40 IL CAFFÈ 31 agosto 2014 tra virgolette U n nome ce l’ha già. La chiamano “sick lit”, etichetta che fa il verso a “chick lit”, ovvero letteratura per pollastrelle. Il genere dove finirebbe anche Jane Austen, se vivesse oggi: “Orgoglio e pregiudizio” racconta una ragazza in cerca di un marito, proprio come Bridget Jones o le ragazze di “Sex and the City”. La chiamano “sick lit” da “sick” che vuol dire malato, o più spesso “malata”. Son romanzi che raccontano storie di gravi e quasi sempre inguaribili malanni: pochi mesi rimasti da vivere, sforzi eroici per mostrarsi sorridenti anche sotto le cure più moleste, strazianti addii sul letto di morte. Il genere dove finirebbe anche “Love story” di Eric Segal, se fosse scritto oggi. Ma ai tempi di “amare significa non dover mai dire ‘mi spiace’” le categorie editoriali erano meno sofisticate: c’era l’amore e c’era il thriller, c’erano gli adulti e c’erano i ragazzi. I “young adult” – la delicata età in cui si smette di leggere dopo aver divorato libri durante l’infanzia – ancora non esistevano. Ovvio che queste storie prendano facilmente la via del cinema, Capitò a “Love Story”: nel film diretto da Arthur Hiller c’erano Ryan O’Neill e la leucemica Ali MacGraw. Capita oggi con il romanzo che ha fatto co- La sorpresa “sick lit” che fa il verso al genere Love Story schermi MARIAROSA MANCUSO niare il termine sick lit, già un bestseller tra i “young adult” americani ormai stufi dei vampiri e degli “Hunger Games”. Ha un titolo – “Colpa delle stelle” - rubato a Shakespeare. Lo firma John Green, esce in italiano targato Rizzoli e da questa settimana è al cinema diretto da Josh Boone. “Ehi questa è la vita, non il solito film sul cancro dove tutto si sistema scusandosi, perdonandosi e ascoltando una canzone di Peter Gabriel”, annuncia Hazel, adolescente con i polmoni malandati (per tutto il film ha tubicini infilati nel naso). A un gruppo di supporto per malati terminali – dove va solo per far contenta la madre – incontra Augustus, poco più grande di lei e con una gamba bionica (la vera è stata immolata per salvargli la vita). LA VITA “Colpa delle stelle” diretto da Josh Boone firmato da John Green libri La lenta agonia di una vita normale C’ MARCO BAZZI “No, non un’altra commedia sul cancro!”, ha scritto un recensore americano prima di vedere il film. Uscito dalla sala, era completamente conquistato dalla bravura dei giovani attori e dall’ironia – anche nera e feroce che tiene a bada le lacrime e il sentimentalismo. Apprezzabile Sono un successo i nuovi romanzi che raccontano storie d’amore e malattia e utile, in tempo in cui ogni cosa è psicosomatica, la saggezza di Hazel: “La depressione non è un effetto collaterale del cancro, come dicono. La depressione è un effetto collaterale del morire”. A dispetto di tutto, un feel good movie: usciamo e non siamo né tristi né depressi, come capita con certi brutti film. LA MORTE DI IVAN IL’IC Lev Nikolaevič Tolstoj Feltrinelli è un racconto di Lev Nikolaevič Tolstoj, leggendo il quale si prova un’esperienza simile al morire. Come forse in nessun’altra opera letteraria. Una morte lenta, che inizia con una malattia apparentemente banale ma che giorno dopo giorno si aggrava. Il dolore crescente, la paura, la solitudine e infine l’agonia… Nonostante La morte di Ivan Il’ič (Feltrinelli) sia raccontata in terza persona, è come se lo fosse in prima. Una magistrale soggettiva dell’uomo che si avvia alla morte tentando invano di sfuggirla. Pubblicato nel 1886, è il racconto più celebrato dell’autore di Guerra e Pace e di Anna Karenina, un vero capolavoro. Un racconto della maturità, influenzato anche dalla crisi spirituale che porterà Tolstoj a convertisti al cristianesimo. In quegli anni meditava sulle Sacre scritture ma anche su testi buddhisti e taoisti. Oltre che sulle opere di Schopenhauer. “Ivan Il’ič era morto a 45 anni, da membro della Corte d’Appello”, racconta Tolstoj. Sposato con Praskov’ja Fëdorovna, una donna esigente, che ama il lusso, Ivan ottiene un posto prestigioso di giudice. Nell’arredare la nuova casa cade da uno sgabello, vittima di un banale incidente domestico che lo porterà alla morte. “Non si poteva chiamare malattia quel che Ivan Il’ič diceva ogni tanto di avere in bocca, uno strano sapore, e quel certo fastidio che sentiva nella parte destra del ventre”. Poi inizia il calvario delle consultazioni mediche, delle diagnosi e delle cure. E si affaccia nella mente la prospettiva della morte. “Non è forse evidente a tutti, tranne che a me, che sto morendo, e che è una questione di settimane, di giorni, adesso, forse?”. Tormentato dalla menzogna, dal fatto che nessuno, sua moglie, gli amici, i suoi figli, abbiano il coraggio di dirgli in faccia la cruda realtà, Ivan Il’ič è sempre più debole, finché non riesce più ad alzarsi dal letto. E il tempo passa sempre uguale a se stesso, per quell’uomo lacerato dal dolore. “Fino alle tre di notte era rimasto immerso in un tormentoso deliquio. Gli sembrava l’avessero ficcato, facendogli male, dentro uno stretto sacco nero, profondo, che cercassero di spingerlo più in fondo, che non ci riuscissero…”.
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