Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 COMMISSIONE SPECIALE DELL’INFORMAZIONE (III) e COMMISSIONE ISTRUTTORIA POLITICHE DEL LAVORO E DEI SISTEMI PRODUTTIVI (II) TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Introduce l’incontro esponendo i temi principali riguardanti “Servizi all’impiego, politiche attive, agenzia del lavoro”, come discussi nella sede congiunta delle Commissioni II e III. In primo luogo va discussa la questione dell’Agenzia nazionale del lavoro proposta dal disegno di legge delega ora in discussione in Parlamento: la sua configurazione nel rapporto fra lo Stato e le Regioni, la modalità di partecipazione delle parti sociali e la collocazione del personale sono temi cruciali per il futuro delle politiche attive per cui l’Agenzia dovrebbe avere un ruolo guida. Un secondo tema riguarda la distribuzione delle funzioni fra l’Agenzia nazionale e i livelli decentrati. Al riguardo andranno tenuti in considerazione le indicazioni della Corte Costituzionale, secondo cui nel presente assetto costituzionale, che assegna alle regioni competenza concorrente in materia di mercato del lavoro, le funzioni da allocare a livello statale dovranno essere definite secondo un criterio di necessità e di proporzionalità. A tale stregua le competenze dell’Agenzia nazionale potranno comprendere compiti di coordinamento, di verifica dei livelli essenziali di servizio, di gestione del sistema informatico, di monitoraggio; ma non sembra invece che possano estendersi a compiti di gestione delle politiche del lavoro, come invece prevede il ddl delega. Il terzo punto è come si organizzano a livello decentrato i servizi all’impiego e le politiche attive. Per esempio, bisogna vedere se le Regioni faranno le agenzie regionali o meno. Come è noto, è una questione dibattuta. Il quarto punto è come mettiamo insieme le politiche attive, cioè i servizi 1 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 all’impiego, e le politiche passive. Anche su questo ci sono varie ipotesi, sia solo in Italia, sia all’estero. Nella legge delega c’è già un’indicazione chiara, come anche sul primo punto. In sostanza, le due funzioni dovrebbero avere una connessione più forte possibile per evitare che la mano destra non sappia quello che fa la sinistra, come talora capita. Il quinto riguarda i rapporti tra pubblico e privato, altra annosa questione; forse oggi un po’ meno difficile rispetto ad alcuni anni fa. Peraltro, abbiamo scritto la nostra nota quando la Garanzia giovani non era ancora avviata Forse, ora va detto qualcosa di diverso. In ultimo, abbiamo la questione dell’eventuale revisione della Costituzione, che per ora lasciamo in sospeso. Secondo il mio orologio, sono le 14.22. Chiederei di fare un primo giro, cominciando dalle posizioni ufficiali dei nostri colleghi del CNEL. Assegnerei 6-7 minuti a testa, all’europea. Per la parte CNEL, abbiamo chiesto a Michele Gentile e a Maurizio Drezzadore. Dopodiché, passiamo alle Regioni e alle parti sociali, nell’ordine stabilito. MICHELE GENTILE, CNEL. Grazie. Mi occuperò del tema dell’Agenzia, avendo a riferimento due punti, in primo luogo le modalità attraverso le quali l’Atto Senato n. 1428 ridetermina il tema dell’organizzazione del sistema lavoro e in particolare quello dell’Agenzia; in secondo luogo, come vedete nella cartella, la legge n. 56, che riordina il sistema delle autonomie locali. Ho chiesto anch’io, insieme agli altri componenti della Commissione, di provare ad affrontare questo tema mettendo questi due ragionamenti insieme – l’Atto Senato n. 1428, con il suo impianto organizzativo, e la legge n. 56, a Costituzione vigente – perché credo che aprano qualche contraddizione che ha necessità di essere vista in un quadro di riflessione comune. In particolare, mi riferisco al comma 2, ai punti c), e), f) e g), ragionando sul tema dell’agenzia nazionale, al cui funzionamento si provvede con le risorse umane e strumentali già disponibili a legislazione vigente; alla quale si affidano compiti gestionali in materia di servizi dell’impiego e politiche attive, e che 2 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 prevede contemporaneamente il riordino di tutti gli enti e le strutture nazionali, regionali e provinciali che svolgono funzioni in tema di politiche attive del lavoro e dei servizi per l’impiego, con la possibilità di far confluire nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell’agenzia il personale proveniente dalle amministrazioni o uffici soppressi e riorganizzati in attuazione della lettera f). Dico questo perché il modello che emerge da questo punto è sicuramente innovativo, ma nella sua innovazione organizzativa accentra competenze che oggi sono affidate a soggetti diversi. Inoltre, accentra non solo la governance, cosa della quale ci sarebbe assolutamente bisogno, ma anche la gestione. Allora, procedendo su questa strada, mi preme sottolineare alcuni elementi contraddittori. Il primo è che la legge n. 56 fissa al 7 luglio di quest’anno la data di emanazione di un DPCM con il quale affrontare, a legislazione e Costituzione vigente, il tema delle nuove funzioni degli enti di area vasta e delle risorse da trasferire. La legge n. 56, pur nella sua innovazione riformatrice, ha alcuni buchi. Sostanzialmente, ascriverei questi buchi a una sorta di scarsa chiara indicazione delle funzioni che vengono trasferite nel nuovo assetto del sistema delle autonomie locali. Tra l’altro, la legge n. 56 tace completamente delle funzioni in tema di lavoro, che, a Costituzione vigente, all’interno delle competenze affidate in base all’articolo 117, secondo comma, lettera m), allo Stato, sono di competenza concorrente. Questo è il primo tema. Il secondo tema riguarda le risorse umane – almeno quelle note – che oggi interagiscono intorno a questi argomenti. Ho provato a rimetterle in fila. Abbiamo 8.700 operatori dei Centri per l’impiego, dei quali circa 1.100-1.200 precari, il cui contratto di lavoro scade improrogabilmente entro il dicembre 2014, per cui è presumibile che al 31 dicembre 2014 molte delle cose delle quali parliamo non saranno in atto (sicuramente non il Job Act nella sua interezza, cioè compresi i decreti delegati, e nemmeno la legge n. 56 nella sua attuazione specifica). Italia Lavoro conta circa 400 dipendenti, con ulteriori 200 tempi determinati e circa 500 collaboratori. L’ISFOL conta circa 480 tempi indeterminati e 250 3 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 tempi determinati, la cui scadenza finale, a norma di legge, è fissata al 31 dicembre 2016, come scadenza ultima in base al decreto n. 101/2013. A questi sommiamo numeri che, francamente, non sono in grado di quantificare, che si riferiscono alle strutture del Ministero del lavoro che si occupano di politiche attive del lavoro e che dovrebbero rientrare in questo soggetto. Stiamo ragionando di un’agenzia forte, attiva, partecipata da Stato, Regioni e Province autonome e vigilata dal Ministero del lavoro, che, però, agirà in modo poco chiaro, stando alla situazione data. Dovremmo, infatti, aspettare i decreti delegati. Stiamo ragionando, tuttavia, non mettendo nella dovuta attenzione quanto contenuto nel decreto legislativo n. 469, che affidava il compito delle politiche attive del lavoro a Regioni ed Enti locali in base a una legge delega (una delle leggi Bassanini, la n. 59 del 1997), al cui articolo 1 recita: “Il Governo è delegato ad emanare entro il 31 marzo 1998 uno o più decreti legislativi volti a conferire alle Regioni e agli Enti locali, ai sensi degli articoli 5, 118 e 128 della Costituzione, funzioni e compiti amministrativi” e così via. Questo significa che la legge n. 469 è un decreto delegato di una legge delega che fa esplicito riferimento alla Costituzione vigente. Pertanto, il primo tema che mi permetterei di sollevare come necessario è quello di un’agenzia di governance partecipata, che sia la strumentazione organizzativa del punto m) del comma secondo dell’articolo 117, e cioè una sorta di sede nazionale nella quale definire standard, politiche, livelli essenziali, modalità di funzionamento, radicamento sul territorio e quant’altro. Credo che questo sia assolutamente necessario. Insomma, è una condizione necessaria; non sufficiente, ma sicuramente necessaria. Non ritengo che, alla stessa stregua, ci sia il tema della gestione. Mi permetterei, quindi, di sollevare il problema derivante da questo: la previsione nel disegno di legge costituzionale di abolizione delle competenze concorrenti delle Regioni non può significare un accentramento statalistico, che sarebbe di difficile applicabilità, né, d’altra parte, può significare che tutto ciò che non è statale sia competenza esclusiva delle Regioni. Penso, per esempio, alla sanità. 4 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 Per come è scritto il nuovo articolo 117 sul tema delle competenze esclusive e concorrenti, il problema si pone. Mi fermo qui per dire che siamo in presenza di un provvedimento di legge che ha un suo iter attuativo e decreti delegati di attuazione e, nel frattempo, abbiamo anche un provvedimento legislativo che non può che fotografare la situazione data. Quindi, il tema su cui occorre ragionare è che fotografare la situazione data significa provare a evitare la riproposizione sic et simpliciter di quello che già c’è, perché non andrebbe bene, ma, nello stesso tempo, significa anche tener conto del fatto che un provvedimento che accentra in questo modo il tema della gestione è difficilmente compatibile con la legislazione vigente, ma anche con la Costituzione vigente. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Grazie, hai avuto qualche minuto in più perché sei stato il primo. Non vorrei essere troppo rigido, ma cerchiamo di stare nei tempi. Abbiamo ora Maurizio Drezzadore. MAURIZIO DREZZADORE, CNEL. Portare efficienza nei servizi per il lavoro, introdurre trasparenza in un mercato opaco, estendere tutele e diritti, concorrere a superare il dualismo tra garantiti e precari: non possono che andare in questa direzione i provvedimenti che il Parlamento sta prendendo in esame relativi alla Delega Lavoro. Una operazione complessa che ha alle spalle molte altre iniziative riformatrici (Treu, Biagi, Fornero) che purtroppo non hanno dato i risultati attesi. La complessità deriva da numerosi fattori che non possono essere ignorati: 1. Oggi la ricerca del lavoro è in Italia una operazione “fai da te”. Oltre il 90% dei rapporti di lavoro avviati ogni anno sono riconducibili a inventiva personale: tramite web, autocandidature, relazioni familiari, conoscenze e raccomandazioni. Meno del 10 per cento sono intermediate dai servizi autorizzati e solo il 3,9% dal sistema pubblico dei CPI. Tutto ciò aggiunge ad 5 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 un mercato di per sé complesso una forte accentuazione discriminatoria. Questo contesto è aggravato dal fatto che solo il 2% delle imprese richiede ai servizi pubblici la selezione del personale di cui abbisognano. Il prolungarsi per molti decenni di questa situazione ha portato a vere e proprie deformazioni culturali: tra i lavoratori che considerano il posto di lavoro come una conquista personale a cui vorrebbero essere legati a vita; nelle imprese (soprattutto quelle piccole e piccolissime) che hanno assunto una posizione minimalista nella selezione del personale orientandosi nella ricerca a requisiti di serietà, affidabilità, spirito di dedizione, con la convinzione che poi le competenze professionali verranno acquisite col tempo, nel processo lavorativo. Con tale atteggiamento rinunciano ad introdurre innovazione tramite le nuove assunzioni, omologando al modello organizzativo aziendale le nuove risorse umane impiegate. 2. Con peculiarità diverse si presenta il mercato del lavoro giovanile. Per l’enorme disoccupazione (oltre il 46%) e per l’impressionante numero dei NEET (oltre 2,4 milioni, cioè il 24% dell’intera popolazione giovanile tra i 15 e i 29 anni). Il mercato del lavoro giovanile è aggravato anche da un disallineamento tra competenze scolastiche ed esigenze professionali delle imprese; i giovani sono inoltre stati emarginati da una riforma pensionistica che ha innalzato l’età lavorativa dei sessantenni bloccando il turnover. Ai giovani va dedicato un capitolo specifico della riforma del mercato del lavoro impegnando le stesse strutture formative ad organizzare servizi e interventi che favoriscano il loro ingresso nel mercato con l’uso generalizzato di esperienze lavorative, stage tirocini, e apprendistato. 3. L’insufficienza dei servizi per il lavoro non ha consentito il reperimento di figure professionali (dai 65 mila del 2013 ai 135 mila del 2010) richieste dalle imprese anche in questi ultimi sei anni di prolungata e grave crisi. Noi conviviamo con elevati tassi di disoccupazione, elevatissimi per i giovani, e l’incapacità di fornire personale specializzato ricercato dalle imprese. 4. Le profonde distorsioni che caratterizzano l’utilizzo della Cassa in deroga, istituita per aiutare, nel mezzo della crisi, i lavoratori delle piccole imprese e 6 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 dei settori sprovvisti di ammortizzatori sociali, ha finito per essere impiegata in molte Regioni come sussidi permanenti per accompagnare alla pensione, oppure come misura aggiuntiva allo scadere della Cassa ordinaria. Col risultato che i costi sono enormemente lievitati, diventando ben un terzo del monte ore autorizzato per la Cassa integrazione complessiva. Con la sostanziale differenza che i costi della Cassa in deroga gravano sulla fiscalità generale. 5. La capacità di coniugare insieme sostegno al reddito (sussidio di disoccupazione, Cassa integrazione o mobilità) e politiche attive (essenza stessa della flexsecurity) è ancor oggi circoscritta ad un segmento limitatissimo di interventi. Basti pensare all’impiego della Cassa in deroga, istituita nel 2008, che solo nel 5,6% degli interventi è stata affiancata da azioni formative di riqualificazione. Giova inoltre ricordare, come evidenziato da diverse rilevazioni statistiche, che i tempi medi di reinserimento lavorativo di un disoccupato non sostenuto da misure di tutela al reddito sono circa la metà di quelli necessari per trovare una occupazione da parte di un soggetto tutelato. 6. Le prestazioni di servizi che si concludono con il matching sono un insieme ampio e diversificato: dall’orientamento, alla certificazione delle competenze, alla riqualificazione professionale, alla gestione di tirocini (in particolare per giovani e percettori di sostegno al reddito), alle esperienze di lavoro all’estero, alla gestione amministrativa, alla gestione dei sussidi. Nessun attore oggi sul mercato assomma su di sé tutto questo know how. 7. L’attuale equilibrio istituzionale dei poteri basato sulla legislazione concorrente e sulla leale collaborazione tra Stato e Regioni in materia di mercato del lavoro ha dimostrato di non poter funzionare. Basti pensare alla mancanza, ancor oggi riscontrabile in molte Regioni, di regimi di accreditamento per i soggetti che operano nell’ambito dell’intermediazione. Né sembra poter essere una adeguata soluzione una visione dove allo Stato spettano le competenze sulle politiche passive e alle Regioni quelle sulle politiche attive, se non permeata con obblighi più stringenti. 7 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 Alla luce di queste criticità il risulta utile che il CNEL indichi a Governo e Parlamento alcuni obiettivi: L’utilità di incentrare il processo di riorganizzazione dei servizi su una forte valorizzazione di reti di attori distinti (Cpi, istituzioni scolastiche e formative, Api), coordinate da un player pubblico. In tal modo assicurando che le funzioni di servizio siano svolte in forma complementare ed accessoria. Si evidenzia che tra il 2011 e il 2013 sono stati sottoscritti accordi, Linee Guida tra Stato e Regioni o veri e propri Decreti che hanno disciplinato in maniera nuova: l’Orientamento permanente, la certificazione delle competenze, l’apprendimento permanente, la gestione dei tirocini, l’erogazione della formazione in apprendistato. E’ opportuno che su quelle basi si proceda nel disegno di riorganizzazione delle politiche attive. Si evidenzia inoltre che Università, Istituzioni scolastiche e formative sono state riconosciute come soggetti di intermediazione (il programma Fixo è stato predisposto da Italia Lavoro proprio con questo scopo e con una spesa non proprio irrilevante). Indurre i soggetti che sono alla ricerca di un lavoro ad assumere un atteggiamento attivo, vuol dire prima di tutto riorganizzare l’offerta dei servizi e tra tutti, in particolare, l’offerta formativa. Non si può suscitare un atteggiamento proattivo da parte del soggetto interessato, né creare una vera condizionalità, se non predisponendo una efficace e generalizzata offerta di servizi. E’ necessaria una maggiore disponibilità di risorse per far fronte alle misure previste dalla delega, non va tuttavia trascurata la strada di ribilanciare la spesa già oggi dedicata: riducendo quella destinata alle politiche passive a beneficio di quella da destinarsi alle politiche attive. Questo può essere conseguito solo creando efficienza nel sistema che riduca i tempi di permanenza nella condizione di disoccupazione o di sostegno al reddito. Promuovere una profonda riorganizzazione delle misure di incentivo alle assunzioni e a sostegno dell’autoimprenditorialità che si sono dimostrate fino ad ora gestite in modo caotico ed inefficiente. 8 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 Il nuovo modello di governance promosso da ANPO (Agenzia Nazionale per l’occupazione) non dovrà essere né centralista né pubblicista, dovrà altresì mirare a dar vita e sostegno ad efficaci reti territoriali per i servizi per il lavoro, comprendenti: 1. L’orientamento di primo livello (suscitare un atteggiamento proattivo nella gestione della propria storia lavorativa), 2. L’orientamento professionalizzante (nei diversi contesti territoriali e verso gli specifici fabbisogni professionali richiesti dalle imprese), 3. La certificazione delle competenze conseguite in contesti formali, informali e non formali, 4. La qualificazione e riqualificazione di giovani e lavoratori con una offerta formativa mirata, 5. La gestione dei tirocini, 6. La gestione della formazione nell’apprendistato di primo livello. Il livello di governance dovrà ricomprendere le Parti sociali e il privato sociale in modo da coinvolgere e coordinare tutti gli attori che operano nelle reti territoriali. Sembra utile infatti evidenziare che il vero compito innovatore dell’ANPO sta nel nuovo modello di governance delle politiche attive e passive e che ogni forma di programmazione dovrà avere come riferimento l’efficienza delle reti di servizi che si svilupperà nei territori. Mettere al tavolo gli attori, impegnati nei territori, potrà quindi garantire migliori risultati. Analoga valutazione vale per le governance regionali. L’introduzione di modelli sperimentali che prevedano sia l’introduzione di strumenti di incentivazione del collocamento dei soggetti in cerca di lavoro, sia l’uso della formazione come riqualificazione dei profili professionali deboli. In particolare c’è la necessità di rilanciare l’apprendistato attraverso programmi specifici, visto il continuo e prolungato calo di consenso di questo istituto contrattuale, riformato proprio per essere il veicolo di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. 9 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Grazie per l’intervento esemplare, anche come tempi. Interviene ora Jole Vernola. JOLE VERNOLA, Confcommercio. Vorrei orientare il mio intervento sulle opportunità che riteniamo di poter cogliere in questa parte della legge delega mirata al riordino dei servizi del lavoro. Quello dei servizi al lavoro – cui sono connesse le politiche attive – è da sempre il grande tema irrisolto del nostro mercato del lavoro. Credo che questo sia il motivo per cui il nostro mercato del lavoro soffre della “patologia della legislazione continua”, che spesso legifera sulla norma, ma non sul servizio. Si tratta di un problema che, di fatto, ci costringe a lavorare su aspetti limitrofi, perché non riusciamo a mettere mano al nodo fondamentale. La questione di base è l’incontro tra domanda e offerta di lavoro – non c’è problema più grande rispetto ai temi del servizio al lavoro – che poi si può declinare in vari momenti (primo ingresso, ricollocazione e così via) e porta con sé competenze e attività di tipo diverso. È, però, evidente che il nucleo centrale del tema che dobbiamo affrontare è come riusciamo a migliorare la nostra capacità di incrementare e implementare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Si tratta di un nodo che interessa, da un lato, le imprese e, dall’altro, i giovani, i disoccupati e tutte le categorie di stakeholder che si trovano in tale condizione. In tale ottica, riteniamo che l’ipotesi dell’Agenzia nazionale del lavoro, che andrà definita nelle sue fasi attuative, sia una risposta che viene fuori da un’evidenza che negli ultimi quindici anni – dal decentramento del Titolo V alla legge citata, che ha istituito l’agenzia per il lavoro – è rimasta senza risposte, ovvero superare definitivamente il funzionamento a macchia di leopardo dei nostri al lavoro. Se partiamo dal dato dell’utilizzo, dobbiamo prendere atto di un dato significativo: soltanto il 37 per cento dei disoccupati in Italia si rivolge a un Centro per l’impiego per effettuare colloqui di orientamento e/o per trovare un’occupazione, mentre l’80 per cento utilizza la rete informale. Questo dato ci 10 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 dimostra come viene percepito il servizio dal cittadino, ovvero dall’utente. Non si tratta, quindi, di un problema che oggi ci troviamo a dibattere fra tecnici, bensì di una consapevolezza radicata nella popolazione che quell’istituzione o quel servizio non è in grado di dare la risposta che si sta cercando. Crediamo che il punto vero sia questo. Consapevoli delle difficoltà derivanti anche dal dettato costituzionale, che opera un complesso riparto di competenze la, nonché della problematicità dell’individuazione dei servizi da implementare e delle attività da integrare e da coordinare tra di loro, poniamo una la questione: è necessario di trovare un luogo in cui coordinare tutti insieme una prima finalità, quella dei servizi minimi essenziali che vanno garantiti su tutto il territorio nazionale e, quindi, della reidentificazione degli obiettivi dei Centri per l’impiego. A questo riguardo, vorrei ricordare che oggi questi obiettivi sono tre: l’attività amministrativa, l’incontro domanda-offerta e la promozione di iniziative e interventi di politica attiva. L’attività amministrativa impiega il 95 per cento del tempo e delle risorse; l’attività di incontro domanda-offerta il 3 per cento e le politiche attive il 2 per cento. Risulta, quindi, un forte divario fra i compiti espletate e le percentuali con cui vengono realizzate tali attività. Posto che questo è il vero tema e che c’è una difficoltà legislativa, credo che dobbiamo anche dirci che abbiamo – come è stato confermato – 10.000 persone in Italia che lavorano dentro queste strutture e che svolgono per il 95 per cento del loro tempo, anche in maniera dedicata, attività amministrativa. Ci troviamo, quindi, di fronte a due problemi. In primis, come reimpiegare o riqualificare il personale adibito all’attività amministrativa buona parte delle risorse umane, spostando le attività che oggi vengono realizzate – per il 95 per cento sono comunicazioni obbligatorie, dichiarazioni di assunzione, quindi una massa di attività importante, seconda questione, come implementare le altre attività. C’è un altro aspetto che è stato richiamato, non citato nella legge delega, ma è stato oggetto di un importante provvedimento, il decreto-legge n. 104 del 2013 sull’istruzione, che abbiamo particolarmente apprezzato, perché contiene alcuni 11 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 elementi su cui, come rappresentanza di impresa, da tempo insistevamo. Mi riferisco al potenziamento dell’orientamento dei ragazzi, a partire già dagli ultimi anni delle scuole primarie e secondarie, soprattutto facendo conoscere loro i bacini occupazionali, quindi interrompendo quel processo di autoformazione dei giovani verso professioni nelle quali poi fanno più fatica a trovare sbocco. Viene, inoltre, richiamata la necessità di far crescere le risorse umane che si occupano di questo, anche nella logica del placement. Il tema del placement è un altro aspetto importante. Quando parliamo di servizi pubblici e pensiamo alle reti, tutti pensiamo all’integrazione tra servizi pubblici e privati per il collocamento. Noi, invece, pensiamo che sia importante ragionare di reti anche con le scuole. Riteniamo, infatti, che le strutture dei servizi al lavoro debbano essere un nodo che metta insieme non soltanto l’ultimo pezzo della collocazione, ma anche la parte iniziale. Facciamo l’esempio di un istituto fondamentale: l’apprendistato. Oggi le aziende che vogliono assumere degli apprendisti dove li trovano? Il tema dell’apprendistato potrebbe essere – la Garanzia giovani ci può fornire un’importante opportunità in tal senso – uno strumento per cui la collocazione di una struttura come il Centro per l’impiego, quale perno del raccordo tra l’impresa, la scuola e l’istituzione, può dare effettivamente la tracciabilità di un processo che può individuare criticità, ma anche soluzioni. Questo è per dare il senso di quella che pensiamo sia la direzione da percorrere. Dopodiché, ci rendiamo conto che non è così semplice perché c’è un tema di competenza e di leggi. Sicuramente, il tema della suddivisione delle competenze tra lo Stato le Regioni va orientato maggiormente al coordinamento per quanto riguarda lo Stato e all’attuazione, ovvero all’erogazione del servizio, per quanto riguarda il territorio. Ci teniamo, però a dire una cosa: il tema della garanzia di servizi omogenei è primario e non può essere assolutamente eluso. Se poi ci sono delle possibilità di integrazione ben vengano, ma non possono essere a scapito di una garanzia minimale. Riguardo al tema dell’integrazione tra politiche attive e passive, nella scaletta 12 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 vedo che c’è stata consegnata un’ipotesi del collegamento più stretto con l’INPS per la questione delle politiche passive e così via. Ora, per quanto conosciamo le attività dell’INPS, anche dall’interno, partecipando al CIV (Consiglio di indirizzo e vigilanza), il problema non è tanto unificare gli uffici quanto mettere in rete in maniera immediata le informazioni. Probabilmente, il problema vero non è avere tutte le persone che fanno le stesse cose, anche perché sappiamo che l’attività di erogazione svolta dai sussidi di disoccupazione non comporta le stesse competenze che pensiamo vadano implementate nell’ambito dei servizi al lavoro. Semmai, le competenze che oggi ci sono andrebbero ridotte in quantità perché sono relative ad attività istruttorie, quindi di tipo amministrativo. Non abbiamo pregiudiziali sul tema. Tuttavia, la questione è come mettere in integrazione le politiche attive e passive rispetto al soggetto, non rispetto alle strutture. Dall’altra parte, abbiamo un ultimo tema, ovvero come rendere evidente, in maniera omogenea sul territorio, il beneficio del sussidio. Infatti, mi permetto di dire che un’azienda che vuole assumere un lavoratore in mobilità non riesce ad accedere alle liste di mobilità in tutta Italia. Sembra una cosa banale, ma è così. Se sono un’azienda e mi trovo in una parte d’Italia dove il Centro per l’impiego o l’INPS non sono in grado di darmi una lista nominativa di persone a cui è legato un beneficio, non posso fare questa assunzione. Ora, anche questi sono incentivi; sono incentivi alle assunzioni e non sono da poco perché le aziende li guardano. Quindi, quando si pensa alla razionalizzazione degli incentivi bisognerebbe focalizzarsi bene anche sulla messa a regime della conoscenza degli incentivi perché questo può favorirne l’utilizzo e ottimizzarne la gestione. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Se siamo ancora qui, ci sarà un altro giro. Ho un problema. Carraro aveva fretta. Ora, se può aspettare, pensavo di far sentire due voci istituzionali. Allora, diamo la parola ai due contendenti, Regioni e Stato. Francesca Giovani è il direttore che sostituisce più che degnamente Simoncini. 13 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 FRANCESCA GIOVANI, Regione Toscana. Sostituisco indegnamente l’Assessore Simoncini che non ha potuto essere presente per impegni inderogabili. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Ma se fa questo da tutta la vita! FRANCESCA GIOVANI, Regione Toscana. Innanzitutto, riporterei il parere delle Regioni sul DL e gli emendamenti proposti dalle Regioni. Poi, se ci sarà tempo, possiamo parlare anche del rapporto che c’è in questo momento tra Regioni e Ministero, che è molto collaborativo e che si è instaurato a partire dal tavolo della struttura di missione. Sulla legge delega, le Regioni hanno portato degli emendamenti, quindi un parere condizionato. In particolare, abbiamo un parere assolutamente favorevole per quanto riguarda una riforma degli ammortizzatori sociali di tipo universalistico. Il superamento della deroga è un elemento dirimente che le Regioni hanno chiesto già da tempo. Vi è, poi, una valutazione positiva anche della semplificazione delle tipologie contrattuali, su cui, però, non abbiamo competenze, quindi non posso entrare. Invece, gli emendamenti che abbiamo portato e il parere negativo riguarda la parte dell’Agenzia nazionale, su cui si rilevano tre criticità. Della prima, relativa all’invarianza di risorse con cui si realizzerebbe la riforma, non entro nel merito, perché hanno detto meglio e prima di me i colleghi del CNEL. C’è, comunque, una pesante invasione di competenze. Segnalo solo che negli emendamenti si parla d’intesa forte, nel senso che su questa materia ci deve essere, appunto, un’intesa forte, per cui quella debole prevista nel DL non è accettabile per le Regioni. Concordo sull’esiguità delle risorse. Noi, nei Centri per l’impiego, abbiamo un operatore ogni 150 disoccupati; la Germania ne ha uno ogni 50. Potrei continuare perché ci sono autorevoli studi che ci sono stati presentati 14 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 recentemente anche all’ISFOL e che poi citerò brevemente. Insomma, non si può fare una riforma di questo tipo a risorse invariate. C’è, inoltre, un eccessivo accentramento che riteniamo ci faccia tornare a esperienze passate, che nel nostro Paese non sono state positive. Si dice che le esperienze europee riguardano l’Agenzia nazionale e su questo le Regioni sono completamente d’accordo. Tuttavia, là dove sono state fatte esperienze di Agenzia nazionale – mi permetto di citare il recente studio di Alessandra Sartori che ci è stato presentato all’ISFOL – si sta provvedendo anche a forti esperienze di decentramento e di territorialità. Pertanto, quello che propongono le Regioni è assolutamente il linea con le esperienze europee che sono state fatte e che vengono fatte in questo momento. Riteniamo, quindi, che centralizzare i servizi pregiudichi fortemente la territorialità e facciamo presente anche un altro elemento che riteniamo dirimente: nella legge non si parla di formazione, per ovvi motivi, riproponendo una divisione tra politiche attive del lavoro e formazione che ci fa tornare a un passato non felice nel nostro Paese. Qui faccio un breve passaggio sulle esperienze dei Centri per l’impiego in materia di ammortizzatori in deroga. So che il direttore generale interverrà meglio di me perché ha dei dati di una sua rilevazione. Tuttavia, in questo caso voglio parlare della mia esperienza di dirigente del settore lavoro che ha gestito gli ammortizzatori in deroga dal 2009. Sono arrivata a fare il dirigente del settore lavoro, ma nella mia vita precedente ero una ricercatrice dell’IRPET (Istituto regionale programmazione economica della Toscana); studiavo il mercato del lavoro e – vi posso confessare – avevo un forte pregiudizio nei confronti dei Centri per l’impiego, che non avevo mai frequentato in vita mia perché mi sono laureata e ho cercato lavoro con le mie reti, vincendo una borsa di studio e facendo un concorso all’IRPET. Questo pregiudizio, che sento aleggiare, non mi piace perché io stessa l’ho superato. Peraltro, ci sono dati importanti che ce lo devono far superare. Mentre ero in treno mi sono fatta dettare dal mio ufficio i dati sulle politiche attive che 15 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 hanno gestito i miei Centri per l’impiego dal 2009 a oggi. Per la prima volta abbiamo sperimentato nel nostro Paese il principio di condizionalità. Sapete, infatti, che chi ha usufruito di un ammortizzatore sociale in deroga ha dovuto fare una politica attiva, quindi il nostro Paese l’ha sperimentata. Invece, al tavolo della struttura di missione mi sono sentita dire che le Regioni avrebbero dovuto sperimentare la condizionalità. Ebbene, non è così; le Regioni l’hanno già sperimentata. Vi parlo, quindi, dell’esperienza della mia Regione. Oltre 80.000 lavoratori hanno usufruito di 600.000 azioni di politica attiva. Non credo, quindi, che i miei operatori dei Centri per l’impiego abbiano fatto solo il 2 per cento di politica attiva – poi, la dottoressa Strano ci sarà il dato nazionale – ma molto di più. Cosa hanno avuto questi lavoratori? Ecco, hanno avuto tutti un libretto formativo da spendere sul mercato del lavoro, un orientamento, una politica attiva misurata al periodo di cassa integrazione in deroga, che in alcuni casi ha portato anche a delle qualifiche di tipo professionale e la possibilità di sapere come fare un curriculum. In alcuni casi hanno trovato un altro lavoro, mentre in molti altri sono tornati a fare il lavoro che già facevano. Ho fatto fare ben due indagini conoscitive dall’istituto di ricerca da cui venivo su un campione rappresentativo di questi lavoratori per due volte di seguito e devo dire che in entrambe le occasioni c’è stato un giudizio fortemente positivo delle politiche attive ricevute dai Centri per l’impiego. Vorrei, però, portare anche il parere delle Regioni per quanto riguarda l’Agenzia, su cui vorrei fare un breve e ultimo passaggio. Dopodiché, posso saltare qualche giro. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Non mi faccia apparire peggio di quello che sono. FRANCESCA GIOVANI, Regione Toscana. Questa è una reazione al pregiudizio che sento serpeggiare sulle Regioni, sui Centri per l’impiego e su 16 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 quella che è stata l’attività delle Province, che deriva sia dalla mia esperienza diretta, sia dai dati che la avvalorano. Invece, la proposta delle Regioni è quella di un sistema nazionale del lavoro, incardinato su un’Agenzia nazionale e una rete federata di agenzie regionali. Quindi, siamo d’accordo sul fatto che ci vuole una forte governance centrale. La proposta delle Regioni è – ripeto – quella di un sistema nazionale del lavoro, basato su un’Agenzia nazionale e su delle agenzie regionali. Siamo d’accordo che i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) debbano essere definiti dal livello centrale, così come gli standard dei servizi, il personale che deve essere garantito dentro i servizi, i criteri per l’accertamento della disoccupazione, la disciplina degli ammortizzatori sociali, il monitoraggio e la valutazione (solo per dire gli elementi più importanti). Peraltro, stiamo facendo delle esperienze importanti sul monitoraggio, la valutazione e standardizzazione dei servizi al tavolo della dottoressa Strano, quindi su questo lascio a lei la parola. Le agenzie regionali dovrebbero, invece, dare attuazione alle politiche del lavoro, assicurare il rispetto dei LEP e degli standard e gestire l’articolazione territoriale dei servizi. Nella nostra proposta c’è già la possibilità di gestire, prima in via sperimentale e poi in via più strutturale, nello stesso luogo fisico politiche attive e politiche passive. Quindi, pensiamo a Centri per l’impiego con dentro l’INPS o altro. I Centri per l’impiego diventerebbero, dunque, strutture periferiche delle agenzie regionali, con compiti d’accoglienza ed erogazione dei servizi, organizzati in un raccordo tra pubblico e privato. Ecco, questi sono gli emendamenti principali che le Regioni hanno portato ieri in audizione al Senato. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Grazie per questa esperienza. Mi pare molto utile. Anche l’ISFOL ha dato un contributo comparato che stiamo esaminando proprio in sede CNEL che fa vedere che non è vero che in Italia si intermedia il 2 e in Olanda il 50 per cento. È tutto molto più complesso. 17 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 Avrei un solo suggerimento: fate della buona informazione. Non dico di imparare dal Presidente del Consiglio, ma anch’io continuo a soffrire di questa cattiva informazione, anche da parte di alcuni miei autorevoli colleghi. FRANCESCA GIOVANI, Regione Toscana. In comunicazione abbiamo molto da imparare. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Anche altri. FRANCESCA GIOVANI, Regione Toscana. Devo dire che l’errore che tutti facciamo è di valutare l’operato dei Centri per l’impiego sul matching domanda-offerta di lavoro. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Quello che lei ha detto basta e avanza. GRAZIA STRANO, Ministero del Lavoro. Già nel 1998, quando fu fatto il primo accordo in Conferenza unificata, dopo il decreto n. 469 si dibatté a lungo su che cosa si intendeva per incontro domanda-offerta, ovvero se si trattava di trovare un posto di lavoro oppure di una funzione complessa che racchiude dall’accoglienza al far incontrare. Ne discutevamo anche qualche tempo fa con il professor Varesi perché occorre poi scegliere gli indicatori di successo dell’incontro domanda-offerta. Non è soltanto se il datore di lavoro si è incontrato con il lavoratore, cosa che sta alla libera scelta dei due, ma vi sono indicatori complessi per vedere cosa è successo. Al di là di questo, vorrei ragionare a voce alta. Se in questo momento, non solo a questo tavolo, chi si occupa di politiche del lavoro discute giornalmente della delega e delle connessioni tra essa, la legge n. 56 e la proposta di riforma del Titolo V, c’è un motivo. Infatti, il sistema ha funzionato male in questi anni o perlomeno c’è la percezione – per ritornare ai temi dell’informazione e della 18 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 comunicazione – che non funzioni bene. L’intenzione del Governo parte sicuramente da questa constatazione. È chiaro che da questa constatazione alla definizione del modello ci sono ancora dei passaggi da compiere. Il primo tra tutti è come si arriva alla definizione del modello. Ci si può arrivare direttamente con il decreto legislativo delegato oppure con altri strumenti, che stanno precedendo di fatto il decreto legislativo delegato e che definiscono e chiariscono alcuni punti. Il primo punto riguarda i livelli essenziali delle prestazioni. Sebbene la Costituzione assegni allo Stato la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, per esperienza diretta, ad alcuni tavoli che coordino arrivare insieme alla loro definizione significa garanzia di successo, ovvero che poi questi livelli vengano effettivamente garantiti sul territorio, ponendosi l’obiettivo, però, non in basso, ma verso l’alto, cioè guardando verso la prestazione migliore che c’è sul territorio. Torniamo, così, agli elementi di comunicazione e di informazione. Non voglio citare Regioni perché la situazione è veramente a macchia di leopardo e non segue il Rubicone. Sicuramente, però, questo è un problema. Il secondo problema che serpeggia, anche se nessuno ha il coraggio di parlarne apertamente, legato al livello essenziale delle prestazioni, è quello del finanziamento. Infatti, se definiamo che ciascun servizio per l’impiego – utilizzo questo termine ampio perché siamo a un sistema pubblico-privato di servizi per il lavoro – deve garantire una determinata prestazione sul territorio dobbiamo comunque garantirne il finanziamento, il che si porta dietro il problema dei costi standard, ovvero dei costi che in ciascuna parte del territorio devono essere garantiti, e conseguentemente degli operatori, delle competenze che questi devono avere e della quantificazione degli operatori rispetto al servizio. In generale, quindi, si pone il problema della rete territoriale. È un servizio che, con ogni probabilità, per alcune funzioni e prestazioni potrebbe – ci sono esempi – essere appaltato e garantito anche da soggetti diversi dal Centro per l’impiego. Il decreto legislativo che verrebbe fuori da questo processo ha già affrontato questi temi. Senza riprendere il “tormentone dell’estate” – per chi si occupa di 19 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 lavoro in questo momento si parla solo di Garanzia giovani – l’esempio di questi mesi è positivo perché si è arrivati alla definizione del Programma operativo nazionale non calandolo dall’alto verso il basso, ma costruendolo giornalmente con tutti gli attori che poi andranno ad applicare quell’attività. Un argomento strettamente collegato è il sistema informativo. Non per deformazione professionale, perché mi hanno affidato questo compito da dieci anni a questa parte, dico che questo è un elemento complicato, ma allo stesso modo abilitante. Sentivo parlare di condivisione delle informazioni. Mi permetto di nominare due cose. La prima è stata veramente dirompente rispetto all’attività adempimentale dei Centri per l’impiego. Mi riferisco al sistema delle comunicazioni obbligatorie, che ha abbattuto del 40 per cento gli adempimenti a cui prima erano adibiti gli operatori dei Centri per l’impiego, che si trovavano a dovere registrare un rapporto di lavoro artigianale, a non fare niente di quella informazione e soprattutto, dal lato aziendale, quell’informazione era replicata quattro volte in tempi diversi. Il sistema delle comunicazioni obbligatorie, con luci e ombre a seconda di chi lo guarda, è ormai collaudato. Abbiamo 70 milioni di posizioni nel sistema che vengono utilizzate sia per le politiche attive, sia – anche se non si dice – per verificare la genuinità del rapporto di lavoro. Un altro aspetto importante è che viene condiviso con altre istituzioni, primo tra tutti l’INPS. È chiaro che la condivisione deve essere anche al contrario, quindi deve avvenire anche da altre banche dati. Accenno solo alla questione, difficilmente risolta in Italia, della normativa della tutela dei dati personali che nel caso della condivisione delle banche dati in materia di lavoro è un problema non indifferente. Per fare un esempio, il decreto-legge n. 76, ovvero la legge n. 99, ha istituito – dando un nome a una cosa che già c’è, perché il sistema informativo del lavoro esiste – la cosiddetta “banca-dati politiche attive e passive” che non sarebbe altro che il percorso longitudinale di un soggetto che entra nel sistema a partire dalla scuola e ne esce quando ha terminato tutta l’attività lavorativa. 20 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 Ebbene, per integrare le banche dati – penso alla scuola – siamo a un punto di stallo perché c’è un parere del Garante sulla banca dati degli studenti che non siamo ancora riusciti a superare. Quindi, i soggetti che dovrebbero entrare in apprendistato e che sono i primi lavoratori sono quelli che conosciamo di meno. Questo è un problema con cui la delega dovrà fare i conti, affinché si esca dal dibattito sterile tra Agenzia nazionale e agenzia federale perché è come mascherarsi dietro ad altri problemi che devono essere risolti prima. Non vorrei, infatti, che ci sia una confusione tra governance e difficoltà operative che ci sono state nel passato in presenza di un Titolo V e di un articolo 117 che definisce bene i compiti sia dello Stato sia delle Regioni, ma soprattutto gli strumenti che lo Stato ha per intervenire qualora le Regioni non legiferino o lo facciano in maniera diversa. È chiaro che ci sono state delle difficoltà, nonostante tutti gli accordi in Conferenza unificata che venivano nominati poc’anzi. Le difficoltà dell’apprendistato sono sotto gli occhi di tutti. È un istituto che decolla male. Altro errore è, però, guardare sterilmente ai Paesi membri. Infatti, guardare alla Germania o all’Olanda in maniera sterile, soltanto per prendere un istituto che ha una sua connotazione all’estero e trasferirlo nello Stato italiano, ha delle difficoltà. Non vorrei, dunque, che il dibattito sull’organizzazione dell’Agenzia ci faccia dimenticare altre problematiche che dovrebbero essere risolte prima. Ne cito un’ultima, per non andare oltre i tempi, ovvero quella della rete territoriale, quindi del rapporto pubblico-privato che, sebbene non abbia gli stessi problemi che aveva nel 1997, ha ancora delle problematiche, come il fatto che non tutte le Regioni hanno disciplinato la materia dell’accreditamento dei servizi privati. Forse – dico forse perché è un dibattito che stiamo affrontando in questi giorni al tavolo di coordinamento tecnico – una soluzione è di non fare rientrare tra i livelli essenziali delle prestazioni anche i requisiti minimi che le strutture private devono avere se vogliono operare sul territorio. 21 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Anche il Ministero del Lavoro è puntuale. Mi fa piacere, da vecchio frequentatore. Rispettiamo l’ordine, dopodiché apriremo un dibattito libero. Peraltro, anch’io ho molte domande e credo anche i colleghi. Ora abbiamo i sindacati e alcuni altri interventi istituzionali, per esempio l’ISFOL e la Camera. Cominciamo, quindi, dai sindacati e precisamente dalla CISL. PAOLO CARRARO, Cisl. Grazie. Ringrazio anche i colleghi per la precedenza concessami. Secondo la CISL, in questa fase, questo argomento deve diventare centrale nella discussione del Paese, forse anche più degli altri aspetti del disegno di legge, visto che progettiamo un pezzo importante di futuro e che è una delle occasioni più serie che abbiamo di farlo, anche proprio grazie all’attuazione della Garanzia giovani. Sono stati interessanti tutti gli interventi ascoltati. Parto dalla questione numeri. C’è bisogno di informazione anche su questo, quindi ben venga l’Agenzia nazionale (poi decliniamo meglio il perché). Sui numeri, si è parlato di percezioni. Ecco, credo che i servizi all’impiego più in generale siano uno dei pochi aspetti, se non l’unico, che riesce ad accomunare l’Italia dal nord al sud, da un occhio di imprenditore, di lavoratore o di sindacalista. Si ha, infatti, la percezione quasi totale del non funzionamento o meglio dell’inutilità dello strumento. Da quando non è più obbligatorio il timbro del cartellino, la frequentazione, dalle Alpi alle piramidi, dal nord al sud del nostro Paese, dei Centri per l’impiego o ex uffici di collocamento è diventata inconsistente. Questa inconsistenza non è certo legata all’incapacità dei soggetti che operano ai vari livelli all’interno dei centri dell’impiego. Anche qui tornando ai numeri, abbiamo parlato di circa 8.700 operatori. Ci risulta, però, che di questi 8.700 quasi 3.000 siano in Sicilia, per ragioni sulle quali sarebbe utile aprire un’altra parentesi. Quindi, la distribuzione sul territorio fa sì che, al contrario dei numeri che ho 22 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 sentito poco fa, quando la mattina – per usare una metafora – il funzionario del Centro per l’impiego apre il suo sportello ha poco più di 400 disoccupati da gestire, che è un numero impressionante rispetto agli 88 della Danimarca, ai 53 della Francia e soprattutto ai 22 della Germania, e questo riguarda anche gli investimenti di spesa in maniera evidente. Infatti, al di là delle questioni territoriali, di questi 8.700 dobbiamo verificare quali effettivamente si occupano ancora di collocamento, di incontro domandaofferta e di servizi all’impiego. Nei 556 Centri per l’impiego ancora oggi presenti sul territorio nazionale – alcuni, da segretario regionale del Lazio, li ho visitati personalmente negli anni – molti operatori sono stati adibiti ad altre attività proprio per quella percezione di cui dicevamo, impoverendo delle professionalità di altissimo livello dei gruppi di lavoro che si stavano organizzando. Ora, questa percezione coinvolge sicuramente tutto il Paese. Gentile e Drezzadore hanno citato il fai da te, che è il reale sistema di collocamento che abbiamo in Italia. A ogni modo, riuscire a far riavvicinare i cittadini a questo sistema non è facile. La Garanzia giovani è, perciò, sperimentazione fondamentale che dà già una lettura importante perché nel primo mese di attività – con i numeri in questo caso potrei essere meno preciso – sono circa 69.000 i giovani che si sono iscritti, quasi esclusivamente attraverso il sistema informatico. Questo la dice lunga anche sulla percezione. Persino su questa importante opportunità della quale si sta parlando in diversi tavoli da più mesi nel Paese – ci sentiamo anche negativamente protagonisti – non è stata data la necessaria informazione da tutti i soggetti in campo. Sarà anche per la campagna elettorale che ha tolto energie e per tante altre motivazioni, ma siamo ancora a questo livello di scarsa informazione. Quindi, far tornare la percezione nei cittadini, nei lavoratori e nelle imprese di cosa può essere il Centro per l’impiego è fondamentale. Su questo, riteniamo importanti due cose. Innanzitutto, il fatto che ci sia l’Agenzia nazionale, cioè che si parta, rispetto 23 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 alla struttura di missione, da una struttura nazionale, che veda senza dubbio coinvolte le Regioni. Infatti, queste dovrebbero far proprie le attribuzioni delle funzioni che erano delle Province rispetto ai servizi per l’impiego, quindi non possono essere escluse da questo sistema. In ogni caso, è importante che si parta dall’Agenzia nazionale proprio perché in questi anni la ex riforma del Titolo V ha prodotto danni sui quali è meglio mettere qualche pezza. Credo che questo sia fuor di dubbio per le parti sociali. Vedremo, poi, se questa sensazione sarà confermata. L’altro aspetto importante riguarda la prosecuzione di un cammino che deve vedere politiche attive e politiche passive sempre più nello stesso corridoio. Sarebbe paradossale che, a partire dal Ministero del lavoro, ci fosse nuovamente una separazione, visto che farebbe mancare una serie di importanti possibilità, rispetto agli obiettivi, anche in relazione a quei numeri che dicevamo prima. Insomma, è importante che questa Agenzia nazionale, tra le varie funzioni, anche quelle più importanti che avrà dopo, cominci a fare un’analisi più seria rispetto ai numeri che citavo prima, ovvero su qual è il sistema delle risorse umane e delle strutture, fisiche e non, a disposizione per lo svolgimento di un servizio così importante. Altro elemento di questo servizio su cui siamo ancora decisamente carenti è proprio il sistema informatico, esaltato positivamente dalla dottoressa Strano per quanto riguarda alcuni aspetti più amministrativi, ma, a nostro avviso, ancora tutto da verificare proprio per quello che riguarda l’organizzazione del sistema di incontro domanda-offerta. Sappiamo che in questi anni quasi ogni Regione si è creata il proprio sistema di incontro domanda-offerta e che quasi tutti questi sistemi, oltre a non comunicare tra loro, spesso sono inattivi, quindi non consentono quello che in altri Paesi funziona da decenni. Il sistema non è la soluzione dei problemi, ma un importante passo per arrivarci. Infatti, dovremmo essere già nella condizione di dialogare con un sistema più largo, con l’EURES (European Employment Services) perché l’incontro domanda-offerta, per non avere dispersioni significative come è stato in questi anni, ha bisogno di un sistema unico, che agevola anche il compito di 24 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 chi deve operare. Se la base è quella del prodotto che stiamo verificando in questi mesi con ClicLavoro, cioè con il portale del ministero sulla Garanzia giovani, c’è ancora molto da fare. Tuttavia, come indirizzo, si sta andando verso la strada giusta. Quindi, il sistema informatico unico, come strumento che integri le politiche attive e passive, è importantissimo. Altrettanto importante, anche rispetto ai progetti, vi è la questione del coinvolgimento a diversi livelli delle parti sociali. Sono il primo che interviene; i miei colleghi amplieranno sicuramente. Comunque, suppongo che chi ha vissuto le esperienze, sia sul territorio che di altro livello, delle Commissioni tripartite non abbia un fantastico ricordo di quanto è avvenuto in questi anni a livello territoriale e non. Riteniamo, pertanto, che sia indispensabile che ci sia, a partire da un tavolo nazionale, un luogo indispensabile di incontro. Siamo d’accordo con chi non vuole tavoli fumosi perché siamo antifumo al cento per cento. Tuttavia, vogliamo che ci sia la possibilità per tutte le parti sociali non solo di presentare proposte e prendere parte alle decisioni, ma anche – passo subito a un piano più attuativo – di poter intervenire anche in sinergia operativa con gli strumenti e con gli stessi Centri per l’impiego. Riteniamo fondamentale anche l’aspetto dei rapporti tra Centri per l’impiego e agenzie private, anche se neppure questo è lo strumento che risolverà i problemi, per avviarsi in una direzione di sinergia più che di concorrenza, facendo sì che il pubblico rimanga il quadro di riferimento essenziale per la strutturazione di un nuovo sistema. In questo senso, sono importanti l’accreditamento e la questione delle autorizzazioni. Bisognerebbe, perciò, invitare, attraverso l’Agenzia, gli enti competenti a risolvere i problemi, da quello informatico a quello degli accreditamenti, che hanno fatto da ostacolo insormontabile all’attuazione di un qualsiasi sistema secondo i principi nazionali. Uno dei tanti strumenti, che proprio la Youth Guarantee cita come riferimento, è la premialità. Studiando anche altri modelli europei, è importantissimo – qui il livello nazionale diventa fondamentale perché parliamo 25 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 di condizioni essenziali – che venga costruito un sistema di premialità che consenta di lavorare agli operatori pubblici, privati e collaterali (cioè enti che prestano servizi, organizzazioni sindacali e datoriali, enti bilaterali e tutto ciò che può diventare sistema integrativo all’interno di questo). È essenziale, però, che ci siano delle condizioni chiare anche rispetto alla premialità perché già sulla Youth Guarantee i primi modelli che sono usciti nelle diverse Regioni hanno creato – questa è una lettura della CISL – delle distonie rispetto al PON nazionale sia perché la premialità deve essere data esclusivamente a valle del percorso, con il conseguimento di un risultato, sia perché ci deve essere un’enorme differenziazione anche rispetto al chi si colloca e al dove si colloca (per esempio, se il futuro lavoratore ha delle condizioni di percorso scolastico di un certo tipo e soprattutto se è di un territorio o di un altro). In conclusione, parlando di politiche attive, un’altra questione che riteniamo importante riguarda quella che fino a oggi è stata l’unica reale politica attiva in Italia, pur con tutte le critiche che possiamo fare al sistema. Dobbiamo, infatti, capire come è meglio rivisitare il sistema, in modo che sia integrato a questo nuovo più ‘largo’, rispetto alla formazione continua, ovvero ai fondi interprofessionali perché crediamo che senza un sistema di formazione virtuoso che vada ad accompagnare le politiche attive del lavoro non si vada molto lontano. SERENA SORRENTINO, Cgil. Visto che molte cose sono state già dette, sarà più agevole saltare nei tempi. La CGIL non è mai stata contraria all'ipotesi di costruire un'Agenzia nazionale del lavoro. E' vero, però, che il dibattito rischia di essere sterile nella contrapposizione tra Agenzia nazionale -quindi nazionalizzazione dei servizi per l'impiego- e Agenzia Federale, che mantenga, in termini di governance, un equilibrio non soltanto rispetto alla programmazione, ma anche in parte alla gestione dei servizi per il lavoro tra livello nazionale e livello decentrato. In questo senso, troviamo abbastanza equilibrata la posizione delle Regioni. 26 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 Sottolineiamo però alcuni punti. In primo luogo, una delle difficoltà che abbiamo intravisto è che la delega non fa altro che riprendere molte delle questioni che erano state già regolamentate in passato, non da ultimo della Legge n.92, che, oltretutto, nel rimando a un disegno di legge delega che doveva occuparsi di organizzare la governance dei servizi per il lavoro, aveva anche profilato non soltanto i livelli essenziali delle prestazioni, ma i modelli di governance in maniera più puntuale di quanto non faccia il Disegno di legge delega n.1428. E' che non ci può essere modello di governance dei servizi per il lavoro che non abbia alle spalle un orientamento chiaro della politica per il lavoro. Finché ci concentriamo sul tema della regolamentazione del mercato del lavoro e non ci occupiamo di definire piani e servizi per il lavoro nel nostro Paese, qualsiasi modello di organizzazione gestionale intravediamo per un'Agenzia rischia di fallire in partenza. In effetti, questa è la distonia che stiamo attraversando nel dibattito attorno al tema della costituzione dell'Agenzia. Ci occupiamo del contenitore, ma non abbiamo ben chiara l'articolazione della definizione del contenuto, né la missione, né le risorse. Peraltro, ci occupiamo di un contenitore che pone in termini di governance e di conflitto istituzionale più di un nodo irrisolto. Come diceva Gentile a Costituzione vigente la strada dell'attribuzione di competenze è abbastanza segnata. E' vero che abbiamo due procedimenti in corso. Il primo a cui si faceva riferimento è stato anche distribuito in cartellina ed è il famoso Disegno di legge Delrio; l'altro è la riforma della Pubblica Amministrazione. Infatti, il 14 giugno scopriremo qual'è l'orientamento di riforma della Pubblica Amministrazione. Noi pensiamo che i servizi per il lavoro siano uno dei segmenti fondamentali e più innovativi della Pubblica Amministrazione. Difatti gran parte delle cose di cui discutiamo (organizzazione, razionalizzazione, digitalizzazione, presa in carico) fanno parte di un approccio diverso della Pubblica Amministrazione e dei servizi pubblici, non solo per i cittadini, ma anche per le imprese. Non cito i dati che sono stati già forniti, ma possiamo riflettere sul fatto che 27 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 una delle distonie prevalenti tra il modello di Centri per l'impiego e di servizi per il lavoro che abbiamo adottato in Italia e quello degli altri Paesi è che, in teoria, i servizi per il lavoro sono per il lavoratore e per l'impresa, ma non abbiamo una banca dati delle imprese iscritte ai Centri per l'impiego perché di fatto non si iscrivono. In Germania i datori di lavoro iscritti all’Agenzia per il lavoro sono superiori al numero di lavoratori iscritti. Questo ci dirà qualcosa sull’approccio che sottende i servizi per il lavoro per come sono stati ipotizzati nel nostro Paese? Ecco, vorrei soffermarmi esclusivamente su questo punto: l’Agenzia nazionale. Non dobbiamo inventarci i livelli essenziali delle prestazioni perché sono stati già più volte scritti, concordati, convenuti, ratificati in Conferenza unificata e così via. Il punto fondamentale è la gestione del servizio, che attiene non soltanto alla determinazione di chi ha la competenza in termini di programmazione. Come diceva la dottoressa Giovani, ci sono delle competenze in termini di programmazione che sono di ordine nazionale perché attengono agli standard minimi di qualità e alle modalità di accreditamento dei soggetti che erogano i servizi e che devono essere uniformi su tutto il territorio nazionale. I 21 sistemi di mercato del lavoro regionali non sono esattamente sovrapponibili, quindi non si può pensare di standardizzare anche l’attività di programmazione delle agenzie regionali. C'è la necessità di costruire un sistema di bilanciamento tra servizi minimi e standard minimi a livello nazionale e prerogative delle autonomie nella programmazione che consentano un adattamento e un adeguamento dei servizi per il lavoro, e soprattutto della gamba delle politiche attive, sul territorio. Altrimenti, facciamo un’operazione che, anche dal punto di vista dell’architettura istituzionale, può essere la più pulita possibile, ma rischia di scontrarsi con un fallimento di fatto in tutti gli obiettivi che oggi assegniamo ai servizi per il lavoro, che -come correttamente veniva detto- non riguardano solo il tema dell’intermediazione del lavoro. Sarebbe riduttivo pensare che stiamo costruendo un’Agenzia nazionale federale che abbia come unico obiettivo quello di funzionare come borsa lavoro. 28 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 Abbiamo bisogno di altro, cioè della riscrittura delle politiche attive e di mettere a sistema e in sinergia quello che il nostro Paese ha già codificato. Abbiamo un sistema dell’apprendimento permanente che è disciplinato e ratificato dai commi 51 - 55 della Legge n. 92; abbiamo la costituzione dei poli tecnico-scientifici che ci aiutano a fare l’integrazione del percorso scolastico; dobbiamo riorganizzare la rete per i servizi del lavoro; abbiamo le reti per l’orientamento permanente. Insomma, non è che non abbiamo i livelli istituzionali e le competenze che si devono occupare di questo. Come sempre il nodo è nell’integrazione e nell’interoperabilità tra banche dati della Pubblica Amministrazione, e tra funzioni. A questo riguardo, sicuramente, l’unificazione delle banche dati sarà una rivoluzione. Il punto fondamentale, però, è che ci sono due cose che vanno stabilite preliminarmente: quali sono le politiche del lavoro che si mettono a disposizione di un progetto di riorganizzazione dei servizi per il lavoro (lavoratori e imprese) e come la Pubblica Amministrazione, nel processo di riforma, adegua non soltanto i comportamenti, su cui c’è una grande attenzione, ma anche i modelli organizzativi a rispondere a nuove esigenze. In questo c’è anche un pezzo di risposta all’ultimo nodo della governance, cioè qual'è il livello di prossimità nell’erogazione delle prestazioni. Ebbene, pensiamo che sia una follia la comunalizzazione dei servizi perché questo significa non avere idea di cosa sia il mercato del lavoro, che per avere un minimo di credibilità nella sua gestione e organizzazione, deve avere come bacino di competenza un’area vasta, come le città metropolitane, ovvero quelle che prima erano più o meno le organizzazioni geografiche afferenti alle ex Province. Quello deve essere il bacino di riferimento per la gestione dei servizi, mentre l'erogazione della prestazione deve essere di prossimità e cioè i centri per l'impiego devono avere sedi più possibili vicine a imprese e lavoratori. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Ha addirittura guadagnato tempo. Ora abbiamo l’ultimo rappresentante dell’area sindacale, poi passiamo all’ISFOL e alla Camera. 29 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 MARCO MASSERA, Uil. Vi ringrazio dell’opportunità di affrontare un tema così spinoso e articolato. Sono state dette molte cose da molti punti di vista differenti, dal punto di vista istituzionale, con un taglio squisitamente legislativo e costituzionale, a quello dell’impresa, del Ministero del lavoro e delle Regioni. In particolare, queste ultime, da quando è cominciato il decentramento, cioè con la fine del monopolio pubblico degli uffici di collocamento (come si chiamavano un volta), hanno operato, nel bene e nel male, con luci e ombre, fino a oggi, quindi fino alla rivoluzione copernicana del Job Act, che secondo noi fa un clamoroso passo indietro rispetto alle leggi Bassanini sul decentramento. È un’idea che non ci convince, innanzitutto perché non riteniamo che si possano accentrare in un’unica Agenzia nazionale dei compiti di programmazione e di gestione al tempo stesso. Questo è quello che succede oggi nelle Regioni, che hanno dei compiti di programmazione. Dopodiché, c’è l’ex Provincia o le aree vaste, come oggi ci tocca chiamarle. Sotto questo aspetto, come Uil, giudico molto condivisibile l’ultima parte del ragionamento della collega Sorrentino rispetto all’individuazione dell’ambito ottimale su cui vanno collocati i servizi, in ragione proprio delle questioni che sono state dibattute sinora. Non ci interessa molto il contenitore, bensì il risultato, quindi una definizione puntuale di ruoli e di competenze. Pertanto, andrebbe invertito l’ordine delle priorità perché se si vuole fare quello che il Governo ha scritto nel disegno di legge delega (Atto Senato n. 1428): prima bisogna fare la revisione della Carta costituzionale. In queste condizioni non hanno torto le Regioni nel denunciare una pervasività e un intervento a gamba tesa – se vogliamo usare un termine calcistico – nei confronti delle loro prerogative. È, dunque, importante mettersi d’accordo su una priorità. Il nostro Paese ha necessità di centri per l’impiego che funzionino. Devo dire, però, che per quanto riguarda l’occupazione, questi non sono altro che un complemento perché 30 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 sarebbe necessario occuparci di altro, cioè di come si crea il lavoro. È vero che questo è uno strumento di facilitazione e che esiste un mismatch tra domanda e offerta, ma quelle che riguardano il mismatch sono misure con decimali molto più bassi di quelle che oggi l’Istat ci fornisce con i dati sulla disoccupazione, in particolare giovanile. Non credo, quindi, che recuperando questo differenziale si risolvano i problemi occupazionali del Paese. Dovremmo, invece, partire da politiche di sviluppo, di crescita, industriale e così via. Non è questo, però, l’argomento, pertanto non vado oltre. In sostanza, i Servizi per il lavoro sono uno strumento che deve accompagnare, come diceva la professoressa Fornero nella sua delega poi scaduta. Peraltro; ce ne sono state altre di deleghe scadute; ne sono piene le fosse di interventi che volevano rivoluzionare il nostro sistema di gestione dei servizi per l’impiego. Mi hanno, tuttavia, convinto alcune questioni, che tengo a sottolineare. Innanzitutto, come dicevo, non ci interessa il contenitore. L’Agenzia nazionale è fondamentale se serve a far massa critica, mettendo insieme i numerosi problemi che abbiamo, con l’ISFOL da una parte e Italia lavoro dall’altra, entrambi enti strumentali importantissimi, ma, dai numeri che sono stati riportati molto fedelmente poco fa, anche portatori di numerosi problemi (stabilizzazioni, collaborazioni, percentuali di tempi determinati che vengono reiterati nel corso degli anni; addirittura in Italia lavoro sono superiori o pari al 60 per cento della forza lavoro; il Decreto Legge 74/14, con il suo 20 per cento di tempi determinati, è ben poca cosa rispetto a quello che accade in Italia lavoro). Se c’è la necessità di razionalizzare va bene, ma è naturale che l’Agenzia deve fare quello che è stato detto da molti, cioè disegnare, coordinare e avere, laddove necessario, poteri di intervento sussidiario. Infatti, non è detto che le cose possano funzionare. Non me ne voglia la dottoressa Giovani, ma un potere di intervento sostitutivo o integrativo, come accade per Garanzia giovani, può anche essere necessario. Non ci convincono le 21 agenzie regionali, con 21 consigli amministrazione, 21 amministratori delegati, 21 direttori generali. Tuttavia, queste agenzie sono 31 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 costituite così. Ce ne sono già in alcune Regioni. In questo modo estendiamo il modello a tutte le Regioni. A ogni modo, ci interessa che rimangano in capo alle Regioni quelle competenze citate dalla dottoressa Giovani, ovvero la capacità di cogliere le esigenze del territorio, come avviene oggi. Si tratta di avere la capacità di leggere il territorio, di programmare le azioni e delegare, però, le proprie funzioni. Non crediamo, infatti, che la Regione possa riassumere in se stessa compiti programmatori e gestionali. Lo stesso vale per l’Agenzia nazionale. Questi compiti vanno affidati a enti intermedi. Sono d’accordo, dunque, con la collega Sorrentino nel dire che gli enti dove vanno collocati i CPI sono le ex Province, vale a dire gli ambiti ottimali che possono essere ricompresi in queste aree vaste o nelle città metropolitane. Di sicuro non riteniamo possa farlo la Regione. Anche le Province, perciò, sono un convitato di pietra. Hanno espresso il loro parere rispetto al disegno di legge e chiedono che sia lo Stato a delegare direttamente agli enti che si dovranno realizzare in quelle aree, dal momento che alcune competenze e funzioni comunque rimangono a quelle realtà, quindi potranno utilmente svolgere i compiti che finora hanno svolto rispetto alla gestione dei servizi per l’impiego. Mi ha molto convinto il ragionamento del consigliere del CNEL in merito a quello che i nostri Centri per l’impiego non riescono a fare, per le ragioni che diceva il collega della CISL, ovvero per il sottodimensionamento e per la mole di lavoro di carattere amministrativo. È vero, dottoressa Strano, che le comunicazioni obbligatorie li hanno sgravati, ma se lei pensa a quante DID (Dichiarazione di immediata disponibilità) hanno dovuto sottoscrivere, seguire e via dicendo, si tratta di carichi di lavoro importanti, per cui molte delle funzioni proattive che potrebbero svolgere i centri sono lasciate da parte. Infatti, il personale che sta nel back-office è la maggioranza, mentre la minoranza sta nel front-office. Riallacciandomi di nuovo a quello che diceva la collega Sorrentino, la riforma della pubblica amministrazione, da questo punto di vista, ci deve dare un’indicazione, perché non si possono fare operazioni così importanti come 32 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 quelle contenute nell’atto n. 1428 senza le risorse. Inoltre una questione che mi interessa particolarmente è che si ritrovi un nesso tra mercato del lavoro e sistema scolastico. Il decreto Carrozza va in questa direzione e, oltretutto, lo fa attraverso uno strumento che apprezziamo, come l’apprendistato di alta formazione. C’è, peraltro, già una grossa azienda che vuole utilizzare quello strumento, per questo è stato accelerato un iter attraverso il decreto-legge n. 34 di deroga all’età degli apprendisti che possono partecipare. In conclusione, questo è un aspetto che va fortemente irrobustito. Al di là dei contenitori – ripeto – sono i contenuti e le azioni che vanno coordinati. Termino con un’ultima questione sulla quale la collega Sorrentino mi ha anticipato. Nei sistemi dell’Unione europea che conosciamo il rapporto dei centri dell’impiego è non soltanto con i lavoratori, ma anche con il sistema di impresa. Si dice che si utilizza il canale informale. Ebbene, le piccolissime aziende lo utilizzano all’85 per cento. Sono, quindi, le aziende a utilizzarlo, non certo i lavoratori, che si adeguano al sistema. Se quello è il sistema, è naturale che utilizzeranno quello rispetto allo strumento pubblico messo a disposizione. Insomma, c’è una chiamata di corresponsabilità nei confronti del nostro sistema di impresa che va reso più chiaro ed evidente. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Abbiamo ancora due interventi istituzionali, dopodiché riapriamo il giro. Do, quindi, la parola al professor Varesi. PIETRO A. VARESI, Presidente ISFOL. Per ragioni di tempo non mi dilungo sulle obiezioni di legittimità costituzionale che sono state espresse dal consigliere Gentile in merito all’art. 2 del d.d.l. delega. Mi sembrano condivisibili. In proposito segnalo però un’ulteriore aspetto critico: le proposte in esame rischiano di separare nuovamente servizi per l’impiego e politiche attive, da un lato, e formazione professionale, dall’altro. Sarebbe un salto all’indietro nel tempo, ritorneremmo indietro agli anni Settanta e ad una 33 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 divisione innaturale che tanto ha nuociuto allo sviluppo del nostro sistema di politica del lavoro. Ciò premesso svolgerò alcune considerazioni volte a delineare un modello che sia efficace ed efficiente nel garantire i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i servizi per l’impiego” (di cui alla legge n. 92/2012) a tutti i cittadini in ogni parte del territorio nazionale. Sono considerazioni che nascono sia dall’analisi dell’esperienza delle Agenzie di altri Paesi europei, a partire da quelli più vicini a noi (Francia e Germania), sia dall’esperienza maturata all’interno dalla Struttura di missione, dove, seppur con notevole fatica, sono state poste le premesse per sperimentare un sistema condiviso di servizi per l’impiego, al fine di dare attuazione alla Garanzia per i giovani. Il Piano nazionale per la Garanzia per i giovani è infatti l’espressione più alta che il nostro Paese sia riuscito a esprimere sui servizi per l’impiego e sulle politiche attive del lavoro, in termini di concertazione tra Stato, Regioni, Province e altri soggetti istituzionali e sociali interessati, valorizzando una logica cooperativa e non conflittuale. Credo, quindi, che si debba prestare molta attenzione alla attuazione della Garanzia per i giovani perché dalla sua applicazione potrebbero venire risultati positivi e inaspettati, tali da influenzare il dibattito sulla riforma dell’assetto istituzionale ed organizzativo del sistema ed addirittura avvalorare o mettere in discussione l’esigenza di riforme radicali. La risposta che cercherò di dare alla domanda che ci stiamo ponendo – qual è il sistema più efficace e più efficiente per le politiche attive del lavoro e i servizi per l’impiego in Italia – deve a mio avviso prendere le mosse, innanzitutto, dalla valutazione dell’esperienza degli ultimi quindici anni ed in particolare da tutto ciò che abbiamo costruito in attuazione del decreto legislativo n. 469 del 1997, quello che ha regolato il decentramento di poteri in materia dallo Stato alle Regioni ed alle Province. Benché formalmente basato su “sistemi regionali per l’impiego”, come previsto dall’art.4 di tale decreto, il sistema si è sviluppato nella realtà poggiando sul ruolo largamente prevalente delle Province. Cosicché il percorso è stato caratterizzato da un’evidente diversificazione, definita “a macchia di 34 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 leopardo”. Questo è risultato vero non solo tra Regione e Regione ma anche tra Province della stessa Regione (con la conseguenza che abbiamo delle Province che offrono servizi per l’impiego che possono tranquillamente confrontarsi con quelli francesi o tedeschi, mentre altre hanno cambiato solo la denominazione delle vecchie sezioni circoscrizionali per l’impiego, lasciando pressoché inalterata la precedente attività). In proposito dobbiamo avere il coraggio di dire che questa forte differenziazione organizzativa non ha pagato e necessita di ripensamento. Sarebbe ingiusto, però, dire che questo è stato l’unico o il principale problema. Infatti, sappiamo che le risorse destinate dall’Italia ai servizi per l’impiego sono scarse e sappiamo che impieghiamo un quinto degli operatori della Francia e un decimo degli operatori della Germania: non possiamo dunque aspettarci gli stessi risultati. Tuttavia, un rafforzamento del sistema è necessario e passa dall’uniformità delle regole e delle scelte organizzative e, in particolare, dal potenziamento del ruolo delle Regioni/Città metropolitane, cioè dalla effettiva costruzione di “sistemi regionali per l’impiego”. Sotto questo profilo, non concordo con alcune affermazioni che ho udito negli interventi precedenti. Per quanto sopra detto, sono decisamente contrario all’affidamento dei Centri per l’impiego ai Comuni (realtà troppo piccole per rispondere al principio di adeguatezza) o alle nuove realtà istituzionali di area vasta. Condivido, invece, l’idea che i Centri per l’impiego vengano allocati presso le Regioni, contribuendo alla costruzione di un modello regionale “forte”. Ciò non vuol dire non tener conto della necessaria territorializzazione dei servizi. E’evidente a tutti, infatti, che i servizi debbono essere erogati sul territorio ed è quindi essenziale mantenere in vita le strutture organizzative decentrate (i Centri per l’impiego) in relazione alle esigenze specifiche del territorio. Segnalo inoltre che l’eventuale scelta del modello agenziale anche a livello regionale o di città metropolitana, si presenta non solo come elemento di 35 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 coerenza formale rispetto al modello organizzativo statale (siccome si fa l’Agenzia statale, è buona cosa che nascano anche le Agenzie regionali) ma anche come espressione della volontà di costruire un unico sistema nazionale. È l’incastro delle diverse Agenzie regionali e della Agenzia centrale che dà come esito complessivo l’Agenzia nazionale. In sintesi, l’Agenzia nazionale potrebbe essere concepita come l’insieme delle Agenzie regionali più l’Agenzia centrale. Quest’ultima, lungi dall’essere un orpello, colmerebbe una grave lacuna. Infatti, una delle carenze più avvertite da coloro che ben hanno operato in periferia è stata la mancanza di un sistema centrale che svolgesse funzioni e compiti di fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni, di definizione degli standard di qualità, di monitoraggio e valutazione, di esercizio di poteri sostitutivi. Tutte funzioni che sono di aiuto e non di ostacolo a chi opera a livello periferico e che sono fino ad ora in larga parte mancate nel sistema italiano. Per quanto riguarda il tema del rapporto pubblico-privato, credo che la costruzione del sistema misto di cui l’O.I.L. parla ormai da 15 anni e che noi abbiamo regolato mediante la disciplina del sistema di accreditamento (v. art. 7 d.lgs. 276/2003), abbia scontato un deficit non tanto normativo, quando di volontà politica. Se solo metà delle Regioni hanno legiferato per dare attuazione all’accreditamento e solo sette Regioni lo hanno reso operativo, vuol dire che il problema non è normativo, perché le norme statali ci sono. Non si possono fare i necessari passi in direzione del “sistema misto” se il Paese non si convince che un moderno sistema di servizi per l’impiego non può non basarsi sulla presenza di soggetti pubblici e di soggetti privati, operanti in alcuni casi secondo logiche di concorrenza ed in altri casi secondo logiche di cooperazione. La Garanzia per i giovani, ad esempio, può essere l’occasione per valorizzare le opportunità di collaborazione e sperimentare un approccio positivo al sistema misto. In questo modo, potremmo giungere alla costruzione delle “reti territoriali” da molti citate ed a cui ha fatto riferimento, in particolare, il Consigliere Drezzadore. Giustamente si è detto che questo tipo di approccio non riguarda solamente il rapporto tra pubblico e privato o tra istituzioni pubbliche e il 36 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 mercato, ma deve coinvolgere anche il sistema formativo ed educativo. Sull’integrazione tra politiche attive e politiche passive, avendo visto come altri Paesi hanno affrontato il tema, dico solo che ho imparato che si può agire per gradi, anche promuovendo dalle sperimentazioni territoriali, da sottoporre a valutazione. I gravi ritardi accumulati dal nostro Paese nella materia in esame mi rendono perplesso di fronte ad ipotesi di grandi e subitanei cambiamenti. L’integrazione tra politiche attive e passive, indicazione assolutamente fondamentale, può avere differenti proiezioni sul piano organizzativo. Si può ripartire da formule soft (ad esempio dall’affiancamento di funzionari Inps e dei Centri per l’impiego presso una stessa sede – ricorderete la sperimentazione che avviò il Ministero del lavoro qualche anno fa –) oppure si può pensare ad una fortissima integrazione dei collegamenti informatici tra Inps e servizi per l’impiego. La Francia, prima di dare avvio alla fusione dell’ANPE e dell’UNEDIC in Pôle emploi, ha per molti anni puntato su una forte integrazione dei sistemi informatici; solo successivamente ha aderito all’idea di fondere l’Agenzia nazionale per l’impiego con l’istituzione che erogava i sussidi di disoccupazione. Segnalo, a puro titolo informativo, che colleghi di Istituti di ricerca francesi ci segnalano che l’integrazione, voluta dal presidente Sarkozy nel 2008, dopo sei anni non può dirsi ancora del tutto completata. Poiché il nostro Paese, come è noto, non è proprio velocissimo nell’integrare strutture e nello spostare personale, forse, nel riaffermare con forza l’obiettivo, bisognerebbe pensare ad un processo organizzativo che delinei le necessarie tappe e gradualità. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Lascia perdere. Mi scuso perché non conoscevo Bitti. Facciamo sentire l’ultima voce sociale. FIOVO BITTI, Ugl. Grazie, Presidente, sarò brevissimo e lascerò un documento scritto con le nostre considerazioni. 37 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. A questo proposito, tutti sono autorizzati, anzi invitati, a lasciare documenti scritti. FIOVO BITTI, Ugl. Sul disegno di legge ci sono almeno tre nodi. Il primo è quello delle risorse; il secondo è quello del coinvolgimento delle parti sociali, che è previsto soltanto in due punti, mentre secondo noi andrebbe esteso in ben più parti; il terzo riguarda le deleghe contenute nel presente disegno di legge, che sono molto ampie e possono portare a un eccesso di discrezionalità da parte dell’esecutivo, con tutto quello che può succedere sul riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni. Relativamente ai temi indicati nella scheda, anche per noi l’Agenzia nazionale va fatta, con una presenza delle parti sociali maggiore rispetto ad ora. Quali sono le funzioni che possono essere allocate a livello statale? Direi sicuramente il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni e degli standard qualitativi e la gestione del sistema informatico. Per quanto riguarda l’organizzazione decentrata di servizi, crediamo che i Centri per l’impiego andrebbero ricollocati nelle Regioni, che dovrebbero dotarsi a loro volta di un’Agenzia operativa regionale, in linea con l’organizzazione dell’Agenzia nazionale. L’integrazione tra le politiche attive e passive è un tema delicato. Qualche volta si è parlato anche dell’ipotesi INPS. Indubbiamente, però, soprattutto se fosse l’INPS, qualche problema potrebbe sorgere anche nella lettura del bilancio in quanto si andrebbe a gestire la previdenza, l’assistenza e diverse altre voci, con una criticità a livello di comprensione della spesa pubblica italiana in rapporto al PIL su certe materie. Sicuramente, va fatta una maggiore integrazione sotto l’aspetto informatico. Crediamo, però, che una maggiore integrazione sia possibile anche fra pubblico e privato, per quanto riguarda i servizi per l’impiego. Non ci convince, tuttavia, un passaggio in cui si spiega quali compiti deve fare il pubblico e quali il privato perché si assimila a una logica del tipo bad company e good company, nel senso che il pubblico fa il lavoro sporco e il privato quello pulito e remunerato, o 38 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 viceversa. Quindi, siamo d’accordissimo su questa integrazione, ma chiediamo di fare attenzione a questo passaggio. La Garanzia giovani è un’occasione per testare da subito il livello di efficienza. Le domande già presentate in valori assoluti sono molte, ma se le rapportiamo a livello dei giovani che non lavorano e non studiano, stiamo tra il 2,3 e il 2,5 per cento del bacino potenziale. C’è un passaggio in cui si dice che potrebbe crearsi una certa concorrenza fra le Regioni. In realtà già c’è perché nel decreto-legge lavoro si dice che la persona può segnarsi a qualsiasi Centro per l’impiego, anche telematicamente. Per cui, effettivamente un giovane può decidere di iscriversi in Lombardia o in Calabria, secondo le sue esigenze. Infine, sul Titolo V il giudizio è sospeso, anche se leggendo quello che si sta facendo, c’è il rischio di una ricentralizzazione eccessiva delle competenze. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Nonostante la mia spinta alla brevità, siamo già a due ore. Onorevole Maestri, a lei la parola. PATRIZIA MAESTRI, Deputato. Ho ascoltato con attenzione e interesse gli interventi dei relatori presenti al workshop sul tema della legge delega sul lavoro che è attualmente in discussione nella Commissione Lavoro del Senato e che approderà alla Camera nei prossimi mesi. So che in Commissione al Senato si sono già svolte le audizioni con le parti sociali e sono quindi già stati raccolti elementi e osservazioni utili ad approfondire i temi contenuti nella delega. Affrontando sinteticamente le questioni poste dal Presidente Treu, in specifico sull’articolo 2, servizi per il lavoro e politiche attive, osservo che anche questo provvedimento è attraversato dalla logica della semplificazione e della razionalizzazione degli interventi con l’obbiettivo di una maggiore efficienza. Principio sicuramente positivo purché nell’eccessiva semplificazione non si rischi di perdere pezzi di un sistema che in alcune regioni e province ha raggiunto un livello di servizio dignitoso. Conosciamo tutti la situazione di grande frammentazione e disomogeneità del 39 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 sistema servizi per il lavoro e di politiche attive nelle diverse regioni, quindi penso che il primo compito a cui dovrà rispondere l’Agenzia Nazionale prevista dalla delega sarà quello di rendere omogeneo in tutto il Paese quantomeno uno standard minimo di livelli essenziali delle prestazioni orientato naturalmente non ai livelli più bassi. È vero che esiste, ormai da qualche tempo - come sottolineava la dottoressa Giovani - un pregiudizio, sul lavoro e sui servizi pubblici che spinge l’opinione pubblica a considerarli costi eccessivi o addirittura sprechi. Pregiudizio che è spesso alimentato dai media e oscura il dato numerico reale degli operatori dei Centri per l’Impiego che sono di gran lunga inferiori a quelli presenti nei centri degli altri paesi europei. C'è inoltre un contesto complicato a fronte della legislazione attuale che ancora non ha chiarito l’affidamento delle deleghe delle province alle regioni e la discussione che si sta affrontando riferita alla riforma del Titolo V della Costituzione. Un altro elemento su cui ragionare è quello relativo al concetto che attraversa tutti gli interventi della delega, anche quello che riguarda gli ammortizzatori sociali, che è quello delle risorse che devono risultare complessivamente invariate. Sarà necessario quindi che nelle razionalizzazioni e nell’ambito della mobilità del personale della P.A., si recuperino le risorse umane ed economiche necessarie per garantire dei modelli organizzativi efficaci. Attualmente i Centri per l’Impiego operano con un alto numero di lavoratori precari con situazioni differenziate anche nelle province della stessa regione. Conosco il buon funzionamento dei Centri per l’Impiego dell’Emilia-Romagna: in cui alcuni Centri impiegano personale completamente pubblico, altri hanno appaltato tutto, altri hanno parte degli operatori in appalto e parte assunti dal pubblico. Penso quindi che un primo intervento dovrà essere effettuato aumentando l’organico dei Centri per l’Impiego e stabilizzando i lavoratori precari, tenendo conto che i loro contratti scadono il 31 dicembre e se non fossero stabilizzati 40 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 molti Centri non sarebbero nelle condizioni di tenere aperti gli sportelli. Come si è fatto nel decreto 34 su contratti a termine e apprendistato si potrebbe prevedere anche in questo provvedimento un periodo di monitoraggio per verificarne i risultati. E se i compiti dell' Agenzia Nazionale saranno quelli di coordinamento e di governance penso che si debbano prevedere anche articolazioni dei servizi a livello territoriali, sempre omogenei, che possano rispondere meglio al mercato del lavoro locale. Con la Garanzia Giovani avremo la possibilità, già da ora di sperimentare come gli attuali Centri per l'Impiego risponderanno alle richieste dei giovani in cerca di lavoro e quali saranno le azioni da rafforzare, tenendo conto della normativa su alternanza scuola-lavoro già prevista dal decreto 34. Altro punto importante è la sinergia tra pubblico e privato che già esiste ma occorrerà stabilire i criteri omogenei per l’accreditamento del privato. Abbiamo oggi la necessità di affrontare rapidamente i contenuti della delega del lavoro per dare continuità al decreto già approvato sul mercato del lavoro; i temi degli ammortizzatori sociali, del contratto a tutele crescente, gli appalti, il compenso minimo e le politiche attive del lavoro devono trovare al più presto una definizione complessiva in una ottica di sostegno e di stabilizzazione del lavoro, pur nella consapevolezza che nuove regole sul lavoro non creano occupazione ma possono aiutare in un momento come quello attuale di grande emergenza. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. A conclusione di questo primo giro il presidente Casadio vorrebbe dire la sua. GIUSEPPE CASADIO, Coordinatore Commissione II CNEL. Vorrei fare una considerazione che riguarda l’economia del nostro lavoro, se volete di carattere organizzativo, ma che non intende concludere nulla. Le considerazioni di sintesi le farà poi Tiziano. Occasioni come questa, di confronto a più voci sul merito di questioni molto 41 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 rilevanti, rispecchiano di per sé la ragion d’essere di un’istituzione come la nostra (finché esisteremo). Abbiamo ascoltato considerazioni molto stimolanti (peraltro, le persone sedute a questo tavolo, delle dinamiche del mercato del lavoro ne capiscono e ne hanno esperienza) dobbiamo impegnarci a farle vivere, dando loro continuità. Le nostre Commissioni possono farlo, anche e forse soprattutto, pensando alla fase dei decreti legislativi, per ragioni ovvie. Al momento le cose sono al punto che veniva anche ora rappresentato: il provvedimento è in Commissione al Senato. Vi saranno emendamenti, non so quanto ampi. Insomma, è ragionevole immaginare che nel giro di non molto tempo la legge arrivi in porto. La fase dei decreti legislativi sarà, però, fondamentale, data la natura stessa della legislazione delegata, e in questo caso per le questioni che sono emerse anche qui e che sono cruciali, questioni organizzative e questioni strategiche. Certo, le parti sociali e gli altri soggetti istituzionali, oltre al Parlamento, avranno ciascuna occasioni ed opportunità per esprimere le loro valutazioni. Si citavano le audizioni; benissimo. Tuttavia, queste sono tematiche rispetto alle quali avere sedi in cui ci si confronta anche fra le parti sociali serve a ciascuno di noi. Tutti abbiamo esperienza. Quella delle audizioni è una pratica aperta che può essere usata anche per non tener conto di nessuno, se si vuole. Insomma, la pratica di qualche confronto diretto a più voci sui temi fondamentali può essere anche più feconda, almeno nei momenti cruciali della formazione e della discussione di decreti legislativi. Faremo tesoro di questi contributi e cercheremo di crearne materialmente una sintesi. Vedremo se saremo in grado di fare un documento, ma comunque faremo una rappresentazione di questa discussione e la metteremo a disposizione di tutti. Inoltre, penso che su alcuni aspetti (in particolare sull’Agenzia e sulle cose che emergono anche qui come le più cruciali) anche nella fase dei decreti legislativi varrà la pena di trovare qualche occasione in cui confrontarci. Approfitto per dire che il 1 luglio svolgeremo un’iniziativa di presentazione di una ricerca molto interessante che abbiamo fatto sui lavoratori poveri (working poor). 42 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Ho ancora una comunicazione quasi di servizio. Vorrei, però, provocare qualche reazione nei sopravvissuti. Presidente Damiano, accomodati. Siamo alla fine di un primo giro molto succoso. Io che sento queste cose da soli vent’anni, ho avuto dei buoni stimoli, quindi mi complimento. Adesso, faccio un paio di provocazioni per vedere se c’è ancora qualche idea da mettere in campo. Dopodiché puoi dire quello che credi, anche se sei stato già rappresentato da Patrizia Maestri. Noi vorremmo contribuire – adesso vedremo come – a quel dibattito istituzionale che si sta svolgendo perché il CNEL avrebbe anche il compito di iniziativa legislativa. Noi, nei nostri documenti di riforma, che per ora sono lì, abbiamo detto che l’iniziativa legislativa non si manifesta necessariamente solo in megadisegni di legge, ma anche in interventi emendativi o comunque integrativi nei dibattiti. Quindi, cercheremo di mettere insieme questo nostro ragionare e faremo la nostra parte per stimolare qualcosa di positivo prima al Senato e poi alla Camera. Anch’io auspico – so che c’è già questa volontà – che le due Camere collaborino. Del resto, finché siamo in bicameralismo, facciamo che sia il meno imperfetto possibile. Quanto meno, il partito di Governo dovrebbe coordinarsi. Questa è l’indicazione di percorso. Dico alcune cose. Infatti, ho notato un approccio positivo, che fa parte di un clima che nel Paese è leggermente migliorato (almeno, io così la vedo). Tuttavia, dato che non siamo qui per farci i complimenti, ma per discutere, noto che avete tutti (perché io non ho detto nulla) sottaciuto o sottolineato poco alcune criticità. Nessuno è entusiasta di come funzionano le cose ed è anche giusto quello che è stato detto, cioè che non è tanto la normativa quanto il funzionamento. Ciò nonostante, sulle risorse bisogna essere chiari: da dove si prendono? Non è come una volta, quando si diceva “risorse zero” perché c’è un problema – almeno così lo pongo io – di redistribuzione delle risorse. Siamo d’accordo che questa questione è stata solo soavemente toccata? 43 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 In secondo luogo, sul rapporto pubblico-privato, rispetto a tanti anni fa, non c’è più la tauromachia. Si dice che bisogna che facciano qualcosa in sinergia o in concorrenza (già questo è ambiguo; diciamo in sinergia). Non possiamo, però, sottolineare che il quadro delle opinioni e soprattutto di comportamenti in giro per l’Italia è, appunto, molto ambiguo. Lo ha detto Varesi alla fine, ma io lo sottolineo. Questo accade non solo per vecchi motivi ideologici, ma perché una Regione fa in un modo, un’altra in un altro, un’altra non lo fa proprio. Questo non è un dettaglio. Sarà anche una questione di decreto legislativo, ma riguarda principalmente la macchina operativa. Il terzo punto che volevo fosse più evidenziato ha a che fare con il lavoro burocratico: quanto è? Lo vogliamo smagrire? È chiaro che nei centri bisogna mettere delle professionalità nobili, ma se anche quelle nobili che ci sono (come dice la Toscana, che, peraltro, non è tutta l’Italia) devono fare le carte in attesa della digitalizzazione non va bene. Anche questo, quindi, sarebbe bene dirlo in toni non diplomatici. Il quarto punto è che le imprese non ci sono, ma perché? Me lo dovete dire, anche se ho una mia idea. Oltretutto, essendo vent’anni che pratico questo genere di argomenti, è la prima volta che sento sollevare il problema, cosa che mi fa piacere perché finora quello delle imprese era un sottinteso. Bisogna responsabilizzarle? Perché non sono responsabilizzate, perché sono cattive o perché sono odiate? L’ultimo punto è quello che tiene insieme i miei dubbi. È vero che non dobbiamo esagerare con il problema della governance, ma non ditemi che i gradi di diversità sono legati alle diversità del mercato del lavoro. Dovremo analizzare a fondo questo elemento perché si tratta di diversità che vanno in profondità nelle strutture regionali. Peggio ancora, si vuole sbrindellare ancora di più. Insomma, non è che per essere prossimi ai mercati del lavoro bisogna avere modelli organizzativi diversi. Varesi è stato l’unico che lo ha detto. Oltre alle cose che (bontà vostra) dovrebbe fare l’Agenzia nazionale, senza invadere i compiti di gestione, c’è il coordinamento, ma questa è una parola abusata, se 44 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 non la si riempie seriamente di contenuti. Allora, questa Agenzia nazionale, che non invade i compiti di gestione, stabilisce gli standard, ma ripartisce anche le risorse? Non si è detto, ma non è un dettaglio da poco. I modelli organizzativi sono diversi? Ogni Regione crea i suoi modelli organizzativi? È necessario avere modelli organizzativi diversi? Discutiamone. Non è, però, che una Regione fa l’assessorato e un’altra l’Agenzia. Peraltro, anche adesso, nell’attuazione della Garanzia giovani, ho visto pratiche completamente diverse nella distribuzione di compiti tra privato e pubblico e nell’allocazione delle risorse. Qualcuno mette tutto da una parte, qualcun altro dall’altra. Non mi dite, però, che questo accade poiché il resto è già fatto perché a me non pare. Quest’ultimo punto, in sintesi, vuol dire: in che misura il coordinamento è efficace? Infatti, se non è efficace nei punti critici, anche i servizi essenziali restano scritti sulla carta, come sono da quindici anni. JOLE VERNOLA, Confcommercio. Vorrei rispondere ad alcune domande che sono state formulate. È vero che i servizi essenziali sono scritti sulla carta come quindici anni fa. Ma la domanda che è necessario porsi è: perché le imprese non sono iscritte? perché non ricevono i servizi e quelle che si iscrivono, infatti, lo fanno per la parte relativa all’attività di comunicazione. Infatti, salvo poche buone prassi locali, non c’è un tipo di attività del Centro per l’impiego che possa rispondere alle esigenze delle imprese – prima facevo l’esempio dell’apprendistato – né nell’individuazione di un potenziale ventaglio di soggetti che potrebbero interessare all’impresa perché, magari, ha una posizione da coprire; né nel raccordo con le scuole, perché, come dicevo, questo collegamento va ancora fatto; né, infine, anche se in maniera molto diversificata sul territorio, rispetto all’utilizzo e all’accesso a banche dati, visto che, come è stato confermato, nemmeno gli stessi uffici pubblici riescono interfacciarsi l’uno con l’altro in maniera trasparente. Insomma, non si riesce a mettere insieme con agilità i dati della stessa 45 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 persona perché ci sono problemi di privacy. Lo ribadisco perché è una cosa banale. Oggi non riusciamo ad accedere ai dati dei neolaureati delle università, se non attraverso delle convenzioni complicate. Ciò accade anche per quelle pubbliche che dovrebbero essere strumenti del sistema dei servizi al lavoro perché, come ho detto, il tema del placement è un tassello fondamentale. In sostanza, un’azienda non può vedere gli elenchi dei neolaureati di determinate facoltà, che hanno competenze specifiche, se non fa determinate convenzioni (e non è detto che tutte le università le consentano). Non dico nemmeno che si tratta di servizi a pagamento, ma non si accede nemmeno a una panoramica generale. Questo è un problema. Se questo potesse essere coadiuvato da un’attività del Centro per l’impiego, forse le imprese lavorerebbero maggiormente con i centri. Lo dico anche da associazione datoriale perché sul territorio spesso abbiamo contatti con le nostre aziende, ma anche noi facciamo fatica a raccordare determinati servizi. Li facciamo, infatti, direttamente dove possiamo, per esempio nelle nostre scuole professionali perché siamo noi che li mettiamo a disposizione. Il passaggio pubblico in parallelo, però, non c’è. È vero che quello delle risorse è un problema, ma è anche vero che ci sono vari modi per trovarle. Ad esempio investendo nelle politiche attive, si potrebbero anche risparmiare delle risorse che oggi sono utilizzate. Non parlo soltanto delle risorse destinate agli stipendi e sedi, ma anche di quelle finalizzate alla spesa complessiva della politica del lavoro che può essere riorientata. È il famoso ragionamento dell’impatto delle riforme. In questo Paese non abbiamo, infatti, uno strumento che valuti l’impatto dal punto di vista non soltanto normativo, ma anche economico. Credo che gli strumenti ci stiano tutti; la difficoltà è mettersi d’accordo su chi va a misurare e su come deve uscire il risultato. Il tema della governance, come abbiamo detto tutti, c’è. Nessuno sta dicendo che servono 23 modelli. Conosco benissimo l’esempio della Lombardia. Infatti, anche dentro modelli che hanno delle innovazioni ci sono delle differenze tra Provincia e Provincia. Ecco, questo non è accettabile né sui modelli 46 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 organizzativi, né sui servizi che vengono erogati. Poi, che vi possano essere delle peculiarità che vengono sottolineate è un altro ragionamento che può andare bene, ma non può essere la priorità. La priorità deve essere garantire il servizio. Dopodiché, ben venga la personalizzazione. Chiudo sulla burocrazia: magari! Non dico altro. Credo che questo possa esprimere i nostri desiderata. Vi ringrazio, comunque, dell’occasione di oggi. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Racconto un dato autobiografico. Con Cesare Damiano andammo a visitare i felici Paesi del Nord (c’era pure il sole in quel periodo). Questo per dire che la storia del rapporto tra politiche attive e politiche passive è come il cane che si morde la coda. Bisogna decidere di avere fiducia, ma naturalmente ci vogliono politiche stabili. I danesi, gli svedesi e così via dimostrano che investire molto in politiche attive nel tempo, non subito, riduce le spesa in politiche passive, premesso che l’economia funzioni. Noi, però, pedaliamo a vuoto. Ecco, speriamo di no. Dopo Serena Sorrentino anche Giorgio Macciotta vorrebbe dire qualcosa. SERENA SORRENTINO, Cgil. Visto che molte delle domande erano estremamente precise, rispondo puntualmente. In merito alle risorse, c’è un problema di sottofinanziamento generale delle politiche del lavoro nel nostro Paese. C’è una sproporzione tra il finanziamento delle politiche passive e delle politiche attive perché una grossa parte grava sulla fiscalità generale ed è la spesa della deroga. Questo, però, non lo risolviamo discutendo dall’agenzia, bensì facendo la riforma degli ammortizzatori sociali. Intravedo, tuttavia, alcune cose che forse bisognerebbe avere il coraggio di dire. Abbiamo 8.600 operatori dei Cpi, di cui 1.500 precari in gran parte “terministi”. Il finanziamento dell’attività dei Centri per l’impiego da che cos’è venuto finora? E’ venuto dal Fondo sociale europeo. Non è che ci possiamo prendere in giro, questo richiama anche qualche responsabilità della politica. Come dicevo, possiamo immaginare il modello formale migliore del mondo, 47 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 ma se l’Unione europea, per la programmazione 2014-2020, dice che possiamo utilizzare per la prima volta un pezzo del 20% flessibile del Fondo sociale europeo sulla gestione dei servizi per il lavoro, perché i servizi pubblici del lavoro diventano il centro delle nuove attività relative alle politiche del lavoro (che sono quelle di cui abbiamo bisogno, ovvero il regime di sostegno ai lavoratori in transizione nella discontinuità di lavoro, la Garanzia giovani, l’invecchiamento attivo), vuol dire che dobbiamo avere la capacità di programmare un pezzo del Fondo sociale europeo per l’implementazione in termini di risorse da destinare ai servizi pubblici per l’impiego. L’altra questione riguarda il confronto tra i 110.000 addetti in Germania e gli 8.600 in Italia. Se avessimo una direzione unitaria dell’intervento politico di riforma che si sta provando a introdurre nel nostro Paese, potremmo mettere in relazione il fatto che un segmento della Pubblica Amministrazione ha un’evidente vacanza organica e un’alta domanda di servizio, per cui ci potrebbero essere, compatibilmente con le professionalità disponibili nella Pubblica Amministrazione, procedure per le quali gli esuberi e la mobilità provano ad avere un direzionamento verso l’implementazione di quei servizi su cui c’è maggiore domanda. Questo perché il mondo è cambiato e occorre che anche la Pubblica Amministrazione segua l’evoluzione dinamica dei nuovi servizi che bisogna garantire in termini, appunto, di servizio pubblico. Abbiamo risolto tutti i problemi? No. Tuttavia, un pezzo di implementazione in termini di dotazione organica, di nuove professionalità e di competenza ci può essere senza la formula magica “senza oneri aggiuntivi”, che oltretutto è la premessa di qualsiasi discussione. D’altra parte, se siamo bravi a costruire una modalità per la quale la parte nazionale di spesa del Fondo sociale europeo ha un indirizzo che va verso l’implementazione delle politiche attive e dei servizi pubblici, e coerentemente (come disciplina la nuova programmazione europea), anche la quota regionale non solo del Fondo sociale europeo, ma anche del FESR, che devono essere integrati nel plurifondo, camminano insieme, questo ci darebbe la possibilità di fare quel salto delle politiche attive, che non sono più solo somministrazione di 48 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 formazione, bensì il collegamento tra le realtà del mercato del lavoro, i sistemi locali di sviluppo e l’intermediazione domanda/offerta di lavoro. Non ho affermato una cosa rivoluzionaria, visto che nel resto d’Europa questo si fa più o meno da vent’anni. Il punto è se c’è la volontà di fare una scelta politica che dice che la priorità è l’implementazione delle politiche del lavoro (per questo insistevo, dicendo di chiarirci su che cosa sono le politiche del lavoro). Infatti, se la scelta politica è questa, la centralità di alcuni interventi nell’utilizzare al meglio le risorse disponibili converge verso questo obiettivo. Sto dicendo, però, una cosa riduttiva rispetto a quella che dovrebbe essere la nostra ambizione perché se potessi dirla liberamente dovrei dire che la Pubblica Amministrazione, in alcuni segmenti, ha bisogno di riaprire il reclutamento perché non ha le professionalità necessarie e adeguate per svolgere alcuni compiti. Qui veniamo al secondo punto. È vero che nella crisi molti Paesi, tra cui la tanto citata Germania, hanno spostato personale dal back-office al front-office. Perché se lo possono consentire? Non soltanto perché lì c’è una procedura che è molto più dematerializzata rispetto alla nostra, ma perché hanno 662 sportelli (noi 556) e 110.000 addetti (noi 8.600). Siccome ci sono alcuni compiti che in ogni caso gravano sugli operatori, un conto è se prendiamo un operatore del Centro per l’impiego in Germania, che ha, in media, il carico di 26 addetti all’anno, per cui significa che segue due persone nell’arco di un mese, un conto è se parliamo di un operatore italiano che ne ha 567, considerando disoccupati e inattivi, il che significa che ne deve gestire 48 al mese. Non ce la farà mai, se aggiungiamo anche tutta l’attività burocratica. Sentire dire che del personale che abbiamo oggi in capo al Cpi un pezzo deve essere spostato al front-office significa, ancora una volta, non solo non tenere in considerazione la realtà oggettiva, ma soprattutto non conoscere come funziona l’organizzazione dei servizi e non essere mai entrati in un Centro per l’impiego. Proviamo a fare un’operazione di verità, che non è soltanto un problema di come comunichiamo, ma del fatto che ci sono delle criticità sistemiche che 49 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 vanno affrontate. Inoltre, c’è un diverso approccio nel rapporto tra pubblico e privato. Chi di noi oggi è così folle da pensare che tutto possa essere gestito esclusivamente con le risorse che il pubblico ha a disposizione? Nessuno. Occorre, quindi, rivedere seriamente, a livello nazionale, un sistema di accreditamento in relazione alle nuove funzioni assegnate alle agenzie per il lavoro, fermo restando che -se proprio bisogna essere onesti- per noi un pezzo di servizi deve rimanere a titolarità pubblica. Ci sono, infatti, alcune cose che non possono essere messe in concorrenza tra pubblico e privato perché i portatori di interessi sono diversi. Un pezzo dei servizi per il lavoro deve essere caricato sul servizio pubblico, ma c’è una larga fetta di attività che può essere gestita in sussidiarietà. Nessuno di noi è contrario. Il problema è come viene gestito l’accreditamento non perché sia l’unico strumento di selezione, dal momento che la selezione tra il privato buono il privato cattivo non la fa la qualità dell’accreditamento, ma il mercato. Per questo, dobbiamo aumentare la domanda qualificata dei soggetti che si rivolgono ai servizi per l’impiego perché quello fa la selezione. Se il servizio pubblico offre servizi qualificati ai lavoratori e alle imprese e quello è lo standard di riferimento, automaticamente si alza anche lo standard del privato. Se, come diceva la dottoressa Strano, continuiamo ad avere un parametro basso del servizio pubblico, abbassiamo la concorrenza anche nel servizio privato. Questo è il nodo fondamentale che intravediamo nel rapporto pubblico privato. Un ultimo punto è la Garanzia giovani. La CGIL si iscrive tra i sostenitori della Garanzia giovani. L’unico punto di critica che abbiamo avuto col Ministro del Lavoro è che bisogna stare attenti perché parliamo di soggetti particolarmente esposti dal punto di vista sociale. Dire che stiamo facendo il Piano straordinario per l’occupazione giovanile non rende giustizia a quei ragazzi che si iscrivono al programma pensando di avere l’occasione della vita. Questo, nel nostro Paese, è il più grande programma di orientamento, di monitoraggio e di presa in carico, ma, se vogliamo essere seri, la Garanzia giovani non può risolversi in 400.000 attivazioni di tirocini, altrimenti abbiamo 50 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 fallito. Oltretutto, la Garanzia giovani, in altri Paesi, esiste da tanti anni ed è l’ultimo segmento di una politica per l'occupazione. In pratica, quando hanno fallito tutte le opportunità, arriva la Garanzia giovani che è il programma residuale. Invece, da noi è la svolta straordinaria per affrontare la disoccupazione. Allora, cosa può essere la Garanzia giovani? Effettivamente, può essere una sperimentazione con la quale iniziamo a far funzionare meglio alcune cose, che possono essere la traccia di un disegno riformatore. Abbiamo un sistema in cui c’è il PON nazionale, che stabilisce quali sono le nove azioni del programma Garanzia giovani. Ora, se avessimo definito nove livelli essenziali di prestazioni che devono riguardare la Garanzia giovani a livello nazionale, sovrapponendole alla programmazione e alla gestione regionale, testeremmo che le Regioni si stanno comportando come reagenti diversi perché hanno sistemi organizzativi diversi. Allora, quella può essere una cartina di tornasole per i servizi per il lavoro perché vediamo dove funziona e come è organizzato il sistema territoriale di servizi per il lavoro e proviamo a generalizzarlo. Questo è nulla di più di quello che abbiamo detto in questi anni. C’è un lungo dibattito al nostro interno, che può appassionare sono gli addetti ai lavori e che non capisce nessuno, tra preminenza delle condizionalità e preminenza delle premialità. Pensiamo che sia venuto il momento in cui le condizionalità devono essere certe e date. Non bisogna fare sconti, come diceva Massera, analogamente alla discussione che stiamo facendo sui fondi strutturali. Bisogna dare attuazione all’articolo 120 della Costituzione, facendo esercitare allo Stato i poteri sostitutivi quando le realtà territoriali non funzionano. Questo non deve spaventare nessuno perché tutti accettiamo la scommessa di far vincere questo Paese, ma bisogna anche dar merito e riconoscere il fatto che ci sono tante autonomie locali che in questi anni, nonostante tutto, hanno retto e continuano a reggere bene e -mi permetto di dire, in questo caso come esponente di un territorio vituperato- hanno anche ad una geometria variabile a livello territoriale e geografico nazionale. 51 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 Ci sono alcuni sistemi regionali che hanno fatto scelte molto interessanti anche sulle politiche del lavoro, al centro, al nord, come al sud. Penso che si dovrebbe iniziare a fare una discussione in cui si dice che le condizionalità valgono per tutti, mentre le premialità valgono per quei modelli che elevano gli standard anche rispetto ai minimi previsti dal nazionale. Forse così la concorrenzialità tra sistemi territoriali trova una chiave di riuscita. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Ho tre ancora richieste. Dopo Macciotta, diamo la parola alla difesa, poi abbiamo Giovani, Gentile e infine Damiano. GIORGIO MACCIOTTA, CNEL. Mi inserisco in punta di piedi su due questioni. Una è quella delle risorse perché anche, dalla discussione che c’è stata, mi è sembrato che ci sia un problema di risorse. È, però, ormai una clausola di stile quella delle deleghe legislative che dicono che “dall'attuazione non possono derivare oneri per la finanza pubblica”. D’altra parte, è evidente che la delega impatta su diverse cose complicate da fare, per cui se ci facciamo condizionare dalla quantità di risorse nell’impianto rischiamo di non cambiare nulla. A risorse date, il rischio è dire che tanto vale non cambiare nulla e continuare così. Invece, mi pare che il segno degli interventi sia stato in una direzione diversa. C’è una prima strada. La delega è complessa, comprende cose diverse dagli ammortizzatori sociali, quindi una parte delle risorse si possono recuperare con la revisione della spesa conseguente all’attuazione complessiva della delega. Debbo dire, tuttavia, che francamente non affiderei a questo canale speranze soverchie perché solo in Italia si può pensare che si smonti un bilancio e lo si ridefinisca in modo efficiente in una settimana. In Francia, l’attuazione della legge di riforma del bilancio è durata cinque anni, ma hanno un’amministrazione – come sappiamo tutti – più efficiente. In Italia – chissà perché – si pensa di poterla fare in un anno. È ovvio che la riforma del bilancio per missioni e programmi rischia di essere esattamente 52 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 come la riforma del bilancio degli anni '90, con il passaggio dai capitoli alle UPB. Si prende un numero di capitoli scelto a caso, si fa una specie di miscela e si dice che quella è un UPB. Questa è una scempiaggine. Adesso si prenderà un numero di UPB scelte a caso e si dirà che quella è una missione o un programma, che è un’altra scempiaggine. È ovvio che bisogna smontare e rimontare, ma è un lavoro compresso perché bisogna smontare e rimontare l’organizzazione amministrativa per farla efficientemente, processo che non può che essere pluriennale. Il ragionamento che faccio è che forse bisognerebbe cambiare quella formula, accettando la clausola di stile che i decreti legislativi si fanno a risorse vigenti, ma niente impedisce che si affidi il finanziamento alle manovre pluriennali successive, prevedendolo, però, già nella legge di delega, e quindi come ricaduta nei decreti legislativi, una norma che preveda la possibilità che i decreti legislativi siano finanziati per stadi d’avanzamento. La seconda cosa che vorrei dire riguarda il coordinamento. Il coordinamento è fatica, invece il comando centralizzato è l’alfa e l’omega di chi non sa che cosa vuol dire parlare di coordinamento. È evidente, allora, che bisogna coinvolgere la molteplicità di soggetti che stanno sul territorio, le imprese e i lavoratori che devono credere in questa operazione. Tuttavia, questo processo non sta nascendo dal nulla. Come è stato detto da ultimo dalla dottoressa Sorrentino nel suo intervento, ci sono realtà che lo hanno realizzato e realtà che non lo hanno realizzato. Anche su questo, Tiziano, concludendo, diceva che alcune cose devono diventare normativamente stringenti. Allora cosa si può fare? Forse si può dire che bisogna costruire i livelli essenziali delle prestazioni in modo democratico, coinvolgendo tutti. Occorre stabilire una griglia che diventi oggetto di un’intesa interistituzionale Stato-Regioni e che valga, in teoria, per tutte le Regioni; dopodiché al primo giro ognuno attua questi LEP come vuole. In questo modo, già alla fine del primo anno ci saranno modelli che hanno funzionato e modelli che non hanno funzionato. A quel punto, scattano le regole perché c’è anche l’articolo 120 della Costituzione, non solo il 117. 53 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 Stamattina ho partecipato a un’altra iniziativa, la presentazione del rapporto della Corte dei conti sulla finanza pubblica, dove il Presidente della Regione Toscana ha fatto un’apertura molto forte su questo, dicendo, appunto, che esiste l’articolo 120 e che sono disposti ad accettare i poteri sostitutivi. Se si è fatta un’intesa interistituzionale, da cui sono discesi modelli che funzionano e modelli che non funzionano, nessuno si può offendere se quelli che funzionano vengono estesi commissarialmente. Nel quadro normativo, bisogna definire i livelli delle prestazioni che danno luogo a un’intesa interistituzionale che vale per tutti; nel quadro operativo, l’attuazione di quelle intese viene verificata per step e, in caso di scostamenti, si dà luogo a poteri sostitutivi. Tra l’altro, ormai, l’impianto normativo dalla legge n. 42 consente tutto, perché il decreto “premi e sanzioni” prevede anche una procedura democratica nell’applicare i premi e le sanzioni. Non è più lo Stato che sta commissariando, ma c’è un passaggio collegiale. Ho visto cosa è successo in materia sanitaria, là dove l’indecente Campania, essendo commissariata, ha risanato i suoi conti; invece, la virtuosissima Sardegna, non essendo commissariata, nell’ultimo quinquennio è la peggior regione d’Italia, da tutti i punti di vista, qualsiasi comparto della sanità della Regione Sardegna si prenda in esame. GRAZIA STRANO, Ministero del Lavoro. Non mi sento affatto la difesa, come diceva il presidente. Anzi, più parliamo e più condivido le cose che sento. Vorrei rispondere a due sollecitazioni; una veniva dal presidente e l’altra dalla dottoressa Sorrentino. Riguardo allo “smagrire”, a parte qualche piccolo rivolo della normativa, ormai ci siamo. Non dobbiamo semplificare quasi più nulla. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Parliamo di lavoro amministrativo? 54 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 GRAZIA STRANO, Ministero del Lavoro. Sì. Abbiamo qualche piccola idea su qualche normetta di doppie DID che non si capisce per quali motivi sono attribuite a due organismi diversi. Comunque, ormai siamo veramente all’osso. Dal 2006 in poi abbiamo dematerializzato quasi tutto il lavoro amministrativo. C’è da chiedersi – come dicono i numeri – perché in alcuni territori regionali ci si è resi conto, per esempio, che la DID, come primo approccio, si può dare non necessariamente con un incontro vis à vis con l’operatore, mentre altri si continuano ad arrovellare dietro il fatto che occorre questo primo intervento diretto. Vi è, quindi, ancora qualche livello di smagrimento, ma non a livello normativo quanto a livello organizzativo dei sistemi. Infatti, i numeri dicono che ci sono differenze sostanziali – qui, purtroppo, il Rubicone c’è – tra il nord e il sud rispetto all’utilizzo delle funzioni burocratiche, quindi del front-office rispetto al back-office. Anche rispetto ai livelli essenziali mi sento di ribadire che dovremmo andare oltre quelli che la stessa legge n. 92 ha fissato per arrivare a sistemi di accreditamento e all’organizzazione del servizio. È indubbio che ci possono essere modelli organizzativi sul territorio nazionale, comunale, provinciale, ma ciò va posto in relazione al livello di dimensione del servizio perché, fatti i livelli essenziali delle prestazioni, il passo immediatamente successivo è come dimensionare il servizio, dove collocarlo e che tipo di qualificazione devono avere gli operatori. Anche qui, la differenza è sostanziale. Faccio un esempio rispetto ai titoli di studio, quindi non parlo di competenze possedute. Ebbene, abbiamo Regioni (non dico quali) in cui i laureati sono il 7 per cento e Regioni in cui si arriva a percentuali che vanno oltre il 60 per cento. Quindi, c’è una differenziazione sul territorio nazionale che va assolutamente colmata. Ciò significa che le operazioni di reclutamento e riorganizzazione dei servizi non possono essere fatte linearmente, ma devono tenere conto di come si sta trasformando e di come si è già trasformata la pubblica amministrazione. Da questo non si deve esimere neanche il Ministero perché con la riorganizzazione degli uffici va da sé che deve essere riorganizzata anche 55 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 l’amministrazione. Sotto questo aspetto, forse abbiamo qualche problemino, visto che il DPCM è annunciato di ritorno dalla Corte dei conti. La nostra riorganizzazione non è, quindi, perfettamente lineare con la legge delega. Per quanto riguarda le risorse, è vero quello che diceva la dottoressa Sorrentino. Ormai sono decenni – non so più quante programmazioni – che il finanziamento proviene dai fondi strutturali. È vero anche che per la prima volta abbiamo a disposizione la percentuale del 20 per cento. Tuttavia, mi permetto di sottolineare che abbiamo comunque un problema perché la stessa Commissione ci dice che alcune delle azioni che possono essere finanziate con il 20 per cento devono essere delle condizionalità ex ante. In sostanza, è come se le dovessimo già avere prima che programmiamo i nuovi interventi. Naturalmente, c’è spazio di manovra, ma dobbiamo stare attenti, per esempio, a non duplicare le attività che possono essere fatte una sola volta a livello centrale. A questo riguardo, il sistema informativo dà qualche piccola chicca positiva perché se per quindici anni non abbiamo avuto sistemi che si parlavano tra di loro e il Centro per l’impiego non dialogava con il suo collega vicino, con Garanzia giovani siamo riusciti a scardinare questo ostacolo perché a oggi, su 21 sistemi, circa 15-16 già interoperano. Se questo fosse uno degli indicatori di sperimentazione di Garanzia giovani, potremmo dire che non sarà quel piano straordinario dell’occupazione, ma sicuramente rappresenta le prove generali per la riforma strutturale dell’organizzazione dei servizi per l’impiego. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. È una prova d’orchestra. Ora abbiamo Francesca Giovani. FRANCESCA GIOVANI, Regione Toscana. Rispondo velocemente ad alcune sollecitazioni, ma innanzitutto vi ringrazio di questa giornata che per me è stata molto utile. Riguardo al personale delle Province è importante ricordare – non l’ho detto prima, ma lo hanno richiamato la rappresentante della Camera e i sindacati – che 56 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 gran parte del personale con maggiori competenze (faccio riferimento all’esperienza nella mia Regione, ma che credo di poter generalizzare) è precario. Il personale che ha competenze specialistiche e che fa le politiche attive e non le attività burocratiche è prevalentemente precario. Qualsiasi sia la soluzione organizzativa che vogliamo adottare, è fondamentale ricordare questo punto. In merito alle forti diversità territoriali, abbiamo oltre 100 sistemi territoriali del lavoro. Come si può risolvere questo problema? Al di là della proposta emendativa delle Regioni, sono molto d’accordo con il professor Varesi perché l’unico modo per risolvere le diversità territoriali è rafforzare la governance centrale e regionale. Credo che il modello di Agenzia nazionale e di rete federale di agenzie che le Regioni propongono possa allentare le forti diversità territoriali che caratterizzano il nostro Paese in senso positivo, garantendo però la territorialità dei servizi. Il collega Massera prima si è scusato con me perché ha parlato di sussidiarietà, ma non doveva assolutamente farlo perché, al di là di quello che ha detto stamattina il mio Presidente – ringrazio Margiotta per averlo ricordato –, negli emendamenti delle Regioni al DL esse dicono che c’è la possibilità di agire in sussidiarietà qualora i livelli essenziali delle prestazioni non siano assicurati. Quindi, siamo assolutamente in sintonia su questo. Un’altra sollecitazione riguarda le imprese. Perché le imprese non stanno dentro il sistema dei servizi? Anche in questo caso porto l’esperienza della mia Regione, in cui c’erano delle Province che stavano facendo quello che volgarmente viene detto “marketing territoriale”, che stava funzionando molto bene. Poi, però, sono arrivati i cassaintegrati in deroga e c’è stato un effetto di spiazzamento su un’esperienza positiva che stavamo sperimentando, con il bacino d’utenza delle imprese che stava crescendo. Quindi, non è che non siamo capaci di rivolgerci al mondo delle imprese, è che non abbiamo la possibilità di farlo. Sui 21 consigli di amministrazione, vorrei dire che la Regione Toscana, essendo stata capofila nel guidare la proposta di un sistema nazionale del lavoro 57 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 basato su agenzie di tipo federale, è quella che prima di tutte sta portando avanti il suo articolato di legge in materia. Non c’è un consiglio d’amministrazione, ma un direttore, e un Collegio dei revisori, quindi una cosa molto soft. Anche secondo me Garanzia giovani, come prima cosa, è la sperimentazione di una riforma di cui il nostro Paese ha bisogno. Rischiamo, ovviamente, di generare delle aspettative che vediamo come, quanto e fino a che punto potranno essere mantenute. Dobbiamo, dunque, stare molto attenti alla campagna di comunicazione che ancora deve partire. Da questo punto di vista, segnalo che la campagna di comunicazione già partita si è rivolta solo alle imprese. Di questo siamo molto contenti, anche se si rivolge alle imprese parlando di incentivi che ancora non ci sono e che dovrà gestire INPS. Vi segnalo anche che in Regione Toscana, su 6.000 giovani che si sono iscritti ai Centri per l’impiego, oltre 1.000 sono di Livorno, più di quelli della Provincia di Firenze; questo perché Il Tirreno ha fatto due giornalate dicendo “lavoro per tutti”. Quindi, dobbiamo stare attenti a che cosa dirà la campagna di informazione. Questo è fondamentale, altrimenti avremo un flop assicurato. Avendo partecipato anch’io al tavolo della struttura di missione, mi permetto di dire quali sono le novità che siamo riusciti a concertare con Ministero, Regioni, Province, ISFOL, Italia lavoro. Con Garanzia giovani, al di là di quello che promettiamo, definiamo per la prima volta LEP, costi standard, un sistema di profilazione che tutti i Paesi europei avevano già, nonché interventi mirati in sussidiarietà che il Ministero sta facendo in diverse Regioni (devo dire che nessuna Regione si è sconvolta per questo). Per la prima volta, parliamo di premialità, con i costi standard che consentono di applicarla, e di contendibilità, un principio che fino adesso nel mercato del lavoro non esisteva. Infine, abbiamo una piattaforma nazionale di incrocio domanda-offerta di lavoro, nonché un sistema nazionale di monitoraggio e valutazione che è l’unico che consente di applicare il principio della sussidiarietà. Sulle diversità, le Regioni sono già sotto attacco. Il pregiudizio di cui abbiamo parlato nei confronti dei centri per l’impianto si sta trasferendo anche nei confronti delle Regioni. Per esempio, i mezzi di comunicazione dicono che 58 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 le Regioni non saranno in grado di svolgere questo progetto. È vero che abbiamo avuto dei programmi regionali molto diversi, ma mi permetto di segnalare che le Regioni hanno fatto i programmi regionali senza avere ancora un euro di anticipazione delle risorse. Per esempio, la Regione Toscana, che fa già i colloqui e il profiling e ha un sistema di gestione automatica dell’agenda dei servizi per l’impiego, è stata in grado di partire il 1 maggio perché aveva già un suo programma Giovanisì e delle misure attive. Essendo una Regione che oggi può stare sul podio, mi permetto di dire che sono molto preoccupata di quello che succederà domani. Peraltro, le Regioni che non stanno sul podio sono in oggettiva difficoltà perché l’anticipazione delle risorse non è un problema di poco conto per chi non aveva dei programmi regionali. Per quanto riguarda le diversità – questa è la proposta che faccio a questo tavolo – come Regione Toscana da questa settimana metteremo on line un report nel quale diremo con trasparenza quello che abbiamo fatto, quindi quanti profiling, quanti colloqui di orientamento, quanti apprendistati, quanti bilanci di competenze, quante consulenze EURES, quanti patti di attivazione, quanti servizi civili, quanti i tirocini e così via. Penso, infatti, che questo sia un metodo trasparente per valutare l’esperimento che stiamo facendo. Vi ringrazio dell’attenzione. MICHELE GENTILE, CNEL. Rammento di aver detto che il 7 luglio ci sarà un DPCM che trasferisce le risorse umane e finanziarie. Sarebbe preoccupante se non succedesse nulla perché significherebbe che si riaprirebbe il tema Province. Se, come penso, lo schema delle nuove funzioni seguirà quello della legge n. 469, avremmo un problema di dipendenti e di risorse dal momento che le attuali Province sposteranno funzioni senza più risorse finanziarie. Per ultimo il decreto legge n. 66/2014 ha previsto tagli di ulteriori 440 milioni, prosciugando quanto necessario per le politiche attive .Le risorse esistenti serviranno solo per stipendi e organizzazione, cioè il minimo indispensabile. Quindi, con un 59 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 equilibrio costruito in questo modo, si spostano risorse sul funzionamento e non sulle politiche. La seconda questione è che i precari dei Centri per l’impiego ( non sono solo tempi determinati. Ad ogni modo, i tempi determinati scadono fra sei mesi ed è evidente che ci troveremo in difficoltà, anche alla luce delle maggiori qualificazioni professionali che hanno, ragione per cui sono stati chiamati. In ogni caso, abbiamo bisogno di un provvedimento legislativo di proroga entro il 31 dicembre 2014. Altrimenti, dal 1 gennaio 2015, avremo 1.200 persone in meno. Tra l’alto, c’è lo splendido lavoro fatto dal Ministero, con tutti i dati anche del front-office personale precario e non, che fa capire come il tema abbia una dimensione importante. Questo secondo aspetto contiene un’emergenza in relazione alle questioni che riguardano il futuro. C’è, poi, un terzo grande tema che riguarda la relazione tra l’idea della riforma della pubblica amministrazione e quello di cui stiamo parlando. Ci sono due argomenti: interoperabilità e open data, che per adesso temo siano solo titoli. GRAZIA STRANO, Ministero del Lavoro. È stato appena pubblicato un bando sull’open data dei servizi per il lavoro. MICHELE GENTILE, CNEL. Alla luce della situazione del paese e dei necessari interventi di rilancio, non possiamo, da un lato, dire che siamo in una situazione di drammaticità e, dall’altro, parlare come se niente fosse possibile. La questione “a risorse vigenti” è complicata da gestire, in una situazione come questa, nella quale, per esempio, in ragione del fatto che le Province dovevano essere sciolte, sono circa tre anni che hanno tagli fortissimi, più forti dei quelli delle Regioni e dei Comuni. A questo punto, però, si tratta di stabilire alcune priorità. Quindi, piuttosto che fare un ragionamento lineare sulla staffetta generazionale, forse bisognerà individuare un’area di intervento specifico per provare a capire che tipo di operazioni si possono fare. 60 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 Infatti, abbiamo due operazioni. La prima è provare a riorganizzare il personale dei servizi per il lavoro perché non si può accettare che Italia Lavoro abbia 400 dipendenti, 200 tempi determinati e 500 collaboratori (senza considerare che abbiamo fermato un’operazione che intendeva portare i 200 tempi determinati a 500 in nome della Youth Guarantee, cosa complicata da spiegare). La prima operazione è, dunque, aumentare gli 8.700, che è sicuramente un problema. La seconda è quella di qualificare i numeri, utilizzando vari strumenti. Per esempio, quello della mobilità. Oggi, però, mobilità significa sostanzialmente lavoro amministrativo. In ogni caso, un tema è aumentare, usare e formare le risorse. Un altro discorso riguarda il rinnovamento delle professionalità, che è assolutamente necessario. Si tratta, però, di capire se si può fare un ragionamento ad hoc che riguarda capacità assunzionali in un’area di intervento come questa che ha una sua priorità. In conclusione, il problema sul quale vorrei provare a ragionare è questo. Il nome non è fondamentale, quello che conta è cosa fa. Ora, parliamo di un’Agenzia nazionale che faccia quello che abbiamo detto – decliniamo il concetto di governance – e si arriva a stabilire che i livelli essenziali delle prestazioni vanno ramificati sul territorio, da questi dati si dimostra che abbiamo una ramificazione profonda nel territorio. Un analogo problema riguarda le agenzie regionali, anche di queste dobbiamo capire che cosa fanno. Infatti, le agenzie regionali non possono essere la copia dell’Agenzia nazionale prevista in quel disegno di legge, ma devono essere il sistema di governo regionale delle politiche, aggiungendo formazione e orientamento. Inoltre, abbiamo un problema di diffusione massima degli sportelli sul territorio. Lo schema è, quindi, un po’ diverso. Ora, si tratta di capire se questo schema delle agenzie regionali risponde a questo parametro. Peraltro, dovremmo ragionare su che cosa si fa e non su quali sono i poteri. Infatti, se la discussione si sposta esclusivamente su quali sono i poteri, lascia 61 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 inalterati diversi temi: chi fa le cose, le risorse, quali sono le persone addette, quali sono le politiche. I poteri sono sicuramente un problema perché, a Costituzione vigente, alcune cose sono fuori Costituzione. La gestione è fuori Costituzione. Tuttavia, rimane aperto il tema di come implementiamo le politiche, quindi di come passiamo dal contenitore al contenuto. Quando facciamo le comparazioni fra l’Italia e gli altri Paesi, alla fine TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Michele, stai facendo un’altra relazione. Presidente Damiano, ci dice qualcosa? CESARE DAMIANO, Deputato. Vi ringrazio. Francamente, non saprei bene che cosa dire, anche perché mi pare che la situazione sia abbastanza confusa. Abbiamo fatto il decreto Lavoro, adesso c’è una delega. Ora si tratta di capire qual è l’obiettivo. Sicuramente è creare occupazione, dal momento che siamo al minimo storico di occupati e al massimo storico di disoccupati. Mi pare, perciò, che la situazione sia di grande allarme. Inoltre, stiamo rincorrendo il lavoro a tempo indeterminato, che tende a scomparire. Il decreto allarga le maglie della flessibilità, come abbiamo visto sul contratto a termine e sull’apprendistato. Non vorrei, quindi, che la delega costruisse un contratto a tempo indeterminato che, in realtà, diventerà una sorta di contratto a tempo determinato mascherato. Sento alcune dichiarazioni dal Senato, per esempio a proposito dell’articolo 18, che vorrebbero ricondurlo esclusivamente al licenziamento per motivi discriminatori. Ecco, quello sarebbe un ulteriore passo verso la monetizzazione del licenziamento. Se andiamo in quella direzione facciamo una cosa sbagliata che contraddice il fatto che si parli molto di stabilizzazione e di qualità del lavoro. Si predica bene e si razzola male. Diciamo, più banalmente che, nell’emergenza, cerchiamo di creare un po’ di occupazione di breve termine e che va bene così. Domandiamoci allora quale sarà il punto centrale di questa delega. Ebbene, da una parte c’è il Contratto di inserimento, dall’altra gli ammortizzatori sociali, 62 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 poi c’è la conciliazione lavoro-famiglia, il compenso minimo orario ed i Centri per l’impiego. In questa sede si discute, appunto, di Centri per l’impiego. Qual è la leva che dobbiamo tirare per favorire l’occupazione, soprattutto di qualità? Personalmente, sono fissato su alcuni punti minimi, ma non li dico tutti, mi fermo soltanto su di uno cruciale, quello degli appalti. Spero, infatti, che il legislatore dia una mano ad eliminare definitivamente il massimo ribasso, che produce lavoro nero. Questo è un grande tema. Oggi ci siamo occupati di call center perché c’è stata la manifestazione unitaria dei sindacati. Come mi è capitato in un’altra occasione, per non sembrare di parte, parlo del Comune di Milano, per non sembrare di parte. Ecco, se un Comune progressista, democratico e di sinistra fa un appalto al quale le aziende non partecipano perché è talmente al ribasso da costringere al nero i lavoratori, mi domando se c’è un’autorità di controllo. L’INPS dovrebbe controllare e rendersi conto se c’è un’incongruenza fra l’offerta e uno standard retributivo di riferimento. Peraltro, gli standard di riferimento non ci sono più. C’erano le tabelle prefettizie che sono diventate facoltative. Ecco, rimettiamo le tabelle prefettizie. Mettiamo il compenso orario minimo, come dice la delega Lavoro. In questo caso sono d’accordo: 6 euro all’ora per un milione di ore fa 6 milioni di euro da togliere dall’appalto per un costo del lavoro non comprimibile. Mettiamolo per i voucher, e per il lavoro a progetto. Ma non per sostituire i minimi salariali dei contratti di lavoro. Vogliamo fare qualche operazione di pulizia in questa maledetta giungla nella quale il modello vincente è la rincorsa alla delocalizzazione, purtroppo, nei Paesi a basso costo di manodopera? Stiamo distruggendo tutto ed il rischio è di avere aumento di disoccupazione o, al meglio, un aumento di occupazione di bassa qualità. Sui Centri per l’impiego ieri in Commissione Lavoro avevamo un’audizione dei sindacati sull’EURES. Come si fa a creare uno standard europeo – non so se i sindacati europei si occupano di questa questione, non mi è parso – e come si 63 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 fa, da parte nostra, a far parte di una rete europea, con le strutture che abbiamo a disposizione? Abbiamo circa 9.000 addetti per lo più precari a fronte dei 130-110.000 della Germania. Occorre mettere una marcia diversa, ma dove, come, che cosa si fa? Se parliamo di Centri per l’impiego, sull’Agenzia nazionale non ho problemi perché sono un centralista. Penso che la legislazione concorrente debba subire un colpo, anche sui temi del lavoro. Lo dico per brevità, in modo tale da non girarci attorno. Non so se possiamo ancora reggere 20 tipi di apprendistato e di formazione, 20 mercati del lavoro e così via. In questo modo non si va da nessuna parte. Anche le migliori situazioni e quelle più avanzate – penso alla Toscana – vengono penalizzate da quelle che rimangono agli ultimi posti. Insomma, restano un caso isolato e non fanno nessuna strada. Pertanto, se la tendenza è quella di far tornare allo Stato materie di competenza regionale, credo che vada accompagnata con la gradualità e con tutte le mediazioni che si renderanno necessarie. Ma bisogna procedere. L’altra questione è se vogliamo avere dei Centri per l’impiego pubblici che dialogano con quelli privati. Personalmente sono d’accordo per l’alleanza, quindi per i profili che si scambiano, per i database comuni tra università, Centri per l’impiego, pubblici e privati, superando le chiusure. Il problema, infatti, non è tanto la tecnologia, bensì la non comunicabilità dei dati perché manca una decisione politica. Dobbiamo darci un obiettivo. Bisogna avere 50.000 addetti nei Centri per l’impiego. Potremmo fare una grande mobilità nella pubblica amministrazione e percorsi di riqualificazione. Se non abbiamo almeno 50.000 addetti è difficile partecipare alla rete europea di incontro domanda-offerta. È inutile che ci giriamo attorno. Facciamo ridere i polli. Sono solo belle parole e slogan buttati all’aria. Secondo me, ci vorrebbe un grande patto tra i sindacati, la pubblica amministrazione e il Governo per una mobilità orientata, incentivata, guidata, con la formazione per passare dalla scrivania allo sportello. Inoltre, occorre stabilizzare quelli che ci sono; non possiamo tenerli precari quando debbono spiegare la stabilità agli altri. Non è credibile. Peraltro, i 64 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 lavoratori dei call center ricordano ancora oggi i 25.000 posti di lavoro stabilizzati, mentre oggi le aziende delocalizzano in Albania, grazie a tutti gli allentamenti normativi che ci sono stati con il centrodestra. Poi, bisogna capire qual è l’intreccio con la questione relativa alla Garanzia giovani. Sono d’accordo sul fatto che possa rivelarsi una grande illusione perché quelli che si iscrivono pensano di aver trovato lavoro. Abbiamo fissato gli standard minimi di offerta? Ho sentito la parola che mi fa tremare: colloquio. I Centri per l’impiego e l’intermediazione sono diventati una grande agorà freudiana. Facciamo psicanalisi, non facciamo occupazione. Direi che sarebbe ora di passare dalla psicanalisi all’occupazione. Qual è lo standard minimo? Quei soldi per che cosa li diamo e a chi? Li diamo al centro per l’impiego di Cuneo perché Cesare ha avuto almeno un’offerta di lavoro a tempo determinato di sei mesi a una retribuzione non inferiore a 1.000 euro? Fissiamo degli standard. Se ci sono, sono evidenti oppure il miliardo e mezzo va a pagare gli stipendi di quei lavoratori che sono precari e le cui amministrazione non hanno più risorse? Sono incentivi che vanno a vantaggio degli imprenditori che stabilizzano quelli che sono intermediati? Personalmente sarei per premiare chi dà un lavoro temporaneo o stabile che sia. Non darei soldi in altri casi, fissando degli standard minimi per quanto riguarda l’offerta occupazionale. Mi tengo anche qui a livelli realistici. Non ho parlato di un lavoro a tempo indeterminato per la vita, ma penso che non sia serio parlare di Youth Guarantee per meno di sei mesi di lavoro. Insomma, mi sembra un’impresa molto complicata. Siamo appena all’inizio. È partita da maggio. C’è la Toscana, molto avanti ma tutti gli altri stanno arrancando. Abbiamo 20 modelli diversi uno per regione, e un’elencazione di criteri che è una pagina, per cui andrebbero un pochino selezionati. Dopodiché, l’altra cosa che abbiamo messo nel decreto lavoro, che mi interessa parecchio e che stenterà a decollare, è l’alternanza scuola-lavoro. Provare ad avere convenzioni tra le scuole e le imprese piccole, medie e grandi – soprattutto le grandi in questa fase stanno facendo qualche sperimentazione – consentendo agli istituti professionali e non solo di impiegare i giovani 65 Workshop “La legge delega sul lavoro e il riparto di competenze tra Stato e Regioni” CNEL, Sala Gialla – 4 giugno 2014 dell’ultimo biennio della scuola superiore in lavori di apprendistato contestuali al momento dello studio, sarebbe una eccellente sperimentazione. Dobbiamo provarci. Concentriamoci, anche su 1.000, 2.000 o 3.000 ragazzi. Li mandiamo a scuola, togliamo il 20 per cento delle mille ore di studio all’anno e le utilizziamo nel luogo di lavoro; li impieghiamo d’estate e li mettiamo a contatto con il mondo della produzione già nel momento dello studio e non dopo. Penso al Ministro Poletti, che è molto pragmatico. Dovrebbe individuare due o tre questioni sulle quali fare un grande patto sociale per dare una scossa, altrimenti in questo ginepraio non so dove andiamo a parare. Ecco, l’ho detta all’ingrosso. Vi chiedo scusa di non aver partecipato oggi alla vostra discussione, ma queste sono le mie prime impressioni su quello che dobbiamo fare. TIZIANO TREU, Presidente Commissione III CNEL. Grazie, anche sono le prime sono molto utili. Terremo le fila di questo interessante pomeriggio. Dopodiché, torneremo a voi per farvi vedere cosa siamo stati capaci di scrivere e chissà che non siamo utili anche l’iter legislativo, in vista di altre iniziative che faremo su altri aspetti del mercato del lavoro. Grazie ancora a tutti. 66
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