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No al rischio petrolifero in Adriatico.
Si a politiche comuni di qualità ambientale e gestione
economica sostenibile
I rischi e l’insensatezza della nuova corsa all’oro nero
e della ricerca di nuovi giacimenti per lo sfruttamento del
bacino adriatico
Monfalcone, 12 agosto 2014
Premessa
La Croazia qualche mese fa ha dichiarato di voler aprire le acque territoriali alla ricerca e
all’estrazione di petrolio. Lo ha fatto dopo aver affidato alla Spectrum, società norvegese di
prospezioni in mare norvegese, l’incarico di scandagliare i 35mila kmq di adriatico di competenza
nazionale.
Un annuncio che si basa al momento sull’ipotesi, particolarmente ottimistica, di un giacimento di
oltre 700 milioni di tonnellate, presente nell’adriatico centro meridionale. Stime a nostro avviso
particolarmente elevate se si pensa che ad oggi le riserve certe sotto tutto il mare italiano sono di
appena 9,7 milioni di tonnellate e nei fondali di fronte le coste di Marche, Abruzzo e Puglia si stima
siano presenti 5,4 milioni di tonnellate di greggio.
Ma sono bastati questi annunci per far scattare, anche nel nostro Paese, in primis da parte del
governo e del ministro dello Sviluppo economico in particolare, proclami e annunci in favore del
rilancio delle attività petrolifere in mare seguendo il principio, alquanto discutibile, che è inutile
fermare le attività estrattive nel nostro mare se tanto partono le trivellazioni nelle acque di
competenza degli altri Paesi costieri. Quando invece sarebbe molto più logico lavorare per avviare
delle serie politiche di tutela, a livello internazionale, di un bacino, quale è quello adriatico,
particolarmente delicato e già oggi sotto pressioni ambientali molto elevate.
Partendo proprio dal settore petrolifero, già oggi ci sono oltre 12.290 kmq nell’Adriatico centro
meridionale italiano, interessati da permessi di ricerca, istanze di coltivazione o per nuove attività
di esplorazione che si aggiungono alle 8 piattaforme già attive e da cui nel 2013 sono state estratte
422.758 tonnellate di greggio, il 58% del totale nazionale estratto dai fondali marini. Come se non
bastasse sono in fase di autorizzazione due nuove piattaforme, Ombrina mare, della Medoilgas, di
fronte la costa teatina in Abruzzo, e la richiesta a largo di Ortona presentata dall’Agip. Se il petrolio
riguarda prevalentemente l’Adriatico centro meridionale, nell’Alto Adriatico sono attivi impianti
per l’estrazione di gas, con 39 concessioni attive da cui si produce il 70% del metano estratto dal
mare italiano. Un’area già oggi sottoposta a forti rischi ambientali, a partire dalla subsidenza, il
fenomeno di abbassamento del terreno e conseguente erosione della costa. Le maggiori criticità si
registrano in alcune aree della costa emiliano-romagnola, dove raggiunge un abbassamento fino a
20 mm/anno, su una media di 5 mm/anno circa. Proprio per questi effetti la zona dell’alto
adriatico è stata vietata (articolo 8 del Dl 112/2008: il divieto di prospezione, ricerca e coltivazione
di idrocarburi nelle acque del golfo di Venezia, di cui all'articolo 4 della legge 9 gennaio 1991, n. 9,
come modificata dall'articolo 26 della legge 31 luglio 2002, n. 179, si applica fino a quando il
Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente, del territorio e del mare, non abbia
definitivamente accertato la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste (…)) a
nuove attività di estrazione di idrocarburi che amplificherebbero il fenomeno, ma sarebbe
necessario intervenire anche sulle attività estrattive oggi presenti per riuscire a ridurre il rischio
subsidenza per tutta l’area. L’estrazione di gas nell’alto adriatico riguarda anche le acque croate
con 9 piattaforme di estrazione in cui operano la società INA, ente petrolifero nazionale croato, Eni
(con INAGIP, la società mista Eni-Ina) ed Edison (con EDINA, costituita insieme all’INA).
Numeri destinati ad aumentare, considerando la nuova corsa all’oro nero partita proprio nelle
ultime settimane di fronte le coste croate, in seguito alle rilevazioni eseguite dalla Spectrum su
commissione del Governo croato. Sono 15 i lotti dell’ampiezza di 2000 kmq che dovrebbero
andare a gara entro la fine del 2014, per iniziare le attività di ricerca e di estrazione già dal 2015.
Una chiamata a cui stanno rispondendo compagnie europee , tra cui anche italiane, americane e
russe.
Si deve inoltre aggiungere anche il rischio proveniente dall’intenso traffico di navi mercantili e petroliere,
dal momento che Trieste e Venezia rappresentano i principali porti petroliferi italiani, rispettivamente con
45 e 27 milioni di tonnellate di greggio movimentate ogni anno (elaborazione Legambiente su dati Report
EMSA 2003/REMPEC, dal dossier Marea Nera di Legambiente, agosto 2010). Tutto questo comporta un
rischio rilevante, basti pensare che oltre il 40% degli sversamenti di idrocarburi nel Mediterraneo
sono causati proprio dalle attività operazionali di routine.
Tutto questo in un ambiente, quale quello adriatico, estremamente fragile per le caratteristiche
proprie di “mare chiuso” che definiscono un ecosistema molto importante e già messo a dura
prova. La fragilità del suo equilibrio ecologico è aggravata dalla scarsa profondità e dal modesto
ricambio delle acque. Per questo un eventuale sversamento di petrolio deve fare i conti con la
scarsa, se non nulla, possibilità di dispersione con conseguente inquinamento delle coste e
dell’ecosistema marino.
A chiedere maggiori politiche di tutela per il mar Mediterraneo e in particolare per l’Adriatico non
sono soltanto le associazioni ambientaliste, ma anche le Regioni che su questo mare si affacciano,
come ha dimostrato la Conferenza internazionale delle Regioni adriatiche e ioniche dal titolo
Salvaguardia delle coste delle Regioni del Mare Mediterraneo dall’estrazione di idrocarburi in
mare, convocata nel novembre 2012, a cui ha partecipato anche Legambiente. Un appuntamento
in cui è stato ribadito l’impegno a opporsi con ogni atto necessario alla ricerca e all’estrazione di
idrocarburi liquidi nel mar Adriatico e più in generale nel Mediterraneo. Impegno rinnovato anche
di recente, come dimostra l’ordine del giorno approvato dalla Regione Puglia nel giugno scorso che
afferma la "contrarietà a qualsiasi sfruttamento delle acque adriatiche, ioniche e del mediterraneo
europeo a scopo di ricerca, trivellazione e coltivazione di giacimenti di petrolio e gas sottomarini".
A partire da questi esempi riteniamo che più che fare a gara a chi rilascia più permessi di
estrazione o faccia più guadagni con il petrolio presente sotto le proprie acque territoriali, i Paesi
costieri che si affacciano sull’Adriatico tengano in maggiore considerazione le esigenze delle
comunità locali, delle associazioni di categoria e dei cittadini, e si incontrino per discutere
dell’applicazione delle norme e degli accordi internazionali per la tutela e il corretto uso del mare.
Tra gli atti di riferimento più importanti si ricorda l’approvazione della Direttiva 2013/30/UE sul
rafforzamento delle condizioni di sicurezza ambientale delle operazioni in mare nel settore degli
idrocarburi. La direttiva nasce da alcuni principi di riferimento tra cui quello che grandi incidenti
legati all’estrazione di idrocarburi in mare possono avere conseguenze gravi e irreversibili
sull’ambiente marino e costiero. Per questo dispone di una serie di valutazioni e verifiche da
mettere in campo in fase di rilascio dell’autorizzazione e di disposizioni sui controlli e le misure di
sicurezza per le attività già avviate, anche di carattere transfrontaliero se le conseguenze possono
riguardare più Paesi, come nel caso dell’Adriatico. Un altro passaggio importante è
l’inquadramento di tali attività nelle politiche di tutela e salvaguardia del mare per garantire il
raggiungimento al 2020 del buono stato ambientale, come previsto dalla direttiva 2008/56/CE. Si
tratta della direttiva che ha messo in campo la Strategia marina, con l’obiettivo di valutare
l’impatto cumulativo di tutte le attività per una gestione integrata del sistema marino-costiero a
livello nazionale e internazionale.
Se non bastassero le, motivazioni ambientali, a ribadire l’assoluta insensatezza del rilancio del
petrolio sotto il mare italiano ci sono gli stessi dati di Assomineraria relative alle riserve certe
presenti sui fondali che abbiamo oggi a disposizione in Italia, che sarebbero sufficienti per appena
8 settimane, stando ai consumi attuali. Anche sul fronte croato la quantità reale di petrolio
disponibile è ancora da verificare con indagini più approfondite. Per questo siamo convinti che
continuare a rilanciare l’estrazione di idrocarburi nel mare Adriatico e, più in generale nel
Mediterraneo, è solo il risultato di una strategia insensata che non garantisce nessun futuro
energetico per il nostro Paese e nemmeno per le altre nazioni costiere. Occorre abbandonare
questa politica energetica miope orientata sulle fonti fossili e sposti l’attenzione e le risorse su
rinnovabili, efficienza e risparmio, investendo su una politica energetica basata su fonti pulite,
facendo scelte lungimiranti, e facendosi promotori di politiche internazionali di tutela di tutto il
mar Mediterraneo e l’Adriatico, piuttosto che seguire le scelte petrolifere degli altri Paesi. Su
questo l’Italia può e deve giocare la sua capacità competitiva internazionale.
Proprio su questo si è sempre concentrato l’impegno di Legambiente, a partire dall’iniziativa
“Amare l’adriatico”, l’impegno di “Goletta Verde” e di Legambiente per il futuro di un “piccolo
grande mare” lanciato già diversi anni fa, che chiedeva un impegno maggiore e unitario su alcuni
punti:
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la proposta che più si addice ad affrontare la centralità della questione ambientale in
Adriatico e quella di rilanciare la richiesta di una assunzione nuova da parte di tutti. In
questo contesto la richiesta della istituzione dell’area sensibile nell’Alto e Medio Adriatico,
può dare un quadro di certezza e di norme agli interventi necessari per la tutela e la
valorizzazione di questa grande risorsa.
lanciare l’idea di una vera e propria vertenza ambientale dell’Adriatico, che affonda le sue
radici nella storia di una civiltà che ha visto il mare come elemento comune delle
popolazioni costiere
dopo un periodo di decadenza, guerre, marginalizzazioni e degrado ambientale, oggi c’è la
possibilità di investire per un grande futuro per il bacino adriatico con la conquista di una
nuova centralità, la valorizzazione dei tesori territoriali, ambientali ed economici presenti
sulle sue coste.
Per realizzare tutto questo oggi è però necessario un impegno comune per poter iniziare la
ricostruzione di una collaborazione importante fra tutti i Paesi costieri. Serve il concorso di tutte le
realtà istituzionali, politiche ed economiche delle sue coste, per avviare una collaborazione che
porti alla rinascita dell’intera area.
La corsa all’oro nero nell’Adriatico
Le acque italiane
12.290 kmq interessati da permessi di ricerca e nuove richieste per l’esplorazione dei fondali
marini, 8 piattaforme attive per la produzione di petrolio che ha raggiunto nel 2013 422.758
tonnellate, il 58% del totale nazionale estratto dai fondali marini. Per avere un quadro dell’attività
estrattiva petrolifera nell’adriatico si riportano di seguito i dati del Ministero dello Sviluppo
economico relativi alle richieste e alle aree di ricerca e di estrazione nei mari italiani (dal dossier di
Legambiente Per qualche tanica in più, 31 luglio 2014).
Oggi le società attive che estraggono petrolio dal mar Adriatico in Italia sono Eni ed Edison che
insieme posseggono i tre titoli estrattivi a olio situati nell’area centro meridionale
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il primo situato di fronte la costa abruzzese tra Ortona e Vasto, che ha estratto 155.759
tonnellate di petrolio, poco più del 20% della produzione nazionale in mare di idrocarburi;
Edison e Gas Plus Italiana posseggono insieme il titolo B.C7.LF situato di fronte la costa tra
Civitanova Marche e Porto San Giorgio. Per quanto riguarda le estrazioni petrolifere di
questa concessione queste si attestano intorno a 65mila tonnellate per il 2013 (il 9% della
produzione annuale in mare);
in Adriatico meridionale Eni possiede in concessione un’area di 566 kmq da cui ha ricavato
nel 2013 la maggiore quantità di petrolio estratto da un unico titolo: più di 200mila
tonnellate di greggio (corrispondenti al 28% del totale nazionale estratto in mare).
Oltre alle concessioni già attive nei nostri mari, se ne potrebbero aggiungere presto delle altre: si
tratta delle nuove istanze di concessione di coltivazione dei giacimenti, ovvero le richieste
presentate dalle varie compagnie petrolifere che, dopo aver effettuato delle indagini a scopo
esplorativo e di ricerca con esiti positivi, richiedono di poter passare alla vera e propria fase
estrattiva una volta ottenuto il parere favorevole della commissione preposta.
Le istanze di concessione di coltivazione nel mar Adriatico sono attualmente 2, quella dell’Agip (d
26 B.C-.AG) a largo di Ortona, con una estensione pari a 58,5 Kmq, e quella della Medoilgas Italia,
sempre a largo della costa abruzzese di Ortona, per una estensione di 109,2 Kmq. Mentre la prima
istanza di concessione si trova all’inizio dell’iter procedurale in fase pre-CIRM, la seconda è già in
una fase più avanzata, ovvero quella di valutazione di impatto ambientale, più precisamente
dell’Autorizzazione integrata ambientale richiesta nel 2013 dal ministero dell’ambiente.
A giugno 2014 risultano avviati anche 7 permessi di ricerca, già rilasciati, nell’area dell’Adriatico
centro-meridionale per un’area marina di circa 2.800 Kmq. Seguono ai permessi di ricerca già
rilasciati anche 17 istanze di ricerca presentate dalle società petrolifere per nuovi permessi di
ricerca: 4 istanze si trovano in fase decisoria, hanno quindi completato l’iter di approvazione
previsto dalla legge e sono in attesa del conferimento del permesso; 5 istanze sono invece in fase
di valutazione di impatto ambientale; altre otto istanze di ricerca sono invece alla prima fase
dell’iter autorizzativo. Sono invece tre le istanze di prospezione in mare.
I giacimenti di petrolio nell’adriatico croato
Un documento dello scorso marzo redatto da ITA (Italian Trade Agency, ICE – Agenzia per la
promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane), riguardante il settore
energetico in Croazia, ripercorre quella che è la corsa all’oro nero nelle acque croate. Su incarico
del ministero dell’Economia croato, la società norvegese Spectrum ha avviato una campagna di
prospezione, attraverso rilevazioni sismiche sui fondali marine, nelle acque territoriali
dell’adriatico croato, un’area di circa 35mila kmq, che comprende tutte le acque territoriali. Le
stime riportate nel documento dichiarano che una “quantità totale stimata, solo di greggio,
potrebbe raggiungere la cifra di 700milioni di tonnellate” presente sotto i fondali croati; ma si
tratta di valutazioni ancora provvisorie, a nostro avviso troppo ottimistiche, fatte sulle sole
indagini di prospezioni e non sono suffragate da indagini di ulteriore dettaglio. Basti pensare che le
riserve certe sotto il mare italiano ammontano a 9,7 milioni di tonnellate e quelle dell’Adriatico
centrale a 5,4 milioni, cifre ben al di sotto dei valori ipotizzati dalle indagini riguardo i giacimenti
croati. Le attività future prevedono comunque la suddivisione dell’adriatico croato in 15 grandi
campi di esplorazione (dell’ampiezza di almeno 2.000 kmq).
Le aree maggiormente interessate, stando agli studi e alle previsioni condotte anche dall’INA,
l’ente petrolifero croato, sarebbero localizzati prevalentemente nell’Adriatico centro meridionale.
In particolare nel tratto di mare di fronte Dubrovnik, nella parte meridionale del Paese, vicino il
confine con il Montenegro. In corrispondenza con le coste di Abruzzo, Molise e nord della Puglia,
dove già oggi sono attivi gli impianti estrattivi di petrolio italiani.
In seguito alle attività di esplorazione condotte dalla Spectrum dovrebbero iniziare le gare per
l’affidamento delle aree di ricerca più specifica e si prevede per il 2015 il rilascio delle prime
concessioni. Come per il mare italiano, anche l’Adriatico croato è sotto i riflettori di compagnie
prevalentemente straniere. Infatti già dalle attività di prospezione, che sono state svolte dalla
norvegese Spectrum, sono le compagnie europee, americane e russe ad aver messo gli occhi sulle
attività di ricerca e di coltivazione dei giacimenti.
L’attività nell’alto Adriatico di estrazione e ricerca di gas
L’Adriatico rappresenta anche un importante bacino per la presenza e l’estrazione di gas,
soprattutto la zona dell’Alto Adriatico (zona A nella classificazione del ministero dello Sviluppo
Economico). Per quanto riguarda infatti la produzione di gas naturale nella zona A, nel 2013 questa
è stata di 3.633 milioni di Sm³. In particolare il metano estratto nella zona A rappresenta il 69% del
totale estratto in mare, che a livello nazionale per il 2013 ammontava a 5.284 milioni di Sm³. Le
concessioni attive sono 39. A queste si devono aggiungere le 3 richieste per avviare nuove
estrazioni, tutte in fase di valutazione di impatto ambientale. La prima presentata da Agip riguarda
un’area situata di fronte le laguna di Chioggia (Ve), la seconda di Agip, Total Italia e Stargas Italia a
largo di Porto Tolle (Ro) e l’ultima, di cui è titolare ENI, di fronte la costa tra Rimini e Cesenatico. Ci
sono poi gli 8 permessi di ricerca attivi in quest’area per un totale di 1455 kmq.
L’estrazione di gas dalle piattaforme croate del nord dell’Adriatico
Sempre nell’alto adriatico sono attivi anche i 9 campi di estrazione croati (indicati in rosso nella
figura sottostante). Un’attività che negli ultimi anni ha visto sempre maggiori investimenti con un
incremento delle quantità estratte. Le società che operano nelle piattaforme estrattive sono
INAGIP, società mista italo-corata e EDINA, composta dall’ente petrolifero croato INA e da
EDISON).
Mappa delle attività di ricerca e di estrazione attive oggi
nel mar Adriatico centrale e nell’alto Adriatico
Fonte: Ministero dello Sviluppo Economico