
o scorso 17 marzo il popolarissimo sito Dagospia rilancia un articolo del
Corriere della Sera. «A Milano c’è un’inchiesta su appalti e opere pubbliche definita “delicatissima” così riservata e dagli esiti potenzialmente esplosivi… Gli investigatori sono abbottonatissimi e alla sola parola
“Expo 2015” si chiudono ancora più a riccio». Dal 17 marzo se c’è una “cupola” sull’Expo niente di più facile che la cupola abbia mangiato la foglia.
Tant’è, annota lo stesso Corriere nei giorni seguenti la retata, l’articolo Corriere-Dagospia viene sospettato di fuga di notizie e motiva presso il gip il rapido ok agli arresti. Ora, a proposito di foglia, dove nascondereste una foglia
se non in una foresta? E una mazzetta? Dove la servireste se non in luogo foresto, lontano da occhi indiscreti, invece che proprio qui, sotto la sede milanese di Tempi, nel centralissimo corso Sempione, dove il costruttore Maltauro e il suo amichetto Cattozzo sono stati filmati a scambiar chiacchiere
e bustarelle in una bella giornata di sole, il 17 aprile, quando era un mese
che circolava la notizia dell’inchiesta “esplosiva” e “delicatissima”? Arrestati l’8 maggio Maltauro e il resto della presunta cupola, capita che il 16 maggio un consigliere regionale grillino
entri nel carcere di Opera e riceva da Chi semina vento raccoglie
Maltauro una confessione che viene tempesta. Perciò non conviene
riversata su Repubblica: «È tutto ve- darsi al vento anche se il
ro, l’ho detto ai magistrati e ho mol- vento fischia forte e rischia
te altre cose da dire, questo sistema è di abbattere anche renzi
marcio con vent’anni di Berlusconi,
ti costringe a tirare fuori i soldi per lavorare, serve un ricambio…». E via di
dichiarazioni su un’inchiesta che il visitatore di un detenuto per quella inchiesta non potrebbe raccogliere né, tantomeno, un giornale pubblicare.
Perché? Perché la legge lo vieta. Dunque, perché tutto questo casino succede giusto in vista delle elezioni e vien utile giusto per un «andiamo avanti a
colpi di magistratura!» urlato da Grillo?
È difficile non cogliere nella tempistica di questo tornado giudiziario che
poteva benissimo scavallare il 25 maggio (se non ci fosse stato da oscurare
anche il caso, questo sì, serio, dell’esposto Robledo) una ennesima spallata
alla politica. E la palla alzata all’ospite di Bruno Vespa, campione del «succeda quel che succeda, non mi interessa». Il quale non spiega e non offre altre
risposte alle fatiche italiane che non siano il «tutti a casa», «ci prenderemo il
Parlamento», «li processeremo tutti, imprenditori, politici, giornalisti» e «in
rete». Insomma la Grande Gogna. Perciò è lui il beneficato, Beppe Grillo. Un
vero finto tonto e scondinzolante davanti ai pm, che è solo l’ultimo di una
lunga serie di forcaioli imbenzinati dall’ossessione del “repulisti”.
E qual è stato il lascito di costoro in questi vent’anni? Macerie e nulla.
Corruzione? La prima corruzione è usare la corruzione per scolpirsi il proprio monumento equestre. Poiché per il resto, state sicuri, se vince lui non
farà che ingarbugliare la crisi italiana. O non li avete visti all’opera questi di
M5S in Parlamento? O non avete letto i loro propositi di rifondare il mondo
con i “clic” e sfamare la gente con la “decrescita felice”? Chi predica vento raccoglie tempesta. Perciò non conviene darsi al vento, anche se il
vento fischia forte e, ahinoi, rischia di abbattere anche Matteo Renzi.
FOGLIETTO
Si chiama cocaina.
Ci vuole una bella faccia
tosta per derubricare
il massacro di Santhià
a inspiegabile “raptus”
I
l nonno, la nonna e la zia. Uccisi
con martelli e coltelli da un ragazzo di 24 anni di Santhià, che poi è
stato arrestato e ha confessato. Senza
un perché, scrivono i giornali. Qualcuno
ipotizza che il perché siano i 300 euro
che si è messo in tasca: e per così poco
massacri tre parenti stretti? Altri parla
di raptus: e da quando la cocaina, che
Lorenzo Manavella aveva assunto poco
prima della strage, si chiama raptus?
Torna alla memoria Ruggero Jucker,
36 anni nel 2002, lavoratore esemplare, incensurato e innamorato della
fidanzata Alenya, giovane modella; il
20 luglio 2002 rientra nell’abitazione comune, a Milano, e la uccide con
un coltello: al magistrato dirà di non
saperne spiegare la ragione e di non
ricordare neanche i contorni del fatto;
prima di tornare a casa, aveva fumato
uno spinello con elevata percentuale
di principio attivo. Allora come oggi
i protagonisti di gesti così efferati
riacquistano consapevolezza a mano a
mano che termina l’effetto della droga.
È ovvio che ciascun omicidio del genere
non può collegarsi in modo diretto alla
legislazione sugli stupefacenti, e che è
arbitrario far discendere un episodio
dal maggiore o minore rigore in materia; ma nessuno può escludere che una
più estesa possibilità di approvvigionarsi di droga moltiplichi fatti come questi.
La legge appena approvata, nel disinteresse generale e senza opposizione
nel merito, facilita i traffici, depenalizza
di fatto lo spaccio di strada, ripristina
l’antiscientifica distinzione fra droghe
“pesanti” e “leggere”. Poiché i giornali
hanno ignorato la gravità delle nuove
norme, evitino almeno di evocare il raptus quando una mattanza come quella
di Santhià scrive col sangue che la droga distrugge sé e altri. Chiamino le cose
col loro nome e ne chiedano conto a chi
ha posto le premesse perché tragedie
come queste si moltiplichino.
Alfredo Mantovano
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SOMMARIO
06 PRIMALINEA DEPRESSIONE EUROPEA. DI CHI È LA COLPA? | CASADEI
NUMERO
anno 20 | numero 21 | 28 maggio 2014 |  2,00
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La Merkel ha imposto
all’Italia austerità
e governi “tecnici”.
Ma se il comico sfonda
alle europee ecco come
finirà la nostra corsa
16 CHIESA VATICANO SOTTO ACCUSA | GROTTI
LA SETTIMANA
Foglietto
Alfredo Mantovano...........3
Presa d’aria
Paolo Togni..................................... 38
Mamma Oca
Annalena Valenti............... 39
Acta Martyrum
Leone Grotti................................ 44
Sport über alles
Fred Perri.......................................... 46
22 CHI È CHI IL SINDACO DI DESTRA
CHE PIACE A CHIAMPARINO
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano.................. 47
Mischia ordinata
Annalisa Teggi........................50
RUBRICHE
24 ESTERI LA VITA DI FARHAD | QUIRICO
28 L’INTERVISTA L’ESORCISTA DON BABOLIN | BOFFI
L’Italia che lavora............... 32
Stili di vita........................................... 38
Per Piacere.........................................41
Motorpedia........................................42
Lettere al direttore.......... 46
Taz&Bao................................................48
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Anno 20 – N. 21 dal 22 al 28 maggio 2014
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Foto: Rodolfo Casadei
Gli ospedali scarseggiano
di risorse e fanno pagare cure
e interventi a quanti non sono
coperti da assicurazioni sanitarie.
Che sono un numero sempre più
grande: crescono con l’aumentare
della disoccupazione. I disoccupati
in Grecia ammontano al 27 per
cento circa della forza lavoro
COPERTINA
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DA ATENE RODOLFO CASADEI
Foto: Rodolfo Casadei
Effetto
austerity
Povertà in aumento, natalità ai minimi storici.
Escalation di depressioni e suicidi. In Grecia si
è passati dal lassismo con i suoi sprechi alla più
assurda rigidità imposta dalla troika. Mancano
i soldi per tutto, persino per le medicine.
Ma non manca la solidarietà. Viaggio ad Atene
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diabete e colesterolo sono diventati insostenibili. Non basta essere anziani, indigenti o afflitti da malattie croniche: in
Grecia al giorno d’oggi chiunque vada in
farmacia deve pagare come minimo un
ticket pari all’85 per cento del costo commerciale del medicinale. Chi proprio non
ce la fa a pagare dovrebbe rivolgersi agli
ospedali, ai quali è affidata la gestione
di un fondo del valore di 12,8 milioni di
euro per questi casi, ma il servizio apposito presso i nosocomi non funziona: gli
ospedali stessi scarseggiano di risorse, e
fanno pagare cure e interventi a quanti
non sono coperti da assicurazioni sanitarie. Che sono un numero sempre più
grande: crescono con l’aumentare della disoccupazione, dal momento che è il
lavoro dipendente a garantire l’automatica copertura di un’assicurazione sanitaria. E i disoccupati in Grecia – la Gre-
cia che secondo l’Unione Europea è sulla
via della ripresa – ammontano al 27 per
cento circa della forza lavoro. I greci privi di copertura sanitaria oscillerebbero,
secondo le dichiarazioni del ministro della Sanità Adonis Georgiadis, fra 1 milione
e 900 mila e 2 milioni e mezzo. Medecins
du Monde dice che sono 3 milioni.
L’assistenza gratuita
In ogni caso sono tanti, troppi, ed è
per loro che stanno nascendo iniziative come questa farmacia della solidarietà a Patisia, quartiere metà benestante e
metà depresso del centro di Atene, dove
si alternano 25 volontari che fanno i turni dentro a un piccolo edificio di un solo
piano annesso al Centro culturale del
principale plesso scolastico del quartiere.
Eleni Sotiropoulou è una di loro. «L’idea
è nata discutendo fra vicini, ognuno rac-
Foto: Rodolfo Casadei
S
metterci una confezione di kleenex a strappo. «Dopo che
hanno preso su le medicine dal tavolo, metà di quelli che vengono qui fanno
così», confida sottovoce Eleni. A pochi
metri da noi un uomo di 88 anni parla e piange, piange e parla. Si chiama
Costas ed è un greco di Albania. Si è trasferito in Grecia nel 1990, dopo la caduta del comunismo. Per i suoi 44 anni di
lavoro come meccanico lo Stato albanese gli versa una pensione di appena 110
euro. Quello greco fece lui e sua moglie
titolari di due pensioni da 345 euro ciascuna. Tre anni fa quella della moglie è
stata soppressa, quindici mesi fa è toccato a Costas. «Sospesa. Quando la riavrò?
Non si sa!». Improvvisamente i 70 euro
al mese di ticket farmaceutici per curare
ul banco dovrebbero
COPERTINA PRIMALINEA
Nella farmacia della solidarietà
di Patisia, quartiere metà
benestante e metà depresso
del centro di Atene, si alternano
25 volontari. I muri esterni
dell’edificio sono coperti di
scritte non proprio amichevoli
del partito veterocomunista,
degli anarchici e di svastiche
Foto: Rodolfo Casadei
«il nostro scopo non è raccogliere medicine per fare
la carità; stiamo cercando di promuovere l’assistenza
medica come diritto sociale irrinunciabile per tutti»
contava storie di persone che non riuscivano a comprare i medicinali di cui avevano bisogno. I nostri figli frequentano o hanno frequentato questa scuola,
così abbiamo chiesto all’Associazione dei
genitori degli studenti di intercedere per
noi per avere a disposizione questo spazio. I vetri delle finestre e la tinteggiatura ce li siamo pagati noi. Forniamo medicine gratuitamente al 100 per cento a
500 utenti, che vengono qui con una prescrizione medica e che hanno dimostrato di non avere redditi». Alla farmacia,
che funziona dal gennaio 2013, da qualche tempo è annesso un servizio di visite pediatriche, svolte due volte alla settimana da 3 medici volontari. Di ambulatori-farmacie come questa ne esistono, secondo l’economista Petros Linardos
Rulmond, una trentina in tutta la Grecia.
Due appartengono alla Chiesa ortodos-
sa, tutti gli altri sono di iniziativa popolare, anche se in genere è rintracciabile
una denominazione politica. Secondo lo
statuto informale della farmacia «chiunque può partecipare al nostro gruppo,
indipendentemente dalle sue convinzioni ideologiche o politiche, purché rispetti pienamente i princìpi e la struttura
del suo funzionamento». Ma l’orientamento è chiaro quando si legge che «il
nostro scopo non è raccogliere medicine
per fare la carità; stiamo cercando di promuovere l’assistenza medica come diritto sociale irrinunciabile per tutti». «La
finalità della farmacia non è soltanto di
distribuire medicine, ma di sensibilizzare
gli utenti perché prendano coscienza dei
loro diritti e protestino».
Effettivamente la farmacia solidale
di Patisia è vicina all’ambiente di Syriza, il partito della sinistra radicale pronosticato vincitore delle prossime elezioni parlamentari europee, come ci spiega Tina Tsitsovits del comitato centrale. I
muri esterni dell’edificio sono coperti di
scritte non proprio amichevoli del Kke (il
partito veterocomunista) e degli anarchici, e di svastiche.
Peggio della Romania
I farmaci arrivano in molti modi: privati
che li comprano e li offrono, o che “adottano” un malato, farmacisti che sensibilizzano i clienti a fare una donazione
o a riportare medicine non consumate,
dipendenti delle aziende farmaceutiche
che organizzano acquisti a prezzi scontati, familiari che portano i medicinali
avanzati di un parente defunto… «Ci sono
stati 2 miliardi e mezzo di spesa farmaceutica in meno fra il 2010 e oggi», spiega la dottoressa Korina Kassiou. «Prima
si facevano troppe prescrizioni, adesso ci
sono regole troppo rigide e restrittive. Si è
passati da un estremo all’altro».
Il passaggio dal lassismo con i suoi
sprechi alla rigidità più assurda e con-
troproducente è denunciata in tutti gli
ambiti dove si ha a che fare con la spesa pubblica e le esigenze dell’austerità
dei memorandum della troika. Nicolas
Demertzis è il direttore dell’Ekke, l’ufficiale Centro nazionale per la ricerca
sociale, ma è costretto a occuparsi più di
questioni amministrative che di indagini scientifiche. «La riduzione della spesa
pubblica è stata fatta con i tagli orizzontali, senza nessuna attenzione alle esigenze di efficienza degli enti. Si sono pensionati ricercatori bravissimi che ci sarebbero stati utili e tenuti altri solo perché
costavano meno. Adesso è stata introdotta una legge in base alla quale ogni ente
pubblico deve valutare il personale secondo una griglia che ha tre categorie: eccellente, buono e scarso. Il bello è che le proporzioni di personale assegnato alle tre
categorie è già fissato! Io devo classificare il 25 per cento del mio personale come
eccellente, il 60 come di medio livello e
il 15 per cento come scarso! La terza categoria si vedrà ridurre lo stipendio, e più
avanti, chissà: saranno quelli licenziabili o collocabili in mobilità». Morale della storia: «In passato la valutazione del
personale nella pubblica amministrazione era una farsa, tutti venivano promossi anche senza meritarlo. Adesso si passa
alla farsa opposta, stabilendo per legge
che alcuni sono incapaci».
All’Ekke ci lavora Dionyssis Balourdos, il principale esperto greco sui temi
della povertà. Ci accoglie sventolando la
statistica vidimata da Eurostat che certifica che la Grecia è il paese dell’Unione
Europea con la più alta percentuale di
popolazione a rischio di povertà: 23,1 per
cento, cioè più della Romania, della Bulgaria e della Croazia. Nel 2009, alla vigilia dell’esplosione della crisi, si registrava
il 19,7 per cento. «Siamo tornati ai livelli
del 1994», dice. «Fra gli uomini disoccupati il rischio di povertà sta addirittura al
52,1 per cento. Quali effetti sta provo|
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Il blocco dei riscaldamenti
Gli stili di vita sono cambiati. «Anche chi
ha un lavoro consuma molto meno di
prima. Ci si prepara il caffè in ufficio e si
porta il pasto da casa anziché andare al
bar in pausa pranzo. Si usa meno l’auto
e di più i mezzi pubblici, preferibilmente senza pagare il biglietto: i controllori
sono pochi, e poi c’è l’abitudine di passarsi i biglietti che hanno ancora un residuo
di tempo utilizzabile. Ottocentomila veicoli sono stati disimmatricolati per non
pagare più il bollo. Ma il fenomeno che
ha avuto più conseguenze è stato il blocco
dei riscaldamenti centrali nei condomini:
molti hanno smesso di pagare la loro parte di gasolio, e hanno cominciato a scaldarsi bruciando legname di cattiva qualità, per esempio mobili vecchi. Quest’inverno l’aria ad Atene era irrespirabile. Il
governo ha dovuto fare spot televisivi per
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spiegare che bruciare i mobili avvelena
l’aria perché libera solventi».
«La crisi ha fatto emergere isole di
solidarietà, ma ha soprattutto prodotto
impoverimento antropologico e atomizzazione sociale», afferma Panagiotis Grigoriou, antropologo che fa il pendolare
fra Atene e Parigi. «I greci amano molto le
relazioni sociali, ma uno degli effetti della crisi è stato quello di indebolire queste
relazioni fino ad annullarle. Se si guarda
attorno, vedrà che anche qui nel centro
di Atene la gente per strada e nei locali è
costituita quasi solamente di giovani: gli
adulti e gli anziani non si fanno più vedere, se ne stanno chiusi in casa».
Effettivamente, insieme al metrò
semivuoto alle 8 di mattina, la latitanza
delle classi di età sopra i 40 anni per le vie
centrali di Atene è uno dei segnali anomali che la capitale emette. «La distruzione accelerata della classe media ha prodotto questo e altri fenomeni», spiega Grigoriou. «Non ci si vede più come prima
per molte possibili ragioni: perché la gente deve dedicare più tempo al lavoro per
non essere licenziata o per guadagnare
quello che guadagnava prima della crisi,
perché non ci sono più i soldi per permettersi una cena al ristorante o un concerto, perché i rapporti sono diventati strumentali: chi è in difficoltà si vergogna e
non vuole stare più coi vecchi amici, cer-
ca soltanto di entrare in contatto con persone che lo aiutino a trovare un lavoro o
un altro prestito per tirare avanti. Oppure non ci si vede più perché tanti sono
depressi e non escono più di casa».
La fragilità psicologica
L’incidenza della crisi sulla salute mentale dei greci è uno dei temi più dibattuti e sfuggenti. Varie riviste scientifiche,
greche e internazionali, sostengono che i
tassi di depressione, i suicidi e i tentativi
di suicidio siano sensibilmente aumentati. La famosa rivista The Lancet nel febbraio di quest’anno ha scritto che mentre i fondi pubblici per i servizi di salute mentale sono stati tagliati del 20 per
cento fra il 2010 e il 2011 e del 55 per cento fra il 2011 e il 2012, le richieste sono
aumentate del 120 per cento negli ultimi
tre anni. I casi di depressione grave sono
aumentati dal 3,3 per cento del 2008
all’8,2 per cento del 2011. I decessi per
suicidio sono cresciuti del 45 per cento far il 2007 e il 2011. Secondo il ministero degli Interni nel solo 2013 c’è stato un aumento del 40 per cento rispetto
all’anno precedente. «Confermo, l’incidenza della depressione è aumentata in
misura fortissima, e ha colpito soprattutto le persone già fragili psichicamente.
Le nostre statistiche collegano la disoccupazione all’insorgenza della depres-
Foto: European Parliament
cando questo aumento della povertà? È
troppo presto per dirlo con dati scientifici
attendibili, ma una cosa siamo già in grado di affermarla: la crisi ha riabbassato i
tassi di natalità, che erano ricominciati a
crescere. Negli anni del boom economico,
cioè a cavallo del 2000, quando la gente
pensava solo ad arricchirsi, il numero di
figli per donna era sceso a 1,2, poi è risalito fino a 1,5 nel 2010. Nel giro di due anni
siamo ripiombati a 1,34».
COPERTINA PRIMALINEA
PHILIPPE LEGRAIN
«Così Bruxelles
vi ha rovinato»
Ecco come è nata e chi sono i veri responsabili
della crisi europea. Le rivelazioni dell’ex capo degli
analisti di Barroso. «Negare che l’Unione abbia
commesso degli errori incoraggia gli estremismi»
Foto: European Parliament
«L
sione. Le persone si sentono espulse dalla società, e questo aggrava le loro condizioni». Coi suoi 88 anni Panagiotis Sakarellopoulos è il decano degli psichiatri
greci, e incarna il loro Basaglia: fu lui, di
ritorno dagli studi in Francia, a promuovere l’umanizzazione degli ospedali e dei
servizi psichiatrici. La sua passione non è
affatto spenta: «Non siamo contenti della situazione attuale della Grecia, né delle politiche del ministero della Sanità.
Ma più triste ancora è il comportamento di molti medici: continuano a lavorare con i vecchi metodi, cioè ospedalizzazione e scarsissimi rapporti umani con i
pazienti. Vanno al lavoro alle 10 e alle 13
se ne sono già andati: i casi più difficili
li lasciano da gestire alle infermiere». La
sua Società di psichiatria sociale e salute mentale è un ente no profit che opera
da molti anni ad Atene ma anche in provincia (Focide e Tracia), e che oggi cerca
di rispondere a bisogni crescenti con aiuti in diminuzione da parte dello Stato.
Quello che dice dei suoi malati andrebbe applicato a tutto il popolo greco inteso come emblema di una società colpita dalla crisi e alla solidarietà fra popoli
europei: «Noi non possiamo cambiare la
loro diagnosi psichiatrica: sarebbe megalomania. Ma possiamo modificare il loro
destino, intervenendo sul loro ambiente
sociale e familiare». n
a causa principale della crisi
sono stati gli sconsiderati prestiti di banche tedesche e francesi al mercato immobiliare spagnolo e
a quello irlandese, ai consumatori portoghesi e al governo greco. Ma insistendo che fossero i contribuenti greci, irlandesi, portoghesi e spagnoli a pagare interamente per gli errori di quelle banche,
la cancelliera Angela Merkel e le sue colf
a Bruxelles hanno sistematicamente privilegiato gli interessi delle banche tedesche e francesi al di sopra di quelli dei
cittadini dell’eurozona». L’autore di questa frase, apparsa sul New York Times del
22 aprile scorso, è un ex consulente di
Manuel Barroso: Philippe Legrain, economista britannico già autore di un fortunato libro sulla globalizzazione (Open
World). Non un consulente qualsiasi: dal
febbraio 2011 al febbraio 2014 è stato il
principale consigliere e il capo del team
di analisti del Bureau of European Policy
Advisers al servizio del presidente della
Commissione Europea. Alla fine Legrain
se ne è andato perché i suoi consigli non
venivano seguiti. Tempi lo ha raggiunto
per un’intervista esclusiva.
Lei non è un euroscettico e ha messo in
guardia dai partiti populisti alla vigilia
delle elezioni europee. Tuttavia nel suo
libro European Spring e in vari articoli
ha denunciato che i veri colpevoli della
crisi finanziaria dell’eurozona non sono i
debitori (i privati e i governi dell’Europa
meridionale e dell’Irlanda), ma i creditori tedeschi e francesi, e che la ricetta
di Bruxelles-Francoforte-Berlino per la
soluzione della crisi ha portato alla depressione economica e alla disoccupazione di massa perché gli interessi delle
banche tedesche e francesi sono stati
anteposti a quelli dei cittadini dell’eurozona. Si spieghi.
È perché voglio che l’Unione Europea e l’euro abbiano successo che sono
così critico dei terribili errori che sono
stati compiuti durante la crisi. Negare
che sono stati fatti degli errori, fingere che l’Europa sia sulla strada giusta e
insistere che chi non è d’accordo è un
illuso, spinge la gente contro l’Europa e
incoraggia gli estremismi. Per cominciare a mettere a posto le cose e per riconquistare consenso nei riguardi dell’Unione Europea, è necessario essere assolutamente onesti circa quello che è andato storto. Ovviamente i debitori sono in
parte responsabili degli errori compiuti negli anni della bolla fino al 2007. Ma
una maggiore responsabilità ricade sui
banchieri, pagati profumatamente per
la loro presunta capacità di valutare i
rischi, così come sui presidenti delle banche centrali, i regolatori, i supervisori e
i politici che avrebbero dovuto limitare
gli eccessi finanziari. E quando le bolle
sono scoppiate e le banche sono state sul
punto di fallire, i governi le hanno salvate con i soldi dei contribuenti. Quando
il debito pubblico della Grecia è diventato insostenibile nel 2010, i responsabili
politici fecero un errore ancora più grosso. Per evitare perdite alle banche tedesche e francesi, hanno finto che una Grecia insolvente stesse attraversando difficoltà di finanziamento temporanee. E
con la finzione che la stabilità finanziaria dell’eurozona fosse a rischio, decisero di infrangere la base legale su cui l’euro era fondato, cioè la clausola del divieto di salvataggio fra stati, e di salva|
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«I debitori sono
responsabili degli
errori compiuti
negli anni
della bolla. Ma
maggiore
responsabilità
ricade sui banchieri,
pagati per la loro
presunta capacità
di valutare i rischi,
sui presidenti delle
banche centrali
e i politici che
avrebbero dovuto
limitare gli eccessi
finanziari»
EUROPEAN
SPRING
Philippe Legrain
12 euro
re i creditori della Grecia. Improvvisamente i cattivi prestiti delle banche private divennero obbligazioni fra governi. Anche in Irlanda, Portogallo e Spagna i responsabili politici dell’eurozona insistettero che fossero i contribuenti locali a pagare per gli errori delle banche straniere. Così una crisi che avrebbe
potuto unire l’Europa in uno sforzo collettivo per tenere a freno le banche che
ci avevano messo nei guai ci ha invece
divisi, aizzando i paesi creditori – principalmente la Germania – contro quelli
debitori, mentre le istituzioni dell’Unione sono diventate strumenti dei creditori per imporre la loro volontà ai debitori. Gli errori dei responsabili politici
dell’eurozona hanno anche causato una
lunga e profonda recessione, non inevitabile, fra il 2010 e il 2013. Dal caso della Grecia hanno erroneamente concluso
che l’intera eurozona si trovava di fronte
ad una crisi fiscale, e mentre hanno evitato di affrontare la crisi bancaria e l’eccessivo debito privato, hanno optato per
un’austerità collettiva ed eccessiva che
ha depresso la domanda e ha avuto l’effetto perverso di peggiorare le finanze
pubbliche. Hanno anche alimentato il
panico, con gli investitori che si chiedevano quale paese sarebbe crollato dopo
la Grecia, quando la Merkel ha cercato
di correggere il suo errore greco a Deauville ma ha peggiorato le cose, e quando
lei e Sarkozy più tardi hanno minacciato
di costringere la Grecia a lasciare l’euro.
E mentre il panico lacerava l’eurozona, i
responsabili politici chiedevano sempre
più austerità. Nel caso dell’Italia, le cui
banche non si sono esposte durante gli
anni della bolla, la sua attuale situazione è in gran parte dovuta all’imposizione di un’eccessiva austerità in risposta a
un panico creato a Berlino, Bruxelles e
Francoforte, così come dal fallimento di
successivi governi di attuare riforme per
aumentare la crescita della produttività.
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Per quel che vale, uno studio realizzato
da un dirigente della Commissione Europea utilizzando un modello da lui creato, conclude che l’austerità collettiva ed
eccessiva finora è risultata nella perdita
cumulativa di 10 punti percentuali di Pil
nell’eurozona: nessuno è stato chiamato
a rispondere di questo. Infine, nell’estate del 2012 la Bce ha arrestato il panico,
l’austerità è stata ammorbidita e le economie stabilizzate. Pensate quanta miseria ci saremmo risparmiati se la Bce avesse agito prima e se i responsabili politici
non avessero imposto tanto rigore. E nel
frattempo la crisi bancaria è rimasta senza soluzione.
Una decurtazione sul valore nominale del debito greco comunque alla fine
è stata imposta nel 2012, e si parla di
estendere i termini per la restituzione
del debito greco a 30-50 anni, pure con
«UN DIRIGENTE DELLA COMMISSIONE HA DIMOSTRATO CON
UNO STUDIO CHE L’AUSTERITà COLLETTIVA HA PORTATO ALLA
PERDITA DI 10 PUNTI PERCENTUALI DI PIL NELL’EUROZONA»
tassi di interesse abbassati. Tutto ciò
equivale a una ristrutturazione-cancellazione del debito. O ci sbagliamo?
Sì, i responsabili politici dell’eurozona furono infine costretti ad ammettere che i debiti della Grecia erano troppo grandi e a ristrutturarli nel 2012, benché la Commissione Europea e la Bce per
lungo tempo abbiano combattuto accanitamente questa conclusione: ricordatevi quello che dicevano a quel tempo Olli
Rehn, Trichet e Bini Smaghi. Fra i due salvataggi dei creditori della Grecia nel 2010
e nel 2012, le banche tedesche, francesi e
di altri paesi furono in grado di ridurre
di parecchio la loro esposizione in titoli
greci, mentre venivano loro interamente
ripagati quelli che erano giunti a scadenza durante quel periodo. Però la decurtazione fu troppo piccola per rendere soste-
nibile il debito greco, in gran parte perché la Bce insistette che la ristrutturazione doveva essere “volontaria”, mentre il
parlamento greco avrebbe potuto imporre perdite ben più grandi con un semplice tratto di penna. Inoltre, al fine di recuperare i loro prestiti alla Grecia, i responsabili politici dell’eurozona le imposero
un’austerità così brutale che la sua economia ha sofferto una recessione più
lunga e più profonda di quella della Germania negli anni Trenta. Il peso del debito congela l’investimento privato, deprimendo ulteriormente la crescita. Alla
fine il debito della Grecia dovrà essere cancellato un altro po’. A quel punto le perdite ricadranno sui contribuenti dell’eurozona, compresi voi italiani,
anziché sulle banche straniere che hanno fornito alla Grecia la corda per impic-
Foto: Ansa/Dpa
IL LIBRO
COPERTINA PRIMALINEA
carsi. Questo non è solo ingiusto: è politicamente perverso. Perché i contribuenti tedeschi ora accusano quelli greci di
prendersi i loro soldi, quando in realtà
dovrebbero incolpare Angela Merkel per
aver approvato il salvataggio occulto delle banche tedesche attraverso i prestiti a
una Grecia insolvente.
Foto: Ansa/Dpa
Lei critica il salvataggio delle banche
nel contesto della crisi del debito greco, ma se le avessimo lasciate fallire ci
avrebbero rimesso anche tanti piccoli
risparmiatori.
Quando le banche falliscono, dovrebbero essere ristrutturate con una procedura ordinaria che fa sopportare i costi ai
loro creditori, mentre vengono garantiti
i piccoli depositi. È quello che si fa negli
Stati Uniti attraverso la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic). È quello che ha fatto la Danimarca nel 2011,
senza che cascasse il mondo. Ed è quello
che accadrà quando la nuova normativa
dell’Unione Europea sulla vigilanza bancaria entrerà in vigore nel 2016.
Lei è molto critico dell’unione bancaria
recentemente approvata. L’ha definita
«finta» e modellata sugli interessi tedeschi. Si spieghi.
La Germania acconsentì a malincuore alla proposta di un’unione bancaria in
occasione del Consiglio europeo del giugno 2012, quando il panico stava lacerando l’eurozona e Monti, Hollande e Rajoy
unirono le forze per chiedere una diversa
risposta alla crisi. Ma l’intervento di Draghi per salvare l’euro allentò la pressione
su Berlino, che cominciò immediatamente a fare marcia indietro sui suoi impegni. Al fine di mantenere il controllo sulle sue banche spesso pericolanti a causa dei crediti inesigibili accumulati prestando nell’Europa meridionale durante gli anni della bolla, Berlino ha svuotato l’unione bancaria della sua sostanza.
La Bce eserciterà la sua vigilanza solo sulle 130 banche maggiori: la maggior parte delle banche tedesche sono piccole.
L’ente supervisore tedesco, Bafin, esercita la vigilanza su migliaia di banche e di
altre istituzioni finanziarie; dunque l’argomento secondo cui la Bce non potrebbe farlo è pretestuoso. E la pretesa che
le piccole banche non rappresentino un
rischio sistemico è altrettanto pretestuosa: si veda il caso delle cajas spagnole. Il
meccanismo di risoluzione unico per la
ristrutturazione e la chiusura delle banche è incredibilmente complesso, lascia
un diritto di veto nelle mani dei governi
nazionali e i fondi collettivi che alla fine
saranno a sua disposizione sono limitati: solo 55 miliardi di euro. In pratica i
governi possono continuare a sostenere
le “loro” banche se hanno i soldi per farlo. La Germania lo fa, Cipro non può.
La crisi ha prodotto l’accentramento a
Bruxelles delle politiche fiscali nazionali. A ogni cambio di governo Olli Rehn
va in tv e ammonisce: «Mantenete gli
impegni presi dai vostri predecessori».
Lei critica tutto ciò, ma da Bruxelles
rispondono che senza questo controllo
si ripeterebbero le crisi del debito e i default che si sono verificati.
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PRIMALINEA COPERTINA
tana la gente dall’Europa. E
se il voto per i partiti principali non porta a nessun cambiamento, non c’è da meravigliarsi che la gente voti gli
estremi.
Perché la moneta comune europea non funziona,
tranne che in Germania e
pochi altri paesi? Dobbiamo
tenercela o abbandonarla?
Come dovrebbe funzionare
l’unione monetaria?
È un mito che il Patto di stabilità e
crescita abbia fallito: l’unico fallimento è stato la mancata individuazione
delle bugie greche. La crisi è stata causata principalmente da fallimenti nella governance finanziaria dell’eurozona,
non nella governance fiscale. Pensiamo al
caso dell’Italia: la Commissione Europea
approvò la sua ammissione all’euro nel
1997, quando il debito pubblico era il 122
per cento del Pil. Nel decennio seguente
il debito è diminuito di 19 punti percentuali. La ragione per cui i rendimenti dei
buoni del Tesoro italiani si sono impennati nel 2011-’12 non è l’eccesso di spesa pubblica, ma il panico sistemico causato dagli errori dei responsabili politici
dell’eurozona. Ricordatevi che la sostituzione di Berlusconi con Monti e la deriva
di quest’ultimo verso un’eccessiva austerità su ordine dell’Unione Europea non
ridusse i rendimenti dei titoli. Fu la Bce
che mise fine al panico, dopo avere per
lungo tempo affermato che non aveva i
poteri legali per farlo. L’imposizione di
una camicia di forza fiscale è l’eredità
della decisione sbagliata del 2010 di salvare le banche tedesche e francesi che
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avevano prestato a una Grecia insolvente,
anziché affidare il caso al Fondo monetario internazionale e cancellare i debiti. A causa del fatto che la Merkel infranse la regola che vietava agli stati di garantire il debito di un altro stato, su cui Helmut Kohl aveva giustamente insistito al
momento della firma del trattato di Maastricht, i contribuenti tedeschi improvvisamente temettero di dover garantire per
i debiti altrui. Perciò la cancelliera chiese
un controllo molto maggiore sui bilanci
degli altri stati, e la Commissione fu ben
felice di accaparrarsi nuovi poteri. Questo è economicamente pericoloso, perché i paesi che condividono una valuta
hanno bisogno di maggiore, non minore, flessibilità fiscale. Ripeto, tutto ciò è
politicamente perverso. Perché, come lei
dice, quando gli elettori in un paese bocciano il governo uscente, Olli Rehn va
in tv e insiste che il nuovo governo deve
conformarsi alle politiche fallimentari di
quello vecchio. Che un burocrate di Bruxelles, lontano, non eletto e che quasi
non deve rendere conto a nessuno possa
negare agli elettori le loro legittime scelte intorno a tasse e spesa pubblica, allon-
Lei invoca una “Primavera europea” per
tirare fuori l’Europa dalla crisi dell’eurozona. A parte il fatto che le Primavere arabe non sono state esattamente
un successo, perché un cambiamento
avrebbe bisogno di una specie di insurrezione popolare?
Quando parlo di Primavera europea,
intendo un rinnovamento economico e
politico. Esso richiede una forte leadership – con un po’ di fortuna Matteo Renzi potrebbe offrirla all’Italia –, nuovi
politici con nuove idee e un movimento
dal basso per il cambiamento. [rc]
Foto: Ansa
«fingere che l’Europa sia sulla strada giusta e
insistere che chi non è d’accordo è un illuso, spinge
la gente contro l’Europa e incoraggia gli estremismi»
Al posto di un’eurozona
modellata sui miopi interessi della Germania creditrice, abbiamo bisogno di
un’unione che funzioni per tutti i suoi
cittadini. Le banche “zombie” devono
essere ristrutturate, il debito insostenibile (sia privato sia pubblico) deve essere
cancellato. È necessario più investimento, insieme a riforme per aumentare la
produttività e quindi i salari. Il meccanismo per la ristrutturazione delle banche fallite deve essere indipendente. In
futuro per evitare il panico, il ruolo della Bce come prestatore di ultima istanza
deve essere formalizzato, e con esso una
maggiore discrezionalità di bilancio per
i governi: l’unico condizionamento deve
essere rappresentato dalla disponibilità dei mercati a prestare a loro e ultimamente dalla possibilità della bancarotta.
CHIESA
VATICANO SOTTO ACCUSA
Peccati
e pregiudizi
«La Chiesa è vista come una barriera a stili di vita “moderni”
che hanno conseguenze distruttive. Combattere l’aborto non è
una tortura, ma una difesa della vita. E gli scandali dei cristiani
non sono una scusa per imporre loro dottrine sbagliate».
Monsignor Tomasi risponde agli attacchi delle Nazioni Unite
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DI LEONE GROTTI
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| Foto: Tips
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CHIESA VATICANO SOTTO ACCUSA
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A destra, monsignor
Silvano Maria Tomasi,
osservatore
permanente della
Santa Sede presso
le Nazioni Unite.
Sotto, la copertina
di Tempi dedicata
agli attacchi dell’Onu
alla Santa Sede, creati
per demolire, con
la scusa della lotta
alla pedofilia,
il magistero cattolico
settimanale diretto da luigi amicone
anno 20 | numero 20 | 21 maggio 2014 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
fosse praticamente già scritto o perlomeno nettamente impostato prima dell’audizione». Il modo stesso in cui sono state presentate le obiezioni ha dato l’impressione che «si sia data maggiore attenzione a Ong ben note, pregiudizialmente contrarie alla Chiesa cattolica e alla
Santa Sede, che non alle posizioni della Santa Sede stessa». È «tipico, infatti, di
tali organizzazioni non voler riconoscere
quanto è stato fatto nella Chiesa in questi
anni recenti, nel riconoscere errori, nel
rinnovare le normative, nello sviluppare misure formative e preventive. Poche
o nessun’altra organizzazione o istituzione ha fatto altrettanto. Ma non è assolutamente quello che si comprende leggendo
il documento in questione».
Oggi la storia si ripete. Un altro rapporto sul Vaticano sarà rilasciato il 23
maggio, questa volta dalla Commissione delle Nazioni Unite sulla convenzione
contro la tortura. Se le conclusioni deriveranno dagli argomenti usati dagli “esper-
ti” il 4 e 5 maggio scorsi per interrogare l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, monsignor Silvano
Maria Tomasi, non c’è da aspettarsi niente di buono. Durante le udienze, i casi di
pedofilia all’interno del clero sono stati
interpretati come esempi di tortura e il
«divieto di procedere con l’aborto» è stato imputato alla Chiesa come «un atto
crudele». Davanti a queste accuse, il Wall
Street Journal ha parlato di «macroscopico attacco alla libertà religiosa» condotto attraverso «un’insostenibile e perversa
interpretazione del trattato». Sullo scontro tra Santa Sede e Nazioni Unite Tempi
ha intervistato l’osservatore permanente
monsignor Silvano Maria Tomasi.
Eccellenza, la Santa Sede è responsabile
dei casi di pedofilia all’interno del clero
avvenuti in tutto il mondo dagli anni
Cinquanta a oggi?
Alcuni dei membri della Commissione forse non hanno chiara la duplice
forma con cui la Santa Sede attua le sue
Foto: Ansa
L
Chiesa non ha mai preso così
tanti provvedimenti a protezione dei minori contro lo
scandalo degli abusi sessuali come negli ultimi dieci
anni: 848 sacerdoti sono stati sospesi a divinis, cioè ridotti allo stato laicale, altri 2.572 hanno subìto pene
minori come il ritiro perpetuo a vita di
penitenza e preghiera. Solo nel 2013, 43
chierici sono stati laicizzati e ad altri 358
sono state inflitte sanzioni. La Chiesa ha
riformato radicalmente la legge vaticana in materia di abusi: papa Benedetto
XVI ha denunciato pubblicamente le colpe dei sacerdoti e chiesto scusa, ha incontrato le vittime e nel 2010 ha modificato le Normae de gravioribus delictis, portando la prescrizione del reato di pedofilia da dieci a vent’anni, a partire dal compimento dei 18 anni da parte della vittima. Eppure.
Eppure, come riportato nel numero
scorso di Tempi nell’articolo di Francesco
Amicone “E chi sono loro per giudicare?”,
la Chiesa non è mai stata attaccata così
violentemente in sedi istituzionali come
nel 2014. Lo scorso 5 febbraio, 18 “esperti indipendenti” della Commissione delle
Nazioni Unite per i diritti dei minori hanno diffuso un rapporto sul Vaticano mettendolo sotto accusa. Non solo sugli abusi, ignorando completamente i dati di fatto, ma chiedendo alla Santa Sede di modificare le posizioni dottrinali e morali della Chiesa in materia di omosessualità,
aborto, matrimonio gay, contraccezione
e di «promuovere a livello internazionale»
questo o quel diritto. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, ha parlato al tempo di «visione ideologica della stessa sessualità» e denunciato un atteggiamento strano da parte della
commissione Onu: il documento conclusivo non ha «tenuto conto adeguato delle
risposte date dai rappresentati della Santa Sede», tanto «da far pensare che esso
a
ratificò nel 2002, rientra nel quadro di
misure giuridiche internazionali dirette a proteggere la dignità umana. Evidentemente abbiamo lo stesso obiettivo nella nostra attività diplomatica internazionale. Come gli altri Stati membri, anche
se con un po’ di ritardo, la Santa Sede
ha presentato il suo rapporto agli esperti della Commissione della Cat. Gli abusi sessuali contro minorenni non rientrano però nella definizione di tortura della Convenzione. Essendo essi comunque
interpretabili come un comportamento
inumano e crudele, in alcuni casi di revisione dei rapporti presentati da altri Stati
membri sono stati inclusi negli obiettivi
dell’articolo 16 della Convenzione.
I casi di pedofilia, quindi, possono essere definiti una tortura o no? È corretto
che la Santa Sede debba discuterne davanti alla Commissione?
responsabilità contro la tortura o contro lo sfruttamento sessuale di minorenni. Nel senso giuridico stretto, la Santa
Sede deve applicare la Convenzione nel
territorio dello Stato della Città del Vaticano. Ma la missione spirituale universale della Santa Sede, esercitata attraverso
il suo insegnamento, il diritto canonico e
i provvedimenti pastorali, è molto efficace a creare e sostenere una mentalità corretta per la prevenzione della tortura e
la punizione di colpevoli di tale crimine,
siano essi laici o preti.
Foto: Ansa
Eppure Ong accreditate alle Nazioni
Unite come la Snap, la Rete dei sopravvissuti agli abusi dei preti, sostengono
che la Santa Sede è responsabile perché
«è difficile immaginare un’organizzazione con una catena di comando più centralizzata e gerarchica del Vaticano».
Non è affatto così. I modi con cui la
Santa Sede attua la sua responsabilità
sono realmente efficaci, anche se differenti. I sacerdoti di un paese non sono
«Per la chiesa l’uomo
è aperto agli altri e si
assume la responsabilità
delle decisioni. L’ONU E
ALTRI GOVERNI SPINGONO
PER UNA cultura che
tende a trasformare
ogni desiderio in diritto»
impiegati del Papa ma cittadini giuridicamente dipendenti dal paese in cui vivono
e che ha diritto di esercitare la sua sovranità senza interferenze esterne.
Anche la Commissione dell’Onu però vi
ha messo sotto accusa.
Sotto accusa non è la Santa Sede, ma
certe interpretazioni tendenziose dei trattati internazionali. Gli Stati si sono dati
degli accordi giuridici per rispondere
più efficacemente a situazioni di violazione dei diritti umani. La Convenzione
contro la tortura (Cat), che la Santa Sede
L’abuso sessuale di minori è una violazione orribile e ributtante della loro
dignità e dei loro diritti umani. Nel contesto del diritto internazionale, la definizione di tortura non include questi casi di
abuso di minorenni. La Santa Sede ha presentato un rapporto dettagliato sull’argomento alla Commissione della convenzione sui diritti dei bambini lo scorso gennaio. L’argomento però, oltre che trovare
un appoggio nella Convenzione, è appetitoso per i media e si capisce quindi come
sia ritornato a galla nelle domande poste
alla Santa Sede come era stato fatto per
altri Stati.
Lei ha affermato che la Santa Sede non
vuole affrontare «un confronto basato
su alcune asserzioni che alle volte le
Ong mettono in forma molto polemica
e che sono poi usate come informazioni
accurate, anche se qualche volta non lo
sono». A che cosa e a chi si riferiva?
Un punto che penso sia da chiarire
riguarda le misure prese dalla Santa Sede
e dalle Chiese locali per punire i crimini di pedofilia e prevenirli. Guardando
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CHIESA VATICANO SOTTO ACCUSA
alla Chiesa, non si può rimanere fossilizzati sul suo passato. L’evoluzione avvenuta con la promulgazione di nuove leggi, di istruzioni ai vescovi del mondo, l’attenzione data alle vittime e simili prese
di posizione mostrano chiaramente che
una nuova cultura di tolleranza zero verso gli abusi sui minorenni è entrata in
vigore.
anche la responsabilità delle sue decisioni. Sull’altro versante, invece, c’è una cultura di estremo individualismo che tende a chiudersi in se stessa e a trasformare
ogni desiderio in diritto umano.
C’è spazio nell’Onu per uno Stato che ha
questa visione dell’uomo?
Quando si parla di questi incontri
con gli esperti delle Nazioni Unite bisogna tenere presente anzitutto che essi
hanno un ruolo di monitoraggio e non di
tribunale. In secondo luogo, che la liber-
La Santa Sede partecipa all’Onu come
ogni altro Stato, con la sua identità e
la buona volontà di cooperare al bene
comune. Non credo che le differenze di
vedute con gruppi di esperti si possano
trasformare in contrasti ideologici in grado di bloccare la cooperazione e le buone
relazioni che sostanzialmente rimangono, come dimostrano la recente visita del
segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon
e di vari direttori di organismi internazionali al Santo Padre.
«TUTTO QUELLO CHE FORNIAMO aiuta A CAPIRE LA NOSTRA
SERIETà NEL CAMPO DEGLI ABUSI. NON SERVE? Si può portare
il cavallo all’abbeveratoio ma non forzarlo a bere»
Non la preoccupa il fatto che le raccomandazioni della Commissione dell’Onu
per i diritti dei minori siano arrivate a
criticare «posizioni dottrinali e morali
della Chiesa cattolica»?
A leggere i rapporti dell’Onu sembra che
non tutti l’abbiano notato.
Direi che sarebbe doveroso per organizzazioni ed esperti prendere atto di
questa realtà.
Sarebbe, però non succede.
La trasparenza adottata dalla Chiesa
nel provvedere statistiche e precisazioni
su leggi, direttive disciplinari, iniziative
di prevenzione, punizioni inflitte e simi-
li decisioni dovrebbe aiutare a capire la
serietà ed efficacia che da anni caratterizzano la sua azione nel campo degli
abusi sessuali sui minorenni. Si può portare il cavallo all’abbeveratoio ma non si
può forzarlo a bere. Mi pare poi scontato che da alcuni la Chiesa sia vista come
una barriera che blocca stili di vita e pratiche sociali considerate più moderne
ed efficaci per esprimere le libertà individuali, magari dimenticando le conseguenze distruttive che ne derivano per il
futuro della famiglia umana. Non vedo
però attacchi concertati dall’Onu alla
Chiesa, anche se tensioni esistono su
alcune questioni etiche importanti e non
negoziabili.
Come l’interruzione di gravidanza, ad
esempio. I relatori della Commissione
hanno affermato che «il divieto di procedere con l’aborto è un atto crudele».
Lei cosa ne pensa?
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È l’aborto ad essere un atto crudele. Lasciare morire dei bambini nati vivi
dopo un tentativo di aborto fallito o
estrarli a pezzi, smembrati, dall’utero
materno mi sembrano forme di tortura
molto dolorose. La difesa del diritto alla
vita è un’applicazione positiva della Convenzione contro la tortura, che intende appunto eliminare qualsiasi forma di
abuso di persone attraverso l’imposizione
di sofferenze.
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Secondo il Wall Street Journal è in atto
un «macroscopico attacco alla libertà
religiosa».
tà di opinione e di credo è un diritto fondamentale e inalienabile. Non è certo
responsabilità degli esperti dell’Onu dire
a uno Stato quello che deve pensare o credere, specialmente se non viene rispettata le legge naturale.
Crede che la Commissione dell’Onu in
questione stia cercando di attaccare in
modo ideologico la Chiesa cattolica?
Presumo che gli esperti della Commissione vogliano procedere in buona
fede secondo le loro convinzioni.
Come si spiegano allora questi contrasti
così aspri?
Alla radice della differenza tra certe
posizioni della cultura pubblica dell’Onu
e di alcuni governi e quelle della cultura
di tradizione cattolica ci sono due antropologie diverse. Due modi diversi, cioè,
di vedere la persona umana. Per la dottrina sociale della Chiesa la persona umana
non è solo aperta agli altri ma si assume
Mi sono riferito a due culture diverse per quanto riguarda la visione dell’uomo. Non è la prima volta nella storia che
i valori del Vangelo e il suo messaggio trovano resistenza e fanno fatica sia ad essere compresi che accettati. I peccati della
comunità cristiana non sono una giustificazione per imporle dottrine sbagliate o
per limitarne la libertà. Si dovranno piuttosto correggere comportamenti erronei
e aderire con maggior coerenza alla verità in cui si crede.
Gli ultimi scontri hanno compromesso il
rapporto tra Onu e Santa Sede?
La barca della Chiesa va avanti nonostante qualche maroso. Guardando al
futuro, ci è richiesto l’impegno di rendere ragione della nostra speranza, delle nostre prese di posizione e delle nostre
convinzioni. Perseguiamo poi il bene
comune nel nostro mondo globalizzato
sostenendo e rendendo fruttuoso per tutta la società il messaggio del Vangelo. n
CHI È CHI
LA SIGNORA Sì TAV
Gemma
Amprino
Il sindaco di Susa che difende la valle
dai teppisti “no tutto” e ha conquistato
(da destra) anche il voto di Chiamparino
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Foto: Ansa
S
e “capitale” di quella che per | DI MARCO MARGRITA
le cronache è diventata la Valle del No alla Tav, domenica
sceglierà il proprio sindaco. Lo scontro è tra l’uscente Gemma Amprino e Sandro Plano, già sindaco della città dal 1999 al
2009 e, soprattutto, da presidente della Comunità Montana, conquistata con l’accordo tra il centrosinistra e le liste della rete No
Tav, intransigente oppositore alla Torino-Lione. Plano, le cui origini democristiane gli sono tornate utili per conquistare la “desistenza” con i grillini all’insegna del frontismo antitreno, cerca una vittoria simboli- «con l’alta velocità avremo una
ca. Sull’altro fronte, Gemma Amprino, che
nuova stazione che permetterà alla
in questi cinque anni ha pagato la scelta
“dialogante” con una lunga serie di lette- città, oggi ramo secco ferroviario,
re minatorie e minacce, chiede una ricon- di collegarsi all’italia e all’europa»
ferma. Curiosamente, Grillo che ha dato di
“peste rossa” al Pd e ha appena ospitato sul tà con il lavoro onesto, la difesa della salu- rizzazione del patrimonio storico comupalco a Torino il leader dei No Tav Alberto te e la tutela dell’ambiente, avendo come nale, registrato nel bilancio di previsione
Perino, appoggia il candidato sindaco Pd. guida del proprio agire il rispetto delle approvato nell’anno 2014, ritengo sia la
Mentre l’ex sindaco di Torino e candida- persone e delle istituzioni, in un clima di miglior prova della nostra virtuosità».
to Pd a governatore della Regione, Sergio rassicurante legalità». Nessun cedimento
Non risparmia una stilettata agli avverChiamparino, confessa che se fosse cittadi- alla strumentalizzazione antagonistica del sari, evidenziando che «non si può parlano di Susa «non avrei dubbi, voterei la lista ruolo di amministratore. «Per raggiungere re di sviluppo e risorse e poi screditare in
che sostiene Gemma Amprino» (Repubbli- l’obiettivo di un nuovo sviluppo in grado ogni modo la città e la Valle. Si parla spesca, 27 marzo). Ma chi è la coraggiosa Sì di garantire i servizi presenti e offrire nuo- so di questa terra, in Italia e in Europa, ma
Tav? Nata nel 1954, sposata, ha due figli. ve possibilità di lavoro, ho ritenuto e riten- non certo per i tesori che custodisce e per
Insegna italiano e storia, e da molto tem- go indispensabile incontrare le persone e le sue eccellenze. È arrivato il momento di
po è impegnata in politica nel solco del partecipare a ogni tavolo istituzionale, dia- voltare pagina, con coraggio e fiducia nel
cattolicesimo popolare. Consigliere comu- logando con tutti gli Enti sovracomunali, futuro, in un clima democratico che non
nale dal 1995 al 1998, rappresentante sin- in particolare con la Regione Piemonte e ammette intimidazioni di nessuna natudacale Snals dal 1998 al 2009, consiglie- con il governo italiano. Credo non si possa ra». È il tempo della concretezza e del diare in Provincia di Torino dal 2004 al 2009, interpretare diversamente il ruolo di rap- logo, secondo Amprino e i suoi sostenitomembro dell’Upi (Unione province italia- presentanti delle istituzioni, innanzitutto ri. «Noi – dice con parole che chi conosce
la Val Susa sa cosa significano – abbiamo
ne), vicepresidente del circolo Mcl “Impe- per rispetto ai miei concittadini».
scelto di rischiare anche la nostra incolugno Sociale Valsusino”. È stata tra le promità pur di proteggere Susa e i suoi abitanmotrici del progetto culturale e turistico Concretezza e dialogo
“Tesori d’Arte e Cultura Alpina”. Per la sua Non c’è solo la Tv. «Sono stati tanti gli ti; abbiamo chiesto il massimo delle garanlista civica ha scelto un nome proiettato al interventi effettuati, in risposta alle esi- zie sui cantieri e ottenuto che a Susa trofuturo: La Nuova Susa. «Affido al termine genze dei cittadini; tra questi mi preme vasse collocazione, senza compromettere
Nuova – spiega a Tempi – il compito di tra- ricordare l’aver applicato nel corso degli nuove aree, la nuova stazione internaziosmettere a tutti l’intenzione di continuare anni una delle tassazioni comunali tra le nale. Una stazione che permetterà alla citad affrontare con coraggio, fiducia, com- più basse della Valle, a fronte del maggior tà, ora ramo secco ferroviario, di ricollegarpetenza e ottimismo le sfide del terzo mil- numero di servizi offerti. L’importo pari a si alla rete italiana ed europea». Insomma,
lennio, sicuri che il futuro premierà colo- 8 milioni 216 mila euro di interventi finan- come si è capito, a Susa non saranno elero che declinano il progresso e la moderni- ziati, relativi a scuole, strade, servizi, valo- zioni come altre.
usa, città di storia bimillenaria
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ESTERI
L’INUTILE GUERRA
Il cuore
dell’Afghanistan
Prima gli inglesi, poi i russi, ora gli americani.
Tutto ciò che gli invasori volevano abolito in
questo paese, si è ogni volta ripristinato. Questo
popolo che ha familiarizzato con la morte, alla
fine vince con la sua infinita, testarda pazienza
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DI DOMENICO QUIRICO
L’invasione, i miliardi
di dollari spesi, gli eserciti
e le nuove tecnologie non
hanno permesso di contenere
né i talebani né la minaccia
che ormai si incarna nella
nuova Al Qaeda, ben più
ambiziosa e mortifera
di quella immaginata
dall’emiro del terrore
ESTERI L’INUTILE GUERRA
Pubblichiamo la prefazione di Domenico Quirico, reporter per il quotidiano La
Stampa, al libro di Farhad Bitani L’ultimo lenzuolo bianco. L’inferno e il cuore dell’Afghanistan.
L’
Afghanistan sfugge alla
presa dell’Occidente.
Sempre. Ci sfinisce con
la sua inesauribile usura. È sfuggito agli inglesi, quando ancora non
meriggiava l’isola-impero, malgrado il
vento della decadenza scuotesse già la
buona vecchia Europa, assopita nell’equilibrio delle impotenze. Quando gli imperi nascevano così, da questa avida conquista delle ‘‘distanze” e del ‘‘denaro’’. È
sfuggito ai russi la cui violenza era legittimata dagli immancabili destini della via
rivoluzionaria. E invece, ancora una volta, quell’armata di stracci li ha costretti
a ritirarsi. E infine, sì, anche gli americani… Tredici anni son passati e si prepara
un’altra ritirata. L’invasione, i miliardi di
dollari spesi, gli eserciti privati e le nuove
tecnologie: polvere. Non hanno permesso
di contenere né i talebani né la minaccia
che ormai si incarna nella nuova Al Qaeda, ben più ambiziosa e mortifera di quella immaginata dall’emiro del terrore.
L’Afghanistan è un’altra volta sul punto di affondare, nonostante gli investimenti, i 45 mila soldati occidentali dispiegati e le migliaia di morti. I talebani sono
tornati in forze. Attendono, pazienti, soltanto il ritiro degli esausti occidentali per
riprendere il potere, con il sostegno di Al
Qaeda e degli estremisti islamici del Pakistan. Il boom di produzione di eroina ha
contribuito a finanziare la loro rivincita: quando il diavolo ben serve ai disegni,
presunti, di Dio.
Tutto ciò che la temporanea sordità e
jattanza degli invasori voleva abolito in
questo paese, in forma irreprensibile, si
va ogni volta ripristinando: la sua religione, le sue antiche usanze, la sua poesia, la
sua fede in se stesso. Non si è rinnegato,
non si è evirato, non si è cosparsa la testa
di cenere, buttandosi sugli stivali degli
occupanti: per leccare la loro ricchezza,
la loro modernità o i loro immancabili destini comunisti. Questo è un popolo esemplare, dal quale tutto l’Occidente, vinto e calpestato dalla propria viltà,
dovrebbe imparare qualcosa. L’Afghanistan non vince i suoi vincitori con il fascino della propria civiltà come faceva la
Grecia antica. Gli inglesi, i russi, gli americani sanno poco o nulla della civilizzazione afghana di cui colgono soltanto gli
aspetti esteriori. Né vince il suo vincito-
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A destra la copertina di Tempi
dedicata a Farhad Bitani
intervistato da Rodolfo Casadei,
e la copertina del suo primo
libro L’ultimo lenzuolo bianco
edito da Guaraldi
re mediante una prepotente forza razziale, genetica, assimilatrice, come i germani con l’impero in decadenza. Vince con
la sua infinita, testarda pazienza. Con i
grandissimi antri vuoti e silenziosi delle sue montagne, dove gli invasori sono
entrati qua e là, sperando di sorprendere
il momento di una ripresa, l’attimo vivente di quel mondo sottinteso. Ma sempre la
loro curiosità è rimasta delusa. Vinti, cacciati, sì, dal silenzio.
Il prezzo della vita
Forse è la identità umana degli afghani che sfugge perennemente alla nostra
comprensione. Ci manca, forse, un libro,
tra i tanti che sono stati scritti, memorialistica bellica, analisi geopolitica, anche
storie di afghani raccontate da loro stessi, certo. Ci manca un onesto libro di
viaggio sugli afghani, nel senso di un
libro di viaggio interiore: limpido, semplice, puro.
Eppure, a una generazione sensibile
all’inutile splendore delle cose, ne segue
un’altra, preoccupata di restituire alla
vita il proprio scopo, all’uomo il senso
di aver creato in un certo modo il proprio destino. Per tornare a questo pae-
se, un libro, in altri termini, che racconti gli afghani nel loro contenuto morale.
Né si potrebbe fare diversamente, ovvero
nel guardare gli uomini e le cose attorno
a sé, oggi che la realtà tende a rattrappirsi in significati e aspetti sempre più diffusamente inquietanti e dolorosi. È per
questo che, quando andrò in Afghanistan per raccontare la ritirata, l’ennesima, dell’Occidente, porterò con me questo libro di Farhad Bitani. Perché raramente ho sentito, in un libro che parla di molte cose, l’odore della guerra:
fumo, sudore, pane stantio e immondizie. È l’odore delle cose che non sono più
e non sono ancora morte.
Ma Farhad è molto giovane: a
quell’età, molte cose non si temono. L’età
e la morte, e tutte le cose che possono
capitare: agguati, battaglie, malattie, tradimenti. La vita, non l’ha ancora afferrata questo giovane afghano: ella ha per lui
un’aria di inafferrabilità. Ma in questo
libro è già stata ridotta in minimi termini. C’è tutto, anche se in linee sottilissime. Racconta cose terribili e piccoli gesti
della vita quotidiana che, in quello spazio, hanno un significato arcano e difficile. Guarda dentro con infinita pazien-
LE MEMORIE DEL SOLDATO
L’ultimo lenzuolo bianco. Il libro
che nessuno voleva pubblicare
Foto: Ansa. Nelle pagine precedenti Corbis
«Sono tante, forse troppe, le cose che ho visto nei miei primi ventisette anni
di vita. Adesso le racconto. Lascio le armi per impugnare la penna. Traccio i fatti
senza addolcirli, senza velarli. Dopo aver vissuto l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza nell’ipocrisia, ho un tremendo bisogno di verità». Inizia così il libro
di Farhad Bitani, L’ultimo lenzuolo bianco. L’inferno e il cuore dell’Afghanistan
(editore Guaraldi). A Bitani, Tempi aveva dedicato la copertina del numero 46
dello scorso anno. Classe 1986, ex capitano dell’esercito afghano, Farhad è nato
e cresciuto immerso nella violenza. Durante la sua infanzia ha vissuto la guerra
da vincitore, perché suo padre era uno dei generali mujaheddin che hanno sconfitto il potere sovietico; più tardi l’ha vissuta da perseguitato, perché suo padre
era nemico dei talebani, che in Afghanistan avevano preso il potere. In seguito
l’ha vissuta da militare, combattendo egli stesso contro i talebani.
Farhad ha conosciuto la ricchezza e poi la povertà, ha vissuto nello sfarzo e poi
nella totale privazione. «Con i talebani ho assistito a stupri, decapitazioni. Con i
mujaheddin famiglie potenti come la mia si sono spartite gli aiuti umanitari che
giungevano da ogni parte del mondo ed erano destinati ai più poveri. Ho lapidato
due donne. Non ho mai provato sensi di colpa. Ma le grida di quella madre e delle
sue figlie obbligate ad assistere alla sua esecuzione non le dimenticherò mai.
Il fondamentalismo islamico ha conquistato metà del mondo. Ora vuole la fine
dell’Occidente. Come i mujaheddin e i talebani, anche io ero un fondamentalista.
Disprezzavo tutti gli infedeli e credevo che sarebbe stato giusto che l’islam trionfasse con le armi in tutto il mondo».
Un giorno di vacanza del 2011, Farhad è rimasto ferito durante un attentato
alla sua vita. Un fatto che lo ha cambiato. Durante la riabilitazione a Dubai ha
iniziato a scrivere le memorie che oggi Guaraldi sta per pubblicare. «Pronunciare
la verità è un piccolo gesto, in fondo. La vera sfida è accettarla. E, ancor di più,
accoglierla come propria storia personale. Perderò delle amicizie, ma non mi
importa. Soltanto la verità può liberare il mio paese».
za. Racconta di qualcuno che è stato ucciso. Le parole non esprimono emozione:
è un fatto. Si nasce, si combatte, gli amici muoiono, i nemici muoiono, si muore noi stessi.
Con gli afghani il problema è mal
impostato. Puzza della febbre e dell’acido della passione. Sono decisi a morire?
Bisognerebbe sondare i cuori. E poi che
cosa vuol dire veramente essere decisi a
morire, quando la morte, come per noi,
è ancora in lontananza, pallida e azzurra
come i loro monti all’orizzonte? Che cosa
importa ciò che abbiamo pensato, noi,
della morte in sua assenza? E invece là,
per loro… La morte alza improvvisamente
le pretese: improvvisamente si accorgono
che le serve anche il loro sangue.
Sono cresciuti quelli di questa generazione all’ombra della guerra contro i
russi e poi c’è stata la guerra tra i signori
della guerra, e i talebani venuti a tagliar
il groviglio inestricabile di sudici interessi; e poi Bin Laden e gli americani. Da
L’Afghanistan è
un’altra volta sul
punto di affondare,
nonostante gli
investimenti,
i 45 mila soldati
e le migliaia di
morti. i talebani
stanno tornando
un pezzo si erano familiarizzati con la
morte e la presenza della morte al loro
fianco li ha trasformati. Cominciavano,
già ragazzi, a conoscere il prezzo di una
vita umana; guardavano già le vite con
impaziente malinconia, come se stessero
dall’altra parte. Loro, fin dal primo giorno, hanno saputo che sarebbero morti da
soli. Sarà questo che rinfacceremo loro
quando ritorneremo un’altra volta laggiù? È proprio questo che si chiama “non
saper più morire”?
Non esiste tregua
Farhad possiede quel genere di dignità
che forse è di tutto il suo popolo, a cui noi
non siamo più abituati; dignità di persone che forse hanno paura anche di un lieve dolore, eppure affrontano una guerra continua che dura, si può dire, da più
di un secolo, che ha soltanto brevissime
pause e sembra non finire mai. Tutti quei
giovani e quei vecchi vestiti come sacerdoti, mobili e leggeri e terribili come fantastici portatori di morte, piegati a una
disciplina superiore, mai vista nel caos e
nel saccheggio delle rivoluzioni che noi
conosciamo, dove fatalmente e inevitabilmente, ai combattenti per le idee, si
affiancano e ribollono i rifiuti. n
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L’INTERVISTA
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VERITÀ E MENZOGNA
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Spinello Aretino,
Storie dalla leggenda
di san Benedetto
(particolare), 1387,
affresco, Firenze,
San Miniato al Monte
|
DI EMANUELE BOFFI
Suonarle
al diavolo di
santa ragione
«Quando dico al Maligno che lui è “nessuno” si
arrabbia moltissimo. Lui vorrebbe annullarsi, ma
non può, perché è creatura. Vorrebbe sparire per
non soffrire, ma non ci riesce. È spaventoso solo
pensarlo». Parla don Sante Babolin, esorcista
«L
santità del- la consolazione, un volume che rifugla ragione» è un’espressione ge ogni tipo di sensazionalismo sull’arche don Sante Babolin ha rica- gomento e cerca di andare alla radice di
vato da L’Action di Maurice Blondel (1893) che cosa siano il male e il bene e di come
e che condensa il suo approccio alla vita essi possano essere intesi (ragione) e scelti (libertà).
e al ministero a cui, da sette
Per questo il libro di Baboanni, lo ha chiamato il vescoIL LIBRO
lin è di estremo interesse. Non
vo di Padova, monsignor Antoè un elenco di aneddoti, quanto
nio Mattiazzo. Babolin è esorun manuale che – partendo dalcista e in questo lasso di tempo
lo specifico caso dell’esperienza
ha seguito oltre 1.300 casi. «Quedell’autore – aiuta a scoprire in
sto è il compito che mi ha affimaniera non superficiale qualdato il vescovo quando avevo già
cosa in più sulla fede cattolica.
settant’anni», racconta a Tempi.
Babolin ha alle spalle una soli«Ho fatto molta fatica ad accetda formazione filosofica. Orditarlo, e l’ho accettato per pura
nario emerito di Filosofia, l’ha
obbedienza».
L’ESORCISMO
insegnata alla Gregoriana per
Le edizioni Messaggero di S. Babolin
oltre trent’anni, prima di dediPadova hanno da poco dato alle Messaggero
carsi a questa nuova «emergenstampe un libro di Babolin inti- Padova
za pastorale» – l’espressione è
tolato L’esorcismo. Ministero del- 18 euro
a vera filosofia è la
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L’INTERVISTA SANTE BABOLIN
sua – che, racconta, ha deciso di limitare alla sua sola diocesi, un po’ perché non
avrebbe altrimenti le forze per un più gravoso impegno, un po’ perché «è necessario che altri vescovi s’accorgano del problema e non lo trascurino. Ma io non
vado in cerca di problemi, accetto solo
quelli che mi arrivano, altrimenti come
posso confidare che il Signore mi aiuti a
risolverli? Io amo la Chiesa come amo il
Signore e per questo continuerò ad obbedire e a riconoscerne l’autorità».
Don Babolin, nel suo testo continuano a
ritornare con insistenza alcune parole:
«ragione», «discernimento», «razionalità», «scelta», «alternativa», «giudizio».
Il suo invito è a usare la ragione per
distinguere il bene dal male, in una società che invece tende a mostrare come
“tutto uguale” e a liquefare i confini tra
ciò che è giusto e ciò che non lo è. Al tentativo del Demonio di creare confusione, lei scrive, occorre difendersi con la
«santità della ragione». Cosa intende?
La ragione è santa quando è ragione.
Pare una tautologia, ma quel che cerco di
fare intendere è che la ragione è tale solo
quando rispetta la realtà, cioè quando
rispetta lo statuto ontologico dell’uomo,
che è una sintesi straordinaria, meravigliosa e incomprensibile di spirito e materia. La ragione è lo strumento in nostro
possesso per discernere, per usare correttamente i sensi. Lo diceva san Tommaso
stesso: «Et sensus ratio quaedam est». La
ragione rispetta la realtà perché deve partire sempre dai dati dell’esperienza, altrimenti diventa un’interpretazione errata,
fuorviante e disincarnata. In una parola:
una ideologia.
Lei scrive che è proprio questa capacità
a difenderci dal Maligno, aiutandoci a
distinguere il bene dal male. Perché solo
così saremo «liberi di amare».
Vede, il Diavolo, così come scritto nei
Vangeli, è costitutivamente menzognero.
È menzognero quando stravolge la realtà,
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ma anche quando dice qualcosa di vero.
Anche quando dice il vero, il Diavolo lo fa
con un secondo fine, secondo una intenzionalità che non è quella del Creatore.
Perché quel che vuole fare il Diavolo è
ridurre la ragione in modo tale che anche
la nostra libertà sia rattrappita. Come
scriveva Blondel, «la libertà per la libertà è un inganno». La vera libertà è quella
di amare, non ne esiste un’altra. La libertà si realizza nell’amore, un amore che
può anche essere sacrificio e che necessariamente diventa un servizio all’altro.
La libertà senza l’amore mangia se stessa.
«“Chi sei tu?”. E lui
mi rispose: “Sono nessuno. Ho
perduto il mio nome”. E scomparve, lasciandomi sbigottito
(…). Parole eclatanti, perché
nella cultura biblica il nome si
identifica con la persona. Era
come se il diavolo mi stesse
dicendo che, dopo essersi
ribellato a Dio, non era più
nessuno, perché, staccandosi
dal suo Creatore, aveva perduto se stesso, la propria identità
e la propria verità»
Oggi però viviamo nella società che
mette al primo posto non la ragione, ma
la spontaneità, il “mi sento”, l’istinto.
Uno può avere anche una reazione
azzeccata, immediata, ma uno non può
vivere con questo stile. In un certo senso, gli animali sono più fortunati di noi,
perché il loro istinto non sbaglia mai. La
loro vita non dipende dalla ragione ma
dall’uso dei sensi e delle pulsioni. Per questo anche l’agnello, sebbene nessuno gli
abbia mai insegnato che il lupo è pericoloso, quando lo vede, fugge. Ma per noi
non è così. Se la nostra sensibilità non
sfocia nella ragione, lascia incompiuta
la sensibilità stessa. Infatti quando dalla
ragione torniamo alla sensibilità, diventiamo creativi e qui nasce l’arte.
Nel suo manuale fa più di un riferimento
al pericolo che venga stravolta l’istituzione familiare.
Sì, per le ragioni che ho appena detto, ma anche per una motivazione che
riguarda la fede. Il Maligno, e questo dagli
esorcismi emerge con evidenza, come
vuole profanare l’eucarestia così vuole
profanare e distruggere il matrimonio.
Il sacramento del matrimonio è il sacramento più vicino all’eucarestia. Non è un
caso che Gesù, dopo il battesimo nel Giordano, partecipi alle nozze di Cana e istituisca il matrimonio, che è il sacramento
che consacra l’origine della vita.
Perché?
Una volta, durante un esorcismo,
chiesi al Maligno perché gli dava tanto fastidio l’amore tra due coniugi che
si erano uniti in chiesa. E lui mi disse:
«Non sopporto che si amino». Il Maligno
può offrire sesso, ma non amore. Quando i coniugi si offrono reciprocamente con il sigillo del matrimonio si danno l’un l’altro anche lo Spirito Santo. E il
Diavolo questo lo sa, ed è per questo che
cerca di distruggerlo. Ma se un rapporto
ri arriva il terzo, il figlio, e così noi nella
famiglia vediamo il riverbero del mistero
del Dio uno e trino. L’uomo non è duplex
ma triplex perché in lui c’è il germe della trinità di Dio.
Lei racconta un episodio riferito da un
altro esorcista, padre Matteo La Grua
che, dopo un esorcismo, trovandosi di
fronte al Diavolo, gli chiese: «“Chi sei
tu?”. E lui mi rispose: “Sono nessuno.
Ho perduto il mio nome”. E scomparve,
lasciandomi sbigottito (…). Parole eclatanti, perché nella cultura biblica il nome
si identifica con la persona, per cui era
come se il diavolo mi stesse dicendo che,
dopo essersi ribellato a Dio, non era più
nessuno, perché, staccandosi dal suo
Creatore, aveva perduto se stesso, la
propria identità e la propria verità».
affettivo comincia avendo come finalità il
matrimonio, questa finalità ritorna come
riflusso su tutto il percorso. Quando i
coniugi si presentano all’altare, dichiarano la loro decisione e il sacerdote la offre
al Signore invocando su di loro lo Spirito Santo. Ma il momento in cui lo Spirito
Santo invocato dalla Chiesa scende e trasforma il loro rapporto è quando avviene la prima unione. Quindi il sacramento nasce nel talamo. Per questo io chiamo
“talamo” il letto coniugale, perché quello
è l’altare di chi crede in Cristo. È l’altare
dove nasce la liturgia nuziale, che durerà
tutta la vita. Giusto ieri ho incontrato due
coniugi che hanno due bambini con problemi legati al mio ministero. Questi due
genitori stanno lottando in modo meraviglioso contro il Maligno e sa cosa li difende e dà loro forza? Il loro amore unito nel
sacramento del matrimonio.
Quindi tornando alla famiglia…
Quindi tornando alla famiglia, in essa
noi vediamo la trinità umana. Dai genito-
Quando, durante gli esorcismi, dico
al Diavolo che lui è «nessuno» si arrabbia
moltissimo. Gli dico: «Tu vorresti annullarti, ma non puoi, perché sei creatura».
La creatura non può crearsi ma nemmeno annullarsi. Lui vorrebbe sparire per
non soffrire, ma non ci riesce. È spaventoso solo pensarlo. In un certo senso, c’è un
continuo tentativo di distruzione e autodistruzione che non si può realizzare. Il
Maligno soffre lui stesso della sua condizione, ma non può liberarsene. Vede, Dio
ha dato davvero la libertà ai puri spiriti e
all’uomo. È un dono serio, che Dio non
toglie più. Ma la libertà significa essere
liberi di dire “sì” e di dire “no”. Se uno si
fissa nel suo “no”, il “no” diventa irreversibile. Per noi umani, il Signore ha più misericordia perché siamo anche carne, ma
per i puri spiriti… esiste una irreversibilità.
Cosa significa? Che è la nostra carne a
salvarci?
È proprio così. Finché siamo in vita
possiamo essere salvati. È la carne che
ci salva. Infatti, Lui si è fatto carne proprio per salvare noi che siamo nella carne. È il grande mistero dell’Incarnazione di Dio. n
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L’ITALIA
CHE LAVORA
Mister
BRUGOLA
Dal 1926 a Lissone sorge il tempio della vite dalla
testa cava a sezione esagonale. Con grande
intuito nonno Egidio l’ha brevettata nel 1945,
il figlio Giannantonio l’ha resa famosa. Oggi
il nipote Jody vuole sbarcare negli Stati Uniti
S
Egidio Brugola,
per tutti Jody,
è vicepresidente
delle Officine Egidio
Brugola di Lissone
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che ogni giorno calcano gli asfalti di tutto il
mondo. Berline o station wagon, fuoriserie o utilitarie, ognuna di queste macchine monta regolarmente un motore, quel sofisticato prodotto dell’ingegneria
meccanica che trasforma il carburante in energia, conferendo il moto a un insieme inanimato di pezzi d’acciaio e plastica, lamiere e bulloni, che di per sé non si muoverebbero. Grazie al prodigio della combustione, invece, i pistoni possono correre nei cilindri, i motori girare e trasmettere il movimento agli alberi motore, che a loro volta fanno marciare le ruote che macineranno chilometri. Eppure tutto ciò non sarebbe possibile se non ci fossero le viti ad assicurare un corretto e sicuro serraggio del propulsore
e delle sue molteplici componenti. Viti critiche, complesse, che servono a tenere insieme testate e cilindri, bielle e bancate. Viti che devono sopportare le più estreme sollecitazioni e che, pertanto, non possono in alcun modo permettersi bassi standard qualitativi, o peggio di essere costruite con materiali scadenti.
Comincia da qui, dalle viti per i motori, la storia più recente delle Officine Egidio
Brugola (Oeb), l’azienda brianzola di via Dante a Lissone, dove si trova dal 1926, anno
della sua fondazione. Lo stabile, che sorge ancora in pieno centro città, nascosto tra
una casa e la chiesa, è il medesimo che aveva già fatto conoscere al mondo la multifunzionale vite a brugola, quella celebre dalla testa cava a sezione esagonale che proprio al suo fondatore deve il nome. Un tipo di vite che Oeb ha brevettato nel 1945,
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ono milioni e milioni le automobili
Le viti prodotte a Lissone
fanno dell’«originalità e della
perfezione il marchio distintivo»
delle Officine Egidio Brugola
guadagnandosi un privilegio concesso a pochi marchi: vedere associato il proprio nome al prodotto. Un
privilegio che è frutto di un’intuizione, più che di
una vera e propria invenzione, perché come confida a Tempi il nipote di Egidio, che del nonno porta
il nome ma che per tutti è semplicemente Jody, «la
vite in sé esisteva già, mio nonno ha pensato di fabbricarla su scala industriale, cosa che allora non faceva nessuno perché il prodotto veniva prevalentemente importato».
«Spirits of excellence»
Da un po’ di anni, però, tutte le produzioni “generaliste”, anche quelle di qualità sopraffina come sono
le viti a brugola, pagano dazio in termini di redditività alla concorrenza di paesi che possono permettersi più bassi costi di produzione. È un processo che è
iniziato almeno trent’anni fa, e che non ha coinvolto solo la bullonistica, eppure non tutti in Italia se ne
sono accorti. Il cavaliere Giannantonio Brugola, invece, figlio di Egidio e padre di Jody, che a lungo è stato a capo dell’azienda e ancora oggi ne è presidente,
è stato abile a leggere i segni dei tempi.
«Mio padre – racconta Jody, oggi vicepresidente –
ha avuto il merito di capire in anticipo da che parte
sarebbe andato il mondo». A partire dagli anni Ottanta e fino al 1994, ha lavorato per ritagliarsi una «nicchia nella nicchia», convertendo la produzione da
fabbricati standard a quella di viti speciali per l’automotive. Un prodotto che fa dell’«originalità e della
perfezione il marchio distintivo». Le viti sono realizzate con acciaio di altissima qualità, tecnologie innovative e seguendo una filosofia perfettamente riassunta nel motto che campeggia ovunque in azienda:
«Spirits of excellence». O, come lo traduce Jody spiegando come si attraggono i clienti, del «difetto zero».
In Brugola, prosegue Jody, «scegliamo solo il meglio e
ogni controllo è sempre ripetuto due volte».
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L’ITALIA CHE LAVORA
Ogni giorno negli
stabilimenti Brugola
vengono realizzati
800 tipi diversi
di viti, per un totale
di 7 milioni di pezzi
Il motore di un’automobile, spiegano in azienda,
impiega circa 70 tipi di viti diverse, sette delle quali
sono definite «critiche», ossia cruciali per il raggiungimento delle prestazioni e la durata. Viti che devono essere in grado di resistere alle sollecitazioni più
estreme, come sono, appunto, quelle che assicurano
il serraggio della testata, della bancata, del volano,
della biella, della puleggia, dell’ingranaggio dell’albero a camme e del suo cappello. Queste sono le viti
che si producono oggi in Oeb, circa 800 tipi diversi
a seconda dei modelli cui sono destinate. Frutto del
paziente lavoro dei 300 tra disegnatori, ingegneri e
operai (15 dei quali assunti l’anno scorso) che ogni
giorno, ventiquattro ore su ventiquattro, le progettano e le realizzano, per una media di 7 milioni di pez-
«La produzione dei quattro stabili di Lissone
e i dipendenti non sono in discussione. nel
michigan vogliamo aprire un’altra officina,
magari assumendo personale americano»
zi al giorno: chilometri di nastro d’acciaio arrotolato
su massicce bobine transitano in appositi macchinari che lo misurano, lo tagliano, gli creano un cappello e ne filettano il profilo, rispondendo alle esigenze
delle diverse case automobilistiche che hanno scelto
l’officina lissonese.
Brugola, che oggi detiene il 22 per cento della
quota di mercato (praticamente un’auto su cinque
è dotata di un motore montato grazie alle sue viti),
è una vera e propria «boutique della vite», o come
ebbe a definirla Giannantonio: «La Ferrari delle viti».
Qui si lavora su commissione, garantendo una personalizzazione del prodotto in base alle esigenze del
cliente. Ogni auto necessita di circa 300 viti, per un
totale di 4 o 5 chilogrammi. Eppure «ogni di vite è
diversa dall’altra», spiega Jody. «Noi realizziamo viti
prevalentemente per il Gruppo Volkswagen, comprese Seat, Audi e Skoda, che rappresenta l’80 per cento del nostro fatturato, e Ford, oggi intorno al 10 per
cento». Ma anche per Bugatti, Lamborghini, Renault
e tanti altri. Fiat no, non più. La casa torinese, infatti,
non è più considerata strategica rispetto agli obiettivi del gruppo. Obiettivi mai banali, considerando
che Brugola è da quattro anni che ha un fatturato in
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crescita costante dell’8 per cento: lo scorso anno si è
attestato a 120 milioni di euro e quest’anno mira a
confermare il trend raggiungendo quota 130 milioni, nonostante la crisi europea del mercato delle
quattro ruote. Un fatturato che, non a caso, è realizzato per il 98 per cento all’estero.
Un’eccellenza riconosciuta
Ed è proprio l’estero a essere nei più immediati piani
di sviluppo di Giannantonio e Jody Brugola, che da
un po’ di tempo a questa parte stanno coltivando il
“sogno americano”. Non si tratta di nuove sedi commerciali oltre a quelle che già ci sono in Germania,
Francia, Spagna, Inghilterra e Nord America. L’intenzione, infatti, è quella di sbarcare nel Michigan con
uno stabilimento gemello delle Officine Egidio Brugola, dopo che Ford ha annunciato di voler riportare
parte della produzione di motori, inizialmente delocalizzata, a Detroit. «Non lasceremo l’Italia», assicura Jody. «La produzione dei quattro stabili di Lissone
e gli investimenti in programma non sono in discussione, così come non lo sono nemmeno i 300 dipendenti che ci lavorano». Perché non è una delocalizzazione quella che hanno in mente in famiglia, ma
un vero e proprio salto oltreoceano che possa aprire nuovi orizzonti all’azienda. «Se il trend di crescita dovesse confermarsi positivo, come dimostra il primo trimestre del 2014 – prosegue Jody –, ci sarà sicuramente la possibilità di poter sviluppare qualcosa di
concreto. Non solo un magazzino, dunque, ma una
produzione vera e propria, magari assumendo anche
personale americano».
Se l’investimento a stelle e strisce di Oeb sarà
possibile, lo sarà anche perché lo Stato del Michigan
ha messo in atto dal 2008 una forte politica di reindustrializzazione, tanto che in due anni sono stati
creati 250 mila posti di lavoro. Il governatore Rick
Snyder, accompagnato da una delegazione, è venuto di persona a visitare l’azienda lissonese, perché
«rappresenta un’eccellenza». Un’eccellenza costruita pazientemente nel corso dei decenni, grazie a un
mix di inventiva e competenze uniche, sulle basi di
un prodotto – come può essere una vite – spesso invisibile, eppure così indispensabile perché il motore
dell’economia possa girare al meglio.
Matteo Rigamonti
GUIDA AL VOTO EUROPEE 2014
CIRCOSCRIZIONE NORD-OCCIDENTALE
STEFANO
MAULLU
«Occorre una uguaglianza sociale che riduca
il più possibile la fascia degli emarginati.
La mia esperienza politica e di manager
mi aiuta a essere più vicino alle persone»
M
ai come ora abbiamo bisogno
della “buona politica”. Parte da questa constatazione
Stefano Maullu, una storia
di vent’anni spesi per la politica, a Milano come in Regione Lombardia; un presente di sfide imprenditoriali dentro a
una delle società d’infrastrutture che
stanno cambiando faccia alla mobilità
lombarda; un’attualità di candidatura
alle elezioni europee del prossimo 25
maggio. «Mai come ora – dice Maullu – in
questo clima di sfiducia e annichilimento, in questa stagione di fatica e di prove c’è bisogno di affermare la persona. Il
valore della persona, delle singole persone, coi loro bisogni più concreti di cui la
politica deve prendersi carico. Vogliamo
che l’Europa torni a rispondere a questo ideale, perché il bene comune torni a
essere un’esperienza».
Perché riaffermare la persona?
«Credo profondamente nell’uguaglianza.
L’uguaglianza che nasce dalla condivi36
| 28 maggio 2014 | Messaggio
sione della stessa umanità, per la quale
si arriva a battersi politicamente perché
sia anche uguaglianza sociale, riducendo il più possibile la fascia di chi è messo al margine. Uguaglianza che è un altro
nome per parlare del modello di welfare, di assistenza a chi ha più bisogno, che
oggi va assolutamente ripensato, innanzitutto per quanto e come riguarda una
fascia sempre più ampia della popolazione, impoverita dalla crisi e resa sempre
più insicura di fronte agli avvenimenti.
Lo stesso ragionamento vale per il lavoro,
per tutte quelle persone con meno di 30
anni – o con più di 45 anni – che non riescono a entrare o rientrare nel mondo del
lavoro: accessibilità è un altro sinonimo
di uguaglianza, e su questo intendo misurarmi, perché tutti abbiano la possibilità
di vivere pienamente la vita».
«Dico questo per la storia che mi porto addosso. Ho iniziato nel 1993 in Consiglio di Zona a Milano, arrivandoci dalla
“sezione”, dove ho ascoltato, visto e imparato cos’è la politica quando si fa prossi-
elettorale – Committente responsabile: Antonio Maullu
ma alla vita dei cittadini, in un quartiere certo non facile come Baggio. Ho proseguito nel Comune di Milano e quindi
in Regione Lombardia, dove in tre legislature, prima consigliere e poi assessore al Commercio e alla Protezione Civile,
ho preso parte a una grande avventura,
politica ma ancor prima umana. L’ho sperimentato in particolare durante il mandato alla guida della Protezione Civile.
Nel corso di questa esperienza ho vissuto
alcuni dei momenti più significativi della
mia vita: in occasione del terremoto che
colpì l’Abruzzo, dove ho avuto l’opportunità di coordinare l’attività di migliaia di volontari intervenuti per assistere
gli sfollati. L’esperienza in Regione, pur
con qualche ombra, è stata entusiasmante: ho conosciuto da vicino l’operosità di
una terra che a buon diritto si può considerare motore dell’economia nazionale. Una terra lavorata da migliaia di artigiani, agricoltori, imprenditori, professionisti, volontari, persone che operano
nel campo dei servizi come della cultu-
ra: persone appassionate alla propria opera, capaci di accogliere e condividere ciò
che hanno con chi viene da altri paesi – e
da figlio d’immigrati so bene cosa significa. Da assessore al Commercio ho insistito personalmente affinché le eccellenze
lombarde venissero valorizzate, promuovendole sul mercato internazionale con
«LA POLITICA COME
SCORCIATOIA SOCIALE
HA ALLONTANATO LA
GENTE. il voto
delle Europee ridà
lo spazio per
guardarsi in faccia»
un impegno che va assolutamente portato avanti: la crisi si combatte ritrovando
la propria identità».
Parla il politico o il manager?
«Sommare all’esperienza politica quella gestionale maturata negli ultimi due
anni alla guida di TEEM (Tangenziale Est
Esterna Milano) mi ha dato una prospettiva in più. Con TEEM sono riuscito a realizzare un’opera che considero strategica
per la mobilità e per la viabilità del territorio lombardo, un sistema infrastruttu-
rale che vale 2,2 miliardi di euro, capace
di generare ricchezza e migliaia di posti
di lavoro. Ricordo, a riguardo, solo due
cifre: i 1.500 posti di lavoro generati nei
primi due anni, a cui ne vanno sommati
altri 3.500 che rimarranno anche quando
l’opera sarà terminata; e i 700 milioni di
euro di finanziamento ottenuti dalla Banca Europea degli Investimenti, con i quali a dicembre scorso siamo riusciti a concludere la copertura finanziaria dell’opera. Le infrastrutture sono il vero volano
per la nostra economia, possono generare ricchezza, occupazione e investimenti stranieri: realizzano la modernizzazione del paese, liberando quella risorsa
immensa che è il nostro patrimonio turistico e culturale».
Il ruolo che dobbiamo avere in Europa
«L’Europa è dimensione intimamente
connaturata alla Lombardia e al quadrante Nord-Ovest del paese, protagonista
dell’economia nazionale. Sarà così anche
nel 2014. Secondo le previsioni di Unioncamere il maggiore impulso per la crescita economica dell’Italia che si attesterà
più o meno sullo 0,7 per cento proverrà
dall’aumento della domanda estera (+3,7
per cento), dove Lombardia e Piemonte
giocano un ruolo da protagonisti. Nello
stesso tempo viviamo in un contesto in
cui la maggior parte delle decisioni che
incidono sulla nostra vita quotidiana ven-
gono prese a Bruxelles. Lavoro e potere
d’acquisto delle famiglie ne sono la dimostrazione evidente. Da queste considerazioni nasce il desiderio di mettermi “al
servizio” della Lombardia e dell’Italia».
«La disaffezione dei cittadini nei confronti dell’Unione Europea (e della politica più in generale) non può essere “cavalcata” per aumentare la confusione in
funzione di risultati elettorali di questa o quella forza politica, che promettono tutto e niente. Personalmente la considero un potente richiamo per mettere
ancora più in gioco la mia responsabilità,
per rinnovare l’impegno, la passione e la
tenacia dedicate al bene di tutti».
«Chi vuole affrontare l’avventura che
è la politica deve guardare dentro di sè,
con lealtà innanzitutto verso se stesso per
essere poi leale anche con le persone che
va a rappresentare. In questi anni, invece,
la politica è stata intesa come “scorciatoia
sociale”: per questo è arrivata ad allontanare così tanto la gente da essa. Il voto delle Europee, attraverso le preferenze, ridà
lo spazio per guardarsi in faccia, e ristabilire quel rapporto essenziale che sta alla
base della politica. La politica è una missione. Il bisogno di cambiamento, così presente a tutti i livelli della società, che attraversa tanto fortemente anche Forza Italia
e l’area del centrodestra, non può essere
alibi per fare i voltagabbana. Occorre ritrovare lo spazio della persona».
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STILI DI VITA
CINEMA
LE “MANOVRE” EUROPEE E DEL QUIRINALE
Coincidenze che fanno pensare
PRESA D’ARIA
di Paolo Togni
E
siste un vero e proprio “diritto internazionale”?
Credo di no, e che sarebbe più
corretto parlare di “consuetudini” o “convenzioni” internazionali, data la non
esistenza di sanzioni giuridiche (cfr. Bobbio); seguiterò comunque a dire “diritto” internazionale, per buona educazione e per non turbare nessuno. Diritto, consuetudini o convenzioni, è comunque certo che un pilastro del sistema è il principio
per il quale è fatto divieto a chiunque di ingerirsi nelle vicende interne di un altro
Stato; la violazione di questo principio sarà da ritenersi tanto più grave quanto più
importanti siano gli affari nei quali ci si ingerisce. La convergenza di un soggetto
dell’ordinamento con un soggetto esterno al fine di organizzarne l’ingerenza costituisce poi una gravissima forma di favoreggiamento; nell’ordinamento interno tale attività va sanzionata penalmente. La nostra Costituzione attribuisce poteri e prerogative ben definite al presidente della Repubblica; tra le quali non è compresa la
gestione delle premesse politiche alle attività istituzionali. Voglio esser più chiaro:
il presidente compie una grave scorrettezza – al limite dell’attentato alla Costituzione – se si ingerisce nell’organizzazione di futuri assetti politici o governi, o più in
generale nella discussione e definizione di questioni politiche o amministrative che
non gli siano espressamente affidate dalla Costituzione; Costituzione formale, che è
l’unica esistente.
I fatti: molte testimonianFU RICHIESTO DA FUNZIONARI
ze
raccolte
da Alan Friedman
EUROPEI DI AFFOSSARE
in un suo libro (irretrattabili,
FINANZIARIAMENTE IL GOVERNO
perché registrate) ci dicono che
BERLUSCONI. LE BANCHE TEDESCHE nell’estate del 2011, ben prima
MISERO SUL MERCATO NOSTRI
delle dimissioni di Berlusconi,
TITOLI. E SAPETE COS’È ACCADUTO Napolitano discutesse proposte
per il nuovo governo e, addirittura, le commissionasse. Come testimonia in un suo libro l’allora ministro del Tesoro americano Timothy Gheitner, al summit di Cannes fu richiesto da “funzionari” europei (la parola usata vale tanto per dipendenti che per i vertici) di contribuire
ad affossare finanziariamente il governo Berlusconi. Il ministro decise di riferirne
ad Obama, il quale respinse la richiesta. Per il momento la cosa finì lì, ma le banche
tedesche gettarono sul mercato una immensa quantità di titoli italiani; seguì l’aumento dello spread, le dimissioni di Berlusconi, e ciò che tutti sapete.
La coincidenza temporale e di contenuti tra le “manovre” europee e del Quirinale fa però sospettare come non improbabile una qualche complicità. Tutta da provare, naturalmente. Perciò, sarebbe indispensabile una commissione parlamentare
d’inchiesta. Perché solo così si possono diradare i sospetti. O, al contrario, rafforzarli (nel qual caso naturalmente potrebbe scattare la procedura costituzionale della
messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica). [email protected]
HUMUS IN FABULA
NASCE BICITALIA
La mappa delle piste
ciclabili nazionali
Per tutti gli amanti delle due
ruote, ma anche per i neofiti della bicicletta, nasce Bicitalia, la
prima grande mappa online della rete di ciclovie nazionali. Il
progetto www.bicitalia.org, messo a punto da Fiab – Federazione italiana amici della bicicletta
– in risposta al bando del ministero dell’Ambiente, ha traccia-
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| 28 maggio 2014 |
|
to 18 mila chilometri di strade
ciclabili, di cui 10 mila già mappati, 18 itinerari e 50 “ciclovie
di qualità”, ovvero percorsi prevalentemente su pista ciclabile
che, per caratteristiche del paesaggio, sicurezza e servizi offerti,
sono considerati al di sopra della media nazionale. Al progetto
hanno aderito dieci Regioni italiane più la provincia autonoma
di Trento, collaborando con Fiab
in un piano di lavoro che ha visto
confluire i singoli programmi locali per lo sviluppo della mobilità sostenibile e del cicloturismo,
in un più ampio network di carattere sovraregionale. L’obiet-
Devil’s Knot - Fino
a prova contraria,
di Atom Egoyan,
Una verità
orrenda e crudele
Un detective indaga su un
terribile triplice omicidio.
Fiaba cupa e dolorosissima,
senza speranza, trasposizione cinematografica di un
inquietante caso irrisolto
di cronaca nera. La prima
mezz’ora è fortissima: la
tranquilla provincia americana, le famiglie e i ragazzini che giocano a tirare sassi
nel fiume vicino e impennano per le strade deserte
con le loro bici. Poi la svolta
crudele: i bambini che spariscono, l’incubo dell’orco,
le ricerche spasmodiche.
HOME VIDEO
Still Life,
di Uberto Pasolini
Da non perdere
Un impiegato comunale indaga
sul passato di chi muore in solitudine.
Film splendido, uno dei migliori
della stagione. Un impiegato comunale passa il suo tempo a ricostruire la vita di chi è morto
da solo e senza amici, sicuro che
anche nella vita del peggior individuo si possa nascondere qualcosa di buono e di bello che vale
la pena conoscere e far conoscere. Fiaba semplice e commovente con uno dei finali più belli degli ultimi anni: le azioni buone
riecheggiano nell’eternità.
tivo è quelllo di riuscire a creare
un’infrastruttura fondamentale
per la mobilità ciclistica, sviluppando allo stesso tempo i presupposti per la moltiplicazione di
ciclovie su scala locale, in un circolo virtuoso che muove verso
il futuro. Ma non solo. Attraverso il portale è possibile visionare anche servizi collaterali, come
la proposta Albergabici.it, un innovativo motore di ricerca in tre
lingue concepito per il mondo
del cicloturismo che permette di
scegliere tra oltre 2 mila strutture ricettive italiane che offrono
un’accoglienza dedicata ai turisti
sulle due ruote.
TURISMO GREEN
La sostenibilità degli
alberghi italiani
Ridurre consumi idrici ed energetici del sistema ricettivo italiano, difendendo e supportando gli
elementi costitutivi della qualità
di vita nelle destinazioni turistiche: l’identità locale, l’economia,
i servizi, la cultura, le tradizioni e
l’ambiente, tutelando la diversità
biologica, culturale e paesistica.
Questi gli obiettivi chiave su cui
si impegneranno Asshotel-Confesercenti e Legambiente, partner
di un accordo tutto dedicato alla
“sostenibilità del turismo”.
PREMIO ANDERSEN
E la verità, orrenda e crudele, magistralmente rappresentata da un regista
che sembra aver ritrovato
la vena migliore. Già, perché Egoyan, dopo una serie
di grandi e grandissimi film,
sempre sospesi tra fiaba e
racconto crudele (è suo lo
splendido Il dolce domani)
si era perso per strada con
film mediocri o mediocris-
simi (tipo il pessimo Chloe).
Qui non mancano i passi falsi, dalla prevedibilità della vicenda a un cast non sempre
in palla, ma almeno si respira
aria di cinema classico, quello che fa leva sul mondo interiore dei personaggi. visti da Simone Fortunato
SPORTELLO INPS
In collaborazione con
Tutto quello che
bisogna sapere
Tutti i pagamenti effettuati per
importi parziali o per un mino-
Il regista
Atom Egoyan
MAMMA OCA
di Annalena Valenti
S
abato 24 maggio vengono premia-
ti a Genova i vincitori del Premio
Andersen per l’editoria dell’infanzia. Il che mi offre lo spunto per rispondere a una domanda che mi fanno
spesso: «Come fai a scegliere i libri per
tuo figlio?». Uno dei criteri che adotto è
vagliare i premi assegnati da esperti del
settore ai libri per bambini, pur non sapendo a priori, ovvero finché non l’ho
effettivamente letto, se quel libro mi
piacerà e soprattutto se è buono, bello e
vero per un bambino. Uno dei libri che
ormai appartengono ai miei imprescindibili, A caccia dell’orso, l’ho scoperto
al Premio Andersen. Dopo aver guardato i premi assegnati e aver letto qualche
recensione, questi sono i libri che sicuramente andrò a leggere ed eventualmente comprare. Troverò qualche perla? Miglior libro 0/6 anni: B. Chaud, Una
canzone da orsi (F. Cosimo Panini). Mi
attira molto perché oltre alla storia di
un papà orso che deve cercare il figlio
che si è perso, sono disegnati tanti altri
personaggi, da osservare e trovare, (che
è sempre stato uno dei nostri giochi preferiti), che raccontano storie parallele
attraverso le delicate immagini. Miglior
libro 9/12 anni: L. Ballerini, La Signorina Euforbia (San Paolo). Voglio vedere
qual è il segreto della signorina Euforbia, maestra pasticciera, che fa solo dolci su misura, e scoprire gli ingredienti
del pasticcino “potrebbe-venirmi-unabuona-idea” e anche “devo-trovare-presto-una-alternativa”.
mammaoca.com
DOMANDA & RISPOSTA
Requisiti per la pensione
Mio figlio sta riscattando i 5 anni
di università e ha pagato i primi 6
mesi tramite bollettino. Se mio figlio smette di pagare il riscatto,
questi 6 mesi che fine fanno?
Antonio T.
Come scegliere
libri per bambini
invia il tuo quesito a
[email protected]
re numero di rate entro i termini assegnati verranno convalidati determinando in proporzione
l’accredito del corrispondente
periodo assicurativo. Pertanto se
il figlio ha pagato solo i primi 6
mesi gli importi versati saranno
validamente imputati al periodo
che viene coperto in proporzione
all’intero periodo richiesto a riscatto. Non è prevista la restituzione di quanto versato.
Sono nato nell’agosto 1954. Sono dirigente presso un’azienda del
settore commercio. Il 31 dicembre 2013 ho maturato 40 anni di
contributi, comprensivi del riscat-
to di laurea e servizio militare.
Quando potrò andare in pensione
secondo la nuova normativa?
Maurizio D.
Stando a quanto dichiarato, dovrebbe raggiungere i requisiti richiesti (42 anni e 44 settimane)
nel novembre 2016, con decorrenza della pensione il primo dicembre 2016.
Sono un militare che, avendo
maturato 40 anni di contributi nel corso del 2013, quest’anno
andrà in pensione anticipata con
41 anni e 5 mesi di contribuzione. Vorrei sapere con quali mo-
dalità mi verrà corrisposto il Tfs.
Oronzo
Se i 40 anni di contribuzione non sono stati maturati entro il 31/12/2011 il Tfs non potrà essere corrisposto prima di
24 mesi dalla data di risoluzione del rapporto di lavoro. Solo nell’ipotesi in cui ha raggiunto
entro il 31 dicembre 2011 l’aliquota massima della retribuzione pensionabile con i 53 anni e 3
mesi di età, da compiere prima
del 31 dicembre 2015 e, in ogni
caso, prima della cessazione del
rapporto di lavoro, il termine potrebbe essere di 6 mesi.
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39
Tempi
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AT&T
Aggiorna
Beppe Grillo e Casaleggio?
Meluzzi: «Il M5S è una setta
messianica e millenarista»
di Francesco Amicone
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Bergomi e Spagna ’82: «La forza
era il gruppo. Come nella
Nazionale di quest’anno»
di Luigi Amicone
di Luigi Amicone
Nazionale di quest’anno»
era il gruppo. Come nella
Bergomi e Spagna ’82: «La forza
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per la famiglia»
le magnifiche giornate milanesi
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di Carlo Candiani
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«Una follia anche economica»
Bologna, referundum anti-paritarie.
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del nuovo compagno di cella
Simone: Il segreto (rivoluzionario)
TUTTI GLI ARTICOLI
di Oscar Giannino
di religione
spread, ormai è una guerra
Giannino: Altro che debiti e
PER PIACERE
LA CARRETTIERA – FRANCA E LILLO, MILANO
Piatti gustosi e dirompenti
a un prezzo stracciatissimo
IN BOCCA ALL’ESPERTO
AMICI MIEI
APPUNTAMENTI
Educare alla libertà
L’incontro della
Fondazione Tempi
Venerdì 23 maggio alle ore
21.15 presso il Cinema Teatro
Don Bosco di Padova (via San
Camillo De Lellis 4) si svolgerà un convegno dal titolo “Educare alla libertà: Famiglia e nuovi ‘diritti’: di fronte ai problemi
della vita occorre approfondire la natura del soggetto che li
affronta”. All’incontro, organizzato dalla Fondazione Tempi,
interverranno: Giancarlo Cesana, presidente Fondazione Irccs
Ca’ Granda Ospedale Maggiore Milano; Mauro Ronco, professore ordinario di diritto penale
all’Università degli Studi di Padova; Pietro Piccinini, giornalista del settimanale Tempi. Modera: Enrico Fiorini. Parlare oggi
di libertà di educazione sembra
quasi voler riproporre un tema
e un interesse propri di quella
strana gente che sono i cattolici. Affar loro e affare dei loro interessi e delle loro scuole. Ma la
questione educativa è in realtà
la questione del nostro tempo.
L’educazione non può che essere introduzione alla realtà. Ossia a qualcosa di dato, che sta
prima di noi e che è vero proprio perché dato. L’uomo libero
è colui che segue ciò che è vero.
Ma di questo più nessuno parla. Ogni uomo si costruisce la
propria verità, ognuno è libero
di pensare quel che vuole e ogni
pensiero equivale all’altro e ogni
pensiero annulla l’altro. Così, alla fine, in questo gigantesco calderone che chiamiamo vita più
nessuno è realmente libero, imprigionato nella torre dei propri
pensieri, incapace di relazioni
che non siano quelle dettate dal
rendiconto, dall’opportunismo,
dalla violenza e, ultimamente dal potere. Anche il nostro. E
se qualcosa rimane nel popolo
come tradizione, come memoria del cammino alla verità degli
di Tommaso Farina
A
ci hanno rimproverato di occuparci
spesso di ristoranti troppo costosi. Ebbene: vogliamo vedere se leggendoci oggi saranno contenti. Una trattoria pura,
senza il sussiego di certe osterie moderne di ricerca. Uno di quei
posti che a Roma chiamerebbero “bujaccari”: locali senza pretese,
dove magari talvolta la pasta scuoce (non durante la nostra visita
in incognito) e talaltra scappa la mano in cucina, ma dove si mangia con discreta soddisfazione spendendo poco.
Siamo a Milano, ai bordi del quartiere Bovisa. Qui, da più di
trent’anni, c’è Franca e Lillo. Oddio, da circa un annetto la ragione sociale è cambiata, si chiama La Carrettiera. Ma si tratta di
un pro-forma, tant’è che l’insegna esterna è sempre quella. E il
passaggio di mano tra genitori e figli in realtà è più formale che
sostanziale, giacché in sala, accanto a Maurizio, il babbo Lillo,
agrigentino e storico fondatore, è sempre presente alle bandiere,
mentre mamma Franca è ai fornelli. Interno di tenerissima bruttezza, televisore acceso, decorazioni improbabili. Qui conta la sostanza: una cucina casalinga di ispirazione meridionale. Economicissima: a cena per quattro portate si spendono circa 28 euro. E
a pranzo si mangia sempre alla carta, le stesse cose, che Lillo provvede a deprezzare: ergo, con 20 euro uscirete sazi.
A tutti arrivano anzitutto assaggini d’antipasto: olive, frittata
di patate alle cipolle, crostino con rucola e funghi, calamari spillo. Poi, un primo piatto. Qui sono famosi gli spaghetti alla carrettiera, che non c’entrano nulla con l’omonima ricetta romana: il
condimento è una sapida via di mezzo tra pesto genovese e aglioolio-peperoncino. Gustosamente dirompenti. Altrimenti, pasta
alla palermitana, o alla Norma, o pasta e fagioli.
Di secondo, la carne alla calabrese, col sugo rosso. La ruspante, riuscita cervella fritta, da libro dei ricordi. Le quaglie al forno.
La frittura mista di pesce. Di contorno, vere patate fritte, non surgelate. Di dolce, cannoli e bignè, poi un caffè freddo al bicchiere.
Divertentissimo.
volte i nostri lettori
Per informazioni
La Carrettiera – Franca e Lillo
Via Imbriani, 30 – Milano
Tel. 0239310316
Chiuso la domenica
uomini che ci hanno preceduto,
ecco entrare in azione il potere
per togliere le ultime certezze,
sradicare i costumi, soffocare
il diritto vivente della tradizione. È quello che sta accadendo
sia in Europa sia nei governi nazionali con direttive liberticide
che vogliono minare alla radice
l’istituto della famiglia, del matrimonio, della realtà maschile e femminile. E Dio? Di Dio poi
neanche a parlarne. Dio se c’è,
non c’entra. Libertà di educazione per educare alla libertà. Ecco cosa ci interessa ed ecco su
cosa vogliamo confrontarci. Sul
serio. E con chiunque.
MOSTRA-MERCATO
Donne artigiane
all’opera con le mani
Da venerdì 23 a domenica 25
maggio il Museo Diocesano di
Milano organizza “Chiostro in
fiera”, la decima edizione della
mostra-mercato di alto artigianato. Nello splendido chiostro
del Museo, 80 donne artigiane mettono in mostra il “saper fare con le mani”: prodotti di artigianato – dalle scarpe
ai gioielli, dalle cravatte alle
borse – fiori e piante aromatiche, specialità gastronomiche del territorio e laboratori
per apprendere i segreti del lavoro creativo. E per i più piccoli: atelier didattici, spettacoli
e una caccia al tesoro nel Parco delle Basiliche. Fin dalla prima edizione, la rassegna Chiostro in Fiera, che è cresciuta
negli anni per numero di espositori e successo di pubblico, si
è tinta di rosa: le donne milanesi hanno raccolto la sfida e
hanno scelto di mettere in mostra il loro lavoro, nato dal “saper fare con le mani”. Accanto
alla vendita dei prodotti, Chiostro in Fiera è diventata una
vera occasione di incontro, di
scambio di esperienze e consigli utili sull’arte e l’alto artigianato, grazie al contributo di
donne artigiane che delle loro
passioni hanno fatto una vera e
propria professione. Nel Chiostro sarà possibile passare dei
piacevoli momenti di relax, dalla colazione all’aperitivo con un
brunch di primavera per la domenica, ma anche scoprire tutte le curiosità e i segreti sull’arte delle due ruote. L’ingresso a
Chiostro in Fiera prevede un biglietto di 5 euro (gratuito per
i ragazzi fino ai 18 anni), che
consentirà anche la visita alle mostre temporanee in corso
e alle collezioni permanenti del
Museo Diocesano.
|
| 28 maggio 2014 |
41
motorpedia
WWW.RED-LIVE.IT
A CURA DI
UNA RUOTA IN MENO
Piaggio MP3 500
Iniziatore e leader del segmento dei tre ruote con
avantreno basculante, il nuovo MP3 500 monta per la prima volta l’Abs su un veicolo di questo
segmento. Nel pacchetto sicurezza, opzionale ma
consigliabile, è compreso l’antipattinamento Asr,
in un quadro di miglioramento sostanziale delle finiture e del design, che può contare sulla zona posteriore completamente inedita. Comodo il vano
sottosella di forma regolare, in grado di contenere
due caschi integrali. Prezzi a partire da 8.990 euro;
[em]
due le versioni, Sport e Business.
42
| 28 maggio 2014 |
|
DOTAZIONI PIù RICCHE E NUOVE MOTORIZZAZIONI
PIù IN LINEA CON LE ESIGENZE DEL MOMENTO
Nuova Mégane
successo garantito
I
Iniziatore del segmento
a tre ruote, MP3 500
della Piaggio torna
con nuove chicche: Abs,
antipattinamento Asr.
A partire da 8.990
euro in due versioni:
Sport e Business
l 2014 non porta stravolgimenti nella gamma Mégane,
ma la media della Losanga si presenta più agguerrita
che mai, andando a pescare nel patrimonio recente
delle Renault di successo (Clio e Captur) un po’ di look e
un po’ di tecnologia. Il risultato di questi interventi porta
in dote una nuova faccia, con il grande logo Renault bene
in vista, una dotazione più ricca e l’arrivo di nuove motorizzazioni, più in linea con le esigenze del momento. Anche la Mégane tiene dunque conto del downsizing, che
prevede una riduzione della cilindrata dei propulsori senza rinunciare a prestazioni e piacere di guida. Una scelta che, in abbinamento al sistema Start&Stop, promette
una netta riduzione di consumi ed emissioni, tanto da far
registrare, per il 1.5 dCi, il motore più sobrio in gamma,
percorrenze dichiarate di oltre 28 km/l a fronte di 90 g/
km di Co2. E se il 1.5 dCi – ora disponibile anche con cambio EDC a doppia frizione – è una
I PREZZI PARTONO DA certezza per Renault, le novità ar19.300 EURO PER rivano dai motori a benzina, che
LA MÉGANE WAVE vedono l’ingresso in gamma del
BERLINA FINO AI nuovo 1.2 TCe turbo da 130 caval23.350 DELLA 1.6 li, disponibile anch’esso con camDCI 130 CAVALLI. bio a doppia frizione EDC.
LA SPORTOUR
Nell’abitacolo la novità è data
RICHIEDE UN ESBORSO dal sistema R-Link, con schermo
DI ALTRI 800 EURO touchscreen da 7 pollici portato al
debutto da Clio e Captur e ora approdato sulla nuova Mégane. Parlando di ausili alla guida
sono nuovi anche il sistema Visio System e il Parking Camera, la telecamera posteriore che aiuta nel parcheggio.
Come in passato, la gamma è declinata su tre livelli d’allestimento: Wave, GT Style e, al top, Energy GT Line, caratterizzato da ricercatezze quali assetto sportivo con sospensioni curate da Renault Sport, minore altezza da terra,
interni parzialmente in pelle e cerchi in lega da 17 pollici.
I prezzi partono dai 19.300 euro per la Mégane Wave berlina per arrivare ai 23.350 euro della 1.6 dCi 130
cavalli. La SporTour richiede un esborso supplementare di 800 euro. Sportività e bassi consumi: è lo slogan
che Renault ha scelto per la Mégane. Va detto che anche
nell’edizione 2014 la media Renault tiene fede allo slogan, non solo grazie al carattere dei motori ma anche
in virtù dell’assetto, che soprattutto nelle versioni GT Line è piuttosto sostenuto e regala un piacere di guida dal
gusto sportivo, più apprezzabile su berlina e coupé che
sulla SporTour: quest’ultima rende al massimo con l’assetto standard, più in linea con l’utilizzo tipico di una
wagon. Del resto avendo a disposizione entrambe le soluzioni, non c’è che da scegliere.
Stefano Cordara
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| 28 maggio 2014 |
43
ACTA
MARTYRUM
LA SHARIA IN SUDAN
Meriam, 40 minuti
per decidere di morire
in nome di Cristo
|
DI LEONE GROTTI
L
a sua sorte era già stata decisa l’11
maggio da una corte di Khartoum,
capitale del Sudan: condannata a
morte tramite impiccagione per apostasia e a 100 frustate per adulterio. Poi il giudice Abbas Mohammed Al Khalifa ha sospeso la sentenza e ha proposto a Meriam
Yahia Ibrahim una sorta di scambio: «Convertiti all’islam e lasceremo cadere le accuse, facendo finta che non sia successo
niente». Le ha dato 72 ore di tempo per
pensarci, convinto che la giovane cristiana avrebbe sicuramente colto l’occasione
al volo e abiurato. Invece lo scorso 15 maggio, dopo aver intrattenuto un colloquio
di 40 minuti con il giudice, Meriam gli ha
risposto, quasi scusandosi: «Sono cristiana, non ho mai commesso apostasia e resterò cristiana». Al Khalifa ha incassato il
colpo e davanti alla corte ha pronunciato una sentenza sprezzante, chiamando
la donna con il suo nome islamico: «Adraf
Al Hadi Mohammed Abdullah, ti abbiamo concesso tre giorni per abiurare ma
hai deciso di non riconvertirti all’islam. Ti
condanno alla morte per impiccagione».
Le parole del magistrato hanno suscitato indignazione nelle redazioni di tutti i
quotidiani del mondo, ma a essere davvero scandalosa è la professione di fede fatta da Meriam, che ai suoi 27 anni, al suo
futuro, a suo marito, al figlio di un anno
e mezzo e al piccolo che porta in grembo
da otto mesi ha preferito Gesù e la verità: «Sono cristiana, non ho mai commesso
apostasia e resterò cristiana». Oggi i me-
44
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dia scrivono che il suo avvocato ricorrerà
in appello, che riuscirà a salvarla, che i governi di Stati Uniti e Gran Bretagna, dopo
aver ignorato per mesi il suo caso, interverranno e faranno pressione sul governo
sudanese per ribaltare la sentenza, che la
donna non è sola grazie a una campagna
internazionale e all’hashtag #Meriamdevevivere. Ma tutto questo la giovane donna non lo sapeva e non poteva prevederlo
quando si è trovata per 40 minuti davanti al giudice e davanti a una scelta tremenda: rinnegare la propria fede o morire di
una morte orrenda.
Le cento frustate
Il caso della dottoressa, cristiana ortodossa
di 27 anni, è cominciato lo scorso febbraio, quando il fratello di Meriam insieme
agli zii paterni l’ha denunciata alle autorità per presunta apostasia. Meriam è stata cresciuta dalla madre etiope ortodossa
nella fede cristiana, visto che il padre sudanese di religione islamica se n’è andato
di casa quando lei aveva solo sei anni. Anche sul certificato di matrimonio che lega
la donna al marito del Sud Sudan Daniel
Wani, in possesso di doppio passaporto
statunitense, c’è scritto che è cristiana. Ma
suo padre era un musulmano, ha ricordato il fratello alle autorità, e quindi anche
lei non può che essere musulmana, visto
che per la legge islamica la religione si tramanda di diritto dalla linea paterna.
Su questi temi la sharia parla chiaro e
in Sudan è fonte della legislazione e si ap-
plica anche ai non musulmani: nel paese
è prevista la pena di morte per chi si converte dall’islam a un’altra religione (ma
non viceversa) ed è vietato alle donne musulmane sposare uomini di altre religioni (ma non viceversa). È per questo che la
donna, oltre a essere stata condannata per
essersi convertita al cristianesimo, dovrà
ricevere anche 100 frustate per adulterio:
la legge non riconosce un matrimonio tra
una musulmana e un cristiano, dunque
quello tra Meriam e Daniel Wani è nullo.
Ma c’è di più: se il matrimonio non vale
più, i due figli concepiti dalla coppia sono
illegittimi e dopo la morte della madre saranno tolti al marito e affidati allo Stato.
La prima vittima della legge
È questo l’incubo che Meriam vive dal 17
febbraio, giorno in cui le autorità l’hanno prelevata da casa e rinchiusa in prigione insieme al figlio Martin, di appena 20
mesi. A nulla sono valse le testimonianze di chi ha confermato in tribunale che
la donna non si è mai convertita al cri-
Meriam Yahia
Ibrahim insieme
al marito in sedia
a rotelle Daniel
Wani. Dal 17
febbraio Meriam
vive in carcere con
il figlioletto Martin
di 20 mesi e a inizio
giugno dovrebbe
partorire il
secondo figlio
«sono cristiana e resterò cristiana». non ha voluto
convertirsi e per questo dovrà ricevere 100 frustate e
morire per impiccagione. la sua testimonianza ha dato
coraggio al LEGALE che rischia la vita per difenderla
stianesimo dall’islam ma è sempre stata
cristiana. I giudici le hanno respinte come ininfluenti e hanno emesso una sentenza storica per il Sudan: dal 1956 infatti, anno dell’indipendenza, nessuno è
mai stato condannato a morte per apostasia. Dal 1983, quando è stata introdotta la sharia, solo Mahmoud Muhammad
Taha è stato condannato per eresia all’interno di un processo politico. «Ma quel caso era diverso», dichiara l’avvocato della
donna Muhanned Mustafa. «Lui dichiarava di essere Dio, il caso di Meriam è unico». È Meriam la prima vittima delle parole del presidente Omar al Bashir, salito
al potere con un colpo di Stato nel 1989,
che promise nel 2011, in seguito alla dichiarazione di indipendenza del Sud Sudan, di rendere il paese ancora più islami-
co e la sharia ancora più influente. Resta
il fatto che la Costituzione del paese garantisce formalmente la libertà religiosa
e passate sentenze hanno sospeso l’esecuzione capitale di una madre gravida fino
alla nascita del bambino e alla conclusione di un periodo di allattamento della durata di due anni circa. Meriam potrebbe
partorire l’1 giugno e un secondo avvocato della donna, Mohamed Jar Elnabi, è fiducioso: «Faremo ricorso in ogni sede fino
alla Corte costituzionale. Meriam è molto
ferma e forte. Sa che riuscirà a uscirne un
giorno». Le pressioni da parte dei giudici e
della società musulmana però sono difficili da sopportare. Il giorno della sentenza, un gruppo di islamici si sono riuniti
fuori dal tribunale: alla notizia della condanna hanno esultato gridando «Allahu
Akbar», Dio è grande. Elnabi, da parte sua,
è stato minacciato di morte ma ha scelto
di non tirarsi indietro, come se la testimonianza di Meriam avesse infuso coraggio
anche a lui: «Sono molto spaventato», ha
ammesso. «Vivo nella paura, appena sento una porta che si apre o un suono strano
in mezzo alla strada mi volto. Ma non potrei mai lasciare questo caso: devo aiutare
chiunque sia nel bisogno, anche se questo
può costarmi la vita».
«Non mi resta che pregare»
Anche il marito di Meriam, «costretto sulla sedia a rotelle», è spaventato. Pensa al
figlio che si ammala di continuo a causa
delle cimici che infestano la piccola cella
nella quale è rinchiuso da febbraio. Pensa a se stesso, sapendo di «dipendere da
mia moglie per tanti aspetti della mia vita quotidiana». Ma soprattutto pensa alla sorte di Meriam, ancora incerta, e non
può fare altro che seguire il suo esempio:
«Sono così frustrato. Non so che cosa fare.
Non mi resta che pregare».
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LETTERE
AL DIRETTORE
Papa Francesco non
smette di suscitare
consenso e curiosità
C
aro direttore, grazie. La tua prefazione è bellissima,
come bellissima è La ballata del carcere di Reading,
è certamente una delle opere che ben descrive la vita dei reclusi e la loro disperazione. Mi confonde e mi emoziona che tu abbia pensato alla magnifica opera di Oscar
Wilde per parlare del mio umile e scarso libro. Il grande poeta per molti anni dopo la galera e persino anche dopo la
morte dovette portare il marchio infamante che gli impose
la giustizia del puritanesimo vittoriano. Prego Dio di avere
migliore sorte, ci spero ma non ci credo. Dice la ballata: «E il lancinante rimorso e i sudori di sangue, nessuno li
conosce al pari di me: perché colui che
vive più di una vita deve morire anche più di una morte». Ed io vorrei aggiungere che nella ballata del carcere
di Rebibbia, per dirla con Gabriel García Márquez, ho «imparato che un uomo ha il diritto di guardare dall’alto in
basso un altro uomo solo per aiutarlo
a rimettersi in piedi». Il carcere è simile al Fenrir, che è un feroce ed enorme
lupo partorito dal mito scandinavo, famoso perché ostile e nemico del popolo e al popolo. È creatura cattiva e
portatore di disgrazie. Sempre tenuto incatenato, si serve però delle sue
stesse catene per palesare la sua forza e la sua ferocia. Quando si tenta di
imbrigliarlo, lui, Fenrir il carcere, azzanna i suoi padroni. Rabbioso, l’orrida bestia, ulula e ringhia, e con la bava
che esce dalla sua bocca si alimenta
un lago, il lago “Attesa”; e in attesa la
bestia e il suo padrone tengono sempre le loro vittime. I detenuti, come
il Fenrir, sono carichi di rabbia, ma al
contrario del Fenrir sono anche carichi di speranza, non coltivano astio ma
cercano amore. Si sentono emarginati dalla società e sentono che crolla loro addosso il mondo, ma lottano per
liberarsi da ogni catena, lottano per
vivere, sanno di avere solo una vita.
La battaglia è difficile, faticosa, cruda, ma non hanno alternativa, devono
combatterla. Lottare per noi detenuti vuol dire scegliere, difendere la di-
gnità, alimentare la speranza, non consentire a Fenrir di estinguerci. Quando
un giorno si riusciranno a spezzare le
catene, tutte la catene, anche quelle
di Fenrir si scioglieranno e Fenrir senza le sue catene morirà. Allora, solo allora finirà il carcere luogo per emarginare i cattivi, lontani dai buoni, e potrà
rinascere come un luogo dove vive,
piange, soffre, prega e spera un pezzo della nostra società. Allora sarà più
libero il popolo e libero e certamente
di Fred Perri
UN AFFAIRE DEGNO DI NOI
C
il calcio è maestro
di vita, illumina le nostre esistenze e ci offre la
chiave per comprendere chi siamo, da dove veniamo, ma soprattutto perché non contiamo un cazzo. La Merkel, l’euro, il pareggio (assurdo) di bilancio,
il Bunga Bunga non sono spiegazioni, sono conseguenze. Il problema siamo noi, gente da piccolo ca-
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ome sempre, compagni e amici,
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botaggio. Vi faccio un esempio. Si è appena concluso
l’affaire Conte. All’italiana: andiamo avanti così, poi
vediamo. Conte era convinto che il ciclo fosse chiuso,
la Giuve che Conte avesse (a sufficienza) spappolato i
maroni. Però ci sono i tifosi, tutti con l’allenatore, però le alternative non ci convincono del tutto, però se
ci teniamo Conte e le cose vanno bene siamo da No-
Foto: Ansa
La Giuve e Conte. O di come l’Italia
(non) risolve i suoi dilemmi
[email protected]
più buono lo Stato. Abbiamo il dovere di sperarci e di attendercelo, perché
come ci ha detto Ratzinger, «l’uomo
vive finché vive la speranza, la sua statura si definisce da cosa attende». Totò Cuffaro detenuto
in Rebibbia, Roma
Spero di essermi almeno conquistato l’anticipazione su Tempi della tua
amica e intelligente ballata.
2
Voglio ringraziarvi per avermi risposto
in modo completo ed esauriente nella rubrica del vostro sito “Fisco semplice”. Tanti complimenti a Massimiliano Casto per il modo di scrivere bello
e semplice. Questa, in materia di tasse,
è una grande dote di natura. Vincenzo via internet
La gratitudine per le piccole cose,
questo è buon segno e buon sangue.
2
Solo per unirmi al coro d’indignazione contro l’infelice scelta della giunta friulana guidata da Debora Serracchiani del Pd, che ha acquistato 108
sedie al costo di quasi mille euro al
pezzo per la protezione civile regionale dalla società americana Herman
Miller. In tempi di rigore e tentativi di
rilancio dell’economia locale del legno,
è un fatto vergognoso e inaccettabile.
Loris Missigoi Udine
Buon voto per le europee, almeno.
2
Ho letto lo splendido discorso di papa Francesco alla Conferenza episco-
IL MESE DEL ROSARIO
Felice come un ragazzo
innamorato della Madonna
CARTOLINA DAL PARADISO
di Pippo Corigliano
I
eri, secondo una consuetudine che ho appreso da San Josemaría, sono stato a recitare
il Rosario con uno studente nel parco delle catacombe di San Callisto, di fronte
alla chiesa del Quo Vadis a Roma. I rumori della città scompaiono entrando nel
parco; il viale è circondato da prati con i colori della primavera, ed è accompagnato per un tratto da cipressi, mentre più in là costeggia un uliveto che riluce al sole.
Maggio è il momento opportuno per pregare la Madonna e affidarle i prossimi tempi. Abbiamo riso pensando a come dovrebbe essere la sua futura moglie. Nell’ordine:
allegra, cattolica, affettuosa. Lo studente, un tipo brillante reduce da un corso di ritiro (esercizi spirituali), sta vivendo, a suo dire, il periodo più felice della vita. È incredibile quanto fa bene ritirarsi alcuni giorni in preghiera. Diventa evidente che la creatura è fatta per il creatore, mentre tutto intorno sembra spingerci al contrario: allo
stordimento e all’autosufficienza. Il futuro sarà di chi sa amare, di chi farà nascere figli dal proprio amore. Chi si identifica con Cristo sembra sempre in minoranza ma
quella minoranza è il lievito, come diceva Gesù. Il ragazzo confidava che era innamorato della Madonna e trovava bellissima una sua statua situata nel parco. A dir la verità a me sembrava una statua un po’ ordinaria ma mi ha fatto piacere che gli sembrasse bellissima. Aveva ragione, abbiamo una Madre che è bellissima sempre. Maggio è
il suo mese: tornerò in quel luogo a dire il Rosario.
pale italiana, contrassegnato da un
pressante invito all’unità e ad andare fiduciosamente in mezzo al mondo. Un richiamo a fondare tutto sulla fede, sulla comunione ecclesiale, ad
amare «con generosa e totale dedizione persone e comunità». A dire il vero,
più che un discorso sembra una lettera aperta tesa a contrastare, come ho
letto su Tempi, ogni forma di vita cristiana vissuta nel “tiepidume”. Paola Tabini San Vito (Bl)
Vero. Questo Papa ha un bel piglio
e una lingua speciale. Si percepisce
questa sua volontà di rinnovamento: vuole religiosi e religiose «testimoni gioiosi» e, dice, «non si può
narrare Gesù in maniera lagnosa».
Invita i pastori ad avere «fiducia
nel popolo santo» ma anche a non
attardarsi «su una pastorale della
conservazione». Francesco riscuote
un consenso unanime. Il che suscita
impressione e crescente curiosità.
Foto: Ansa
SPORT ÜBER ALLES
bel e se vanno male che volete da noi, ve l’abbiamo
confermato, però io non mi dimetto, al massimo risolviamo consensualmente e transiamo perché io voglio gli sghei che mi spettano fino al 2015 o parte di
essi, però se risolvo dove vado che le mattonelle sono
tutte occupate? Insomma è come quando c’è da avviare un’attività, da costruire una ferrovia, da inventare un’app che renda il servizio di pubblico trasporto
più efficiente e veloce. Pigrizia, burocrazia, rendite di
posizione, assenza di coraggio, lobby contrarie, paura del nuovo, elegia del posto fisso. Tutto questo ci paralizza, ci blocca, ci inchioda a una mediocrità di cui
siamo noi i primi responsabili.
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taz&bao
Giovani
senza testa
«Io ricordo ai giovani colleghi del 5 Stelle –
perché sono quasi tutti giovani – che
la storia ci insegna una cosa: che chi porta
la ghigliottina in piazza, prima o poi la testa
sotto la ghigliottina ce la mette, (…)
che troveremo uno che è sempre più
Robespierre di te e distruggerai le istituzioni,
le libertà personali, i presidi storici della
democrazia liberale».
Maurizio Bianconi deputato di Forza Italia,
dichiarazione di voto contraria alla carcerazione preventiva
del collega del Pd Francantonio Genovese,
invocata dalla procura di Messina e infine approvata
dalla Camera per volontà del suo stesso partito
e del M5S, 15 maggio 2014 (nella foto, l’onorevole grillino
Manlio Di Stefano in aula nel giorno del voto)
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| Foto: Ansa
MISCHIA
ORDINATA
LA STRAGE DEI MINATORI E IL NAUFRAGIO DEI MIGRANTI
I soli occhi capaci di sondare
la terra, il mare e le loro tragedie
di Annalisa Teggi
«E quindi uscimmo a riveder le stelle» (Inferno,
canto XXXIV)
D
opo essere sceso nella voragine infernale, Dante riemerge e ritrova la vista delle stelle. Mi chiedo che impressione abbiano avuto i minatori turchi usciti
superstiti dall’inferno sotterraneo a Soma;
non saranno stati pensieri così poetici, ma
lamenti semicoscienti e scioccati. Si dice che
alcuni di quelli rimasti intrappolati e vivi là
sotto abbiano tentato il suicidio.
Fra i trecento morti c’è anche Kemal Yildiz, 15 anni; l’hanno chiamato il Rosso Malpelo di Soma, perché, come
quel celebre personaggio, an- IN DUE GIORNI la cronaca ci ha ricordato che
che lui ha conosciuto fin da nessun luogo è senza pericolo, e in ogni elemento
piccolo il duro mestiere di chi la mano dell’uomo perpetra abusi e violenze
si spacca la schiena sottoterra. E proprio a Verga mi ero messa a pensare ne. Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delanch’io, constatando che nel giro di due gior- le acque mare. E Dio vide che era cosa buona».
ni due diverse stragi parevano uscite proprio Per quanto siano cose buone e separate, il madalla voce del grande narratore siciliano. Ma- re e la terra sono anche abissi di dolore, s’anre e terra, naufragi e crolli sotterranei: pri- nega e si soffoca. A distanza di un giorno la
ma abbiamo visto l’ennesimo dramma dei cronaca ci ha ricordato che nella grande vamigranti che sono morti al largo della Sici- rietà di paesaggi acquei e terrestri nessun luolia, poi dalla Turchia è arrivata la notizia del go è senza pericolo, e in ogni elemento la macrollo in miniera. Centinaia di vittime in en- no dell’uomo perpetra abusi e violenze.
Questo pensavo, quando sul treno ho
trambi i casi, condizioni di vita estreme che
l’occhio di Verga abbracciò semplicemen- buttato l’occhio sul quotidiano che leggeva
te guardando la vita nella sua terra natia: il il tizio accanto a me. Il titolo della pagina in
naufragio della Provvidenza, la barca dei Ma- cui si era soffermato recitava: “Niente soldi,
lavoglia, e la storia del piccolo Rosso Malpe- sponsor e genitori dipingono la scuola”. Se
lo. Per mare e per terra, lontano da qui, ma nessuno si adopera per sistemare una scuola,
anche a un palmo di naso, tragedie impre- ecco che i genitori si armano di pennelli e atvedibili e tragedie prevedibili accadono. «Vo- trezzi. E grazie a questo il mio pensiero è anlete metterci un occhio anche voi, a cotesta dato oltre. Già, perché fu così fin dal princilente?», chiedeva Verga alla nobildonna in- pio, da quando spiccò, tra i tanti animali del
curiosita di conoscere la vita dei pescatori creato, uno che disegnava sulle pareti delle
e contadini di Sicilia. E lei, schifata, non re- grotte. Fu l’unico capace di alzare gli occhi
sistette in mezzo a quella gente neppure 48 stupiti alle stelle e rimase l’unico in grado
ore. C’era un universo intero tra quelle zolle di disegnare, raccontare, calcolare… insomma in grado di sondare con coscienza e pare onde, ma troppo duro da guardare.
Lo scrittore, invece, guarda, perché sotto tecipazione (non solo con abusi e violenze)
sotto lui è una specie di creatore ed è attrat- il putiferio che c’è in ogni dove, per mare e
to dai grandi elementi del creato: fuoco, aria, per terra. Resta l’unico capace di incalzare i
acqua e terra. Sappiamo che nel terzo giorno suoi simili a essere vigili dicendo: vuoi butDio separò l’acqua dalla terra: «E così avven- tarci un occhio anche tu?
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