“Guerra Fredda”? - Accesso richiesto

Storia contemporanea - questionari
Lezione 2
Cosa si intende per “Guerra Fredda”?
Il periodo della Guerra Fredda è il periodo della minaccia di guerra fra gli
USA e l‟URSS. Esso si estende dal lancio delle prime bombe atomiche
(1944) al crollo dell‟URSS (1989);
Il periodo della Guerra Fredda si divide in due metà:
- L‟Età dell‟oro: (i decenni dai 50 ai primi anni ‟70)
- I decenni della crisi: quelli che seguono
Cosa si intende per “seconda” Guerra fredda? Quali furono le
coincidenze storiche che la fecero “scoppiare”?
La cosiddetta “seconda Guerra fredda”, si sviluppò a metà degli anni 70 e
fu determinata da una crisi dell‟economia mondiale che raggiunse il suo
apice nei primi anni ‟80 ma che, inizialmente, fu avvertita soltanto perché il
prezzo del petrolio aumentò per iniziativa dei paesi produttori.
Breznev, successore di Chruscev, fu contento di questo rialzo perché
quadruplicò il valore dei nuovi depositi di petrolio e gas naturale scoperti in
URSS negli anni ‟60.
Gli USA, invece, erano impegnati nella Guerra del Vietnam. Il conflitto,
iniziato dal tentativo della guerriglia comunista (Fronte nazionale di
liberazione o Vietcong) di rovesciare il governo filo occidentale
sudvietnamita, divenne internazionale quando i sudvietnamiti ottennero
l‟appoggio degli Stati Uniti, mentre i nordvietnamiti quello dell‟Unione
Sovietica e della Repubblica Popolare Cinese.
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Tale guerra demoralizzò e divise gli USA, portandoli dopo dieci anni
(1965-75) alla sconfitta e alla ritirata; dimostrò, inoltre, il loro isolamento,
dato che nessun alleato inviò aiuti.
L‟isolamento fu reso ancora più evidente dalla guerra dello Yom Kippur
del 1973 tra l‟alleato Israele e l‟Egitto e la Siria riforniti dai sovietici. Gli
alleati europei, con eccezione di Portogallo, si rifiutarono perfino di offrire
le basi militari d‟appoggio. Essi erano più preoccupati per le forniture di
petrolio dal Medio Oriente che per gli interessi degli USA:
attraverso l‟OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries, nata
nel 1960 e che includeva originariamente Iran, Iraq, Kuwait, Arabia
Saudita e Venezuela), gli stati arabi del Medio Oriente avevano impedito
l‟appoggio a Israele, tagliando le forniture e minacciando l‟embargo e
rendendosi conto, in tal modo, della propria capacità di moltiplicare il
prezzo del petrolio.
In tutto questo, gli Stati Uniti erano impotenti. Tuttavia, Vietnam e
questione petrolifera indebolirono sì gli USA ma non modificarono
l‟equilibrio internazionale.
Lo fece, tra il 1974 e il 1979, una nuova ondata di rivoluzioni: regimi in
Africa, in Asia e perfino America vennero attratti nell‟orbita sovietica e
misero a disposizione dell‟URSS basi militari, specie navali.
La seconda guerra fredda fu il prodotto della coincidenza di questa nuova
ondata di rivoluzioni con il senso di fallimento degli USA.
In che modo la situazione internazionale incide sul sorgere della
Guerra Fredda?
La Guerra fredda, in particolare, è legata ai ricordi delle crisi che hanno
determinato le guerre mondiali. I governi accettarono la divisione mondiale
stabilita alla fine della guerra, ma si trattò di un equilibrio di forze ineguale:
- L‟URSS controllava o godeva di un‟influenza importante nella zona
occupata dalle forze militari comuniste e non cercò di estendersi;
- Gli USA ottennero un‟egemonia economica su larga scala, prendendo il
posto delle ex potenze coloniali (specialmente Inghilterra e Francia);
- In Europa le linee di demarcazione furono tracciate nel periodo 1943-45,
in seguito agli accordi tra l‟americano Roosvelt, l‟inglese Churchill e il
russo Stalin. La situazione della Germania venne risolta con la
spartizione della Germania e della capitale Berlino secondo le aree di
occupazione a est e a ovest; L‟URSS non accettò l‟esistenza di Berlino
ovest, ma non era disposta a combattere per cancellarla;
- Al di fuori dell‟Europa la situazione era caratterizzata da minor certezza,
eccetto il Giappone dove gli USA esercitavano un‟occupazione
unilaterale;
- I paesi del terzo mondo in genere, benché non nutrissero simpatie per
USA e alleati, non erano comunisti ed in politica internazionale si
definivano “non allineati”.
Facoltà di Psicologia
Le due superpotenze continuarono, durante la Guerra fredda, a competere
per cercare alleati e esercitare maggiore influenza. Entrambe si fidarono
della moderazione della controparte, perfino in guerra.
L‟avvento del comunismo in Cina nel ‟49 preoccupa sia l‟America che
l‟URSS, la quale vede il proprio dominio minacciato da distacchi (ad
esempio: il dittatore Tito in Jugoslavia), ma il possesso di armi nucleari da
parte di entrambe rende la guerra indesiderabile; si sceglie dunque la tattica
della minaccia.
Dopo che l‟URSS acquisì le armi nucleari (l‟atomica nel 1949 e la bomba
H nel 1953)entrambe le superpotenze abbandonarono l‟idea della guerra,
considerata giustamente suicida.
La Guerra fredda si svolse, più che fra gli Stati, tra i loro servizi segreti: la
fama di questi ultimi diede vita a un fervido immaginario che sfociò in quel
tipico derivato letterario che è il romanzo di spionaggio. In realtà, le
operazioni del KGB, della CIA e simili, sebbene spettacolari, erano di poco
conto.
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Perché l’alleanza antifascista tra capitalismo e comunismo si rompe nel
dopoguerra?
La maggioranza delle persone in occidente si aspettava nel dopo guerra una
grave crisi economica, in analogia con ciò che era successo dopo la prima
guerra mondiale.
Pertanto i programmi postbellici americani furono molto tesi più a impedire
un‟altra Grande crisi (come quella derivata dal crollo di Wall Street
del ‟29) che un‟altra guerra, perché i paesi che avevano combattuto la
guerra erano in macerie e i popoli erano affamati, disperati, radicalizzati e
pronti ad ascoltare l‟appello proveniente dall‟URSS: quello della
rivoluzione sociale e delle politiche economiche (come la pianificazione
statale) incompatibili col sistema internazionale di libero mercato.
Gli USA erano i soli a fronteggiare questa minaccia. La situazione
sembrava sfavorevole ai politici moderati: i comunisti erano emersi più
forti. Era naturale che l‟alleanza tra la potenza capitalista e quella socialista,
che aveva avuto la sua ragion d‟essere nella sconfitta del fascismo, si
rompesse.
Tuttavia, la politica americana si spinse oltre ed evocò uno scenario da
incubo, come nella campagna retorica di Kennedy del ‟60 (“la libertà nel
nome di Dio contro una spietata tirannia atea”).
Qual è la situazione politica ed economica dell’URSS alla fine della
seconda guerra mondiale?
L‟URSS, alla fine della II Guerra Mondiale, non aveva mire
espansionistiche e non covava intenzioni aggressive:
- smobilitò le sue truppe riducendo l‟Armata rossa;
- I regimi satelliti controllati da Mosca non erano tenuti a edificare stati
sul modello dell‟URSS ma un regime di democrazia parlamentare
multipartitica. Coloro che rifiutarono questa linea furono quelli le cui
rivoluzioni, scoraggiate da Stalin, sfuggirono al controllo moscovita,
come nella Jugoslavia di Tito;
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- Gli effetti della guerra erano disastrosi: l‟economia a pezzi; un governo
che non aveva buoni rapporti con la popolazione diffidente;
- Stalin era tanto avverso alle avventure rischiose al di fuori dell‟unione
quanto spietato all‟interno; necessitava di aiuto economico e perciò non
aveva interesse a contrastare l‟unica potenza che poteva concederglielo:
gli USA;
- Stalin, in quanto comunista, credeva che il capitalismo sarebbe sì stato
sostituito dal comunismo, ma i dirigenti non lo consideravano in crisi,
dato che gli USA godevano di ricchezza e potenza palesi;
In considerazione di ciò l‟unico atteggiamento che si addicesse all‟URSS
non era quello aggressivo ma difensivo.
In cosa consiste l’idea di “contenimento” del comunismo da parte degli
USA? Cosa si intende per “maccartismo”?
Kennan fu il diplomatico americano che nel ‟46 ideò la politica di
“contenimento”
Egli vedeva nella Russia una società tesa alla ricerca della sicurezza
mediante la lotta senza patti con le potenze rivali, arretrata e barbarica,
governata da un senso di insicurezza, pronta all‟isolamento: uno stato,
insomma, governato dalla logica della forza piuttosto che da quella della
ragione.
Il comunismo non poteva che rendere la vecchia Russia ancora più
pericolosa in quanto ideologia utopistica votata alla conquista del mondo.
Gli USA, dunque, avrebbero dovuto contenere i caratteri della politica e
società russa con una resistenza senza compromesso, anche a prescindere
dall‟esistenza del comunismo.
Dal punto di vista di Mosca, la sola strategia per difendere la posizione di
potenza internazionale era la stessa: niente compromessi.
L‟URSS poteva essere disposta a ritirarsi da ogni posizione allo scoperto
tranne gli accordi di Yalta del ‟43-45 che le assicuravano di confinare con
Iran e Turchia.
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Gli americani a loro volta godevano del nucleare, a differenza dell‟URSS,
ma la loro superiorità non era schiacciante: non disponevano neppure degli
aeroplani per eventualmente sganciare le loro dodici atomiche.
Mentre gli USA erano preoccupati per la supremazia mondiale dell‟URSS,
Mosca era preoccupata per l‟egemonia americana. Dal punto di vista
sovietico la tattica più logica era l‟intransigenza, piuttosto che la guerra.
Perché dunque lo scontro da “razionale” divenne “irrazionale”? Come gli
URSS, gli USA rappresentavano un‟ideologia che molti americani
ritenevano il modello da seguire: la democrazia.
Mentre i dirigenti sovietici non dovevano ottenere il voto favorevole del
Congresso per vincere le elezioni presidenziali o parlamentari, il governo
statunitense sì.
Per questo scopo un anticomunismo apocalittico si rivelava utile e perciò
attirava anche quei politici che non erano convinti della retorica che
usavano (ciò non toglie che alcuni finissero per farsi pervadere
dall‟ossessione).
Un nemico esterno era utile. L‟anticomunismo era un‟ideologia popolare in
un paese costruito sull‟individualismo e sull‟impresa privata, dove la
nazione stessa era definita esclusivamente nei termini di un‟ideologia
(l‟americanismo) che poteva essere considerata l‟opposto del comunismo.
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Non fu il governo a iniziare la caccia alle streghe contro i rossi, ma
demagoghi, alcuni dei quali, come lo stesso senatore McCarthy (da cui il
nome “maccartismo”), non erano neppure particolarmente anticomunisti,
ma scoprirono l‟efficacia della dinamica del capro espiatorio esterno ed
interno su vasta scala.
Che differenza intercorre fra l’atteggiamento degli USA e dell’Europa
nei confronti del comunismo?
Tutti gli stati occidentali europei erano anticomunisti ma la preoccupazione
della cospirazione comunista mondiale non era presente come negli USA.
Solo negli USA i presidenti venivano eletti (come John Fitzgerald Kennedy
nel 1960) per il loro impegno anticomunista, anche se la presenza del
comunismo nel paese era assolutamente insignificante.
In realtà, come dimostra la retorica dei discorsi elettorali di Kennedy
(“torneremo ad essere i primi […] punto e basta”), in gioco non era la
minaccia comunista ma il mantenimento della supremazia statunitense.
I paesi aderenti alla NATO, benché tutt‟altro che soddisfatti della politica
americana, erano pronti ad accettarla per protezione contro la potenza di un
sistema politico ripugnante (l‟URSS) di cui non si fidavano. Ma non tutti
volevano la distruzione del comunismo.
Lezione 3
Quali sono i principali terreni dello scontro tra USA e URSS durante
la Guerra fredda?
Gli USA e l‟URSS durante la Guerra fredda furono entrambe impegnate in
guerre importanti, ma non l‟una contro l‟altra. In particolare:
Stati Uniti ed alleati intervennero:
- in Corea nel 1950, per impedire al regime comunista del Nord di
espandersi verso il Sud, col risultato di impedirne sì l‟espansione ma
senza destabilizzare il regime.
- in Vietnam (1965-75), con gli stessi obbiettivi ed una forte sconfitta.
L‟URSS a sua volta:
- dal 1980 al 1988 appoggiò l‟Afghanistan contro la guerriglia rifornita dai
Pakistani e appoggiata dagli americani
Le sconfitte subite erano segno che la costosa tecnologia bellica sviluppata
dalle superpotenze non era decisiva.
Perché i movimenti pacifisti vengono tacciati come comunisti?
Quel che la costante minaccia nucleare produsse fu il sorgere di movimenti
pacifisti internazionali che vennero considerati dalla retorica (convinta o
meno) della Guerra fredda armi segrete dei comunisti.
Uno specifico movimento pacifista, quello dei giovani americani contro
coscrizione obbligatoria per il Vietnam, si rivelò abbastanza importante.
Ciò che questi movimenti lasciarono dietro di sé alla fine della Guerra
fredda fu un novero di effetti secondari come, ad esempio, il simbolo
antinucleare nelle controculture post-sessantottine o il pregiudizio
ambientalista contro ogni tipo di energia nucleare.
Perché la politica del blocco sovietico è più stabile di quella dei paesi
sotto l’influenza nordamericana? Come cercano gli USA di rimediare a
questo? A quali forze fanno appello?
Al fine di rendere la politica del blocco comunista monolitica, L‟URSS:
- eliminò i non comunisti dalle “democrazie popolari multipartitiche”
dell‟Europa orientale, che furono ribattezzate come “dittature del
proletariato” (cioè, di fatto, dittature dei partiti comunisti).
- Istituì un‟internazionale comunista ristretta ed eurocentrica (Cominform
o Ufficio di informazione dei partiti comunisti) per contrastare gli USA,
che si sciolse nel 1956.
- Il controllo sovietico stringeva l‟Europa orientale a eccezione della
Finlandia, dove il partito comunista fu estromesso dal governo (forse
Stalin non è intervenuto per evitare una guerra).
Al fine di rimediare a tale situazione gli USA:
- adottarono le misure di semplificare la situazione interna del Giappone e
dell‟Italia, creando un sistema retto da un solo partito:
- a Tokyo, in particolare, incoraggiarono la fondazione del partito
liberaldemocratico;
- in Italia, invece insistendo per l‟esclusione dell‟opposizione comunista
dal potere, consegnarono il paese in mano ai democratici cristiani,
sostenuti a seconda delle occasioni da diversi partiti minori (liberali,
repubblicani, ecc.). Dall‟inizio degli anni ‟60 il solo partito con una certa
consistenza, quello socialista, si aggregò alla coalizione governativa,
disimpegnato dopo il 1956 dall‟alleanza coi comunisti.
La conseguenza in entrambi i paesi fu di rendere stabilmente i comunisti in
Italia e i socialisti in Giappone i più importanti partiti di opposizione, e di
insediare un regime governativo di corruzione istituzionale su vasta scala:
quando questa venne alla luce nel 1992-93, lasciò di stucco gli italiani
(operazione “mani pulite”) e anche i giapponesi.
Quel che gli USA avevano ottenuto era un sistema immobile di relazioni
tra governi e opposizioni.
Cos’è la Comunità Europea? Perché nasce? Quali incertezze la
caratterizzano?
La Comunità Europea, è l‟effetto più evidente della guerra fredda sulla
politica internazionale europea.
Essa fu una forma di organizzazione politica, di integrazione economica e
in parte giuridica di un certo numero di stati nazionali indipendenti.
Inizialmente, nel 1957, la Comunità Europea comprendeva sei stati
(Francia, Repubblica federale tedesca, Italia, Olanda, Belgio e
Lussemburgo).
Ad essi se ne sono aggiunti altri sei tra il ‟73 e l‟86 (Gran Bretagna, Irlanda,
Spagna, Portogallo, Danimarca, Grecia) e infine altri tre nel ‟95 (Austria,
Finlandia, Svezia).
Attualmente sono 27, a causa dell‟entrata di Slovenia, Repubblica Ceca,
Slovacchia, Ungheria, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Cipro,
Bulgaria, Romania.
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In teoria la comunità europea è impegnata a perseguire un‟integrazione
politica ed economica ancor più stretta, che deve condurre ad una
permanente unione politica federale o confederale.
Essa fu creata sia (indirettamente) dagli USA, sia contro di essi. Ciò
dimostra sia il potere degli Stati Uniti che le loro ambiguità e limiti, nonché
la forza delle paure che tenevano insieme l‟alleanza:
- la Francia continuava ad aver paura della Germania, memore delle
aggressioni belliche;
- a oriente, si temeva l‟URSS;
- a occidente, gli USA.
In breve, la Comunità europea costituiva un‟alternativa al piano americano.
F
Cos’è il Piano Marshall? Qual è il suo fine?
il Piano Marshall è un programma massiccio di aiuti per la ricostruzione
dell‟Europa lanciato dagli americani nel 1947 per rimettere in moto
un‟economia mondiale nella quale gli USA avrebbero assunto il ruolo di
leader.
Nel 1946 - 47, infatti, la situazione dell‟Europa occidentale sembrava così
tesa che il governo di Washington capì che la priorità assoluta era quella di
far sviluppare l‟economica europea e più tardi quella giapponese.
Il Piano, in particolare, assunse la forma di concessione di sovvenzioni e
non di prestiti.
Facoltà di
Tuttavia, l‟originale piano di un‟economica mondiale basata sul libero
commercio, sulla convertibilità monetaria e sui liberi mercati dominati
dagli USA si rivelò irrealistico perché Europa e Giappone avevano
difficoltà a gestire i pagamenti. L‟imposizione del modello americano,
inoltre, non piaceva né agli inglesi né ai francesi.
Il meglio che i francesi potessero fare in tal caso era intrecciare i loro
interessi con quelli tedeschi, in modo da rendere impossibile un eventuale
conflitto; per tale scopo imposero una propria versione della coalizione
europea: la Comunità Europea del Carbone e dell‟Acciaio (1950) che si
sviluppò poi nella Comunità economica europea o Mercato comune
europeo (1957), più tardi semplicemente Comunità europea e, dal 1993,
Unione europea.
I suoi quartieri generali erano a Bruxelles, ma il suo nucleo nell‟unità
franco - tedesca.
La fine della Guerra fredda e la riunificazione tedesca del 1990 ne
avrebbero minato le fondamenta.
Gli USA erano, in ogni caso, forti abbastanza da dettarne la condotta
internazionale: la Germania venne riarmata, le tentazioni di un neutralismo
europeo represse e l‟unico tentativo da parte di Francia e Regno Unito di
impegnarsi indipendente dagli USA, cioè la guerra di Suez contro l‟Egitto
nel 1956, fatta abortire.
Cosa succede agli USA dagli anni ’60 in poi?
Prima degli anni 60, con l‟oro di Fort Knox, quasi i tre quarti delle riserve
auree mondiali, la stabilità del dollaro era garantita.
Tuttavia, dagli anni ‟60 il valore della moneta iniziò comunque a scendere,
per cui l‟Europa preferì scambiare coi lingotti la cartamoneta svalutata.
L‟oro uscì fuori dall‟America e il suo prezzo salì: dagli anni ‟60 la stabilità
del dollaro e dell‟economia internazionale non si basò più, dunque, sulle
riserve auree degli USA, ma sulla disponibilità delle banche centrali dei
paesi europei ad associarsi per stabilizzare il prezzo dell‟oro nel Consorzio
aureo. Tale Consorzio non durò che fino al 1968: così ebbe termine la
stabilità monetaria.
Da questo momento fino alla fine della Guerra fredda, l‟egemonia
economica statunitense andò scemando, quasi fino a scomparire.
Significativamente, la guerra del Golfo nel 1991 contro l‟Iraq, non potendo
essere pagata dagli USA, fu pagata dai altri paesi che li sostennero.
Lezione 4
In che circostanza storica la Guerra fredda conobbe un abbassamento
dei toni? Quali leader si fronteggiavano e che tipo di politica
conducevano?
L‟abbassamento dei toni della Guerra Fredda avvenne nei primi anni ‟60,
grazie ad un periodo di prosperità vissuto dall‟Europa occidentale.
I leaders che si fronteggiavano in tale periodo erano Chruscev in Unione
sovietica e Kennedy negli USA.
Chruscev, in particolare, alla fine degli anni 50, favorì in URSS una
politica di riforme votata alla coesistenza pacifica, svuotò i campi di
concentramento (gulag) e dominò la scena internazionale.
Tuttavia, vi fu un certo attrito tra i bluff e l‟impulsività di Chruscev, da un
lato, e la politica dimostrativa di John F. Kennedy, dall‟altro.
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In quest‟epoca, al mondo capitalista sembrava di perdere terreno di fronte
alle economie comuniste, la cui crescita durante gli anni ‟50 era
simboleggiata dal lancio di satelliti spaziali sovietici e dal successo del
comunismo a Cuba.
L‟URSS, a sua volta, era preoccupata non solo dalla retorica di Washington
ma anche della rottura con la Cina, che accusava Mosca di capitalismo,
costringendo Chruscev ad un atteggiamento intransigente con l‟Occidente.
L‟improvvisa decolonizzazione nel Terzo mondo, inoltre, sembrò favorire i
sovietici, che da sempre si erano schierati con i popoli colonizzati.
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Le due superpotenze si fronteggiarono a Berlino, nel Congo e a Cuba,
risolvendo le questioni in modo pacifico: il Muro di Berlino, eretto nel
1961, chiuse l‟ultima frontiera che era rimasta incerta tra l‟Est e l‟Ovest; gli
USA accettarono un paese comunista come Cuba alle porte di casa; i
focolai di guerriglia nell‟America latina e in Africa si estinsero;
Nel 1963 si installò una linea telefonica “calda” che collegò direttamente la
Casa Bianca e il Cremino.
Kennedy fu assassinato nel 1963; Chruscev si ritirò nel 1964 dall‟apparato
sovietico, che preferiva una politica meno impetuosa.
Che peculiarità aveva la politica di Breznev e cosa comportò per
l’URSS? Perché?
La politica dell‟URSS brezneviana degli anni ‟70 fu caratterizzata
dall‟autocompiacimento.
di Psicologia
In questa fase, la nuova ondata di rivoluzioni contro i regimi conservatori
di cui gli USA erano i difensori diede all‟URSS la possibilità di riprendere
l‟iniziativa: i territori ex-portoghesi passarono sotto il controllo di
movimenti comunisti; l‟Etiopia conobbe una rivoluzione filosovietica; la
flotta sovietica acquisì nuove basi sull‟oceano Indiano; lo scià (imperatore)
dell‟Iran cadde.
In realtà, il regime brezneviano si era nel frattempo rovinato da solo,
perseguendo un programma di armamenti che per vent‟anni, a partire dal
1964, aveva fatto crescere le spese militari del 4-5%. Tale corsa insensata
dava la soddisfazione di raggiungere nel 1971 la parità con gli USA e nel
1976 il 25% di superiorità, eccezion fatta per il nucleare.
Lo sforzo per distribuire le forze marittime in tutto il mondo fu anch‟esso
irragionevole strategicamente, ma comprensibile come gesto politico:
l‟URSS non accettava più di essere confinata.
Facoltà di Psicologia
In termini reali, la potenza statunitense rimaneva la più grande.
Economicamente e tecnologicamente la superiorità occidentale e
giapponese era incalcolabile.
I sovietici, inflessibili, continuavano a rallegrarsi di produrre, durante gli
anni ‟80, l‟80% in più di acciaio, il doppio di ghisa e cinque volte più
trattori degli USA, non realizzando che l‟economia mondiale dipendeva dal
silicone e dall‟elettronica.
Gli scenari nucleari creati dal nulla, nel frattempo, ebbero l‟effetto di
convincere i sovietici che un attacco da parte occidente era imminente e
innescarono il più grande movimento europeo pacifista e antinucleare di
massa di tutta l‟epoca della Guerra fredda, cioè la campagna contro il
dispiegamento di nuovi missili in Europa.
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Sul fronte americano, profondi traumi e un senso di disfatta e impotenza
avevano lacerato le istituzioni negli anni ‟70, considerate anche le vicende
in cui è stato coinvolto il presidente repubblicano Nixon (1968-74) con lo
scandalo Watergate (la scoperta di un'incursione spionistica segreta
effettuata da personalità legate al partito repubblicano negli uffici del
comitato elettorale degli avversari democratici, all‟hotel Watergate di
Washington).
Come reagì politicamente l’occidente di fronte alla crisi che iniziò negli
anni ’70?
L‟equilibrio mondiale, alla fine degli anni ‟70 era stato ripristinato quando
la NATO, l‟organizzazione militare antisovietica nata nel 1949, aveva
iniziato il programma di riarmo degli alleati.
Inoltre, i nuovi regimi di sinistra in Africa erano stati tenuti sotto controllo
da movimenti o stati appoggiati dagli USA: l‟iniziativa aveva avuto
successo nell‟Africa centrale e meridionale, poiché poteva contare
sull‟appoggio del regime razzista sudafricano, mentre nel Corno d‟Africa
no (in entrambe le aree, i russi si avvalevano dell‟aiuto di forze cubane, con
l‟impegno di Fidel Castro per la rivoluzione nel Terzo mondo).
In che senso il contributo di Reagan alla Guerra fredda fu di tipo
ideologico?
Il contributo di Reagan alla Guerra fredda fu ideologico e rientrò nella più
generale reazione occidentale all‟epoca di incertezze iniziata negli anni „70.
La Guerra fredda reaganiana, si svolse non solo contro l‟Impero del Male
comunista, ma anche, all‟interno, contro la memoria di Roosevelt (19331945), il quale aveva promosso, all‟interno del sistema capitalistico, uno
stato assistenziale e dall‟economia pianificata, su ispirazione
dell‟economista Keynes.
Il nuovo nemico divenne, insomma, il liberalismo sociale e politico, ovvero
lo stato assistenziale e ogni altra forma di interferenza statale nell‟iniziativa
privata.
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In realtà, Reagan credeva effettivamente in una coesistenza tra USA e
URSS che non si fondasse sull‟equilibrio nucleare; sognava un mondo
privo di armi, così come anche il nuovo segretario generale del Partito
comunista dell‟URSS, Michail Sergeevic Gorbacev (1985-91).
Quando, come e per opera di chi finì la Guerra fredda?
La guerra fredda finì quando entrambe le potenze riconobbero l‟assurdità
della corsa nucleare e accettarono di credere nel desiderio dell‟altra di porvi
fine.
Tale atto era più facile per un sovietico perché la Guerra fredda non era mai
stata vista da Mosca nei termini da “crociata” statunitensi; i sovietici non
dovevano fare i conti con un‟opinione pubblica in stato di eccitazione.
Gorbacev ebbe successo nel convincere gli americani e gli altri occidentali.
A sua volta, l‟idealismo di Reagan seppe vincere l‟influenza dei personaggi
bellicosi che lo circondavano: la Guerra fredda finì dunque coi due vertici
di Reykjavik (1986) e di Washington (1987).
Cosa successe all’area socialista con la distensione?
Ciò che sconfisse l‟URSS non fu la guerra, ma la distensione. In ogni caso,
la Guerra fredda non si poteva riconoscere finita finché l‟URSS non avesse
cessato di essere una potenza: il complesso militar-industrale continuò a
funzionare.
Dopo la guerra fredda, le prospettive del socialismo come alternativa al
capitalismo dipendevano dalla sua capacità di competere economicamente,
ma già dal 1960 il divario era incolmabile.
Quanto alla tecnologia, il confronto era improponibile. A minare il
socialismo fu la combinazione tra i difetti economici e l‟invasione da parte
dell‟economia capitalistica.
Fu l‟interazione dell‟economia sovietica con quella capitalista dagli
anni ‟60 che sancì la crisi della prima.
Quali furono i tre effetti principali della fine della Guerra fredda?
In primo luogo, la guerra fredda aveva oscurato tutte le rivalità
internazionali precedenti la seconda guerra mondiale, tranne quella tra
comunismo e capitalismo.
Alcuni conflitti erano scomparsi perché gli imperi coloniali erano svaniti;
altri perché, rispetto a USA e URSS, le potenze coinvolte erano di secondo
piano.
Francia e Germania occidentale non si fecero guerra dopo il 1947 non
perché il conflitto fosse impensabile, ma perché entrambe appartenevano
allo schieramento occidentale e perché Washington non avrebbe permesso
alla Germania iniziative bellicose.
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In secondo luogo, la guerra fredda aveva congelato la situazione
internazionale, stabilizzandola.
Stabilità non significò pace: gli anni tra il 1948 e il 1989 furono dominati
da conflitti armati seri, seppur controllati o soffocati per timore di una
guerra aperta.
Le politiche vennero congelate solo in casi particolari: in Italia, Cile o
Guatemala gli USA non potevano permettere andassero al governo
comunisti o filocomunisti;
l‟URSS non poteva non inviare truppe nei paesi dissidenti come Ungheria o
Cecoslovacchia.
Il blocco sovietico, con minore varietà di partiti, conobbe fratture: prima
del 1970, l‟URSS aveva già perso il controllo su Jugoslavia, Albania e
Cina; inoltre doveva sopportare il comportamento individualistico dei
leader cubano e rumeno.
Nel Terzo mondo, infine, solo alcuni paesi tolleravano l‟esistenza legale di
partiti comunisti. A eccezione della Cina, nessuno stato importante mutò
schieramento se non in seguito a una rivoluzione.
Perfino gli alleati degli USA che si sentivano soffocati non abbandonarono
lo schieramento. In tale contesto, entità politiche altrimenti incapaci di
sopravvivere in ambito internazionale riuscirono a preservarsi, come ad
esempio i regimi dell‟Arabia saudita e del Kuwait.
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In terzo luogo, la guerra fredda ha riempito il mondo di armi.
La tendenza, nel frattempo diffusasi, alla costruzione di governi retti da
militari, procurò un mercato fiorente, alimentato non solo dalla spesa delle
superpotenze, ma anche, dopo la rivoluzione dei prezzi petroliferi, dalle
entrate locali di sultanati e sceiccati un tempo depressi.
Tutti esportavano armi: le economie socialiste e alcuni stati capitalisti in
declino come la Gran Bretagna avevano poche altre esportazioni
competitive.
La fine della Guerra fredda rimosse, insomma, i sostegni e le strutture dei
sistemi di politica interni dei vari paesi. Rimase un mondo nel disordine e
nel collasso.
L‟idea di un “nuovo ordine mondiale” basato sull‟unica superpotenza
rimasta si rivelò anacronistica, perché molto era cambiato dal secondo
dopoguerra.
Allora, gli USA avevano riconosciuto la necessità di ricostruzione delle
economie perché il pericolo era facilmente identificato nell‟URSS. Una
volta crollato questo pericolo, le conseguenze politiche non risultarono così
chiare: le economie capitalistiche non considerarono questa come
un‟emergenza globale, pertanto reagirono con lentezza.
Lezione 5
Cosa si intende per “Età dell’oro”?
È un‟età di boom economico sviluppatasi negli anni ‟50, soprattutto l‟area
capitalistica e caratterizzata da un‟estensione dell‟opulenza e dello stile di
vita nordamericani;
Cosa fu l’Età dell’oro per gli Stati Uniti? E per il resto del mondo?
Perché e in che senso si tratta di un fenomeno mondiale?
L‟età dell‟oro per gli USA non fu così rivoluzionaria: essa infatti continuò
l‟espansione degli anni di guerra, che erano stati favorevoli solo per loro,
mentre gli altri paesi partivano da una base più modesta.
Fra 1950 e 1973 l‟economia americana, infatti, crebbe più lentamente di
ogni altra (a eccezione della Gran Bretagna), subendo un ritardo.
F
L‟età dell‟oro riguardò paesi capitalistici sviluppati, tre quarti della
produzione mondiale e più dell‟80% dell‟esportazione di prodotti finiti ed
in tal senso si trattò di un fenomeno mondiale.
Negli anni ‟50 la crescita sembrava mondiale e indipendente dal regime
economico, nonostante l‟area socialista (Secondo mondo) crescesse più
velocemente (ad eccezione della Germania dell‟Est, in ritardo rispetto a
quella federale).
In ogni caso, il capitalismo (Primo mondo) rimase sempre in testa. Si trattò
di un fenomeno mondiale, benché l‟opulenza non sia stata intravista dalla
maggioranza della popolazione mondiale.
In che modo il Terzo mondo fu interessato dall’Età dell’Oro?
Facoltà di Psicologia
Nel Terzo mondo, durante l‟età dell‟oro, a crescere fu la popolazione:
africani e asiatici del Sud e dell‟Est raddoppiarono di numero; i
latinoamericani aumentarono in misura ancor maggiore e ciò causò, negli
anni ‟70 e ‟80, un ritorno della carestia di massa.
L‟aspettativa di vita, in generale, si allungò di diciassette anni rispetto agli
anni ‟30 e la produzione alimentare crebbe più in fretta della popolazione,
ma negli anni ‟70 l‟Africa conobbe un ritardo nella produzione alimentare
che raggiunse lo stallo negli anni ‟80.
A quel punto, i paesi sviluppati, che producevano un‟eccedenza ingestibile
di alimenti,decisero di ridurre la produzione e di esportare alimenti sotto
costo, rovinando in tal modo i produttori dei paesi poveri.
Facoltà di Psicologia
L‟industria, a sua volta, si stava espandendo ovunque. Vi furono
spettacolari rivoluzioni industriali, come in Spagna e Finlandia. Nei paesi
del socialismo reale, paesi agricoli come Bulgaria e Romania subirono una
massiccia industrializzazione.
Nel Terzo mondo, ciò avvenne dopo l‟Età dell‟oro. Alla fine degli anni ‟80
appena quindici stati pagavano le importazioni grazie alle proprie
esportazioni agricole.
Perché in un primo momento l’attenzione nei confronti
dell’inquinamento fu marginale? In che circostanza storica essa
diventò più sentita? In che senso si può parlare di un “nuovo”
inquinamento, rispetto a quello ottocentesco?
L‟inquinamento e la degradazione ambientale, conseguenze immediate
dell‟industrializzazione mondiale, non furono subito notate, se non solo da
pochi fautori entusiasti della natura incontaminata e di coloro che si
occupavano della protezione delle specie animali o della tutela di tradizioni
culturali minacciate di estinzione.
L‟ideologia dominante, basata sul concetto di progresso, dava per scontato
che il crescente dominio della natura desse la misura del progresso
dell‟umanità.
Ciò anche in area socialista, dove l‟industrializzazione forzata fu cieca alle
conseguenze di un sistema arcaico, basato sul carbone e sull‟acciaio.
Facoltà di Psicologia
Perfino in Occidente, il vecchio motto degli imprenditori dell‟Ottocento
“Sotto la sporcizia c‟è qualcosa che luccica” (l‟inquinamento porta denaro)
restava convincente, soprattutto per gli speculatori immobiliari: in un‟età di
boom, ad essi bastava aspettare che il valore di un terreno edificabile o di
uno stabile salisse alle stelle, in virtù della crescita della domanda.
Tale meccanismo condusse, alla fine, ad un blocco della domanda e ad un
crollo dei prezzi: a quel punto, i centri delle città furono sventrati e
valorizzati, a costo di distruggere centri storici sedi di cattedrale come
Worcester in Gran Bretagna o capitali coloniali spagnole come Lima in
Perù.
Da quanto le autorità scoprirono la possibilità di applicare metodi
industriali per la rapida edificazione di alloggi popolari a basso costo, le
periferie delle città si riempirono di squallidi palazzoni che faranno passare
alla storia gli anni ‟60 come il decennio più disastroso nella storia
dell‟urbanizzazione.
Facoltà di Psicologia
Gli effetti dell‟inquinamento ottocentesco erano scomparsi: la messa al
bando del carbone a Londra nel 1953 aveva dissipato la nebbia; i salmoni
tornavano nuotare di nuovo nel Tamigi; aziende più piccole, pulite e
silenziose si distribuivano nella campagna; gli aeroporti sostituivano le
stazioni ferroviarie; mentre la campagna si svuotava, alcune famiglie si
trasferivano in villaggi o in fattorie abbandonate.
Tuttavia, l‟impatto ambientale crebbe, in gran parte per colpa dei
combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale…) che, dopo un‟iniziale
preoccupazione circa il loro potenziale esaurimento, vennero consumati in
misura crescente dopo la scoperta di nuovi giacimenti.
Una delle ragioni che rese opulenta l‟Età dell‟oro fu appunto che il prezzo
di un barile di petrolio saudita ammontò in media a meno di due dollari per
tutto il periodo, rendendo basso il costo dell‟energia e facendolo calare.
Facoltà di Psicologia
Per ironia della storia, solo dopo il 1973, cioè quando l‟OPEC, il cartello
dei produttori di petrolio, aveva deciso di aumentare i prezzi fino al
massimo livello sopportabile dalle economie dei compratori occidentali, gli
ecologisti si accorsero degli effetti ambientali del traffico, che aveva
annerito i cieli delle città.
La preoccupazione immediata fu per lo smog, ma una minaccia peggiore
era rappresentata dalla produzione in crescita di agenti chimici che
intaccano lo strato dell‟ozono.
In questo, i paesi ricchi dell‟Occidente erano campioni, mentre l‟URSS
continuava ad inquinare in maniera più visibile ma meno fatale, a causa
della sua tecnologia arretrata.
Quale modello di produzione è stato esportato dagli USA nel mondo?
Per cosa viene impiegato? Che cambiamento apportano i beni “di
massa” alla vita quotidiana?
Il modello di produzione di massa inventato dall‟americano Henry Ford
(fondatore della Ford), ovvero la catena di montaggio.
Beni e servizi il cui godimento era limitato vennero prodotti per un mercato
di massa, come il turismo verso i paesi tropicali. Divenne alla portata di
tutti il frigorifero, la lavatrice, il telefono, insomma vivere come solo i veri
ricchi avevano vissuto all‟epoca dei genitori. La servitù venne rimpiazzata
dagli elettrodomestici.
Facoltà di Psicologia
La crescita economica sembrò alimentata da quella tecnologica. I nuovi
prodotti creati non erano neppure immaginabili prima: alcuni, come le
“plastiche” (nylon, polistirolo, ecc.) vennero inventati fra le due guerre
mondiali; altri, come televisore e registratore, erano appena usciti dalla fase
sperimentale.
La guerra, con la sua domanda di alta tecnologia, portò a numerosi sviluppi
tecnologici che ebbero poi un uso civile. Senza di essa il transistor
(meccanismo fondamentale delle radio, inventato nel 1947) e i primi
calcolatori digitali civili (1946) sarebbero comparsi più tardi.
L‟uso dell‟energia nucleare rimase invece al di fuori dell‟economia civile,
tranne lo scarso contributo delle centrali termoelettriche (5% nel 1975).
Che evento storico scatena il terremoto tecnologico nell’età dell’oro?
Quali sono le principali conseguenze di tale rivoluzione?
In primo luogo, il terremoto tecnologico trasformò la vita quotidiana
dell‟uomo, perfino nei paesi poveri, dove la radio raggiunse i più remoti
villaggi.
La maggior parte dei cibi venne ottenuta con metodi nuovi: cibo congelato;
uova e pollame d‟allevamento; carne imbottita di agenti chimici che
alterano il sapore o la assemblano in modo da simulare tagli di qualità;
prodotti freschi importati da aree lontane; diminuzione di ingredienti
naturali o tradizionali, ecc.
Quanto ai prodotti, gli LP comparvero nel 1948, le radioline nei ‟50, le
audiocassette nei ‟60: centrale è il processo di miniaturizzazione, cioè il
carattere portatile che ha esteso il potenziale utilizzo dei prodotti e quindi il
mercato.
Facoltà di Psicologia
In secondo luogo, più complessa la tecnologia, più lunga e dispendiosa era
la strada che portava dalla scoperta/invenzione alla produzione.
Il settore “Ricerca e sviluppo” diventò un settore essenziale per la crescita
economica e il vantaggio delle economie di mercato ne uscì rafforzato: le
innovazioni tecnologiche non fiorirono nelle economie socialiste.
Il tipico paese sviluppato aveva più di mille scienziati e ingegneri per ogni
milione di abitanti negli anni ‟70. Il costo per sviluppare nuovi prodotti
divenne una quota sempre più grande e indispensabile.
Nel caso dell‟industria bellica, dove l‟obiettivo non era il profitto, i vecchi
dispositivi venivano continuamente rinnovati, con beneficio per le aziende.
Nelle industrie rivolte al mercato, come quelle chimico-farmaceutiche, una
nuova medicina di cui ci fosse necessità, specialmente se protetta con
brevetti, poteva creare profitti altissimi, giustificati come essenziali per
ulteriori ricerche.
Innovatori meno protetti dovevano accumulare più in fretta, perché appena
qualche prodotto simile entrava sul mercato, il prezzo crollava.
Facoltà di Psicologia
Infine, le nuove tecnologie erano in gran parte ad alta densità di capitale e,
tranne che per i lavoratori altamente specializzati, sostituivano la
manodopera. Non c‟era bisogno di uomini, tranne che di consumatori.
Questa dinamica non apparve evidente: l‟economia crebbe così
velocemente che le fabbriche incamerarono sempre più manodopera. Le
donne sposate, fino ad allora escluse dal mondo del lavoro, vi fecero il loro
ingresso.
Tuttavia, l‟ideale tecnologico rimaneva quello della produzione e
erogazione di servizi automatizzati: robot che assemblano automobili,
stanze di computer che controllano l‟energia, treni senza conduttori.
La contraddizione di quest‟economia è quella di prevedere la presenza
dell‟uomo solo in quanto consumatore, ma nell‟Età dell‟oro la prospettiva
era irreale.
Lezione 6
Cosa sono le “onde di Kondrat’ev”?
Secondo l‟analisi dell‟economista russo degli anni 20 Kondrat‟ev, l‟Età
dell‟oro può essere vista come un momento di fluttuazione ascendente,
quindi di crescita, nel contesto dell‟alternanza di “onde lunghe” 50/60 anni
che caratterizzano l‟economia fin dal „700.
Perché l’Età dell’oro rappresenta un caso particolare nel contesto
dell’andamento economico dal Settecento in poi? Quali sono le
concause di tale peculiarità?
Secondo Kondratev, la successione di “onde lunghe” della durata di quasi
mezzo secolo ha costituito il ritmo basilare della storia del capitalismo.
L‟Età dell‟oro era solo un‟altra oscillazione verso l‟alto, come il boom
vittoriano degli anni 1850-73 (curiosamente le date coincidono quasi, a
distanza di un secolo).
Come quest‟ultima età, anche quella dell‟oro fu preceduta e seguita da
ricadute, ma la sua peculiarità sta tutta nella straordinaria dimensione della
crescita: un fenomeno che non ha avuto spiegazioni soddisfacenti.
Facoltà di Psicologia
La responsabilità dell‟ampiezza del boom può essere in parte attribuita a
quei paesi dell‟area occidentale che dovevano colmare il loro ritardo nella
crescita per raggiungere gli USA, scosso solo brevemente dalla Grande
crisi.
Nell‟imitarli, essi innescarono un processo che accelerò lo sviluppo
economico.
In che senso durante l’Età dell’oro il capitalismo viene riformato?
La riforma del capitalismo durante l‟età dell‟oro consistette nella creazione
di un‟economia mista che consentì agli stati e ai loro governi di pianificare
e gestire dall‟alto le finanze e l‟industrializzazione.
Quali sono le critiche dei neoliberisti a questo nuovo modello
economico dell’economia mista e quando vengono prese in
considerazione?
Il capitalismo postbellico fu una sorta di matrimonio fra il liberalismo
economico, la socialdemocrazia (che negli USA aveva assunto la forma del
New Deal di Roosevelt, il piano di riforme economiche e sociali promosso
fra il 1933 e il 1937 per contrastare la depressione del 29) con aspetti della
politica economica dell‟URSS, che per prima aveva praticato la
pianificazione economica.
Fu questa la ragione che provocò la reazione da parte dei teologi del libero
mercato negli anni ‟70 e ‟80, quando le politiche basate su quel connubio
non furono più sorrette dal successo economico.
Facoltà di Psicologia
Uomini come l‟economista austriaco Friedrich von Hayek (1899-1992) non
si erano mai dimostrati disposti a farsi convincere che le attività
economiche che interferivano col laissez-faire neoliberista funzionassero.
In realtà, tali uomini erano fedeli di una vera e propria religione economica
e credevano nell‟equazione “libero mercato= libertà individuale”; di
conseguenza, condannavano ogni azione che si scostasse da questo
principio come La via della servitù (titolo di uno dei testi fondamentali del
filosofo), perfino durante la crisi del „29.
Facoltà d
Fra gli anni ‟40 e ‟70 nessuno, comunque, prestò loro orecchio. La riforma
del capitalismo è stato un evento deliberato, non casuale.
Gli uomini (le donne non erano ancora in posizioni di potere) che
delineavano i principi dell‟economia postbellica avevano tutti vissuto la
grande crisi.
Alcuni, come l‟economista britannico John Maynard Keynes (1883 –1946),
avevano partecipato alla vita pubblica da prima del 1914: se non fossero
bastati gli anni ‟30 per destare un appetito di riforma, i rischi nel lasciare il
capitalismo in balia di se stesso erano palesi a chi aveva combattuto contro
Hitler, figlio per antonomasia della Grande crisi.
Perché teorici e politici hanno urgenza di riformare il capitalismo?
Che diagnosi storica compiono nel loro mettersi all’opera?
Quali erano i principi e le convinzioni che guidavano questi uomini?
1) la catastrofe delle due guerre mondiali era stata causata in gran parte dal
tracollo del sistema finanziario e commerciale mondiale e dalla
conseguente frammentazione del mondo in economie o imperi nazionali
che aspiravano all‟autarchia;
2) il sistema mondiale era stato un tempo stabilizzato dall‟egemonia o
almeno dalla centralità dell‟economia britannica e della sua valuta, la
sterlina. Tra le due guerre la Gran Bretagna e la sterlina non erano più
forti abbastanza e soltanto gli USA e il dollaro potevano sostituirle;
3) la crisi era stata causata dal fallimento di un libero mercato senza freni.
Doveva pertanto essere integrato dalla programmazione pubblica e dalla
gestione direttiva;
4) per ragioni sociali e politiche, si doveva operare affinché la
disoccupazione di massa non tornasse più, in quanto era stato tale vissuto
traumatico a fomentare il disagio sociale e quindi le derive
nazionalistiche e bellicistiche del fascismo e del nazionalsocialismo.
Facoltà di Psicologia
Le classi dirigenti al di fuori dei paesi anglosassoni potevano fare poco per
la ricostruzione del sistema della finanza e del commercio mondiali, ma
trovavano congeniale ripudiare il vecchio liberismo.
Che atteggiamento assumono i partiti socialisti e i sindacati nei
confronti del nuovo capitalismo?
i partiti socialisti e i movimenti sindacali si adattarono al capitalismo
riformato, perché non avevano alcuna propria politica economica (solo i
comunisti ne avevano una, ma consisteva nell‟imitare il centralismo
dell‟URSS).
La sinistra si “limitò” a battersi per migliorare le condizioni delle classi
lavoratrici che costituivano la sua base elettorale e nel promuovere riforme
sociali.
Non disponeva di soluzioni alternative, al di fuori di un‟utopica e
irrealizzabile abolizione del capitalismo, che nessun governo
socialdemocratico sapeva come abolire né tentò di abolire.
Insomma, le sinistre dovettero fare affidamento su un‟economia
capitalistica forte e capace di creare ricchezza anche per finanziare i loro
scopi.
Cosa rende possibile, in sostanza, l’Età dell’oro?
L‟età dell‟oro rende possibile l‟instaurarsi di una economia “mista”. In tale
perido, campioni del liberalismo economico, fautori del libero mercato che
un tempo si scagliavano contro Keynes, divennero sostenitori della
pianificazione economica e diressero l‟economia semisocialista.
Per circa trent‟anni ci fu consenso tra teorici e dirigenti occidentali: l‟Età
dell‟oro sarebbe stata impossibile senza questo consenso sul fatto che
l‟economia dell‟impresa privata o “libera impresa” aveva bisogno di essere
salvata da se stessa.
Il termine “capitalismo”, addirittura, venne evitato nei discorsi pubblici
perché nella mentalità collettiva finì per essere associato ad idee negative,
come anche “imperialismo”.
Giudicare l‟impatto reale delle politiche economiche è compito arduo: gli
economisti sono ancora discordi nella discussione sui meriti delle politiche
intraprese per “salvare” gli stati dai mali che hanno inaugurato il Secolo.
Facoltà di Psicologia
Lezione 7
Quali istituzioni finanziarie prevede l’ONU e quale funzione hanno, di
diritto e di fatto?
Nel 1945 una conferenza di 50 paesi dava origine alle Nazioni Unite
(ONU), oggi la più estesa organizzazione internazionale, finalizzata ad una
cooperazione mondiale per un nuovo ordine nel rifiuto della guerra.
Il piano originale contemplava l‟esistenza di istituzioni ideate un anno
prima, durante la conferenza di Bretton Woods del 1944, cioè il Fondo
Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale, con lo scopo
originario di finanziare la ricostruzione e lo sviluppo nei paesi coinvolti
nella seconda guerra mondiale.
Tuttavia, la pressione Guerra Fredda modificò l‟assetto dell‟ONU e sia
l‟FMI che la Banca mondiale divennero subordinati di fatto alla politica
statunitense.
Facoltà di Psicologia
Altri punti del programma furono realizzati solo parzialmente: la proposta
Organizzazione internazionale del commercio, ad esempio, finì col
diventare una struttura per ridurre le barriere commerciali.
Da cosa era garantito il sistema economico mondiale nell’Età dell’oro?
l‟Età dell‟oro fu l‟era del libero commercio. Ciò si dovette al dominio
degli USA e del dollaro che, garantito da una quantità d‟oro, funzionò
come stabilizzatore finché il sistema crollò all‟inizio degli anni ‟70, sotto
Nixon.
Quali furono i motori principali del boom economico?
La Guerra fredda fu il più importante motore del boom. Essa convinse
infatti gli USA che era urgente aiutare a crescere paesi che potevano
diventare “concorrenti”.
Il boom fu alimentato (oltre che dal lavoro degli ex disoccupati) anche
dalla migrazione interna dalle campagne alle città, dalle regioni più povere
alle più ricche.
Il Piano Marshall ha contribuito alla modernizzazione, anche se
probabilmente Germania occidentale e Giappone sarebbero diventati
comunque delle potenze leader: in quanto sconfitti, non subivano infatti la
tentazione di dissipare risorse nel campo militare.
Quali furono le reazioni degli stati nei confronti delle migrazioni?
I governi, quando il flusso di migranti crebbe, si opposero alla libertà di
immigrazione e, anche laddove si trovarono costretti a permetterla (come
per gli abitanti di paesi della confederazione del Commonwealth capeggiata
dalla Gran Bretagna, che per la legge erano britannici a pieno titolo),
decisero di bloccarla.
In molti casi vennero previsti permessi temporanei in modo da consentire
un rimpatrio, anche se l‟espansione della Comunità economica europea,
che incluse paesi di emigrazione come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia,
rese ciò più difficile: all‟inizio degli anni ‟70, sette milioni e mezzo di
persone erano emigrate.
La risposta da parte dei popoli accoglienti si andò via via raffreddando,
creando situazioni sociali delicate e portando, dopo il 1973, ad una rinascita
della xenofobia.
Cosa si intende per economia internazionale e transnazionale? Quali
sono gli aspetti principali di questo secondo tipo di economia?
 L‟economia internazionale è quella tra Stati
 L‟economia transnazionale è quella al di sopra degli Stati
Nell‟Età dell‟oro l‟economia rimase in un primo momento internazionale.
Il grosso delle attività economiche, anzi, restava per lo più, nonostante la
ripresa del commercio, all‟interno delle nazioni.
Un‟economia transnazionale cominciò ad apparire solo dagli anni ‟60 in
poi. Questo nuovo tipo di economia si caratterizzò per non avere limiti
territoriali e per la capacità di porre dei limiti al potere degli stati.
Essa continuò a crescere dopo il 1973, configurandosi come responsabile
parziale della crisi successiva. I suoi segni più evidenti erano:
- il formarsi di aziende transnazionali o “multinazionali”;
- una nuova divisione del lavoro su scala mondiale;
- il sorgere di paradisi fiscali “offshore”.
Soprattutto quest‟ultimo aspetto dimostra quanto l‟economia capitalistica
fosse sfuggita al controllo nazionale e a ogni altro tipo di controllo.
Cosa significa offshore?
Il termine offshore si diffuse negli anni ‟60 per designare la pratica di
registrare la sede legale di una società in qualche territorio generoso, che
consentiva di evitare tasse e limitazioni.
à di Psicologia
Negli anni ‟60 l‟invenzione della moneta europea e soprattutto degli
eurodollari trasformò Londra in uno dei più grandi centri offshore: I dollari
depositati in banche non statunitensi divennero uno strumento di
transazioni, base di un mercato incontrollato e furono impegnati soprattutto
per prestiti a breve termine.
Tale divenne il meccanismo principale per riciclare i profitti petroliferi che
i paesi dell‟OPEC avevano realizzato di colpo dopo l‟aumento intenzionale
del prezzo del petrolio.
Cosa sono le multinazionali? Come nascono? In che modo agiscono nei
confronti delle realtà statali?
Le multinazionali sono uno dei segni della nascita dell‟economia
transnazionale sviluppatasi dopo il 1973, anche se esse, in realtà, non erano
realtà completamente nuove.
Le società per azioni americane avevano semplicemente accresciuto le
filiali triplicandole nel giro di dieci anni (da 7.000 nei ‟50 a 23.000 nei „60),
e altri paesi seguirono questa tendenza.
La novità stava nella dimensione delle operazioni: negli anni ‟80 tre quarti
delle esportazioni degli USA e quasi metà delle importazioni erano gestite
da multinazionali.
La funzione principale di queste società era di internazionalizzare i mercati,
cioè rendersi indipendenti dallo stato, con l‟effetto secondario di rafforzare
ulteriormente la concentrazione dei capitali.
In che modo l’industrializzazione del Terzo mondo contribuisce alla
crescita delle multinazionali?
à di Psicologia
L‟industrializzazione mondiale comportò una nuova divisione
internazionale del lavoro. La Volkswagen, ad esempio, aprì stabilimenti in
Argentina, Brasile, Canada, Ecuador, Egitto, Messico, Nigeria, Perù,
Sudafrica, Jugoslavia.
Le industrie del Terzo mondo rifornivano non solo i mercati locali, ma
anche quelli mondiali; esse potevano esportare articoli locali (come tessili)
oppure diventare parte di un processo manifatturiero internazionale.
Fu questa l‟innovazione decisiva dell‟Età dell‟oro, anche se si sviluppò a
pieno più tardi. Ciò che l‟ha reso possibile è stata la rivoluzione dei
trasporti e delle comunicazioni attraverso il globo.
In che senso le attività economiche transnazionali hanno conseguenze
politiche?
Nell‟Età dell‟oro divenne chiaro che unità che in precedenza non erano
state considerate stati (fino all‟inizio degli anni ‟90 Andorra, Liechtenstein,
Monaco e San Marino non erano neppure considerati come possibili
membri delle Nazioni Unite), in quanto incapaci di difendere la propria
indipendenza, potevano prosperare fornendo servizi direttamente
all‟economia mondiale: di qui la crescita di nuove città-stato (Hong Kong,
Singapore), una forma di ordinamento politico che si era vista fiorire per
l‟ultima volta nel Medioevo;
Territori desertici sul Golfo Persico furono trasformati in attori importanti
nel mercato e nella politica mondiali (Kuwait, ad esempio) e in paradisi
fiscali.
Facoltà di Psicologia
Questa situazione finì col procurare ai sempre più numerosi movimenti
etnici e nazionalisti argomenti poco persuasivi per sostenere l‟indipendenza
dallo stato nazionale cui erano associati, che li avrebbe resi
paradossalmente più dipendenti dalle entità transnazionali.
Il mondo più comodo per i giganti multinazionali è, infatti, un mondo di
staterelli nani o del tutto privo di stati.
Lezione 8
Quali connubi e quali accordi rendono possibili l’Età dell’oro?
L‟accordo fra imprenditori e sindacati per contenere le richieste dei
lavoratori entro limiti che non intaccassero i profitti presenti e futuri, in
quanto dai profitti dipendevano gli investimenti nella produzione: senza di
essi, l‟Età dell‟oro sarebbe stata impossibile.
Facoltà di Psicologia
Ma l‟accordo, in realtà, era triangolare, perché i governi presiedevano ai
negoziati tra le “parti sociali”.
Ciò in quanto la fortuna dell‟Età dell‟oro derivava dalla combinazione
“keynesiana” fra la crescita economica, in un sistema capitalistico basato
sul consumo di massa, e il pieno impiego della classe lavoratrice, meglio
pagata e tutelata dallo stato.
Dopo la fine dell‟Età dell‟oro questi accordi vennero attaccati dai teologi
del libero mercato, che li bollarono di “corporativismo” (termine che
riecheggiava in maniera tendenziosa il fascismo).
Quali vantaggi provenivano dagli accordi per gli investitori, i
lavoratori ed i governi nell’Età dell’Oro?
I lavoratori ottenevano salari più alti e benefici aggiuntivi, nonché misure
assistenziali.
Il governo ne ricavava stabilità politica, indebolendo i partiti comunisti
(tranne in Italia), e garantendo condizioni prevedibili per la direzione
macroeconomica.
Facoltà di Psicologia
Le economie dei paesi industriali capitalistici andavano a gonfie vele,
perché per la prima volta si formò un‟economia di consumo di massa,
grazie alle condizioni di pieno impiego e di crescita dei salari, garantiti da
misure di sicurezza sociale finanziate con l‟aumento delle entrate fiscali.
Che alternanze conosce, dal secondo dopoguerra agli anni ’70, la scena
politica dell’area capitalista? Per quali motivi avvengono tali
alternanze e con quali effetti?
- Subito dopo la guerra si formano ovunque governi riformisti
(rooseveltiani negli USA, socialdemocratici nell‟Europa occidentale);
- negli anni ‟50 il riformismo si ritira per lasciar spazio a governi di
conservatori moderati, con un‟estromissione della sinistra dovuta
soprattutto al clima generale di refrattarietà ai cambiamenti;
- negli anni ‟60 il consenso si sposta nuovamente verso sinistra, in parte
per il successo della gestione keynesiana dell‟economia, in parte per un
ringiovanimento della classe politica.
- Su uno sfondo pacifico, turbato solo dalla Guerra fredda, le rivolte
studentesche del 1968 sono un fulmine a ciel sereno.
Facoltà di Psicologia
Durante gli anni ‟60 l‟egemonia degli USA declina e il sistema monetario
mondiale, basato sulla convertibilità del dollaro in oro, si spezza. La
produttività rallenta e la manodopera si esaurisce;
Perché la ribellione studentesca del ’68 costituì una sorpresa per la
classe politica? Da che vissuto era caratterizzata la nuova generazione?
Quale fu il significato politico e culturale della ribellione?
La nuova generazione di giovani, non avendo vissuto le guerre mondiali,
nutre maggiori aspettative, anche di fronte all‟esplosione dei salari alla fine
degli anni ‟60;
Su uno sfondo pacifico, turbato solo dalla Guerra fredda, le rivolte
studentesche del 1968 sono un fulmine a ciel sereno.
La contestazione studentesca del ‟68, benché spettacolare, ebbe un rilievo
economico trascurabile (dato che gli studenti non erano inseriti nelle
dinamiche di produzione) ma un grande significato culturale, nel suo
monito contro una pretesa società pacificata;
L‟atteggiamento della classe lavoratrice fu più significativo della
contestazione studentesca del ‟68, benché gli studenti facessero più
spettacolo.
La ribellione, infatti, mobilitò un settore minoritario della popolazione,
quello dei giovani dei ceti medi che, in quanto non ancora impiegati nella
vita professionale, avevano rilievo piuttosto trascurabile.
Il significato culturale fu invece grande: servì da memento mori a una
generazione che aveva creduto di aver risolto i problemi della società
occidentale, con la fiducia in una economia di consenso sociale organizzato.
Questo consenso, in sostanza, non sopravvisse alla fine degli anni ‟60.
In che senso l’equilibrio dell’Età dell’oro era precario? Quali furono i
motivi ed i segni della crisi a venire?
Durante gli anni ‟60 l‟egemonia degli USA declinò e il sistema monetario
mondiale, basato sulla convertibilità del dollaro in oro, si spezzò. Vi fu un
rallentamento generale della produttività e la grande manodopera degli
emigrati si esaurì.
In cosa consistette il “crollo” del 1974 e quale fu la reazione di storici
ed analisti di fronte ad esso?
Sul piano economico, l‟espansione all‟inizio degli anni ‟70, accelerata da
un‟inflazione in rapida crescita, da aumenti della massa monetaria
mondiale e dal deficit americano, rese il sistema mondiale “surriscaldato”:
nel solo 1972: il prodotto interno lordo e la produzione industriale dei paesi
del Primo mondo crebbero rispettivamente del 7,5% e del 10%.
Gli storici che non avevano dimenticato il modo in cui era finito il boom
dell‟età vittoriana avrebbero potuto chiedersi se il sistema non stesse per
crollare, ma nessuno previde il crollo del 1974, né lo prese sul serio quando
si verificò, perché, sebbene il prodotto nazionale lordo dei paesi industriali
avanzati calasse (non era mai accaduto dopo la guerra), la gente pensava
ancora alla crisi economica nei termini del 1929; nel 1974, invece, la
situazione era diversa.
Facoltà di Psicologia
La reazione immediata fu di andare alla ricerca di ragioni particolari per
spiegare la fine dell‟espansione:
- secondo una relazione dell‟OCSE (Organizzazione per la Cooperazione
e lo Sviluppo Economico, nata nel 1948 tra le nazioni europee e l‟USA
per coordinare l‟economia del Primo mondo) si trattò di una sfortunata
combinazione di fattori di disturbo, dipendenti da errori evitabili, che
difficilmente si sarebbe ripetuta.
- Altri, ancor più ingenuamente, attribuirono la crisi all‟avidità degli
sceicchi dell‟OPEC (cioè la loro decisione di alzare il prezzo del
petrolio).
A dispetto delle inesperte interpretazioni, l‟economia non recuperò il suo
ritmo: dal 1973 si aprì un‟epoca di crisi.
Lezione 9
In cosa consistette l’imbarazzo degli intellettuali nel definire la
rivoluzione che l’Età dell’oro ha comportato nella società e nella
cultura umane? Quale fu, invece, la percezione degli uomini comuni?
Età dell‟oro realizza la più significativa rivoluzione umana nella storia.
- Per gli intellettuali, si tratta di un fenomeno difficilmente classificabile,
che hanno cercato di descrivere utilizzando, solo in termini negativi, la
preposizione “dopo” nella sua forma latina: il mondo è diventato così
post-industriale, post-imperiale, postmoderno, post-strutturalista, postmarxista, post-Gutenberg, ecc.
- Per le persone con un tenore di vita medio alto, si tratta della semplice
accelerazione d‟un cambiamento già in atto;
- Per la maggior parte del globo, invece, i mutamenti furono repentini: per
l‟80% della popolazione mondiale il Medioevo finì in pratica negli
anni ‟50 e ne avvertì la fine negli anni ‟60.
La gente di campagna che andava a cercare un lavoro in città senza
intendere con ciò cambiare il proprio modo di vivere, si trovò a farlo
automaticamente.
La rapidità del cambiamento fu tale che pochi anni bastarono a
diffondere, ad esempio, i vestiti di moda europea a Cuzco (capitale Inca,
in Perù) o le calcolatrici tascabili nei mercati dei villaggi messicani più
sperduti.
à di Psicologia
Cosa si intende per “morte della classe contadina” nell’età dell’oro, e
perché si tratta di un evento straordinario? Quali furono i fattori che
lo scatenarono?
Nell‟età dell‟Oro, il mutamento sociale più notevole è sicuramente
rappresentato dalla morte della classe contadina.
Sin dall‟età neolitica la maggior parte degli esseri umani era sopravvissuta
grazie alla terra e al bestiame o aveva sfruttato il mare.
Con l‟eccezione dell‟Inghilterra, i contadini e gli agricoltori restavano una
quota massiccia della popolazione occupata perfino nei paesi
industrializzati fino alla metà del ventesimo secolo.
Negli anni ‟30, anzi, il fatto che la classe contadina non tendesse a
scomparire era ancora usato come un argomento per criticare la previsione
di Karl Marx circa l‟estinzione di questo gruppo sociale.
Facoltà di Psicologia
Negli anni ‟80 meno di tre inglesi o belgi su 100 lavorava in agricoltura.
Negli USA la percentuale era la stessa, e ciononostante questa nazione era
sorprendentemente in grado di inondare il mondo con cibo.
In Spagna e Portogallo i contadini, che nel 1950 formavano la metà della
popolazione, vennero ridotti a circa il 15%. In Giappone, tra il 1947 e il
1985, cioè nel periodo dal ritorno di un soldato dalla guerra al suo
pensionamento, si passò da un 50% a un 9%.
di Psicologia
Marx aveva previsto che lo sviluppo industriale avrebbe eliminato la classe
contadina nei paesi di industrializzazione, ma non che il declino sarebbe
accaduto anche nei paesi “arretrati”: in America latina negli anni ‟70 non
c‟era un paese in cui i contadini non fossero diventati una minoranza. La
situazione fu simile nei paesi islamici occidentali.
Tra l‟Europa e il Medio Oriente solo la Turchia resisteva ancora negli
anni ‟80 con una maggioranza assoluta dei contadini.
Solo nell‟Africa subsahariana, nell‟Asia meridionale, nel Sudest asiatico e
in Cina, aree che rappresentavano ancora la metà della razza umana, era
ancora possibile trovare paesi che non erano stati toccati dal declino della
popolazione agricola. Il blocco contadino dell‟India, tuttavia, era
circondato da paesi la cui popolazione agricola stava declinando: il
Pakistan, il Bangladesh e lo Sri Lanka.
In Africa, fra l‟altro, il predominio contadino era illusorio, poiché
l‟agricoltura era la faccia visibile di un‟economia che dipendeva dagli
uomini che lavoravano nelle città bianche e nelle miniere del Sud.
Facoltà di Psicologia
Stranamente, la diminuzione della popolazione agricola nel mondo fu
dovuta solo in parte ai progressi dell‟agricoltura.
L‟impennata della produttività agricola, infatti, richiese capitali e il suo
aspetto più appariscente fu l‟enorme quantità di macchine impiegate.
Si realizzò così il sogno dell‟abbondanza attraverso la meccanizzazione
agricola (tema molto presente, fra l‟altro, nella propaganda sovietica, che
puntava tutto sull‟industrializzazione).
Meno visibili furono i risultati di chimica agraria, zootecnica selettiva e
biotecnologie.
L‟agricoltura non aveva più bisogno di un alto numero di braccia e,
laddove ne avesse, i trasporti eliminavano la necessità che la manodopera
fosse insediata nella campagna.
In che misura Est e Sud del mondo furono interessati dal fenomeno
della morte della classe contadina?
Nelle regioni povere del pianeta la rivoluzione agricola non fu assente,
anche se fu meno sistematica.
Il Terzo mondo e parte del Secondo mondo (socialisti o ex socialisti) non
erano più in grado di gestire l‟alimentazione con la sola agricoltura e ancor
meno riuscivano ad ottenere eccedenze da esportare, salvo per cereali
specifici.
La coltivazione era eseguita ancora con vecchi metodi e grande
manodopera: i contadini non avevano ragioni per abbandonare
un‟agricoltura che aveva bisogno di loro; l‟unico motivo poteva essere
l‟esplosione demografica che rendeva progressivamente insufficiente la
terra.
Le campagne finirono per svuotarsi, le città si riempirono. La seconda metà
del ventesimo secolo divenne dunque l‟età dell‟urbanizzazione, perfino in
nazioni con prevalenza rurale.
I più giganteschi agglomerati urbani alla fine degli anni ‟80 si trovavano,
anzi, proprio nel Terzo mondo: il Cairo, Città del Messico, San Paolo e
Shanghai.
Paradossalmente, mentre i paesi sviluppati restavano più urbanizzati, le
città più grandi si dissolvevano, a causa di una fuga verso le zone
residenziali periferiche e verso le comunità satelliti; i centri cittadini,
inoltre, si svuotavano nelle ore notturne.
Ciò ha portato la popolazione di New York, Londra e Parigi a calare nel
tempo. In ogni caso, il vecchio e il nuovo mondo convergevano.
La “grande città” dei paesi sviluppati divenne un‟area di insediamenti
urbani collegati, in genere raccolti attorno a una zona centrale o al centro
economico e amministrativo, riconoscibile dall‟alto come una catena di
grattacieli e di palazzi alti (tranne a Parigi dove tali edifici non erano
permessi).
Questi centri, costruiti in verticale, conseguenza naturale degli alti costi del
terreno nei centri, erano inconsueti prima del 1950: New York era un caso
unico.
Divennero comuni dagli anni ‟60, quando anche città estese in orizzontale
come Los Angeles acquistarono un centro di questo tipo.
Facoltà di Psicologia
I collegamenti, a partire dagli anni ‟60, furono garantiti da una nuova
rivoluzione nel sistema dei trasporti pubblici, anche in seguito alla paralisi
del traffico automobilistico.
Mai, dopo i primi tram e metropolitane costruiti alla fine dell‟Ottocento, si
erano costruiti, in così tante città, nuove metropolitane e sistemi veloci di
collegamento con le periferie
Allo stesso tempo vi fu un‟importante decentralizzazione, perché i
complessi periferici o le comunità satelliti svilupparono i propri centri
commerciali e i propri servizi per il tempo libero.
D‟altro canto, la città del Terzo mondo, benché fosse anch‟essa collegata
da trasporto pubblico, non poteva non essere disorganizzata, perché molte
aree erano baraccopoli, talvolta abusive.
Gli abitanti di città simili sono disposti a viaggiare per ore per lavorare (dal
momento che un lavoro regolare è un bene prezioso) e anche fare
pellegrinaggi per assistere a riti collettivi, come le partite di calcio.
Di fatto però le conurbazioni sono diventate insiemi di comunità autonome.
Ovviamente, nei paesi occidentali ricchi, queste comunità, almeno in
periferia, usufruiscono di aree verdi molto più estese che nei centri
sovraffollati dei paesi poveri dell‟Est e del Sud del mondo (ex Secondo e
Terzo mondo).
Mentre nei ghetti e nelle baraccopoli gli umani vivono in simbiosi con i
ratti e gli scarafaggi, la strana terra di nessuno tra città e campagna, che
circonda ciò che è rimasto dei vecchi quartieri residenziali delle città dei
paesi sviluppati, è stata colonizzata da animali selvatici.
Lezione 10
A cosa si deve il fatto che l’istruzione diventasse importante per le
nazioni, nell’Età dell’oro?
L‟istruzione divenne importante per le nazioni nell‟età dell‟Oro, perché vi
fu un aumento delle occupazioni che richiedevano un‟istruzione a livello
medio e superiore.
In che misura gli studenti universitari aumentarono? Che differenze
sussistono a riguardo tra l’area capitalista e socialista?
Prima della seconda guerra mondiale Germania, Francia e Gran Bretagna,
su una popolazione complessiva di 150 milioni di abitanti, annoveravano
complessivamente 150.000 studenti studenti universitari.
Con gli anni ‟60 gli studenti divennero, sia socialmente che politicamente,
una forza molto più importante di quanto lo fossero mai stati, come
dimostrò la ribellione studentesca del 1968, che ebbe estensione mondiale.
Nell‟Europa tra il 1960 e il 1980 il numero degli studenti triplicò e
quadruplicò, quando non si moltiplicò per cinque, come in Germania
federale, Irlanda, Grecia; per sette in Finlandia, Islanda, Svezia, Italia; per
nove in Spagna e Norvegia.
Nei paesi socialisti la corsa verso l‟università fu meno marcata (Ungheria e
Cecoslovacchia si mantennero su una percentuale minima), nonostante tali
paesi ostentassero con orgoglio l‟istruzione di massa.
Il caso della Cina di Mao è aberrante: egli abolì l‟istruzione universitaria
durante il periodo della rivoluzione culturale (1966-76), rimanendo indietro
rispetto all‟Occidente.
Negli anni ‟80 se ne contavano milioni in Francia, Germania federale, Italia,
Spagna e URSS, nonché (in misura minore) Brasile, India, Messico e
Filippine.
Qual era il criterio per la scelta della carriera universitaria, in
occidente? Cosa rendeva possibile alle famiglie pagare gli studi?
Le differenze tra le aree capitalista e socialista avevano un motivo preciso:
la crescita universitaria, che negli anni ‟80 produsse più di centomila
docenti universitari, era infatti dovuta alla pressione dei consumatori, alla
quale i socialisti non dovevano rispondere data l‟impostazione socialista
dell‟economia.
In occidente l‟economia moderna capitalista, a causa della pressione dei
consumatori, alla quale i Paesi socialisti non dovevano rispondere data
l‟impostazione dell‟economia, richiedeva più amministratori, insegnanti e
tecnici;
di Psicologia
Nonostante la pressione del consumismo facesse prevedere la necessità di
una diffusione delle conoscenze, il boom studentesco eccedette i calcoli
della pianificazione.
Quando le famiglie ebbero la possibilità di scegliere, infatti, preferirono
mandare i figli all‟università, non solo per la prospettiva di un reddito più
alto, ma soprattutto per ottenere uno status sociale più elevato.
Perché la comunità universitaria rappresenta una novità politica e
culturale?
Con il crescere del numero degli studenti universitari, i governi
moltiplicarono gli edifici e gli istituti, specialmente negli anni ‟70, quando
il numero degli studenti più che raddoppiò. Ed in tal modo le masse di
giovani studenti e rispettivi insegnanti, milioni o centinaia di migliaia,
sempre più concentrati in grandi e isolati campus o città universitarie,
divennero una novità politica e culturale.
Tali masse costituivano elementi transnazionali, perché si spostavano e
comunicavano, e sapevano sfruttare la tecnologia della comunicazione più
dei governi.
Come si dimostrò negli anni ‟60, non solo gli studenti erano radicali e
ribelli, ma unica espressione efficace allo scontento politico e sociale.
Nei paesi dittatoriali era il solo gruppo di cittadini capace di azioni
collettive: non a caso il numero degli studenti in Cile durante la dittatura di
Pinochet, dopo il 1973 venne fatto calare dall‟1,5% all‟1,1%.
Che estensione ebbe la ribellione studentesca del ’68? In che senso la
ribellione non diventò una rivoluzione? In quale altro caso una
ribellione studentesca lo diventò?
La ribellione studentesca del 68 si estese dagli Stati Uniti e dal Messico
fino alla Polonia, alla Cecoslovacchia e alla Jugoslavia, stimolata per lo più
dall‟esplosione del maggio parigino del 1968, epicentro di una sollevazione
continentale.
di Psicologia
Non si trattò di una rivoluzione perché gli studenti non potevano farla da
soli. Dai ‟60 in poi funsero, semmai, da detonatori e segnali per strati meno
infiammabili: dopo vent‟anni di miglioramento delle paghe in un regime di
piena occupazione, infatti, la rivoluzione era l‟ultimo pensiero delle masse.
Solo negli anni ‟80 e in paesi non democratici come Cina, Corea del Sud e
Cecoslovacchia, le manifestazioni studentesche sembrarono far scoppiare
una rivoluzione o costrinsero i governi a trattarle come un grave problema
di ordine pubblico, risolto eventualmente con l‟eccidio, come a Pechino in
piazza Tienanmen (1989).
Notevole eccezione fu la Russia dove, diversamente da altri paesi
comunisti, gli studenti non furono in primo piano né ebbero alcun ruolo nel
crollo del comunismo.
Quest‟ultima fu piuttosto una “rivoluzione di quarantenni” cui assistette
una gioventù depoliticizzata e demoralizzata.
Da cosa derivano i movimenti terroristici?
Piccoli nuclei terroristici nacquero dopo il fallimento dei grandi sogni del
1968, quando alcuni studenti radicali tentarono di fare la rivoluzione da soli.
Tuttavia, anche se questi movimenti ebbero eco vastissima, raramente
ottennero effetti politici di rilievo. Ciò in quanto, allorchè costituirono reale
minaccia politica, furono repressi rapidamente appena le autorità lo
decisero, negli anni 70:
- in Sudamerica, con le “guerre sporche” condotte con tortura,
- in Italia con la corruzione e le trattative segrete.
I soli sopravvissuti nell‟ultimo decennio del secolo sono i terroristi
nazionalisti baschi dell‟Eta e il movimento, teoricamente comunista, di
guerriglia contadina Sendero Luminoso in Perù.
Per quali motivi gli studenti dagli anni ’60 possono aver adottato il
radicalismo di sinistra?
L‟argomento più comune in politica faceva leva su fatto che gli studenti
costituivano gruppi di età giovanile che includevano al loro interno un
considerevole numero di donne: i giovani, che non partecipano di quella
stabile sistemazione dell‟età adulta, sono tradizionalmente eccitabili e
pronti a provocare tumulti e disordini; le passioni rivoluzionarie sono più
comuni a diciotto anni.
Questa convinzione era così inveterata nelle menti dei quadri di potere che
in diversi paesi il sistema non prese in considerazione la militanza
studentesca, nemmeno quando si trasformò in lotta di guerriglia armata.
Gli studenti messicani, anzi, si resero conto che il loro stato reclutava i
quadri dall‟università e che più un soggetto si mostrava rivoluzionario da
studente, più alte erano le probabilità di ottenere lavoro dopo la laurea
(ovverosia di essere integrato nel “sistema”).
Facoltà di Psicologia
Una fetta grande di studenti, beninteso, non era politicizzata in senso
radicale: quella per cui la laurea era l‟unico scopo da tenere in conto.
Tali studenti si facevano notare meno del più ridotto ma largo numero di
militanti. In ogni caso, il radicalismo di sinistra era nuovo nei paesi
sviluppati (mentre non lo era nei paesi arretrati).
La crescita smisurata del numero degli studenti può fornire una possibile
spiegazione. Era inevitabile, cioè, che si creasse una certa tensione tra
masse studentesche e le istituzioni, in quanto queste ultime non erano
pronte a ricevere una tale affluenza né materialmente, né
organizzativamente, né intellettualmente.
Inoltre, l‟università cessò di essere un privilegio eccezionale tale da
ripagare gli sforzi effettuati nel corso di studi: vennero pertanto avvertiti di
più i sacrifici che la condizione studentesca imponeva a giovani adulti con
pochi soldi.
Il rancore verso un particolare tipo di autorità, quella universitaria, si
allargò facilmente nel rifiuto di ogni altra autorità, e perciò(nell‟Occidente)
spinse gli studenti verso sinistra.
Ragioni particolari le intensificarono in questo o quel paese (ad esempio,
l‟avversione negli USA alla guerra del Vietnam, ovverosia ossia al servizio
militare).
In un senso più generale e meno definibile questa nuova massa si trovava in
posizione anomala verso la società: i giovani non avevano un posto
stabilito né modelli di relazione prefissati.
L‟esistenza delle masse studentesche implicava interrogativi circa la
società che le aveva generate, rendendo impellenti le domande.
Le scontentezze non erano soffocate dalla consapevolezza di vivere in
un‟epoca di progresso e in tempi migliori di quelli dei genitori: i tempi
nuovi erano gli unici conosciuti.
Lezione 11
In cosa consistettero i mutamenti nei sistemi di produzione nell’Età
dell’oro?
Durante gli anni ‟50 le trasformazioni della produzione economizzano il
lavoro umano, ma il boom fa aumentare il numero complessivo degli
operai fino agli anni ‟80, quando inizia a scemare;
Già dagli anni ‟60 la classe operaia subisce però trasformazioni legate a
spostamenti nella produzione.
Le tradizionali industrie scompaiono o migrano e il vecchio sistema
fordista lascia posto a reti di imprese di diversa grandezza, sparse tra i
centri cittadini e la campagna;
Da cosa era determinata l’illusione del tracollo della classe operaia?
Il tracollo della classe operaia sarebbe avvenuto negli anni ‟80 e ‟90, ma
già dagli anni ‟60 ve ne fu un‟illusione, dovuta sostanzialmente agli
spostamenti nel processo di produzione.
Le vecchie industrie decaddero: i minatori divennero meno frequenti dei
laureati; l‟industria dell‟acciaio ebbe meno impiegati di McDonald‟s.
Quando le industrie tradizionali non scomparvero, si spostarono: l‟industria
tessile, dell‟abbigliamento e calzaturiera emigrarono e impiegarono operai
dall‟estero.
Vecchie aree industriali diventarono “cinture della ruggine”. Perfino
nazioni identificate con le prime fasi industriali, come la Gran Bretagna,
furono de-industrializzate e si trasformarono in musei di un passato
sfruttato come attrazione turistica.
Cosa significa “post-fordismo”?
Negli anni 80, una delle espressioni più usate per designare il sistema
industriale è stata, significativamente, quella di “postfordismo”:
Fu caratterizzato dal sorgere reti di imprese, dal laboratorio familiare alla
piccola azienda ad alta tecnologia, diffuse tra i centri cittadini e la
campagna, mentre il grande stabilimento, costruito attorno alla catena di
montaggio; la regione o la città dominata da una sola industria; la classe
operaia unita nello stesso luogo e negli stessi quartieri divennero
aratteristiche del passato.
In Italia, le classiche regioni industriali “postfordiste” (come il Veneto,
l‟Emilia-Romagna e la Toscana in Italia), mancano di grandi città
industriali, di aziende dominanti e stabilimenti enormi.
Quali furono gli effetti della crisi sulla condizione operaia?
La classe operaia finì per pagare le spese delle nuove tecnologie: ciò
divenne molto chiaro negli anni ‟80. I più colpiti furono gli operai e le
operaie non specializzati o semispecializzati, che potevano essere sostituiti
da macchine.
Mentre i decenni del boom economico (cioè gli anni ‟50 e ‟60) cedevano il
passo a un‟epoca di difficoltà negli anni ‟70 e ‟80, l‟industria cercò sempre
più di risparmiare manodopera: almeno in Europa, le crisi fecero comparire
di nuovo, dopo il periodo tra le due guerre mondiali, la disoccupazione di
massa.
Per quali motivi la coscienza operaia, durante l’Età dell’oro, viene
messa in crisi?
Alla fine dell‟Ottocento, ciò che univa la classe operaia era la condizione
comune: in quanto poveri, prima del 1914 gli operai non avevano accesso
ai beni di consumo durevoli e questa situazione rimase invariata anche tra
le due guerre, con l‟eccezione del Nordamerica e dell‟Australia.
In secondo luogo, un fattore di coesione era costituito anche dalla
segregazione sociale, ovvero da stili di vita separati, modi specifici di
vestire, poche possibilità di cambiamento (a differenza di strati impiegatizi
più mobili, seppur altrettanto disagiati).
I figli degli operai non si aspettavano di andare all‟università: la maggior
parte non continuava studi dopo quelli dell‟obbligo, che in genere
terminavano a quattordici anni.
Facoltà di Psicologia
Soprattutto, gli operai erano uniti da una componente vitale: la collettività,
il predominio del “noi” sull‟io.
Ciò che dava ai partiti operai la loro forza era la convinzione che gente
come loro non poteva migliorare la propria sorte con l‟azione individuale,
ma solo con l‟azione collettiva.
Fino all‟invenzione della radio, che trasformò la vita casalinga, tutte le
forme di divertimento al di là di qualche festa privata dovevano essere
pubbliche e nei paesi più poveri era pubblica anche la televisione, perché la
si guardava in qualche locale pubblico. La vita era cosa collettiva.
Facoltà di Psicologia
Questa cosciente coesione toccò l‟apice alla fine della seconda guerra
mondiale. Durante l‟epoca d‟oro, invece, gli elementi di questa coesione
vennero minati.
Boom economico, pieno impiego e consumismo trasformarono la vita dei
lavoratori. Questi, secondo i criteri dei loro genitori e, se vecchi, secondo i
propri, non erano più poveri.
Esistenze ricche furono privatizzate dal denaro, dalla tecnologie e dalla
logica del mercato: il televisore sopprimeva la necessità di andare a vedere
la partita di calcio al cinema, i telefoni l‟abitudine di chiacchierare con gli
amici in piazza o al mercato.
I sindacalisti o gli attivisti di partito, che una volta si incontravano nelle
assemblee di elezione o in manifestazioni politiche pubbliche, che erano
anche una forma di intrattenimento, potevano ora pensare a modi più
attraenti di passare il tempo, a meno che non fossero ossessionati dalla
politica: i contatti personali cessarono di essere una forma efficace di
campagna elettorale, benché continuassero per tradizione.
Facoltà di Psicologia
Non che i lavoratori perdessero la loro fisionomia, ma una forma di
opulenza era a portata di mano.
Gli operai, soprattutto negli ultimi anni della giovinezza, prima che il
matrimonio e le spese per la casa dominassero il bilancio familiare,
potevano spendere il loro reddito in beni di lusso; l‟industria della moda e
dei prodotti di bellezza dagli anni ‟60 in poi diede una risposta a questa
disponibilità.
Tra il mercato più alto e quello più basso dei prodotti ad alta tecnologia
c‟era solo una differenza di grado. La classe operaia veniva dunque
letteralmente addomesticata, ovvero riportata nell‟ambito del domestico.
Quali sono gli elementi che determinano, dagli anni ’70 in poi, il
progressivo sfasciamento della classe dei lavoratori? Perché l’esempio
inglese è significativo in tal senso?
Negli anni 70 e ‟80, iniziò la spinta del neoliberismo contro le politiche
assistenziali e i sistemi corporativi di relazione industriale (sindacati) che
avevano protetto i lavoratori più deboli.
Lo strato superiore della classe lavoratrice, costituito da operai specializzati
e capireparto, si adattò più facilmente perché il mercato garantiva loro
guadagni.
Nell‟Inghilterra di Margaret Thatcher (1979-1990), caso estremo, quando
furono smantellate le protezioni sindacali e statali, la fascia inferiore dei
lavoratori si trovò in una situazione peggiore rispetto al secolo prima.
I lavoratori della fascia alta conobbero un miglioramento ed erano inclini a
ritenere che stavano sovvenzionando ciò che, negli anni ‟80, venne definito
in maniera inquietante la “sottoclasse”, cioè coloro che vivevano a spese
del sistema assistenziale pubblico di cui lavoratori privilegiati ritenevano di
poter fare a meno.
Rinacque la vecchia distinzione vittoriana tra il povero “perbene” e quello
“non rispettabile”, forse in una forma ancor più aspra, perché, dopo il boom,
le spese assistenziali dello stato sociale erano generose.
Facoltà di Psicologia
Secondo i lavoratori di fascia alta o “perbene”, gli assistiti vivevano molto
meglio di quanto ne avessero diritto.
Questa convinzione li spinse a sostenere la destra politica conservatrice,
mentre le tradizionali organizzazioni laburiste e socialiste difendevano
l‟assistenzialismo.
I tre governi Thatcher in Gran Bretagna ebbero successo perché fecero
conto sull‟abbandono del partito laburista da parte dei lavoratori più
qualificati.
Questi abbandonarono i quartieri operai quando le industrie si trasferirono
nelle periferie e in campagna, lasciando che i vecchi quartieri, denominati
ora “cinture rosse”, si trasformassero in ghetti o in quartieri residenziali.
Nei quartieri interni delle città, le case popolari, una volta destinate alla
classe operaia, si trasformarono in insediamenti di emarginati, con
problemi sociali o di assistiti privi di reddito.
Lezione 12
Da cosa dipende la sempre maggiore presenza delle donne in campo
lavorativo, durante l’Età dell’oro? In che misura cresce la loro
presenza nelle università?
Durante l‟Età dell‟oro la presenza delle donne in campo lavorativo cresce a
causa nell‟estensione del settore terziario e di servizi già femminilizzati,
nonché nella nascita di nuove industrie bisognose di manodopera a basso
prezzo;
Le donne entrano anche nelle università, riuscendo negli anni ‟80 a
raggiungere la percentuale del 40% e oltre in USA, Canada Europa
occidentale ed orientale;
Quando (ri)nasce il femminismo? Quali effetti ottiene e quali no?
Il femminismo rinasce negli anni „60, negli USA, per diffondersi nelle
élites colte dei paesi dipendenti. Durante gli anni ‟70 e ‟80 raggiunge ceti
più bassi “volgarizzandosi”;
Le donne ottengono una forza politica importante tanto da determinare la
sorte di leggi come quelle italiane sul divorzio e l‟aborto, e da convincere
le forze politiche a tener conto di loro come base elettorale.
Facoltà di Psicologia
Qual è il rapporto fra diritti e ruoli della donna nel periodo
dell’emancipazione? Quale il rapporto fra rappresentanza politica e
situazione sociale? Fai degli esempi.
Diritti e cambiamento dei ruoli non coincidono necessariamente:
- in URSS, ad esempio, le donne sposate devono sopportare sia il peso
familiare che lavorativo, senza che le relazioni tra i sessi cambino.
L‟emergere sulla scena politica di personaggi femminili non è una spia
della situazione complessiva delle donne. Paradossalmente i paesi dove la
loro presenza è maggiore, sono caratterizzati da una situazione sociale
peggiore;
Quali differenze intercorrono fra i tre mondi, in termini di
emancipazione femminile?
Tale situazione è molto diversa nei tre mondi.
In alcuni paesi del Terzo mondo si sviluppa uno strato sottile di donne
emancipate, per lo più imparentate con politici e borghesi, ma poi viene
represso dal fondamentalismo islamico.
Nelle ex-colonie, le condizioni sono più favorevoli rispetto a quelle
dell‟Estremo Oriente, dove la forza della tradizione è soffocante.
Nel mondo socialista l‟occupazione femminile è al massimo e la libertà
erotica è un tema politico; molte intellettuali fanno parte del partito, senza
però ottenere ruoli di rilievo; il superlavoro finisce per fa sognare alle
donne lo status di casalinga.
Ma l‟iniziale spinta rivoluzionaria proveniente dall‟URSS in campo di
diritti delle donne viene smorzata dalla resistenza delle tradizioni popolari.
Ciononostante la condizione femminile migliora sensibilmente, seppure
l‟economia pianificata non vada di pari passo con la libertà sessuale e lo
statalismo non vada d‟accordo con la libera associazione;
Nel primo mondo: il femminismo rinasce negli anni „60, negli USA, per
diffondersi nelle élites colte dei paesi dipendenti. Durante gli anni ‟70 e ‟80
raggiunge ceti più bassi “volgarizzandosi”;
Le donne ottengono una forza politica importante tanto da determinare la
sorte di leggi come quelle italiane sul divorzio e l‟aborto, e da convincere
le forze politiche a tener conto di loro come base elettorale.
F
In che senso il femminismo fin dalle origini assume una connotazione
di classe? Per chi e perché la rivendicazione del diritto al lavoro ha una
natura ideologica o economica?
I problemi discussi dai primi movimenti femministi assumono un tono di
classe in quanto si svolgono all‟interno del ceto medio. Le donne
sostituiscono gli uomini nelle occupazioni impiegatizie e crescono in quelle
d‟ufficio e intellettuali, mentre nutrono minore interesse per altri monopoli,
soprattutto manuali;
Dapprima l‟interesse delle femministe è quello di conciliare carriera e
famiglia; successivamente, tema centrale diventa quello della differenza
(sessuale), che esige un riconoscimento peculiare (maternità, violenze).
Per le donne borghesi, negli anni ‟50 e ‟60 l‟esigenza lavorativa assume
una forte carica ideologica.
Per i ceti bassi, invece, l‟esigenza è invece economica in quanto il lavoro
femminile deve sostituire lo scomparso lavoro minorile e provvedere al
mantenimento di figli che studiano.
Perché il tema della differenza di genere diventa così importante per il
femminismo? Quale ideologia pone un freno al riconoscimento della
differenza e perché?
Dapprima l‟interesse delle femministe è quello di conciliare carriera e
famiglia; successivamente, tema centrale diventa quello della differenza
(sessuale), che esige un riconoscimento peculiare (maternità, violenze).
Tuttavia, l‟impiego di una ideologia liberale basata sul concetto di
uguaglianza conduce a un imbarazzo nell‟impostazione della questione sul
rapporto fra i generi;
Lezione 13
Quali erano le analogie fondamentali tra i modelli di famiglia nel
mondo postbellico? Quali le differenze?
La struttura sociale della famiglia presenta ovunque, nel dopoguerra,
analogie che fanno capo all‟esistenza di un nucleo composto da un certo
numero di persone che vivono sotto lo stesso tetto.
Nella seconda metà del secolo XX, la famiglia nucleare subisce un
mutamento, per lo meno nei paesi occidentali avanzati, dove sale il numero
dei divorzi e delle persone che vivono da sole;
La maggioranza dell‟umanità condivideva l‟esistenza di un matrimonio
formale con relazioni sessuali privilegiate tra gli sposi (l‟adulterio è
universalmente considerato un‟offesa); la superiorità dei mariti sulle mogli
(patriarcato) e dei genitori sui figli, come pure delle generazioni anziane su
quelle giovani; nuclei familiari composti da un certo numero di persone.
Era dovunque presente un nucleo familiare (una coppia più dei bambini)
che risiedeva sotto lo stesso tetto, anche quando il gruppo nella casa era più
grande.
L‟idea che la famiglia nucleare, modello tipico nella società occidentale
dell‟Ottocento e del Novecento, sia emersa da unità più larghe, in un
percorso di crescita della borghesia o di un individualismo sociale, si basa
su fraintendimento storico circa la collaborazione sociale nelle società
preindustriali.
Nelle famiglie congiunte dei popoli slavi balcanici, ad esempio, era
necessario che le donne lavorassero per la loro famiglia ma anche per i
membri non sposati e gli orfani della comunità.
Facoltà di Psicologia
Quali furono le spie del crollo della famiglia nucleare classica? In che
misura le leggi contribuirono alla liberalizzazione del rapporto fra i
sessi?
In nazioni con una tradizione di emancipazione in materia, come la
Danimarca e la Norvegia i divorzi raddoppiarono. Cominciò anche a
crescere il numero di persone che vivevano da sole. In Gran Bretagna nel
primo terzo del secolo esse costituivano il 6% di tutti i nuclei familiari.
Fra il 1960 e il 1980 la percentuale passò dal 12% al 22%, superando il
25% nel 1991.
In molte grandi città occidentali i single finirono per formare quasi la metà
di tutti i nuclei. La classica famiglia nucleare occidentale, cioè la coppia
sposata con i bambini, era in palese declino.
Nel ventennio 1960-80, negli USA la percentuale scese dal 44% al 29%; in
Svezia dal 37% al 25%.
Facoltà di Psicologia
La crisi era legata ai mutamenti circa i modelli pubblici che regolavano la
condotta sessuale, il rapporto di coppia e la procreazione. Quei modelli
erano ufficiali o informali e il più grosso mutamento è databile agli
anni ‟60 e ‟70.
La crisi consiste in una liberalizzazione sessuale diffusa, alla quale la legge
(depenalizzazione dell‟omosessualità, dell‟aborto e legalizzazione del
divorzio) contribuisce solo in parte, in quanto asseconda le tendenze
correnti nella società;
Le rivoluzioni sono inizialmente più vistose nei paesi con morale coercitiva
(soprattutto cattolica), per poi proseguire più speditamente negli altri.
Quale autocoscienza fondamentale
giovanile dall’Età dell’oro in poi?
caratterizza
la
generazione
La gioventù, in quanto gruppo autoconsapevole che si estendeva dalla
pubertà – che nei paesi sviluppati iniziava prima rispetto alle generazioni
precedenti – fino ai venticinque anni circa, diventò un agente sociale
indipendente.
Gli sviluppi politici più impressionanti degli anni ‟60 e ‟70 furono dovuti
alla mobilitazione di una fascia di età che, in paesi meno politicizzati,
faceva la fortuna dell‟industria discografica, il 75%-80% della cui
produzione (cioè la musica rock) era destinata a un pubblico fra i 14 e i 25
anni.
La radicalizzazione politica degli anni ‟60, anticipata da contingenti più
piccoli di dissidenti, appartenne a una generazione di giovani che
respingevano il ruolo di ragazzi o adolescenti (non ancora maturi) e non
riconoscevano valore alle persone sopra i trent‟anni, tranne che a qualche
guru occasionale.
La rivoluzione dei costumi interessa particolarmente la nuova generazione
di giovani, che acquista maggiore autoconsapevolezza ed indipendenza,
giungendo a coprire un ruolo storico principale durante gli anni ‟60 e ‟70;
L‟autonomia o autarchia giovanile viene rappresentata simbolicamente da
personaggi pubblici (cantanti, attori) che conducono una vita votata
all‟autodistruzione. Ne consegue un giovanilismo che viene accolto con
favore dai produttori dei beni di consumo;
Quali fattori di novità differenziano la gioventù nuova rispetto a quella
borghese classica?
Il gruppo d‟età, non nuovo, si differenzia da quello previsto nella borghesia
classica nella misura in cui non accetta la classificazione di “immaturità”.
Facoltà di Psicologia
I giovani non si percepiscono in uno stadio preparatorio verso la maturità,
ma in una condizione definitiva, in contrasto con un mondo che vede il
potere in mano alla vecchia generazione.
Il sistema esegue concessioni al giovanilismo, non solo sul piano
consumistico ma anche su quello dei diritti (voto, rapporti sessuali);
La cultura giovanile diviene dominante nelle economie di mercato dei paesi
sviluppati, sia per il potere d‟acquisto dei giovani che per la loro maggiore
flessibilità rispetto alle novità tecnologiche. La perizia nell‟uso delle nuove
tecnologie permette loro di diventare “docenti” di una generazione che non
sta al passo coi tempi; tale capovolgimento si estende anche nella moda;
Quali elementi determinano il divario fra questa generazione e quella
appena precedente, nel mondo?
La gioventù moderna è internazionale: stesse produzioni culturali vengono
fruite mondialmente, con una preponderanza dell‟immaginario
nordamericano, che si diffonde attraverso la musica, il cinema e
l‟iconografia in genere.
Centrale è la competenza della gioventù mondiale nella comunicazione, la
quale rende possibile un fenomeno come quello del ‟68.
Facoltà di Psicologia
Il profilo dell‟identità attraverso simboli mediatici viene rafforzato dalla
distanza intergenerazionale. Il distacco è particolarmente traumatico in
terre segnate dalla rivoluzione o da conquiste, ma il contributo dell‟Età
dell‟oro è decisivo: anche il movimento migratorio interno dalle campagne
alle città recide legami tradizionali importanti;
Persino nel Terzo mondo, caratterizzato da una situazione politica precaria,
i continui rovesciamenti conducono le nuove generazioni a guardare quelle
del passato o con rifiuto o attraverso l‟idealizzazione, come accade ad
esempio con Nelson Mandela.
Lezione 14
Cosa si intende per carattere “demotico” e “antinomiano” della nuova
cultura?
La cultura giovanile fu caratterizzata da due peculiarità fondamentali. Essa
fu:
- demotica: cioè di ispirazione popolare,
- antinomiana: cioè avversa a ogni tipo di regola, soprattutto in merito alla
condotta personale.
Ognuno doveva essere libero di “fare ciò che gli pareva”, con il minimo di
costrizione esterna, benché di fatto la pressione dei coetanei e della moda
imponesse un conformismo identico a quello di ogni tempo, quanto meno
nei gruppi di giovani coetanei che condividevano la stessa sottocultura.
Il carattere “antinomiano”, in particolare, si manifestò con maggior
chiarezza quando trovò espressione intellettuale negli slogan del 1968,
nonché nel fatto che il modo più ovvio per infrangere i legami imposti dal
potere, dalla legge e dalle convenzioni furono il sesso e le droghe.
Quali esempi storici del passato anticipano la moda demotica e in che
senso la nuova misura rappresenta una novità?
La cultura demotica ha esempi storici, nel passato, in:
- Maria Antonietta di Francia che si divertiva a fare la pastorella;
- nei romantici che avevano idolatrato la cultura popolare rurale;
intellettuali come Baudelaire avevano fantasticato sulla nostalgie de la
boue (la voglia dei bassifondi),
- nei vittoriani, che avevano scoperto che avere relazioni sessuali con
persone di estrazione sociale più bassa era soddisfacente.
Nell‟età degli imperi (cioè quella fra il 1875 e il 1914) per la prima volta
gli influssi culturali cominciavano a provenire dal basso e a essere recepiti
al livello superiore, sia attraverso nuove forme popolari di arte sia
attraverso il cinema.
Da cosa era caratterizzato l’intrattenimento fra le due guerre?
L‟intrattenimento tra le due guerre rimase sotto l‟egemonia delle classi
medie.
I film hollywoodiani erano “rispettabili”; la loro idea sociale si riconduceva
ai “valori familiari”; la loro ideologia era la retorica patriottica.
Facoltà di Psicologia
I più grandi trionfi, come ad esempio Via col vento, erano basati su
romanzi destinati ai lettori delle classi medie, alla stregua del Cyrano de
Bergerac di Rostand.
Il genere anarchico e volgare dei film comici derivati dallo spettacolo di
varietà e dall‟ambiente del circo resistette per un po‟, benché negli anni ‟30
anch‟esso fosse costretto a ritirarsi sotto la spinta di un genere brillante,
nato nei teatri e poi passato nella crazy comedy hollywoodiana.
Anche il “musical” di Broadway che trionfò tra le due guerre era un genere
borghese, sebbene fortemente contaminato dal jazz. Le commedie musicali
erano per il ceto medio di New York, e i libretti si rivolgevano ad adulti
sofisticati. Non si trattava di uno spettacolo di massa.
Che forme assumono le ispirazioni demotiche nel campo della musica,
del linguaggio e della moda? Quali possono essere i motivi alla base di
tale rivoluzione?
Nella musica: il rock fu l‟esempio più impressionante del carattere
demotico della nuova cultura. A metà degli anni ‟50 il genere uscì dal
ghetto che le case discografiche classificavano come “Rhythm and Blues” e
che era destinato ai neri americani poveri, per diventare il linguaggio
musicale universale dei giovani e in particolare dei bianchi.
Facoltà di Psicologia
Nel linguaggio: in Inghilterra i giovani aristocratici persero
volontariamente l‟accento che identificava la loro classe e usarono un
linguaggio che approssimava quello operaio.
Anche le signorine cominciarono ad utilizzare l‟intercalare di parole oscene.
Che la letteratura facesse eco era questione di tempo.
Facoltà di Psicologia
Lo stile “demotico” (popolare, pop) era un linguaggio con il quale i giovani
cercavano faticosamente di entrare in rapporto con un mondo per il quale le
regole e i valori dei genitori non sembravano più valide.
Nella moda: i giovanotti eccentrici ed eleganti delle classi lavoratrici in
passato avevano derivato il proprio stile dalla moda degli strati sociali
superiori o di quelli medi, come la bohème artistica – che, a sua volta,
veicolava l‟idea di un anticonformismo da inseguire anche a costo della
povertà.
Ora vi era invece un rovesciamento che prevedeva che il mercato della
moda per i giovani di basso livello sociale non solo diventasse autonomo,
ma anche che desse tono anche a quello delle classi alte.
Mentre i blue jeans si diffondevano, l‟alta moda parigina accettava la
sconfitta utilizzando i marchi di prestigio per vendere prodotti di massa.
Il 1965 fu il primo anno in cui l‟industria francese dell‟abbigliamento
femminile produsse più pantaloni che gonne.
Quali peculiarità caratterizzano gli slogan del ’68?
Gli slogan della ribellione, come “è vietato vietare”, non erano
affermazioni politiche nel senso tradizionale, ma erano piuttosto
proclamazioni di sentimenti privati.
“Il personale è politico”, slogan importante del nuovo femminismo –
probabilmente il risultato più duraturo della radicalizzazione politica –,
esprimeva quanto per la nuova cultura fosse importante l‟individuo che
manifesta le sue istanze in contesto pubblico.
Un altro slogan del maggio „68, “quando penso alla rivoluzione voglio fare
l‟amore”, che avrebbe lasciato di stucco i comunisti della rivoluzione
sovietica, esprimeva quanto per i contestatori parigini fosse importante non
tanto ciò che speravano di ottenere ma ciò che facevano, l‟entusiasmo che
li trascinava.
In che modo sesso e droga assumono un senso nell’antinomismo della
nuova cultura?
il sesso e le droghe costituirono il modo più ovvio per infrangere i legami
imposti dal potere, dalla legge e dalle convenzioni esprimendo il carattere
antinomiano della nuova cultura giovanile.
Le droghe, tranne alcol e tabacco, erano state confinate fino ad allora a
piccoli gruppi sociali e non avevano beneficiato di una legislazione
permissiva.
La loro diffusione durante i decenni della nuova gioventù non può essere
spiegata soltanto con la ribellione: le sole sensazioni procurate potevano
essere infatti motivo d‟attrazione sufficiente.
Tuttavia, il fatto che la droga più diffusa, la marijuana, fosse pressoché
innocua, fece sì che l‟attività sociale del fumarla, oltre che un piacere,
diventasse non solo una sfida nei confronti del divieto, ma anche una
dimostrazione di superiorità nei confronti dei proibitori.
Facoltà di Psicologia
Quanto al sesso, non v‟era bisogno di scoprirlo ma di farne un uso
provocatorio, ostentato: episodio esemplare fu quello della pubblicazione,
nel 1960, di Lady Chatterley, romanzo censurato sin dal ‟28 a causa dei
suoi riferimenti erotici.
Nel caso in cui un‟attività sessuale fosse proibita, bastava praticarla per
rompere le regole; nel caso invece venisse tollerata, come l‟omosessualità
femminile, l‟unico modo per farne un atto di rottura era rivendicarlo:
questo motivo è, fra gli altri, alla base dell‟importanza attribuita dagli
omosessuali al coming out, cioè alla dichiarazione pubblica del proprio
orientamento.
Negli USA l‟emergere di una subcultura omosessuale nelle città trendy di
New York e San Francisco dovette attendere gli anni ‟60, mentre la
costituzione di un gruppo di pressione politica omosessuale avvenne in
queste città solo negli anni ‟70.
Esso diede inizio a varie tendenze nella moda e nelle arti che rafforzarono
l‟anticonformismo in quanto espressero a loro volta, in una sorta di
feedback positivo, un rifiuto dell‟ordine stabilito da tradizioni, convenzioni
e proibizioni.
Facoltà di Psicologia
Questo rifiuto non avvenne in nome di altri modelli, sebbene non
mancassero gli ideologi “libertari”. La rinascita dell‟anarchismo, in altri
termini, fu solo apparente
Che differenza c’è fra anarchia e antinomismo?
L‟anarchia: si basa sulla fede che l‟azione spontanea, antiautoritaria e
libertaria possa condurre alla creazione di una società nuova;
l‟antinomismo: invece, teorizza quale unico ideale l‟autonomia del
desiderio individuale.
Qual è il paradosso dell’antinomismo in relazione alle regole implicite
della società consumistica?
La nuova cultura, era caratterizzata da un anarchismo solo apparente, in
quanto essa aveva quale unico ideale l‟autonomia del desiderio individuale
e non la creazione di una società nuova.
Si presupponeva quindi un mondo di individualismo egocentrico spinto ai
suoi estremi limiti: paradossalmente, dunque, i ribelli condividevano i
presupposti della società dei consumi di massa o almeno le motivazioni
psicologiche sulle quali facevano leva coloro che producevano per il
mercato.
Si presupponeva, insomma, che il mondo consistesse di esseri umani, la cui
identità consisteva nel perseguimento dei propri desideri individuali, non
perché accettabili ma perché nutriti in massa.
Lezione 15
Perché l’eclisse della comunità colpì gravemente le fasce sociali più
svantaggiate?
La rivoluzione culturale degli anni ‟60 e ‟70 rappresenta una rottura dei fili
che legavano gli uomini al tessuto sociale. Essa interessa soprattutto la
codificazione implicita dei ruoli e dei valori, il cui declino acuisce la
distanza intergenerazionale;
La rottura dei tessuti sociali gioca a sfavore dei poveri, in quanto viene a
mancare quella rete comunitaria che li informava, permetteva lo scambio
lavorativo, il risparmio e la sicurezza;
Quale impulso condusse i popoli a mettere in discussione le gerarchie
tradizionali? Quale fu l’esito del crollo delle tradizioni, in termini di
sicurezza?
Nelle società più tradizionaliste, le tensioni si palesarono nella misura in
cui il trionfo dell‟economia di mercato minò la legittimità dell‟ordine
sociale accettato, fondato sull‟ineguaglianza.
L‟economia di mercato infatti, sortì un effetto livellante sul popolo, che
iniziò a nutrire insofferenza nei confronti delle gerarchie sociali consolidate.
Laddove il rovesciamento delle tradizioni ebbe luogo, ciò avvenne a costo
della sicurezza;
A premere in tal senso furono le aspirazioni egualitarie che “risvegliarono”
i popoli in modo da colpire le giustificazioni dell‟ineguaglianza: in passato
la ricchezza dei ragià (principi) indiani, così come l‟immunità dalle tasse
della famiglia reale britannica (intatta fino agli anni ‟90), erano considerati
attributi confacenti al ruolo che quei personaggi rivestivano nell‟ordine
sociale e forse perfino cosmico, che simbolizzava il regno; ora,
diventavano oggetti di risentimento.
In che modo l’eclisse della comunità si rifletté nei discorsi ideologici e
nei provvedimenti sociali? Quali furono le ispirazioni principali?
Facoltà di Psicologia
In Occidente, la rivoluzione sociale portò a una distruzione più ampia dei
vecchi codici etici e sociali.
Per ciò che riguarda i discorsi ideologici pubblici: casi esemplari sono
alcuni argomenti tipici del femminismo:
- quello secondo cui il lavoro domestico della donne deve essere calcolato
e pagato secondo il valore di mercato, come se la relazione fra marito,
moglie e figli si riducesse ad uno scambio commerciale;
- quello che giustifica l‟aborto in termini di un illimitato diritto di scelta
della donna, come se la decisione se avere o no un figlio riguardasse solo
chi la prende.
A incoraggiare una tale retorica sono state l‟influenza pervasiva delle
dottrine economiche neoclassiche (utilitaristiche e individualistiche), che
nelle società occidentali secolarizzate hanno preso sempre più il posto della
teologia, nonché – in virtù dell‟egemonia culturale degli USA – l‟influenza
della giurisprudenza americana ultraindividualista.
Tutto ciò viene espresso perfettamente in una frase di Margaret Thatcher:
“La società non esiste; esistono solo gli individui”.
Facoltà di Psicologia
Per ciò che riguarda i provvedimenti sociali: durante gli anni ‟70, i
riformatori sociali nei paesi anglosassoni, turbati dagli effetti negativi della
segregazione in istituti delle persone disabili o malati di mente, promossero
con successo una campagna perché il maggior numero di queste persone
venissero sottratte alla loro condizione di reclusione per essere assistite
dalla comunità.
Tuttavia, non c‟era nessuna comunità al di fuori dell‟istituto che potesse
prendersi cura di loro: niente parenti o conoscenti; solo le strade di New
York, che si riempirono di mendicanti senzatetto psicotici.
Per “fortuna”, molti finirono nelle prigioni che, negli USA, divennero il
ricettacolo primario di tutti i problemi sociali.
Quale fu l’effetto della nuova cultura (individualista) su famiglia e
chiese?
la famiglia tradizionale e le chiese tradizionali furono le istituzioni più
colpite dall‟individualismo morale.
Infatti, negli anni ‟60 la frequenza alla messa del Québec (Canada) calò
dall‟80% al 20% e la natalità al di sotto della media nazionale.
La “liberalizzazione” delle donne, col diritto al controllo delle nascite e il
divorzio, aumentò le distanze con la religione, soprattutto in paesi cattolici
come l‟Irlanda, l‟Italia e perfino la Polonia (dopo la caduta del comunismo).
Le vocazioni crollarono, così come la disponibilità al celibato. Le altre
chiese, comprese le sette protestanti, decaddero anche più in fretta.
Facoltà di Psicologia
Come e perché le attività economiche vennero interessate
dall’abbandono della vita comunitaria?
Le conseguenze materiali dell‟allentamento dei legami familiari furono più
gravi. Infatti la famiglia era stata sino ad allora essenziale per sorreggere
l‟economia agricola e la prima economia industriale.
Inoltre, in ambito commerciale, venivano meno la fiducia e l‟osservanza
dei contratti che sino ad allora erano state garantite dalla forza dello stato o
dai legami di sangue e di comunità: per questo motivo attività a rischio
erano state gestite da imprenditori con parentele capaci di sostenerli,
preferibilmente in gruppi religiosi come gli ebrei o i quaccheri.
A essere colpiti furono proprio questi legami e queste solidarietà non
economiche, come i codici morali. Tali codici erano più vecchi della
società borghese, ma erano stati adattati.
Il vecchio vocabolario dei diritti e dei doveri, delle obbligazioni, del
peccato e della virtù, del sacrificio, della coscienza, dei premi e delle pene,
non poteva più essere tradotto nel nuovo linguaggio della gratificazione
immediata dei desideri.
Tali legami sono ancora oggi indispensabili negli affari della malavita, in
quanto essa non solo opera contro la legge, ma al di fuori della sua
protezione.
Le famiglie della „ndrangheta che più hanno successo sono, non a caso,
caratterizzate da un notevole numero di fratelli.
Facoltà di Psicologia
Che ruolo assunse lo stato sociale? In cosa consistette il passaggio dalla
“comunità” alla “società”?
Una volta che le pratiche e le istituzioni tradizionali non furono più
accettate, i vecchi codici si ridussero a espressioni di preferenze e si diffuse
una pretesa al “diritto di preferenza” ad ogni costo.
Qui risiede la differenza tra il linguaggio dei “diritti” (legali o
costituzionali) che divenne centrale nella società dell‟individualismo
incontrollato (almeno negli USA), e il vecchio idioma morale nel quale
diritti e doveri erano due facce della stessa medaglia.
Dagli anni ‟60 in poi tale linea trovò espressione ideologica in teorie varie,
dal neoliberismo in economia al “postmodernismo” nella cultura, tutte tese
a ridurre i valori all‟illimitata libertà individuale.
Facoltà di Psicologia
All‟inizio, salvo che ai reazionari, i vantaggi di tale libertà sembravano
enormi. Essere un genitore singolo (di solito, ragazza madre) significava
ancora vivere in povertà, ma nei moderni stati assistenziali anche in questi
casi veniva garantito un livello minimo di protezione, tra pensioni, servizi
sociali e case di riposo.
Sembrò naturale si potessero affrontare anche altre evenienze che un tempo
erano state risolte entro l‟istituzione familiare: nacquero ad esempio gli
asili nido, fortemente richiesti dai socialisti.
Nonostante gli attacchi del neoliberismo, lo stato assistenziale sopravvisse
nei paesi più ricchi: in questo modo divenne evidente quanto sostenuto da
sociologi ed antropologi, cioè che l‟intervento dello stato e la funzione
della comunità sono in rapporto di proporzione inversa; nei termini del
tedesco Ferdinand Tönnies, la società industriale moderna comportava un
passaggio dalla Gemeinschaft (comunità), fondata sul sentimento di
appartenenza e sulla partecipazione spontanea, alla Gesellschaft (società),
basata sulla razionalità e sullo scambio.
Cos’è una sottoclasse? Quali furono le problematiche sociali con cui si
scontrarono le sottoclassi negli anni del neoliberismo?
Il termine di “sottoclasse” ricomparve nel lessico sociopolitico negli anni
del neoliberismo (anni 80), , per indicare quella porzione di persone che,
nelle società avanzate, dopo la fine del pieno impiego, non riuscivano a
guadagnarsi da vivere (o non vi si impegnavano), mentre per i due terzi
della popolazione l‟economia funzionava.
I membri di tale classe, esclusi dalla società “normale”, confidavano
sull‟assistenza pubblica, eventualmente integrandola con lavori in nero o
criminosi, che non potevano essere censiti.
Negli USA, la maggioranza dei neri divennero l‟esempio tipico di
sottoclasse. Molti si consideravano una società fuorilegge o un‟anti-società.
Con il declino e la scomparsa delle grandi industrie, sottoclassi comparvero
in diversi paesi. Tuttavia nei quartieri abitati da sottoclassi non c‟era alcuna
comunità e pochissimo appoggio da parte dei congiunti; perfino l‟aiuto dei
vicini, ultima reliquia della comunità, non poteva sopravvivere alla paura
da giungla hobbesiana.
Nei luoghi dove sopravvisse il senso della comunità, si conservò un certo
ordine sociale.
In paesi come il Brasile, dove povertà e disuguaglianza dominano, non è
tuttavia presente quella insicurezza che pervade le città dei paesi avanzati,
dove sono stati smantellati i vecchi codici di comportamento.
Paradossalmente, vivere in un‟area socialmente retrograda ma strutturata
tradizionalmente come l‟Irlanda del Nord, nonostante la disoccupazione e
vent‟anni di guerra civile, è più sicuro che vivere nella maggior pare delle
grandi città del Regno Unito.
F
Cosa sono le politiche dell’identità? Cosa rappresentano?
Le Politiche di identità sono sorte negli USA dagli anni ‟60 a fronte della
disintegrazione di valori, costumi, convenzioni.
Si trattava di movimenti nostalgici, di carattere etnico/nazionalista o
religioso (integralista), che vagheggiavano il ricupero di un ordine e una
sicurezza perfetti, ritenuti appannaggio del passato.
Questi movimenti, in realtà poveri di proposte, palesavano l‟esigenza di
una comunità cui appartenere.
Per quale motivo il crollo delle comunità ebbe effetto sull’economia di
mercato?
La disintegrazione della società tradizionale costituì un pericolo per
l‟economia capitalistica in quanto quest‟ultima si era sempre basata su
costanti del comportamento umano ritenute fondamentali sin dai tempi di
Adam Smith (1723-1790, padre dell‟economia classica), quali:
- l‟abitudine a lavorare,
- la disponibilità a rinviare la gratificazione (investimento; orgoglio del
risultato), la fiducia reciproca,
- l‟abitudine all‟obbedienza e alla lealtà.
E, con la crisi della famiglia tradizionale queste motivazioni rischiavano di
venire meno.
Il capitalismo poteva funzionare senza, ma quando accadde, sorsero i
problemi: negli anni ‟80 nella Borsa di paesi come USA e Gran Bretagna
imperversarono speculazioni che condussero il mercato mondiale ad uno
stato di crisi.
Il capitalismo, insomma, scoprì troppo tardi l‟essenzialità delle strutture
sociali tramontate: paradossalmente, pertanto, il neoliberismo, di moda
negli anni ‟70 e ‟80, ebbe il suo trionfo proprio nel momento in cui cessava
di essere plausibile.
F
Lezione 16
Qual è l’esito della decolonizzazione del secondo dopoguerra in ambito
politico?
Il moltiplicarsi a dismisura il numero degli stati indipendenti nel Terzo
mondo;
Da che ritmo è caratterizzata la crescita demografica dagli anni ’50 in
poi? Che differenze sussistono tra questo ritmo e quello mantenuto dal
XVI al XIX secolo?
La popolazione mondiale raddoppia dagli anni ‟50 ad oggi, per lo più nelle
regioni decolonizzate: il tasso di natalità, in queste ultime, è maggiore
rispetto a quello dei paesi sviluppati; quello di mortalità conosce un
drastico calo a causa dei progressi scientifici e tecnologici capaci di salvare
un gran numero di vite;
Alla fine degli anni ‟80, la popolazione dei paesi ricchi membri dell‟OCSE
(cioè quelli europei più gli USA, il Canada, l‟Australia e il Giappone)
rappresentava 15% di quella mondiale; tale quota, peraltro, era in declino,
dal momento che il tasso di natalità nei paesi sviluppati era inferiore
rispetto a quello di mortalità.
Le economie emergenti non sono in grado di reggere tale aumento, pertanto
il divario fra paesi avanzati e arretrati si acuisce, nonostante un tasso di
crescita (indicato dal PIL) identico;
In precedenza, invece, dal sedicesimo secolo in poi, la crescita demografica
aveva sempre favorito il mondo “sviluppato”: da meno del 20% della
popolazione mondiale nel 1750, le popolazioni di origine europea erano
aumentate fino a costruire circa un terzo dell‟umanità nel 1900.
Quali sono le cause dell’impennata demografica e quali i suoi esiti
immediati?
Dalla metà del XX secolo la popolazione mondiale iniziò a crescere con un
ritmo senza precedenti, per lo più nelle regioni conquistate.
L‟unico fattore che faceva crescere la popolazione di questi paesi era
l‟immigrazione dal Terzo mondo, protagonista, dal dopoguerra in poi, di
un‟esplosione demografica che costituisce probabilmente il mutamento più
fondamentale nel Secolo breve.
Il tasso di natalità è sempre stato, nei paesi del Terzo mondo, molto più
elevato di quello dei paesi “sviluppati”, mentre i grandi tassi di mortalità
sono calati, dagli anni ‟40,quattro o cinque volte di più di quanto calò
quello di mortalità in Europa nell‟Ottocento.
Infatti, mentre in Europa tale calo dovette attendere il miglioramento delle
condizioni di vita, nei paesi poveri durante l‟Età dell‟oro la tecnologia
moderna si diffuse sotto forma di medicine e mezzi di trasporto, in grado di
salvare vite umane su vasta scala.
Facoltà di Psicologia
La popolazione esplose, benché né l‟economia né le istituzioni fossero
mutate come necessario.
La conseguenza immediata fu l‟allargamento del fossato tra paesi ricchi e
poveri, avanzati e arretrati, nonostante un tasso di crescita identico:
un‟uguale crescita di PIL, infatti, non aveva lo stesso significato in
relazione ad una popolazione stabile e ad una in estrema crescita.
Per che tipo di istituzioni si orientano le nuove realtà politiche del
Terzo mondo e con quali esiti?
Dopo la decolonizzazione, la preoccupazione principale dei paesi poveri fu
quella della forma politico-istituzionale da adottare.
In genere essi si orientarono, spontaneamente o sotto spinta esterna, su
sistemi derivati dai loro vecchi padroni imperiali.
Divennero repubbliche parlamentari fondate su libere elezioni, con una
piccola minoranza di repubbliche democratiche popolari inclini a seguire il
modello sovietico.
Ogni paese si proclamò democratico “sulla carta”, sebbene solo i regimi
comunisti o social rivoluzionari insistessero nel definirsi popolari o
democratici.
Queste etichette indicavano lo schieramento in cui le nuove realtà si
collocavano, ma erano poco realistiche in quanto mancavano le condizioni
materiali e politiche perché la realtà corrispondesse al quadro delineato
nella costituzione o simbolizzato dalla denominazione: le tradizioni passate
non erano quelle dell‟Occidente.
Lo stesso valeva per gli stati comunisti, anche se l‟autorità del singolo
partito guida in stile sovietico rendeva meno incongruente l‟etichetta con la
realtà.
Facoltà di Psicologia
Uno dei pochi incrollabili e immutati principi comunisti era garantire la
supremazia di un partito politico composto di civili sulle forze militari.
Tuttavia, negli anni ‟80, fra gli stati che si proclamavano rivoluzionari
(Algeria, Benin, Birmania, Repubblica del Congo, Etiopia, Madagascar,
Somalia, Libia), molti erano governati da militari giunti al potere attraverso
un colpo di stato. La stessa situazione vigeva in Siria ed Iraq.
Per quale motivo si diffonde la pratica del colpo di stato nei paesi
emergenti dopo la decolonizzazione? Perché l’Occidente rimane
immune da tale rischio?
La tendenza a cadere sotto regimi militari divenne una caratteristica
unificante di questi paesi emergenti, di qualunque affiliazione politica o
tipologia costituzionale fossero.
In molti stati i militari avevano un peso superiore, anche in quelli dove i
rapporti col governo erano problematici (come in Francia).
Tuttavia, la condotta abituale nei paesi con istituzioni stabili e con governi
costituzionali era di obbedire e astenersi dalla politica o, al limite, tramare
dietro le quinte.
La politica dei colpi di stato fu perciò il prodotto della nuova epoca di
governi incerti o illegittimi.
Nella seconda metà del secolo essa fu più comune, dato che, dei duecento
stati esistenti al mondo, i più erano nuovi e perciò privi di legittimazione
tradizionale, nonché retti da sistemi politici inadatti e suscettibili di tracolli.
Le forze armate erano spesso il solo corpo capace di azione politica. Inoltre,
poiché la Guerra fredda era largamente condotta attraverso le forze armate
dei paesi dipendenti o alleati, queste venivano finanziate e armate dalla
superpotenza cui erano legate.
Facoltà di Psicologia
Nei più importanti paesi comunisti i militari rimasero sotto controllo grazie
alla supremazia del partito.
Nei più importanti paesi occidentali, meccanismi altrettanto efficaci li
tennero sotto controllo. In Italia, ad esempio, dove gli USA mantennero un
gruppo paramilitare pronto al colpo di stato nel caso il partito comunista
fosse stato ammesso nella compagine governativa, rimasero sempre in
carica governi civili, seppure con periodi di importante instabilità (gli
anni ‟70 o “anni di piombo”).
Solo in quei paesi in cui i traumi della decolonizzazione furono intollerabili
(sconfitta patita a opera delle colonie) gli ufficiali furono tentati dal colpo
di stato, come in Francia negli anni ‟50 durante le guerre per mantenere
l‟Indocina e l‟Algeria, e in Portogallo quando crollò l‟impero in Africa
negli anni ‟70.
In entrambi i casi, le forze armate vennero riportate sotto il controllo civile.
Il solo regime militare appoggiato dagli USA in Europa fu quello in Grecia
nel 1967 effettuato da un gruppo dell‟ultradestra, che crollò dopo sette anni.
Facoltà di Psicologia
Le condizioni per l‟intervento militare erano più invitanti nei paesi del
Terzo mondo, specialmente quelli nuovi, deboli e piccoli, dove poche
centinaia di uomini potevano essere decisivi e dove era probabile che i
governi producessero caos, corruzione.
Il più piccolo indizio che il governo potesse cadere ai comunisti era
sufficiente a garantire l‟appoggio americano.
Il tipico capo non era un aspirante dittatore ma un uomo sinceramente
convinto di poter rimettere in ordine lo stato, nella speranza che il governo
civile riprendesse le redini.
In generale, entrambi gli obiettivi fallivano e pochi regimi mantenevano il
potere a lungo.
In che modo gli stati emergenti decidono di gestire le politiche per lo
sviluppo?
Si deliberò di porre fine all‟arretratezza agricola con l‟industrializzazione
mediante il modello sovietico della pianificazione e con la sostituzione
delle importazioni con prodotti locali. Entrambe le vie presupposero un
controllo da parte dello Stato.
Seguendo l‟esempio del Messico nel 1938, le nuove potenze intrapresero
una nazionalizzazione del settore petrolifero, creando imprese statali. In
questo modo scoprirono che il possesso fisico di petrolio e gas conferiva
grande vantaggio nella relazione con le potenze straniere.
La formazione dell‟Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio
(OPEC) divenne possibile perché la proprietà del petrolio era passata dalle
compagnie ai governi che lo estraevano.
Meno successo ebbero quei paesi che sottovalutarono i loro limiti –
mancanza di personale qualificato, quadri economici e amministrativi;
analfabetismo; scarsa familiarità o simpatia per la modernizzazione –
specialmente quando si posero obiettivi difficili perfino per paesi sviluppati,
come l‟industrializzazione pianificata.
In questi paesi, dagli anni ‟70 definiti “di nuova industrializzazione”, le
politiche stataliste produssero burocrazia, corruzione e sprechi ma anche
crescita economica.
Facoltà di Psicologia
Lo sviluppo industriale non interessava alla maggioranza degli abitanti che
vivevano coltivando la terra in proprio.
Qual è la risposta della classe contadina alla modernizzazione, nel
tempo?
Nell‟emisfero occidentale e negli aridi territori dei paesi musulmani
occidentali le campagne si svuotarono e le città si ingigantirono.
Invece, in regioni fertili e non troppo popolate, come l‟Africa nera, la
popolazione avrebbe potuto sostenersi da sola.
Gli abitanti, per lo più, non avevano bisogno dei propri stati, che erano
deboli e potevano essere elusi ritirandosi nella vita del villaggio.
I contadini asiatici e islamici, in maggioranza, erano più poveri o peggio
nutriti e disponevano di terre limitate. Ciononostante, molti decisero di non
lasciarsi attrarre dallo sviluppo economico, obbedendo ad un timore nei
confronti di tutto ciò che è “estero”; decidendo, cioè, di minimizzare i
rischi piuttosto che massimizzare profitti.
Tale atteggiamento non bastò a tenere i contadini fuori dalla rivoluzione
economica mondiale, la quale raggiunse le popolazioni più isolate sotto
forma di sandali di plastica, taniche di benzina, vecchi camion e uffici pieni
di carte. L‟effetto fu quello di dividere gli uomini in due categorie: quelli
della costa (le città, familiari alla carta scritta) e dell‟interno (foreste).
Ovviamente, l‟interno era governato dalla costa.
Cosa sono le riforme agrarie e quali sono le loro motivazioni
principali?
Negli anni ‟60 le popolazioni rurali cominciarono a considerare la
modernità come una promessa piuttosto che come una minaccia.
C‟era un aspetto dello sviluppo economico che poteva sedurre la gente
delle campagne: la riforma agraria.
Questo slogan poteva riferirsi ai programmi più disparati:
- frazionamento delle grandi proprietà latifondiste;
- redistribuzione delle terre fra i contadini e i braccianti;
- riforme dei fitti;
- collettivizzazione delle terre, ecc.
Agli occhi dei modernizzatori la ragione per attuare una riforma agraria
era:
- politica (ottenere l‟appoggio contadino)
- ideologica (ridare la terra a chi la lavora) più che economica, dato che la
maggior parte riformatori non si aspettava molto da una mera
redistribuzione delle terre.
di Psicologia
La riforma dimostrò che l‟agricoltura gestita dai coltivatori, in un‟ottica
moderna, poteva essere efficiente e più flessibile della tenuta latifondista.
Furono agricoltori con mentalità imprenditoriale a sancire i progressi
dell‟agricoltura dei paesi dipendenti nel secondo dopoguerra, cioè la
“rivoluzione verde” che ha introdotto nuove varietà di colture
scientificamente selezionate e che ha sostituto la tipica piantagione
imperialista (solitamente di caffè, zucchero o gomma) caratterizzata dalla
grandezza piuttosto che dai criteri di coltivazione.
a
La ragione economica più forte per la riforma agraria non si fondava tanto
sulla produttività ma sull‟eguaglianza.
Lo sviluppo economico ha provocato prima un aumento e poi una
diminuzione della disuguaglianza nella distribuzione del reddito, anche se
il declino economico e una fede teologica nel libero mercato hanno
rovesciato poi questa tendenza.
L‟eguaglianza alla fine dell‟Età dell‟oro era maggiore nei paesi occidentali
avanzati che nel Terzo mondo.
Tuttavia, mentre la disuguaglianza era massima in America latina, seguita
dall‟Africa, era bassa in paesi asiatici, dove una riforma era stata imposta
dalle forze d‟occupazione americane o sotto il loro auspicio (Giappone,
Corea del Sud e Taiwan).
La disuguaglianza sociale dell‟America latina è dunque connessa con
l‟assenza di una riforma agraria in tanti paesi.
La riforma agraria fu senz‟altro bene accolta dai contadini del Terzo mondo,
almeno finché non si trasformò nell‟agricoltura collettiva o nella
produzione cooperativa, come avvenne nei paesi comunisti.
Comunque ciò che i modernizzatori vedevano nella riforma non coincideva
con il significato che essa aveva per i contadini, i quali non avevano
interesse per la macroeconomia, ma avanzavano richieste specifiche.
di Psicologia
Lezione 17
Cosa significa “Terzo mondo” e quali sono le caratteristiche che
permettono una classificazione unitaria?
L‟espressione “Terzo mondo” designa l‟insieme degli stati post-coloniali
dell‟Africa e dell‟Asia, sorti nel secondo dopoguerra, e l‟America latina,
In contrapposizione col Primo mondo (capitalista) e il Secondo mondo
(comunista).
Al di là delle diversità, i paesi inclusi sono tutti relativamente poveri,
dipendenti dalle grandi potenze, diffidenti nei confronti del sistema
capitalistico, neutrali rispetto alla Guerra fredda;
Per quali motivi i paesi del Terzo mondo guardano con simpatia
all’URSS e che relazioni ci sono fra i conflitti nel Terzo mondo e la
Guerra fredda?
La simpatia nei confronti dell‟URSS è dovuta, tra le altre cose,
all‟atteggiamento che gli USA assumono nella Guerra fredda: per paura di
un‟espansione sovietica, appoggiano elementi conservatori nei paesi poveri
e amplificano la rete di organizzazioni facenti capo alla NATO per
fronteggiare il pericolo russo;
Benché la Guerra fredda stabilizzasse l‟ordine mondiale, quest‟ultimo non
era caratterizzato da una vera e propria pace.
Quali sono le aree più “calde” nel Medio Oriente e per quali motivi?
il Medio Oriente fu tormentato da rivoluzioni militari, ed alleati americani
erano coinvolti in Israele, Turchia e Iran; l‟isolata India, invece, fu
impegnata tra gli anni ‟60 e ‟70 in una guerra contro la Cina e due contro il
Pakistan di cui l‟Occidente rimase quasi all‟oscuro.
I conflitti regionali non avevano alcun nesso essenziale con la Guerra
fredda: l‟URSS era stata, infatti, tra i primi a riconoscere lo stato d‟Israele
(nato nel 1948), che sarebbe poi diventato grande alleato degli USA,
mentre gli stati arabi o islamici erano uniti nella repressione del comunismo
all‟interno.
Facoltà di Psicologia
Il principale fattore di instabilità era proprio Israele perché i coloni ebraici
costruirono confini più larghi di quelli previsti dalla spartizione effettuata
dalla Gran Bretagna (che governava il territorio palestinese dal 1920 dietro
accordi con la Francia).
Nel tempo furono espulsi 700.000 palestinesi non ebrei, una popolazione
più grande di quanto fossero gli ebrei sul suolo israeliano nel 1948.
Israele, inoltre, per mantenere i propri confini, combatté una guerra ogni
dieci anni (1948, 1956, 1967, 1973, 1982).
Il terzo millennio ha visto un inasprirsi delle ostilità: (2004, 2006, 2008). Si
trasformò nella più temibile potenza militare della regione e si dotò di armi
nucleari, ma non riuscì a edificare relazioni stabili con i paesi vicini o,
ancor meno, coi palestinesi.
Facoltà di Psicologia
La condizione del Medio Oriente oggigiorno dimostra quanto la sparizione
del fronte della Guerra fredda conseguente al crollo dell‟URSS del 1990
l‟abbia tuttavia lasciato in una situazione esplosiva.
Tre focolai minori contribuirono a tenere il Medio Oriente in tale stato
esplosivo:
- il Mediterraneo orientale,
- il Golfo Persico e
- la regione di frontiera tra Turchia, Iran, Iraq e Siria, dove i curdi
tentarono invano di conquistare l‟indipendenza nazionale che il
presidente americano Wilson incautamente li aveva esortati a chiedere
nel 1918.
Il mediterraneo orientale rimase relativamente tranquillo, visto che la
Grecia e la Turchia erano membri della NATO, anche se la Guerra fredda
portò all‟invasione turca di Cipro, divisa in due nel 1974.
D‟altro canto, la rivalità tra le potenze occidentali, l‟Iran e l‟Iraq per il
controllo del Golfo Persico, ricco di petrolio, doveva condurre alla guerra
fra l‟Iraq e l‟Iran rivoluzionario, durata dal 1980 al 1988 e, dopo la fine
della Guerra fredda, fra gli USA e alleati e l‟Iraq nel 1991.
Da quali peculiarità è caratterizzata la situazione dell’America latina
nel contesto internazionale?
L‟America latina rimase lontana dai conflitti. Tranne in piccoli territori,
essa era stata decolonizzata da tempo. Culturalmente e linguisticamente, le
sue popolazioni erano occidentali.
Soprattutto, essa aveva ereditato dai conquistatori una gerarchia razziale
ma anche un forte grado di mescolanza. Erano presenti pochi bianchi,
tranne che nei territori meridionali (Argentina, Uruguay, Brasile
meridionale), popolati in seguito a una massiccia emigrazione di europei.
Dovunque la posizione sociale cancellava la provenienza razziale. Nel
Messico fu eletto presidente un indiano zapotec; in Argentina un immigrato
libanese musulmano e in Perù un immigrato giapponese.
Scelte simili erano impensabili negli USA (almeno fino a Barack Obama).
All‟America latina, insomma, spetta il primato di esser rimasta estranea al
nazionalismo etnico proprio di altri continenti.
Facoltà di Psicologia
Inoltre, mentre l‟America latina era consapevole di essere una sorta di
dipendenza neocoloniale (cioè post-imperialista) di una singola potenza,
cioè degli USA, questi ultimi erano tanto realisti da non inviare marines nei
paesi più grandi del continente.
I governi latinoamericani, a loro volta, sapevano che la cosa più saggia era
mantenersi i favori di Washington.
L‟Organizzazione degli Stati Americani (OAS) fondata nel 1948 con
quartier generale a Washington nacque, appunto, per garantire
un‟atmosfera di accordo totale.
Non a caso, il trionfo, a Cuba, della rivoluzione (1953-59), comportò la sua
espulsione (1963).Facoltà di Psicologia
Lezione 18
Quali sono i tre motivi che rendono inadatta l’espressione “Terzo
mondo” nel momento stesso in cui inizia ad essere utilizzata nel
linguaggio ideologico?
L‟espressione “Terzo mondo” perde validità nel momento stesso in cui
inizia ad essere impiegata. Negli anni ‟70 diventa palese l‟inadeguatezza di
un‟unica nomenclatura per designare paesi caratterizzati da divergenze
significative;
- In primo luogo: il Terzo mondo si divide a causa dello sviluppo
economico: infatti, il trionfo dell‟OPEC nel 1973 fa sì che i paesi più
piccoli e abbondanti di petrolio si arricchiscano a dismisura a differenza
di altri; in genere, stati la cui economia dipende dall‟esportazione di un
singolo prodotto primario si arricchiscono a dismisura, a scapito di altri;
- In secondo luogo, i confini del Terzo mondo si rarefanno in quanto
1) gran parte di esso è in via di industrializzazione, nel tentativo di
allinearsi col Primo mondo;
2) fra i paesi europei, alcuni conoscono una fioritura industriale solo
verso la fine dell‟Età dell‟oro;
3) la nuova divisione internazionale del lavoro rende i paesi in via di
sviluppo appetibili per le industrie che si spostano;
- Infine, alcuni paesi in via di sviluppo vengono identificati come “a basso
reddito”, costituendo un sottogruppo all‟interno del Terzo mondo. Tali
paesi non presentano interesse economico, salvo come mercato
d‟esportazione d‟armi.
Quali sono gli effetti della globalizzazione sui movimenti umani in
campo internazionale e intranazionale?
La globalizzazione provoca spostamenti di masse:
- turismo
- migrazione.
Dai paesi ricchi un ingente flusso turistico si riversò nel Terzo mondo. Dai
paesi poveri l‟emigrazione di manodopera verso i ricchi si gonfiò
scontrandosi, talvolta, con barriere politiche.
Tale fenomeno interessò non soltanto i paesi industriali, ma anche le
nazioni produttrici di petrolio: la maggior parte del movimento migratorio
interessò, infatti, aree vicine.
Negli anni ‟70 e ‟80 divenne sempre più difficile distinguere gli emigranti
in cerca di lavoro dalla fiumana di persone sradicate dalla carestia, dalla
persecuzione o dalla guerra.
I paesi del Primo mondo si sforzavano di impedire l‟immigrazione, sotto
pressione di una rinascente xenofobia, con eccezione dei permissivi USA,
Canada e Australia.
Qual è la reazione della popolazione rurale nei confronti della
modernità, nel Terzo mondo? E quella della popolazione cittadina?
Facoltà di Psicologia
La globalizzazione ebbe anche l‟effetto di immettere gli abitanti del Terzo
mondo in una modernità che non necessariamente piaceva.
Questo è il motivo della moltiplicazione di fondamentalisti e tradizionalisti,
nemici della modernità che pur tuttavia prendevano atto dei cambiamenti
nel mondo: volenti o nolenti, il nuovo li raggiungeva sotto forma di autobus,
camioncini, pompe di petrolio, radioline a pile.
In un mondo dove le popolazioni rurali emigravano in città e dove la
popolazione urbana era pari a un terzo di tutti i cittadini, i villaggi finivano
per connettersi strettamente alla città a causa o di legami parentali, o
dell‟invasione dei prodotti del mercato globale.
La città, inoltre, comportava realtà e costumi nuovi che entravano in
conflitto col passato: il distacco dalle tradizioni da parte dei giovani fu
immediato e venne deplorato dovunque.
Facoltà di Psicologia
La coscienza del cambiamento si diffondeva nelle campagne e perfino in
zone nelle quali la vita rurale non era stata trasformata dall‟introduzione di
nuove colture o tecnologie.
Nelle campagne del Terzo mondo la modernità fece il suo ingresso
attraverso la “rivoluzione verde” che ebbe luogo in Asia dagli anni ‟60 in
poi.
Fiorirono, inoltre, nuove colture destinate all‟esportazione (frutti tropicali,
fiori), tra cui la cocaina.
La Colombia, negli anni ‟70, costituiva la tappa intermedia per il trasporto
della coca dalla Bolivia e dal Perù, nonché la sede dei laboratori.
I contadini si stanziavano in quelle terre per sottrarsi al controllo statale e
dei proprietari terrieri e venivano difesi dai guerriglieri comunisti del
FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), che si finanziavano
tramite il narcotraffico.
La logica di mercato entrò in conflitto con l‟agricoltura di sussistenza e con
attività tradizionali e semplici come caccia e pesca. Yucca e banane
lasciarono il posto all‟iperpagata cocaina; piste d‟atterraggio e insediamenti
sorti dal nulla per ospitare produttori e trafficanti sostituirono vecchi
villaggi contadini.
Facoltà di Psicologia
La sorte dell‟economia rurale era in qualche modo legata alle tendenze
degli emigranti.
La gente aveva imparato da questi ultimi che esistevano possibilità di vita
alternative, che non era destino condurre una vita da schiavi, traendo un
sostentamento miserevole da terre aride.
Dagli anni ‟60 in poi, nei villaggi di campagna situati in zone marginali da
un punto di vista agricolo, rimasero solo gli anziani.
Tuttavia, era possibile che una comunità di montagna si rinvigorisse
trovandosi una nicchia economica grazie ad una simbiosi fra le entrate di
emigranti e residenti.
Poiché gran parte delle nazioni del Terzo mondo non erano dotate di
servizio statistico ufficiale, né svolgevano ricerche su opinione pubblica e
tendenze di mercato, né possedevano dipartimenti universitari di scienze
sociali che svolgessero indagini e inchieste, la modernità giunse nella
forma di un‟esplosione improvvisa.
Il Congo belga (Zaire), ad esempio, dagli anni ‟60 in poi esportò
massicciamente in tutta Africa il proprio genere di musica popolare
sviluppatosi negli anni ‟50 e, più significativamente, vide il sorgere di una
coscienza politica tale da costringere i belgi a concedere al Congo
l‟indipendenza nel 1960.
Negli anni ‟50 e ‟60 le trasformazioni sociali, evidenti nell‟emisfero
occidentale, divennero innegabili anche nel mondo islamico e nel Sud e
Sudest asiatico.
Paradossalmente, furono meno visibili nelle aree socialiste, dove la
rivoluzione comunista fece da elemento conservatore. Perfino nelle società
tradizionali il tessuto etico venne sottoposto a una tensione crescente.
Facoltà di Psicologi
Con l‟ingresso nel mondo moderno di larghi strati della popolazione,
veniva messo in discussione il monopolio del potere da parte delle elites
occidentalizzate e, con esse, i programmi, le ideologie, il vocabolario e la
sintassi del discorso pubblico.
Le nuove masse urbane e i ceti medi, per quanto acculturati, proprio a
causa del loro numero non potevano essere come le elites e spesso
nutrivano nei confronti di queste ultime un forte rancore, soprattutto
nell‟Asia meridionale.
Specificamente, ad essere rifiutata fu l‟aspirazione ottocentesca di stampo
occidentale a un progresso laico e materiale: nei paesi islamici la nuova
democrazia di massa islamica condusse a una negazione dei valori che nel
liberalismo occidentale sono associati allo stato di diritto, come ad esempio
quelli delle donne; l‟esclusivismo indù in India veniva sostenuto dai nuovi
ceti medi; il nazionalismo etno-religioso dello Sri Lanka veniva sostenuto
da una nuova massa di giovani istruiti.
Lo scomparire dei vecchi contrassegni di casta e status, che in passato
separavano le persone ma non lasciavano dubbi sulla posizione relativa di
ogni individuo, generarono instabilità e disparità; la vita comunitaria
diventò sempre più angosciosa.
In che senso la storia di alcuni paesi del Terzo mondo sembrò
ripercorrere la strada del Primo mondo?
Facoltà di Psicologia
In molti paesi del Terzo mondo i mutamenti potevano anche guidare la
politica in direzioni proprie della storia del Primo mondo.
Nei “paesi di nuova industrializzazione”, infatti, si svilupparono classi
operaie industriali che chiesero il riconoscimento dei diritti dei lavoratori e
delle organizzazioni sindacali, come in Brasile, Corea del Sud, Europa
dell‟Est.
In genere non nacquero partiti politici, laburisti o socialisti, fatta eccezione
per il “Partito dei lavoratori” brasiliano nato negli anni „80.
Facoltà di Psicologia
La crescita industriale generò un ceto ampio e istruito di professionisti che,
pur lontani dall‟essere sovversivi, avrebbero ben accolto una
liberalizzazione
dei
regimi
autoritari
che
promuovevano
l‟industrializzazione nel Terzo mondo.
Simili aspirazioni negli anni ‟80 venivano covate in America latina,
Estremo Oriente (Corea del Sud e Taiwan), nei paesi del blocco sovietico.
C‟erano però vaste aree del Terzo mondo dove era impossibile prevedere le
conseguenze della trasformazione sociale. L‟unica cosa certa era
l‟instabilità.
In questo disorientamento, il modello da seguire era difficilmente
identificato col mondo occidentale.
Un modello di progresso più confacente e incoraggiante veniva
rappresentato dal “Secondo mondo” dei paesi socialisti modellati
sull‟URSS.
di Psicologia
Lezione 19
In che senso la Rivoluzione del 1917 permette alla Russia di conservare
il proprio assetto imperiale? Che estensione assume l’area socialista?
Quali sono i suoi rapporti col resto del mondo? Perché?
Con la Rivoluzione d‟Ottobre del 1917 e dopo la guerra civile del 1917-21,
il Partito comunista russo riesce a conservare l‟Impero russo ortodosso
degli zar, ma in una nuova forma, cioè l‟URSS;
Infatti, all‟inizio degli anni ‟20 la maggior parte di ciò che prima del 1914
era stato l‟Impero russo ortodosso degli zar riemerse nella stessa forma
imperiale, ma sotto il governo dei bolscevichi (corrente maggioritaria del
Partito socialdemocratico russo) e con l‟obiettivo di costruire il socialismo
mondiale.
Fu il solo degli antichi imperi dinastico-religiosi (russo, ottomano,
absburgico) a sopravvivere alla prima guerra mondiale.
L‟area dei paesi socialisti si espande dall‟Europa dell‟Est all‟Estremo
Oriente e costituisce un universo separato e autonomo politicamente ed
economicamente.
Le ragioni della separazione sono politiche: il fallimento dell‟ideale
rivoluzionario mondiale sovietico, il timore del comunismo, la Guerra
fredda;
Isolato, il socialismo è costretto a svolgersi “in un solo paese” e priorità
viene data a industrializzazione e pianificazione. Lenin inaugura il
“comunismo di guerra” durante la guerra civile, mediante una
statalizzazione totale che si rivela inefficace nella ricostruzione
dell‟economia.
Il Partito bolscevico non aveva previsto che la Russia sarebbe
sopravvissuta in isolamento, diventando il nucleo di un‟economia
collettivistica indipendente (ciò che venne chiamato “socialismo in un solo
paese”).
Si pensava che la funzione della Rivoluzione fosse quella di innescarne
altre nei paesi industriali più avanzati, pronti, secondo Marx, per il
socialismo.
Qual è la linea politica decisa dal partito bolscevico? Quali sono i due
principali provvedimenti di Lenin? Quali i loro meriti e limiti?
Quando divenne chiaro che la Russia era da sola, la scelta più logica fu
favorire il progresso economico e sociale.
Lenin (1870-1924, segretario del Partito comunista):
- Nel 1918 diede il via alla nazionalizzazione delle industrie e al
“comunismo di guerra”, misura d‟emergenza per fronteggiare la guerra
civile (1917-21) suscitata dall‟opposizione.
di Psicologia
- nel 1921 introdusse la Nuova politica economica (NEP) che
reintroduceva il mercato e che costituiva un passaggio al “capitalismo di
stato”.
La NEP fu oggetto di critica durante gli anni ‟20 in quanto rappresentava
una “deviazione” del comunismo.
Estremisti come Trockij volevano interromperla e premevano per una
industrializzazione massiccia (sarà la politica di Stalin) mentre i moderati
di Bucharin erano consapevoli dei limiti oggettivi del paese, dominato
dall‟agricoltura.
Anche Lenin, colto da una paralisi nel 1922, sembrò pronunciarsi a favore
di una soluzione gradualistica.
La prospettiva socialistica era entrata in crisi quando in Germania, con la
Repubblica di Weimar (1919-1933), crollavano le speranze di una
“rivoluzione proletaria”, ma la causa più profonda consisteva negli effetti
devastanti della guerra civile: il grado di arretratezza era peggiore rispetto
ai tempi degli zar; inoltre, Rivoluzione e guerra civile avevano ucciso,
disperso o trasferito negli uffici del Partito la “base” degli operai, lasciando
un popolo di contadini ancorati al passato per i quali il Partito bolscevico
non rappresentava niente.
Facoltà di Psicologia
La NEP ebbe successo nel ricostruire l‟economia dalle rovine: nel 1926 il
livello dell‟anteguerra, sebbene non elevato, venne recuperato.
Tuttavia, l‟URSS rimaneva rurale, come nel 1913, pertanto i parametri per
il futuro socialista erano determinati dal comportamento della massa
contadina.
Una continuazione della NEP poteva determinare al massimo un tasso di
industrializzazione modesto, perché mancava personale qualificato: erano
pochi i prodotti industriali che i contadini potevano comprare; dunque,
questi ultimi non avevano motivo di abbandonare l‟agricoltura di
sussistenza per accrescere il proprio potere d‟acquisto mediante il
commercio di eccedenze.
L‟intento della NEP, per ora inattuabile, era insomma quello di ricreare un
sistema imprenditoriale.
Ciò che fece esitare il Partito bolscevico nell‟abbandonarla, tuttavia, fu non
tanto il rischio di rigenerare il capitalismo, bensì il costo dell‟alternativa:
un‟industrializzazione forzata; in pratica, una seconda rivoluzione,
effettuata non più dal basso, ma dal potere statale.
Quali sono le decisioni di Stalin in ambito economico? Che risultati
riesce ad ottenere e quali problematiche solleva?
Stalin (1878-1953):
- eliminò la NEP appena ottenuta la leadership del Partito bolscevico
(1928).
- Istituì i piani quinquennali, che sostituirono la NEP nel 1928, per creare
nuove industrie piuttosto che gestirle;
Data l‟abbondanza di materie prime nel territorio, si decise di concedere
priorità alle industrie pesanti di base e alla produzione di energia,
fondamento di ogni grande economia industriale: carbone, ferro, acciaio,
elettricità, petrolio.
D‟altro canto, il governo, che sotto Stalin trasformò di nuovo i contadini in
servi della gleba e fece funzionare l‟economia grazie ai lavori forzati dei
prigionieri dei gulag (dai quattro ai tredici milioni di individui), godette di
un forte sostegno popolare.
i Psicologia
L‟economia pianificata era, in pratica, un‟economia di guerra: gli obiettivi
produttivi venivano fissati senza considerarne i costi; il metodo per
avvicinarli era impartire ordini urgenti che generavano un impegno
spasmodico.
Fu la politica dello “slancio”: fissati degli obiettivi deliberatamente
irrealistici, questi dovevano essere compresi e realizzati ovunque da
personale privo di esperienza, pressoché analfabeta e abituato alla vita
contadina.
L‟impreparazione aggravava la responsabilità del vertice e perciò
accentuava l‟accentramento dei poteri. Tutte le decisioni vennero sempre
più accentrate, con conseguente burocratizzazione.
Finché il compito consisteva nel garantire il livello di semisussistenza e
costruire le sole fondamenta dell‟industria, l‟industrializzazione forzata
funzionò.
Durante gli anni ‟30 il tasso di crescita russo sorpassò quello delle altre
potenze, tranne il Giappone.
In pochi anni l‟URSS fu in grado di combattere la seconda guerra mondiale
contro la Germania e vincerla, nonostante la perdita temporanea di territori
che contenevano un terzo della popolazione e metà degli stabilimenti
industriali.
Nei primi quindici anni dopo la seconda guerra mondiale il ritmo sarebbe
cresciuto tanto da illudere Chruscev (successore di Stalin) di poter superare
il capitalismo.
Facoltà di Psicologia
In pochi altri regimi il popolo avrebbe potuto o voluto sopportare i sacrifici
degli anni ‟30.
In ogni caso, anche se il sistema mantenne i consumi della popolazione a
un livello basso, garantì il minimo sociale: lavoro, pensioni, sanità, cibo,
vestiti, alloggio.
Vi fu una certa uguaglianza, almeno fino alla morte di Stalin, quando i
privilegi della nomenklatura (elite del Partito) divennero inauditi.
Gli investimenti più generosi avvennero nel campo dell‟istruzione e posero
fine all‟analfabetismo di massa.
L‟industrializzazione si appoggiava sugli operai ma soprattutto sui
contadini sfruttati: giuridicamente e politicamente in inferiorità, venivano
tassati di più e ricevevano meno servizi.
Inoltre, la creazione di cooperative o fattorie statali fu disastrosa:
produzione del grano ed allevamento crollarono, fino a provocare una
carestia nel 1932-33.
La produttività non ritornò ai livelli della NEP fino al 1950. Persino la
meccanizzazione agricola fu inefficiente: dopo un iniziale eccedenza di
grano, l‟agricoltura non fu più in grado di soddisfare il fabbisogno e così,
dagli anni ‟70, l‟URSS dovette ricorrere al mercato mondiale dei cereali,
acquistando un quarto del fabbisogno.
In sostanza, la vecchia agricoltura inefficiente fu mutata in una costosa
agricoltura inefficiente.
à di Psicologia
Il modello agricolo russo fu un fallimento e, ciononostante, il solo a essere
copiato nell‟area socialista.
Tuttavia, tale fallimento dipendeva più dalle condizioni sociopolitiche
dell‟URSS che dal progetto bolscevico: cooperazione e collettivizzazione
ebbero successo, ad esempio, nell‟Ungheria degli anni ‟80, che esportò più
prodotti agricoli della Francia pur avendo un‟area coltivata pari a un quarto
di quella francese.
In URSS giocavano un ruolo penalizzante la resistenza della classe
contadina e una burocratizzazione estrema cui neppure Stalin seppe
rimediare.
Il Grande Terrore (o Grandi Purghe), diretto da Stalin alla fine degli
anni ‟30 per epurare il partito comunista da presunti cospiratori, fu un
disperato tentativo di impedire alla burocrazia di prevalere.
Facoltà di Psicologia
Ulteriore zavorra era costituita dalla rigidità: il sistema era strutturato per
una crescita nella produzione di articoli dalla qualità predeterminata, ma
non era provvisto di un meccanismo interno che facesse variare quantità o
qualità degli stessi.
Non vi furono invenzioni destinate all‟economia civile, non esistendo un
mercato che indicasse le preferenze dei cittadini. Di fronte a un pessimo
sistema distributivo e a servizi scadenti, la crescita del livello di vita dai ‟40
ai ‟70 poté verificarsi solo grazie all‟economia in nero che crebbe dalla fine
degli anni ‟60.
Gli obiettivi principali, comunque, vennero conseguiti: messa a confronto
con la Russia zarista del 1913, nel 1986 l‟URSS era coperta da una
popolazione inferiore in percentuale mondiale, ma godeva di un reddito
nazionale e di una produzione industriale incomparabilmente maggiori. A
breve, questo dinamismo si sarebbe esaurito.
Perché il sistema politico sovietico rappresenta un’anomalia nella
sinistra europea?
Il sistema politico dell‟URSS fu unico nel suo genere in quanto rappresentò
una rottura con la tradizione democratica, anche se conservò sulla carta
l‟impegno per la democrazia (significativamente, la Costituzione sovietica
del 1936 ammetteva competizioni elettorali che non ebbero mai luogo);
L‟evoluzione concreta riflesse la storia del Partito bolscevico, le crisi e le
priorità del regime, nonché il carattere di Stalin. Già il modello leninista del
partito d‟avanguardia, inteso come un insieme di quadri di rivoluzionari
organizzati in modo da eseguire gli ordini di una direzione centrale, era
potenzialmente autoritario.
Il pericolo si fece più immediato dopo la Rivoluzione d‟Ottobre, quando i
bolscevichi da un gruppo di poche migliaia si trasformarono in un partito di
massa di centinaia di migliaia e infine di milioni, sopraffacendo tutti i
socialisti che si erano alleati a loro.
Essi non condividevano la vecchia cultura politica della sinistra; tutto ciò
che sapevano era che il partito aveva ragione e che le decisioni prese
dall‟autorità superiore dovevano essere eseguite per salvare la rivoluzione.
Quali sono i fattori che sanciscono il passaggio dal Partito unico alla
dittatura personale staliniana? Cosa caratterizza il rapporto di Stalin
col partito e con le masse?
La guerra civile del 1917-21 impose uno stile di governo autoritario:
quando venne vinta, il Partito era già diventato “unico”. Nel 1921 vennero
bandite le discussioni collettive; i congressi di partito annuali si fecero via
via occasionali.
Facoltà di Psicologia
Con Stalin il potere divenne un‟autocrazia che cercò di imporre il controllo
totale su tutti gli aspetti della vita e del pensiero dei cittadini, essendo la
loro esistenza subordinata agli obiettivi del sistema.
Quest‟idea, lontana da quelle di Marx ed Engels, non sarebbe venuta in
mente ad alcun socialista prima del 1917.
Diventato il socialismo un movimento di massa, il “marxismo-leninismo”
si trasformò in un catechismo semplice e dogmatico – strumento ideale per
introdurre alcuni concetti nelle menti della prima generazione alfabetizzata
della storia russa – e in simboli di identità e lealtà.
I capi vennero investiti di una sorta di infallibilità papale: la costruzione del
mausoleo di Lenin nella Piazza Rossa sfruttò palesemente l‟attrazione che
esercitava sulle plebi contadine il culto cristiano di santi e reliquie.
Quanto al Partito, l‟ortodossia e l‟intolleranza vi erano entrate non come
valori, bensì per ragioni pragmatiche: Lenin non voleva che le discussioni
finissero per costituire un ostacolo all‟azione.
Convinto delle proprie ragioni, egli faceva comunque leva sulle proprie
capacità argomentative; difficilmente, pertanto, avrebbe tollerato quella
specie di religione secolarizzata coercitiva che si affermò dopo la sua morte.
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Per trasformare il partito – ormai gerarchizzato, centralizzato e inamovibile
– in una dittatura personale, Stalin non ripercorse la via di Hitler.
La fedeltà dell‟entourage e del Partito non gli furono infatti garantite da
carisma, sicurezza di sé o sentimento di una missione personale, ma dal
terrore.
Si trattò di uno strumento tattico: insieme alla prudenza, esso era
finalizzato ad evitare i rischi e rifletteva l‟assenza di fiducia nella propria
capacità valutativa (una sorta di complesso di inferiorità rispetto al lucido
Lenin).
Secondo lui il potere – ovvero tutto ciò che i bolscevichi avevano ottenuto
nonché unico strumento per cambiare la società – era esposto a pericoli e
pertanto ne andava fatto un uso spietato.
Le Grandi Purghe, dirette contro il Partito, iniziarono quando il XVII
Congresso del Partito comunista sovietico del 1934 rivelò l‟esistenza di una
consistente opposizione.
Fra 1934 e 1939 dai quattro ai cinque milioni di membri vennero arrestati e
dai quattro ai cinquecento mila furono giustiziati senza processo. Al
Congresso successivo, solo 37 delegati su 1827 erano sopravvissuti.
Facoltà di Psicologia
In realtà, la sua tattica dimostrò un forte senso delle relazioni pubbliche: la
sua immagine forte fu efficace sulle masse, in quanto finì per legittimare di
fronte a loro il nuovo regime.
Ciò che conferì al terrore staliniano una disumanità senza precedenti fu che
non si arrestò di fronte a nulla.
Non si ispirò al principio che un grande fine giustifica i mezzi, né che i
sacrifici presenti non sono nulla di fronte ai benefici futuri; il terrore fu
semplicemente l‟applicazione del principio della guerra totale: proprio
come durante la seconda guerra mondiale, le sofferenze del popolo non
costituivano un limite e intere popolazioni potevano essere criminalizzate a
priori (come gli ebrei).
Se tuttavia negli stati democratici e costituzionali vi sono forze che
contrastano tale meccanismo, nei sistemi assolutistici tali forze non
esistono.
Cos’è un “totalitarismo” e perché, secondo Hobsbawm, non è possibile
applicare tale definizione all’URSS?
Il termine “totalitarismo” era stato inventato negli anni ‟20 dal fascismo
italiano per descrivere i propri scopi e fino al secondo dopoguerra era stato
usato quasi esclusivamente per criticare un sistema centralizzato esteso a
ogni aspetto della vita sociale, che non soltanto imponeva un controllo
fisico sulla popolazione ma che, per mezzo della propaganda e
dell‟istruzione, riusciva a far sì che il popolo interiorizzasse i valori
proposti.
Il romanzo “1984” di George Orwell (del 1948) espresse nella forma più
incisiva questa immagine: una società di massa sottoposta al lavaggio del
cervello sotto l‟occhio del “Grande Fratello”, dal quale dissentiva solo
qualche individuo isolato.
La storia dell‟URSS, secondo Hobsbawm, non è quella di un regime
“totalitario”. Quello dell‟URSS, di fatto, non fu un totalitarismo, nella
misura in cui, piuttosto che un controllo del pensiero, ottenne una
depoliticizzazione dei cittadini: le dottrine del marxismo-leninismo
rimasero sconosciute o indifferenti per chi non era interessato a determinate
carriere.
Solo gli intellettuali erano costretti a prendere sul serio un‟ideologia che si
autoproclamava “scientifica”. Tuttavia, proprio il fatto che i sistemi
socialisti avessero bisogno di intellettuali nei quadri di potere creava un
fermento che sfuggiva al controllo dello stato e che solo il terrore poteva
domare.
Morto Stalin, la cultura dissidente riemerse; negli anni ‟60 e ‟70 il dissenso
dei riformatori comunisti e la dissidenza intellettuale crebbero nonostante
la linea ufficiale “monolitica” dell‟URSS, fino a raggiungere il loro
culmine negli anni ‟80.
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Lezione 20
Per quali motivi l’URSS esercitò fascino sul Primo e sul Terzo mondo?
L‟URSS esercita una certa attrattiva:
- sul mondo capitalistico: perchè immune dalla crisi causata da Wall Street
nel ‟29,
- sul Terzo mondo: in quanto simbolo anti imperialista di riscatto
dall‟arretratezza;
Quali paesi entrano nell’area socialista? Quando e come?
i confini dell‟area socialista si estendono:
- nel 1945: a Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia, Romania,
Bulgaria, Albania e Germania dell‟Est.
- nel 1949: a Cina (1949), Corea settentrionale e ex Indocina francese.
- nel 1959: a Cuba
- negli anni ‟70: in Africa;
Cosa significa “socialismo reale”? Quale espressione viene inventata
negli anni ’50 come alternativa a tale forma di socialismo?
Il socialismo messo in atto nell‟intera area venne denominato “socialismo
reale”, in quanto questo termine suggeriva che potevano esserci migliori
forme di socialismo, ma che in pratica quella era al momento l‟unica
funzionante.
Il socialismo reale veniva contrapposto con il socialismo teorico.
Come è strutturato il sistema politico del blocco?
Gli stati comunisti formati dopo la seconda guerra mondiale erano
controllati da partiti comunisti, formati secondo la matrice sovietica, cioè
stalinista.
Si trattava dunque per lo più di sistemi politici a partito unico con strutture
autoritarie centralizzate; l‟autorità politica promulgava la “verità” culturale
e intellettuale; le economie erano pianificate; le gerarchie facevano capo
alla figura del capo supremo.
Questo valeva anche per il partito cinese, che aveva stabilito la propria
autonomia da Mosca negli anni ‟30 sotto Mao Tse-tung. Facevano
eccezione la Cuba di Fidel Castro e i brevi regimi africani, asiatici e
latinoamericani che sorsero negli anni ‟70.
Politicamente, l‟area costituisce un unico blocco sotto la leadership
dell‟URSS, appoggiata dal regime comunista cinese, indipendente dal 1949.
La fiducia di Stalin nella fedeltà del blocco viene delusa dall‟opposizione
della direzione jugoslava di Tito alle direttive moscovite nel ‟48;
Quale evento annuncia la crisi del sistema socialista e quando tale crisi
diventa concreta? Qual è la reazione occidentale?
A mettere in crisi la coesione del blocco è la fuga di notizie dal XX
Congresso del PCUS (Partito Comunista dell‟Unione Sovietica) nel 1956,
in cui Chruscev pronuncia duri giudizi sulle politiche del defunto Stalin.
Tale crisi diviene concreta quando la Polonia assunse immediatamente una
direzione riformistica; in Ungheria esplose una rivoluzione il cui intento
era sottrarre il paese al giogo della Guerra fredda, ma venne repressa
dall‟URSS;
I paesi occidentali non sfruttano questa crisi se non per fini propagandistici.
Ciò dimostra la stabilità delle relazioni: entrambe le parti accettano i limiti
di influenza e durante gli anni ‟50 e ‟60 l‟equilibrio non viene turbato (ad
eccezione di Cuba).
Da cosa sono caratterizzate le politiche dei paesi socialisti dal 1956 in
poi?
In Polonia: dopo il 1956, l‟agricoltura venne privatizzata, con scarsi
risultati, mentre la crescita industriale rafforzò la classe operaia.
Essa si strutturò progressivamente in un movimento politico, ma di
ideologia antisocialista, e costitui un motivo di preoccupazione per il
governo;
In Ungheria: la classe dirigente riformista, imposta dopo la sconfitta della
rivoluzione del 1956, cercò di ottenere gli obiettivi del 1956 entro limiti
accettabili per l‟URSS;
In Cecoslovacchia, dopo le purghe degli ultimi anni di Stalin (‟50-‟53), la
situazione fu immobile e caratterizzata dal disagio: da un lato, gli slovacchi
non si sentivano a proprio agio in uno stato che includeva due nazioni;
inoltre, le istanze di liberalizzazione economica, politica e sociale, diffuse
in tutto il blocco, erano particolarmente sentite non solo perché la fase
staliniana era stata lunga e dura, ma anche perché molti cecoslovacchi
(soprattutto intellettuali) erano turbati dal contrasto tra il comunismo
teorico e la realtà del regime. Ai tempi del nazismo, infatti, il Partito
comunista, cuore della resistenza, aveva attirato soprattutto giovani
caratterizzati da un idealismo fatto di devozione e abnegazione.
I riformisti, interpretando gli umori del tempo, coniarono una felice
espressione passata alla storia: “socialismo dal volto umano”.
Facoltà di Psicologia
Come al solito, la riforma venne dall‟alto, cioè dal Partito, che diede vita
nel 1968 ad un periodo di liberalizzazione, la “Primavera di Praga”.
Preceduta e accompagnata da fermenti e agitazioni politico-culturali,
coincise con l‟esplosione mondiale della contestazione studentesca.
Non si può dire se il “Programma d‟azione” cecoslovacco potesse essere
accettabile o meno per i sovietici, anche se prevedeva la rimozione del
partito unico e la pericolosa introduzione di una democrazia pluralista.
La coesione e l‟esistenza del blocco nell‟Est Europa, comunque, parvero in
gioco.
I regimi più intransigenti, privi dell‟appoggio delle masse, come quello
della Polonia e della Germania orientale, temevano che l‟esempio avrebbe
prodotto la destabilizzazione al loro interno.
In compenso, i cecoslovacchi furono appoggiati dalla maggioranza dei
partiti comunisti europei, dai riformisti ungheresi e dal regime indipendente
di Tito in Jugoslavia, come pure dalla Romania che, dal 1965, aveva
cominciato a prendere le distanze da Mosca sotto Ceausescu (in realtà, più
un nazionalista che un riformatore).
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Quando Tito e Ceausescu fecero visita a Praga la folla li accolse in modo
trionfale.
A quel punto Mosca (sotto Breznev, 1964-82) decise di rovesciare il
regime di Praga con la forza militare.
Questo gesto segnò la fine del ruolo di Mosca come guida del movimento
comunista internazionale, ruolo già messo in discussione dalla crisi del
1956.
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Sul piano economico, da cosa dipende il bisogno di riforme e in che
misura esse vengono attuate? Con quali risultati?
Nell‟Età dell‟oro le economie sviluppate non socialiste crescevano e
prosperavano.
Se i rapporti fra economie centralizzate e di mercato non erano impensabili
(la Finlandia, ad esempio, nel 1983 avrebbe ricevuto dall‟URSS un quarto
delle sue importazioni e vi avrebbe inviato una quota simile di
esportazioni), la coesistenza dei due sistemi (privato e collettivo) creò
disastri, come in Germania, dove il tasso di crescita rallentò e il PNL calò.
Negli anni ‟60, quasi dovunque vennero effettuati tentativi per rendere più
elastico il sistema attraverso una decentralizzazione.
Ad eccezione delle riforme ungheresi, i provvedimenti non ebbero successo
e, talvolta, furono solo abbozzati o (come in Cecoslovacchia) impediti.
Di conseguenza, quando l‟economia mondiale entrò in un nuovo periodo di
instabilità negli anni ‟70, nessuno si aspettava più che le economie del
“socialismo reale” sorpassassero o raggiungessero quelle capitaliste.
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Lezione 21
Quali problemi interessano l’economia mondiale al termine dell’Età
dell’Oro, a partire dal 1973? Quali difficoltà caratterizzano la loro
interpretazione?
Dopo il 1973 (con la fine dell‟Età dell‟Oro) il mondo perde i suoi punti di
riferimento e scivola nell‟instabilità.
Tale crisi, nelle regioni non comuniste e avanzate, non venne riconosciuta
né tanto meno ammessa, se non quando i paesi del “socialismo reale”
crollarono (1990).
Per molti anni le difficoltà vennero considerate soltanto “recessioni”: non
era stato spezzato il tabù sulle parole “depressione” o “crollo”, che
evocavano gli anni ‟30.
Solo negli anni ‟80 divenne chiaro quanto si fossero sgretolate le
fondamenta dell‟Età dell‟oro.
Al limite, si ammetteva che le recessioni degli anni ‟80 fossero le più serie
“da cinquant‟anni”: tale locuzione evitava di specificare il punto di
riferimento, cioè proprio gli anni della catastrofe.
In breve, i trucchi del linguaggio pubblicitario, tipici dell‟economia di
mercato, avevano contagiato il linguaggio politico.
Solo negli anni ‟90 vi fu un‟esplicita ammissione (in Finlandia) che le
difficoltà economiche in corso erano le peggiori dagli anni ‟30.
Quali fattori stabilizzanti dell’economia rendono questa crisi difficile
da spiegare?
Il controllo computerizzato delle scorte di magazzino, migliori
comunicazioni e trasporti più veloci riducevano l‟instabilità dovuta al
“ciclo di rotazione delle scorte” della vecchia produzione di massa.
In passato, enormi quantitativi di merce venivano immobilizzate in
magazzino per renderle disponibili in caso di espansione della domanda;
quando le scorte dovevano svendersi in periodi di contrazione della
domanda, si bloccava la produzione.
Il nuovo metodo, inventato dai giapponesi e possibile grazie alle tecnologie
degli anni ‟70, consisteva nel diminuire le merci immagazzinate e produrre
solo una quantità sufficiente per rifornire tempestivamente i commercianti.
L‟economia veniva anche stabilizzata dal reddito privato derivante dalla
spesa pubblica (per i servizi): queste spese ammontavano a un terzo del
PNL e in tempi di crisi crebbero, perché salirono i costi dei sussidi, delle
pensioni e dell‟assistenza.
In che modo tale crisi si esplica nelle diverse aree del pianeta?
Nel mondo capitalista: la crescita economica continuò, ma più lentamente e
con brevi periodi di stagnazione, nelle recessioni del 1973-5 e del 1981-3.
Il commercio continuò e durante gli anni ‟80 accelerò. Alla fine del Secolo,
i paesi capitalistici sviluppati erano più ricchi e produttivi e l‟economia
mondiale più dinamica.
In altre aree del pianeta la situazione era meno rosea:
- In medio oriente: la crescita del PNL pro capite si fermò, dando vita ad
una depressione che fece dilagare la povertà.
- Il blocco comunista durante gli anni ‟80 conobbe una crescita che subì
un brusco arresto dopo il 1989, generando una crisi addirittura peggiore
di quella del 1929, in quanto caratterizzata dalla disintegrazione
dell‟intero tessuto economico e sociale.
- In Oriente, la crescita spettacolare dell‟economia cinese e di quasi tutta
l‟Asia orientale e sudorientale (con l‟eccezione del Giappone degli
anni ‟90) ne fece la regione più dinamica dell‟economia mondiale.
In generale, i problemi sui quali si era concentrata la critica al capitalismo
prima della guerra e che l‟Età dell‟oro aveva eliminato per una generazione
(povertà, disoccupazione di massa, miseria e instabilità) ricomparvero.
Che politiche adottano i governi per fronteggiare la crisi del dopo 73
(fine dell’età dell’Oro) e con quali esiti?
Nei paesi capitalisti sviluppati, la presenza di sistemi assistenziali permise
di evitare disordini sociali, ma il rallentamento della crescita economica
schiacciò le finanze sotto il peso della spesa sociale.
Quasi nessun governo riuscì a ridurre la spesa pubblica o controllarla;
neppure quelli più contrari allo stato assistenziale. Il capitalismo non aveva
tanto smesso di funzionare, bensì era diventato incontrollabile: nessuno
seppe, da allora, come affrontare le variazioni capricciose dell‟economia.
I governi, peraltro, non seppero riconoscere la crisi; negli anni ‟70, dunque,
guadagnarono tempo continuando ad applicare le ricette keynesiane.
Rimasero in carica molti governi socialdemocratici intervallati da brevi
parentesi conservatrici che non ebbero successo.
Da cosa è caratterizzata l’opposizione fra keynesiani e neoliberisti
(dopo l’età dell’Oro)? In che senso si tratta di “ideologie”?
- i keynesiani sono socialdemocratici
- Ad essi si oppone una minoranza dei liberisti.
I liberisti aquisiscono visibilità col conferimento del Nobel per l‟economia
a Von Hayek nel 1974.
La battaglia fra le due correnti di pensiero non è puramente economica ma
costituisce uno scontro fra ideologie caratterizzate da una concezione a
priori della società:
- i neoliberisti: contestano i valori “svedesi” di uguaglianza e solidarietà,
- le sinistre keinesiane: contestano l‟egoismo antisociale “thatcheriano”;
Dal 74 in poi i neoliberisti, sostenitori del libero mercato, passarono
all‟offensiva, anche se giunsero ad influenzare politiche governative
soltanto dagli anni ‟80.
Caso particolare fu costituito dal Cile, dove la dittatura militare e terrorista
di Augusto Pinochet, nata nel 1973 per un golpe militare appoggiato dagli
USA contro il governo popolare di Salvador Allende, permise ai consiglieri
americani di instaurare un‟economia liberista senza regole, dimostrando
palesemente l‟assenza di connessione tra libero mercato e democrazia
(come invece voleva la retorica della Guerra fredda).
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La battaglia fra le due scuole non era puramente tecnica. Si trattava,
piuttosto, di una guerra fra ideologie nascoste dietro argomenti economici: i
keynesiani sostenevano che gli alti salari, il pieno impiego e lo stato
assistenziale creano domanda e stimolano la produzione; i neoliberisti, che
le politiche stataliste non consentono il controllo dell‟inflazione, la
riduzione dei costi e la crescita dei profitti, motore della crescita, e che il
libero mercato, lasciato a sé, tende a distribuire crescita e ricchezza (teoria
della “mano invisibile” di A. Smith).
In entrambi i casi era in gioco una concezione a priori della società. I
neoliberisti diffidavano di un paese socialdemocratico come la Svezia,
nonostante lo sviluppo economico spettacolare.
Essi contestavano, a prescindere dai risultati, “il modello svedese” coi suoi
valori di uguaglianza e solidarietà. Di contro, la sinistra avversava il
governo della Thatcher, nonostante i suoi successi economici, perché era
fondato su un egoismo antisociale. Il “fondo” delle teorie era costituito,
insomma, da posizioni non confutabili.
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Se i neoliberisti non si fanno commuovere dalle ingiustizie sociali di un
capitalismo selvaggio neppure quando non produce ricchezza, il caso del
Giappone degli anni „80 dimostra quanto il successo capitalistico giovi di
una distribuzione egualitaria: esso si appoggiò su un divario sociale più
basso rispetto a ogni altro paese capitalista, compresa la Svezia.
Un altro esempio storico, quello di “Mani pulite” in Italia, rappresenta
quanto importante sia l‟aspetto etico in politica: l‟elettorato italiano si
ribellò alla corruzione del sistema politico e lo disintegrò disertando le urne
nel 1992.
In ogni caso, i keynesiani non ebbero successo. Vincolati dal loro impegno
per piena occupazione, stato assistenziale e politiche di consenso sociale,
furono schiacciati tra le richieste dei capitalisti e quelle dei lavoratori,
difficili da contemperare durante una recessione.
Negli anni ‟70 e ‟80 la socialdemocratica Svezia mantenne l‟occupazione
attraverso il sovvenzionamento delle industrie e un‟espansione del pubblico
impiego; il sistema assistenziale si allargò, ma fu necessario abbassare il
tenore di vita degli operai, imporre tasse sui redditi più alti e indebitarsi.
Queste misure provvisorie furono capovolte alla fine degli anni ‟80, quando
il “modello svedese” iniziò a perdere credito.
Neanche i neoliberisti seppero affrontare la crisi, come fu evidente negli
anni ‟80. Era facile attaccare le politiche keynesiane, dato che queste non
erano più tenute a galla dalla crescita della ricchezza, dell‟occupazione e
delle entrate fiscali.
Perfino la sinistra britannica dovette ammettere che le destatalizzazioni
della Thatcher erano necessarie.
La convinzione che lo stato non fosse “la soluzione, ma il problema”
(Reagan), non bastava però a creare una politica economica alternativa,
soprattutto in un mondo in cui la spesa pubblica ammontava a un quarto del
prodotto nazionale lordo (USA) o al 40% (Europa).
Essa poteva essere gestita con criteri imprenditoriali ma non poteva
funzionare secondo la logica del libero mercato.
Alla fine, quasi tutti i governi neoliberisti furono obbligati a gestire e
dirigere le proprie economie, proprio mentre affermavano il contrario: il
più grande dei regimi neoliberisti, gli USA del presidente Reagan, di fatto
usò metodi keynesiani per uscire dalla depressione del 1979-82; quello più
ideologico, la Gran Bretagna della Thatcher, tassò i cittadini in misura
maggiore rispetto ai laburisti, aumentando il peso dello stato.
Entrambi furono, paradossalmente, nazionalisti e diffidenti: una
contraddizione in termini, datala fiducia che comporta la fede nella bontà
del libero mercato.
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Di fatto non ci fu un‟unica politica neoliberista, tranne che dopo il 1989
negli ex stati socialisti dell‟area sovietica, dove, seguendo il consigli di
superesperti economici occidentali, si fecero tentativi disastrosi per
convertire da un giorno all‟altro l‟economia statalista in un‟economia di
libero mercato.
L‟entusiasmo neoliberista, comunque, non sopravvisse alle contrazioni
dell‟economia mondiale degli anni ‟90 e fu messo a tacere dalla scoperta
che l‟economia più dinamica dopo la caduta del blocco sovietico era quella
della Cina comunista.
Quali sono le caratteristiche dell’economia mondiale che sanciscono il
fallimento del modello keynesiano? In che modo tali caratteristiche
sono legate alla nascita delle “sottoclassi” nelle economie di mercato
avanzate?
Ciò che minò più profondamente il modello keynesiano fu la
mondializzazione dell‟economia dopo il 1970, che pose i governi alla
mercé di un “mercato mondiale” incontrollabile.
Le fluttuazioni coincisero con sconvolgimenti strutturali del sistema di
produzione, che non solo venne “transnazionalizzato” ma anche
trasformato dalla rivoluzione tecnologica.
Si presumeva che la crescita dell‟economia, resa possibile dalla rivoluzione
industriale, avrebbe creato nuovi posti di lavoro, rimpiazzando la perdita
dei vecchi.
L‟Età dell‟oro aveva confermato questi ottimismi, ma i decenni di crisi
eliminarono manodopera perfino in settori in espansione.
La disoccupazione non fu ciclica, ma strutturale: i posti di lavoro non
vennero recuperati.
Questo fenomeno non fu determinato soltanto dal trasferimento delle
industrie verso i nuovi paesi industriali, dove i salari erano più bassi, bensì
dalla vittoria della logica dell‟automazione: prima o poi, anche l‟operaio
meno pagato sarebbe risultato più costoso di una macchina.
In una logica competitiva, le macchine vincevano l‟uomo, in quanto
possono essere migliorate e i loro costi ridotti, mentre un uomo non può
durare a lungo senza la “manutenzione” del compenso.
Facoltà di Psicologia
La produzione eliminava manodopera più in fretta di quanto l‟economia di
mercato generasse posti di lavoro.
Questo processo fu accelerato dalla competizione mondiale, dalle difficoltà
finanziarie dei governi, dei datori di lavoro e, dopo il 1980, dai fautori del
libero mercato.
Questi insistevano affinché i settori improduttivi dei paesi venissero
trasformati in imprese aventi come fine i profitti. In tal modo, la
manodopera veniva trasferita ad aziende private, interessate esclusivamente
al proprio utile.
Governi ed enti pubblici cessarono di svolgere la funzione di datori di
lavoro da “ultima risorsa”: il declino dei sindacati, indeboliti sia dalla
depressione che dall‟ostilità dei governi neoliberisti, accelerò questo
processo, dal momento che la protezione dei posti di lavoro era una delle
loro funzioni principali.
L‟economia mondiale si stava espandendo, ma si era rotto
quell‟automatismo per cui l‟espansione produceva occupazione per uomini
e donne senza qualifica.
Facoltà di Psicologia
I contadini, che per tuta la storia avevano formato la maggioranza del
genere umano, erano diventati eccedenti a seguito della rivoluzione
agricola.
In passato, i milioni di contadini di cui non c‟era più necessità in
agricoltura erano stati facilmente assorbiti da altri settori occupazionali, che
richiedevano solo la disponibilità a lavorare.
Ora, diventati di nuovo eccedenti, potevano essere formati per lavori di
livello più alto, come quelli in campo informatico; la maggior parte di
questi lavori esigeva, però, un alto grado di specializzazione (addirittura
universitario) e i posti non bastavano a compensare le perdite.
Nei paesi capitalistici ricchi, la manodopera in esubero ripiegò
sull‟assistenza pubblica e i lavoratori assistiti diventarono oggetto del
disprezzo di coloro che sapevano di guadagnarsi da vivere con il proprio
lavoro.
Nei paesi poveri, i disoccupati entrarono nella oscura ma vasta area
dell‟economia “sommersa” o “parallela”: lavoretti, servizi, espedienti,
compravendite, furti.
Si ricreò una “sottoclasse” separata e segregata, portatrice di problemi
sociali considerati insolubili ma anche secondari, in quanto propri di una
minoranza.
di Psicologia
Lezione 22
Quali sono i motivi delle tensioni dei “Decenni di crisi” e come si
esprimono socialmente e culturalmente?
Negli anni della crisi, fu la combinazione di fase depressiva e
ristrutturazione produttiva a generare tensioni sociali nel mondo
capitalistico
Ciò in quanto tale combinazione fece mancare il lavoro a una generazione
abituata al pieno impiego.
In particolare,
- negli anni ‟80 furono soprattutto gli operai ad essere colpiti dalla crisi,
- gli anni ‟90 furono il turno dei settori impiegatizi e professionali.
Ciò significava perdere ogni punto di riferimento, considerato anche lo
sgretolamento dei vecchi modi di vita avvenuto grazie alla rivoluzione
sociale.
A livello sociale: non è un caso se, dei dieci più grandi omicidi di massa
della storia americana, otto siano avvenuti dopo il 1980, in genere per
opera di uomini bianchi di mezza età dai trenta ai cinquant‟anni, vissuti in
uno stato di solitudine, frustrazione e rabbia, o vittime di una catastrofe
esistenziale: rimanere disoccupati dopo essersi trasferiti per lavoro in età
non più giovanile significava non aver dove tornare.
A livello culturale: La precarietà generò un sentimento di odio diffuso che
venne a galla nella musica degli anni ‟80 (ad es., il rap, il trash metal) e si
manifestò nella crescente crudeltà esplicita di film (ad es., gli horror) e
programmi televisivi.
Perché i partiti socialdemocratici decadono nell’età della crisi? Quali
forze prendono il loro posto? Quale finisce per essere l’atteggiamento
delle masse nei confronti della politica?
Disorientamento e insicurezza produssero fratture e spostamenti nella
politica ed in particolare i primi sconfitti furono socialdemocratici e
laburisti, il cui strumento per soddisfare le richieste dei propri elettori –
cioè la politica economica e sociale dei governi – si era indebolito.
Nella nuova economia transnazionale, i salari e gli stipendi erano esposti
alla competizione straniera e la capacità dei governi di proteggerne il potere
d‟acquisto era diminuita.
Facoltà di Psicologia
In tale fase, tra gli elettori socialdemocratici:
- chi godeva di un lavoro relativamente sicuro si pose contro chi temeva di
perderlo;
- chi viveva e lavorava nelle vecchie aree sotto la protezione dei sindacati
si pose contro chi viveva in nuove aree meno minacciate dalla crisi e non
sindacalizzate.
Oltre a ciò, dagli anni ‟70 molti giovani di estrazione sociale media
abbandonarono la sinistra per aderire a movimenti dalla natura più
settoriale – ambientalisti, femministi, ecc. – indebolendo la sinistra
tradizionale.
di Psicologia
Nuove forze politiche si sono insediate nel vuoto lasciato dai
socialdemocratici :
- i partiti xenofobi e razzisti di destra,
- partiti secessionisti (su base etnico-nazionale ma non solo),
- partiti “verdi”
- altri movimenti sociali sedicenti di sinistra.
Molte di queste nuove realtà ottennero una presenza significativa, talvolta
persino un predominio regionale, anche se nessuna ha rimpiazzato i vecchi
gruppi.
Le più influenti hanno respinto le ideologie universalistiche delle politiche
democratiche e liberali, in favore di una qualche identità di gruppo; ne
deriva un‟ostilità viscerale per gli stranieri e per gli immigrati, nonché per
gli stati nazionali accentratori, nati dalle tradizioni rivoluzionarie americana
e francese.
Facoltà di Psicologia
L‟importanza di questi movimenti non risiede tanto nelle loro proposte
positive, quanto nel rifiuto della “vecchia politica”.
Esempi di negazione anti-politica furono, ad esempio, il successo della
Lega Nord in Italia o le elezioni presidenziali americane del 1992,
caratterizzate da un 20% di voti a favore del ricco texano Ross Perot,
estraneo ai partiti.
à di Psicologia
Per quale motivo la crisi viene avvertita improvvisamente nel blocco
sovietico? In che modo il crollo politico del blocco rappresenta un
problema economico mondiale?
La crisi, nei Paesi del II Mondo, venne dapprima occultata, cosicché il
mutamento risultò improvviso sia:
- in Cina (dopo la morte di Mao, nel ‟76)
- in URSS (dopo la morte di Breznev, nell‟82).
Il massiccio ricorso dell‟URSS al mercato internazione del grano e
l‟impatto delle crisi petrolifere degli anni ‟70 resero evidente la fine del
“campo socialista” come economia regionale autonoma.
Il disordine derivante dal crollo del blocco sovietico non fu dunque soltanto
politico, ma economico:
crollarono la divisione interregionale del lavoro e la rete di reciproche
dipendenze nella sfera sovietica, costringendo paesi a fare i conti in proprio
con un mercato mondiale che non erano in grado di affrontare.
L‟Occidente, a sua volta, era altrettanto impreparato a integrare nel mercato
i resti del vecchio sistema comunista:
- la Comunità europea non ha mostrato alcuna volontà di integrare paesi
ex socialisti fino al 2004;
- la Finlandia, che nel dopo guerra aveva conosciuto un successo
economico spettacolare anche grazie ai commerci con l‟URSS, entrò in
crisi;
- la Germania, maggiore potenza economica europea, sottopose a tensioni
enormi l‟economia propria e quella europea, perché sottovalutò i costi
dell‟assorbimento dei sedici milioni di tedeschi dell‟Est. Si trattava, per
lo più, di conseguenze inaspettate.
Facoltà di Psicologia
Nel 1980 economisti comunisti giunsero a pubblicare all‟interno del regime
analisi negative sui sistemi economici socialisti.
Più difficile è identificare il periodo in cui i dirigenti comunisti
rinunciarono alla fede nel socialismo, perché dopo il 1989-91 tendevano ad
anticipare nelle dichiarazioni la data dell‟abiura. È comunque certo che
molti riformatori avrebbero voluto abbandonare il leninismo, anche se
pochi lo ammettevano (tra questi il PCI italiano, motivo d‟ispirazione per i
riformatori dell‟Est).
Essi avrebbero voluto trasformare il comunismo in una socialdemocrazia
occidentale: il loro modello era Stoccolma.
Tuttavia, la crisi dei sistemi comunisti coincise con la crisi del capitalismo
dell‟Età dell‟oro, che significò anche crisi dei sistemi socialdemocratici.
Il crollo repentino del comunismo, inoltre, fece sembrare indesiderabile un
faticoso programma di trasformazione graduale e ciò fu alla base del
trionfo degli ideologi integralisti del libero mercato: lo sfrenato liberismo
divenne perciò l‟ideologia ispiratrice dei regimi post-comunisti,
irrealizzabile e disastrosa.
Facoltà di Psicologia
Gli effetti della crisi sui paesi del Terzo mondo furono assai diversi, ma
una generalizzazione è possibile: dal 1970 quasi tutti sono sprofondati
progressivamente nei debiti.
- Nel 1970 i paesi con un debito superiore a un miliardo erano solo dodici
e nessuno aveva debiti superiori a 10 miliardi;
- nel 1980 sei paesi avevano un debito pari o maggiore di tutto il loro
PNL;
- nel 1990, ventiquattro. Tra di essi figuravano tre “giganti” del debito
internazionale (dai 60 a 110 miliardi di dollari), cioè il Brasile, il
Messico e l‟Argentina.
Facoltà di Psicologia
I debiti non venivano saldati, ma le banche non se ne preoccupavano in
quanto il tasso d‟interesse a loro favore era del 9,6%.
Negli anni ‟80, tuttavia, l‟intero mondo entrò in panico quando, a
cominciare dal Messico, i più grossi debitori non poterono più pagare gli
interessi.
Il sistema bancario occidentale fu sull‟orlo del collasso: parecchie delle più
grandi banche avevano prestato denaro con una tale larghezza negli
anni ‟70 che, tecnicamente, ora erano in bancarotta.
Fortunatamente, i tre giganti del debito non seppero agire congiuntamente;
furono perciò stipulati accordi separati, che garantirono la solvibilità. I
debiti, insomma, rimasero, ma non costituirono più una minaccia. Fu il
momento più pericoloso per l‟economia mondiale capitalistica dopo il 1929.
Facoltà di Psicologia
Nel frattempo, le risorse dei paesi poveri non aumentavano. Gli operatori
dell‟economia mondiale capitalistica, che sostenevano logiche di profitto,
decisero nei decenni di crisi di escludere dalle iniziative gran parte del
Terzo mondo.
Gli investimenti stranieri si assottigliarono fino a scomparire. Gli unici
investimenti massicci (da circa un miliardo di dollari) riguardavano solo
quattro paesi nell‟Asia orientale (Cina, Thailandia, Malesia, Indonesia) e
tre in America latina (Argentina, Messico, Brasile).
Beninteso, l‟economia mondiale non trascurò del tutto le regioni
emarginate: alcune, più piccole e suggestive, divennero paradisi turistici o
fiscali; altre vennero rivalutate in seguito alla scoperta della presenza di
risorse naturali.
Il resto del Terzo mondo rimase fuori dall‟economia. Persino all‟interno
dell‟area dell‟ex URSS si creò un divario tra distretti o repubbliche ricchi
di risorse e non; il Secondo mondo stava diventando Terzo mondo e il
divario tra paesi ricchi e poveri (“paesi meno sviluppati”, classificati
dall‟ONU in base a un PNL annuo pro capite inferiore ai 300 dollari) si
andava allargando.
à di Psicologia
Lezione 23
In che senso gli stati nazionali conoscono una progressiva crisi a
partire dal Novecento? Cosa succede al loro interno?
L‟affermarsi dell‟economia transnazionale pregiudicò il funzionamento
dello stato nazionale territoriale, che non poteva più controllare se non una
parte sempre più piccola degli affari economici.
Di conseguenza, organizzazioni il cui campo d‟azione era vincolato alle
frontiere nazionali, come sindacati, parlamenti e reti di comunicazione
televisiva e radiofonica persero importanza, mentre ne guadagnarono le
multinazionali, il mercato valutario internazionale, i sistemi di
comunicazione.
La scomparsa delle superpotenze, che potevano almeno controllare i paesi
loro allineati, rafforzò questa tendenza.
Perfino la funzione di ridistribuzione del reddito alla popolazione tramite
stato assistenziale, sistema educativo e sanitario venne messa in
discussione: i teologi del libero mercato si adoperarono affinché fosse il
settore privato ad occuparsene.
di Psicologia
Questo indebolimento andò di pari passo con la nuova moda di spezzare gli
stati nazionali in entità che pretendevano di essere nuovi stati nazionali più
piccoli, basati per lo più sulla rivendicazione di qualche monopolio etnicolinguistico.
Negli anni ‟70 questo fenomeno si diffuse notevolmente in Occidente
(soprattutto Europa e Canada); con la crisi del comunismo si diffuse anche
a est, dove dopo il 1991 si formarono più nuovi stati nazionali che in ogni
altro momento del Secolo.
In altre aree, come Afghanistan e Africa, il crollo e disintegrazione degli
stati negli anni ‟80 e ‟90 non condussero a spartizioni ma a periodi di
anarchia.
Facoltà di Psicologia
La tendenza alla spartizione fu paradossale, perché i nuovi ministati
nazionali presentarono gli stessi inconvenienti di quelli vecchi, con la
penale della dimensione svantaggiosa.
Il solo modello di stato conosciuto è comunque rimasto quello di un
territorio chiuso da frontiere e con istituzioni autonome: lo stato nazionale
modellato nell‟epoca delle rivoluzioni borghesi (1789-1848).
Cos’è il principio di autodeterminazione dei popoli e che uso ne viene
fatto da parte dei secessionisti?
Si tratta del diritto di un popolo all‟indipendenza e alla scelta del proprio
regime politico, un principio a cui, a partire dal 1918 (cioè dal Trattato di
Versailles che ha chiuso la Prima guerra mondiale) tutti i regimi hanno
aderito.
Sia l‟Europa, sia l‟URSS erano concepite come insiemi di tali stati. Nel
caso dell‟URSS (e della Jugoslavia) si trattava di unioni di stati che in
teoria conservavano diritto di secessione (a differenza degli Stati Uniti):
quando si spezzarono, si adottarono le frontiere preesistenti l‟unione.
Come si concretizza il tentativo da parte degli stati nazionali (negli
anni 80) di difendere la propria autonomia dal mercato globale?
Il nuovo nazionalismo rappresentava innanzitutto una resistenza degli stati
nazionali contro il venir meno dei loro poteri.
Il fenomeno divenne chiaro negli anni ‟80, di fronte a tentativi da parte di
potenziali membri della Comunità Europea di conservare la propria
autonomia senza uniformarsi a parametri comunitari in materie giudicate
importanti
il protezionismo, uno dei principali strumenti tradizionali di autodifesa
dello stato nazionale, fu più debole rispetto all‟Età della catastrofe: il libero
mercato era già realtà, a maggior ragione dopo la caduta delle economie
stataliste.
Parecchi stati, per proteggersi contro la competizione, svilupparono metodi
clandestini: l‟esempio più impressionante fu l‟Italia, che riuscì a riservare
la fetta più grossa del proprio mercato interno automobilistico alla Fiat.
Facoltà di Psicologia
Si verificarono battaglie ancor più accese quando i fattori in gioco erano
culturali: francesi e tedeschi, ad esempio, sovvenzionarono le loro
agricolture non solo per i voti dei contadini, ma anche perché
all‟agricoltura erano legati paesaggi, tradizioni, caratteri nazionali.
I francesi, sostenuti dagli altri paesi europei, assunsero un atteggiamento
ostile nei confronti del mercato audiovisivo mondiale non solo per paura
della concorrenza americana, ma soprattutto per preservare l‟arte del
cinema francese.
Vi sono, insomma, beni di valore che gli stati nazionali non possono
sacrificare alla logica del mercato.
Facoltà di Psicologia
Un secondo elemento a fomentare il separatismo fu:
l‟egoismo collettivo della ricchezza, deriva delle disparità economiche. I
governi si erano assunti la responsabilità di promuovere lo sviluppo di tutto
il loro territorio e perciò avevano ripartito le risorse in modo che le regioni
più povere e arretrate venissero sovvenzionate da quelle più ricche.
La Comunità Europea si dimostrò realistica tanto da ammettere al proprio
interno stati il cui stato non avrebbe imposto sforzi eccessivi agli altri (tale
realismo mancò, invece, nella creazione dell‟Area di libero commercio del
Nordamerica nel 1983, che unì USA e Canada al ben meno ricco Messico).
Quali sono le ragioni di fondo dei movimenti separatisti nell’Europa di
fine secolo?
Quanto alla Jugoslavia, la pressione venne dalle repubbliche “europee” del
Nord, ovvero la Slovenia e la Croazia;
la Slovacchia fu divisa dalla Repubblica ceca, che si proclamava
“occidentale”;
In Spagna le regioni che ospitano movimenti separatisti come Catalogna e
Province Basche sono tra le più ricche e sviluppate.
In Italia, esempio di partito separatista per ragioni economiche è la Lega
Lombarda (1982), confluita nella Lega Nord nel „91, che si prefigge la
secessione del settentrione e della capitale economica Milano, da Roma,
capitale politica.
La retorica della Lega, caratterizzata dall‟appello a un glorioso passato
medievale e al dialetto lombardo, rientra nel modello delle agitazioni
nazionalistiche, ma la questione di fondo rimane il desiderio della regione
più ricca di tenersi le proprie risorse.
Facoltà di Psicologia
In un terzo senso, il separatismo è una reazione alla “rivoluzione culturale”,
cioè alla dissoluzione di tessuti sociali, norme e valori tradizionali.
Di fronte ad essa, la parola “comunità” ha iniziato a usarsi in maniera vuota
e indiscriminata (“intellettuale”, “delle pubbliche relazioni”, “gay”, ecc.).
Cosa sono le “identità di gruppo” scoperte a partire dagli anni ’60?
Cosa rappresentano da un punto di vista storico? Che retorica
utilizzano?
Le identità di gruppo sono insiemi ai quali un individuo si fa “appartenere”
inequivocabilmente, che apparirono alla fine degli anni ‟60 negli USA.
Molti di tali “insiemi” facevano appello a forme di etnicità, mentre altri,
adottavano condotte di separatismo, adoperando tuttavia lo stesso
linguaggio nazionalistico (ad es. “nazione gay”).
La politica dell‟identità di gruppo non aveva una connessione intrinseca
con “l‟autodeterminazione nazionale”.
Una secessione, infatti, non avrebbe avuto senso negli USA per i neri
africani o per gli italo americani (al massimo, potevano sviluppare un
“nazionalismo di lunga distanza” a sostegno delle patrie originarie o
adottive).
Lo scopo di una politica d‟identità in società eterogenee è entrare in
competizione per risorse gestite da uno stato non etnico: chi rappresenta
gruppi specifici (latinoamericani, orientali, omosessuali), non vuole
separazione ma attenzione.
Facoltà di Psicologia
L‟elemento che accomuna le politiche di identità etnica e il nazionalismo
etnico è l‟insistenza che l‟identità di un gruppo consista in caratteristiche
esistenziali, ritenute primordiali, immodificabili e personali, condivise col
solo gruppo.
Questa esclusività “compensa” il fatto che le differenze effettive si siano
attenuate: tratti che in passato identificavano, ad esempio, gli ebrei (tra cui
la discriminazione nei loro confronti) sono pressoché scomparsi.
In sostanza, politiche dell‟identità e nazionalismi non costituiscono
programmi, ma reazioni emotive; a loro volta, queste evidenziano il
bisogno di meccanismi istituzionali capaci di rispondere efficacemente ai
problemi della globalizzazione. Per questo scopo sono nati gli enti
internazionali.
Qual è la funzione degli enti internazionali e quale la loro efficacia?
Da quando nel 1945 furono istituite le Nazioni Unite (ONU), diversi enti
internazionali hanno visto la luce, in base al presupposto, poi smentito, che
gli USA e l‟URSS avrebbero continuato a prendere decisioni globali di
comune accordo.
L‟ONU è diventata un‟associazione cui uno stato deve appartenere se vuol
ottenere il riconoscimento della propria sovranità.
Il bisogno sempre maggiore di coordinazione globale (indispensabile, fra
l‟altro, per risolvere problemi come quello ambientale) ha portato alla
moltiplicazione degli organismi internazionali.
Dagli anni ‟70 agli anni ‟80 il numero delle organizzazioni interstatali e
organizzazioni internazionali non statali è raddoppiato.
Sfortunatamente, le uniche procedure per ottenere un‟azione congiunta,
cioè i trattati firmati e ratificati separatamente da ogni stato, erano
macchinose e inadeguate, come dimostrato dalle iniziative per preservare
l‟Antartide dall‟inquinamento e per vietare la caccia alle balene.
Inoltre, la debolezza degli strumenti veniva sottolineata dalla facilità della
violazione: negli anni ‟80 l‟Iraq uccise migliaia di cittadini coi gas tossici,
infrangendo una delle poche convenzioni rispettate, cioè il Protocollo di
Ginevra del 1925 per la messa al bando della guerra chimica.
Quali sono i due metodi più efficaci oggigiorno per indirizzare gli stati
al perseguimento di politiche comuni?
Facoltà di Psicologia
I due modi di assicurare la possibilità di un‟azione internazione sono:
- Il primo: l‟abdicazione volontaria della sovranità nazionale, da parte di
stati di media grandezza bisognosi di sostegno, a favore di autorità
soprannazionali.
- Il secondo: le autorità finanziarie internazionali, istituite alla fine della
seconda guerra mondiale sotto spinta dello stesso Keynes:
principalmente il FMI (Fondo monetario internazionale) e la Banca
mondiale.
Qual è il ruolo dell’FMI e della Banca Mondiale?:
l‟FMI (Fondo monetario internazionale) e la Banca mondiale sono autorità
finanziarie internazionali.
Essi, influenzati dal gruppo del G7 (poi G8), concedono prestiti a paesi in
stato di bisogno, a condizione di adottare politiche neoliberistiche.
Tali interventi causano instabilità politica nel Terzo mondo e
provocheranno il collasso degli ex paesi socialisti dopo il 1990.
di Psicologia
Lezione 24
Quale fu la politica statunitense nei confronti del Terzo mondo, nel
periodo della Guerra fredda?
All‟inizio della Guerra fredda, il Primo mondo era generalmente stabile;
eventuali disordini nel Secondo venivano compressi dal conservatorismo
comunista e dalla minaccia sovietica;
nel Terzo mondo, invece, solo l‟India e alcune ex colonie hanno evitato, dal
1950 in poi, conflitti armati intestini o addirittura colpi di stato militari per
reprimere, impedire o promuovere rivoluzioni.
Tale instabilità appariva evidente anche agli Stati Uniti, che si erano fatti
protettori dello status quo e che associavano l‟instabilità al comunismo
sovietico.
Essi decisero di combattere questo pericolo con ogni mezzo, dagli aiuti
economici alla propaganda ideologica, dall‟eversione militare alla guerra,
preferibilmente alleandosi con regimi locali amici o corrotti, ma se
necessario anche senza sostegno.
Per questa ragione il Terzo mondo si configurò come una zona di guerra,
mentre Primo e Secondo conobbero la più lunga epoca di pace
dall‟Ottocento in poi.
Che relazione vi fu, invece, fra l’URSS e i movimenti rivoluzionari del
terzo mondo? Che effetto ebbe la crisi dell’autorità sovietica sulla
configurazione e sul successo di tali movimenti?
Il potenziale rivoluzionario del Terzo mondo era evidente anche ai regimi
comunisti, se non altro perché i capi dei movimenti di liberazione coloniale
tendevano a considerarsi socialisti, impegnati come l‟URSS a realizzare
l‟emancipazione; coloro che avevano ricevuto un‟educazione occidentale si
ritenevano perfino ispirati da Marx e Lenin, sebbene nel Terzo mondo
partiti comunisti forti fossero rari e nessuno di essi fosse destinato a
diventare la forza principale di liberazione (tranne che in Mongolia, Cina e
Vietnam).
Comunque, parecchi nuovi regimi si resero conto dell‟utilità del modello
leninista e lo imitarono. Alcuni movimenti furono sciolti (Iraq e Iran,
anni ‟50) o eliminati con massacri (Indonesia, 1965).
Facoltà di Psicologia
Per parecchi decenni l‟URSS concepì le proprie relazioni coi movimenti
rivoluzionari e di liberazione del Terzo mondo in termini pragmatici, dal
momento che non intendeva allargare la propria area.
Tale politica non mutò neppure sotto Chruscev (1956-64), quando
conquistarono potere movimenti rivoluzionari a Cuba (1959) e in Algeria
(1962).
La decolonizzazione africana portò anch‟essa al potere capi che si
fregiavano del titolo di anti-imperialisti, socialisti e amici dell‟URSS,
specialmente quando accettavano aiuti da essa in veste di potenza non
colonialista: fu il caso di Lumumba nel Congo belga, il cui assassinio lo
trasformò in un‟icona del Terzo mondo.
Quando uno dei nuovi regimi, quello a Cuba di Fidel Castro, si proclamò
comunista, l‟URSS lo prese sotto la sua ala protettrice, ma prestando
attenzione a non danneggiare le relazioni con gli USA.
Durante gli anni ‟70 l‟URSS si limitò a sfruttare congiunture favorevoli che
non aveva creato: la speranza di Chruscev era infatti che il capitalismo
venisse seppellito dalla superiorità economica del socialismo e non da un
conflitto.
Facoltà di Psicologia
Quando la leadership sovietica iniziò ad essere messa in discussione, i
partiti comunisti nel Terzo mondo mantennero una certa moderazione.
Il nemico non era il capitalismo (non ancora sviluppato) ma gli interessi dei
gruppi di potere locali e l‟imperialismo statunitense che li appoggiava.
La via per la vittoria non era la lotta armata bensì un fronte popolare e
nazionale (cioè l‟unione delle forze progressiste) nel quale accogliere una
borghesia “nazionale”.
La strategia parve vincente e, per questo, fu bloccata da colpi di stato
militari, seguiti da repressioni terroristiche (Brasile 1964, Indonesia 1965,
Cile 1973).
Ciononostante e forse in virtù delle sue disavventure, il Terzo mondo, terra
della maggioranza dell‟umanità, divenne il pilastro della speranza nella
rivoluzione sociale.
Esso alimentava gli ideali di cui partiti appartenenti alla tradizione
illuministica avevano bisogno: fortezze di progresso non rivoluzionario
quali i paesi scandinavi, l‟Olanda e il Consiglio mondiale delle Chiese
protestanti si adoperarono appassionatamente per aiutare le forze
progressiste nel Terzo mondo.
Cosa rappresentò, invece, il Terzo mondo per i movimenti occidentali
di tradizione illuministica?
Forse in virtù delle sue disavventure, il Terzo mondo, terra della
maggioranza dell‟umanità, divenne il pilastro della speranza nella
rivoluzione sociale.
Esso alimentava gli ideali di cui partiti appartenenti alla tradizione
illuministica avevano bisogno: fortezze di progresso non rivoluzionario
quali i paesi scandinavi, l‟Olanda e il Consiglio mondiale delle Chiese
protestanti si adoperarono appassionatamente per aiutare le forze
progressiste nel Terzo mondo.
La Rivoluzione cubana
Dopo il 1945, la forma principale di lotta rivoluzionaria nel mondo sembrò
essere la guerriglia: ne ebbero luogo trentadue, tutte al di fuori del
Nordamerica e dell‟Europa (tranne tre: Grecia, Cipro, Irlanda del Nord).
A portare la guerriglia sulle prime pagine dei giornali fu un movimento
relativamente piccolo, atipico ma di successo: il 1 gennaio 1959 a Cuba.
Fidel Castro (1927- ), giovane forte e carismatico, proveniva da una buona
famiglia di proprietari terrieri, aveva idee politiche confuse (perfino i suoi
slogan, come “Victoria o muerte!”, mancavano di connotazione ideologica)
ma era determinato a diventare l‟eroe della libertà contro la tirannia.
Dopo un oscuro periodo trascorso nelle file dei gruppi studenteschi armati
dell‟Università dell‟Avana, scelse la ribellione contro il governo del
generale Fulgencio Batista.
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Batista aveva partecipato, nel 1933, a un colpo di stato militare col grado di
sergente; si era nuovamente insediato al potere nel 1952 e aveva abrogato
la Costituzione, portando la corruzione nel governo.
Fidel iniziò la sua lotta con un attacco a una caserma nel 1953;
imprigionato e poi esiliato, passò al contrattacco insieme ad un gruppo di
guerriglieri tornando sull‟isola e insediandosi nelle montagne.
Ernesto “Che” Guevara (1928-1967), medico argentino e talentuoso capo
guerrigliero, si mosse per conquistare il resto dell‟isola con 148 uomini
(300 a impresa conclusa).
Catturando Santiago (città dai mille abitanti) nel 1959, gli uomini di Fidel
dimostravano che una forza irregolare poteva controllare un territorio
piuttosto grande e difenderlo.
D‟altra parte, l‟esercito di Batista era demoralizzato: il regime era fragile,
privo di consenso e corrotto. Il suo crollo, insomma, fu la conseguenza di
una determinazione generale da parte delle classi sociali e delle formazioni
politiche. Quando Castro ereditò il governo, godette di una popolarità unica
nella storia del Secolo.
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I ribelli latino-americano negli anni ‟50 si ritrovarono ad attingere non solo
alla retorica dei liberatori dell‟Ottocento (come Bolivar), ma si collegarono
anche alla tradizione di sinistra anti-imperialista e rivoluzionaria,
successiva alla Rivoluzione Sovietica del 1917.
Essi erano sia a favore di una “riforma agraria” sia contro gli USA. Benché
radicali, tuttavia, né Fidel né i suoi sostenitori erano comunisti.
Infatti, il Partito comunista cubano non dimostrò simpatia per Fidel, finché
parte di esso non lo seguì freddamente nella sua lotta.
Persino i sospettosi Stati Uniti finirono per riconoscere l‟estraneità di Fidel
al comunismo.
Facoltà di Psicologia
Malgrado ciò, l‟ideologia rivoluzionaria e l‟acceso anticomunismo degli
USA negli anni del maccartismo spingeva Cuba a simpatizzare per i
comunisti, in quanto questi ultimi erano i soli ad assumere un‟esplicita
posizione anti-imperialistica.
La Guerra fredda fece il resto: Cuba poteva contare sull‟URSS in caso di
conflitti con gli USA; inoltre, Fidel aveva bisogno di organizzare il proprio
governo, che per ora si reggeva solo sui suoi discorsi informali in pubblico,
e il Partito comunista poteva fornire validi schemi organizzativi.
Alla fine, nel 1960, prima che Fidel diventasse convintamene comunista,
gli USA decisero di trattarlo come tale e la CIA (agenzia di spionaggio
estero) fu autorizzata a predisporre un piano per rovesciarlo; nel 1961 fu
tentato un attacco, ma si rivelò un fallimento.
Cuba sopravvisse, isolata dall‟embargo statunitense e dipendente
dall‟URSS. Attirò la simpatia della sinistra nei paesi dell‟emisfero
occidentale e nei paesi avanzati, “pubblicizzando” nel mondo la strategia
guerrigliera come strumento rivoluzionario grazie a fattori oggettivamente
“attraenti” come l‟eroismo, le figure romantiche di capi studenti, un popolo
osannante, l‟ambiente paradisiaco dei tropici.
In che modo la Rivoluzione cubana finì per fare da “propaganda” alla
guerriglia? Che effetto ebbe sui giovani latinoamericani? E in Europa?
La rivoluzione cubana ispirò gli intellettuali militanti latinoamericani,
incoraggiando l‟insurrezione di tutto il continente, caldeggiata da “Che”
Guevara.
Gruppi di giovani entusiasti si lanciarono in imprese di guerriglia sotto lo
stendardo di Fidel, Trockij o Mao.
Tranne che in America centrale e in Colombia, dove potevano far leva su
una base contadina di sostegno, la maggior parte fallì, lasciando dietro
molti cadaveri, fra i quali quello dello stesso Che (Bolivia).
La strategia fu impostata nel peggiore dei modi, considerato il successo di
altri movimenti efficaci e durevoli, come le FARC (Forze armate della
rivoluzione colombiana, 1964 ufficialmente comuniste, e il movimento
peruviano di ispirazione maoista Sendero Luminoso.
Facoltà di Psicologia
Di rado i movimenti di guerriglia furono movimenti di rivolta contadina
(escluse le FARC). Essi furono formati soprattutto da giovani intellettuali,
provenienti dalle classi medie.
La stessa composizione li caratterizzava in Europa, ad eccezione dei
movimenti di guerriglia dei “ghetti” come l‟IRA in Irlanda del Nord o le
Pantere Nere negli Stati Uniti, formati da ragazzi di strada.
La guerriglia urbana era più facile di quella rurale, poiché non necessitava
di una complicità di massa, ma poteva sfruttare l‟ambiente anonimo della
grande città, l‟uso del denaro e un minimo di simpatizzanti, per lo più ceti
medi: questi gruppi “terroristici” riuscirono ad attuare colpi di grande
effetto pubblicitario, un gran numero di rapine per autofinanziarsi, nonché
uccisioni spettacolari (come quella del leader politico italiano Aldo Modo,
assassinato dalle Brigate Rosse nel 1978), ma non innescarono alcuna
rivoluzione.
Facoltà di Psicologia
In ogni caso, persino in America latina, le forze più importanti non furono i
guerriglieri bensì i politici civili a capo dei partiti e gli eserciti nazionali.
La moda dei regimi militari di destra, che cominciò a diffondersi negli
anni ‟60 in molti stati sudamericani, non fu infatti una reazione
antirivoluzionaria.
A cosa furono dovuti i colpi di stato in Argentina e in Cile?
In Argentina
i militari rovesciarono nel 1955 il capo populista Juan Domingo Perón
(1895- 1974) che aveva basato la propria forza sull‟appoggio delle
organizzazioni sindacali e sulla mobilitazione dei poveri;
Quando Perón tornò dall‟esilio nel 1973, dimostrò di nuovo di quanta
popolarità godesse nel paese.
I militari, dopo la sua morte (1974), ripresero il potere e imposero un
regime basato sulla repressione sanguinosa e sulla tortura (famosi sono i
“desaparecidos”, contestatori del regime buttati nell‟oceano da un aereo),
nonché sulla retorica patriottica, finché furono costretti all‟esilio, in seguito
alla sconfitta subita nella guerra contro l‟Inghilterra della Thatcher nel
1982, per il possesso delle isole Falkland (o Malvine).
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In Cile
il fronte popolare costituito dalla sinistra unita dei socialisti, dei comunisti
e di altre forze progressiste aveva vinto le elezioni negli anni ‟30.
Nel 1973 il governo del presidente socialista Salvador Allende venne
destabilizzato e rovesciato da un colpo di stato militare, appoggiato dagli
USA, che introdusse in Cile i tratti tipici dei regimi militari degli anni ‟70:
esecuzioni; massacri; tortura sistematica dei prigionieri; esilio in massa
degli oppositori.
Il capo militare del regime, il generale Pinochet, rimase al potere per
diciassette anni, nei quali impose una politica economica ultraliberista,
dando dimostrazione che il liberismo economico non è necessariamente
legato al liberalismo politico e alla democrazia.
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Lezione 25
Cos’è il “terzomondismo”? Quali erano gli eroi della generazione
giovanile del ’68?
Il “terzomondismo”: è una posizione secondo cui la rivoluzione mondiale
deve iniziare dalla liberazione del mondo povero sfruttato dal
(neo)colonialismo delle grandi potenze.
E‟ una posizione che cattura molti intellettuali di sinistra dei paesi
sviluppati e che costituisce una compensazione per il fallimento dell‟idea
rivoluzionaria del 1917;
Le guerriglie nel Terzo mondo funsero da ispirazione per gli studenti
del ‟68. e le icone delle manifestazioni studentesche furono:
- Che Guevara,
- il filosofo Marcuse
- il rivoluzionario vietnamita Ho Chi Minh.
Quali caratteristiche rendevano gli studenti “pericolosi” per lo
estabilishment politico?
L‟impeto destabilizzante del ‟68 sorprese e spaventò l‟establishment
politico dei paesi capitalisti sviluppati, in quanto nessuno, sino ad allora,
aveva preso sul serio la prospettiva classica di una rivoluzione di massa;
L‟onda si abbatté su tutti e tre i mondi, per opera di studenti la cui efficacia
politica era moltiplicata dal numero (centinaia di migliaia che sarebbero
diventate milioni) e da altre tre caratteristiche:
- nelle Università potevano mobilitarsi facilmente e, rispetto agli operai,
disponevano di più tempo libero;
- si trovavano nelle città più importanti e manifestavano sotto gli occhi dei
politici e delle macchine da presa;
- non era facile ucciderli, in quanto non appartenevano alle classi basse ma
erano figli del ceto medio, terreno di reclutamento delle élite dirigenti.
L‟eccezione più tragica fu costituita dal Messico, dove il governo reagì
aprendo il fuoco sui manifestanti; nonostante la tragicità dell‟evento, l‟eco
mediatica fu relativamente scarsa.
Quale fu la reazione operaia di fronte alla ribellione studentesca?
Quale fu la natura della ribellione e perché non può definirsi
rivoluzione?
Gli studenti innescarono anche ondate di scioperi operai, che paralizzarono
la Francia nello stesso 1968 e l‟Italia nell‟«autunno caldo» del 1969.
Non si trattò, tuttavia, di rivoluzioni: gli operai non volevano rovesciare il
sistema; gli stessi studenti non erano interessati a conquistare il potere,
sebbene le dimissioni del presidente Johnson negli USA potessero far
pensare il contrario.
Che tipo di marxismo ispirò gli studenti?
La ribellione del 68, pur essendo “culturale” (contro i vecchi valori
borghesi), finì per politicizzare un numero consistente di studenti ribelli,
che si ispirarono alle figure chiave del radicalismo di sinistra, cioè Marx, i
campioni della Rivoluzione d‟Ottobre (Lenin, Trockij) e Mao.
In quanto prodotto di aule e non di prassi operaia, si trattò di un marxismo
mescolato con altre mode e ideologie: la teoria restava poco collegata alla
pratica politica che, di solito, consisteva nella militanza estremista.
Quale fu l’esito della fine del ’68?
Quando il “sessantotto” finì, molti radicali:
- si volsero ai vecchi partiti della sinistra, che ne giovarono (come il
Partito socialista francese, o il Partito comunista italiano);
- scalarono le gerarchie universitarie (soprattutto negli USA);
- altri formarono organizzazioni di “avanguardia” clandestine, spesso
terroristiche.
Abbondarono fuorilegge che speravano di compensare con la violenza di
pochi la sconfitta di massa. Le Brigate Rosse italiane negli anni ‟70 furono
il più importante tra i gruppi europei di matrice bolscevica.
In che senso il ’68 costituì l’ultimo grido della rivoluzione mondiale?
La rivolta studentesca fu l‟ultimo strepito della rivoluzione mondiale:
- sia nel classico senso utopistico di attuare un rovesciamento permanente
dei valori e instaurare una società perfetta.
- sia nel senso operativo di realizzare questi obiettivi per le strade, sulle
barricate, con le bombe e con le imboscate sulle montagne.
La prospettiva fu mondiale non solo perché l‟ideologia era universale, ma
anche perché il mondo ora era veramente globale: i libri del filosofo
Marcuse,
teorico
della
rivoluzione
studentesca,
uscivano
contemporaneamente ovunque nel mondo.
Questa generazione, la prima a poter contare su telecomunicazioni
internazionali e viaggi facili, riconosceva di trovarsi nel “villaggio globale”
(espressione del sociologo canadese Marshall McLuhan: un mondo
esplorabile come un villaggio e in cui si sono infranti i confini dei villaggi).
Facoltà di Psicologia
Tuttavia, il ‟68, piuttosto che essere una rivoluzione mondiale, ne fu una
“rievocazione” (il conservatore Raymond Aron si spinse a descriverlo
come uno “psicodramma”: nessuno si aspettava più la rivoluzione sociale
né considerava rivoluzionaria la classe operaia, se non qualche fedelissimo
di Marx.
Qual era la natura dei movimenti di liberazione nel Terzo mondo, a
quei tempi (68)?
I radicali dell‟America latina e gli studenti statunitensi liquidavano anzi il
“proletariato” come nemico del radicalismo in quanto“ingranaggio del
sistema”, tanto più se si considera il generale appoggio degli operai alla
guerra del Vietnam.
Il futuro della rivoluzione si trovava dunque nelle campagne del Terzo
mondo, ma le campagne si svuotavano e i suoi abitanti erano lungi dal
maturare una coscienza “rivoluzionaria”.
Facoltà di Psicologia
Soprattutto, i movimenti nei quali i rivoluzionari riponevano le loro
speranze erano tutt‟altro che ecumenici: i vietnamiti, i palestinesi, i
movimenti di liberazione si occupavano dei propri interessi; si legavano a
un mondo più ampio solo perché i leader comunisti si sentivano
ideologicamente internazionalisti o perché la Guerra fredda li costringeva
ad allinearsi.
Quali eventi dimostrarono il crollo dell’universalismo rivoluzionario?
Il decadimento dell‟universalismo rivoluzionario fu dimostrato dal caso
della Cina comunista che, per i propri interessi, negli anni ‟70 e ‟80 si
allineò con gli USA e scese in guerra contro URSS e Vietnam.
Rivoluzioni con mire extranazionali sopravvivevano solo come movimenti
regionali (panafricano, panarabo, panlatinoamericano) che creavano rete tra
militanti della stessa lingua e che, come il castrismo, potevano contenere
aspirazioni “mondiali”: lo dimostra l‟impegno del “Che” Guevara nel
Congo e l‟aiuto cubano in supporto del Corno d‟Africa e dell‟Angola.
Il colpo di grazia nei confronti dell‟ideale rivoluzionario venne dato dalle
crisi del blocco sovietico a partire dal 1956:
- Già nel 1947 il “campo socialista” si era diviso tra fedeli a Stalin e
dissidenti (Jugoslavia);
- Si diffusero molti “marxismi” di ispirazione antistaliniana;
- la Cina ruppe con l‟URSS nel 1958 e chiamò gli stati del blocco a
coalizzarsi contro di essa;
- i partiti comunisti occidentali, guidati da quello italiano, cominciarono
apertamente a prendere le distanze da Mosca;
- infine, l‟invasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1968 affossò
l‟internazionalismo comunista.
Il solo organismo che ricordava debolmente la tradizione era
l‟Internazionale socialista (unione mondiale dei partiti socialdemocratici e
laburisti, nata nel 1951) che rappresentava partiti di governo e di
opposizione, per lo più occidentali, che avevano abbandonato l‟ideale
rivoluzionario e che, per lo più, avevano finito per smettere di credere nelle
teorie marxiste.
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Lezione 26
Quali furono gli eventi che inaugurarono l’ondata rivoluzionaria degli
anni ’70?
Negli anni ‟70 una nuova ondata rivoluzionaria inizia in Europa col
rovesciamento dei regimi portoghese, greco e spagnolo, che sanciscono il
ritorno alla democrazia costituzionale interrotta dal fascismo;
Qual era la posizione dei regimi africani, orientali e centroamericani
nei confronti del socialismo negli anni 70? Cos’è la teologia della
liberazione e a che tipo di figure era legata?
In Africa: molti regimi si dichiarano in favore del socialismo. l‟unico cui il
marxismo possa “applicarsi” è il Sudafrica, paese capitalistico sviluppato e
industrializzato, dove un movimento di liberazione con l‟aiuto dei
comunisti pone fine all‟apartheid.
In Oriente: la sconfitta statunitense in Vietnam rafforza il comunismo.
L‟America centrale: si sposta a sinistra e vede sorgere la figura del prete
rivoluzionario, la cui legittimazione teorica è data dalla “teologia della
liberazione”, osteggiata in Vaticano;
Quali furono le politiche degli USA e dell’URSS? Come venne
combattuta la “seconda Guerra fredda” (anni 70)?
Gli USA: indeboliti dalla fine dell‟Età dell‟oro, interpretano le rivoluzioni
come segnali dell‟espansionismo sovietico. Ciò scatena la “seconda guerra
fredda” che viene combattuta per procura, per lo più in Africa e in
Afghanistan (1979-88);
L‟URSS: di Breznev si astiene dall‟intervenire in America latina, ma
decide di intervenire in Afghanistan per sostenere la Repubblica
filocomunista contro i integralisti musulmani, appoggiati dagli USA. In
Africa, incoraggia Fidel Castro a inviare truppe in supporto dei movimenti
di liberazione.
Quali furono i motivi del rovesciamento del regime dello scià, in Iran?
La rivoluzione iraniana (1978-9) nacque da una reazione contro il
programma di modernizzazione intrapreso dallo scià, i cui effetti deludono:
- la riforma agraria non ha successo e costringe all‟importazione;
- il boom petrolifero genera inflazione;
- la modernizzazione culturale suscita l‟opposizione dei musulmani
osservanti e finisce per dar vita a gruppi intellettuali rivoluzionari;
- inoltre, la mancanza di pregio della dinastia e l‟abitudine a reprimere i
dissensi mediante azioni di polizia aumentano il malcontento;
Chi “fomentò” il popolo a compiere la rivoluzione in Iran? Perché si
trattò di una rivoluzione “da manuale giacobino”? Come venne
attuata?
A incoraggiare le masse alla rivoluzione è il clero islamico, capeggiato
dall‟ ayatollah Khomeini.
In che senso la rivoluzione in Iran fu caratterizzata da una novità
ideologica?
La novità principale della rivoluzione iraniana fu ideologica: fece un uso
strumentale della sinistra, che organizza lo sciopero operaio, eliminandola
dal nuovo regime; rifiuta la tradizione “illuministica” consegnandosi al
fondamentalismo religioso.
In quale forma l’attivismo politico di minoranze è permaso in ambito
globale, incidendo sullo scenario contemporaneo?
L‟attivismo delle minoranze nella forma della guerriglia e del terrorismo
diventa endemico nell‟Asia meridionale e in area islamica: gli attentati
terroristici internazionali crescono dal ‟68 in poi;
Qual è la condizione di possibilità affinché una mobilitazione di massa
sia efficace?
Il successo delle azioni di massa è legato a incrinature nella legittimità dei
regimi.
Quali motivi possono aver reso necessaria la mobilitazione di massa?
Una delle sue ragioni risiede nella distanza tra governati e governanti,
accentuata laddove la credibilità del potere viene messa in discussione;
Altra ragione è rappresentata dall‟urbanizzazione, che rende le città
roccaforti del consenso necessarie da conquistare per ottenere o conservare
il potere politico;
In che misura il mondo contemporaneo è esposto alle rivoluzioni?
Il pericolo attuale di vere e proprie rivoluzioni, specie in Occidente, è
comunque trascurabile, a causa di un crollo sociale che si esprime nelle
forme dell‟antipolitica e del disincanto.
Lezione 27
Perché il comunismo cinese non può essere considerato sottospecie o
satellite di quello sovietico?
Il comunismo cinese non può essere considerato semplicemente sottospecie
o “satellite” di quello sovietico, in quanto:
- la Cina godeva, rispetto al resto dei regimi, di un elevato grado di
omogeneità etnica e di una storia di unità politica lunga duemila anni.
Facoltà di Psicologia
- La Cina imperiale si considerava il centro e il modello della civiltà
mondiale: la sua civiltà classica, l‟arte, la scrittura e il sistema di valori
sociali erano motivo d‟ispirazione per gli altri (il sistema di scrittura
giapponese, ad esempio, è derivato da quello cinese).
- I paesi comunisti invece, erano e si consideravano culturalmente arretrati
e marginali: l‟energia con la quale Stalin insisteva sull‟indipendenza
dall‟Occidente e sulle invenzioni autoctone (telefono, aeroplano)
manifestava un forte senso di inferiorità.
il fatto che non avesse avuto ai confini stati in grado di minacciarla e che,
grazie alle armi da fuoco, non avesse avuto difficoltà nel respingere i
barbari, rafforzò il suo senso di superiorità nazionale, ma non la preparò
all‟espansione dell‟imperialismo occidentale nell‟Ottocento.
La sua inferiorità tecnologica si tradusse in un‟inferiorità militare, dovuta
non tanto a un‟incapacità tecnica o culturale, ma a un senso di
autosufficienza che la rendeva riluttante a modernizzarsi mediante
l‟adozione di modelli europei (a differenza del Giappone, che lo faceva con
la “Restaurazione Meiji”).
Facoltà di Psicologia
Perché l’Impero cinese si rivelò vulnerabile nei confronti
dell’imperialismo occidentale?
Per il fatto che non avesse avuto ai confini stati in grado di minacciarla e
che, grazie alle armi da fuoco, non avesse avuto difficoltà nel respingere i
barbari, rafforzò il suo senso di superiorità nazionale, ma non la preparò
all‟espansione dell‟imperialismo occidentale nell‟Ottocento.
La sua inferiorità tecnologica si tradusse in un‟inferiorità militare, dovuta
non tanto a un‟incapacità tecnica o culturale, ma a un senso di
autosufficienza che la rendeva riluttante a modernizzarsi mediante
l‟adozione di modelli europei (a differenza del Giappone, che lo faceva con
la “Restaurazione Meiji”).
Quando l‟impero Qing (1644-1912) cadde in seguito a una rivoluzione
indipendentista guidata da Sun Yat-Sen, spezzandosi in frammenti
territoriali, controllati da signori della guerra, il partito di Sun, il
Kuomintang (partito nazionalista cinese), tentò di ricomporlo nella forma
di una sola Repubblica.
Sun Yat-sen, leader del KMT, era un patriota, un democratico e un
socialista, che confidava sul consiglio e sull‟appoggio della Russia – in
quanto sola potenza rivoluzionaria e antiimperialista – e che giudicava il
modello bolscevico del partito unico il più conforme ai suoi scopi.
Il Partito Comunista Cinese, nato nel 1921, grazie a questo legame venne
ammesso nel movimento nazionale ufficiale, in un clima di accordo: gli
obiettivi a breve termine dei due partiti erano simili; entrambi avevano la
loro base nelle città più sviluppate del Sud; i loro quadri provenivano dalla
stessa élite istruita, con percentuale maggiore di uomini d‟affari nel KMT e
di operai nel PCC; entrambi includevano percentuali simili di proprietari
terrieri e intellettuali; sebbene i comunisti provenissero più spesso da
un‟educazione “occidentale”, condividevano col KMT la filiazione dal
movimento antiimperialista d‟inizio secolo.
Facoltà di Psicologia
Dopo la morte di Sun nel 1925, il suo successore alla guida del KMT,
Chiang Kai-shek, non riuscì a stabilire un controllo sul paese e, dal 1927,
ruppe con la Russia e iniziò a perseguitare i comunisti, affermati nelle città
operaie.
Costretti a ripiegare nelle campagne, questi ultimi condussero una
guerriglia rurale, sotto parere di Mao Tse-tung, il cui ingegno strategico gli
valse il ruolo di capo del PCC.
Il KMT estese il proprio controllo sul paese fino all‟invasione giapponese
del 1937, ma il suo abbandono del programma rivoluzionario non gli
permise di tenersi la simpatia del popolo; il suo stesso esercito, costituito da
poco più che mercenari, mancava di lealtà e morale; i ceti urbani che lo
appoggiavano costituivano il 10% della popolazione cinese, che per il 90%
viveva in campagna ed era controllata da notabili e signorotti locali (signori
della guerra, famiglie nobili, funzionari del vecchio impero).
In quali condizioni venne ridotto l’impero cinese sotto il dominio
occidentale e quali furono le forze interessate a ricostituire la sua
antica grandezza?
Quando i giapponesi invasero la Cina, la resistenza del KMT fu inutile. I
comunisti, invece, sfruttando la loro popolarità dovuta anche al loro
impegno sociale a favore dei poveri, riuscirono a mobilitare la resistenza di
massa nelle zone occupate.
Si impadronirono del potere nel 1949, spazzando via senza sforzo il
Kuomintang: così nasceva la Repubblica Popolare Cinese.
In che senso il comunismo cinese ha origini sia sociali che nazionali?
Il comunismo cinese ebbe origini sia sociali che nazionali:
Le origini sociali: che alimentarono la rivoluzione furono la povertà e
l‟oppressione del popolo cinese, sia nelle città costiere del centro e del sud,
enclave industrializzate controllate dalle potenze imperialistiche straniere
(Shanghai, Canton, Hong Kong), sia nelle campagne (i contadini
costituivano il 90% della popolazione).
Il cinese medio viveva con mezzo chilo di riso o grano al giorno, ottanta
grammi di tè all‟anno e un nuovo paio di calzature ogni cinque anni.
L‟elemento nazionale: era invece veicolato da una sfiducia nei confronti
degli stranieri, diffusa sia tra gli intellettuali di origine sociale media o alta
(terreno di reclutamento dei quadri dirigenti dei movimenti politici cinesi
del Novecento), sia tra le masse: movimenti di massa sorsero già nel 1900,
con la Rivolta dei Boxer (società segreta anti-imperialista), repressa
immediatamente.
Mao tse tung -Il Grande Timoniere
Facoltà di Psicologia
Una volta impadronitisi del potere, (1949) i comunisti rappresentarono di
fronte al popolo i legittimi successori dell‟Impero, tanto più perché, in base
all‟esperienza marxista-leninista, seppero forgiare un‟organizzazione
politica disciplinata, capace di coordinare il territorio nazionale.
La continuità delle tradizioni cinesi fu d‟aiuto, in quanto queste
includevano la fedeltà del popolo verso il regime legittimo nonché degli
amministratori verso la propria funzione: a differenza degli altri sistemi
comunisti, nati da una “rottura” col passato, in Cina i dibattiti politici erano
caratterizzati da continui riferimenti alla storia.
Il vissuto del popolo fu, in sostanza, quello di una restaurazione:
dell‟ordine, della pace, del benessere, della civiltà, di un governo in cui i
funzionari si richiamavano alle decisioni della dinastia Tang (618-907),
ricostituendo la grandezza dell‟antico Impero.
Il sistema sembrò funzionare: nei primi anni, i contadini accrebbero la
produzione di cereali. Durante la Guerra di Corea (1950-3), la capacità
cinese di tenere a bada la potenza americana permise di evitare il panico: la
pianificazione dell‟economia e dell‟istruzione si svolse regolarmente.
Facoltà di Psicologia
Ben presto, tuttavia, la nuova Repubblica Popolare cominciò a entrare in un
periodo di catastrofi provocate dalle decisioni arbitrarie del “Grande
Timoniere” (Mao):
- Nel 1955, si diede inizio al disastroso “Grande balzo in avanti”,
programma di sviluppo agricolo e industriale che consistette in una
rapidissima collettivizzazione dell‟agricoltura e delle proprietà contadine
e in una pianificazione industriale;
- Dal 1956, le relazioni con Chruscev entrarono in crisi a causa delle
critiche di quest‟ultimo nei confronti dello stalinismo (appoggiato da
Mao) e delle politiche economiche “non marxiste” dello stesso Mao; a
sua volta, Mao appoggiò criticò Chruscev di revisionismo e dittatura e
appoggiò le dissidenze esteuropee.
- Nel 1960 vi fu la rottura con l‟URSS nel 1960, che comportò la
cessazione degli aiuti sovietici;
- Di fronte all‟accoglienza fredda e all‟opposizione degli esponenti del
PCC, Mao si impose con la Rivoluzione Culturale, un periodo di terrore
che finì con la sua morte, nel 1976.
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Diversamente dal comunismo russo, il comunismo cinese non aveva
relazioni dirette con le teorie di Marx.
Tale convinzione motivò la follia del “Grande balzo in avanti”: la Cina
doveva essere industrializzata entro il 1958. In quell‟anno la nazione
doveva raddoppiare la produzione di acciaio servendosi di innumerevoli,
piccole e arretrate fornaci da cortile.
Nello stesso anno, l‟agricoltura doveva progredire nella forma di 24.000
“comuni agricole del popolo” istituite nel giro di due mesi.
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La vita contadina venne collettivizzata; i redditi monetari vennero sostituiti
dalla fornitura di servizi di base (cibo, assistenza medica, istruzione,
funerali, barbiere, cinema).
Inizialmente l‟84% delle famiglie contadine acconsentì a farsi
collettivizzare, in apparenza senza brutali conseguenze; questo perché la
storia della Cina era sempre stata caratterizzata dall‟autocrazia e
dall‟obbedienza.
Tuttavia, l‟idea alla base del Grande balzo era che l‟agricoltura dovesse sia
fornire le risorse per l‟industrializzazione, sia provvedere a se stessa, e che
nessuna risorsa dovesse essere sottratta all‟industria per investire in
tecnologie agricole.
Per questo, a differenza dell‟URSS, la Cina non conobbe l‟urbanizzazione
di massa fino agli anni ‟80 (la popolazione rurale non calò sotto l‟80% nel
periodo maoista).
Alla fine, comunque, il sistema non funzionò: una resistenza passiva delle
popolazioni provocò la carestia del 1960 (proprio come nella Russia di
Stalin).
Facoltà di Psicologia
In ambito politico, Mao tentò in un primo momento di attuare una
liberalizzazione della vita culturale, politica, economica e sociale mediante
la Campagna dei Cento Fiori (1956-7), incitando gli intellettuali ad
esprimere il loro pensiero in ogni materia, per migliorare la nazione (“che
cento fiori fioriscano, che cento scuole gareggino”).
Quando questa esplosione di libero pensiero assunse la forma della
contestazione (già endemica nello stesso PCC), la sfiducia nei confronti
degli intellettuali riaffiorò. Il partito lo accantonò nel 1959, nominando un
altro presidente dello stato.
Il contrattacco fu costituito dalla fondazione, da parte di Mao, del
movimento studentesco, degenerato in senso anarcoide, delle “Guardie
rosse” contro la direzione del partito e contro gli intellettuali.
Fu questa la Grande Rivoluzione Culturale (1966-76) che devastò la Cina e
permise a Mao di riottenere il controllo del partito: l‟istruzione
universitaria venne interrotta e gli intellettuali condannati al lavoro
obbligatorio nelle comuni agricole.
La predilezione di Mao per i contadini, insomma, rimase intatta: essi
furono esortati a risolvere i problemi produttivi del paese, in un‟ottica di
competizione reciproca sostenuta da una lettura “bellica” della dialettica
marxista.
Lezione 28
Come funzionava la “stagnante” economia del blocco sovietico prima
di Gorbacev?
I riformatori, Gorbacev in primis, definirono “epoca della stagnazione” gli
anni di Breznev (1964-82), perché il regime aveva smesso di modificare
un‟economia palesemente in declino.
Tra gli anni ‟70 e ‟80 il tasso di crescita dell‟URSS calò progressivamente.
Nel 1985 le sue esportazioni consistevano in energia e il 60% delle
importazioni in beni industriali: come una colonia, riforniva le economie
più avanzate, cioè i paesi satelliti; le industrie della Cecoslovacchia e della
Repubblica democratica tedesca, d‟altra parte, contavano sul mercato poco
esigente dell‟URSS e dunque non erano motivate a migliorare le proprie
carenze.
Quali furono i segnali del declino del comunismo?
La fiducia nel socialismo fu minata, tra le altre cose:
- da indicatori sociali di base, come il tasso di mortalità, che avevano
smesso di migliorare.
- dalla diffusione in Occidente del termine, sconosciuto prima del 1980
fuori dal PCUS, di nomenklatura (“lista dei nomi” dei dignitari politici),
che finì con l‟indicare la debolezza della burocrazia dell‟era brezneviana,
sempre più corrotta
In che senso i paesi socialisti furono le “vere vittime” della crisi degli
anni ’70? In che misura l’URSS fu causa del proprio male?
Durante la crisi degli anni 70, gli stati satelliti del blocco sovietico,
diversamente dall‟URSS delle guerre mondiali, non erano isolati bensì
sempre più coinvolti nell‟economia mondiale ed in questo senso essi
furono le vere vittime della crisi mondiale, mentre i paesi capitalisti
sviluppati riuscirono a superare le scosse.
Facoltà di Psicologia
Il mercato mondiale venne trasformato dalla crisi petrolifera: il prezzo del
greggio quadruplicò nel 1973 e triplicò alla fine degli anni ‟70, dopo la
rivoluzione iraniana.
Per i paesi produttori, tra cui l‟URSS, il petrolio diventò oro nero: ingenti
ricchezze entrarono senza necessità di riforma economica e consentendo di
pagare le importazioni dall‟Occidente. Questo indusse Breznev a
competere più attivamente con gli USA e a intraprendere una corsa suicida
agli armamenti.
Altra conseguenza fu l‟aumento della circolazione internazionale di
capitale, che la Banca mondiale utilizzò per distribuire prestiti: pochi paesi
in via di sviluppo resistettero alla tentazione e ciò provocò la crisi debitoria
dei primi anni ‟80.
I paesi socialisti che cedettero tentarono di migliorare le loro economie, ma
le strutture socialiste non erano abbastanza flessibili da poter usare le
risorse finanziarie in maniera produttiva. Di conseguenza, la crisi degli
anni ‟80 fu più acuta.
Se in Europa occidentale i consumi petroliferi calarono del 40% in
relazione all‟aumento dei prezzi, URSS ed Europa dell‟Est si dimostrarono
incapaci di risparmiare; i costi di produzione sovietici crescevano, mentre i
pozzi petroliferi rumeni si prosciugavano: ciò provocò una crisi energetica
all‟inizio degli anni ‟80 che si ripercosse sulla disponibilità di alimenti e
manufatti industriali.
Il solo modo per fronteggiare tale crisi fu il metodo stalinista dello
“slancio”, laddove la pianificazione ancora funzionava. Esso ebbe successo
fra l‟81 e l‟84, riuscendo a ridurre il debito, ma incoraggiò le solite
speranze nella crescita automatica, allontanando l‟urgenza di riforme: ne
conseguì un nuovo indebitamento e un deterioramento delle prospettive.
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Il vero tallone d‟Achille del sistema sovietico era costituito dall‟Europa
dell‟Est. Dopo la primavera di Praga i regimi satelliti avevano perso
legittimità: essi vennero mantenuti dalla coercizione e dalla minaccia di un
intervento sovietico o dall‟offerta alla cittadinanza un relativo aumento
della libertà e della qualità di vita, che tuttavia la crisi economica non
permetteva di mantenere.
L‟unico regime ad essere contrastato da un‟opposizione organizzata fu la
Polonia, dove negli anni ‟70 un movimento operaio sostenuto da
intellettuali ex marxisti e dalla Chiesa, incoraggiata dall‟elezione al
pontificato di Karol Woityla (1978), diede voce al nazionalismo antirusso
diffuso fra le masse: fu la nascita del Solidarnosc, il cui leader (Lech
Walesa) sarebbe diventato presidente dieci anni dopo.
Nel 1981, comunque, Chiesa e Stato si accordarono per evitare un
imminente intervento armato sovietico, insediando un regime militare che
non riuscì tuttavia a conquistare l‟opinione pubblica.
A questo punto, il regime andava riformato oppure preservato con la forza;
i sovietici, tuttavia, avevano abbandonato la loro linea aggressiva: nel 1985
il riformista Michail Gorbacev (1985-1891) era diventato segretario del
PCUS.
Qual era il retroterra culturale dei riformisti e contro cosa dovettero
combattere nella loro opera di rinnovamento?
Gli anni di Breznev erano stati anni di fermento politico e culturale
nell‟élite sovietica, costituita da capi di partito ma anche dirigenti
economici, accademici, tecnici, esperti, ecc.
Lo stesso Gorbacev rappresentava questa nuova generazione, in quanto
aveva studiato diritto (mentre la via classica per il potere partiva dalle
fabbriche o da studi di ingegneria o agronomia). Il clima di autocritica che
pervadeva l‟ambiente culturale metropolitano spiega la risposta entusiasta
all‟appello di Gorbacev per la glasnost, ovverosia per la “trasparenza”
d‟informazione, in chiara rottura col passato.
In che senso il rinnovamento dell’URSS fu una “ribellione di
quarantenni”?
l‟assenza di un equivalente russo del Sessantotto fu il segno che il
movimento riformista di Gorbacev era una ribellione “di quarantenni”, cioè
dell‟élite piuttosto che della base popolare.
Cos’è la glasnost?
Gorbacev lanciò la campagna per trasformare il socialismo sovietico coi
due slogan della:
- perestrojka:“ristrutturazione” (economica e politica)
- glasnost: “trasparenza” (libertà d‟informazione).
La glasnost: aveva lo scopo di mobilitare la classe politica contro
l‟immobilità del sistema, ma la democratizzazione improvvisa
dell‟apparato, che aveva funzionato fino ad allora secondo uno schema
militare, lo fece andare allo sbaraglio.
A peggiorare la situazione fu il fatto che da un punto di vista contenutistico
la glasnost era più dettagliata della perestrojka: significava reintroduzione
di uno stato costituzionale e democratico, basato sulle leggi e sulle libertà
civili.
Ciò implicava una separazione tra partito e stato e lo spostamento del
governo dal primo al secondo; a sua volta, ciò comportava la fine del
sistema monopartitico e del ruolo guida del PCUS. Questo nuovo sistema
costituzionale fu effettivamente istituito.
Cos’è la perestrojka?
Il nuovo sistema economico della perestrojka fu, invece, appena delineato
nel 1987-8, con una timida legalizzazione della piccola impresa privata
(realtà peraltro già esistente) e con la dichiarazione della bancarotta delle
imprese statali in perdita.
Il programma avrebbe funzionato se la Russia fosse ancora stata (come la
Cina a quei tempi) un paese con maggioranza rurale, la cui idea di
ricchezza fosse avere un televisore.
Perché la combinazione fra glasnost e perestrojka fu disastrosa per
l’URSS?
La combinazione della perestrojka con la glasnost fu deleteria, in quanto la
distruzione dei vecchi meccanismi avvenne contemporaneamente in ambito
politico ed economico: concretamente, ciò si risolse in un crollo del tenore
di vita.
L‟economia precipitò anche a causa di un‟idea vaga del programma:
un‟economia di mercato socialista di imprese autonome ed
economicamente valide, pubbliche, private e cooperative, guidate dal
centro decisionale economico.
Si trattava di un compromesso forzato: i riformatori desideravano acquisire
i vantaggi del capitalismo senza perdere quelli del socialismo, senza sapere
come attuare la transizione.
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Infine, l‟URSS, soprattutto durante Breznev, si era evoluta in una struttura
decentrata, i cui elementi erano tenuti assieme dalle istituzioni
pansovietiche del partito, dell‟esercito e della pianificazione centrale.
La maggior parte sistema del sistema era costituito da signorie feudali
autonome rette da capi locali (segretari dei partiti delle repubbliche
dell‟Unione, dipendenti dall‟apparato centrale).
L‟economia non avrebbe funzionato se non fosse stata sviluppata una rete
di relazioni indipendenti dal centro, che col tempo venne paralizzata dalla
corruzione.
Fu questa “seconda economia” ad essere colpita dalla perestrojka, mediante
un conferimento di maggiori libertà ai dirigenti del complesso militarindustriale. Nell‟immediato, questa sospensione dell‟autorità del partito
sfociò nell‟anarchia economica. In breve, il connubio glasnost-perestrojka
si rivelò disastroso.
Quali furono le avvisaglie del crollo del blocco socialista? Quali paesi
ad economia comunista ne furono immuni?
Nel 1988, come conseguenza della glasnost, furono fondati primi fronti
nazionalisti (Estonia, Lettonia, Lituania, Armenia).
Il separatismo non era diretto tanto contro il centro quanto contro i partiti
comunisti locali non favorevoli alla linea Gorbacev: l‟obiettivo iniziale non
fu l‟indipendenza, ma il nazionalismo si radicalizzò negli anni 1989-90.
Il crollo politico seguì la convocazione delle nuove assemblee
democratiche e divenne irreversibile fra 1989 e 1990.
L‟attenzione internazionale, a quel punto, era concentrata su un fenomeno
connesso: la dissoluzione dei regimi comunisti satelliti. Polonia,
Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Repubblica democratica
tedesca, Romania abbandonavano il socialismo, seguite dalle “outsider”
Jugoslavia e Albania.
La Repubblica democratica tedesca venne annessa dalla Germania
occidentale (1990) e la Jugoslavia si frantumò nella guerra civile (1991-5).
Ad Oriente, la Cina decise nel 1989 di ristabilire la sua autorità reprimendo
le dimostrazioni studentesche nella piazza principale della capitale (Tien an
men), con un costo di vite umane di parecchie centinaia.
Il massacro suscitò orrore nella pubblica opinione occidentale e fece
perdere al PCC la poca legittimazione di cui poteva godere fra gli
intellettuali cinesi, compresi quelli del partito, ma lasciò libero il regime di
proseguire con successo la sua politica di liberalizzazione economica.
Il crollo del comunismo fu pertanto limitato all‟URSS e agli stati
dell‟orbita sovietica: Cina, Corea del Nord, Vietnam e Cuba non ne furono
interessati.
Lezione 29
In che misura il crollo del blocco sovietico può essere definito come una
“rivoluzione”?
Il crollo del blocco sovietico venne interpretato come una rivoluzione,
sebbene nessuno dei regimi venisse rovesciato.
I regimi comunisti rimasero al potere solo perché non c‟era alternativa allo
status quo: il grosso dei cittadini aveva accettato la situazione; le persone
dotate, tra cui persino i dissidenti (soprattutto artisti), lavoravano solo entro
il sistema, previo consenso.
Facoltà di Psicologia
Nessuno “credeva” all‟ordine stabilito; neppure i governanti, che tuttavia si
sorpresero quando le masse dimostrarono il loro dissenso (Romania 1989).
Nessun governo ordinò di sparare: in genere, tutti abdicarono
pacificamente (persino in Romania la repressione fu breve).
I comunisti non erano più nemmeno uniti e talvolta combattevano gli uni
contro gli altri (come nella breve guerra fra Cina e Vietnam nel ‟79).
L‟unico elemento che accomunava i paesi del blocco e che li legava
idealmente al Terzo mondo era il comune debito nei confronti della
“superpotenza” sovietica: persino le dissidenti Jugoslavia e Albania
sapevano che la sua scomparsa le avrebbe indebolite.
Facoltà di Psicologia
I comunisti erano, inoltre, una generazione del passato: nel 1989 poche
persone sotto i sessant‟anni avevano l‟esperienza della resistenza
antifascista, che aveva congiunto comunismo e patriottismo.
Che percezione del sistema sovietico e del comunismo permise, nei
regimi satelliti, l’abbandono delle politiche socialiste?
L‟URSS si disinteressa dei paesi della sua orbita, diventati meno importanti
strategicamente con la fine della Guerra fredda. La reazione delle masse e
delle élite è quella della contestazione aperta, di fronte alla quale i regimi
abdicano pacificamente;
Quali furono le cause economiche e politiche del crollo dell’URSS?
La causa principale del crollo consistette nella disintegrazione dell‟autorità
centrale, che costrinse ogni unità territoriale a pensare a se stessa.
Riformatori disperati furono spinti ad adottare una visione estremista:
bisognava distruggere il vecchio sistema; per questo motivo, la nuova
economia fu caratterizzata dall‟introduzione immediata del libero mercato.
I piani che segnarono tale introduzione non si basavano, tuttavia, sulla
conoscenza delle economie capitalistiche; queste venivano raccomandate
dagli esperti finanziari americani e inglesi i quali, a loro volta, non si
basavano sulla conoscenza della realtà sovietica.
Senz‟altro questi ultimi avevano ragione nell‟affermare che il dirigismo
economico fosse inferiore alle economie basate sulla proprietà e
sull‟impresa privata: ciononostante, il risultato fu disastroso.
Facoltà di Psicologia
La crisi finale, paradossalmente, non fu economica, ma politica: nonostante
la volontà del popolo fosse quella di mantenere l‟unità dell‟URSS nella
forma di una federazione (referendum del 1991), la democratizzazione rese
inevitabile la rottura.
Gorbacev negoziò un Trattato dell‟Unione che aveva lo scopo di preservare
il potere federale.
La vecchia élite, diffidente nei confronti dell‟iniziativa, reagì organizzando
un colpo di stato per restaurare l‟ordine, che tuttavia non raccolse successo,
proprio a causa dell‟importanza assunta dagli stati a danno del potere
centrale.
Questi eventi portarono alle dimissioni di Gorbacev, alla dissoluzione
dell‟URSS e alla nascita della Repubblica Russa sotto il presidente Boris
Eltsin (1991-9), il quale sciolse il Partito comunista.
Il mondo accettò il contro-colpo di stato di Eltsin e trattò la Russia come il
successore dell‟URSS.
Facoltà di Psicologia
Le repubbliche dell‟ex URSS, tuttavia, vennero intimorite dal nazionalismo
russo fomentato da Eltsin, basato sulla presenza in tali repubbliche di
minoranze russe.
Il timore accelerò la separazione (l‟Ucraina fece il primo passo nel 1991),
ponendo fine a qualsiasi parvenza d‟unione.
La distruzione dell‟URSS provocò così il rovesciamento di quattro secoli di
storia russa e il ritorno alle dimensioni e al profilo della Russia precedenti
Pietro il Grande (1672-1725).
Poiché la Russia era stata una grande potenza sin dalla metà del Settecento,
la sua disintegrazione lasciò un voto internazionale inaudito nella storia
moderna: analogamente al periodo della guerra civile (1918-20), divenne
una zona di disordine, conflitto e potenziale catastrofe.
Perché i paesi ex comunisti adottarono politiche neoliberistiche e sulla
base di quali diagnosi economiche?
Riformatori disperati furono spinti ad adottare una visione estremista
perché bisognava distruggere il vecchio sistema:
per questo motivo, la nuova economia fu caratterizzata dall‟introduzione
immediata del libero mercato.
I piani che segnarono tale introduzione si basarono sulle raccomandazioni
dagli esperti finanziari americani e inglesi i quali, tuttavia, non erano a
conoscenza della realtà sovietica.
A cosa si dovette la scomparsa dell’ideologia comunista?
Innanzitutto:
ciò accadde perché il comunismo non si fondava sulla conversione in
massa, ma era la fede di alcuni quadri: tutti partiti comunisti furono élite
minoritarie.
Che l‟adesione delle masse non si basasse su un‟attiva convinzione fu
dimostrata dallo scetticismo che si diffuse quando le informazioni sul resto
del mondo iniziarono a filtrare.
In secondo luogo
il comunismo era una fede strumentale che concepiva il presente solo come
mezzo per il futuro; un tale sistema di credenze è più adatto alle élite che
alle chiese universali, il cui campo d‟azione deve essere quello quotidiano.
Facoltà di Psicologia
D‟altro canto, l‟URSS con la sua morte offrì uno dei più forti argomenti a
conferma dell‟analisi di Karl Marx: come nel capitalismo, essa aveva dato
vita ad una contraddizione fra forze produttive (la centralità della massa
operaia e contadina) e relazioni sociali (l‟ipertrofia dell‟élite immobile e
corrotta). Seguendo modalità peculiari, il crollo dell‟Unione rappresentava
una specie di rivoluzione che, tuttavia, non offriva la certezza di un sistema
migliore.
Facoltà di Psicologia
Il comunismo sovietico non era un‟alternativa al capitalismo, ma una
risposta specifica alla situazione di un paese arretrato in una condizione
storica unica.
Nonostante il fallimento della rivoluzione “universale”, che lasciò l‟URSS
da sola, questa è riuscita ad ottenere risultati notevoli (tra cui la sconfitta
della Germania), ma a costi intollerabili e al prezzo di edificare
un‟economia senza sbocchi nonché un sistema politico aberrante, lo
stalinismo: la Rivoluzione d‟Ottobre, in quelle condizioni, poteva produrre
soltanto quel socialismo spietato, brutale e autoritario.
In ogni caso, l‟esperimento del “socialismo reale” è finito: i regimi
comunisti sopravvissuti, come la Cina, hanno abbandonato l‟ideale di
un‟economia controllata e pianificata in una società collettivizzata.
È problematico speculare sulla possibilità di un altro socialismo: che il
progetto sovietico fosse razionale è stato accettato persino dagli economisti
non socialisti.
Il problema del “socialismo reale” è stato quello di non essersi saputo
riformare, essendosi l‟URSS imposta come modello del “socialismo in
quanto tale”, senza lasciare alternative. Così si chiude il “Secolo breve”.
di Psicologia
Lezione 30
La tecnologia diffonde l’esperienza estetica e modifica i contesti
percettivi: che significa?
Gli sviluppi dell‟arte nel Novecento vengono generati in gran parte dalla
tecnologia, che diffonde l‟esperienza estetica ovunque attraverso i massmedia: radio, TV e, più tardi, PC;
Anche la percezione dell‟arte muta, in quanto viene meno la “finzione
artistica”, neutralizzata dall‟impressione di realtà di musiche sintetiche e di
filmati.
In che senso il monopolio dell’arte colta viene sottratto all’Europa nel
secondo dopoguerra? Qual è lo stato della cultura e degli intellettuali
nel mondo?
Nell‟Età dell‟oro aumentarono le risorse investite in opere d‟arte,
soprattutto negli USA: New York andò via via sostituendo Parigi come
centro dell‟arte visiva, diventando la sede principale del mercato dell‟arte
(vi si producevano le opere più costose).
Il premio Nobel cominciò a valorizzare la letteratura non europea e non
statunitense dagli anni ‟60; lo stesso accadde nel cinema.
In breve, l‟Europa perdeva il monopolio dell‟arte “colta”. Ciò fu
particolarmente evidente in architettura: dopo la guerra numerosi furono i
monumenti costruiti negli USA, soprattutto alberghi; lo svizzero Le
Corbusier, importante esponente della corrente in voga ai tempi (Stile
Internazionale, già Movimento Moderno), costruì un‟intera città in India; il
brasiliano Oscar Niemeyer fece altrettanto nella propria patria.
Facoltà di Psicologia
I vecchi centri europei erano stremati dalla guerra, con l‟eccezione
dell‟Italia, dove il sentimento antifascista sotto la guida dei comunisti ispirò
un decennio di rinascita culturale (il cinema neorealista di Roberto
Rossellini, Luchino Visconti, Vittorio De Sica).
In Francia, i più famosi scrittori erano saggisti piuttosto che letterati (ad es.,
J.-P. Sartre).
Londra, dopo il 1950, ha costituito un importante centro per il teatro, la
musica e l‟architettura, ma non per la letteratura. L‟Irlanda ha conosciuto
una certa fioritura della poesia.
I soli talenti della Germania erano dell‟Est, dove il comunismo permise una
rinascita culturale, diversamente dalle dittature di Stalin e Mao.
Nei paesi socialisti la preferenza, tipica delle dittature, per i grandi
monumenti riduceva la libertà creativa degli artisti.
Quando non imponevano le proprie vedute, tuttavia, la loro generosità nel
sovvenzionale attività culturali si rivelava utile: l‟Occidente importò da
Berlino Est la figura del regista dell‟opera lirica d‟avanguardia.
Facoltà di Psicologia
L‟URSS fu terreno culturalmente incolto. L‟arte visiva soffrì sia a causa
dell‟ortodossia ideologica che dell‟isolamento. Inoltre, gli intellettuali
erano lontani non solo dal governo, ma anche dal popolo, che accettava il
sistema e vi si conformava.
Ironicamente, quando l‟apparato di coercizione culturale si dissolse, gli
intellettuali abbandonarono l‟attività creativa per dedicarsi all‟agitazione
politica (ad es., Solzenicyn).
La Cina di Mao fu caratterizzata da una repressione spietata, sottolineata da
rare aperture, come la Campagna dei Cento fiori che servì a meglio
identificare le vittime delle purghe successive: la Rivoluzione culturale
chiuse per dieci anni l‟istruzione secondaria e universitaria, interruppe la
pratica della musica e ridusse il repertorio teatrale e cinematografico a una
decina di opere politicamente corrette.
La vicenda, associata all‟antica tradizione autoritaria della Cina, ha
impedito all‟arte cinese di riemergere.
Facoltà di Psicologia
La creatività è invece fiorita nell‟Europa dell‟Est, a seguito della
destalinizzazione innescata da Chruscev (1956). Fino al crollo del blocco
comunista, che comportò anche quello della produzione culturale, neppure
le autorità riuscirono a controllare la produzione artistica. Gli artisti erano
accomunati dall‟idea che il pubblico avesse bisogno di loro: in assenza di
dibattito politico e di libertà di stampa, essi erano i soli portavoce del
popolo o, almeno, delle persone colte.
Questa situazione riguardava anche altri paesi nei quali gli intellettuali
erano in contrasto col sistema: il regime dell‟apartheid in Sudafrica, ad
esempio, fu combattuto sulle prime con ispirate denuncie letterarie.
Paradossalmente, nel Secondo e nel Terzo mondo, artisti ed intellettuali,
quando non venivano perseguitati, godevano di certo prestigio sociale e
relativa agiatezza economica.
In America latina gli scrittori più importanti, a prescindere dalle loro
opinioni politiche, potevano aspirare a carriere diplomatiche. Negli
anni ‟80 numerosi artisti e intellettuali si presentarono come candidati ad
elezioni presidenziali; nella maggior parte dei paesi occidentali, potevano
aspirare solo al ministero della cultura.
Facoltà di Psicologia
In che modo patrocinio privato e vita accademica sanciscono
mutamenti nella produzione artistica?
Quanto alle accresciute risorse investite nelle arti, solo in USA esse videro
un primato del patrocinio privato: i miliardari, incoraggiati da sgravi fiscali,
sostennero iniziative culturali, artistiche e scientifiche, talvolta fondando un
museo a loro intitolato (svolgere questo ruolo mediceo, in assenza di una
gerarchia sociale formalizzata, conferiva prestigio).
Di conseguenza, il mercato dell‟arte conobbe un crescendo vertiginoso,
superando i livelli dell‟ultimo Ottocento: i prezzi degli impressionisti
francesi e dei post impressionisti salirono alle stelle; l‟acquisto d‟un‟opera
d‟arte diventò un investimento.
Significativa fu anche l‟integrazione delle arti nella vita accademica: in
contrapposizione con l‟industria dello spettacolo, l‟arte “elevata” è
destinata a un pubblico altamente istruito.
L‟élite culturale può prendere parte allo spettacolo di massa (cinema, radio,
tv, musica popolare) conferendogli certa sofisticazione, ma nonostante
questo il grosso pubblico si imbatte solo casualmente nell‟alta cultura,
come ad esempio quando un brano di musica classica accompagna una
pubblicità.
In società particolarmente classiste, come quella britannica, i prodotti
editoriali colti sono addirittura di tutt‟altro tipo rispetto aquelli destinati al
pubblico “semianalfabeta”.
Facoltà di Psicologia
L‟espansione dell‟istruzione universitaria ha fornito più occasioni di lavoro
per uomini e donne privi di offerta commerciale: i poeti insegnano o
risiedono nei college, dando vita a generi letterari nuovi.
Quali sono le cause del declino dei generi classici dell’arte colta?
Il Novecento è stato caratterizzato da un declino dei generi artistici in voga
nell‟Ottocento.
La scultura ne è stata la prima vittima: il monumento pubblico è
sopravvissuto, dopo la prima guerra mondiale, solo nei paesi dittatoriali.
Anche la pittura presenta caratteristiche diverse da quella “modernista” tra
le due guerre (che annoverava Picasso, Matisse, Chagall, Klee).
Nella musica classica il declino dei vecchi generi è stato nascosto dalla
crescita di interpretazioni; pochi compositori si sono dedicati al genere
operistico: gli americani (come Leonard Bernstein) hanno preferito il
musical; solo i russi (Prokof‟ev, Sostakovic, Stravinskij) hanno continuato
a comporre sinfonie.
Una ritirata simile ha interessato il romanzo: nella seconda metà del secolo,
“grandi romanzieri”, cioè scrittori che abbiano tematizzato un‟intera società
o epoca, sono stati scarsi in Occidente: casi felici quello del russo
Solzenicyn e del siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore de Il
Gattopardo (da cui il film diretto da Visconti).
L‟America latina ha invece giocato un ruolo da protagonista: gli autori più
famosi sono stati senz‟altro il colombiano Gabriel García Márquez e
l‟argentino Jorge Luis Borges.
Facoltà di Psicologia
Una prima causa del declino dei classici è costituita dalla disponibilità di
nuove e attraenti modalità d‟espressione artistica: una grande quantità di
dipinti o disegni è stata sostituita dal trionfo della macchina fotografica; il
romanzo a puntate ha ceduto il posto agli sceneggiati; il film ha preso il
posto del romanzo e del dramma teatrale, diventando il genere culturale più
comune (e mantenendo fortunatamente una sezione di “alta qualità” grazie
a firme illustri).
Altro fattore è il trionfo universale del consumismo. Dagli anni ‟60 ad oggi,
immagini e suoni accompagnano la vita cittadina nella forma di pubblicità,
intrattenimento, musica commerciale: a confronto, l‟impatto dell‟«alta
cultura» è al massimo occasionale, perfino sulle persone più acculturate,
specialmente da quando il trionfo della tecnologia ha messo in crisi la
parola stampata.
In che contesto nasce la Pop-Art e con quali finalità?
negli ‟50 l‟arte visiva fu scombussolata dalla Pop Art. I suoi artisti (Andy
Warhol, Roy Lichtenstein) riproducevano con accuratezza e impassibilità i
segni visivi del consumismo americano: scatolette, bandiere, bottiglie di
cocacola, Marilyn Monroe.
Non riconducibile all‟idea ottocentesca di arte, questa moda riconosceva
nel consumismo la capacità di soddisfare bisogni non solo materiali, ma
anche spirituali: la dimensione commerciale recava con sé una dimensione
estetica.
Cos’è il modernismo? Da quali successi è coronato e in quali campi?
Cosa ne provoca la crisi?
i modernisti, convinti del progresso dell‟arte, si proponevano di conquistare
in un ipotetico futuro il gusto della massa; rifiutavano le convenzioni
borghesi e liberali dell‟Ottocento nella prospettiva di dar vita ad un‟arte,
appunto, “moderna” (cioè per il XX secolo).
Correnti moderniste come il cubismo costituivano sia un rifiuto, una critica
e un‟alternativa nei riguardi della pittura ottocentesca, sia una collezione di
“opere d‟arte” a pieno titolo; altre, come il dadaismo, si spingevano fino a
rifiutare lo statuto di “arte”.
Facoltà di Psicologia
Il modernismo ebbe successo nella prima metà del XX Secolo: innovazione
e speranza sociale furono alimentate dall‟esperienza della prima guerra
mondiale, della crisi del ‟29 e della potenziale rivoluzione mondiale.
Arte e architettura moderniste (il già citato Movimento Moderno)
conquistarono gli USA riempiendo le sue città di grattacieli iperfunzionali
come il World Trade Center a New York.
Numerosi furono i grandi edifici (aeroporti, aziende, palazzi) costruiti
secondo i nuovi canoni: funzionalità come fonte di bellezza. Le innovazioni
tecniche moderniste si affermarono perfino nel mondo socialista, ma con
risultati opposti: in quanto si prestavano alla costruzione veloce di alloggi
di massa, diedero vita a disumani blocchi di cemento destinati ad ospitare
le famiglie operaie.
Fatta eccezione per l‟architettura e la pubblicità, comunque, il modernismo
rimase un‟avanguardia, ovvero arte di nicchia: pittura e scultura moderniste
del secondo dopoguerra consistevano di una serie di trovate sempre più
disperate, attraverso cui gli artisti cercavano invano di dare alle loro opere
un marchio riconoscibile.
Negli anni ‟60 i modernisti dovettero abdicare di fronte all‟imponente Popart e a correnti persino più radicali: scarabocchi considerati opere d‟arte;
gesti che ridicolizzavano l‟arte e il suo mercato (ad es., l‟associazione
casuale di oggetti nel minimalismo); creazione di opere non acquistabili
(performance art, ad es., pittura su strada, statue viventi, ecc.).
Facoltà di Psicologia
Cosa si intende per postmoderno?
il termine “postmoderno:”apparve negli anni ‟80 per designare non tanto un
“movimento” quanto un distacco generale da criteri di giudizio e di valore
prestabiliti.
La sua diffusione ebbe luogo in ogni campo (filosofia, scienze sociali,
antropologia, storia), promossa inizialmente dagli intellettuali francesi, le
cui mode (decostruzionismo, poststrutturalismo) fecero breccia nelle
università statunitensi.
Tutti i postmodernismi hanno in comune uno scetticismo circa l‟esistenza
di una realtà oggettiva e/o circa la possibilità di giungere a una sua
comprensione concorde con mezzi razionali.
Da cosa è caratterizzata l’esperienza di fruizione artistica “nell’epoca
della sua riproducibilità tecnica”?
il vecchio modello dell‟artista individuale e amanuense era destinato a
fallire: la creazione tendeva ormai ad essere collettiva e tecnologica, specie
nell‟emergente cinema, dove una buona cooperazione e divisione del
lavoro potevano addirittura sancire il successo di un regista (mentre la
critica francese si ostinava ancora, negli anni ‟50, a considerare
quest‟ultimo come unico padre dell‟opera finale).
Facoltà di Psicologia
Testo centrale per comprendere questo aspetto è L‟opera d‟arte nell‟epoca
della sua riproducibilità tecnica (Walter Benjamin, anni „30): ad essersi
trasformato nel Novecento non è solo il processo creativo (che ha reso il
filmato la forma d‟arte principale) ma anche il modo in cui gli uomini
percepiscono la realtà e fanno esperienza estetica.
Quest‟ultima non si risolve più in quel novero di laici gesti religiosi
praticati nelle chiese borghesi dei musei, delle pinacoteche, delle sale da
concerto e dei teatri: gli ultimi sopravvissuti di questo tipo di consumo
sono rappresentati dal turismo e dalle gite scolastiche; un turista o uno
studente d‟oggi, tuttavia, anche quando rimane in adorazione di fronte ad
un‟opera d‟arte, vive in un universo percettivo differente, caratterizzato da
una molteplicità inaudita di stimoli.
Impressioni sensoriali giungono simultaneamente da ogni lato, proprio
come da sempre succede nelle piazze delle città, con la differenza che la
tecnologia ha immerso la vita quotidiana nell‟arte: è quasi impossibile
evitare l‟esperienza estetica (musica, colori, immagini).
Lezione 31
Come si distribuiscono le comunità scientifiche nel Novecento e
perché?
Nel Novecento gli scienziati si moltiplicano come effetto della rivoluzione
dell‟istruzione e si spostano verso gli USA, i soli a potersi permettere le
forme più costose della ricerca;
La concentrazione degli scienziati in pochi centri finanziati dagli stati
ricchi fonde gli scienziati in un‟élite dal linguaggio sempre più
incomprensibile; la letteratura scientifica divulgativa nasce a questo punto
come risposta a una nuova esigenza di comprensione
Quali differenze intercorrono tra la percezione della scienza
nell’Ottocento e nel Novecento? Quali sono le tappe che sanciscono tale
passaggio?
Fino alla fine dell‟Ottocento, la scienza avanzata aveva avuto
un‟applicazione ristretta; sebbene il concetto di “tecnologia” (utilizzo della
scienza a vantaggio dell‟uomo) fosse già diffuso, alla gente comune le
teorie scientifiche arrivavano solo in forme ideologiche (come il
darwinismo sociale, che applicava la selezione naturale alla realtà storica).
Alla fine dell‟Ottocento ebbe luogo una sorta di “esplosione” scientifica
che interessò non solo la tecnologia (automobili, aviazione, radio, film,
telegrafo, raggi x) ma anche la teoria scientifica (relatività, fisica
quantistica, genetica), ma persino nel primo Novecento importanti teorie
come quelle sull‟intelligenza artificiale (1935) e scoperte come quella della
fissione nucleare (1937) vennero impiegate non immediatamente
(rispettivamente, per decrittare codici segreti e per costruire la bomba
atomica): fu la seconda guerra mondiale a dimostrare come l‟investimento
nella scienza potesse fornire potenza e risolvere problemi in termini brevi.
Facoltà di Psicologia
La trasformazione della scienza sperimentale in tecnologica fu definitiva
col boom economico; ogni scoperta fu seguita da un‟applicazione non
necessariamente legata alle condizioni sperimentali: i transistor (cfr. lez.
30) nacquero da ricerche sulla fisica dei corpi solidi; i raggi laser, scoperti
negli anni ‟60 durante studi sulla natura della luce, diedero vita ai lettori
CD negli anni ‟80.
Da cosa è causato e come si esprime il sospetto nei confronti della
scienza?
la nostra epoca è caratterizzata da un‟inquietudine anti-scientifica:
l‟incomprensibilità della scienza, le sue conseguenze imprevedibili e
l‟insignificanza dell‟individuo al suo cospetto hanno condotto a ricercare
cose che “la scienza non può spiegare”;
Già dal 1947, i nordamericani, seguiti dagli inglesi, cominciarono ad
avvistare dischi volanti, chiaramente ispirati dalla fantascienza.
manifestazione artistica di tale sentimento: è il genere letterario
fantascientifico, di origine anglo-americana, che, nato alla fine
dell‟Ottocento, dalla seconda metà del Novecento si è distinto per il suo
immaginario problematico del futuro (celebre è il film Blade Runner).
Molti credevano fermamente che questi UFO provenissero da civiltà
extraterrestri superiori alla nostra; alcuni sostenevano di aver visto gli
alieni o di averci viaggiato insieme.
Questo fenomeno, ad onta del suo estendersi, “curiosamente” interessò
soprattutto il mondo anglosassone, dove lo scetticismo degli scienziati
veniva liquidato come gelosia, ottusità o perfino cospirazione.
Quali teorie mettono in crisi il paradigma newtoniano? In che senso il
principio di complementarietà costituisce un tentativo di soddisfare i
“criteri estetici” dei teorici?
La crisi della fisica di Newton: ebbe inizio allorché Einstein, dopo aver
formulato la teoria della relatività (1905), avanzò l‟esigenza di mediare due
teorie indispensabili sulla natura della luce ma incompatibili: una teoria
delle particelle e una delle onde elettromagnetiche; un problema simile
riguardava l‟atomo, concepito come un sistema di non precisate particelle
elementari.
Le incertezze si estesero quando Heisenberg formulò il “principio di
indeterminazione” (1927) secondo cui l‟osservazione dei fenomeni
subatomici ne muta la natura: quanto più precisamente vogliamo conoscere
la posizione di una particella subatomica, tanto più incerta è la
determinazione della sua velocità e viceversa.
I concetti della fisica classica (posizione, velocità o momento) non
potevano applicarsi al di là di una certa soglia. La fisica di Galileo e di
Newton restava valida, ma solo a livello macroscopico, non microscopico.
Facoltà di Psicologia
Le inquietudini derivanti dall‟incompatibilità fra teorie passate e presenti
non vennero sanate dalla costruzione della meccanica quantistica (1927),
secondo cui la realtà dell‟atomo è quella di stati quantici indivisibili che si
manifestano nei modi dell‟onda e della particella.
I progressi in fisica si sono ottenuti sulle rovine di ciò che la tradizione
considerava certo (caso esemplare è il concetto di “antimateria”: assurdo
per il pensiero non-scientifico, costituisce la dimostrazione di quanto sia
trascurabile l‟esperienza comune di fronte alle esigenze del calcolo teorico).
Secondo il maestro di Heisenberg, Niels Bohr, i fisici dovevano imparare a
vivere nella contraddizione permanente: sommare le diverse descrizioni
della realtà naturale (ondulatoria e particellare), nell‟impossibilità di un
modello unitario.
Lo scopo di questo “principio di complementarietà” non era quello di far
avanzare la ricerca, ma consolare gli scienziati: oggigiorno l‟approccio
multidisciplinare è di norma (ad es., l‟effetto della musica può essere
analizzato fisicamente, fisiologicamente, psicologicamente, esteticamente,
ma non è possibile connettere questi modi di comprensione).
Facoltà di Psicologia
Nonostante la crisi dei fondamenti e della descrizione del mondo, un
criterio di natura estetica restava indiscusso: una teoria, per essere buona,
doveva essere “bella”, cioè elegante, generale, semplice ed economica
(secondo la lezione di Guglielmo d‟Ockham).
Galileo e Newton avevano dimostrato che le stesse leggi governano il cielo
e la terra; nell‟Ottocento la chimica aveva ridotto a novantadue elementi le
forme della materia e la fisica aveva ricondotto alle stesse radici elettricità,
magnetismo e ottica.
Nonostante la relatività di Einstein mancasse di una teoria unica che
conciliasse, da un lato, spaziotempo e gravità e, dall‟altro, elettroni, protoni
e campi elettromagnetici, gli scienziati hanno perseguito l‟ideale di una
teoria di tutte le cose.
Solo dagli anni ‟60 hanno tuttavia intravisto la possibilità di ridurre la
molteplicità delle particelle subatomiche a un gruppo semplice e coerente.
Una nuova sintesi chiamata “teoria del caos” spezzava intanto il nesso tra
causalità e prevedibilità: essa sosteneva che gli effetti derivanti da cause
specificabili (ad es., il movimento del fumo di un fiammifero) non possono
essere previsti (da cui la frase di Lorenz “Il battito delle ali di una farfalla
in Brasile può scatenare un tornado in Texas”).
Che atteggiamento tennero i governi nei confronti della ricerca
scientifica nel periodo della seconda guerra mondiale?
Nella seconda guerra mondiale la politicizzazione della scienza toccò il
culmine.
I soli due tipi di regime ad interferire con la scienza in linea di principio
furono il nazismo e lo stalinismo: nel momento stesso in cui ne fecero uso,
la censurarono in quanto metteva in discussione le loro concezioni del
mondo.
Non approvarono la fisica post-einsteiniana, “ebrea” per i nazisti e “non
materialista” per i sovietici. Un‟accoglienza diversa fu riservata alla
genetica: in Germania si sviluppò un entusiasmo razzista per l‟eugenetica,
da cui i genetisti presero subito le distanze; in Russia, essa venne rifiutata
perché individuava nei geni una struttura delimitante le possibilità umane,
mentre l‟ideologia sosteneva che con l‟azione si potesse raggiungere
qualsiasi risultato.
Un agronomo di secondo piano, Lysenko, entrò nelle grazie di Stalin
affermando che il comportamento biologico delle piante fosse
condizionabile in quanto dipendeva dall‟ambiente e non dai geni
(lamarckismo): i suoi oppositori vennero spesso rinchiusi nei gulag e tale
linea continuò almeno fino alla morte di Stalin, con effetti disastrosi.
Facoltà di Psicologia
Nel mondo occidentale, gli scienziati inglesi e americani mobilitati dallo
stato per fini militari, ispirati da un forte antifascismo premettero sui
governi per la costruzione della bomba atomica; seguirono l‟orrore di
fronte al risultato a Hiroshima e Nagasaki e le successive campagne contro
il nucleare.
Questa parabola descrive l‟incidenza, in guerra, del fervore politico nella
scienza, nonché la realizzazione, da parte dei governi, dell‟importanza della
ricerca.
Cos’è il catastrofismo?
nel XX secolo nasce la teoria del caos (preceduta da una “teoria delle
catastrofi”), che non è difficile collegare al clima apocalittico delle guerre.
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Negli anni ‟70, inoltre, divenne manifesto che la tecnologia era in grado di
produrre mutamenti fondamentali e irreversibili alla Terra in quanto habitat.
Nel 1973 si scoprì che i fluoro carburi impoverivano l‟ozono
nell‟atmosfera; negli anni ‟90 l‟esistenza dei buchi dell‟ozono è diventata
conoscenza comune.
L‟effetto serra, cioè riscaldamento del pianeta dovuto all‟emissione di gas,
cominciò a essere discusso al 1970 e divenne allarme negli anni ‟80.
La scoperta delle conseguenze della tecnologia era perfino più inquietante
della prospettiva nucleare, perché a differenza di quest‟ultima, non erano
evitabili: erano il portato della crescita economica.
Fu così che la parola ecologia, coniata nel 1873 per designare ramo della
biologia che trattava delle interrelazioni degli organismi con l‟ambiente,
acquistò negli ‟70 l‟odierno significato politico.
Quando si ricominciò a mettere in discussione la libertà di ricerca
scientifica? Quali furono le discipline maggiormente criticate e perché?
Dopo la scoperta delle conseguenze della tecnologia, politica e ideologia
tornarono ovunque a mettere in discussione le scienze naturali (non
succedeva in maniera così diffusa dai tempi di Galileo).
Bersagli principali di polemica furono tuttavia la genetica e la biologia. I
cui modelli biochimici di spiegazione della vita si erano imposti a danno
delle spiegazioni religiose, soprattutto dopo la scoperta della struttura
genetica (il DNA “a doppia elica”) da parte di Crick e Watson negli anni
„50, che aveva fornito ulteriore forza alla teoria di Darwin.
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La tendenza della teoria darwiniana a prestarsi a letture ideologiche era
stata palesata non solo dal “darwinismo sociale” ma anche dalle politiche
razziali del nazismo, per cui gli intellettuali liberali si sentivano a disagio
col concetto stesso di razza; molti dubitavano che fosse persino legittimo
indagare le differenze geneticamente determinate tra gruppi umani, per
paura di incoraggiare razzismi.
Nel dopoguerra, furono molti i dibattiti sull‟importanza dell‟eredità
(genetica, sociale) e dell‟ambiente nella formazione dell‟individuo: i
conservatori erano propensi ad accettare una società in cui le ineguaglianze
fossero definitive (genetiche), mentre la sinistra sosteneva che esse
potessero essere rimosse con l‟azione in campo sociale.
Figli di tale discussione furono, da un lato, il femminismo, che propose la
sostituzione del termine “sesso” con quello di “genere”, intendendo che
“donna” non fosse una categoria biologica ma un ruolo sociale; dall‟altro,
la sociobiologia, una sorta di neo-darwinismo secondo cui i progressi
sociali sono riconducibili a selezioni biologiche.
In che senso parlare di una ricerca “libera” ai nostri tempi è
problematico?
Alla fine del Novecento, l‟imposizione ufficiale di restrizioni alla scienza si
è ripresentata solo in regimi caratterizzati da una forte influenza delle
organizzazioni religiose.
Al di là di ciò, la ricerca scientifica è di fatto determinata da chi la finanzia,
ovverosia dai governi, i cui fini sono sempre utilitaristici (ad es., cura di
malattie come il cancro o l‟AIDS).
Una ricerca “pura”, cioè al momento inutile, può essere finanziata
nell‟ottica di una sua ipotetica utilità, o per puro prestigio. I ricercatori,
pertanto, non studiano necessariamente ciò che interessa loro: la scienza ha
troppo potere per essere lasciata a se stessa.
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Lezione 32
Qual è il panorama degli equilibri internazionali all’inizio del nostro
millennio?
Il Secolo si è chiuso in maniera problematica, lasciando questioni aperte in
diversi ambiti, come quello del rapporto fra gli stati. Il mondo manca del
tutto di un sistema o struttura internazionale.
Indicativa di tale situazione è stata la comparsa, dopo il 1989, di nuovi stati
territoriali (soprattutto nell‟ex area sovietica) che hanno respinto la
mediazione di terzi, fissando i loro confini senza l‟intervento di un
meccanismo indipendente.
L‟importanza del consorzio delle grandi potenze (i vincitori della prima
guerra mondiale) si è affievolita: alle vecchie conferenze internazionali
(decisive quelle del ‟43-‟45, che sancirono gli equilibri del mondo dopo la
Seconda guerra mondiale) si sono oggi sostituiti brevi vertici, organizzati
soprattutto per motivi di immagine.
- Gli USA sono la sola organizzazione politica a potersi chiamare “grande
potenza”
- La Russia si è ridotta ai livelli di metà Seicento;
- Gran Bretagna e Francia, nonostante il possesso da parte loro di armi
nucleari, non sono che potenze regionali;
- Germania e Giappone sono “grandi potenze” soltanto da un punto di
vista economico.
- l‟Unione Europea è incapace di qualsiasi politica unitaria che non sia
economica.
In che senso il Novecento è la storia del fallimento delle ideologie? Da
cosa sono state sostituite le vecchie fedi?
Il Novecento iniziò come un‟epoca di guerre fra “religioni”: quelle più
militanti e assetate di sangue furono le ideologie laiche affermatesi
nell‟Ottocento, cioè il socialismo e il nazionalismo, i cui idoli erano
costituiti da astrazioni (il comunismo mondiale) oppure da uomini politici
venerati (Hitler).
Tali ideologie crollarono, insieme alle religioni tradizionali (ridottesi a un
novero di sette): il nazismo venne sconfitto; l‟ideale socialista scemò anche
prima del crollo dell‟URSS.
La loro forza non risiedeva nell‟evocare sentimenti religiosi, ma nel
promettere la soluzione dei problemi di un mondo in crisi, nella prospettiva
di migliorare la condizione umana. Il Novecento, insomma, è la storia del
fallimento di simili programmi.
Il crollo dell‟URSS sancì il fallimento del comunismo sovietico, cioè di
un‟economia basata sulla proprietà statale dei mezzi di produzione e sulla
pianificazione centrale, senza ricorso al mercato.
Tutte le altre forme di economia con proprietà sociale di mezzi di
produzione, distribuzione e scambio (non necessariamente statale) sono
state annientate: persino socialismi di altra matrice (come la
socialdemocrazia) sono entrati in crisi.
Alla luce di ciò, la teoria di Marx difficilmente sopravvivrà nelle forme
“pratiche” conosciute finora.
Anche l‟utopia opposta, quella neoliberista, è fallita: un‟economia nella
quale le risorse siano ripartite interamente da un mercato senza alcun freno
e che produca il massimo di beni, servizi, felicità e libertà non è mai esistita.
Prima degli anni ‟80 il neoliberismo non era che un principio ideale per
criticare le economie esistenti e la burocrazia; il tentativo più coerente di
applicarlo, cioè quello dei governi Thatcher, dovette essere applicato
gradualmente e, nonostante la cautela, fu segnato dal fallimento economico.
Le terapie d‟urto nei paesi ex socialisti ebbero invece un effetto
immediatamente distruttivo: le teorie eleganti del neoliberismo avevano
scarsa attinenza con la realtà.
Da un lato, il fallimento sovietico ha confermato nei sostenitori del
capitalismo che nessuna economia può funzionare senza il “mercato”;
dall‟altro, il fallimento ultraliberista ha confermato nei socialisti che le
relazioni tra gli uomini sono troppo importanti per essere lasciate in balia
del mercato.
Infine, gli economisti scettici hanno finito per ritenere che non vi sia
correlazione tra il successo economico e la teoria economica abbracciata da
un potere politico (o persino tra il successo economico e la presenza di
fiorenti studi economici in loco).
Più grave è stato il crollo delle politiche miste su modello keynesiano, la
cui attrattiva non risiedeva tanto nella suggestività della teoria quanto nel
successo pratico.
Quando i decenni di crisi fecero realizzare alle istituzioni la loro perdita di
controllo, l‟utopia neoliberista risultò attraente quanto meno perché
liquidava il problema delle decisioni collettive, sostenendo che lasciare che
ogni individuo perseguisse la propria soddisfazione avrebbe condotto al
risultato migliore.
Le guide più antiche, cioè le religioni tradizionali, non offrono alternative
plausibili. Esse sono in disarmo perfino in paesi in cui l‟appartenenza a una
chiesa e la pratica religiosa sono ancora abituali.
Nuove sette militanti e comunità di culto (spesso fortemente irrazionali),
non sono riuscite a controbilanciare la presenza delle antiche guide: la loro
notorietà non corrisponde ad adesioni di massa.
Nel Terzo mondo, ad eccezione delle grandi popolazioni dell‟Estremo
Oriente – immuni per millenni dalle religione ufficiali (ma non dal culto
privato) grazie alla tradizione confuciana – le tradizioni religiose plasmano
le concezioni popolari assumendo un ruolo importante, specie quando le
masse diventano protagoniste politiche.
Negli ultimi decenni le elite laicizzate e modernizzatici sono state messe da
parte (come nella rivoluzione iraniana): l‟attrattiva di una religione
politicizzata è forte in quanto è nemica della civiltà occidentale ricca ed
atea, considerata responsabile a sua volta dello sconvolgimento delle
tradizioni, nonché dello sfruttamento dei paesi poveri.
Questi movimenti sono conosciuti in Occidente sotto la definizione
fuorviante di “fondamentalismo”: essi guardano indietro a una realtà più
semplice, stabile e comprensibile, quale si immagina il passato; non hanno
nulla da dire circa i problemi attuali; sono il sintomo della malattia che
pretendono di curare.
Le stesse considerazioni valgono per quell‟amalgama di slogan ed
emozioni, difficilmente definibile come ideologia, fiorito sulle rovine delle
istituzioni e delle ideologie: trattasi della xenofobia e delle politiche
dell‟identità.
Il diritto all‟autodeterminazione nazionale si è ridotto ad un‟espressione di
ferocia tale da condurre osservatori ragionevoli, nei primi anni ‟90, a
proporre l‟abbandono del diritto stesso.
È un fenomeno di ricorso storico: come i movimenti revanscisti e rancorosi
tra le due guerre generarono il fascismo, così l‟odierna protesta politicoreligiosa del Terzo mondo e il bisogno di identità ed ordine sociale nel
disintegrato Primo mondo (la richiesta di comunità è abitualmente associata
a quella di legge e ordine) procurano il terreno nel quale possono crescere
nuove forze politiche.
Non è scontato che a nascere siano movimenti organizzati di massa a
carattere nazionale come quello fascista; il dato più certo è rappresentato
dall‟impermeabilità dei nuovi movimenti alle teorie economiche
accademiche: la loro spregiudicatezza, ovvero la tendenza ad abbracciare
capricciosamente una teoria o l‟altra, è motivata da una profonda mancanza
di cognizione.
Quali sono i problemi “a lungo termine” del mondo globale?
I problemi centrali e determinanti nel lungo periodo sono quello
demografico ed ecologico.
La popolazione mondiale dovrebbe, secondo le stime, stabilizzarsi nel 2030
a dieci miliardi (cinque volte quella del 1950) a causa di un declino dei
tassi di natalità nel Terzo mondo.
Una mancata stabilizzazione o una diminuzione della popolazione
causerebbe problemi complessi, primo tra i quali una crescita degli squilibri
fra aree povere e ricche.
I paesi ricchi, con popolazione vecchie e pochi bambini, circondati da
eserciti di persone che reclamano lavori modesti, devono scegliere tra il
consenso all‟immigrazione (con annessi problemi politici), la chiusura
totale delle frontiere (impraticabile) o una via di mezzo: quella più
probabile è un‟immigrazione temporanea e condizionata che non dia agli
stranieri i diritti politici e sociali di cittadinanza.
Come si è comportata l’economia mondiale dagli anni ’90 ad oggi?
I problemi dell‟economia mondiale sono, in relazione a quelli demografici
ed ecologici, meno gravi. Anche abbandonata a se stessa, infatti,
l‟economia continuerebbe a crescere.
Stando al sistema di Kondrat‟ev, l‟economia sarebbe entrata in un‟altra
espansione prima del terzo millennio; ciò avvenne alla fine degli anni ‟90,
ma fu ostacolata dai postumi della disintegrazione sovietica (attualmente
siamo nella fase discendente, che potrebbe durare decenni, salvo
un‟accelerazione dei tempi).
Si allarga, però, il fossato fra paesi ricchi e poveri, per effetto sia
dell‟impatto su gran parte del Terzo mondo dei Decenni di crisi (soprattutto
anni ‟80), sia del generale impoverimento degli stati ex-socialisti.
In tale contesto, l‟idea, tipica dell‟economia neoclassica, che il commercio
internazionale illimitato condurrebbe nel tempo ad un livellamento della
ricchezza mondiale (teoria della “mano invisibile) cozza contro
l‟esperienza storica e il senso comune: un‟economia che si sviluppa
attraverso disuguaglianze non può essere scevra da complicazioni.
In primo luogo, la logica del profitto ha condotto ad un‟espulsione, da parte
della tecnologia, del lavoro umano, senza procurare occupazione per gli
espulsi e senza garantire una crescita sufficiente ad assorbirli: la piena
occupazione raggiunta nell‟Età dell‟oro oramai è un miraggio.
In secondo luogo essa ha spostato le industrie in base al costo della
manodopera: l‟effetto della concorrenza mondiale del lavoro potrebbe
essere un abbassamento dei salari nelle regioni più ricche, con conseguenze
sociali esplosive.
In passato, simili pressioni venivano affrontate mediante provvedimenti
statali, come il protezionismo, ma le spinte in tal senso durante i Decenni di
crisi si sono rivelate deboli: il trionfo del liberismo ha ridotto il potere degli
stati.
L‟Età dell‟oro si è basata sulla crescita dei redditi perché le economie di
consumo di massa hanno bisogno di una massa di consumatori con reddito
sufficiente per potere acquistare beni di consumo durevoli ad alta
tecnologia: dal dopoguerra ad oggi l‟esportazione verso il Terzo mondo è
diminuita perché il grosso del potere d‟acquisto si trova nei mercati del
lavoro ad alti salari.
Proprio questi salari, essenziali per l‟economia, sono a rischio. Nei paesi
ricchi il mercato è stato comunque stabilizzato dallo spostamento della
manodopera dall‟industria al settore più stabile del terziario, nonché dai
redditi dovuti ai servizi sociali e assistenziali: questo può spiegare perché il
crollo di Wall Street del 1987, il più grave dal 1929, non sfociò in una crisi
come quella degli anni ‟30 (anche il crollo di fine 2008, per quanto
preoccupante, non può essere paragonato alla catastrofe di quegli anni).
Orbene, i fattori stabilizzanti sono a rischio: i governi occidentali, sotto
spinta dell‟ortodossia economica ultraliberista, sono portati a ritenere che il
costo dei servizi sociali e assistenziali vada ridotto; se l‟economia mondiale
può abbandonare una minoranza di paesi poveri, in quanto
economicamente non interessanti, lo stesso si può fare con le persone
all‟interno dei confini statali, finché il numero dei consumatori interessanti
resta sufficiente.
Se i costi lo giustificano, non c‟è ragione perché un paese non debba
chiudere un intero settore produttivo e importare tutti i prodotti dall‟estero.
Le conseguenze politiche e sociali di questa concezione non possono essere
evitate: la scelta razionale delle imprese consiste infatti nel ridurre i costi
(materiali ma anche umani).
Persino economicamente non vi sono garanzie di miglioramento:
l‟ultraliberismo successivo agli anni ‟70 non ha ottenuto apprezzabili
successi; guardando ancora più a ridosso, la grande depressione di fine
Ottocento è probabilmente dovuta in gran parte al libero mercato, mentre le
misure protezionistiche hanno permesso un certo sviluppo dei paesi che le
hanno adottate.
La moda della liberalizzazione negli anni ‟80 ha fatto senz‟altro leva sulla
crisi del blocco sovietico.
La combinazione della crisi mondiale all‟inizio degli anni ‟90 e il
fallimento della “terapia d‟urto” ultraliberista sui paesi ex socialisti hanno
tuttavia dato vita a ripensamenti.
In ogni modo, la nascita di una concezione realista dell‟economia frenata
da diversi fattori. Il primo ostacolo è rappresentato dalla mondializzazione,
che ha smantellato i meccanismi di protezione economica nazionale. Il
secondo consiste nell‟assenza di una minaccia credibile al sistema
capitalistico, in passato rappresentata dal nazismo e dal comunismo, i quali
avevano fornito al capitalismo lo stimolo per riformarsi. A sedare uno
stimolo riformistico sono il declino della classe operaia e dei suoi
movimenti (accelerato dal crollo dell‟URSS); l‟insignificanza militare del
Terzo mondo; la riduzione dei poveri nei paesi sviluppati a una
“sottoclasse”.
Ciò nondimeno, il sorgere di movimenti dell‟ultradestra nei paesi sviluppati
e la rinascita, nei paesi ex comunisti, di un consenso per gli eredi del
vecchio regime costituiscono segnali di fermento.
Quali sono le prospettive del mercato del lavoro mondiale?
La logica del profitto conduce ad una diminuzione della manodopera
umana e ad uno sfruttamento di quella a basso costo nei paesi poveri.
Questo comporta delle difficoltà nei paesi a redditi alti, che nell‟epoca del
libero mercato si ritrovano disarmati: l‟ultraliberismo dominante frena non
solo il protezionismo ma anche fattori stabilizzanti del mercato come le
politiche assistenziali (dimostratesi capaci di frenare una crisi globale nel
1987);
Da cosa è caratterizzato il dibattito economico odierno?
Il mancato successo dell‟ultraliberismo ha dato vita a ripensamenti dagli
anni ‟90, ma la nascita di una teoria economica realista è frenata sia dalla
mondializzazione che dall‟assenza di una minaccia credibile al sistema
capitalistico: nazismo, comunismo e movimenti operai sono memorie. I
segni di inquietudine sono rappresentati dai movimenti dell‟ultradestra ad
Ovest e dai nostalgici comunisti nell‟ex blocco sovietico.
Contro quali elementi di disturbo devono lottare e quali nuovi “poteri”
hanno i governi odierni, rispetto a quelli del passato?
Gli stati, che continuano a definirsi “democrazie”, sono minacciati da un
lato dalle spinte secessionistiche e dalla crisi della loro forma istituzionale;
dall‟altro, la loro capacità di controllare i cittadini è stata rafforzata dalla
tecnologia;
La democrazia è in crisi perché, essendo la società liberista caratterizzata
dall‟anteposizione dell‟interesse privato rispetto a quello generale, la
politica, mentre si occupa del secondo, deve “accontentare” le masse in
merito al primo. Spesso, peraltro, queste ultime non forniscono indizi di
preferenza, anche per incompetenza;
Se nell‟Età dell‟oro prevaleva l‟interesse collettivo e vigeva un accordo fra
rivali su questioni fondamentali, dagli anni ‟70 in poi governi e stati sono
sempre più malvisti. In tal contesto, le autorità tendono sempre più a
scavalcare i meccanismi democratici;
Qual è il rapporto fra i governi e le masse?
La risposta delle masse è una delega totale degli affari di stato alla “classe
politica”. Le autorità vengono comunque “disturbate” dall‟attivismo di
minoranze e dai mass media, strumenti difficili da controllare in un sistema
sedicente “democratico”;
In che senso si può parlare di una crisi della democrazia?
Oggigiorno la crisi democratica è acuta: in una società caratterizzata
dall‟anteposizione dell‟interesse privato rispetto a quello generale, ogni
proposta di aumentare le tasse, per quanto motivata, è un suicidio elettorale,
per cui le elezioni diventano una gara di menzogne in materia fiscale; le
autorità devono accontentare un‟opinione pubblica che non sempre fornisce
indirizzi su questioni importanti; alcune decisioni riguardano materie sulle
quali la maggioranza degli elettori e degli eletti non hanno competenze (ad
es., il nucleare): in tal caso, di solito, si può contare sui consiglieri esperti,
ma quando neanche questi ultimi sono d‟accordo, i politici brancolano nel
buio come la giuria di un tribunale messa di fronte a perizie psicologiche
dalle valutazioni opposte.
Ci sono stati momenti in cui è prevalso l‟interesse collettivo e in cui vigeva
l‟accordo su questioni fondamentali fra rivali: era il caso dell‟Età dell‟oro,
durante la quale i governi godevano di una forte legittimazione.
Dai decenni di crisi in poi il caso di popoli che si identifichino coi loro
governi è sempre più raro: in molti paesi governo e stato sono malvisti;
molti sono corrotti, soprattutto nel Terzo mondo (ma anche altrove, come
ha dimostrato l‟Italia degli anni ‟80).
A poter prendere decisioni con più facilità sono gli organismi che sfuggono
alla politica democratica: società private, autorità soprannazionali e regimi
non democratici.
I governi sono sempre più tentati di scavalcare l‟elettorato e le assemblee
parlamentari, ponendoli di fronte a fatto compiuto: la politica è sempre più
evasiva perché i politici temono di dire agli elettori ciò che questi non
vogliono sentirsi dire; sempre più organismi decisionali vengono sottratti al
controllo elettorale; persino paesi senza divisione dei poteri ritengono
opportuna una tacita riduzione della democrazia (mentre in paesi come gli
USA tale operazione è indispensabile quando i conflitti tra l‟esecutivo e il
legislativo risultano irrisolvibili).
Quale modello potrebbe risolvere i problemi dell’attuale democrazia e
con quali esiti?
L‟epoca delle teocrazie imposte è finita: bisogna sedurre le masse. Rimane
impossibile “imporre” loro determinate condotte: l‟unico strumento
alternativo, quello della democrazia plebiscitaria, sancirebbe l‟abbandono
della democrazia liberale.
Una via d‟uscita potrebbe essere quella di ricreare un consenso che
permetta alle autorità di agire in libertà, almeno finché il grosso dei
cittadini non ha motivi seri per essere scontento: si tratta del modello
napoleonico, cioè l‟elezione di un “salvatore del popolo” cui delegare ogni
potere (democrazia plebiscitaria).
Questo modello non offre prospettive incoraggianti per il futuro della
democrazia parlamentare liberale.
Concludendo, ogni aspetto del Secolo ci pone di fronte ad una serie di
questioni aperte che non permettono semplici risposte modellate sul passato.
L‟unico modo che ha l‟umanità per uscire dall‟attuale crisi storica è quello
di cambiare, reinventandosi.