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RIVISTA DI PSICOANALISI, 2014, LX, 2
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Holding and Interpretation1:
Winnicott al lavoro
LESLEY CALDWELL
S
ostenere e interpretare è la registrazione di un’analisi cominciata all’inizio degli anni quaranta, proseguita negli anni cinquanta e pubblicata
postuma (1986, 1989) con un’introduzione di Masud Khan. Una versione
precedente dello stesso materiale, corredato del commento clinico dello
psichiatra e analista americano Alfred Flarsheim, aveva visto le stampe nel 1972.
Si tratta del resoconto di una cura analitica condotta da un clinico esperto impegnato anche nella ricerca di alcune caratteristiche poste in evidenza in quel percorso analitico. Le elaborate interpretazioni, accompagnate da appunti particolareggiati annotati principalmente durante le sedute stesse, mettono in dubbio l’immagine stereotipa di un Winnicott analista che diffidava dell’interpretazione, poiché, più in generale, gettano luce su quanto siano specifici, rispetto alle particolari coordinate di tempo e spazio, gli interventi dei clinici ogni giorno e su quanto
tutte le interpretazioni contengano implicitamente o esplicitamente degli assunti
teorici di base. In questo lavoro risaltano due aspetti: la completa inscrizionedi
Winnicott nel solco freudiano e nella centralità del complesso edipico e la sua
Lesley Caldwell, socia della British Psychoanalytic Association e guest member della British Psychoanalytical
Society, lavora privatamente a Londra. Con Helen Taylor Robinson è co-curatrice generale dei Collected Works of
Donald Winnicott (Oxford University Press, 2015). È lettrice onoraria nell’Unità di Psicoanalisi allo University College London dove insegna ed è supervisore nei corsi di Master e di Dottorato nonché Coordinatore del Programma
Multidisciplinare di Psicoanalisi.
La versione originale di questo articolo uscirà in D. Bandler Bellman e J. Arundale (a cura di), Interpretive Voices (Karnac Books, 2014) e viene pubblicata qui per gentile concessione degli autori e di Karnac Books.
1
In italiano Sostenere e interpretare. Frammento di un’analisi.
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Lesley Caldwell
preoccupazione rispetto all’assai precoce costituirsi di un Sé, capace di affrontare
gli impulsi derivanti dalla sessualità infantile e dalle pulsioni. Sono noti l’interesse di Winnicott per le primissime fasi dello sviluppo emotivo e la sua preoccupazione apparentemente meno marcata rispetto alla sessualità e alle pulsioni, ma in
Sostenere e interpretare sono presenti entrambi.
Holding e «interpretazione» sono due concetti cui possiamo accostarci considerandoli come alternativi o sequenziali, oppure riconoscendo che ciascuno di
essi occupa una propria posizione, mutevole in ogni istante, nel lavoro compiuto
in ogni analisi. Se l’holding potrebbe sfociare in una priorità del preverbale e delle sue modalità, l’«interpretazione» sembrerebbe collocare il trattamento all’interno della più classica cornice verbale. Winnicott argomenta la necessità di considerarle due forme del processo analitico sempre correlate. Pertanto, le parole, i
concetti e la densità del linguaggio impiegato in questa analisi sono da intendersi
come l’illustrazione di una forma particolare di holding analitico del paziente da
parte dell’analista e, in un momento temporale diverso, dell’holding del paziente
di se stesso. L’anamnesi «illustra la posizione depressiva così come può apparire
nel corso di una terapia analitica» riuscita, secondo il parere espresso da Winnicott nel suo diario clinico. Sebbene in gran parte di questo scritto si rilevi un’attenzione rivolta al materiale esplicitamente edipico, secondo Winnicott la situazione della prima infanzia del paziente ha modellato e plasmato l’analizzando e il
percorso della sua analisi.
Il Dottor A. era stato in analisi con Winnicott da adolescente nel 1940-41
durante il periodo bellico. Quando anni dopo fu ricoverato per una crisi, dopo
essersi laureato in medicina, Winnicott lo cercò, avendo appreso del suo ricovero
presso il Cassell Hospital dal medico che l’aveva in carico. Il caso e le decisioni
cliniche di Winnicott sono profondamente influenzati dalla sua valutazione iniziale, dalla prima analisi e probabilmente anche dal suo interesse per il lavoro con
pazienti che presentano una psicopatologia la cui origine risale a condizioni di
deprivazione precoce.
Nell’analisi presentata in Sostenere e interpretare le fantasie di perfezionismo del paziente e di sua madre e le loro conseguenze, oggetto principale delprecedente trattamento, saranno ulteriormente elaborate attraverso il rapporto tra i
genitori e la relazione del paziente con il padre. Il materiale selezionatoci offre lo
spunto per osservare l’interazione costante nel transfert tra i diversi livelli evolutivi e le difese sviluppate dal paziente fin dalla tenera età per fronteggiare i primi
fallimenti nella costruzione di un Sé capace di entrare in relazione con gli altri,
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essere spontaneo e sviluppare una capacità riflessiva sui propri comportamenti e
la propria vita.
Pur terminando prima che l’analizzando fosse davvero pronto, secondo il
parere di Winnicott, l’analisi del Dottor A. viene considerata riuscita.Winnicott
infatti sembra ritenere che il paziente abbia compiuto dei progressi sufficienti
nella consapevolezza della propria dipendenza e nel desiderio di indipendenza,
manifestatisi nella nascente capacità di prendere delle decisioni da solo e nella
consapevolezza di avere acquisito tale capacità grazie all’analisi. L’analista chiarisce al paziente la propria posizione, pur accettandone la decisionee non
mostrandosene preoccupato.
I primi mesi della seconda analisi del Dottor A. costituiscono l’oggetto di
«Ritiro e regressione», un articolo pubblicato nel 1954 e incluso in appendice a
Sostenere e interpretare. In quello scritto Winnicott afferma: «Il motivo principale cosciente che spinge questo paziente a cercare continuamente l’analisi è la sua
incapacità di essere spontaneo e di fare delle osservazioni originali, sebbene possa unirsi in un modo molto intelligente ad una conversazione seria già avviata da
altre persone […] Per un lungo periodo le sue associazioni libere assunsero la
forma di un resoconto retorico di una conversazione ininterrotta che avveniva in
lui. Egli le presentava dopo averle ordinate con cura, in modo che il materiale
potesse essere, dal suo punto di vista, interessante per l’analista» (305-306).
La registrazione parola per parola copre gli ultimi sei mesi della seconda analisi (gennaio-luglio 1955). «Il paziente parla lentamente e pondera le sue risposte
agevolandomi il lavoro di registrazione» (17) e infatti Winnicott registra tutto nei
minimi particolari.
Il Dottor A. si giudica noioso, e nella sua introduzione Khan esamina il
paziente noioso come un paziente attivamente impegnato a fare qualcosa, cioè
ad essere noioso. Si tratta, secondo Khan e anche secondo Winnicott, di un
paziente che ha ancora speranza, nonostante la disperazione che costituisce l’affetto di fondo cui si rivolgono coerentemente le interpretazioni dell’analista. Il
paziente utilizza intenzionalmente e agevolmente i concetti psicoanalitici, è
loquace con l’analista, ma entrambi riconoscono l’esistenza di una barriera.
Winnicott non ritiene che il Dottor A. sia fondamentalmente distruttivo, anzi il
suo stato semi-dissociativo è ciò che egli è in grado di portare in seduta: è esattamente ciò che fa e ciò che è. Winnicott accoglie le parole dell’analizzando e il
frequente assopirsi che le accompagna senza smettere di analizzare. Ascolta,
rimane sveglio, prende appunti, offre dei commenti, rileva dei riferimenti al
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mondo esterno del paziente e, quando interpreta spesso in modo molto complicato, presume che il paziente sia in grado di comprenderlo. Quando si rende
conto di avere sbagliato o di avere detto qualcosa che il paziente non è pronto a
sentire, lo ammette.
Il dottor A. si addormenta anche più volte in una stessa seduta. Fin dall’inizio Winnicott nota la sonnolenza del paziente, ma il suo primo rilievo esplicito
sul fenomeno è in risposta all’angoscia provata dal paziente rispetto alla capacità dell’analista di tollerare «il suo estremo bisogno di dipendenza, per esempio
[…] vivere con me» (37). Winnicott descrive il Dottor A. che parla «del suo
negativismo, atteggiamento che lo annoia e lo deprime, esaurendo le sue energie
[…] Questo negativismo rappresenta una sorta di sfida. Qualche volta pensa che
non valga nemmeno la pena di parlare. Si sente letteralmente prosciugato. La
sonnolenza esprime una mancanza di emozioni. Niente sembra scalfirlo» (8
febbraio, 37). Parlare, scivolare nel sonno e il significato di tali azioni assumono
un’importanza crescente per il paziente mano a mano che l’analisi prosegue. Le
parole, il silenzio, il sonno e l’analista che annota tutto compongono la cornice
dell’analisi.
Masud Khan descrive il paziente di Winnicott come «pensieri senza persona» (24), ed è il costituirsi della persona nell’analizzando che sembra guidare la
valutazione positiva di questa analisi che Winnicott, partendo dalla descrizione
dello stesso paziente in un suo scritto precedente, elabora: «Non esisteva nulla al
di là dei suoi pensieri» (1954). Entrambe le descrizioni captano una qualità particolare del Dottor A., proponendo che essere una persona, psicoanaliticamente
parlando, comporta qualcosa di più che formulare dei pensieri. I termini holding,
«essere», «illusione» e «disillusione» costituiscono le fondamenta della sfida che
Winnicott getta all’orientamento della psicologia unipersonale per comprendere
lo sviluppo umano e, nel corso di queste sedute registrate, il Dottor A. inizia a
comportarsi come persona. Riconosce consapevolmente la propria dipendenza e
quindi la propria potenziale indipendenza dal suo analista. Inoltre il lavoro analitico, che ha facilitato l’avvio della sua trasformazione in una persona finalmente
in grado di avere dei pensieri e dei sentimenti «reali» su di sé, gli permette di
acquisire la consapevolezza di ciò che gli manca.
Nel saggio L’intelletto ed il suo rapporto con lo psiche-soma (1949) Winnicott propone il resoconto delle «origini ontologiche del pensiero», basandosi sull’ipotesi freudiana dell’Io come Io corporeo in origine e sulla sua indagine che
propone il primato della relazione corporea del neonato con la madre come eleRivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2
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mento fondamentale per l’emergere della mente. Egli abbozza lo sviluppo della
mente e del pensiero del neonato partendo da due prospettive: lo sviluppo normale e la patologia. Nel caso dello sviluppo normale, sembra suggerire Winnicott,
possiamo dare per scontata la mente, assumendone il primato nella collocazione,
da parte della persona, del proprio Sé nel corpo come aspetto dell’integrazione.
«Date le condizioni ambientali necessarie, l’intelletto è una parte specializzata
dell’organizzazione generale dell’integrazione di psiche e soma del bambino.
Come tale non esiste separatamente ma è l’elaborazione immaginativa delle parti
somatiche, dei sentimenti e delle funzioni, cioè della vita fisica. Dipende da un
cervello sano ma non è necessariamente localizzato nel cervello (e forse nemmeno localizzato in qualche altra parte)» (1949, 292-293).
Se invece mancano le condizioni ambientali necessarie, la mente è un fenomeno non integrato che riflette la scissione, la dissociazione e la frammentazione. Emerge come una sorta di falsa entità con una falsa localizzazione e fornisce
una chiave di comprensione rispetto ad alcune dimensioni presenti in certi tipi di
pazienti. Quando deve affrontare il fallimento ambientale al di là delle proprie
capacità, il bambino deve adattarsi alle diverse influenze. «Dover pensare come
sostituto materno, come tata, permettendo alla mente di lasciarsi sfruttare in
modo difensivo» descrive una funzione chiamata ad operare prematuramente, e i
processi di dissociazione tra la psiche e il soma possono dare origine alla mente
come fenomeno scisso. Diverse possibilità, in cui una delle due entità viene
esclusa e non integrata, determinano uno sviluppo distorto, quali: (a) un’eccessiva attività del funzionamento mentale, in cui lo psiche-soma si contrappone alla
mente e al «pensare», che genera un bambino precocemente autosufficiente; (b)
uno stato «privo di mente» dove il Sé influisce sulla stupidità; (c) un Sé «privo di
psiche» dove l’immaginazione è limitata; (d) un «falso Sé» che agisce da corazza
per occultare il vero Sé (Winnicott, 1960). Il Dottor A. si presenta come individuo
eccessivamente intellettualizzante al punto che Winnicott, verso la conclusione
dell’analisi, identifica e definisce questa tendenza all’intellettualizzazione come
espressione del falso Sé del paziente – una sorta di combinazione della prima e
dell’ultima possibilità prima elencate.
«Il paziente giungeva in analisi e parlava in maniera stereotipata e retorica. In
realtà, stava ascoltando conversazioni che avvenivano nella sua testa, riferendomi
quei frammenti che riteneva mi potessero interessare. Avevo l’impressione che il
paziente avesse condotto se stesso in analisi, così come un padre o una madre portano il proprio figlio e me ne parlano. In questa prima fase (durata all’incirca sei
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mesi) non avevo avuto alcuna possibilità di conversare direttamente con il bambino. […] Una felice trasformazione della qualità della terapia mi aveva in seguito
consentito di stabilire un contatto diretto con il bambino, cioè con il paziente. Questa prima fase della terapia si era conclusa in maniera piuttosto netta; il paziente
sentiva che da quel momento in poi sarebbe venuto egli stesso agli incontri (e per
la prima volta aveva avuto fiducia nella possibilità di guarire)» (33).
Sostenere e interpretare prende avvio con la registrazione, da parte di Winnicott, del momento in cui il paziente si accosta ai sentimenti di eccitamento
mostrando un’evidente ambivalenza. [Questo] eccitamento […] [non fu] mai
messo in pratica, ma [fu] alla base dell’evoluzione della terapia descritta nei dettagli nelle pagine seguenti. Le note si riferiscono al lavoro compiuto tra il
momento in cui l’eccitamento era emerso nel transfert, senza essere sperimentato, e l’esperienza vera e propria dell’eccitamento (33).
Il Dottor A. accenna a un aspetto inedito, l’amore provato per la figlia neonata, che descrive come «eccitazione». Sebbene il tema si sarebbe poi articolato,
esso si «attenua» sempre di più anche se, in un lungo discorso il 9 febbraio, il
paziente descrive quanto ora gli sia più facile essere eccitato. Dopo una breve
pausa aggiunge: «Non voglio parlare dell’eccitazione» (39).
Winnicott replica: «Lo scopo dell’eccitazione è essere eccitati».
Il paziente lo giudica però rischioso: «Puoi renderti ridicolo. Le persone si
prendono gioco di chi parla a vanvera […] e poi ti ritrovi a tenere in braccio un
bambino (il paziente si riferisce ai rischi dell’eccitazione)» (ivi).
Winnicott collega «il parlare a vanvera» (riferendosi alle descrizioni che i
familiari davano del Dottor A. da bambino) e «tenere in braccio un bambino» (nel
transfert) ma il paziente distanzia il suo Sé adulto dal «parlare a vanvera».
Dottor A.: «Il rischio implicito nell’essere eccitati è che questa sensazione
può sfuggirti. Te la possono portare via o può essere minata».
Winnicott: «“Se riveli la tua eccitazione, ti viene sottratta” (a questo punto
avrei potuto interpretare l’ansia di castrazione, ma ho preferito evitare».
Winnicott descrive come si può proporre un’interpretazione abbastanza
generale, collegando il sentimento del paziente per la figlia e le lacrime al cinema
(un altro gesto inaspettato) a quanto era mancato al paziente stesso nella prima
infanzia e a ciò di cui aveva bisogno dall’analisi attraverso «l’holding di una
situazione nel tempo, consentendogli di testare la dipendenza in relazione alle
idee e ai momenti istintuali» (41-42).
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L’interpretazione unisce la valutazione del Dottor A. formulata da Winnicott
e il suo resoconto dello sviluppo dell’Io che precede la consapevolezza delle pulsioni e la necessità di un periodo di dipendenza come condizione per la costituzione di un Sé capace di sperimentare e gestire gli impulsi e i desideri (l’eccitazione).
Il paziente inizia immaginare un futuro in cui ha meno paura di essere eccitato. «In passato facevo troppa fatica a vivere il presente e non avevo alcuna prospettiva per il futuro […] ero convinto che non sarei mai riuscito a condurre una vita
normale. La mia depressione aveva a che fare con la ricerca della dipendenza.
Attraverso la dipendenza e la depressione reclamavo il mio diritto di nascita» (41).
Nella seduta successiva Winnicott rileva che il Dottor A. sembra «per la maggior
parte della vita, [avere] sperimentato un livello di eccitazione inferiore alla media,
per cui ora trov[a] straordinaria anche una normale dose di eccitazione» (40).
Winnicott accetta le ponderose elaborazioni del paziente, palesemente derivate dalle sue interpretazioni precedenti, e gli va incontro accogliendole. Non
respinge l’uso difensivo che il Dottor A. fa del proprio intelletto e che lo rende un
paziente tanto «noioso», pur non lasciando mai che questo occupi il centro della
sua attenzione analitica. Come evidenziano i loro dialoghi, per Winnicott non ha
molto senso interpretare il modo in cui l’analizzando si serve della propria mente,finché non è il paziente stesso a riconoscerlo sul piano affettivo, potendo allora
iniziare ad articolare l’assenza dentro di sé di alcuni attributi dell’essere una persona (personhood). Finché il Dottor A. non comincia a provare interesse per il
modo in cui parla e il motivo che anima le sue parole, l’analista accoglie le sue
modalità come terreno analitico condiviso. Winnicott seguita a interpretare la
disperazione del Dottor A. sul presente e il futuro come una disperazione appartenente al passato e dichiara: «Ora stai cercando di ritrovare la tua capacità di amare. Pur non conoscendo tutti i dettagli, possiamo dire che alcune carenze risalenti
alla prima infanzia ti hanno spinto a dubitare della tua capacità di amare. […] È
questo che l’analisi deve fornire in modo che la dipendenza e l’eccitazione istintuale siano sperimentabili» (41, 42).
Quando (5 aprile) il paziente racconta (verbosamente) di provare sentimenti,
perfino di gelosia – il che è «sgradevole ma preferibile a prima che non la provavo», aspetto su cui l’analista concorda –, Winnicott introduce un nesso tra la verbosità e la tendenza del paziente ad addormentarsi spesso. «La tua sonnolenza
[…] contribuisce a far emergere idee non accessibili mediante strumenti razionali» oppure «ti protegge da un’angoscia che non riesci a comprendere» (109).
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Il paziente si addormenta altre quattordici volte, a volte ripetutamente nella
stessa seduta, ma il 31 maggio si configura una dimensione diversa, quando dice:
«La mia unica forma di espressione emotiva [qui] sembra essere il sonno, che
equivale a una fuga» (154). In seguito, sempre nella stessa seduta, quando Winnicott accenna al «mio provare dell’affetto per te», il paziente si addormenta nuovamente. Una settimana dopo il paziente parla del suo approccio intellettuale alle
cose definendolo una barriera e individuando nel sonno un’alternativa. Il dialogo
che segue vede Winnicott sostenere un’opinione particolare sulle azioni del Dottor A. basata sulla sua valutazione delle prime fasi di sviluppo del paziente e sulla
sua convinzione del valore di stabilire un Sé autentico, assumendolo come compito primario di quella analisi.
Winnicott: «È il tuo vero Sé ad addormentarsi».
Paziente: «Ma annulla tutto il resto. Se dormissi per tutta l’ora…».
Winnicott: «Sarebbe comunque un risultato. Non dormiresti in qualsiasi luogo. È perché ti trovi qui […] Non puoi dare per scontato che io sia presente se la
tua mente non è attiva» (170).
Il paziente si addormenta, russa, poi si sveglia improvvisamente: «Non credo
che si tratti soltanto di senso di colpa, ma anche di una forma di disobbedienza e
di sfida nei suoi confronti».
Winnicott: «Questo sei tu, e sei reale».
Dopo questo passaggio, Winnicott si riferisce più direttamente allo scivolare
nel sonno, notando che la sonnolenza protegge il Dottor A. dalla rabbia (10 giugno). Aggiunge poi che «parlare equivale a uccidere» (176), che il sonno è un
modo per aggirare il dilemma del paziente rispetto all’ambiente e alla sua relazione con l’ambiente (22 giugno,157). Quando il paziente chiede: «Come posso
affrontar[e] la mia mancanza di sentimenti?» (24 giugno, 196), Winnicott risponde: «In questo momento hai paura di restare sveglio e di accorgerti di non poter
stabilire un contatto con me. [Il sonno] è l’espressione ininterrotta del tuo sentimento di disperazione rispetto al significato di restare sveglio e tagliato fuori da
qualsiasi contatto» (197).
Il paziente continua ad addormentarsi e risvegliarsi per gran parte della seduta.
Di fronte all’insistenza del Dottor A.: «Quando mi addormento, mi sembra di
mancarle di rispetto» (1 luglio). Winnicott interpreta l’addormentarsi come «l’espressione ininterrotta del tuo sentimento di disperazione dinanzi al significato di
restare sveglio e tagliato fuori da qualsiasi contatto» (197).
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Le sue interpretazioni associano le parole del paziente e l’assenza di affetti al
suo addormentarsi, una forma estrema di silenzio. Winnicott sottolinea la differenza tra questo fenomeno e lo «sforzo intellettuale», la capacità del paziente di
spiegare verbalmente i suoi vissuti, proponendo che dormire rappresenta l’angoscia quando non sa, la paura e insieme il desiderio di sentire. Mentre il Dottor A.
concorda sul fatto che per lui l’area emotiva equivale a una fuga e ribadisce che il
suo comportamento è negativo e denigrante, Winnicott ritiene che l’avvicendarsi
di parole e sonno sia imposto da un fattore molto diverso: il paziente non può che
portare una parte di sé in seduta, scomparendo nel sonno. È proprio perché il Dottor A. è consapevole della propria competenza intellettuale ma mancante del contatto emotivo, che agisce per afferrare una parte di se stesso che, seppur negativamente, è potenzialmente più viva. Non si tratta solo dell’incapacità o delle carenze del Dottor A. ma della sua angoscia che sia soltanto attraverso l’intelletto che
un contatto con l’altro (in questo caso Winnicott) possa essere garantito o davvero voluto. Il paziente teme non solo la propria incapacità di stabilire un contatto
ma anche la perdita di interesse da parte dell’analista, se non riesce a mostrargli la
propria intelligenza e capacità.
Winnicott nota altre due azioni fisiche, pur non interpretandole subito. Dapprima il paziente poggia un piede a terra (sei volte in quel periodo di sei mesi).
Quando decide di interpretarlo, l’analista descrive il movimento come una nuova
relazione con la realtà esterna, un’azione finalizzata a cogliere l’area del sentire,
un moto verso la spontaneità, un impulso verso la vita attraverso la motilità (84).
Poi, verso la fine di giugno, il Dottor A. porta tre volte la mano al volto e Winnicott, collegando il gesto alla ricerca di contatto tra il neonato e la madre sensibile
che se ne rende conto e glielo offre, associa esplicitamente il gesto all’interpretazione: «Un’interpretazione corretta comunicata al momento opportuno è una
sorta di contatto fisico» (199).
Secondo una modalità che potrebbe essere discutibile, spesso le interpretazioni dell’analista si riferiscono sia all’angoscia del paziente rispetto all’amare
ed essere amato sia all’amore dell’analista nei suoi confronti: «Stai cercando di
ritrovare la tua capacità di amare», «dubit[i] della tua capacità di amare» (41);
«la perfezione e la disperazione [riguardano] la possibilità di essere amato»
(60); «dopo il sesso ti senti libero […] di amare e di essere amato, come hai
sempre desiderato» (68); «la barriera è tra te e me e, tra le cose che eviti, c’è l’idea che io ti voglia bene» (il paziente si è addormentato) (179); «essere amato
senza riserve» (21 giugno, 189). Il 5 luglio Winnicott afferma: «La parola
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“amore” ha vari significati differenti, ma deve includere tale esperienza di interazione. Perciò possiamo dire che stai sperimentando la sensazione di amare e
di essere amato» (214).
Anche se spesso Winnicott è associato all’idea di regressione, o per usare il
suo linguaggio, «regressione alla dipendenza», il materiale in questo caso clinico
è organizzato intorno al «ritiro» del paziente, cioè a un suo «distacco momentaneo da un rapporto con la realtà esterna. Questo distacco può qualche volta manifestarsi come un breve sonno» (305). Se la regressione è intesa come una condizione nel transfert quando si stabilisce una dipendenza infantile – che secondo
Winnicott costituisce una fase centrale di alcune analisi, capace di gettare le basi
dello sviluppo – il Dottor A. non ha avuto regressioni cliniche. «Le sue regressioni», viceversa, «consistevano in stati momentanei di ritiro» (305). Grazie alla
comprensione e all’accettazione, da parte dell’analista, del suo rapporto con la
parola, il paziente si anima a sufficienza da destare in sé la curiosità rispetto al
proprio comportamento e da interrogarsi e riflettervi insieme all’analista.
LA DIFFERENZA TRA I SESSI
A metà febbraio Winnicott interpreta l’angoscia provata dal paziente in occasione dello spostamento verso una situazione triangolare e il ricorso al sonno per
farvi fronte (41). L’analista collega il sentimento d’angoscia alla confusione del
Dottor A. rispetto alla differenza tra i sessi e a chi ha il pene… cioè lo stesso Dottor A., la sua ragazza, sua moglie, il suo analista. Queste angosce circolano nel
materiale portato in seduta e nelle associazioni del paziente. Il tema predominante nella prima analisi, cioè il desiderio di perfezione da parte del paziente, accompagnato dalla convinzione che la propria soddisfazione equivalga all’annichilimento dell’oggetto, proseguono parallelamente all’esplorazione di temi derivanti dai ricordi dei sogni adolescenziali di ragazze dotate di un pene e il ripresentarsi di questa fantasia nel suo rapporto con la moglie, la ragazzae l’analista.
Winnicott interpreta l’incapacità del paziente di entrare in contatto con l’odio per l’altro uomo nella situazione triangolare (15 febbraio), tema che diventerà sempre più oggetto di analisi durante il resto del trattamento. Le difficoltà
del paziente nei suoi rapporti con le donne e gli uomini sono esplorate con ciascuna di queste figure chiave, così come emergono nel transfert, e sono collegate alle loro origini che risalgono alle prime relazioni con la madre e il padre e
al rapporto tra i genitori. L’impoverimento della vita emotiva del Dottor A. si
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configura con evidenza, portandolo a una scoperta devastante su di sé: «Non
sono mai riuscito a diventare umano. Quest’opportunità mi è sfuggita» (122;
Caldwell, 2014).
Alla fine di marzo il paziente parla dei cambiamenti avvenuti in lui e dei problemi durante l’analisi, affrontando il nesso tra i problemi attuali e le questioni di
natura personale e sessuale. Winnicott risponde: «All’inizio non potevi manifestare alcun sintomo specifico, perché per sperimentare delle difficoltà sessuali
occorre in primo luogo aver raggiunto un certo stadio di sviluppo della personalità. L’analisi ti ha aiutato ad affermarti in quanto persona, perciò ora puoi affrontare i tuoi sintomi personali» (93). Questo cambiamento segnala anche che il
Dottor A. considera gli uomini dei rivali ed evidenzia la sua confusione rispetto
alle «ragazze dotate di un pene e di una vagina» (93). Per Winnicott, l’incapacità
di scegliere del paziente nasce da un’esperienza precoce di una figura genitoriale
combinata che ha finito per determinare «la tua difficoltà a trattare [tuo padre] da
uomo» (94). L’analista sviluppa tale chiave di lettura attraverso i vari modi in cui
il Dottor A. si serve di lui, citando la competizione e l’aggressività, gli esordi di
un transfert negativo e l’angoscia del paziente rispetto alla gelosia dell’analista,
che Winnicott collega a materiale recentemente portato in seduta rispetto al dentista, che era stato direttamente associato alla paura di castrazione del Dottor A.
«Dovevi elaborare le emozioni collegate all’eccitazione a livello della bocca e
all’idea che il dentista punisca il paziente in maniera diretta. A poco a poco hai
imparato a trattarmi come un essere umano rivale. A prima vista, sembri destinato a trionfare, ma è soltanto nella relazione con la ragazza che puoi avere la
meglio. […] La situazione con tua moglie è più complessa, […] accetti l’idea che
la relazione sessuale con tua moglie non abbia più alcun futuro. In altre parole,
accetti che la sessualità sia completamente messa al bando, lasciando così che sia
io a trionfare» (96). Il paziente descrive la moglie e Winnicott come rivali: «Se
dipendesse da lei, mia moglie non mi permetterebbe di venire agli incontri […]
Mia moglie è convinta che io identifichi il mio analista con una donna, una figura
materna». E Winnicott ne conviene: «Tua madre ti reclama, perciò tua moglie
non ha alcuna possibilità» ( 96-97).
Nella seduta successiva Winnicott riprende il problema dell’insoddisfazione
del Dottor A. quando ritrova la madre nelle sue donne e il timore della rivalità e
dell’amicizia con gli uomini. Il paziente racconta di avere ascoltato un brano di
Elgar e di essersi commosso, notando che le variazioni erano state scritte per
degli amici del compositore. Winnicott osserva che Elgar era capace di volere
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bene e di stabilire amicizie appassionate. Il paziente descrive il disinteresse della
sua ragazza per la musica – alla donna non interessa che il sesso e la medicina – e
teme che Winnicott potrebbe vietargli di fare sesso non solo con la moglie ma
anche con la sua ragazza. Winnicott commenta allora che il Dottor A. può vederlo
unicamente come qualcuno che «evitando di proibire, ti st[a] incoraggiando. […]
Non sei mai riuscito a considerare tuo padre un uomo da odiare, un rivale da
temere. Non è importante stabilire di chi è la colpa, se è tua, di tuo padre, o di
entrambi. Comunque sia andata, non hai avuto la possibilità di maturare» (99), e
collega ciò all’incapacità del paziente, quando aveva quindici anni, di piangere la
morte del padre. Nella seduta seguente, allorché il paziente racconta di annoiarsi
con la sua ragazza, Winnicott replica: «Nella situazione immaginativa sono io la
persona che ti ha proibito di far visita alla ragazza. Nella seduta precedente hai
espressoil timore che io potessi obbligarti a lasciarla. […] Sei costantemente alla
ricerca di un uomo che risesca a dirti “no” al momento opportuno. […] Mi permetti di svolgere questo ruolo, ma in minima parte» (106-107).
Dopo un’interruzione di tre settimane il Dottor A. racconta che stanno succedendo delle cose e si sente coinvolto, sul piano del contatto emotivo, con Winnicott. L’analista interpreta che la rivalità, un tempo tanto difficile, sta entrando più
direttamente nel transfert: «[…] hai avuto la sensazione che ti interrompessi a
metà, introducendo la fantasia dell’uomo che mutila il suo rivale. In precedenza
ammettevi soltanto la morte di uno dei due contendenti, perciò non ritenevi che
valesse la pena competere» (127). L’aperta rivalità del Dottor A. segnala che
adesso il paziente considera Winnicott pericoloso. «Si tratta della parola “impotenza”, che hai usato qualche giorno fa per descrivere il tuo stato, causato dalle
mie affermazioni. […] Venendo tu stesso all’incontro e stabilendo un contatto
con me, temi di essere mutilato» (131-132).
Quando il Dottor A. associa alla conclusione della storia extraconiugale e alla
sua volontà di terminare l’analisi, Winnicott commenta: «Si avvicina la fine della
seduta e a quel punto avrò realmente la possibilità di mutilarti. […] Penso che tu
abbia sperimentato le vacanze come una grave mutilazione del nostro rapporto».
Paziente: «Oggi mi capita di appisolarmi con una frequenza insolita. Penso
che sia collegato al discorso sulla perfezione di mio padre e sulla mia incapacità
di competere».
Winnicott scrive che il paziente sembra non avere sentito la sua interpretazione. Ciò nonostante, commenta: «La rivalità con tuo padre è pericolosa, in partico-
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lare se consideri anche il rapporto sessuale. Mi domando se riesci a concepire l’idea che tuo padre avesse una vita sessuale».
Il paziente risponde che la morte del padre fa apparire tutto futile. Winnicott
allora replica: «Può sembrare una cosa strana da dire, ma in questo momemto
credo che tu ti sia dimenticato che io sono vivo. Ora è giunto il momento di salutarci, la seduta è terminata» (132-133).
Le radici freudiane di Winnicott e la sua attenzione ai movimenti transferali riescono a comporre l’iniziale mancanza nel paziente della consapevolezza della funzione del terzo e quanto il riconoscimento di questa funzione comporta e favorisce,
cioè la necessità di rivaleggiare con una persona reale, il suo analista. La scoperta
del paziente del proprio istinto omicida può allora essere interpretata direttamente.
A fine maggio il paziente descrive la spontaneità della figlia paragonandola
alla propria esperienza. «Nessuno trovava il tempo per ascoltarmi, perciò preferivo stare zitto».
Winnicott: «A un certo punto hai cominciato a riflettere prima di parlare, in
modo che la gente imparasse ad apprezzare ciò che dicevi e la smettesse di prenderti in giro. Analogamente la balbuzie, la tua maniera di parlare trattiene intenzionalmente chi ti ascolta».
Paziente: «Comincio a provare una sensazione di esaltazione. Le emozioni
vanno e vengono. Riuscirò ad abbattere la barriera? Quando mi sarò allontanato a
sufficienza da essere al sicuro?» (Il paziente mette un piede per terra).
Winnicott: «Hai poggiato un piede a terra, forse hai pensato che fosse venuto
il momento di agire, per esempio andandotene via. Ecco un’espressione del tuovero Sé» (156-157). In seguito dirà che per il Dottor A. l’intellettuale è il suo falso
Sé (157).
All’inizio della seduta seguente (mercoledì 1 giugno) il paziente dice: «Per la
prima volta, è il mio vero Sé a essere qui. Alla fine della seduta scorsa non mi
sono reso conto dello scadere del tempo. Mi sono lasciato trasportare».
Winnicott paragona il ruolo del parlare in una fase precedente dell’analisi –
la parola usata come una conferma del paziente a se stesso – al ruolo del parlare in
quel momento. «[…] All’inizio il fatto che riuscissi a parlare aveva un’importanza di per sé, a prescindere dai contenuti. Parlare significa essere vivo, sveglio e
interessato al mondo» (162).
Dopo una pausa il paziente contribuisce condividendo un’intuizione importante: «Mi sento in ansia. Mi preoccupa la quantità di materiale che potrebbe liberarsi se riuscissi davvero ad abbattere la barriera. Ho paura di diventare volubile e
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incostante, distratto da ogni nuova emozione che si presenta e incapace di concentrarmi sulle sue interpretazioni perché troppo impegnato a parlare. Faccio
attenzione a evitare di parlare soltanto io, perché non vorrei che lei si stufasse di
ascoltarmi» (162).
In seguito il paziente continua a esplorare l’idea di interrompere l’analisi e di
avere dei pensieri che non necessariamente deve spartire con l’analista.
«Ogni minimo dettaglio della mia relazione con la ragazza è stato discusso in
analisi. Fin dal principio ho avuto l’impressione che la mia avventura appartenesse a Winnicott. Ora ho voglia di fare qualcosa per me stesso. Discutere le mie faccende in analisi limita la mia libertà d’azione nel mondo esterno».
Winnicott: «Dunque è questo ciò che intendi quando avanzi l’ipotesi di non
venire più. Desideri scorpire chi sei veramente».
Paziente: «Prima svisceravo qualsiasi argomento e non avevo alcun desiderio
di segretezza».
Analista: «Il problema è che non disponevi di uno spazio mentale dove collocare i segreti».
Paziente: «La sfera intellettuale era semplicemente uno spazio di discussione, non un luogo dove poter nascondere i segreti».
Analista: «La tua personalità sembra essere emersa. Ora riesci a coglierre la
differenza tra realtà interiore e realtà esterna» (167).
Qui la risposta di Winnicott anticipa il suo articolo «La sede dell’esperienza
culturale», in cui affronta la questione di avere un luogo dove collocare ciò che si
scopre (1967). La consapevolezza del Dottor A. di un interno ed un esterno e il
senso della differenza da cui tale consapevolezza dipende si sono sviluppati in
analisi.
Nelle sedute successive vengono esaminati tutti gli usi che il Dottor A. fa della parola e dei legami della parola con i suoi stati emotivi, i limiti alla sua spontaneità imposti da tre sole sedute settimanali e l’impatto di tale frequenza sulla sua
possibilità di parlare o meno e sul suo timore di rifiutarsi di parlare in segno di
protesta. «Se agisco sul piano emozionale, pretendo il diritto di poter vernire
quando ne ho voglia, così come mi rifiuto di cominciare a parlare immediatamente soltanto per adeguarmi a orari che non mi soddisfano. Il mio timore è poter trascorrere l’intera seduta in silenzio in segno di protesta».
Winnicott: «Ci tieni a farmi sapere che non vorresti essere qui, perciò sei
venuto apposta per dirmelo».
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Paziente: «Se non mi metto a parlare subito, ho la netta sensazione che non ci
riuscirò fino alla fine dell’ora. Il mio nervosismo cresce a ogni istante che passa.
Un altro motivo per cui sento il bisogno di parlare è che non mi piace perdere
tempo, benché sia uno spreco anche parlare di banalità. […] Mi piacerebbe poter
instaurare un rapporto in cui non fosse necessario parlare.Oppure immagino una
babele di suoni, parole e frasi pronunciate alla rinfusa, ma mi rendo conto che
non servirebbe a nulla. È ciò che accade con mia moglie. Provo a essere spontaneo e a comunicarle tutte le idee che mi vengono in mente, ma il risultato è un’inutile accozzaglia di pensieri. La mia loquacità sembra innaturale e falsa. Tutti i
miei sforzi per essere brillante e comunicativo creano soltanto una gran confusione. Per questo forse le persone smettono di interessarsi a me. Potrebbe accadere
anche durante le sedute se lei non riuscisse a comprendere le idee espresse in
maniera troppo confusa. Per questo cerco di ponderare bene le mie parole» (169).
Quando il Dottor A. desidera parlare come sua figlia, senza preoccuparsi di
pronunciare parole sensate, Winnicott si chiede se qualcuno gli abbia mai permesso di essere incomprensibile da piccolo. A tale interrogativo il paziente
risponde: «Può darsi che io venissi sgridato perché dicevo sciocchezze, probabilmente da mio padre, che mi definiva un chiacchierone» (170).
Quando Winnicott coglie nel transfert l’angoscia rispetto all’opportunità di
evitare di parlare come un bambino, il paziente spiega di volersi distanziare dall’approccio intellettuale, ma la sola strada possibile è addormentarsi. Winnicott
replica: «È il suo vero Sé ad addormentarsi» (170). Qui la scelta interpretativa
non verte sull’oggetto, su Winnicott, o sull’effetto che ciò possa avere su di lui,
ma piuttosto sull’unico modo di essere soggetto che il paziente può permettersi
in quel momento. Winnicott sottolinea i movimenti del paziente verso un’espressione di sé e la necessità dell’esistenza di uno spazio privato interno a tal
fine. Secondo Winnicott si tratta di un’acquisizione preziosa e fondamentale del
Dottor A.
Rispetto alla decisione del paziente di fare domanda per un lavoro che lo
costringerebbe a concludere l’analisi o a riorganizzare gli orari delle sedute, che
Winnicott interpreta anche come un movimento verso l’indipendenza e l’inizio
della capacità di decidere qualcosa da solo, le sedute evidenziano sempre più
l’interesse crescente del paziente ad approfondire il suo modo di presentarsi, il
suo modo di parlare/non parlare, venire/non venire (all’incontro) e i possibili
significati del frequente addormentarsi in seduta.
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La riflessione su chi dà inizio alla seduta e l’individuazione della sua responsabilità in questo ambito è un’area d’indagine sollevata dal paziente. Anche qui
Winnicott collega il tema ai primi stadi dello sviluppo infantile, quando la madre
prevede i bisogni del neonato senza che il bambino debba segnalarli. Questa
seconda analisi ha determinato il riconoscimento da parte del paziente della sua
disperazione, ma gli ha anche consentito l’accesso alla capacità di generare, per
quanto angosciosamente, un Sé emergente, che sorge proprio attraverso il processo analitico. Questo Sé inizia a mostrare interesse per i sintomi del paziente,
per il comportamento verso se stesso e il suo analista e per i sentimenti che li
accompagnano. I vari significati del parlare e dei modi di parlare concepiti dal
Dottor A. vengono collegati a un mondo interno in cui una forma di discorso
intellettuale, cognitivo, anaffettivo si è sviluppata precocemente come risposta
difensiva al modo in cui era stato accolto in uno stadio precedente del suo sviluppo. Per affermare un Sé in contrasto con questo falso Sé intellettuale, il Dottor A.
si addormenta. Winnicott interpreta questa propensione a proteggere tutti salvando il mondo: «Se non ti allontanassi, tutti morirebbero» (174). Il Sé giovanissimo
del Dottor A., il suo Sé adolescente e il paziente che si addormenta in seduta si
uniscono nell’inconscio stabilendo un nesso affettivo secondo il quale: «non parlare equivale a uccidere» (176). Questi pattern comportano anche delle modalità
consolidate tese a stabilire un contatto con l’altro, purché non sia un contatto
eccessivo, inizialmente per timore dell’indifferenza altrui e poi, sempre di più,
per la consapevolezza dell’inesperienza e dell’ignoranza del paziente quando si
tratta di rivolgersi spontaneamente all’altrosenza dover costantemente ponderare
il contenuto e doversi sentire accettato o respinto. Dietro tutte queste paure giace
la disperazione del paziente rispetto all’essere amato così com’è e alla sua crescente consapevolezza dell’avere assunto e coltivato un Sé intellettuale per fronteggiare difensivamente questa paura. Il Dottor A. immagina che fin dall’età di
cinque anni il suo desiderio fu sempre quello di crescere in fretta.
Winnicott vede nella nascita della sorella e nell’inizio della scuola – una
scuola privata gestita dalla madre a casa – un contributo rilevante al ritiro del
paziente. Il paziente spiega che è sempre fuggito o ha desiderato farlo, sia da
bambino sia in seduta, e nei momenti in cui è silenzioso. Quando esprime nuovamente il desiderio di riuscire a parlare come sua figlia, che non deve necessariamente esprimersi in modo intelligibile, Winnicott coglie quanto sia evidente l’inesauribile bisogno del Dottor A. di essere sensato e chiaro, un bisogno che probabilmente nasce dal fatto che egli non ha avuto quello di cui sua figlia invece
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può godere. Il costante flusso di parole viene interpretato come un modo per controllare sentimenti inaccettabili e tenere le distanze dall’analista e da chiunque
altro, come se fosse l’enactment di ciò che ci si aspetta da lui, un’aspettativa
esterna che è stata interiorizzata e poi irrigidita.
Il paziente comincia a riconoscere meglio l’irritazione e la rabbia e quest’ultima viene a collegarsi al suo sentimento alternativo, la disperazione, e al timore
della propria capacità distruttiva. Quando il paziente esprime il desiderio di mettersi prono in seduta, Winnicott commenta che egli parte dal presupposto che l’analista glielo abbia vietato (172). Il Dottor A. allora rievoca le sue paure, intorno
ai dodici anni, a stare disteso supino perché equivaleva a giacere in una bara. L’analista gli rammenta che nella prima analisi un sintomo importante, poi superato,
era stata l’incapacità di restare disteso e tollerarne l’angoscia. Allora era statointerpretato correlandolo ai suoi timori di annichilimento, tramite la soddisfazione
per un nutrimento da parte di una madre perfetta che gli aveva impedito di sapere
che, aspettando un po’, il desiderio sarebbe ritornato e con esso anche l’oggetto
del desiderio.
Winnicott evidenzia l’accresciuta capacità del paziente di accogliere questo
aspetto e il Dottor A. risponde dicendo che la prima analisi era stata, cronologicamente, più prossima al suo Sé dodicenne e quindi più spaventosa. Il padre aveva
sviluppato la malattia che lo avrebbe ucciso proprio in quegli anni. Winnicott
accenna al bisogno del paziente di proteggere il padre dalla sua rabbia e dalla sua
furia, sentimenti normali in ogni adolescente che però, nel suo caso, erano stati
bloccati date le condizioni di salute del padre. Sebbene il padre fosse morto prima
che il paziente cominciasse l’analisi, il Dottor A. non aveva accettato quella morte. Winnicott interpreta: «Non potrai realmente accettare la morte di tuo padre
finché non riuscirai a elaborare la tua rabbia e a dimenticare di aver sognato di
ucciderlo. Lo hai dovuto proteggere perché era malato. È la tua protezione che lo
ha tenuto in vita per tutto questo tempo» (173).
DOVE ESSERE
Il Dottor A. continua a insistere che il suo silenzio è improduttivo, ma inscena
il suo dilemma: «Non è possible portare in seduta il desiderio di non venire» (176).
Il 4 marzo parla della fantasia di non venire in seduta, che Winnicott interpreta come materiale per la seduta, proprio perché il paziente in realtà si è presentato
all’appuntamento. Il Dottor A. allora dice: «Se non fossi venuto avremmo spreRivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2
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cato quest’occasione. Inoltre, saltando questo incontro avrei reso ancora più lungo l’intervallo tra le sedute. Mi sarei comportato in maniera poco professionale,
dimostrando così di non prendere sul serio l’analisi».
Winnicott non si lascia colpire da queste parole deferenti per concentrarsi
viceversa sulla ricerca della spontaneità e del sentire. «Stai cercando di imparare
a comportarti in maniera impulsiva e non presentandoti avresti reso ancor più
reale il fatto di venire all’incontro. Se si tratta di una faccenda professionale, non
è l’istinto che ti spinge a venire» (67). Questo dialogo si presta a molte interpretazioni possibili dell’apparente consapevolezza del paziente e del suo sentimento
rispetto a un’interruzione, ma Winnicott è in sintonia con un livello più profondo:
il desiderio, oggetto della ricerca del paziente, è fondamentale.
Nella seduta di giugno il Dottor A. si rende conto di un ulteriore elemento: «Il
silenzio esprime, almeno in parte, il mio bisogno di tener fuori dall’analisi alcuni
sentimenti» (176). «Comincio a scoprire la finalità dei miei silenzi. Ho sempre
considerato questo sintomo una seccatura, ma lei mi ha spinto a riflettere sulla
sua potenziale utilità. Il silenzio nascondeva qualcosa. Soltanto ora sono davvero
convinto di quello che dico e riconosco l’importanza del silenzio» (177).
Dopo una pausa aggiunge: «Sono rimasto per un po’ in silenzio perché ora mi
rendo conto che talvolta anche non parlare può essere utile. Non mi va di parlare a
vanvera. In passato mi sono sforzato fin troppo di trovare sempre qualcosa da
dire». [Silenzio] «Se non attacco subito a parlare, ho paura di non riuscire più a
cominciare e di addormentarmi. Non posso fidarmi del silenzio».
Winnicott: «Nel tuo silenzio c’è qualcosa di reale: emerge il tuo vero Sé.
Mentre quando parli a vanvera non sei sicuro della tua esistenza, o della mia»
(178-179).
Verso il termine della seduta il paziente dice: «È molto difficile non parlare. È
pericoloso, sembra che non accada nulla. Lei lo trova davvero utile? Non parlare
è troppo facile. Mi viene in mente che ieri, mentre andavo via, ho pensato: vale la
pena continuare se il risultato che ottengo è non parlare più?» Winnicott replica:
«Questo concetto si ricollega all’idea di essere amato soltanto a determinate condizioni. Oppure all’idea che qualcuno ti ami perché ci tiene alla tua esistenza»
(179-180).
Nelle sedute successive vi è una continua alternanza di furia e disperazione,
ma Winnicott collega la furia alla deprivazione, sostenendo che il paziente ha
effettivamente sperimentato la deprivazione nelle ultime sedute. All’affermazione del Dottor A. che: «La rabbia è più utile e meno negativa della disperazione»,
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Winnicott replica che la rabbia è preferibile perché fa sentire il paziente più reale,
anche se è pericolosa per l’analista. Il paziente ribatte: «La collera implica un
oggetto, mentre se sei disperato non hai più aspirazioni» (185). Poi prosegue
dicendo che dovrebbe perseguire cose nuove: «Penso che a questo punto dovrei
cominciare a pensare allo stadio successivo e a come sfruttare le scoperte recenti». Invece di interpretarle come un’evasione, Winnicott legge queste parole più
positivamente, sostenendo che il paziente può pensare alla fase successiva perché
è consapevole dell’«idea che, nel qui e ora, io provi affetto nei tuoi confronti […].
Mi riferisco a un amore incondizionato e senza riserve, che coincide con la mia
capacità di identificarmi con te» (185-186).
Un altro dialogo lo porta a dire: «Dunque siamo giunti al punto di riconoscere il significato positivo del silenzio. Inteso come espressione dell’idea che debba
essere io a dare inizio alla terapia» (186). Il paziente è d’accordo sul fatto che
spesso vuole che Winnicott parli per primo. Ma l’analista ribatte: «Quando vuoi
che sia io a esordire, non è utile che io cominci davvero, perché mi limiterei a soddisfare un tuo desiderio. Per adattarmi al tuo bisogno, devo accostarmi a te con
amore prima che tu prenda coscienza del bisogno» (186). In questo materiale
Winnicott ritorna allo sviluppo emotivo precedente del Dottor A. e alla sua teoria
della presenza della madre per il bambino prima che il bambino sia in grado di
essere presente per se stesso e come condizione necessaria a tale presenza. Ancora una volta il caso clinico veicola l’esperienza del movimento psichico tra stadi
di sviluppo che costituisce il processo analitico.
Secondo il paziente le donne si accostano sempre a lui per prime. Winnicott
collega ciò all’incapacità iniziale della madre del paziente di identificarsi appieno
con suo figlio infante e sottolinea come questo prosegue nel transfert. «Nello stesso
modo anch’io sono coinvolto nel processo della tua analisi che implica una regressione alla dipendenza infantile e una nuova crescita emozionale. Puoi ricominciare
a esistere soltanto se anch’io accetto di partecipare a questi processi» (187).
Nelle ultime settimane di analisi tali temi vengono approfonditi così come la
rivalità del paziente nei confronti di altri uomini e il loro omicidio sul piano fantasmatico. Il Dottor A. interroga ostinatamente Winnicott sulla possibilità di lasciare l’analisi. L’analista infine afferma che sarebbe utile poter continuare a esplorare meglio queste tematiche, insistendo però che la decisione deve essere del
paziente e che il fatto stesso di prendere una decisione rappresenta di per sé un
progresso. Il Dottor A. non tornò più in analisi. Scrisse a Winnicott nell’aprile
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successivo per aggiornarlo brevemente e ringraziarlo. Winnicott gli scrisse alla
fine degli anni sessanta e il paziente gli rispose con una lunga lettera.
Acquisendo maggiore consapevolezza del proprio senso del Sé, per mezzo
del crescente riconoscimento della sua assenza e della profonda disperazione alla
sua origine, lo scambio analitico si concentra maggiormente sulle tematiche edipiche. I rapporti con il padre e la coppia genitoriale nella prima infanzia si erano
ulteriormente congelati nell’adolescenza per via della malattia e della morte del
padre. Il riconoscimento della qualità, profondamente impoverita, delle sue relazioni e delle sue modalità di gestire il conflitto interno ricorrendo all’evasione e
all’evitamento si palesano al Dottor A. con sempre maggiore evidenza grazie alla
curiosità crescente rispetto al suo comportamento con l’analista: parlare in continuazione e addormentarsi. L’accogliere questi comportamenti estremi da parte di
Winnicott segnala una sensibilità acuta nei confronti del paziente e una chiarezza
circa le sue idee sulla tecnica.
L’interpretazione connota con forza questa analisi, e il declinarsi delle
sedute sembra essere determinato da una sicura valutazione clinica e dalla
volontà dell’analista di procedere al passo del paziente. «L’analista segue il
principio basilare della psicoanalisi, è l’inconscio del paziente a guidare e dobbiamo limitarci a seguirlo» (1955, in 1987, 302). Prima di poter procedere
all’analisi delle difese, per esempio dall’angoscia, l’Io del paziente deve essere
sufficientemente sviluppato da «sperimentare gli impulsi dell’Es e sentirsi reale nel farlo» (303).
Sostenere e interpretare offre un terreno fertile per una riflessione sull’analisi e l’andamento del percorso analitico, su quanto si dice, quanto può avere da
offrire ogni seduta, che tipo di relazione si stabilisce grazie all’illusione transferale, ciò che viene reso possible e, aspetto altrettanto rilevante, ciò che non viene
reso possibile. Il titolo richiama subito l’attenzione al ruolo che il fare e l’essere
giocano all’interno di un’analisi e ai pesi molto diversi da assegnare a queste due
posizioni in tipi di analisi differenti con pazienti diversi. Suggerisce inoltre che la
dicotomia interpretazione/assenza di interpretazione può essere falsa dal punto di
vista del declinarsi del lavoro analitico e di come lavorava lo stesso Winnicott,
che divenne sempre più cauto nell’impiego delle interpretazioni. Un’attenta lettura di questo testo evidenzia lo spazio che un’analisi permette, pur sollevando
continuamente interrogativi sul progetto analitico, sul percorso analitico presentato, su come noi stessi facciamo analisi: è un testo della nostra storia che merita
di essere oggetto delle nostre riflessioni attuali.
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In risposta al paziente che si interroga perché l’analista faccia proprio quel
mestiere e che cosa ci trovi in quel lavoro, Winnicott dice:
Paragonando il lavoro dell’analista a quello del medico, hai notato una differenza.
Il medico tratta la malattia, e se riesce a curare il paziente il suo lavoro è terminato.
Al contrario, l’analista deve sperimentare un sentimento positivo nel rapporto con il
paziente, sentimento che non si esaurisce con la cura della patologia. La preoccupazione per l’esistenza di questo essere umano è alla base del desiderio dell’analista
di curare il suo paziente (187)
Per Winnicott è l’ambiente di holding fornito dall’analisi che permette al
Dottor A. di accostarsi alla capacità di sperimentare un’emozione anziché osservarla o commentarla, generando un cambiamento nella sua capacità di vivere, di
essere vivo. In questa analisi la valutazione del fallimento ambientale nella primissima fase dello sviluppo offre la cornice in cui la forma e il contenuto delle
interpretazioni, accompagnate dall’interesse per il comportamento concreto del
paziente – addormentarsi, poggiare un piede a terra, portare la mano al volto –
sono collegate alle parole pronunciate dallo stesso paziente e al modo in cui sono
intese nel transfert.
Winnicott ha finito per essere associato all’interesse per l’immaginazione e
per la vita della mente più in generale, che ha trovato l’espressione più elaborata
in Gioco e realtà ma, come suggerisce Murray Schwarz, «il suo lavoro ci invita a
costruire la capacità dell’immaginazione psicoanalitica» che sembra nascere da
un interesse per la salute e gli attributi dell’individuo sano, insieme alla convinzione che la psicoanalisi rappresenta un modo per accostarvisi e offrire una chiave di comprensione più profonda. «Qual è il senso della vita?», s’interroga Winnicott alla fine della sua vita. «Tu puoi curare il tuo paziente e non sapere che cosa
è che lo fa continuare a vivere. È d’importanza capitale per noi riconoscere apertamente che l’assenza di malattia psiconevrotica può essere sanità, ma non è
vita» (1967, 172).
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SINTESI E PAROLE CHIAVE
Si tratta della discussione di taluni aspetti del caso clinico di Winnicott descritto in Holding and Interpretation (1986), il resoconto dettagliato degli ultimi sei mesi di un trattamento analitico condotto
negli anni Cinquanta del Novecento in cui si elabora la distinzione winnicottiana tra «regressione
alla dipendenza» e «ritiro» e si sostiene che sia l’holding sia l’«interpretazione» sono fondamentali in
ogni analisi. Le elaborate interpretazioni di Winnicott, considerate appropriate per il paziente, smentiscono l’idea di un Winnicott restio rispetto alla formulazione di interpretazioni. La storia clinica del
caso dimostra come tutti gli interventi analitici si radicano in un momento e un luogo specifici. L’autrice apre aree di discussione sulle annotazioni prese in seduta, sulla base teorica di tutto il lavoro
analitico e sulla necessità di accettare i limiti del paziente. Le radici freudiane di Winnicott e la centralità del complesso di Edipo, accompagnate dai suoi interessi rispetto al costituirsi assai più precoce di
un Sé capace di confrontarsi con gli impulsi derivanti dalla sessualità infantile e dall’aggressività, si
intrecciano durante l’intero trattamento, che Winnicott considerò riuscito.
PAROLE CHIAVE: Amore, holding, interpretazione, regressione, ritiro.
HOLDING AND INTERPRETATION: WINNICOTT AT WORK. This article discusses some aspects of
Winnicott’s case history Holding and Interpretation (1986), a detailed account of the final six
months of an analytic treatment carried out in the 1950s, which elaborates Winnicott’s distinction
between «regression to dependence» and «withdrawal», arguing for both «holding» and «interpretation» as fundamentals of any analysis. The elaborate interpretations Winnicott regarded as
appropriate to this patient counter the idea of him as wary of nterpretation. The case history
demonstrates the grounding of all analytic interventions in a specific time and place; it offers areas
of discussion about note-taking in sessions, the theory-laden basis of all analytic work, and the need
to accept the patient’s limits. Winnicott’s commitment to Freud and the centrality of the Oedipus
complex, as well as his own interests in the much-earlier establishment of a self able to confront
impulses deriving from infantile sexuality and aggression, are interwoven throughout a treatment
he regarded as successful.
KEY WORDS: Holding, interpretation, love, regression, withdrawal.
HOLDING ET INTERPRÉTATION: LE TRAVAIL DE WINNICOTT. Il s’agit de l’examen de certains
aspects du cas clinique décrit chez Holding et interprétation de Winnicott (1986 ), le compte rendu
détaillé des six derniers mois d’un traitement psychanalytique menée dans les années cinquante du
XXe siècle, dans lequel Winnicott élabore la distinction entre «régression à la dépendance» et
«retrait» et soutient que soit le «holding» soit la «interprétation» sont fondamentaux dans toute
analyse. Les interprétations élaborées de Winnicott, considéreés comme appropriées pour le
patient, démentent l’idée que Winnicott aurait été réticent à la formulation d’interprétations. L’histoire clinique du cas montre que toutes les mesures analytiques sont enracinées dans un temps et
lieu précis. L’auteur ouvre des espaces de discussion sur des notes prises en séance, sur la base théorique de tout le travail d’analyse et la nécessité d’accepter les limites du patient. Les racines freudiennes de Winnicott et la centralité du complexe d’Œdipe, accompagnées de ses intérêts concernants la constitution très precoce d’un Soi capable de traiter les pulsions résultantes de la sexualité
infantile et l’agressivité, sont étroitement liées dans l’ensemble du traitement, que Winnicott
considéra comme un succès.
MOTS-CLÉS: Amour, holding , interprétation , régression , retrait.
HOLDING AND INTERPRETATION: WINNICOTT TRABAJANDO. Se trata de la discusión de unos
aspectos del caso clínico descrito por Winnicott en Holding and Interpretation (1986), la relación
detallada de los últimos seis meses de un tratamiento analítico llevado en los años cincuenta del
Novescientos, en el cual se elabora la distinción que hace Winnicott entre «regresión a la dependencia» y «retiro», sustentando el hecho de que sea el «holding» sea la «interpretación» sean fundamentales en cada análisis. Las elaboradas intuiciones de Winnicott, consideradas apropiadas para el
paciente, desmienten la idea de un Winnicott renuente con respecto a la formulación de interpreta-
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ciones. La historia clínica del caso demuestra como todas las intervenciones analíticas radican en un
momento y en un lugar específicos. La Autora abre áreas de discusión sobre las notas tomadas en
sesión, con su teoría basada en todo el trabajo analítico y en la necesidad de aceptar los límites del
paciente. Las raices freudianas de Winnicott y la importancia clave del complejo de Edipo, junto con
sus intereses concernientes la constitución más precoz de un Self capaz de enfrentarse con los
impulsos derivantes de la sexualidad infantil y de la agresividad, se entrelazan a lo largo de todo el
tratamiento, que según Winnicott resultó exitoso.
PALABRAS CLAVE: Amor, holding, interpretación, regresión, retiro.
HOLDING AND INTERPRETATION: WINNICOTT AN DER ARBEIT. Es werden einige Aspekte des klinischen Falles von Winnicott behandelt, der in Holding and Interpretation (1986) beschrieben ist; in
diesem dettaglierten Bericht der letzten 6 Monate einer analytischen Behandlung, die in den Fünfziger Jahren des 19. Jahrhunderts stattfand, wird die winnicottianische Unterscheidung zwischen
«Regression zur Abhängigkeit» und «Zurückziehung» aufgearbeitet und behauptet, dass sowohl
«Holding» als «Interpretation» in jeder Analyse grundlegend sind. Die aufgearbeiteten Interpretationen von Winnicott, die als geeignet für den Patienten gelten, widerrufen die Idee über Winnicott,
den man als widerwillig bezüglich der Formulierung von Interpretationen ansah. Das klinische Fallbeispiel beweist wie alle analytischen Eingriffe in einem Moment und spezifischen Ort verwurzelt
sind. Die Autorin eröffnet Diskussionsbereiche bezüglich der während der Sitzung notierten Anmerkungen, über die theoretische Grundlage der gesamten analytischen Arbeit und über die Notwendigkeit, die Grenzen des Patienten zu akzeptieren. Die freudschen Wurzeln von Winnicott und die
Zentralität des Ödipuskomplexes, verbunden mit seinem Interesse, bezüglich der sehr frühen Bildung des Selbst, dem es gelingt sich mit den Impulsen zu konfrontieren, die aus der infantilen
Sexualität und Agressivität stammen, verflechten sich während der ganzen Behandlung, die Winnicott als gelungen ansah.
SCHLÜSSELWÖRTER: Holding, Interpretation, Liebe, Regression, Zurückziehung.
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4 Lidfield Road
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e-mail: [email protected]
(Traduzione di Isabella Negri)
Rivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2