Montagna affogata nella pioggia

Cultura e Società
l'Adige
VALLARSA
Tra arte
e scienza
sabato 2 agosto 2014
«Tra le rocce
e il cielo» dedica
una giornata
ai cambiamenti
del clima, incluse
istruzioni per l’uso
Il CONCERTO
Daniel Harding
fa vibrare
la Gustav Mahler
EMILIA CAMPAGNA
Q
Montagna
affogata
nella pioggia
RENZO M. GROSSELLI
N
on poteva esserci
stagione migliore
per dedicare una
kermesse, tra arte
e scienza, ai
cambiamenti climatici,
cercando anche di fornire
delle «istruzioni per l’uso»
visto che ormai (quasi) tutti
siamo convinti che il clima
mondiale sia stato
definitivamente
compromesso dagli eccessi
umani. Lo ha fatto «Tra le
rocce e il cielo» che offrirà agli
interessati una miriade di
incontri, mostre, spettacoli e
momenti di riflessione tra il
21 ed il 24 agosto, come
sempre in Vallarsa (la terra di
Fiorenza Aste e Mario
Martinelli che sono l’anima
della manifestazione). La
«giornata della montagna» di
sabato 23 agosto sarà però
dedicata specificamente ai
mutamenti del clima e agli
ormai improcrastinabili
nuovi modi di vivere nei
territori montani. E così dal
Museo delle scienze, che ha
studiato le stalagmiti e le
stalattiti nella nostra terra,
verremo a sapere come è
cambiato il clima negli ultimi
mille anni e il meteorologo e
climatologo Luca Mercalli
(nella foto piccola), il viso
televisivo più famoso per
quanto riguarda le previsioni
del tempo, ci darà qualche
dritta per cercare di fare il
minor male possibile al
nostro Pianeta che sta
soffrendo. Mentre la
Protezione civile
comunicherà ai convenuti
come si sta preparando a
quelle manifestazioni
climatologiche estreme a cui,
nel mondo, la gente deve
abituarsi dopo che il clima
del Pianeta si è, per così dire,
guastato.
«Quest’anno abbiamo deciso
- afferma Fiorenza Aste - di
organizzare il Festival attorno
ad alcuni filoni. Uno di questi
sarà appunto dedicato ai
cambiamenti climatici, a cui
dedicheremo la giornata di
sabato 23 agosto in cui, al
Teatro S.Anna, si terrà un
convegno dal titolo “Abitare
la montagna che cambia.
Mutamenti climatici e nuovi
modi di vivere le Alpi”. Al
mattino cercheremo di capire
come si può portare in
montagna la gente con il
minimo di impatto ecologico.
Nel pomeriggio ci
concentreremo sui
cambiamenti climatici: con i
ricercatori del Muse Marco
Avanzini e Christian Casarotto,
e Roberto Barbiero
dell’Osservatorio trentino sul
clima, si parlerà di indagini
condotte sul nostro
territorio. Ad esempio, si è
cercato di capire
l’andamento del clima da noi
negli ultimi mille anni,
studiando le stalattiti e le
stalagmiti nelle nostre grotte
e mettendo il risultato a
confronto con l’andamento
secolare della monticazione.
Ma anche dando conto
dell’arretramento
drammatico dei nostri
ghiacciai». Avete però anche
coinvolto la Protezione civile
trentina. «Sì, i responsabili ci
diranno come ci si sta
preparando per affrontare
eventuali disastri». Sì, perché
è inutile fare gli scongiuri, le
bombe d’acqua che creano
drammi in Versiglia, e Liguria
ma anche in città tedesche e
polacche, e le trombe d’aria
che funestano la Pianura
Padana non possiamo
sempre sperare che girino
lontane da noi. «Abbiamo
invitato anche gente
dell’Alleanza delle Alpi e
dell’Eurac Convenzione delle
Alpi per capire come i
Comuni del territorio alpino
possano cercare di mitigare
al massimo gli effetti del
cambiamento climatico, con
quali politiche virtuose». Poi
Mercalli. «Con un titolo a suo
modo poetico: “La montagna
e i cambiamenti climatici: il
canarino nella miniera?”. Il
clima sta cambiando dopo
aver dato segnali precoci e
precisi in questo senso. Con
questi segnali, che mano a
mano si fanno più forti,
dobbiamo per forza fare i
conti per cercare di
«Il canarino
nella miniera»
di Luca Mercalli,
come minimizzare
i danni a venire
minimizzare i danni».
Naturalmente «Tra le rocce e
il cielo» non parlerà solo di
clima. «Sono altri due i filoni
che interessano questa
edizione del Festival. -
GRANDE GUERRA, CINQUE MOSTRE
Oggi alle 17.30 al Teatro Tenda del campo sportivo di
Raossi, «Tra le rocce e il cielo» propone l’inaugurazione di
cinque mostre, legate tutte al tema della Grande guerra di
cui cade quest’anno il centenario dallo scoppio. Le mostre
saranno poi visitabili fino al 31 agosto in orario 10-12 e
15.30-18.30, tutti i giorni escluso il lunedì. Queste le
esposizioni: «Figure bambine. La Grande guerra nelle
illustrazioni e nei fumetti tra propaganda e memoria»
(Museo Storico di Trento), «Abbasso la guerra. Persone e
movimenti per la pace dall’’800 ad oggi» (a cura di
Francesco Pugliese), «La Vallarsa di carta. Le immagini del
territorio nella Grande guerra sulle mappe del Genio militare
italiano» (Gruppo alpini Vallarsa), «Sentiero di pace. 19142014, viaggio lungo il fronte restituito alla natura» (Massimo
Falqui Massidda) e «La Grande guerra e la memoria del
territorio sul sentiero della pace» (Paolo Fabbro).
ribadisce Aste - Il tema di
venerdì 22 saranno le Lingue
madri. Tra altre iniziative
quel giorno, sempre al Teatro
S. Anna, proporremo il
convegno “Identità in bilico.
Narrare il mondo con gli
occhi delle etnie respinte”.
Vogliamo dibattere sul come i
gruppi minoritari si
confrontano, ed hanno o
meno dei problemi nel farlo,
con lo Stato nazione. Al
mattino, in una tavola
rotonda coordinata da
Annibale Salsa, metteremo a
confronto i rappresentanti
delle lingue-madri d’Italia: dai
cimbri, ladini e mocheni del
Trentino agli occitani ed ai
walser di altre zone alpine. Al
pomeriggio si terrà la
proiezione del film “The
leaving” del tibetano Nodreng,
l’incontro con Wolftraud de
Concini sulla sua storia di
profuga tedesca dei Sudeti,
l’incontro col poeta curdo, in
Turchia, Mehmet Altun mentre
Antonia Arslan parlerà del
primo genocidio del XX
secolo, quello degli armeni».
La giornata di domenica il
Festival la dedicherà alla
storia. Solo per riferirci ad
alcuni appuntamenti,
Riccardo Decarli e Fabrizio
Torchio presenteranno il loro
libro «Ad est del
Romanticismo» e si terrà la
premiazione del Concorso
fotografico «Abitare la
montagna». «In seguito
proporremo il recital-Tavola
rotonda “Donne nella
tempesta. Voci femminile
durante la Grande guerra”
con Luciana Palla, Rosanna
Cavallini e Francesco De Nicola
mentre a sera proietteremo il
film “Cesare Battisti. L’ultima
fotografia” di Clemente
Volpini, prodotto dalla Rai in
collaborazione co Museo
Storico di Trento».
Camminando a ritroso, «Tra
le rocce e il cielo» la giornata
di apertura, giovedì 21, la
dedicherà sostanzialmente
alla «Via dei mulini», progetto
ideato e curato dalla
Associazione Elementare: tra
fotografie, danza, teatro e
altro, passando attraverso la
descrizione degli 11 mulini
che in passato si trovavano
lungo le rive del fiume Leno
(progetto di catalogazione di
Marco Malossini). Intanto oggi,
«Tra le rocce e il cielo» (vedi
sotto) per «In Cammino verso
la pace. Viaggi attraverso la
Grande guerra» propone
l’inaugurazione di cinque
mostre sull’argomento e
presenta un progetto,
«Pellegrinaggio civile sul
Sentiero della pace» della
Fondazione campana dei
caduti.
Libri | Non solo scalatore ante litteram ma anche esploratore e pittore. E un grandissimo dongiovanni
Von Payer vincitore dell’Adamello
DENISE ROCCA
D
i Julius von Payer in Trentino
si conoscono le imprese alpinistiche, si sa dell’esploratore polare, ma molto poco del
pittore e dell’uomo che fu. Proprio di questi aspetti del conquistatore,
150 anni fa, della cima dell’Adamello, si
occupa una nuova biografia - «Julius von
Payer. Alpinist - Polarforscher - Maler» (Tyrolia) - destinata ad uscire nel 2015, in occasione del centenario della morte dell’alpinista e presentata in anteprima a Carisolo, Rendena, all’interno della manifestazione «Sui passi dei grandi pionieri».
«Le eccezionali imprese alpinistiche e polari di Payer sono generalmente note spiega l’autore, Frank Berger, funzionario
del museo storico di Francoforte - ma
l’aspetto al quale si bada meno è che si
svolsero in un arco temporale di soli 12
anni. Rimangono altri 40 anni di vita da
allora. Questi formano il contenuto di metà del mio libro». Tre vite per un solo uomo: la prima come alpinista quando, a 23
anni Payer arrivo per primo in cima all’Adamello, la seconda come esplorato-
re polare che lo vide scopritore di Terra
Francesco Giuseppe, un pezzo di Groenlandia fra la Norvegia e il Polo Nord, e la
terza come uomo di cultura, pittore delle esplorazioni polari di John Franklin e
scrittore di quello che diventerà un best
seller nell’Austria del tempo, dedicato all’impresa in Groenlandia.
Nella sua prima esistenza, quella di alpinista, in soli cinque anni, dal 1864 al 1869,
intraprese cinquanta salite, descrivendole in cinque libri, fra queste anche quella dell’Adamello. Sotto l’aspetto cartografico, il gruppo Adamello- Presanella
era praticamente inesplorato, anche se
i primi passi sulla montagna della Rendena li avevano fatti tra il 1862 e il 1864
personaggi del calibro di Anton von Ruthner, Carl Sonklar, John Ball, Peter Günther Lorentz e Albert Wachtler.
Payer decise di compiere un’esplorazione più dettagliata per realizzarne la mappatura. Raccolti bussola, goniometro,
corda, picozza, brandy, caffè, pane e formaggio la spedizione inizia e Payer sceglie per compagni di viaggio delle guide
locali: Gerolamo Fio Botteri, il «Pirinel»
Giovanni Catturani, il «Vicentin» Antonio
Bertoldi, detto l’Orso. Durante la salita
all’Adamello, fecero anche un errore di
calcolo. gli alpinisti credevano di essere
arrivati quando la cima iniziò a vedersi
alla loro portata, a poche centinaia di metri - «abbiamo domato la brutta bestia»,
ricorda le parole di Botteri, Payer - ma
arrivati in vetta, si resero conto dell’abbaglio: si trattava solo del Corno Bianco,
l`Adamello aveva la forma di un ripido
corno di ghiaccio e svettava due vallate
più in là della loro posizione. Ci vollero
75 ore in più di scalata sul ghiaccio, prima della conquista.
Payer, celebre alpinista ed esploratore
di grande determinazione e abilità, fine
scrittore e pittore, era tutt’altro che un
uomo modello nella vita privata. «Sul piano personale - spiega Berger - Julius era
ben consapevole dei suoi indubbi talenti, arrogante, affascinante e un vero dongiovanni alla ricerca di donne ricche che
potessero garantirgli un tenore di vita
elevato». E non ne faceva affatto mistero: scrive tranquillamente questa sua visione delle relazioni amorose in una lettera ad un nipote, all’indomani dell’abbandono della prima moglie (ricchissima) e dei due figli, annoiato dalla vita matrimoniale.
uasi una seconda
inaugurazione
per il Bolzano Festival Bozen: l’orchestra
dei giovani schierata sul
palco dell’Auditorium,
un direttore star della
bacchetta, il grande solista al violino e la platea gremita, con gente
in piedi. Successo annunciato per il concerto dell’Orchestra dell’Accademia Gustav Mahler in
una serata speciale dedicata alla memoria di
Claudio Abbado con sul
podio uno dei pupilli del
Maestro, Daniel Harding,
ideale continuatore di
un gesto votato all’incontro di ordine e passione. In programma
due classici assoluti del
repertorio sinfonico, il
Concerto per violino e
orchestra di Brahms,
con il solista Kolja Blacher e la Quinta Sinfonia
di Beethoven.
Esecuzioni entrambe
nel segno di un’energia
accesissima, sempre dominata dal gesto di Harding: quello che il direttore sa cavare dai giovani della Mahler è una
compattezza che parte
prima di tutto dal suono.
Poco vibrato per gli archi, ovvero solo quando
serve come strumento
di espressività, ma assente ad esempio nelle
lunghe note tenute del
tema della Quinta, lame
di suono che centrano
perfettamente il carattere dell’incipit beethoveniano, senza falsa retorica; poi un’amorevole e inesausta attenzione per i fiati e in generale per le linee nascoste
della scrittura: il gesto
di Harding è tutto un
portare alla luce ciò che
ad una lettura superficiale rimarrebbe inascoltato, e in questo troviamo la più grande lezione di Abbado.
infine l’ampiezza delle
dinamiche, una ricerca
del piano e del pianissimo che esaltano, nel
contrasto, i volumi a piena orchestra e restituiscono la dimensione
classica di entrambe le
partiture.
Così, l’avvio di Brahms
era pacato, morbidamente classico, preludio
a un crescendo in cui
l’esplosione del volume
dell’intera orchestra travolgeva l’ascoltatore
senza eccessi di retorica: esecuzione trascinante in cui il solista Kolja Blacher sfoderava un
suono penetrante, in ottima sintonia con direttore e orchestra, concentrati nell’espressività intima dell’Adagio,
energici nell’Allegro giocoso finale.
Ottima l’orchestra anche in Beethoven, carico di una forza diretta e
a tratti allegramente tellurica: forse non del tutto risolto (ma coraggioso, e quanto!) il pianissimo del terzo movimento: qualche sbavatura
nel volume quasi impalpabile che Harding chiede ai suoi orchestrali,
più pronti per ragioni di
maturità al fortissimo.
Poteva certo Harding
chiedere di meno, restando in una fascia mediana più rassicurante
ma avrebbe mancato il
suo scopo: è stato invece magistrale nell’accompagnare gli orchestrali a saggiare i propri
limiti: conoscerli, in fondo, è l’unico modo per
superarli.
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