Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR settimanale diretto da luigi amicone anno 20 | numero 21 | 28 maggio 2014 | 2,00 EDITORIALE elezioni europee Lo sprint di Grillo all’ombra di una foglia nascosta nell’inchiesta Expo L o scorso 17 marzo il popolarissimo sito Dagospia rilancia un articolo del Corriere della Sera. «A Milano c’è un’inchiesta su appalti e opere pubbliche definita “delicatissima” così riservata e dagli esiti potenzialmente esplosivi… Gli investigatori sono abbottonatissimi e alla sola parola “Expo 2015” si chiudono ancora più a riccio». Dal 17 marzo se c’è una “cupola” sull’Expo niente di più facile che la cupola abbia mangiato la foglia. Tant’è, annota lo stesso Corriere nei giorni seguenti la retata, l’articolo Corriere-Dagospia viene sospettato di fuga di notizie e motiva presso il gip il rapido ok agli arresti. Ora, a proposito di foglia, dove nascondereste una foglia se non in una foresta? E una mazzetta? Dove la servireste se non in luogo foresto, lontano da occhi indiscreti, invece che proprio qui, sotto la sede milanese di Tempi, nel centralissimo corso Sempione, dove il costruttore Maltauro e il suo amichetto Cattozzo sono stati filmati a scambiar chiacchiere e bustarelle in una bella giornata di sole, il 17 aprile, quando era un mese che circolava la notizia dell’inchiesta “esplosiva” e “delicatissima”? Arrestati l’8 maggio Maltauro e il resto della presunta cupola, capita che il 16 maggio un consigliere regionale grillino entri nel carcere di Opera e riceva da Chi semina vento raccoglie Maltauro una confessione che viene tempesta. Perciò non conviene riversata su Repubblica: «È tutto ve- darsi al vento anche se il ro, l’ho detto ai magistrati e ho mol- vento fischia forte e rischia te altre cose da dire, questo sistema è di abbattere anche renzi marcio con vent’anni di Berlusconi, ti costringe a tirare fuori i soldi per lavorare, serve un ricambio…». E via di dichiarazioni su un’inchiesta che il visitatore di un detenuto per quella inchiesta non potrebbe raccogliere né, tantomeno, un giornale pubblicare. Perché? Perché la legge lo vieta. Dunque, perché tutto questo casino succede giusto in vista delle elezioni e vien utile giusto per un «andiamo avanti a colpi di magistratura!» urlato da Grillo? È difficile non cogliere nella tempistica di questo tornado giudiziario che poteva benissimo scavallare il 25 maggio (se non ci fosse stato da oscurare anche il caso, questo sì, serio, dell’esposto Robledo) una ennesima spallata alla politica. E la palla alzata all’ospite di Bruno Vespa, campione del «succeda quel che succeda, non mi interessa». Il quale non spiega e non offre altre risposte alle fatiche italiane che non siano il «tutti a casa», «ci prenderemo il Parlamento», «li processeremo tutti, imprenditori, politici, giornalisti» e «in rete». Insomma la Grande Gogna. Perciò è lui il beneficato, Beppe Grillo. Un vero finto tonto e scondinzolante davanti ai pm, che è solo l’ultimo di una lunga serie di forcaioli imbenzinati dall’ossessione del “repulisti”. E qual è stato il lascito di costoro in questi vent’anni? Macerie e nulla. Corruzione? La prima corruzione è usare la corruzione per scolpirsi il proprio monumento equestre. Poiché per il resto, state sicuri, se vince lui non farà che ingarbugliare la crisi italiana. O non li avete visti all’opera questi di M5S in Parlamento? O non avete letto i loro propositi di rifondare il mondo con i “clic” e sfamare la gente con la “decrescita felice”? Chi predica vento raccoglie tempesta. Perciò non conviene darsi al vento, anche se il vento fischia forte e, ahinoi, rischia di abbattere anche Matteo Renzi. FOGLIETTO Si chiama cocaina. Ci vuole una bella faccia tosta per derubricare il massacro di Santhià a inspiegabile “raptus” I l nonno, la nonna e la zia. Uccisi con martelli e coltelli da un ragazzo di 24 anni di Santhià, che poi è stato arrestato e ha confessato. Senza un perché, scrivono i giornali. Qualcuno ipotizza che il perché siano i 300 euro che si è messo in tasca: e per così poco massacri tre parenti stretti? Altri parla di raptus: e da quando la cocaina, che Lorenzo Manavella aveva assunto poco prima della strage, si chiama raptus? Torna alla memoria Ruggero Jucker, 36 anni nel 2002, lavoratore esemplare, incensurato e innamorato della fidanzata Alenya, giovane modella; il 20 luglio 2002 rientra nell’abitazione comune, a Milano, e la uccide con un coltello: al magistrato dirà di non saperne spiegare la ragione e di non ricordare neanche i contorni del fatto; prima di tornare a casa, aveva fumato uno spinello con elevata percentuale di principio attivo. Allora come oggi i protagonisti di gesti così efferati riacquistano consapevolezza a mano a mano che termina l’effetto della droga. È ovvio che ciascun omicidio del genere non può collegarsi in modo diretto alla legislazione sugli stupefacenti, e che è arbitrario far discendere un episodio dal maggiore o minore rigore in materia; ma nessuno può escludere che una più estesa possibilità di approvvigionarsi di droga moltiplichi fatti come questi. La legge appena approvata, nel disinteresse generale e senza opposizione nel merito, facilita i traffici, depenalizza di fatto lo spaccio di strada, ripristina l’antiscientifica distinzione fra droghe “pesanti” e “leggere”. Poiché i giornali hanno ignorato la gravità delle nuove norme, evitino almeno di evocare il raptus quando una mattanza come quella di Santhià scrive col sangue che la droga distrugge sé e altri. Chiamino le cose col loro nome e ne chiedano conto a chi ha posto le premesse perché tragedie come queste si moltiplichino. Alfredo Mantovano | | 28 maggio 2014 | 3 SOMMARIO 06 PRIMALINEA DEPRESSIONE EUROPEA. DI CHI È LA COLPA? | CASADEI NUMERO anno 20 | numero 21 | 28 maggio 2014 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr settimanale diretto da luigi amicone 21 La Merkel ha imposto all’Italia austerità e governi “tecnici”. Ma se il comico sfonda alle europee ecco come finirà la nostra corsa 16 CHIESA VATICANO SOTTO ACCUSA | GROTTI LA SETTIMANA Foglietto Alfredo Mantovano...........3 Presa d’aria Paolo Togni..................................... 38 Mamma Oca Annalena Valenti............... 39 Acta Martyrum Leone Grotti................................ 44 Sport über alles Fred Perri.......................................... 46 22 CHI È CHI IL SINDACO DI DESTRA CHE PIACE A CHIAMPARINO Cartolina dal Paradiso Pippo Corigliano.................. 47 Mischia ordinata Annalisa Teggi........................50 RUBRICHE 24 ESTERI LA VITA DI FARHAD | QUIRICO 28 L’INTERVISTA L’ESORCISTA DON BABOLIN | BOFFI L’Italia che lavora............... 32 Stili di vita........................................... 38 Per Piacere.........................................41 Motorpedia........................................42 Lettere al direttore.......... 46 Taz&Bao................................................48 Foto: Rodolfo Casarei; Ansa; Tips ; Corbis Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 20 – N. 21 dal 22 al 28 maggio 2014 DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei (inviato speciale), Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Pietro Piccinini IN COPERTINA: Foto Corbis PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò FOTOLITO E STAMPA: Elcograf Via Mondadori 15 – 37131 Verona DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel. 02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà: Editoriale Tempi Duri Srl tel. 02/3192371, fax 02/31923799 GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Corso Sempione 4 • 20154 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 tel. 02/31923730, fax 02/34538074 [email protected] Abbonamento annuale cartaceo + digitale 60 euro. 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I disoccupati in Grecia ammontano al 27 per cento circa della forza lavoro COPERTINA | DA ATENE RODOLFO CASADEI Foto: Rodolfo Casadei Effetto austerity Povertà in aumento, natalità ai minimi storici. Escalation di depressioni e suicidi. In Grecia si è passati dal lassismo con i suoi sprechi alla più assurda rigidità imposta dalla troika. Mancano i soldi per tutto, persino per le medicine. Ma non manca la solidarietà. Viaggio ad Atene | | 28 maggio 2014 | 7 8 | 28 maggio 2014 | | diabete e colesterolo sono diventati insostenibili. Non basta essere anziani, indigenti o afflitti da malattie croniche: in Grecia al giorno d’oggi chiunque vada in farmacia deve pagare come minimo un ticket pari all’85 per cento del costo commerciale del medicinale. Chi proprio non ce la fa a pagare dovrebbe rivolgersi agli ospedali, ai quali è affidata la gestione di un fondo del valore di 12,8 milioni di euro per questi casi, ma il servizio apposito presso i nosocomi non funziona: gli ospedali stessi scarseggiano di risorse, e fanno pagare cure e interventi a quanti non sono coperti da assicurazioni sanitarie. Che sono un numero sempre più grande: crescono con l’aumentare della disoccupazione, dal momento che è il lavoro dipendente a garantire l’automatica copertura di un’assicurazione sanitaria. E i disoccupati in Grecia – la Gre- cia che secondo l’Unione Europea è sulla via della ripresa – ammontano al 27 per cento circa della forza lavoro. I greci privi di copertura sanitaria oscillerebbero, secondo le dichiarazioni del ministro della Sanità Adonis Georgiadis, fra 1 milione e 900 mila e 2 milioni e mezzo. Medecins du Monde dice che sono 3 milioni. L’assistenza gratuita In ogni caso sono tanti, troppi, ed è per loro che stanno nascendo iniziative come questa farmacia della solidarietà a Patisia, quartiere metà benestante e metà depresso del centro di Atene, dove si alternano 25 volontari che fanno i turni dentro a un piccolo edificio di un solo piano annesso al Centro culturale del principale plesso scolastico del quartiere. Eleni Sotiropoulou è una di loro. «L’idea è nata discutendo fra vicini, ognuno rac- Foto: Rodolfo Casadei S metterci una confezione di kleenex a strappo. «Dopo che hanno preso su le medicine dal tavolo, metà di quelli che vengono qui fanno così», confida sottovoce Eleni. A pochi metri da noi un uomo di 88 anni parla e piange, piange e parla. Si chiama Costas ed è un greco di Albania. Si è trasferito in Grecia nel 1990, dopo la caduta del comunismo. Per i suoi 44 anni di lavoro come meccanico lo Stato albanese gli versa una pensione di appena 110 euro. Quello greco fece lui e sua moglie titolari di due pensioni da 345 euro ciascuna. Tre anni fa quella della moglie è stata soppressa, quindici mesi fa è toccato a Costas. «Sospesa. Quando la riavrò? Non si sa!». Improvvisamente i 70 euro al mese di ticket farmaceutici per curare ul banco dovrebbero COPERTINA PRIMALINEA Nella farmacia della solidarietà di Patisia, quartiere metà benestante e metà depresso del centro di Atene, si alternano 25 volontari. I muri esterni dell’edificio sono coperti di scritte non proprio amichevoli del partito veterocomunista, degli anarchici e di svastiche Foto: Rodolfo Casadei «il nostro scopo non è raccogliere medicine per fare la carità; stiamo cercando di promuovere l’assistenza medica come diritto sociale irrinunciabile per tutti» contava storie di persone che non riuscivano a comprare i medicinali di cui avevano bisogno. I nostri figli frequentano o hanno frequentato questa scuola, così abbiamo chiesto all’Associazione dei genitori degli studenti di intercedere per noi per avere a disposizione questo spazio. I vetri delle finestre e la tinteggiatura ce li siamo pagati noi. Forniamo medicine gratuitamente al 100 per cento a 500 utenti, che vengono qui con una prescrizione medica e che hanno dimostrato di non avere redditi». Alla farmacia, che funziona dal gennaio 2013, da qualche tempo è annesso un servizio di visite pediatriche, svolte due volte alla settimana da 3 medici volontari. Di ambulatori-farmacie come questa ne esistono, secondo l’economista Petros Linardos Rulmond, una trentina in tutta la Grecia. Due appartengono alla Chiesa ortodos- sa, tutti gli altri sono di iniziativa popolare, anche se in genere è rintracciabile una denominazione politica. Secondo lo statuto informale della farmacia «chiunque può partecipare al nostro gruppo, indipendentemente dalle sue convinzioni ideologiche o politiche, purché rispetti pienamente i princìpi e la struttura del suo funzionamento». Ma l’orientamento è chiaro quando si legge che «il nostro scopo non è raccogliere medicine per fare la carità; stiamo cercando di promuovere l’assistenza medica come diritto sociale irrinunciabile per tutti». «La finalità della farmacia non è soltanto di distribuire medicine, ma di sensibilizzare gli utenti perché prendano coscienza dei loro diritti e protestino». Effettivamente la farmacia solidale di Patisia è vicina all’ambiente di Syriza, il partito della sinistra radicale pronosticato vincitore delle prossime elezioni parlamentari europee, come ci spiega Tina Tsitsovits del comitato centrale. I muri esterni dell’edificio sono coperti di scritte non proprio amichevoli del Kke (il partito veterocomunista) e degli anarchici, e di svastiche. Peggio della Romania I farmaci arrivano in molti modi: privati che li comprano e li offrono, o che “adottano” un malato, farmacisti che sensibilizzano i clienti a fare una donazione o a riportare medicine non consumate, dipendenti delle aziende farmaceutiche che organizzano acquisti a prezzi scontati, familiari che portano i medicinali avanzati di un parente defunto… «Ci sono stati 2 miliardi e mezzo di spesa farmaceutica in meno fra il 2010 e oggi», spiega la dottoressa Korina Kassiou. «Prima si facevano troppe prescrizioni, adesso ci sono regole troppo rigide e restrittive. Si è passati da un estremo all’altro». Il passaggio dal lassismo con i suoi sprechi alla rigidità più assurda e con- troproducente è denunciata in tutti gli ambiti dove si ha a che fare con la spesa pubblica e le esigenze dell’austerità dei memorandum della troika. Nicolas Demertzis è il direttore dell’Ekke, l’ufficiale Centro nazionale per la ricerca sociale, ma è costretto a occuparsi più di questioni amministrative che di indagini scientifiche. «La riduzione della spesa pubblica è stata fatta con i tagli orizzontali, senza nessuna attenzione alle esigenze di efficienza degli enti. Si sono pensionati ricercatori bravissimi che ci sarebbero stati utili e tenuti altri solo perché costavano meno. Adesso è stata introdotta una legge in base alla quale ogni ente pubblico deve valutare il personale secondo una griglia che ha tre categorie: eccellente, buono e scarso. Il bello è che le proporzioni di personale assegnato alle tre categorie è già fissato! Io devo classificare il 25 per cento del mio personale come eccellente, il 60 come di medio livello e il 15 per cento come scarso! La terza categoria si vedrà ridurre lo stipendio, e più avanti, chissà: saranno quelli licenziabili o collocabili in mobilità». Morale della storia: «In passato la valutazione del personale nella pubblica amministrazione era una farsa, tutti venivano promossi anche senza meritarlo. Adesso si passa alla farsa opposta, stabilendo per legge che alcuni sono incapaci». All’Ekke ci lavora Dionyssis Balourdos, il principale esperto greco sui temi della povertà. Ci accoglie sventolando la statistica vidimata da Eurostat che certifica che la Grecia è il paese dell’Unione Europea con la più alta percentuale di popolazione a rischio di povertà: 23,1 per cento, cioè più della Romania, della Bulgaria e della Croazia. Nel 2009, alla vigilia dell’esplosione della crisi, si registrava il 19,7 per cento. «Siamo tornati ai livelli del 1994», dice. «Fra gli uomini disoccupati il rischio di povertà sta addirittura al 52,1 per cento. Quali effetti sta provo| | 28 maggio 2014 | 9 Il blocco dei riscaldamenti Gli stili di vita sono cambiati. «Anche chi ha un lavoro consuma molto meno di prima. Ci si prepara il caffè in ufficio e si porta il pasto da casa anziché andare al bar in pausa pranzo. Si usa meno l’auto e di più i mezzi pubblici, preferibilmente senza pagare il biglietto: i controllori sono pochi, e poi c’è l’abitudine di passarsi i biglietti che hanno ancora un residuo di tempo utilizzabile. Ottocentomila veicoli sono stati disimmatricolati per non pagare più il bollo. Ma il fenomeno che ha avuto più conseguenze è stato il blocco dei riscaldamenti centrali nei condomini: molti hanno smesso di pagare la loro parte di gasolio, e hanno cominciato a scaldarsi bruciando legname di cattiva qualità, per esempio mobili vecchi. Quest’inverno l’aria ad Atene era irrespirabile. Il governo ha dovuto fare spot televisivi per 10 | 28 maggio 2014 | | spiegare che bruciare i mobili avvelena l’aria perché libera solventi». «La crisi ha fatto emergere isole di solidarietà, ma ha soprattutto prodotto impoverimento antropologico e atomizzazione sociale», afferma Panagiotis Grigoriou, antropologo che fa il pendolare fra Atene e Parigi. «I greci amano molto le relazioni sociali, ma uno degli effetti della crisi è stato quello di indebolire queste relazioni fino ad annullarle. Se si guarda attorno, vedrà che anche qui nel centro di Atene la gente per strada e nei locali è costituita quasi solamente di giovani: gli adulti e gli anziani non si fanno più vedere, se ne stanno chiusi in casa». Effettivamente, insieme al metrò semivuoto alle 8 di mattina, la latitanza delle classi di età sopra i 40 anni per le vie centrali di Atene è uno dei segnali anomali che la capitale emette. «La distruzione accelerata della classe media ha prodotto questo e altri fenomeni», spiega Grigoriou. «Non ci si vede più come prima per molte possibili ragioni: perché la gente deve dedicare più tempo al lavoro per non essere licenziata o per guadagnare quello che guadagnava prima della crisi, perché non ci sono più i soldi per permettersi una cena al ristorante o un concerto, perché i rapporti sono diventati strumentali: chi è in difficoltà si vergogna e non vuole stare più coi vecchi amici, cer- ca soltanto di entrare in contatto con persone che lo aiutino a trovare un lavoro o un altro prestito per tirare avanti. Oppure non ci si vede più perché tanti sono depressi e non escono più di casa». La fragilità psicologica L’incidenza della crisi sulla salute mentale dei greci è uno dei temi più dibattuti e sfuggenti. Varie riviste scientifiche, greche e internazionali, sostengono che i tassi di depressione, i suicidi e i tentativi di suicidio siano sensibilmente aumentati. La famosa rivista The Lancet nel febbraio di quest’anno ha scritto che mentre i fondi pubblici per i servizi di salute mentale sono stati tagliati del 20 per cento fra il 2010 e il 2011 e del 55 per cento fra il 2011 e il 2012, le richieste sono aumentate del 120 per cento negli ultimi tre anni. I casi di depressione grave sono aumentati dal 3,3 per cento del 2008 all’8,2 per cento del 2011. I decessi per suicidio sono cresciuti del 45 per cento far il 2007 e il 2011. Secondo il ministero degli Interni nel solo 2013 c’è stato un aumento del 40 per cento rispetto all’anno precedente. «Confermo, l’incidenza della depressione è aumentata in misura fortissima, e ha colpito soprattutto le persone già fragili psichicamente. Le nostre statistiche collegano la disoccupazione all’insorgenza della depres- Foto: European Parliament cando questo aumento della povertà? È troppo presto per dirlo con dati scientifici attendibili, ma una cosa siamo già in grado di affermarla: la crisi ha riabbassato i tassi di natalità, che erano ricominciati a crescere. Negli anni del boom economico, cioè a cavallo del 2000, quando la gente pensava solo ad arricchirsi, il numero di figli per donna era sceso a 1,2, poi è risalito fino a 1,5 nel 2010. Nel giro di due anni siamo ripiombati a 1,34». COPERTINA PRIMALINEA PHILIPPE LEGRAIN «Così Bruxelles vi ha rovinato» Ecco come è nata e chi sono i veri responsabili della crisi europea. Le rivelazioni dell’ex capo degli analisti di Barroso. «Negare che l’Unione abbia commesso degli errori incoraggia gli estremismi» Foto: European Parliament «L sione. Le persone si sentono espulse dalla società, e questo aggrava le loro condizioni». Coi suoi 88 anni Panagiotis Sakarellopoulos è il decano degli psichiatri greci, e incarna il loro Basaglia: fu lui, di ritorno dagli studi in Francia, a promuovere l’umanizzazione degli ospedali e dei servizi psichiatrici. La sua passione non è affatto spenta: «Non siamo contenti della situazione attuale della Grecia, né delle politiche del ministero della Sanità. Ma più triste ancora è il comportamento di molti medici: continuano a lavorare con i vecchi metodi, cioè ospedalizzazione e scarsissimi rapporti umani con i pazienti. Vanno al lavoro alle 10 e alle 13 se ne sono già andati: i casi più difficili li lasciano da gestire alle infermiere». La sua Società di psichiatria sociale e salute mentale è un ente no profit che opera da molti anni ad Atene ma anche in provincia (Focide e Tracia), e che oggi cerca di rispondere a bisogni crescenti con aiuti in diminuzione da parte dello Stato. Quello che dice dei suoi malati andrebbe applicato a tutto il popolo greco inteso come emblema di una società colpita dalla crisi e alla solidarietà fra popoli europei: «Noi non possiamo cambiare la loro diagnosi psichiatrica: sarebbe megalomania. Ma possiamo modificare il loro destino, intervenendo sul loro ambiente sociale e familiare». n a causa principale della crisi sono stati gli sconsiderati prestiti di banche tedesche e francesi al mercato immobiliare spagnolo e a quello irlandese, ai consumatori portoghesi e al governo greco. Ma insistendo che fossero i contribuenti greci, irlandesi, portoghesi e spagnoli a pagare interamente per gli errori di quelle banche, la cancelliera Angela Merkel e le sue colf a Bruxelles hanno sistematicamente privilegiato gli interessi delle banche tedesche e francesi al di sopra di quelli dei cittadini dell’eurozona». L’autore di questa frase, apparsa sul New York Times del 22 aprile scorso, è un ex consulente di Manuel Barroso: Philippe Legrain, economista britannico già autore di un fortunato libro sulla globalizzazione (Open World). Non un consulente qualsiasi: dal febbraio 2011 al febbraio 2014 è stato il principale consigliere e il capo del team di analisti del Bureau of European Policy Advisers al servizio del presidente della Commissione Europea. Alla fine Legrain se ne è andato perché i suoi consigli non venivano seguiti. Tempi lo ha raggiunto per un’intervista esclusiva. Lei non è un euroscettico e ha messo in guardia dai partiti populisti alla vigilia delle elezioni europee. Tuttavia nel suo libro European Spring e in vari articoli ha denunciato che i veri colpevoli della crisi finanziaria dell’eurozona non sono i debitori (i privati e i governi dell’Europa meridionale e dell’Irlanda), ma i creditori tedeschi e francesi, e che la ricetta di Bruxelles-Francoforte-Berlino per la soluzione della crisi ha portato alla depressione economica e alla disoccupazione di massa perché gli interessi delle banche tedesche e francesi sono stati anteposti a quelli dei cittadini dell’eurozona. Si spieghi. È perché voglio che l’Unione Europea e l’euro abbiano successo che sono così critico dei terribili errori che sono stati compiuti durante la crisi. Negare che sono stati fatti degli errori, fingere che l’Europa sia sulla strada giusta e insistere che chi non è d’accordo è un illuso, spinge la gente contro l’Europa e incoraggia gli estremismi. Per cominciare a mettere a posto le cose e per riconquistare consenso nei riguardi dell’Unione Europea, è necessario essere assolutamente onesti circa quello che è andato storto. Ovviamente i debitori sono in parte responsabili degli errori compiuti negli anni della bolla fino al 2007. Ma una maggiore responsabilità ricade sui banchieri, pagati profumatamente per la loro presunta capacità di valutare i rischi, così come sui presidenti delle banche centrali, i regolatori, i supervisori e i politici che avrebbero dovuto limitare gli eccessi finanziari. E quando le bolle sono scoppiate e le banche sono state sul punto di fallire, i governi le hanno salvate con i soldi dei contribuenti. Quando il debito pubblico della Grecia è diventato insostenibile nel 2010, i responsabili politici fecero un errore ancora più grosso. Per evitare perdite alle banche tedesche e francesi, hanno finto che una Grecia insolvente stesse attraversando difficoltà di finanziamento temporanee. E con la finzione che la stabilità finanziaria dell’eurozona fosse a rischio, decisero di infrangere la base legale su cui l’euro era fondato, cioè la clausola del divieto di salvataggio fra stati, e di salva| | 28 maggio 2014 | 11 «I debitori sono responsabili degli errori compiuti negli anni della bolla. Ma maggiore responsabilità ricade sui banchieri, pagati per la loro presunta capacità di valutare i rischi, sui presidenti delle banche centrali e i politici che avrebbero dovuto limitare gli eccessi finanziari» EUROPEAN SPRING Philippe Legrain 12 euro re i creditori della Grecia. Improvvisamente i cattivi prestiti delle banche private divennero obbligazioni fra governi. Anche in Irlanda, Portogallo e Spagna i responsabili politici dell’eurozona insistettero che fossero i contribuenti locali a pagare per gli errori delle banche straniere. Così una crisi che avrebbe potuto unire l’Europa in uno sforzo collettivo per tenere a freno le banche che ci avevano messo nei guai ci ha invece divisi, aizzando i paesi creditori – principalmente la Germania – contro quelli debitori, mentre le istituzioni dell’Unione sono diventate strumenti dei creditori per imporre la loro volontà ai debitori. Gli errori dei responsabili politici dell’eurozona hanno anche causato una lunga e profonda recessione, non inevitabile, fra il 2010 e il 2013. Dal caso della Grecia hanno erroneamente concluso che l’intera eurozona si trovava di fronte ad una crisi fiscale, e mentre hanno evitato di affrontare la crisi bancaria e l’eccessivo debito privato, hanno optato per un’austerità collettiva ed eccessiva che ha depresso la domanda e ha avuto l’effetto perverso di peggiorare le finanze pubbliche. Hanno anche alimentato il panico, con gli investitori che si chiedevano quale paese sarebbe crollato dopo la Grecia, quando la Merkel ha cercato di correggere il suo errore greco a Deauville ma ha peggiorato le cose, e quando lei e Sarkozy più tardi hanno minacciato di costringere la Grecia a lasciare l’euro. E mentre il panico lacerava l’eurozona, i responsabili politici chiedevano sempre più austerità. Nel caso dell’Italia, le cui banche non si sono esposte durante gli anni della bolla, la sua attuale situazione è in gran parte dovuta all’imposizione di un’eccessiva austerità in risposta a un panico creato a Berlino, Bruxelles e Francoforte, così come dal fallimento di successivi governi di attuare riforme per aumentare la crescita della produttività. 12 | 28 maggio 2014 | | Per quel che vale, uno studio realizzato da un dirigente della Commissione Europea utilizzando un modello da lui creato, conclude che l’austerità collettiva ed eccessiva finora è risultata nella perdita cumulativa di 10 punti percentuali di Pil nell’eurozona: nessuno è stato chiamato a rispondere di questo. Infine, nell’estate del 2012 la Bce ha arrestato il panico, l’austerità è stata ammorbidita e le economie stabilizzate. Pensate quanta miseria ci saremmo risparmiati se la Bce avesse agito prima e se i responsabili politici non avessero imposto tanto rigore. E nel frattempo la crisi bancaria è rimasta senza soluzione. Una decurtazione sul valore nominale del debito greco comunque alla fine è stata imposta nel 2012, e si parla di estendere i termini per la restituzione del debito greco a 30-50 anni, pure con «UN DIRIGENTE DELLA COMMISSIONE HA DIMOSTRATO CON UNO STUDIO CHE L’AUSTERITà COLLETTIVA HA PORTATO ALLA PERDITA DI 10 PUNTI PERCENTUALI DI PIL NELL’EUROZONA» tassi di interesse abbassati. Tutto ciò equivale a una ristrutturazione-cancellazione del debito. O ci sbagliamo? Sì, i responsabili politici dell’eurozona furono infine costretti ad ammettere che i debiti della Grecia erano troppo grandi e a ristrutturarli nel 2012, benché la Commissione Europea e la Bce per lungo tempo abbiano combattuto accanitamente questa conclusione: ricordatevi quello che dicevano a quel tempo Olli Rehn, Trichet e Bini Smaghi. Fra i due salvataggi dei creditori della Grecia nel 2010 e nel 2012, le banche tedesche, francesi e di altri paesi furono in grado di ridurre di parecchio la loro esposizione in titoli greci, mentre venivano loro interamente ripagati quelli che erano giunti a scadenza durante quel periodo. Però la decurtazione fu troppo piccola per rendere soste- nibile il debito greco, in gran parte perché la Bce insistette che la ristrutturazione doveva essere “volontaria”, mentre il parlamento greco avrebbe potuto imporre perdite ben più grandi con un semplice tratto di penna. Inoltre, al fine di recuperare i loro prestiti alla Grecia, i responsabili politici dell’eurozona le imposero un’austerità così brutale che la sua economia ha sofferto una recessione più lunga e più profonda di quella della Germania negli anni Trenta. Il peso del debito congela l’investimento privato, deprimendo ulteriormente la crescita. Alla fine il debito della Grecia dovrà essere cancellato un altro po’. A quel punto le perdite ricadranno sui contribuenti dell’eurozona, compresi voi italiani, anziché sulle banche straniere che hanno fornito alla Grecia la corda per impic- Foto: Ansa/Dpa IL LIBRO COPERTINA PRIMALINEA carsi. Questo non è solo ingiusto: è politicamente perverso. Perché i contribuenti tedeschi ora accusano quelli greci di prendersi i loro soldi, quando in realtà dovrebbero incolpare Angela Merkel per aver approvato il salvataggio occulto delle banche tedesche attraverso i prestiti a una Grecia insolvente. Foto: Ansa/Dpa Lei critica il salvataggio delle banche nel contesto della crisi del debito greco, ma se le avessimo lasciate fallire ci avrebbero rimesso anche tanti piccoli risparmiatori. Quando le banche falliscono, dovrebbero essere ristrutturate con una procedura ordinaria che fa sopportare i costi ai loro creditori, mentre vengono garantiti i piccoli depositi. È quello che si fa negli Stati Uniti attraverso la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic). È quello che ha fatto la Danimarca nel 2011, senza che cascasse il mondo. Ed è quello che accadrà quando la nuova normativa dell’Unione Europea sulla vigilanza bancaria entrerà in vigore nel 2016. Lei è molto critico dell’unione bancaria recentemente approvata. L’ha definita «finta» e modellata sugli interessi tedeschi. Si spieghi. La Germania acconsentì a malincuore alla proposta di un’unione bancaria in occasione del Consiglio europeo del giugno 2012, quando il panico stava lacerando l’eurozona e Monti, Hollande e Rajoy unirono le forze per chiedere una diversa risposta alla crisi. Ma l’intervento di Draghi per salvare l’euro allentò la pressione su Berlino, che cominciò immediatamente a fare marcia indietro sui suoi impegni. Al fine di mantenere il controllo sulle sue banche spesso pericolanti a causa dei crediti inesigibili accumulati prestando nell’Europa meridionale durante gli anni della bolla, Berlino ha svuotato l’unione bancaria della sua sostanza. La Bce eserciterà la sua vigilanza solo sulle 130 banche maggiori: la maggior parte delle banche tedesche sono piccole. L’ente supervisore tedesco, Bafin, esercita la vigilanza su migliaia di banche e di altre istituzioni finanziarie; dunque l’argomento secondo cui la Bce non potrebbe farlo è pretestuoso. E la pretesa che le piccole banche non rappresentino un rischio sistemico è altrettanto pretestuosa: si veda il caso delle cajas spagnole. Il meccanismo di risoluzione unico per la ristrutturazione e la chiusura delle banche è incredibilmente complesso, lascia un diritto di veto nelle mani dei governi nazionali e i fondi collettivi che alla fine saranno a sua disposizione sono limitati: solo 55 miliardi di euro. In pratica i governi possono continuare a sostenere le “loro” banche se hanno i soldi per farlo. La Germania lo fa, Cipro non può. La crisi ha prodotto l’accentramento a Bruxelles delle politiche fiscali nazionali. A ogni cambio di governo Olli Rehn va in tv e ammonisce: «Mantenete gli impegni presi dai vostri predecessori». Lei critica tutto ciò, ma da Bruxelles rispondono che senza questo controllo si ripeterebbero le crisi del debito e i default che si sono verificati. | | 28 maggio 2014 | 13 PRIMALINEA COPERTINA tana la gente dall’Europa. E se il voto per i partiti principali non porta a nessun cambiamento, non c’è da meravigliarsi che la gente voti gli estremi. Perché la moneta comune europea non funziona, tranne che in Germania e pochi altri paesi? Dobbiamo tenercela o abbandonarla? Come dovrebbe funzionare l’unione monetaria? È un mito che il Patto di stabilità e crescita abbia fallito: l’unico fallimento è stato la mancata individuazione delle bugie greche. La crisi è stata causata principalmente da fallimenti nella governance finanziaria dell’eurozona, non nella governance fiscale. Pensiamo al caso dell’Italia: la Commissione Europea approvò la sua ammissione all’euro nel 1997, quando il debito pubblico era il 122 per cento del Pil. Nel decennio seguente il debito è diminuito di 19 punti percentuali. La ragione per cui i rendimenti dei buoni del Tesoro italiani si sono impennati nel 2011-’12 non è l’eccesso di spesa pubblica, ma il panico sistemico causato dagli errori dei responsabili politici dell’eurozona. Ricordatevi che la sostituzione di Berlusconi con Monti e la deriva di quest’ultimo verso un’eccessiva austerità su ordine dell’Unione Europea non ridusse i rendimenti dei titoli. Fu la Bce che mise fine al panico, dopo avere per lungo tempo affermato che non aveva i poteri legali per farlo. L’imposizione di una camicia di forza fiscale è l’eredità della decisione sbagliata del 2010 di salvare le banche tedesche e francesi che 14 | 28 maggio 2014 | | avevano prestato a una Grecia insolvente, anziché affidare il caso al Fondo monetario internazionale e cancellare i debiti. A causa del fatto che la Merkel infranse la regola che vietava agli stati di garantire il debito di un altro stato, su cui Helmut Kohl aveva giustamente insistito al momento della firma del trattato di Maastricht, i contribuenti tedeschi improvvisamente temettero di dover garantire per i debiti altrui. Perciò la cancelliera chiese un controllo molto maggiore sui bilanci degli altri stati, e la Commissione fu ben felice di accaparrarsi nuovi poteri. Questo è economicamente pericoloso, perché i paesi che condividono una valuta hanno bisogno di maggiore, non minore, flessibilità fiscale. Ripeto, tutto ciò è politicamente perverso. Perché, come lei dice, quando gli elettori in un paese bocciano il governo uscente, Olli Rehn va in tv e insiste che il nuovo governo deve conformarsi alle politiche fallimentari di quello vecchio. Che un burocrate di Bruxelles, lontano, non eletto e che quasi non deve rendere conto a nessuno possa negare agli elettori le loro legittime scelte intorno a tasse e spesa pubblica, allon- Lei invoca una “Primavera europea” per tirare fuori l’Europa dalla crisi dell’eurozona. A parte il fatto che le Primavere arabe non sono state esattamente un successo, perché un cambiamento avrebbe bisogno di una specie di insurrezione popolare? Quando parlo di Primavera europea, intendo un rinnovamento economico e politico. Esso richiede una forte leadership – con un po’ di fortuna Matteo Renzi potrebbe offrirla all’Italia –, nuovi politici con nuove idee e un movimento dal basso per il cambiamento. [rc] Foto: Ansa «fingere che l’Europa sia sulla strada giusta e insistere che chi non è d’accordo è un illuso, spinge la gente contro l’Europa e incoraggia gli estremismi» Al posto di un’eurozona modellata sui miopi interessi della Germania creditrice, abbiamo bisogno di un’unione che funzioni per tutti i suoi cittadini. Le banche “zombie” devono essere ristrutturate, il debito insostenibile (sia privato sia pubblico) deve essere cancellato. È necessario più investimento, insieme a riforme per aumentare la produttività e quindi i salari. Il meccanismo per la ristrutturazione delle banche fallite deve essere indipendente. In futuro per evitare il panico, il ruolo della Bce come prestatore di ultima istanza deve essere formalizzato, e con esso una maggiore discrezionalità di bilancio per i governi: l’unico condizionamento deve essere rappresentato dalla disponibilità dei mercati a prestare a loro e ultimamente dalla possibilità della bancarotta. CHIESA VATICANO SOTTO ACCUSA Peccati e pregiudizi «La Chiesa è vista come una barriera a stili di vita “moderni” che hanno conseguenze distruttive. Combattere l’aborto non è una tortura, ma una difesa della vita. E gli scandali dei cristiani non sono una scusa per imporre loro dottrine sbagliate». Monsignor Tomasi risponde agli attacchi delle Nazioni Unite | 16 DI LEONE GROTTI | 28 maggio 2014 | | Foto: Tips | | 28 maggio 2014 | 17 CHIESA VATICANO SOTTO ACCUSA 18 | 28 maggio 2014 | | A destra, monsignor Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite. Sotto, la copertina di Tempi dedicata agli attacchi dell’Onu alla Santa Sede, creati per demolire, con la scusa della lotta alla pedofilia, il magistero cattolico settimanale diretto da luigi amicone anno 20 | numero 20 | 21 maggio 2014 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr fosse praticamente già scritto o perlomeno nettamente impostato prima dell’audizione». Il modo stesso in cui sono state presentate le obiezioni ha dato l’impressione che «si sia data maggiore attenzione a Ong ben note, pregiudizialmente contrarie alla Chiesa cattolica e alla Santa Sede, che non alle posizioni della Santa Sede stessa». È «tipico, infatti, di tali organizzazioni non voler riconoscere quanto è stato fatto nella Chiesa in questi anni recenti, nel riconoscere errori, nel rinnovare le normative, nello sviluppare misure formative e preventive. Poche o nessun’altra organizzazione o istituzione ha fatto altrettanto. Ma non è assolutamente quello che si comprende leggendo il documento in questione». Oggi la storia si ripete. Un altro rapporto sul Vaticano sarà rilasciato il 23 maggio, questa volta dalla Commissione delle Nazioni Unite sulla convenzione contro la tortura. Se le conclusioni deriveranno dagli argomenti usati dagli “esper- ti” il 4 e 5 maggio scorsi per interrogare l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, monsignor Silvano Maria Tomasi, non c’è da aspettarsi niente di buono. Durante le udienze, i casi di pedofilia all’interno del clero sono stati interpretati come esempi di tortura e il «divieto di procedere con l’aborto» è stato imputato alla Chiesa come «un atto crudele». Davanti a queste accuse, il Wall Street Journal ha parlato di «macroscopico attacco alla libertà religiosa» condotto attraverso «un’insostenibile e perversa interpretazione del trattato». Sullo scontro tra Santa Sede e Nazioni Unite Tempi ha intervistato l’osservatore permanente monsignor Silvano Maria Tomasi. Eccellenza, la Santa Sede è responsabile dei casi di pedofilia all’interno del clero avvenuti in tutto il mondo dagli anni Cinquanta a oggi? Alcuni dei membri della Commissione forse non hanno chiara la duplice forma con cui la Santa Sede attua le sue Foto: Ansa L Chiesa non ha mai preso così tanti provvedimenti a protezione dei minori contro lo scandalo degli abusi sessuali come negli ultimi dieci anni: 848 sacerdoti sono stati sospesi a divinis, cioè ridotti allo stato laicale, altri 2.572 hanno subìto pene minori come il ritiro perpetuo a vita di penitenza e preghiera. Solo nel 2013, 43 chierici sono stati laicizzati e ad altri 358 sono state inflitte sanzioni. La Chiesa ha riformato radicalmente la legge vaticana in materia di abusi: papa Benedetto XVI ha denunciato pubblicamente le colpe dei sacerdoti e chiesto scusa, ha incontrato le vittime e nel 2010 ha modificato le Normae de gravioribus delictis, portando la prescrizione del reato di pedofilia da dieci a vent’anni, a partire dal compimento dei 18 anni da parte della vittima. Eppure. Eppure, come riportato nel numero scorso di Tempi nell’articolo di Francesco Amicone “E chi sono loro per giudicare?”, la Chiesa non è mai stata attaccata così violentemente in sedi istituzionali come nel 2014. Lo scorso 5 febbraio, 18 “esperti indipendenti” della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti dei minori hanno diffuso un rapporto sul Vaticano mettendolo sotto accusa. Non solo sugli abusi, ignorando completamente i dati di fatto, ma chiedendo alla Santa Sede di modificare le posizioni dottrinali e morali della Chiesa in materia di omosessualità, aborto, matrimonio gay, contraccezione e di «promuovere a livello internazionale» questo o quel diritto. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, ha parlato al tempo di «visione ideologica della stessa sessualità» e denunciato un atteggiamento strano da parte della commissione Onu: il documento conclusivo non ha «tenuto conto adeguato delle risposte date dai rappresentati della Santa Sede», tanto «da far pensare che esso a ratificò nel 2002, rientra nel quadro di misure giuridiche internazionali dirette a proteggere la dignità umana. Evidentemente abbiamo lo stesso obiettivo nella nostra attività diplomatica internazionale. Come gli altri Stati membri, anche se con un po’ di ritardo, la Santa Sede ha presentato il suo rapporto agli esperti della Commissione della Cat. Gli abusi sessuali contro minorenni non rientrano però nella definizione di tortura della Convenzione. Essendo essi comunque interpretabili come un comportamento inumano e crudele, in alcuni casi di revisione dei rapporti presentati da altri Stati membri sono stati inclusi negli obiettivi dell’articolo 16 della Convenzione. I casi di pedofilia, quindi, possono essere definiti una tortura o no? È corretto che la Santa Sede debba discuterne davanti alla Commissione? responsabilità contro la tortura o contro lo sfruttamento sessuale di minorenni. Nel senso giuridico stretto, la Santa Sede deve applicare la Convenzione nel territorio dello Stato della Città del Vaticano. Ma la missione spirituale universale della Santa Sede, esercitata attraverso il suo insegnamento, il diritto canonico e i provvedimenti pastorali, è molto efficace a creare e sostenere una mentalità corretta per la prevenzione della tortura e la punizione di colpevoli di tale crimine, siano essi laici o preti. Foto: Ansa Eppure Ong accreditate alle Nazioni Unite come la Snap, la Rete dei sopravvissuti agli abusi dei preti, sostengono che la Santa Sede è responsabile perché «è difficile immaginare un’organizzazione con una catena di comando più centralizzata e gerarchica del Vaticano». Non è affatto così. I modi con cui la Santa Sede attua la sua responsabilità sono realmente efficaci, anche se differenti. I sacerdoti di un paese non sono «Per la chiesa l’uomo è aperto agli altri e si assume la responsabilità delle decisioni. L’ONU E ALTRI GOVERNI SPINGONO PER UNA cultura che tende a trasformare ogni desiderio in diritto» impiegati del Papa ma cittadini giuridicamente dipendenti dal paese in cui vivono e che ha diritto di esercitare la sua sovranità senza interferenze esterne. Anche la Commissione dell’Onu però vi ha messo sotto accusa. Sotto accusa non è la Santa Sede, ma certe interpretazioni tendenziose dei trattati internazionali. Gli Stati si sono dati degli accordi giuridici per rispondere più efficacemente a situazioni di violazione dei diritti umani. La Convenzione contro la tortura (Cat), che la Santa Sede L’abuso sessuale di minori è una violazione orribile e ributtante della loro dignità e dei loro diritti umani. Nel contesto del diritto internazionale, la definizione di tortura non include questi casi di abuso di minorenni. La Santa Sede ha presentato un rapporto dettagliato sull’argomento alla Commissione della convenzione sui diritti dei bambini lo scorso gennaio. L’argomento però, oltre che trovare un appoggio nella Convenzione, è appetitoso per i media e si capisce quindi come sia ritornato a galla nelle domande poste alla Santa Sede come era stato fatto per altri Stati. Lei ha affermato che la Santa Sede non vuole affrontare «un confronto basato su alcune asserzioni che alle volte le Ong mettono in forma molto polemica e che sono poi usate come informazioni accurate, anche se qualche volta non lo sono». A che cosa e a chi si riferiva? Un punto che penso sia da chiarire riguarda le misure prese dalla Santa Sede e dalle Chiese locali per punire i crimini di pedofilia e prevenirli. Guardando | | 28 maggio 2014 | 19 CHIESA VATICANO SOTTO ACCUSA alla Chiesa, non si può rimanere fossilizzati sul suo passato. L’evoluzione avvenuta con la promulgazione di nuove leggi, di istruzioni ai vescovi del mondo, l’attenzione data alle vittime e simili prese di posizione mostrano chiaramente che una nuova cultura di tolleranza zero verso gli abusi sui minorenni è entrata in vigore. anche la responsabilità delle sue decisioni. Sull’altro versante, invece, c’è una cultura di estremo individualismo che tende a chiudersi in se stessa e a trasformare ogni desiderio in diritto umano. C’è spazio nell’Onu per uno Stato che ha questa visione dell’uomo? Quando si parla di questi incontri con gli esperti delle Nazioni Unite bisogna tenere presente anzitutto che essi hanno un ruolo di monitoraggio e non di tribunale. In secondo luogo, che la liber- La Santa Sede partecipa all’Onu come ogni altro Stato, con la sua identità e la buona volontà di cooperare al bene comune. Non credo che le differenze di vedute con gruppi di esperti si possano trasformare in contrasti ideologici in grado di bloccare la cooperazione e le buone relazioni che sostanzialmente rimangono, come dimostrano la recente visita del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon e di vari direttori di organismi internazionali al Santo Padre. «TUTTO QUELLO CHE FORNIAMO aiuta A CAPIRE LA NOSTRA SERIETà NEL CAMPO DEGLI ABUSI. NON SERVE? Si può portare il cavallo all’abbeveratoio ma non forzarlo a bere» Non la preoccupa il fatto che le raccomandazioni della Commissione dell’Onu per i diritti dei minori siano arrivate a criticare «posizioni dottrinali e morali della Chiesa cattolica»? A leggere i rapporti dell’Onu sembra che non tutti l’abbiano notato. Direi che sarebbe doveroso per organizzazioni ed esperti prendere atto di questa realtà. Sarebbe, però non succede. La trasparenza adottata dalla Chiesa nel provvedere statistiche e precisazioni su leggi, direttive disciplinari, iniziative di prevenzione, punizioni inflitte e simi- li decisioni dovrebbe aiutare a capire la serietà ed efficacia che da anni caratterizzano la sua azione nel campo degli abusi sessuali sui minorenni. Si può portare il cavallo all’abbeveratoio ma non si può forzarlo a bere. Mi pare poi scontato che da alcuni la Chiesa sia vista come una barriera che blocca stili di vita e pratiche sociali considerate più moderne ed efficaci per esprimere le libertà individuali, magari dimenticando le conseguenze distruttive che ne derivano per il futuro della famiglia umana. Non vedo però attacchi concertati dall’Onu alla Chiesa, anche se tensioni esistono su alcune questioni etiche importanti e non negoziabili. Come l’interruzione di gravidanza, ad esempio. I relatori della Commissione hanno affermato che «il divieto di procedere con l’aborto è un atto crudele». Lei cosa ne pensa? 20 È l’aborto ad essere un atto crudele. Lasciare morire dei bambini nati vivi dopo un tentativo di aborto fallito o estrarli a pezzi, smembrati, dall’utero materno mi sembrano forme di tortura molto dolorose. La difesa del diritto alla vita è un’applicazione positiva della Convenzione contro la tortura, che intende appunto eliminare qualsiasi forma di abuso di persone attraverso l’imposizione di sofferenze. | 28 maggio 2014 | | Secondo il Wall Street Journal è in atto un «macroscopico attacco alla libertà religiosa». tà di opinione e di credo è un diritto fondamentale e inalienabile. Non è certo responsabilità degli esperti dell’Onu dire a uno Stato quello che deve pensare o credere, specialmente se non viene rispettata le legge naturale. Crede che la Commissione dell’Onu in questione stia cercando di attaccare in modo ideologico la Chiesa cattolica? Presumo che gli esperti della Commissione vogliano procedere in buona fede secondo le loro convinzioni. Come si spiegano allora questi contrasti così aspri? Alla radice della differenza tra certe posizioni della cultura pubblica dell’Onu e di alcuni governi e quelle della cultura di tradizione cattolica ci sono due antropologie diverse. Due modi diversi, cioè, di vedere la persona umana. Per la dottrina sociale della Chiesa la persona umana non è solo aperta agli altri ma si assume Mi sono riferito a due culture diverse per quanto riguarda la visione dell’uomo. Non è la prima volta nella storia che i valori del Vangelo e il suo messaggio trovano resistenza e fanno fatica sia ad essere compresi che accettati. I peccati della comunità cristiana non sono una giustificazione per imporle dottrine sbagliate o per limitarne la libertà. Si dovranno piuttosto correggere comportamenti erronei e aderire con maggior coerenza alla verità in cui si crede. Gli ultimi scontri hanno compromesso il rapporto tra Onu e Santa Sede? La barca della Chiesa va avanti nonostante qualche maroso. Guardando al futuro, ci è richiesto l’impegno di rendere ragione della nostra speranza, delle nostre prese di posizione e delle nostre convinzioni. Perseguiamo poi il bene comune nel nostro mondo globalizzato sostenendo e rendendo fruttuoso per tutta la società il messaggio del Vangelo. n CHI È CHI LA SIGNORA Sì TAV Gemma Amprino Il sindaco di Susa che difende la valle dai teppisti “no tutto” e ha conquistato (da destra) anche il voto di Chiamparino 22 | 28 maggio 2014 | | Foto: Ansa S e “capitale” di quella che per | DI MARCO MARGRITA le cronache è diventata la Valle del No alla Tav, domenica sceglierà il proprio sindaco. Lo scontro è tra l’uscente Gemma Amprino e Sandro Plano, già sindaco della città dal 1999 al 2009 e, soprattutto, da presidente della Comunità Montana, conquistata con l’accordo tra il centrosinistra e le liste della rete No Tav, intransigente oppositore alla Torino-Lione. Plano, le cui origini democristiane gli sono tornate utili per conquistare la “desistenza” con i grillini all’insegna del frontismo antitreno, cerca una vittoria simboli- «con l’alta velocità avremo una ca. Sull’altro fronte, Gemma Amprino, che nuova stazione che permetterà alla in questi cinque anni ha pagato la scelta “dialogante” con una lunga serie di lette- città, oggi ramo secco ferroviario, re minatorie e minacce, chiede una ricon- di collegarsi all’italia e all’europa» ferma. Curiosamente, Grillo che ha dato di “peste rossa” al Pd e ha appena ospitato sul tà con il lavoro onesto, la difesa della salu- rizzazione del patrimonio storico comupalco a Torino il leader dei No Tav Alberto te e la tutela dell’ambiente, avendo come nale, registrato nel bilancio di previsione Perino, appoggia il candidato sindaco Pd. guida del proprio agire il rispetto delle approvato nell’anno 2014, ritengo sia la Mentre l’ex sindaco di Torino e candida- persone e delle istituzioni, in un clima di miglior prova della nostra virtuosità». to Pd a governatore della Regione, Sergio rassicurante legalità». Nessun cedimento Non risparmia una stilettata agli avverChiamparino, confessa che se fosse cittadi- alla strumentalizzazione antagonistica del sari, evidenziando che «non si può parlano di Susa «non avrei dubbi, voterei la lista ruolo di amministratore. «Per raggiungere re di sviluppo e risorse e poi screditare in che sostiene Gemma Amprino» (Repubbli- l’obiettivo di un nuovo sviluppo in grado ogni modo la città e la Valle. Si parla spesca, 27 marzo). Ma chi è la coraggiosa Sì di garantire i servizi presenti e offrire nuo- so di questa terra, in Italia e in Europa, ma Tav? Nata nel 1954, sposata, ha due figli. ve possibilità di lavoro, ho ritenuto e riten- non certo per i tesori che custodisce e per Insegna italiano e storia, e da molto tem- go indispensabile incontrare le persone e le sue eccellenze. È arrivato il momento di po è impegnata in politica nel solco del partecipare a ogni tavolo istituzionale, dia- voltare pagina, con coraggio e fiducia nel cattolicesimo popolare. Consigliere comu- logando con tutti gli Enti sovracomunali, futuro, in un clima democratico che non nale dal 1995 al 1998, rappresentante sin- in particolare con la Regione Piemonte e ammette intimidazioni di nessuna natudacale Snals dal 1998 al 2009, consiglie- con il governo italiano. Credo non si possa ra». È il tempo della concretezza e del diare in Provincia di Torino dal 2004 al 2009, interpretare diversamente il ruolo di rap- logo, secondo Amprino e i suoi sostenitomembro dell’Upi (Unione province italia- presentanti delle istituzioni, innanzitutto ri. «Noi – dice con parole che chi conosce la Val Susa sa cosa significano – abbiamo ne), vicepresidente del circolo Mcl “Impe- per rispetto ai miei concittadini». scelto di rischiare anche la nostra incolugno Sociale Valsusino”. È stata tra le promità pur di proteggere Susa e i suoi abitanmotrici del progetto culturale e turistico Concretezza e dialogo “Tesori d’Arte e Cultura Alpina”. Per la sua Non c’è solo la Tv. «Sono stati tanti gli ti; abbiamo chiesto il massimo delle garanlista civica ha scelto un nome proiettato al interventi effettuati, in risposta alle esi- zie sui cantieri e ottenuto che a Susa trofuturo: La Nuova Susa. «Affido al termine genze dei cittadini; tra questi mi preme vasse collocazione, senza compromettere Nuova – spiega a Tempi – il compito di tra- ricordare l’aver applicato nel corso degli nuove aree, la nuova stazione internaziosmettere a tutti l’intenzione di continuare anni una delle tassazioni comunali tra le nale. Una stazione che permetterà alla citad affrontare con coraggio, fiducia, com- più basse della Valle, a fronte del maggior tà, ora ramo secco ferroviario, di ricollegarpetenza e ottimismo le sfide del terzo mil- numero di servizi offerti. L’importo pari a si alla rete italiana ed europea». Insomma, lennio, sicuri che il futuro premierà colo- 8 milioni 216 mila euro di interventi finan- come si è capito, a Susa non saranno elero che declinano il progresso e la moderni- ziati, relativi a scuole, strade, servizi, valo- zioni come altre. usa, città di storia bimillenaria | | 28 maggio 2014 | 23 ESTERI L’INUTILE GUERRA Il cuore dell’Afghanistan Prima gli inglesi, poi i russi, ora gli americani. Tutto ciò che gli invasori volevano abolito in questo paese, si è ogni volta ripristinato. Questo popolo che ha familiarizzato con la morte, alla fine vince con la sua infinita, testarda pazienza | DI DOMENICO QUIRICO L’invasione, i miliardi di dollari spesi, gli eserciti e le nuove tecnologie non hanno permesso di contenere né i talebani né la minaccia che ormai si incarna nella nuova Al Qaeda, ben più ambiziosa e mortifera di quella immaginata dall’emiro del terrore ESTERI L’INUTILE GUERRA Pubblichiamo la prefazione di Domenico Quirico, reporter per il quotidiano La Stampa, al libro di Farhad Bitani L’ultimo lenzuolo bianco. L’inferno e il cuore dell’Afghanistan. L’ Afghanistan sfugge alla presa dell’Occidente. Sempre. Ci sfinisce con la sua inesauribile usura. È sfuggito agli inglesi, quando ancora non meriggiava l’isola-impero, malgrado il vento della decadenza scuotesse già la buona vecchia Europa, assopita nell’equilibrio delle impotenze. Quando gli imperi nascevano così, da questa avida conquista delle ‘‘distanze” e del ‘‘denaro’’. È sfuggito ai russi la cui violenza era legittimata dagli immancabili destini della via rivoluzionaria. E invece, ancora una volta, quell’armata di stracci li ha costretti a ritirarsi. E infine, sì, anche gli americani… Tredici anni son passati e si prepara un’altra ritirata. L’invasione, i miliardi di dollari spesi, gli eserciti privati e le nuove tecnologie: polvere. Non hanno permesso di contenere né i talebani né la minaccia che ormai si incarna nella nuova Al Qaeda, ben più ambiziosa e mortifera di quella immaginata dall’emiro del terrore. L’Afghanistan è un’altra volta sul punto di affondare, nonostante gli investimenti, i 45 mila soldati occidentali dispiegati e le migliaia di morti. I talebani sono tornati in forze. Attendono, pazienti, soltanto il ritiro degli esausti occidentali per riprendere il potere, con il sostegno di Al Qaeda e degli estremisti islamici del Pakistan. Il boom di produzione di eroina ha contribuito a finanziare la loro rivincita: quando il diavolo ben serve ai disegni, presunti, di Dio. Tutto ciò che la temporanea sordità e jattanza degli invasori voleva abolito in questo paese, in forma irreprensibile, si va ogni volta ripristinando: la sua religione, le sue antiche usanze, la sua poesia, la sua fede in se stesso. Non si è rinnegato, non si è evirato, non si è cosparsa la testa di cenere, buttandosi sugli stivali degli occupanti: per leccare la loro ricchezza, la loro modernità o i loro immancabili destini comunisti. Questo è un popolo esemplare, dal quale tutto l’Occidente, vinto e calpestato dalla propria viltà, dovrebbe imparare qualcosa. L’Afghanistan non vince i suoi vincitori con il fascino della propria civiltà come faceva la Grecia antica. Gli inglesi, i russi, gli americani sanno poco o nulla della civilizzazione afghana di cui colgono soltanto gli aspetti esteriori. Né vince il suo vincito- 26 | 28 maggio 2014 | | A destra la copertina di Tempi dedicata a Farhad Bitani intervistato da Rodolfo Casadei, e la copertina del suo primo libro L’ultimo lenzuolo bianco edito da Guaraldi re mediante una prepotente forza razziale, genetica, assimilatrice, come i germani con l’impero in decadenza. Vince con la sua infinita, testarda pazienza. Con i grandissimi antri vuoti e silenziosi delle sue montagne, dove gli invasori sono entrati qua e là, sperando di sorprendere il momento di una ripresa, l’attimo vivente di quel mondo sottinteso. Ma sempre la loro curiosità è rimasta delusa. Vinti, cacciati, sì, dal silenzio. Il prezzo della vita Forse è la identità umana degli afghani che sfugge perennemente alla nostra comprensione. Ci manca, forse, un libro, tra i tanti che sono stati scritti, memorialistica bellica, analisi geopolitica, anche storie di afghani raccontate da loro stessi, certo. Ci manca un onesto libro di viaggio sugli afghani, nel senso di un libro di viaggio interiore: limpido, semplice, puro. Eppure, a una generazione sensibile all’inutile splendore delle cose, ne segue un’altra, preoccupata di restituire alla vita il proprio scopo, all’uomo il senso di aver creato in un certo modo il proprio destino. Per tornare a questo pae- se, un libro, in altri termini, che racconti gli afghani nel loro contenuto morale. Né si potrebbe fare diversamente, ovvero nel guardare gli uomini e le cose attorno a sé, oggi che la realtà tende a rattrappirsi in significati e aspetti sempre più diffusamente inquietanti e dolorosi. È per questo che, quando andrò in Afghanistan per raccontare la ritirata, l’ennesima, dell’Occidente, porterò con me questo libro di Farhad Bitani. Perché raramente ho sentito, in un libro che parla di molte cose, l’odore della guerra: fumo, sudore, pane stantio e immondizie. È l’odore delle cose che non sono più e non sono ancora morte. Ma Farhad è molto giovane: a quell’età, molte cose non si temono. L’età e la morte, e tutte le cose che possono capitare: agguati, battaglie, malattie, tradimenti. La vita, non l’ha ancora afferrata questo giovane afghano: ella ha per lui un’aria di inafferrabilità. Ma in questo libro è già stata ridotta in minimi termini. C’è tutto, anche se in linee sottilissime. Racconta cose terribili e piccoli gesti della vita quotidiana che, in quello spazio, hanno un significato arcano e difficile. Guarda dentro con infinita pazien- LE MEMORIE DEL SOLDATO L’ultimo lenzuolo bianco. Il libro che nessuno voleva pubblicare Foto: Ansa. Nelle pagine precedenti Corbis «Sono tante, forse troppe, le cose che ho visto nei miei primi ventisette anni di vita. Adesso le racconto. Lascio le armi per impugnare la penna. Traccio i fatti senza addolcirli, senza velarli. Dopo aver vissuto l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza nell’ipocrisia, ho un tremendo bisogno di verità». Inizia così il libro di Farhad Bitani, L’ultimo lenzuolo bianco. L’inferno e il cuore dell’Afghanistan (editore Guaraldi). A Bitani, Tempi aveva dedicato la copertina del numero 46 dello scorso anno. Classe 1986, ex capitano dell’esercito afghano, Farhad è nato e cresciuto immerso nella violenza. Durante la sua infanzia ha vissuto la guerra da vincitore, perché suo padre era uno dei generali mujaheddin che hanno sconfitto il potere sovietico; più tardi l’ha vissuta da perseguitato, perché suo padre era nemico dei talebani, che in Afghanistan avevano preso il potere. In seguito l’ha vissuta da militare, combattendo egli stesso contro i talebani. Farhad ha conosciuto la ricchezza e poi la povertà, ha vissuto nello sfarzo e poi nella totale privazione. «Con i talebani ho assistito a stupri, decapitazioni. Con i mujaheddin famiglie potenti come la mia si sono spartite gli aiuti umanitari che giungevano da ogni parte del mondo ed erano destinati ai più poveri. Ho lapidato due donne. Non ho mai provato sensi di colpa. Ma le grida di quella madre e delle sue figlie obbligate ad assistere alla sua esecuzione non le dimenticherò mai. Il fondamentalismo islamico ha conquistato metà del mondo. Ora vuole la fine dell’Occidente. Come i mujaheddin e i talebani, anche io ero un fondamentalista. Disprezzavo tutti gli infedeli e credevo che sarebbe stato giusto che l’islam trionfasse con le armi in tutto il mondo». Un giorno di vacanza del 2011, Farhad è rimasto ferito durante un attentato alla sua vita. Un fatto che lo ha cambiato. Durante la riabilitazione a Dubai ha iniziato a scrivere le memorie che oggi Guaraldi sta per pubblicare. «Pronunciare la verità è un piccolo gesto, in fondo. La vera sfida è accettarla. E, ancor di più, accoglierla come propria storia personale. Perderò delle amicizie, ma non mi importa. Soltanto la verità può liberare il mio paese». za. Racconta di qualcuno che è stato ucciso. Le parole non esprimono emozione: è un fatto. Si nasce, si combatte, gli amici muoiono, i nemici muoiono, si muore noi stessi. Con gli afghani il problema è mal impostato. Puzza della febbre e dell’acido della passione. Sono decisi a morire? Bisognerebbe sondare i cuori. E poi che cosa vuol dire veramente essere decisi a morire, quando la morte, come per noi, è ancora in lontananza, pallida e azzurra come i loro monti all’orizzonte? Che cosa importa ciò che abbiamo pensato, noi, della morte in sua assenza? E invece là, per loro… La morte alza improvvisamente le pretese: improvvisamente si accorgono che le serve anche il loro sangue. Sono cresciuti quelli di questa generazione all’ombra della guerra contro i russi e poi c’è stata la guerra tra i signori della guerra, e i talebani venuti a tagliar il groviglio inestricabile di sudici interessi; e poi Bin Laden e gli americani. Da L’Afghanistan è un’altra volta sul punto di affondare, nonostante gli investimenti, i 45 mila soldati e le migliaia di morti. i talebani stanno tornando un pezzo si erano familiarizzati con la morte e la presenza della morte al loro fianco li ha trasformati. Cominciavano, già ragazzi, a conoscere il prezzo di una vita umana; guardavano già le vite con impaziente malinconia, come se stessero dall’altra parte. Loro, fin dal primo giorno, hanno saputo che sarebbero morti da soli. Sarà questo che rinfacceremo loro quando ritorneremo un’altra volta laggiù? È proprio questo che si chiama “non saper più morire”? Non esiste tregua Farhad possiede quel genere di dignità che forse è di tutto il suo popolo, a cui noi non siamo più abituati; dignità di persone che forse hanno paura anche di un lieve dolore, eppure affrontano una guerra continua che dura, si può dire, da più di un secolo, che ha soltanto brevissime pause e sembra non finire mai. Tutti quei giovani e quei vecchi vestiti come sacerdoti, mobili e leggeri e terribili come fantastici portatori di morte, piegati a una disciplina superiore, mai vista nel caos e nel saccheggio delle rivoluzioni che noi conosciamo, dove fatalmente e inevitabilmente, ai combattenti per le idee, si affiancano e ribollono i rifiuti. n | | 28 maggio 2014 | 27 L’INTERVISTA 28 | 28 maggio 2014 | VERITÀ E MENZOGNA | Spinello Aretino, Storie dalla leggenda di san Benedetto (particolare), 1387, affresco, Firenze, San Miniato al Monte | DI EMANUELE BOFFI Suonarle al diavolo di santa ragione «Quando dico al Maligno che lui è “nessuno” si arrabbia moltissimo. Lui vorrebbe annullarsi, ma non può, perché è creatura. Vorrebbe sparire per non soffrire, ma non ci riesce. È spaventoso solo pensarlo». Parla don Sante Babolin, esorcista «L santità del- la consolazione, un volume che rifugla ragione» è un’espressione ge ogni tipo di sensazionalismo sull’arche don Sante Babolin ha rica- gomento e cerca di andare alla radice di vato da L’Action di Maurice Blondel (1893) che cosa siano il male e il bene e di come e che condensa il suo approccio alla vita essi possano essere intesi (ragione) e scelti (libertà). e al ministero a cui, da sette Per questo il libro di Baboanni, lo ha chiamato il vescoIL LIBRO lin è di estremo interesse. Non vo di Padova, monsignor Antoè un elenco di aneddoti, quanto nio Mattiazzo. Babolin è esorun manuale che – partendo dalcista e in questo lasso di tempo lo specifico caso dell’esperienza ha seguito oltre 1.300 casi. «Quedell’autore – aiuta a scoprire in sto è il compito che mi ha affimaniera non superficiale qualdato il vescovo quando avevo già cosa in più sulla fede cattolica. settant’anni», racconta a Tempi. Babolin ha alle spalle una soli«Ho fatto molta fatica ad accetda formazione filosofica. Orditarlo, e l’ho accettato per pura nario emerito di Filosofia, l’ha obbedienza». L’ESORCISMO insegnata alla Gregoriana per Le edizioni Messaggero di S. Babolin oltre trent’anni, prima di dediPadova hanno da poco dato alle Messaggero carsi a questa nuova «emergenstampe un libro di Babolin inti- Padova za pastorale» – l’espressione è tolato L’esorcismo. Ministero del- 18 euro a vera filosofia è la | | 28 maggio 2014 | 29 L’INTERVISTA SANTE BABOLIN sua – che, racconta, ha deciso di limitare alla sua sola diocesi, un po’ perché non avrebbe altrimenti le forze per un più gravoso impegno, un po’ perché «è necessario che altri vescovi s’accorgano del problema e non lo trascurino. Ma io non vado in cerca di problemi, accetto solo quelli che mi arrivano, altrimenti come posso confidare che il Signore mi aiuti a risolverli? Io amo la Chiesa come amo il Signore e per questo continuerò ad obbedire e a riconoscerne l’autorità». Don Babolin, nel suo testo continuano a ritornare con insistenza alcune parole: «ragione», «discernimento», «razionalità», «scelta», «alternativa», «giudizio». Il suo invito è a usare la ragione per distinguere il bene dal male, in una società che invece tende a mostrare come “tutto uguale” e a liquefare i confini tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Al tentativo del Demonio di creare confusione, lei scrive, occorre difendersi con la «santità della ragione». Cosa intende? La ragione è santa quando è ragione. Pare una tautologia, ma quel che cerco di fare intendere è che la ragione è tale solo quando rispetta la realtà, cioè quando rispetta lo statuto ontologico dell’uomo, che è una sintesi straordinaria, meravigliosa e incomprensibile di spirito e materia. La ragione è lo strumento in nostro possesso per discernere, per usare correttamente i sensi. Lo diceva san Tommaso stesso: «Et sensus ratio quaedam est». La ragione rispetta la realtà perché deve partire sempre dai dati dell’esperienza, altrimenti diventa un’interpretazione errata, fuorviante e disincarnata. In una parola: una ideologia. Lei scrive che è proprio questa capacità a difenderci dal Maligno, aiutandoci a distinguere il bene dal male. Perché solo così saremo «liberi di amare». Vede, il Diavolo, così come scritto nei Vangeli, è costitutivamente menzognero. È menzognero quando stravolge la realtà, 30 | 28 maggio 2014 | | ma anche quando dice qualcosa di vero. Anche quando dice il vero, il Diavolo lo fa con un secondo fine, secondo una intenzionalità che non è quella del Creatore. Perché quel che vuole fare il Diavolo è ridurre la ragione in modo tale che anche la nostra libertà sia rattrappita. Come scriveva Blondel, «la libertà per la libertà è un inganno». La vera libertà è quella di amare, non ne esiste un’altra. La libertà si realizza nell’amore, un amore che può anche essere sacrificio e che necessariamente diventa un servizio all’altro. La libertà senza l’amore mangia se stessa. «“Chi sei tu?”. E lui mi rispose: “Sono nessuno. Ho perduto il mio nome”. E scomparve, lasciandomi sbigottito (…). Parole eclatanti, perché nella cultura biblica il nome si identifica con la persona. Era come se il diavolo mi stesse dicendo che, dopo essersi ribellato a Dio, non era più nessuno, perché, staccandosi dal suo Creatore, aveva perduto se stesso, la propria identità e la propria verità» Oggi però viviamo nella società che mette al primo posto non la ragione, ma la spontaneità, il “mi sento”, l’istinto. Uno può avere anche una reazione azzeccata, immediata, ma uno non può vivere con questo stile. In un certo senso, gli animali sono più fortunati di noi, perché il loro istinto non sbaglia mai. La loro vita non dipende dalla ragione ma dall’uso dei sensi e delle pulsioni. Per questo anche l’agnello, sebbene nessuno gli abbia mai insegnato che il lupo è pericoloso, quando lo vede, fugge. Ma per noi non è così. Se la nostra sensibilità non sfocia nella ragione, lascia incompiuta la sensibilità stessa. Infatti quando dalla ragione torniamo alla sensibilità, diventiamo creativi e qui nasce l’arte. Nel suo manuale fa più di un riferimento al pericolo che venga stravolta l’istituzione familiare. Sì, per le ragioni che ho appena detto, ma anche per una motivazione che riguarda la fede. Il Maligno, e questo dagli esorcismi emerge con evidenza, come vuole profanare l’eucarestia così vuole profanare e distruggere il matrimonio. Il sacramento del matrimonio è il sacramento più vicino all’eucarestia. Non è un caso che Gesù, dopo il battesimo nel Giordano, partecipi alle nozze di Cana e istituisca il matrimonio, che è il sacramento che consacra l’origine della vita. Perché? Una volta, durante un esorcismo, chiesi al Maligno perché gli dava tanto fastidio l’amore tra due coniugi che si erano uniti in chiesa. E lui mi disse: «Non sopporto che si amino». Il Maligno può offrire sesso, ma non amore. Quando i coniugi si offrono reciprocamente con il sigillo del matrimonio si danno l’un l’altro anche lo Spirito Santo. E il Diavolo questo lo sa, ed è per questo che cerca di distruggerlo. Ma se un rapporto ri arriva il terzo, il figlio, e così noi nella famiglia vediamo il riverbero del mistero del Dio uno e trino. L’uomo non è duplex ma triplex perché in lui c’è il germe della trinità di Dio. Lei racconta un episodio riferito da un altro esorcista, padre Matteo La Grua che, dopo un esorcismo, trovandosi di fronte al Diavolo, gli chiese: «“Chi sei tu?”. E lui mi rispose: “Sono nessuno. Ho perduto il mio nome”. E scomparve, lasciandomi sbigottito (…). Parole eclatanti, perché nella cultura biblica il nome si identifica con la persona, per cui era come se il diavolo mi stesse dicendo che, dopo essersi ribellato a Dio, non era più nessuno, perché, staccandosi dal suo Creatore, aveva perduto se stesso, la propria identità e la propria verità». affettivo comincia avendo come finalità il matrimonio, questa finalità ritorna come riflusso su tutto il percorso. Quando i coniugi si presentano all’altare, dichiarano la loro decisione e il sacerdote la offre al Signore invocando su di loro lo Spirito Santo. Ma il momento in cui lo Spirito Santo invocato dalla Chiesa scende e trasforma il loro rapporto è quando avviene la prima unione. Quindi il sacramento nasce nel talamo. Per questo io chiamo “talamo” il letto coniugale, perché quello è l’altare di chi crede in Cristo. È l’altare dove nasce la liturgia nuziale, che durerà tutta la vita. Giusto ieri ho incontrato due coniugi che hanno due bambini con problemi legati al mio ministero. Questi due genitori stanno lottando in modo meraviglioso contro il Maligno e sa cosa li difende e dà loro forza? Il loro amore unito nel sacramento del matrimonio. Quindi tornando alla famiglia… Quindi tornando alla famiglia, in essa noi vediamo la trinità umana. Dai genito- Quando, durante gli esorcismi, dico al Diavolo che lui è «nessuno» si arrabbia moltissimo. Gli dico: «Tu vorresti annullarti, ma non puoi, perché sei creatura». La creatura non può crearsi ma nemmeno annullarsi. Lui vorrebbe sparire per non soffrire, ma non ci riesce. È spaventoso solo pensarlo. In un certo senso, c’è un continuo tentativo di distruzione e autodistruzione che non si può realizzare. Il Maligno soffre lui stesso della sua condizione, ma non può liberarsene. Vede, Dio ha dato davvero la libertà ai puri spiriti e all’uomo. È un dono serio, che Dio non toglie più. Ma la libertà significa essere liberi di dire “sì” e di dire “no”. Se uno si fissa nel suo “no”, il “no” diventa irreversibile. Per noi umani, il Signore ha più misericordia perché siamo anche carne, ma per i puri spiriti… esiste una irreversibilità. Cosa significa? Che è la nostra carne a salvarci? È proprio così. Finché siamo in vita possiamo essere salvati. È la carne che ci salva. Infatti, Lui si è fatto carne proprio per salvare noi che siamo nella carne. È il grande mistero dell’Incarnazione di Dio. n | | 28 maggio 2014 | 31 L’ITALIA CHE LAVORA Mister BRUGOLA Dal 1926 a Lissone sorge il tempio della vite dalla testa cava a sezione esagonale. Con grande intuito nonno Egidio l’ha brevettata nel 1945, il figlio Giannantonio l’ha resa famosa. Oggi il nipote Jody vuole sbarcare negli Stati Uniti S Egidio Brugola, per tutti Jody, è vicepresidente delle Officine Egidio Brugola di Lissone 32 | 28 maggio 2014 | che ogni giorno calcano gli asfalti di tutto il mondo. Berline o station wagon, fuoriserie o utilitarie, ognuna di queste macchine monta regolarmente un motore, quel sofisticato prodotto dell’ingegneria meccanica che trasforma il carburante in energia, conferendo il moto a un insieme inanimato di pezzi d’acciaio e plastica, lamiere e bulloni, che di per sé non si muoverebbero. Grazie al prodigio della combustione, invece, i pistoni possono correre nei cilindri, i motori girare e trasmettere il movimento agli alberi motore, che a loro volta fanno marciare le ruote che macineranno chilometri. Eppure tutto ciò non sarebbe possibile se non ci fossero le viti ad assicurare un corretto e sicuro serraggio del propulsore e delle sue molteplici componenti. Viti critiche, complesse, che servono a tenere insieme testate e cilindri, bielle e bancate. Viti che devono sopportare le più estreme sollecitazioni e che, pertanto, non possono in alcun modo permettersi bassi standard qualitativi, o peggio di essere costruite con materiali scadenti. Comincia da qui, dalle viti per i motori, la storia più recente delle Officine Egidio Brugola (Oeb), l’azienda brianzola di via Dante a Lissone, dove si trova dal 1926, anno della sua fondazione. Lo stabile, che sorge ancora in pieno centro città, nascosto tra una casa e la chiesa, è il medesimo che aveva già fatto conoscere al mondo la multifunzionale vite a brugola, quella celebre dalla testa cava a sezione esagonale che proprio al suo fondatore deve il nome. Un tipo di vite che Oeb ha brevettato nel 1945, | ono milioni e milioni le automobili Le viti prodotte a Lissone fanno dell’«originalità e della perfezione il marchio distintivo» delle Officine Egidio Brugola guadagnandosi un privilegio concesso a pochi marchi: vedere associato il proprio nome al prodotto. Un privilegio che è frutto di un’intuizione, più che di una vera e propria invenzione, perché come confida a Tempi il nipote di Egidio, che del nonno porta il nome ma che per tutti è semplicemente Jody, «la vite in sé esisteva già, mio nonno ha pensato di fabbricarla su scala industriale, cosa che allora non faceva nessuno perché il prodotto veniva prevalentemente importato». «Spirits of excellence» Da un po’ di anni, però, tutte le produzioni “generaliste”, anche quelle di qualità sopraffina come sono le viti a brugola, pagano dazio in termini di redditività alla concorrenza di paesi che possono permettersi più bassi costi di produzione. È un processo che è iniziato almeno trent’anni fa, e che non ha coinvolto solo la bullonistica, eppure non tutti in Italia se ne sono accorti. Il cavaliere Giannantonio Brugola, invece, figlio di Egidio e padre di Jody, che a lungo è stato a capo dell’azienda e ancora oggi ne è presidente, è stato abile a leggere i segni dei tempi. «Mio padre – racconta Jody, oggi vicepresidente – ha avuto il merito di capire in anticipo da che parte sarebbe andato il mondo». A partire dagli anni Ottanta e fino al 1994, ha lavorato per ritagliarsi una «nicchia nella nicchia», convertendo la produzione da fabbricati standard a quella di viti speciali per l’automotive. Un prodotto che fa dell’«originalità e della perfezione il marchio distintivo». Le viti sono realizzate con acciaio di altissima qualità, tecnologie innovative e seguendo una filosofia perfettamente riassunta nel motto che campeggia ovunque in azienda: «Spirits of excellence». O, come lo traduce Jody spiegando come si attraggono i clienti, del «difetto zero». In Brugola, prosegue Jody, «scegliamo solo il meglio e ogni controllo è sempre ripetuto due volte». | | 28 maggio 2014 | 33 L’ITALIA CHE LAVORA Ogni giorno negli stabilimenti Brugola vengono realizzati 800 tipi diversi di viti, per un totale di 7 milioni di pezzi Il motore di un’automobile, spiegano in azienda, impiega circa 70 tipi di viti diverse, sette delle quali sono definite «critiche», ossia cruciali per il raggiungimento delle prestazioni e la durata. Viti che devono essere in grado di resistere alle sollecitazioni più estreme, come sono, appunto, quelle che assicurano il serraggio della testata, della bancata, del volano, della biella, della puleggia, dell’ingranaggio dell’albero a camme e del suo cappello. Queste sono le viti che si producono oggi in Oeb, circa 800 tipi diversi a seconda dei modelli cui sono destinate. Frutto del paziente lavoro dei 300 tra disegnatori, ingegneri e operai (15 dei quali assunti l’anno scorso) che ogni giorno, ventiquattro ore su ventiquattro, le progettano e le realizzano, per una media di 7 milioni di pez- «La produzione dei quattro stabili di Lissone e i dipendenti non sono in discussione. nel michigan vogliamo aprire un’altra officina, magari assumendo personale americano» zi al giorno: chilometri di nastro d’acciaio arrotolato su massicce bobine transitano in appositi macchinari che lo misurano, lo tagliano, gli creano un cappello e ne filettano il profilo, rispondendo alle esigenze delle diverse case automobilistiche che hanno scelto l’officina lissonese. Brugola, che oggi detiene il 22 per cento della quota di mercato (praticamente un’auto su cinque è dotata di un motore montato grazie alle sue viti), è una vera e propria «boutique della vite», o come ebbe a definirla Giannantonio: «La Ferrari delle viti». Qui si lavora su commissione, garantendo una personalizzazione del prodotto in base alle esigenze del cliente. Ogni auto necessita di circa 300 viti, per un totale di 4 o 5 chilogrammi. Eppure «ogni di vite è diversa dall’altra», spiega Jody. «Noi realizziamo viti prevalentemente per il Gruppo Volkswagen, comprese Seat, Audi e Skoda, che rappresenta l’80 per cento del nostro fatturato, e Ford, oggi intorno al 10 per cento». Ma anche per Bugatti, Lamborghini, Renault e tanti altri. Fiat no, non più. La casa torinese, infatti, non è più considerata strategica rispetto agli obiettivi del gruppo. Obiettivi mai banali, considerando che Brugola è da quattro anni che ha un fatturato in 34 | 28 maggio 2014 | | crescita costante dell’8 per cento: lo scorso anno si è attestato a 120 milioni di euro e quest’anno mira a confermare il trend raggiungendo quota 130 milioni, nonostante la crisi europea del mercato delle quattro ruote. Un fatturato che, non a caso, è realizzato per il 98 per cento all’estero. Un’eccellenza riconosciuta Ed è proprio l’estero a essere nei più immediati piani di sviluppo di Giannantonio e Jody Brugola, che da un po’ di tempo a questa parte stanno coltivando il “sogno americano”. Non si tratta di nuove sedi commerciali oltre a quelle che già ci sono in Germania, Francia, Spagna, Inghilterra e Nord America. L’intenzione, infatti, è quella di sbarcare nel Michigan con uno stabilimento gemello delle Officine Egidio Brugola, dopo che Ford ha annunciato di voler riportare parte della produzione di motori, inizialmente delocalizzata, a Detroit. «Non lasceremo l’Italia», assicura Jody. «La produzione dei quattro stabili di Lissone e gli investimenti in programma non sono in discussione, così come non lo sono nemmeno i 300 dipendenti che ci lavorano». Perché non è una delocalizzazione quella che hanno in mente in famiglia, ma un vero e proprio salto oltreoceano che possa aprire nuovi orizzonti all’azienda. «Se il trend di crescita dovesse confermarsi positivo, come dimostra il primo trimestre del 2014 – prosegue Jody –, ci sarà sicuramente la possibilità di poter sviluppare qualcosa di concreto. Non solo un magazzino, dunque, ma una produzione vera e propria, magari assumendo anche personale americano». Se l’investimento a stelle e strisce di Oeb sarà possibile, lo sarà anche perché lo Stato del Michigan ha messo in atto dal 2008 una forte politica di reindustrializzazione, tanto che in due anni sono stati creati 250 mila posti di lavoro. Il governatore Rick Snyder, accompagnato da una delegazione, è venuto di persona a visitare l’azienda lissonese, perché «rappresenta un’eccellenza». Un’eccellenza costruita pazientemente nel corso dei decenni, grazie a un mix di inventiva e competenze uniche, sulle basi di un prodotto – come può essere una vite – spesso invisibile, eppure così indispensabile perché il motore dell’economia possa girare al meglio. Matteo Rigamonti GUIDA AL VOTO EUROPEE 2014 CIRCOSCRIZIONE NORD-OCCIDENTALE STEFANO MAULLU «Occorre una uguaglianza sociale che riduca il più possibile la fascia degli emarginati. La mia esperienza politica e di manager mi aiuta a essere più vicino alle persone» M ai come ora abbiamo bisogno della “buona politica”. Parte da questa constatazione Stefano Maullu, una storia di vent’anni spesi per la politica, a Milano come in Regione Lombardia; un presente di sfide imprenditoriali dentro a una delle società d’infrastrutture che stanno cambiando faccia alla mobilità lombarda; un’attualità di candidatura alle elezioni europee del prossimo 25 maggio. «Mai come ora – dice Maullu – in questo clima di sfiducia e annichilimento, in questa stagione di fatica e di prove c’è bisogno di affermare la persona. Il valore della persona, delle singole persone, coi loro bisogni più concreti di cui la politica deve prendersi carico. Vogliamo che l’Europa torni a rispondere a questo ideale, perché il bene comune torni a essere un’esperienza». Perché riaffermare la persona? «Credo profondamente nell’uguaglianza. L’uguaglianza che nasce dalla condivi36 | 28 maggio 2014 | Messaggio sione della stessa umanità, per la quale si arriva a battersi politicamente perché sia anche uguaglianza sociale, riducendo il più possibile la fascia di chi è messo al margine. Uguaglianza che è un altro nome per parlare del modello di welfare, di assistenza a chi ha più bisogno, che oggi va assolutamente ripensato, innanzitutto per quanto e come riguarda una fascia sempre più ampia della popolazione, impoverita dalla crisi e resa sempre più insicura di fronte agli avvenimenti. Lo stesso ragionamento vale per il lavoro, per tutte quelle persone con meno di 30 anni – o con più di 45 anni – che non riescono a entrare o rientrare nel mondo del lavoro: accessibilità è un altro sinonimo di uguaglianza, e su questo intendo misurarmi, perché tutti abbiano la possibilità di vivere pienamente la vita». «Dico questo per la storia che mi porto addosso. Ho iniziato nel 1993 in Consiglio di Zona a Milano, arrivandoci dalla “sezione”, dove ho ascoltato, visto e imparato cos’è la politica quando si fa prossi- elettorale – Committente responsabile: Antonio Maullu ma alla vita dei cittadini, in un quartiere certo non facile come Baggio. Ho proseguito nel Comune di Milano e quindi in Regione Lombardia, dove in tre legislature, prima consigliere e poi assessore al Commercio e alla Protezione Civile, ho preso parte a una grande avventura, politica ma ancor prima umana. L’ho sperimentato in particolare durante il mandato alla guida della Protezione Civile. Nel corso di questa esperienza ho vissuto alcuni dei momenti più significativi della mia vita: in occasione del terremoto che colpì l’Abruzzo, dove ho avuto l’opportunità di coordinare l’attività di migliaia di volontari intervenuti per assistere gli sfollati. L’esperienza in Regione, pur con qualche ombra, è stata entusiasmante: ho conosciuto da vicino l’operosità di una terra che a buon diritto si può considerare motore dell’economia nazionale. Una terra lavorata da migliaia di artigiani, agricoltori, imprenditori, professionisti, volontari, persone che operano nel campo dei servizi come della cultu- ra: persone appassionate alla propria opera, capaci di accogliere e condividere ciò che hanno con chi viene da altri paesi – e da figlio d’immigrati so bene cosa significa. Da assessore al Commercio ho insistito personalmente affinché le eccellenze lombarde venissero valorizzate, promuovendole sul mercato internazionale con «LA POLITICA COME SCORCIATOIA SOCIALE HA ALLONTANATO LA GENTE. il voto delle Europee ridà lo spazio per guardarsi in faccia» un impegno che va assolutamente portato avanti: la crisi si combatte ritrovando la propria identità». Parla il politico o il manager? «Sommare all’esperienza politica quella gestionale maturata negli ultimi due anni alla guida di TEEM (Tangenziale Est Esterna Milano) mi ha dato una prospettiva in più. Con TEEM sono riuscito a realizzare un’opera che considero strategica per la mobilità e per la viabilità del territorio lombardo, un sistema infrastruttu- rale che vale 2,2 miliardi di euro, capace di generare ricchezza e migliaia di posti di lavoro. Ricordo, a riguardo, solo due cifre: i 1.500 posti di lavoro generati nei primi due anni, a cui ne vanno sommati altri 3.500 che rimarranno anche quando l’opera sarà terminata; e i 700 milioni di euro di finanziamento ottenuti dalla Banca Europea degli Investimenti, con i quali a dicembre scorso siamo riusciti a concludere la copertura finanziaria dell’opera. Le infrastrutture sono il vero volano per la nostra economia, possono generare ricchezza, occupazione e investimenti stranieri: realizzano la modernizzazione del paese, liberando quella risorsa immensa che è il nostro patrimonio turistico e culturale». Il ruolo che dobbiamo avere in Europa «L’Europa è dimensione intimamente connaturata alla Lombardia e al quadrante Nord-Ovest del paese, protagonista dell’economia nazionale. Sarà così anche nel 2014. Secondo le previsioni di Unioncamere il maggiore impulso per la crescita economica dell’Italia che si attesterà più o meno sullo 0,7 per cento proverrà dall’aumento della domanda estera (+3,7 per cento), dove Lombardia e Piemonte giocano un ruolo da protagonisti. Nello stesso tempo viviamo in un contesto in cui la maggior parte delle decisioni che incidono sulla nostra vita quotidiana ven- gono prese a Bruxelles. Lavoro e potere d’acquisto delle famiglie ne sono la dimostrazione evidente. Da queste considerazioni nasce il desiderio di mettermi “al servizio” della Lombardia e dell’Italia». «La disaffezione dei cittadini nei confronti dell’Unione Europea (e della politica più in generale) non può essere “cavalcata” per aumentare la confusione in funzione di risultati elettorali di questa o quella forza politica, che promettono tutto e niente. Personalmente la considero un potente richiamo per mettere ancora più in gioco la mia responsabilità, per rinnovare l’impegno, la passione e la tenacia dedicate al bene di tutti». «Chi vuole affrontare l’avventura che è la politica deve guardare dentro di sè, con lealtà innanzitutto verso se stesso per essere poi leale anche con le persone che va a rappresentare. In questi anni, invece, la politica è stata intesa come “scorciatoia sociale”: per questo è arrivata ad allontanare così tanto la gente da essa. Il voto delle Europee, attraverso le preferenze, ridà lo spazio per guardarsi in faccia, e ristabilire quel rapporto essenziale che sta alla base della politica. La politica è una missione. Il bisogno di cambiamento, così presente a tutti i livelli della società, che attraversa tanto fortemente anche Forza Italia e l’area del centrodestra, non può essere alibi per fare i voltagabbana. Occorre ritrovare lo spazio della persona». | 28 maggio 2014 | 37 STILI DI VITA CINEMA LE “MANOVRE” EUROPEE E DEL QUIRINALE Coincidenze che fanno pensare PRESA D’ARIA di Paolo Togni E siste un vero e proprio “diritto internazionale”? Credo di no, e che sarebbe più corretto parlare di “consuetudini” o “convenzioni” internazionali, data la non esistenza di sanzioni giuridiche (cfr. Bobbio); seguiterò comunque a dire “diritto” internazionale, per buona educazione e per non turbare nessuno. Diritto, consuetudini o convenzioni, è comunque certo che un pilastro del sistema è il principio per il quale è fatto divieto a chiunque di ingerirsi nelle vicende interne di un altro Stato; la violazione di questo principio sarà da ritenersi tanto più grave quanto più importanti siano gli affari nei quali ci si ingerisce. La convergenza di un soggetto dell’ordinamento con un soggetto esterno al fine di organizzarne l’ingerenza costituisce poi una gravissima forma di favoreggiamento; nell’ordinamento interno tale attività va sanzionata penalmente. La nostra Costituzione attribuisce poteri e prerogative ben definite al presidente della Repubblica; tra le quali non è compresa la gestione delle premesse politiche alle attività istituzionali. Voglio esser più chiaro: il presidente compie una grave scorrettezza – al limite dell’attentato alla Costituzione – se si ingerisce nell’organizzazione di futuri assetti politici o governi, o più in generale nella discussione e definizione di questioni politiche o amministrative che non gli siano espressamente affidate dalla Costituzione; Costituzione formale, che è l’unica esistente. I fatti: molte testimonianFU RICHIESTO DA FUNZIONARI ze raccolte da Alan Friedman EUROPEI DI AFFOSSARE in un suo libro (irretrattabili, FINANZIARIAMENTE IL GOVERNO perché registrate) ci dicono che BERLUSCONI. LE BANCHE TEDESCHE nell’estate del 2011, ben prima MISERO SUL MERCATO NOSTRI delle dimissioni di Berlusconi, TITOLI. E SAPETE COS’È ACCADUTO Napolitano discutesse proposte per il nuovo governo e, addirittura, le commissionasse. Come testimonia in un suo libro l’allora ministro del Tesoro americano Timothy Gheitner, al summit di Cannes fu richiesto da “funzionari” europei (la parola usata vale tanto per dipendenti che per i vertici) di contribuire ad affossare finanziariamente il governo Berlusconi. Il ministro decise di riferirne ad Obama, il quale respinse la richiesta. Per il momento la cosa finì lì, ma le banche tedesche gettarono sul mercato una immensa quantità di titoli italiani; seguì l’aumento dello spread, le dimissioni di Berlusconi, e ciò che tutti sapete. La coincidenza temporale e di contenuti tra le “manovre” europee e del Quirinale fa però sospettare come non improbabile una qualche complicità. Tutta da provare, naturalmente. Perciò, sarebbe indispensabile una commissione parlamentare d’inchiesta. Perché solo così si possono diradare i sospetti. O, al contrario, rafforzarli (nel qual caso naturalmente potrebbe scattare la procedura costituzionale della messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica). [email protected] HUMUS IN FABULA NASCE BICITALIA La mappa delle piste ciclabili nazionali Per tutti gli amanti delle due ruote, ma anche per i neofiti della bicicletta, nasce Bicitalia, la prima grande mappa online della rete di ciclovie nazionali. Il progetto www.bicitalia.org, messo a punto da Fiab – Federazione italiana amici della bicicletta – in risposta al bando del ministero dell’Ambiente, ha traccia- 38 | 28 maggio 2014 | | to 18 mila chilometri di strade ciclabili, di cui 10 mila già mappati, 18 itinerari e 50 “ciclovie di qualità”, ovvero percorsi prevalentemente su pista ciclabile che, per caratteristiche del paesaggio, sicurezza e servizi offerti, sono considerati al di sopra della media nazionale. Al progetto hanno aderito dieci Regioni italiane più la provincia autonoma di Trento, collaborando con Fiab in un piano di lavoro che ha visto confluire i singoli programmi locali per lo sviluppo della mobilità sostenibile e del cicloturismo, in un più ampio network di carattere sovraregionale. L’obiet- Devil’s Knot - Fino a prova contraria, di Atom Egoyan, Una verità orrenda e crudele Un detective indaga su un terribile triplice omicidio. Fiaba cupa e dolorosissima, senza speranza, trasposizione cinematografica di un inquietante caso irrisolto di cronaca nera. La prima mezz’ora è fortissima: la tranquilla provincia americana, le famiglie e i ragazzini che giocano a tirare sassi nel fiume vicino e impennano per le strade deserte con le loro bici. Poi la svolta crudele: i bambini che spariscono, l’incubo dell’orco, le ricerche spasmodiche. HOME VIDEO Still Life, di Uberto Pasolini Da non perdere Un impiegato comunale indaga sul passato di chi muore in solitudine. Film splendido, uno dei migliori della stagione. Un impiegato comunale passa il suo tempo a ricostruire la vita di chi è morto da solo e senza amici, sicuro che anche nella vita del peggior individuo si possa nascondere qualcosa di buono e di bello che vale la pena conoscere e far conoscere. Fiaba semplice e commovente con uno dei finali più belli degli ultimi anni: le azioni buone riecheggiano nell’eternità. tivo è quelllo di riuscire a creare un’infrastruttura fondamentale per la mobilità ciclistica, sviluppando allo stesso tempo i presupposti per la moltiplicazione di ciclovie su scala locale, in un circolo virtuoso che muove verso il futuro. Ma non solo. Attraverso il portale è possibile visionare anche servizi collaterali, come la proposta Albergabici.it, un innovativo motore di ricerca in tre lingue concepito per il mondo del cicloturismo che permette di scegliere tra oltre 2 mila strutture ricettive italiane che offrono un’accoglienza dedicata ai turisti sulle due ruote. TURISMO GREEN La sostenibilità degli alberghi italiani Ridurre consumi idrici ed energetici del sistema ricettivo italiano, difendendo e supportando gli elementi costitutivi della qualità di vita nelle destinazioni turistiche: l’identità locale, l’economia, i servizi, la cultura, le tradizioni e l’ambiente, tutelando la diversità biologica, culturale e paesistica. Questi gli obiettivi chiave su cui si impegneranno Asshotel-Confesercenti e Legambiente, partner di un accordo tutto dedicato alla “sostenibilità del turismo”. PREMIO ANDERSEN E la verità, orrenda e crudele, magistralmente rappresentata da un regista che sembra aver ritrovato la vena migliore. Già, perché Egoyan, dopo una serie di grandi e grandissimi film, sempre sospesi tra fiaba e racconto crudele (è suo lo splendido Il dolce domani) si era perso per strada con film mediocri o mediocris- simi (tipo il pessimo Chloe). Qui non mancano i passi falsi, dalla prevedibilità della vicenda a un cast non sempre in palla, ma almeno si respira aria di cinema classico, quello che fa leva sul mondo interiore dei personaggi. visti da Simone Fortunato SPORTELLO INPS In collaborazione con Tutto quello che bisogna sapere Tutti i pagamenti effettuati per importi parziali o per un mino- Il regista Atom Egoyan MAMMA OCA di Annalena Valenti S abato 24 maggio vengono premia- ti a Genova i vincitori del Premio Andersen per l’editoria dell’infanzia. Il che mi offre lo spunto per rispondere a una domanda che mi fanno spesso: «Come fai a scegliere i libri per tuo figlio?». Uno dei criteri che adotto è vagliare i premi assegnati da esperti del settore ai libri per bambini, pur non sapendo a priori, ovvero finché non l’ho effettivamente letto, se quel libro mi piacerà e soprattutto se è buono, bello e vero per un bambino. Uno dei libri che ormai appartengono ai miei imprescindibili, A caccia dell’orso, l’ho scoperto al Premio Andersen. Dopo aver guardato i premi assegnati e aver letto qualche recensione, questi sono i libri che sicuramente andrò a leggere ed eventualmente comprare. Troverò qualche perla? Miglior libro 0/6 anni: B. Chaud, Una canzone da orsi (F. Cosimo Panini). Mi attira molto perché oltre alla storia di un papà orso che deve cercare il figlio che si è perso, sono disegnati tanti altri personaggi, da osservare e trovare, (che è sempre stato uno dei nostri giochi preferiti), che raccontano storie parallele attraverso le delicate immagini. Miglior libro 9/12 anni: L. Ballerini, La Signorina Euforbia (San Paolo). Voglio vedere qual è il segreto della signorina Euforbia, maestra pasticciera, che fa solo dolci su misura, e scoprire gli ingredienti del pasticcino “potrebbe-venirmi-unabuona-idea” e anche “devo-trovare-presto-una-alternativa”. mammaoca.com DOMANDA & RISPOSTA Requisiti per la pensione Mio figlio sta riscattando i 5 anni di università e ha pagato i primi 6 mesi tramite bollettino. Se mio figlio smette di pagare il riscatto, questi 6 mesi che fine fanno? Antonio T. Come scegliere libri per bambini invia il tuo quesito a [email protected] re numero di rate entro i termini assegnati verranno convalidati determinando in proporzione l’accredito del corrispondente periodo assicurativo. Pertanto se il figlio ha pagato solo i primi 6 mesi gli importi versati saranno validamente imputati al periodo che viene coperto in proporzione all’intero periodo richiesto a riscatto. Non è prevista la restituzione di quanto versato. Sono nato nell’agosto 1954. Sono dirigente presso un’azienda del settore commercio. Il 31 dicembre 2013 ho maturato 40 anni di contributi, comprensivi del riscat- to di laurea e servizio militare. Quando potrò andare in pensione secondo la nuova normativa? Maurizio D. Stando a quanto dichiarato, dovrebbe raggiungere i requisiti richiesti (42 anni e 44 settimane) nel novembre 2016, con decorrenza della pensione il primo dicembre 2016. Sono un militare che, avendo maturato 40 anni di contributi nel corso del 2013, quest’anno andrà in pensione anticipata con 41 anni e 5 mesi di contribuzione. Vorrei sapere con quali mo- dalità mi verrà corrisposto il Tfs. Oronzo Se i 40 anni di contribuzione non sono stati maturati entro il 31/12/2011 il Tfs non potrà essere corrisposto prima di 24 mesi dalla data di risoluzione del rapporto di lavoro. Solo nell’ipotesi in cui ha raggiunto entro il 31 dicembre 2011 l’aliquota massima della retribuzione pensionabile con i 53 anni e 3 mesi di età, da compiere prima del 31 dicembre 2015 e, in ogni caso, prima della cessazione del rapporto di lavoro, il termine potrebbe essere di 6 mesi. | | 28 maggio 2014 | 39 Tempi Leggi il settimanale sul tuo tablet AT&T Aggiorna Beppe Grillo e Casaleggio? Meluzzi: «Il M5S è una setta messianica e millenarista» di Francesco Amicone Tempi.it Il quotidiano online di Tempi Tempi Mobile di Luigi Amicone Le notizie di Tempi.it sul tuo smartphone Bergomi e Spagna ’82: «La forza era il gruppo. Come nella Nazionale di quest’anno» di Luigi Amicone di Luigi Amicone Nazionale di quest’anno» era il gruppo. Come nella Bergomi e Spagna ’82: «La forza di Luigi Amicone per la famiglia» le magnifiche giornate milanesi Papa: «Come ho vissuto di Carlo Candiani Seguici su «Una follia anche economica» Bologna, referundum anti-paritarie. di Antonio Simone del nuovo compagno di cella Simone: Il segreto (rivoluzionario) TUTTI GLI ARTICOLI di Oscar Giannino di religione spread, ormai è una guerra Giannino: Altro che debiti e PER PIACERE LA CARRETTIERA – FRANCA E LILLO, MILANO Piatti gustosi e dirompenti a un prezzo stracciatissimo IN BOCCA ALL’ESPERTO AMICI MIEI APPUNTAMENTI Educare alla libertà L’incontro della Fondazione Tempi Venerdì 23 maggio alle ore 21.15 presso il Cinema Teatro Don Bosco di Padova (via San Camillo De Lellis 4) si svolgerà un convegno dal titolo “Educare alla libertà: Famiglia e nuovi ‘diritti’: di fronte ai problemi della vita occorre approfondire la natura del soggetto che li affronta”. All’incontro, organizzato dalla Fondazione Tempi, interverranno: Giancarlo Cesana, presidente Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Milano; Mauro Ronco, professore ordinario di diritto penale all’Università degli Studi di Padova; Pietro Piccinini, giornalista del settimanale Tempi. Modera: Enrico Fiorini. Parlare oggi di libertà di educazione sembra quasi voler riproporre un tema e un interesse propri di quella strana gente che sono i cattolici. Affar loro e affare dei loro interessi e delle loro scuole. Ma la questione educativa è in realtà la questione del nostro tempo. L’educazione non può che essere introduzione alla realtà. Ossia a qualcosa di dato, che sta prima di noi e che è vero proprio perché dato. L’uomo libero è colui che segue ciò che è vero. Ma di questo più nessuno parla. Ogni uomo si costruisce la propria verità, ognuno è libero di pensare quel che vuole e ogni pensiero equivale all’altro e ogni pensiero annulla l’altro. Così, alla fine, in questo gigantesco calderone che chiamiamo vita più nessuno è realmente libero, imprigionato nella torre dei propri pensieri, incapace di relazioni che non siano quelle dettate dal rendiconto, dall’opportunismo, dalla violenza e, ultimamente dal potere. Anche il nostro. E se qualcosa rimane nel popolo come tradizione, come memoria del cammino alla verità degli di Tommaso Farina A ci hanno rimproverato di occuparci spesso di ristoranti troppo costosi. Ebbene: vogliamo vedere se leggendoci oggi saranno contenti. Una trattoria pura, senza il sussiego di certe osterie moderne di ricerca. Uno di quei posti che a Roma chiamerebbero “bujaccari”: locali senza pretese, dove magari talvolta la pasta scuoce (non durante la nostra visita in incognito) e talaltra scappa la mano in cucina, ma dove si mangia con discreta soddisfazione spendendo poco. Siamo a Milano, ai bordi del quartiere Bovisa. Qui, da più di trent’anni, c’è Franca e Lillo. Oddio, da circa un annetto la ragione sociale è cambiata, si chiama La Carrettiera. Ma si tratta di un pro-forma, tant’è che l’insegna esterna è sempre quella. E il passaggio di mano tra genitori e figli in realtà è più formale che sostanziale, giacché in sala, accanto a Maurizio, il babbo Lillo, agrigentino e storico fondatore, è sempre presente alle bandiere, mentre mamma Franca è ai fornelli. Interno di tenerissima bruttezza, televisore acceso, decorazioni improbabili. Qui conta la sostanza: una cucina casalinga di ispirazione meridionale. Economicissima: a cena per quattro portate si spendono circa 28 euro. E a pranzo si mangia sempre alla carta, le stesse cose, che Lillo provvede a deprezzare: ergo, con 20 euro uscirete sazi. A tutti arrivano anzitutto assaggini d’antipasto: olive, frittata di patate alle cipolle, crostino con rucola e funghi, calamari spillo. Poi, un primo piatto. Qui sono famosi gli spaghetti alla carrettiera, che non c’entrano nulla con l’omonima ricetta romana: il condimento è una sapida via di mezzo tra pesto genovese e aglioolio-peperoncino. Gustosamente dirompenti. Altrimenti, pasta alla palermitana, o alla Norma, o pasta e fagioli. Di secondo, la carne alla calabrese, col sugo rosso. La ruspante, riuscita cervella fritta, da libro dei ricordi. Le quaglie al forno. La frittura mista di pesce. Di contorno, vere patate fritte, non surgelate. Di dolce, cannoli e bignè, poi un caffè freddo al bicchiere. Divertentissimo. volte i nostri lettori Per informazioni La Carrettiera – Franca e Lillo Via Imbriani, 30 – Milano Tel. 0239310316 Chiuso la domenica uomini che ci hanno preceduto, ecco entrare in azione il potere per togliere le ultime certezze, sradicare i costumi, soffocare il diritto vivente della tradizione. È quello che sta accadendo sia in Europa sia nei governi nazionali con direttive liberticide che vogliono minare alla radice l’istituto della famiglia, del matrimonio, della realtà maschile e femminile. E Dio? Di Dio poi neanche a parlarne. Dio se c’è, non c’entra. Libertà di educazione per educare alla libertà. Ecco cosa ci interessa ed ecco su cosa vogliamo confrontarci. Sul serio. E con chiunque. MOSTRA-MERCATO Donne artigiane all’opera con le mani Da venerdì 23 a domenica 25 maggio il Museo Diocesano di Milano organizza “Chiostro in fiera”, la decima edizione della mostra-mercato di alto artigianato. Nello splendido chiostro del Museo, 80 donne artigiane mettono in mostra il “saper fare con le mani”: prodotti di artigianato – dalle scarpe ai gioielli, dalle cravatte alle borse – fiori e piante aromatiche, specialità gastronomiche del territorio e laboratori per apprendere i segreti del lavoro creativo. E per i più piccoli: atelier didattici, spettacoli e una caccia al tesoro nel Parco delle Basiliche. Fin dalla prima edizione, la rassegna Chiostro in Fiera, che è cresciuta negli anni per numero di espositori e successo di pubblico, si è tinta di rosa: le donne milanesi hanno raccolto la sfida e hanno scelto di mettere in mostra il loro lavoro, nato dal “saper fare con le mani”. Accanto alla vendita dei prodotti, Chiostro in Fiera è diventata una vera occasione di incontro, di scambio di esperienze e consigli utili sull’arte e l’alto artigianato, grazie al contributo di donne artigiane che delle loro passioni hanno fatto una vera e propria professione. Nel Chiostro sarà possibile passare dei piacevoli momenti di relax, dalla colazione all’aperitivo con un brunch di primavera per la domenica, ma anche scoprire tutte le curiosità e i segreti sull’arte delle due ruote. L’ingresso a Chiostro in Fiera prevede un biglietto di 5 euro (gratuito per i ragazzi fino ai 18 anni), che consentirà anche la visita alle mostre temporanee in corso e alle collezioni permanenti del Museo Diocesano. | | 28 maggio 2014 | 41 motorpedia WWW.RED-LIVE.IT A CURA DI UNA RUOTA IN MENO Piaggio MP3 500 Iniziatore e leader del segmento dei tre ruote con avantreno basculante, il nuovo MP3 500 monta per la prima volta l’Abs su un veicolo di questo segmento. Nel pacchetto sicurezza, opzionale ma consigliabile, è compreso l’antipattinamento Asr, in un quadro di miglioramento sostanziale delle finiture e del design, che può contare sulla zona posteriore completamente inedita. Comodo il vano sottosella di forma regolare, in grado di contenere due caschi integrali. Prezzi a partire da 8.990 euro; [em] due le versioni, Sport e Business. 42 | 28 maggio 2014 | | DOTAZIONI PIù RICCHE E NUOVE MOTORIZZAZIONI PIù IN LINEA CON LE ESIGENZE DEL MOMENTO Nuova Mégane successo garantito I Iniziatore del segmento a tre ruote, MP3 500 della Piaggio torna con nuove chicche: Abs, antipattinamento Asr. A partire da 8.990 euro in due versioni: Sport e Business l 2014 non porta stravolgimenti nella gamma Mégane, ma la media della Losanga si presenta più agguerrita che mai, andando a pescare nel patrimonio recente delle Renault di successo (Clio e Captur) un po’ di look e un po’ di tecnologia. Il risultato di questi interventi porta in dote una nuova faccia, con il grande logo Renault bene in vista, una dotazione più ricca e l’arrivo di nuove motorizzazioni, più in linea con le esigenze del momento. Anche la Mégane tiene dunque conto del downsizing, che prevede una riduzione della cilindrata dei propulsori senza rinunciare a prestazioni e piacere di guida. Una scelta che, in abbinamento al sistema Start&Stop, promette una netta riduzione di consumi ed emissioni, tanto da far registrare, per il 1.5 dCi, il motore più sobrio in gamma, percorrenze dichiarate di oltre 28 km/l a fronte di 90 g/ km di Co2. E se il 1.5 dCi – ora disponibile anche con cambio EDC a doppia frizione – è una I PREZZI PARTONO DA certezza per Renault, le novità ar19.300 EURO PER rivano dai motori a benzina, che LA MÉGANE WAVE vedono l’ingresso in gamma del BERLINA FINO AI nuovo 1.2 TCe turbo da 130 caval23.350 DELLA 1.6 li, disponibile anch’esso con camDCI 130 CAVALLI. bio a doppia frizione EDC. LA SPORTOUR Nell’abitacolo la novità è data RICHIEDE UN ESBORSO dal sistema R-Link, con schermo DI ALTRI 800 EURO touchscreen da 7 pollici portato al debutto da Clio e Captur e ora approdato sulla nuova Mégane. Parlando di ausili alla guida sono nuovi anche il sistema Visio System e il Parking Camera, la telecamera posteriore che aiuta nel parcheggio. Come in passato, la gamma è declinata su tre livelli d’allestimento: Wave, GT Style e, al top, Energy GT Line, caratterizzato da ricercatezze quali assetto sportivo con sospensioni curate da Renault Sport, minore altezza da terra, interni parzialmente in pelle e cerchi in lega da 17 pollici. I prezzi partono dai 19.300 euro per la Mégane Wave berlina per arrivare ai 23.350 euro della 1.6 dCi 130 cavalli. La SporTour richiede un esborso supplementare di 800 euro. Sportività e bassi consumi: è lo slogan che Renault ha scelto per la Mégane. Va detto che anche nell’edizione 2014 la media Renault tiene fede allo slogan, non solo grazie al carattere dei motori ma anche in virtù dell’assetto, che soprattutto nelle versioni GT Line è piuttosto sostenuto e regala un piacere di guida dal gusto sportivo, più apprezzabile su berlina e coupé che sulla SporTour: quest’ultima rende al massimo con l’assetto standard, più in linea con l’utilizzo tipico di una wagon. Del resto avendo a disposizione entrambe le soluzioni, non c’è che da scegliere. Stefano Cordara | | 28 maggio 2014 | 43 ACTA MARTYRUM LA SHARIA IN SUDAN Meriam, 40 minuti per decidere di morire in nome di Cristo | DI LEONE GROTTI L a sua sorte era già stata decisa l’11 maggio da una corte di Khartoum, capitale del Sudan: condannata a morte tramite impiccagione per apostasia e a 100 frustate per adulterio. Poi il giudice Abbas Mohammed Al Khalifa ha sospeso la sentenza e ha proposto a Meriam Yahia Ibrahim una sorta di scambio: «Convertiti all’islam e lasceremo cadere le accuse, facendo finta che non sia successo niente». Le ha dato 72 ore di tempo per pensarci, convinto che la giovane cristiana avrebbe sicuramente colto l’occasione al volo e abiurato. Invece lo scorso 15 maggio, dopo aver intrattenuto un colloquio di 40 minuti con il giudice, Meriam gli ha risposto, quasi scusandosi: «Sono cristiana, non ho mai commesso apostasia e resterò cristiana». Al Khalifa ha incassato il colpo e davanti alla corte ha pronunciato una sentenza sprezzante, chiamando la donna con il suo nome islamico: «Adraf Al Hadi Mohammed Abdullah, ti abbiamo concesso tre giorni per abiurare ma hai deciso di non riconvertirti all’islam. Ti condanno alla morte per impiccagione». Le parole del magistrato hanno suscitato indignazione nelle redazioni di tutti i quotidiani del mondo, ma a essere davvero scandalosa è la professione di fede fatta da Meriam, che ai suoi 27 anni, al suo futuro, a suo marito, al figlio di un anno e mezzo e al piccolo che porta in grembo da otto mesi ha preferito Gesù e la verità: «Sono cristiana, non ho mai commesso apostasia e resterò cristiana». Oggi i me- 44 | 28 maggio 2014 | | dia scrivono che il suo avvocato ricorrerà in appello, che riuscirà a salvarla, che i governi di Stati Uniti e Gran Bretagna, dopo aver ignorato per mesi il suo caso, interverranno e faranno pressione sul governo sudanese per ribaltare la sentenza, che la donna non è sola grazie a una campagna internazionale e all’hashtag #Meriamdevevivere. Ma tutto questo la giovane donna non lo sapeva e non poteva prevederlo quando si è trovata per 40 minuti davanti al giudice e davanti a una scelta tremenda: rinnegare la propria fede o morire di una morte orrenda. Le cento frustate Il caso della dottoressa, cristiana ortodossa di 27 anni, è cominciato lo scorso febbraio, quando il fratello di Meriam insieme agli zii paterni l’ha denunciata alle autorità per presunta apostasia. Meriam è stata cresciuta dalla madre etiope ortodossa nella fede cristiana, visto che il padre sudanese di religione islamica se n’è andato di casa quando lei aveva solo sei anni. Anche sul certificato di matrimonio che lega la donna al marito del Sud Sudan Daniel Wani, in possesso di doppio passaporto statunitense, c’è scritto che è cristiana. Ma suo padre era un musulmano, ha ricordato il fratello alle autorità, e quindi anche lei non può che essere musulmana, visto che per la legge islamica la religione si tramanda di diritto dalla linea paterna. Su questi temi la sharia parla chiaro e in Sudan è fonte della legislazione e si ap- plica anche ai non musulmani: nel paese è prevista la pena di morte per chi si converte dall’islam a un’altra religione (ma non viceversa) ed è vietato alle donne musulmane sposare uomini di altre religioni (ma non viceversa). È per questo che la donna, oltre a essere stata condannata per essersi convertita al cristianesimo, dovrà ricevere anche 100 frustate per adulterio: la legge non riconosce un matrimonio tra una musulmana e un cristiano, dunque quello tra Meriam e Daniel Wani è nullo. Ma c’è di più: se il matrimonio non vale più, i due figli concepiti dalla coppia sono illegittimi e dopo la morte della madre saranno tolti al marito e affidati allo Stato. La prima vittima della legge È questo l’incubo che Meriam vive dal 17 febbraio, giorno in cui le autorità l’hanno prelevata da casa e rinchiusa in prigione insieme al figlio Martin, di appena 20 mesi. A nulla sono valse le testimonianze di chi ha confermato in tribunale che la donna non si è mai convertita al cri- Meriam Yahia Ibrahim insieme al marito in sedia a rotelle Daniel Wani. Dal 17 febbraio Meriam vive in carcere con il figlioletto Martin di 20 mesi e a inizio giugno dovrebbe partorire il secondo figlio «sono cristiana e resterò cristiana». non ha voluto convertirsi e per questo dovrà ricevere 100 frustate e morire per impiccagione. la sua testimonianza ha dato coraggio al LEGALE che rischia la vita per difenderla stianesimo dall’islam ma è sempre stata cristiana. I giudici le hanno respinte come ininfluenti e hanno emesso una sentenza storica per il Sudan: dal 1956 infatti, anno dell’indipendenza, nessuno è mai stato condannato a morte per apostasia. Dal 1983, quando è stata introdotta la sharia, solo Mahmoud Muhammad Taha è stato condannato per eresia all’interno di un processo politico. «Ma quel caso era diverso», dichiara l’avvocato della donna Muhanned Mustafa. «Lui dichiarava di essere Dio, il caso di Meriam è unico». È Meriam la prima vittima delle parole del presidente Omar al Bashir, salito al potere con un colpo di Stato nel 1989, che promise nel 2011, in seguito alla dichiarazione di indipendenza del Sud Sudan, di rendere il paese ancora più islami- co e la sharia ancora più influente. Resta il fatto che la Costituzione del paese garantisce formalmente la libertà religiosa e passate sentenze hanno sospeso l’esecuzione capitale di una madre gravida fino alla nascita del bambino e alla conclusione di un periodo di allattamento della durata di due anni circa. Meriam potrebbe partorire l’1 giugno e un secondo avvocato della donna, Mohamed Jar Elnabi, è fiducioso: «Faremo ricorso in ogni sede fino alla Corte costituzionale. Meriam è molto ferma e forte. Sa che riuscirà a uscirne un giorno». Le pressioni da parte dei giudici e della società musulmana però sono difficili da sopportare. Il giorno della sentenza, un gruppo di islamici si sono riuniti fuori dal tribunale: alla notizia della condanna hanno esultato gridando «Allahu Akbar», Dio è grande. Elnabi, da parte sua, è stato minacciato di morte ma ha scelto di non tirarsi indietro, come se la testimonianza di Meriam avesse infuso coraggio anche a lui: «Sono molto spaventato», ha ammesso. «Vivo nella paura, appena sento una porta che si apre o un suono strano in mezzo alla strada mi volto. Ma non potrei mai lasciare questo caso: devo aiutare chiunque sia nel bisogno, anche se questo può costarmi la vita». «Non mi resta che pregare» Anche il marito di Meriam, «costretto sulla sedia a rotelle», è spaventato. Pensa al figlio che si ammala di continuo a causa delle cimici che infestano la piccola cella nella quale è rinchiuso da febbraio. Pensa a se stesso, sapendo di «dipendere da mia moglie per tanti aspetti della mia vita quotidiana». Ma soprattutto pensa alla sorte di Meriam, ancora incerta, e non può fare altro che seguire il suo esempio: «Sono così frustrato. Non so che cosa fare. Non mi resta che pregare». | | 28 maggio 2014 | 45 LETTERE AL DIRETTORE Papa Francesco non smette di suscitare consenso e curiosità C aro direttore, grazie. La tua prefazione è bellissima, come bellissima è La ballata del carcere di Reading, è certamente una delle opere che ben descrive la vita dei reclusi e la loro disperazione. Mi confonde e mi emoziona che tu abbia pensato alla magnifica opera di Oscar Wilde per parlare del mio umile e scarso libro. Il grande poeta per molti anni dopo la galera e persino anche dopo la morte dovette portare il marchio infamante che gli impose la giustizia del puritanesimo vittoriano. Prego Dio di avere migliore sorte, ci spero ma non ci credo. Dice la ballata: «E il lancinante rimorso e i sudori di sangue, nessuno li conosce al pari di me: perché colui che vive più di una vita deve morire anche più di una morte». Ed io vorrei aggiungere che nella ballata del carcere di Rebibbia, per dirla con Gabriel García Márquez, ho «imparato che un uomo ha il diritto di guardare dall’alto in basso un altro uomo solo per aiutarlo a rimettersi in piedi». Il carcere è simile al Fenrir, che è un feroce ed enorme lupo partorito dal mito scandinavo, famoso perché ostile e nemico del popolo e al popolo. È creatura cattiva e portatore di disgrazie. Sempre tenuto incatenato, si serve però delle sue stesse catene per palesare la sua forza e la sua ferocia. Quando si tenta di imbrigliarlo, lui, Fenrir il carcere, azzanna i suoi padroni. Rabbioso, l’orrida bestia, ulula e ringhia, e con la bava che esce dalla sua bocca si alimenta un lago, il lago “Attesa”; e in attesa la bestia e il suo padrone tengono sempre le loro vittime. I detenuti, come il Fenrir, sono carichi di rabbia, ma al contrario del Fenrir sono anche carichi di speranza, non coltivano astio ma cercano amore. Si sentono emarginati dalla società e sentono che crolla loro addosso il mondo, ma lottano per liberarsi da ogni catena, lottano per vivere, sanno di avere solo una vita. La battaglia è difficile, faticosa, cruda, ma non hanno alternativa, devono combatterla. Lottare per noi detenuti vuol dire scegliere, difendere la di- gnità, alimentare la speranza, non consentire a Fenrir di estinguerci. Quando un giorno si riusciranno a spezzare le catene, tutte la catene, anche quelle di Fenrir si scioglieranno e Fenrir senza le sue catene morirà. Allora, solo allora finirà il carcere luogo per emarginare i cattivi, lontani dai buoni, e potrà rinascere come un luogo dove vive, piange, soffre, prega e spera un pezzo della nostra società. Allora sarà più libero il popolo e libero e certamente di Fred Perri UN AFFAIRE DEGNO DI NOI C il calcio è maestro di vita, illumina le nostre esistenze e ci offre la chiave per comprendere chi siamo, da dove veniamo, ma soprattutto perché non contiamo un cazzo. La Merkel, l’euro, il pareggio (assurdo) di bilancio, il Bunga Bunga non sono spiegazioni, sono conseguenze. Il problema siamo noi, gente da piccolo ca- 46 ome sempre, compagni e amici, | 28 maggio 2014 | | botaggio. Vi faccio un esempio. Si è appena concluso l’affaire Conte. All’italiana: andiamo avanti così, poi vediamo. Conte era convinto che il ciclo fosse chiuso, la Giuve che Conte avesse (a sufficienza) spappolato i maroni. Però ci sono i tifosi, tutti con l’allenatore, però le alternative non ci convincono del tutto, però se ci teniamo Conte e le cose vanno bene siamo da No- Foto: Ansa La Giuve e Conte. O di come l’Italia (non) risolve i suoi dilemmi [email protected] più buono lo Stato. Abbiamo il dovere di sperarci e di attendercelo, perché come ci ha detto Ratzinger, «l’uomo vive finché vive la speranza, la sua statura si definisce da cosa attende». Totò Cuffaro detenuto in Rebibbia, Roma Spero di essermi almeno conquistato l’anticipazione su Tempi della tua amica e intelligente ballata. 2 Voglio ringraziarvi per avermi risposto in modo completo ed esauriente nella rubrica del vostro sito “Fisco semplice”. Tanti complimenti a Massimiliano Casto per il modo di scrivere bello e semplice. Questa, in materia di tasse, è una grande dote di natura. Vincenzo via internet La gratitudine per le piccole cose, questo è buon segno e buon sangue. 2 Solo per unirmi al coro d’indignazione contro l’infelice scelta della giunta friulana guidata da Debora Serracchiani del Pd, che ha acquistato 108 sedie al costo di quasi mille euro al pezzo per la protezione civile regionale dalla società americana Herman Miller. In tempi di rigore e tentativi di rilancio dell’economia locale del legno, è un fatto vergognoso e inaccettabile. Loris Missigoi Udine Buon voto per le europee, almeno. 2 Ho letto lo splendido discorso di papa Francesco alla Conferenza episco- IL MESE DEL ROSARIO Felice come un ragazzo innamorato della Madonna CARTOLINA DAL PARADISO di Pippo Corigliano I eri, secondo una consuetudine che ho appreso da San Josemaría, sono stato a recitare il Rosario con uno studente nel parco delle catacombe di San Callisto, di fronte alla chiesa del Quo Vadis a Roma. I rumori della città scompaiono entrando nel parco; il viale è circondato da prati con i colori della primavera, ed è accompagnato per un tratto da cipressi, mentre più in là costeggia un uliveto che riluce al sole. Maggio è il momento opportuno per pregare la Madonna e affidarle i prossimi tempi. Abbiamo riso pensando a come dovrebbe essere la sua futura moglie. Nell’ordine: allegra, cattolica, affettuosa. Lo studente, un tipo brillante reduce da un corso di ritiro (esercizi spirituali), sta vivendo, a suo dire, il periodo più felice della vita. È incredibile quanto fa bene ritirarsi alcuni giorni in preghiera. Diventa evidente che la creatura è fatta per il creatore, mentre tutto intorno sembra spingerci al contrario: allo stordimento e all’autosufficienza. Il futuro sarà di chi sa amare, di chi farà nascere figli dal proprio amore. Chi si identifica con Cristo sembra sempre in minoranza ma quella minoranza è il lievito, come diceva Gesù. Il ragazzo confidava che era innamorato della Madonna e trovava bellissima una sua statua situata nel parco. A dir la verità a me sembrava una statua un po’ ordinaria ma mi ha fatto piacere che gli sembrasse bellissima. Aveva ragione, abbiamo una Madre che è bellissima sempre. Maggio è il suo mese: tornerò in quel luogo a dire il Rosario. pale italiana, contrassegnato da un pressante invito all’unità e ad andare fiduciosamente in mezzo al mondo. Un richiamo a fondare tutto sulla fede, sulla comunione ecclesiale, ad amare «con generosa e totale dedizione persone e comunità». A dire il vero, più che un discorso sembra una lettera aperta tesa a contrastare, come ho letto su Tempi, ogni forma di vita cristiana vissuta nel “tiepidume”. Paola Tabini San Vito (Bl) Vero. Questo Papa ha un bel piglio e una lingua speciale. Si percepisce questa sua volontà di rinnovamento: vuole religiosi e religiose «testimoni gioiosi» e, dice, «non si può narrare Gesù in maniera lagnosa». Invita i pastori ad avere «fiducia nel popolo santo» ma anche a non attardarsi «su una pastorale della conservazione». Francesco riscuote un consenso unanime. Il che suscita impressione e crescente curiosità. Foto: Ansa SPORT ÜBER ALLES bel e se vanno male che volete da noi, ve l’abbiamo confermato, però io non mi dimetto, al massimo risolviamo consensualmente e transiamo perché io voglio gli sghei che mi spettano fino al 2015 o parte di essi, però se risolvo dove vado che le mattonelle sono tutte occupate? Insomma è come quando c’è da avviare un’attività, da costruire una ferrovia, da inventare un’app che renda il servizio di pubblico trasporto più efficiente e veloce. Pigrizia, burocrazia, rendite di posizione, assenza di coraggio, lobby contrarie, paura del nuovo, elegia del posto fisso. Tutto questo ci paralizza, ci blocca, ci inchioda a una mediocrità di cui siamo noi i primi responsabili. | | 28 maggio 2014 | 47 taz&bao Giovani senza testa «Io ricordo ai giovani colleghi del 5 Stelle – perché sono quasi tutti giovani – che la storia ci insegna una cosa: che chi porta la ghigliottina in piazza, prima o poi la testa sotto la ghigliottina ce la mette, (…) che troveremo uno che è sempre più Robespierre di te e distruggerai le istituzioni, le libertà personali, i presidi storici della democrazia liberale». Maurizio Bianconi deputato di Forza Italia, dichiarazione di voto contraria alla carcerazione preventiva del collega del Pd Francantonio Genovese, invocata dalla procura di Messina e infine approvata dalla Camera per volontà del suo stesso partito e del M5S, 15 maggio 2014 (nella foto, l’onorevole grillino Manlio Di Stefano in aula nel giorno del voto) 48 | 28 maggio 2014 | | Foto: Ansa MISCHIA ORDINATA LA STRAGE DEI MINATORI E IL NAUFRAGIO DEI MIGRANTI I soli occhi capaci di sondare la terra, il mare e le loro tragedie di Annalisa Teggi «E quindi uscimmo a riveder le stelle» (Inferno, canto XXXIV) D opo essere sceso nella voragine infernale, Dante riemerge e ritrova la vista delle stelle. Mi chiedo che impressione abbiano avuto i minatori turchi usciti superstiti dall’inferno sotterraneo a Soma; non saranno stati pensieri così poetici, ma lamenti semicoscienti e scioccati. Si dice che alcuni di quelli rimasti intrappolati e vivi là sotto abbiano tentato il suicidio. Fra i trecento morti c’è anche Kemal Yildiz, 15 anni; l’hanno chiamato il Rosso Malpelo di Soma, perché, come quel celebre personaggio, an- IN DUE GIORNI la cronaca ci ha ricordato che che lui ha conosciuto fin da nessun luogo è senza pericolo, e in ogni elemento piccolo il duro mestiere di chi la mano dell’uomo perpetra abusi e violenze si spacca la schiena sottoterra. E proprio a Verga mi ero messa a pensare ne. Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delanch’io, constatando che nel giro di due gior- le acque mare. E Dio vide che era cosa buona». ni due diverse stragi parevano uscite proprio Per quanto siano cose buone e separate, il madalla voce del grande narratore siciliano. Ma- re e la terra sono anche abissi di dolore, s’anre e terra, naufragi e crolli sotterranei: pri- nega e si soffoca. A distanza di un giorno la ma abbiamo visto l’ennesimo dramma dei cronaca ci ha ricordato che nella grande vamigranti che sono morti al largo della Sici- rietà di paesaggi acquei e terrestri nessun luolia, poi dalla Turchia è arrivata la notizia del go è senza pericolo, e in ogni elemento la macrollo in miniera. Centinaia di vittime in en- no dell’uomo perpetra abusi e violenze. Questo pensavo, quando sul treno ho trambi i casi, condizioni di vita estreme che l’occhio di Verga abbracciò semplicemen- buttato l’occhio sul quotidiano che leggeva te guardando la vita nella sua terra natia: il il tizio accanto a me. Il titolo della pagina in naufragio della Provvidenza, la barca dei Ma- cui si era soffermato recitava: “Niente soldi, lavoglia, e la storia del piccolo Rosso Malpe- sponsor e genitori dipingono la scuola”. Se lo. Per mare e per terra, lontano da qui, ma nessuno si adopera per sistemare una scuola, anche a un palmo di naso, tragedie impre- ecco che i genitori si armano di pennelli e atvedibili e tragedie prevedibili accadono. «Vo- trezzi. E grazie a questo il mio pensiero è anlete metterci un occhio anche voi, a cotesta dato oltre. Già, perché fu così fin dal princilente?», chiedeva Verga alla nobildonna in- pio, da quando spiccò, tra i tanti animali del curiosita di conoscere la vita dei pescatori creato, uno che disegnava sulle pareti delle e contadini di Sicilia. E lei, schifata, non re- grotte. Fu l’unico capace di alzare gli occhi sistette in mezzo a quella gente neppure 48 stupiti alle stelle e rimase l’unico in grado ore. C’era un universo intero tra quelle zolle di disegnare, raccontare, calcolare… insomma in grado di sondare con coscienza e pare onde, ma troppo duro da guardare. Lo scrittore, invece, guarda, perché sotto tecipazione (non solo con abusi e violenze) sotto lui è una specie di creatore ed è attrat- il putiferio che c’è in ogni dove, per mare e to dai grandi elementi del creato: fuoco, aria, per terra. Resta l’unico capace di incalzare i acqua e terra. Sappiamo che nel terzo giorno suoi simili a essere vigili dicendo: vuoi butDio separò l’acqua dalla terra: «E così avven- tarci un occhio anche tu? 50 | 28 maggio 2014 | |
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