Introduzione primo incontro

DIOCESI DI CONCORDIA – PORDENONE
UFFICIO SCUOLA
AGGIORNAMENTO PER INSEGNANTI
DI RELIGIONE CATTOLICA
PRIMO INCONTRO
INS. VIDUS ROSIN STEFANO
SPILIMBERGO – PORTOGRUARO (A.S. 2010 – 2011)
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INTRODUZIONE
La presenza femminile nella storia della Bibbia presenta una galleria di ritratti in cui appaiono volti di donne
con i tratti della loro umanità, dei loro limiti ma anche della loro gloria. Nonostante un’epoca
prevalentemente maschilista, in cui il ruolo della donna è marginale ed è inserito in una struttura familiare
patriarcale, la Bibbia racconta storie di donne che grazie alla loro intelligenza, sensibilità, bellezza, intuito
hanno saputo cambiare il corso degli eventi. Nell’Antico Testamento donne forti, capaci di andare contro
corrente, presenti nella storia di grandi uomini, così nel Nuovo Testamento dove, partendo da Maria, simbolo
femminile per eccellenza, si incontrano altre donne, testimoni della Pasqua.
Il corso prevede quindi una panoramica riguardante la figura della donna nella Bibbia attraverso la
conoscenza della loro vita, inserendole nel contesto storico in cui sono vissute e in continuo riferimento al
testo biblico.
OBIETTIVI DEL CORSO
Conoscere la storia di alcune figure femminili bibliche.
Individuare significative espressioni d’arte cristiana riguardanti alcune significative figure femminili
della Bibbia.
Progettare un itinerario didattico riguardante la condizione della donna in diverse epoche all’interno
della programmazione annuale in una dimensione interdisciplinare.
STRUTTURA DEL CORSO
Quattro incontri di due ore e mezza ciascuno, così suddivisi:
1. incontro: Titolo “Introduzione alla figura femminile nella Bibbia e nell’arte”.
Presentazione del corso ed excursus storico – culturale – religioso.
2. incontro. Titolo “Le donne dell’Antico Testamento”. Visione di filmati
3. incontro. Titolo “Le donne del Nuovo Testamento”. Visione di filmati
4. incontro. Titolo “Lavori di gruppo”. Possibili itinerari didattici. Consegna del materiale e
conclusioni del corso.
METODOLOGIA DEGLI INCONTRI
Uso del Pc ed attraverso il programma Power Point, presentazione degli argomenti programmati e delle
relative spiegazioni. Ogni incontro sarà così suddiviso:
Presentazione generale dei temi previsti.
Lettura di alcuni testi e visione di alcuni filmati.
Lettura di immagini relative all’argomento.
Conclusioni e presentazione di bibliografia e sitografia utili per lo studio personale e il lavoro in
classe.
USO DEL PC, VIDEOPROIETTORE, LAVAGNA, FOGLI BIANCHI, PENNE.
La proposta metodologica si presenta come “metodologia della ricerca”, attraverso la conoscenza, il
confronto, le curiosità riguardanti i temi presentati.
Nel primo incontro sarà necessario presentare i seguenti obiettivi specifici di apprendimento propri della
religione cattolica per la scuola primaria e gli obiettivi relativi alle competenze. (il tutto sarà ripreso
nell’ultimo incontro in cui verranno presentati i possibili itinerari didattici).
OBIETTIVI RELATIVI ALLE COMPETENZE
Leggere direttamente pagine bibliche ed evangeliche, riconoscendone il genere ed individuando
il messaggio principale.
Saper attingere informazioni sulla religione cattolica anche nella vita di santi e in Maria, la
madre di Gesù.
Decodificare i principali significati dell’iconografia cristiana.
SPILIMBERGO: Oratorio
PORTOGRUARO: I.S.S.R.
TEMA: La figura della donna nella Bibbia
Relatore: Stefano Vidus Rosin
GIORNI
ORARIO
GIORNI
ORARIO
Mercoledì 2 marzo ‘11
17.00-19.30
Venerdì 4 marzo ‘09
17.00-19.30
Mercoledì 16 marzo ‘11
17.00-19.30
Venerdì 11 marzo ‘09
17.00-19.30
Mercoledì 23 marzo ‘11
17.00-19.30
Venerdì 18 marzo ‘09
17.00-19.30
Mercoledì 30 marzo ‘11
17.00-19.30
Venerdì 25 marzo ‘09
17.00-19.30
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Donne bellissime e donne seduttrici, regine o schiave, peccatrici o fattucchiere, angeli o demoni, fanciulle o
vecchie, ebree o barbare, figlie o spose, vergini o madri. Nell'Antico Testamento c’è fondamentalmente una
tipologia che si iscrive nelle cosiddette strutture di "mediazione salvifica", cioè all'interno dell'esperienza del
popolo d'Israele ci sono alcune figure che sono chiamate ad esercitare la profezia, la regalità, il sacerdozio.
Fatta eccezione per il sacerdozio, che non prevede neanche il vocabolo femminile, ci sono profetesse e
regine. La figura più interessante è quella delle profetesse, il che sta a dire che la gratuità dello spirito, che
sta a monte della profezia, viene elargita, come dice la Bibbia, su tutte le persone, senza distinzione. Un
capitolo molto interessante, per quanto riguarda l'Antico Testamento, è dato dalle matriarche, queste figure
singolari delle compagne dei patriarchi, la cui epopea la Bibbia narra, e che acquisiscono un ruolo di vere e
proprie protagoniste, soprattutto nel passaggio che va da Abramo a Giacobbe. Queste donne contano. C'è la
stupenda figura di Sara, la moglie di Abramo, la quale addirittura ci testimonia quell'ironia che la letteratura
contemporanea riconosce come caratteristica delle donne del porsi nei confronti del reale. E Sara ha il
coraggio di ridere. Ormai è in meno pausa, le dicono che aspetta un figlio, giustamente dice: '"Ma questo è
matto!" e ride tranquillamente. Quindi non figure ingessate, ma figure capaci, appunto, di ridere di se stesse:
"Il mio Signore verrà da me, adesso che sono così vecchia, così avanti negli anni, che il mio grembo ormai è
sterile?". Per dire, questa capacità di autoleggersi, con tutta franchezza, appunto con ironia. Così come è
interessantissima la figura di Rebecca, che, prediligendo il figlio Giacobbe, fa passare su di lui la linea della
primogenitura. E meno forti delle matriarche, ma riconducibili a questo ruolo di partnership, troviamo anche
altre donne all'interno della Scrittura. La stessa cosa si potrebbe dire proiettandoci anche nel Nuovo
Testamento, anche se le tipologie sono meno chiare e meno evidenti.
Cattive sono le donne, figli miei, e poiché non hanno nessun potere sull’uomo, usano l'inganno della bellezza
per attirarlo a sé. Se uno poi resiste alla seduzione della bellezza, riescono a vincerlo con l’inganno.
L’angelo di Dio mi insegnò che le donne sono più esposte dell’uomo allo spirito di impudicizia: nel cuore
tramano contro gli uomini, attraverso lo sguardo iniettano veleno. A questo punto gli uomini sono resi loro
schiavi.
Così scriveva forse nel I secolo a. C., un autore giudaico nell’apocrifo noto come Testamento di Ruben, il
primogenito del patriarca Giacobbe. Egli raccoglieva e rinforzava un filo antifemminista che serpeggiava qua
e là già nell’A.T. Basta solo vagliare la legislazione d’Israele per individuare la prevalenza di una prospettiva
maschilista, segnata dalla poligamia, dalla considerazione della donna come bene riproduttivo (il mohar, dote
da versare al padre di lei da parte dello sposo, era un’evidente testimonianza di compensazione economica
della perdita subita), da una struttura familiare a chiara impronta patriarcale. Basta solo far emergere alcuni
testi dei sapienti d’Israele per individuare una non celata atmosfera di misoginia. Il Qohelet o Ecclesiaste non
esita a definire «amara più della morte la donna, la quale è tutta lacci: una rete il suo cuore, catene le sue
braccia. Chi è gradito a Dio la sfugge, ma il peccatore ne resta preso» (7,26). Un altro sapiente, il Siracide,
convinto che «dalla donna ha avuto inizio il peccato» e che «per causa sua tutti moriamo» (25,24), giunge al
punto di dichiarare che è «meglio la cattiveria di un uomo che la bontà di una donna» (42,14). Questo fìlo si
incunea anche tra le pieghe del Nuovo Testamento, soprattutto in Paolo che riflette nei suoi scritti la società
non solo ebraica ma anche greco-romana del suo tempo. Basterebbe leggere la pagina dedicata al "velo delle
donne" nel capitolo II della Prima Lettera ai Corinzi per restare sorpresi, nonostante il sottinteso rimando alla
tradizione giudaica: «Capo della donna è l'uomo... La donna è gloria dell'uomo» perché non è «l'uomo che
deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo; né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo. Per
questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza [il velo]» (versetti 3 e 7-10). Poche
pagine più avanti, regolamentando il funzionamento delle assemblee cristiane, l'Apostolo ribadisce
aspramente la sua concezione in sede pratica: «Le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro
permesso di parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualcosa,
interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea» (14,34-35). E
nella Lettera agli Efesini, sia pure in un contesto più aperto, si riproporrà la lezione della Prima Lettera ai
Corinzi: «Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore: il marito infatti è capo della moglie...» (5,2223). Queste e altre pagine, in realtà, impressionano molto di meno quando si coglie la qualità della
Rivelazione biblica, cioè la sua storicità o "incarnazione". La parola di Dio non è un meteorite piombato dal
cielo, né un'astratta sequenza di asettiche e perfette tesi teologiche, bensì un seme deposto nel terreno
tormentato della storia, in un punto preciso del tempo e dello spazio per noi lontano, in una società e in una
cultura ben circoscritta e datata, in un rivestimento esteriore che si deve sciogliere e comprendere. È ciò che
non sanno e non vogliono fare i lettori "fondamentalisti" delle Sacre Scritture: ignorando l’incarnazione,
rifiutano un’interpretazione corretta del testo biblico, approdando non di rado a risultati che meritano il
giudizio severo di Paolo: «La lettera uccide, lo Spirito dà vita» (II Lettera ai Corinzi 3,6). Ora, interpretata
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autenticamente, la Bibbia rivela sulla questione femminile un volto ben differente dalla prima impressione:
ed è ciò che vogliono dimostrare le pagine che seguiranno. Esse compongono una specie di esegesi letteraria
e pittorica della femminilità nella Rivelazione vetero e neotestamentaria.
La donna all’'alba dell'umanità
Nella Genesi si legge: «Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza... Dio creò
l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (1,26-27). Curiosa è la
precisazione contenuta in queste righe. Certo, la persona umana è la rappresentazione più viva di Dio che
esiste sulla faccia della terra, molto superiore a tutte le statue e raffigurazioni artistiche, che peraltro la
Bibbia vieterà. Ma l’immagine è specificata dal fatto che l’umanità è composta da maschio e femmina. Non
certo perché Dio sia sessuato e abbia accanto a sé una dea, come ritennero alcuni popoli dell’antichità, ma
perché la fecondità e l’amore matrimoniale sono il parallelo della potenza creatrice di Dio. Immagine divina
non è l’uomo solo ma lo è con la donna. Sempre in principio c’è un altro passo importante. Si tratta del
secondo racconto della creazione dell’uomo, più antico del precedente, raccolto nel capitolo 2 della Genesi e
dominato dalla figura di ha-dam che in ebraico significa semplicemente l’uomo. Adamo è, quindi, il nome di
ogni uomo, di ognuno di noi, del primo essere apparso sulla faccia della terra all’ultimo che vi nascerà, da
nostro padre a nostro figlio, a noi stessi. L’avventura di questo protagonista inizia con la scoperta della
solitudine, una malattia che attanaglia l’esistenza umana. Essa parrebbe superata attraverso la creazione degli
animali a cui l’uomo impone il nome: nelle antiche culture orientali dare il nome a una realtà significa
possederla e conoscerla pienamente e ciò si attua col lavoro, con la scienza, col dominio delle cose. Ma
l'Adamo-uomo, giunto a sera della sua prima avventura di relazione, si ritrova ancora solo e infelice: non ha
un «aiuto che gli sia simile», in cui possa specchiare i propri occhi, in cui versare il proprio dolore e la
propria gioia, le ansie e le speranze. Si apre, allora, una nuova tappa dell'esperienza umana, quella della
creazione della donna. Lo sfondo è quello di una notte e di un sonno. Dio è raffigurato come un costruttore
che con la stessa materia di cui è costituito l'uomo -simbolicamente rappresentata dalla "costola" –crea un
nuovo essere umano che avrà perciò la stessa realtà: è significativo notare che in una delle più antiche lingue
orientali, il sumerico, un unico vocabolo (ti) indica la "costola" e la "vita". Davanti alla donna, l'uomo
esplode in quello che sarà il primo e l'eterno canto d'amore dell'umanità: «È carne dalla mia carne, osso
dalle mie ossa!» (Genesi 2,23). I due, l'uomo e la donna, porteranno nell'originale ebraico lo stesso nome:
"donna", 'isshab, è il femminile di 'ish, "uomo". Si spiega, così, la frase: «La si chiamerà donna perché
dall'uomo è stata tratta». Essi sono la stessa realtà, al maschile e al femminile, con la stessa natura e dignità,
pronti a diventare «una sola carne» -come continua a dire la Genesi (2,24) -nell'atto fisico e spirituale
d'amore e nel figlio che nascerà, unica carne di due persone. «In principio», quindi, uomo e donna sono
presenti in parità e in reciproca necessità e comunione. E ciò che, più avanti, esalterà una donna affascinante,
la bellissima "Lei" del Cantico dei Cantici vera protagonista di questo splendido poemetto biblico di sole
1250 parole. Essa, infatti, celebrerà la mutua donazione dei due innamorati in quella stupenda professione
d'amore: dodi li wa'ani lo, «il mio amato è mio e io sono sua» (2,16). Essa condurrà il suo uomo fino alla
pienezza dell'intimità chiedendogli: «Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché
forte come la Morte è Amore... Le sue vampe sono vampe ardenti, una fiamma del Signore!» (8,6). Appare il
simbolo del sigillo che si portava al dito o al braccio o sul petto con una catenella e che serviva come
«documento d'identità». La sposa è il sigillo dello sposo, la cui identità e personalità, senza di lei, sarebbe
vuota e anonima. E questa reciproca appartenenza non è infranta neppure dal Nemico per eccellenza, la
Morte. Il fuoco dell'amore porta in sé la scintilla del divino, «una fiamma del Signore».
Le grandi donne dell'Antico Tèstamento
La presenza femminile nella storia santa diventa, perciò, tutt'altro che secondaria, e a questo punto si
dovrebbero introdurre una galleria di ritratti in cui appaiono volti di donne con i tratti della loro umanità, dei
loro limiti ma anche della loro gloria. E ciò che si potrebbe fare con una lunga sequenza di nomi e di profili.
Eva, la vivente, e con lei tutto il mistero della tentazione del serpente e della seduzione. Sara e Agar, due
donne diverse legate ad Abramo. Poi Debora che si troverà alla testa del popolo eletto (Giudici 4-5). Di
segno opposto è il personaggio di Dalila, la seduttrice che affascina Sansone riducendolo in suo potere per
conto dei filistei (Giudici 16,4-21) e sulla sua ingannevole bellezza. Poi la figura di Noemi, la dolce e abile
coprotagonista di quel gioiello narrativo che ha al centro un'altra donna, la moabita Rut. Ripercorrendo il
Secondo Libro di Samuele, ci si addentra nei complessi risvolti psicologici di Betsabea, la bella donna che,
facendo perdutamente innamorare di sé il re Davide, lo spinge nell'abisso del peccato, ma poi, divenuta sua
sposa, gli genera il saggio figlio Salomone; e poi la regina di Saba, il cui incontro con lo stesso Salomone,
descritto nel capitolo 10 del Primo Libro dei Re, si accende ora di fuochi d'amore, com'è piaciuto fantasticare
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alla successiva tradizione popolare. Ecco, poi, quel "giglio" di bellezza che è Susanna, il cui nome in ebraico
rimanda appunto a quel fiore, caro anche al paesaggio del Cantico. L’abiezione dello stupro tentato nei suoi
confronti e il contrasto tra la bellezza e la volgarità, che costituiscono la trama narrativa del celebre episodio
del capitolo 13 del Libro di Daniele. La figura a tutto tondo di Giuditta, madre della patria ebraica come dice
già il suo stesso nome ("la donna giudea"). Ester, la regale e sagace protettrice del suo popolo, contro il
perfido nemico di Mardocheo.
Le grandi donne del Nuovo Testamento
È necessario andare oltre l’Antico ed entrare nel Nuovo Testamento. Prima fra tutte le donne c’è Maria, la
madre di Gesù, che entra in scena con l’angelo dell’annunciazione, che incrocia Elisabetta, la parente
anziana, incinta di Giovanni Battista, che genera il Cristo e che appare nella purezza del suo profilo altissimo
di Vergine e Madre. L’incontro estremo con il figlio ai piedi della croce sul Monte Golgota: “Donna ecco tuo
figlio… Figlio ecco tua madre (Giovanni 19,25-27). Dietro Maria sfilano le altre donne del Nuovo
Testamento con il loro travaglio di infelicità e anche di peccato sul quale si china Gesù. La Samaritana, che
incontra il Messia nel pozzo, la figlia di Giaro, capo della sinagoga di Cafarnao, richiamata alla vita.
Erodiade e Salomè, artefici dell’assassinio di Giovanni Battista. che appare nella purezza del suo profilo
altissimo di Vergine e Madre. Naturalmente non finisce qui la presenza femminile neotestamentaria. Anzi,
una folla di donne popola la vita di Gesù e quella della comunità cristiana delle origini. Si pensi a Maria e
Marta, le due sorelle, così diverse nella lezione che a esse impartisce Gesù: l'una, modello del discepolo
perfetto che, «ai piedi di Gesù, ascolta le sue parole», e l'altra che incarna il rischio dell'essere «totalmente
presi da troppe cose», dimenticando l'unica «cosa necessaria» che dà sapore e senso anche alle altre vicende
(Luca 10,38-42). Eppure, secondo Giovanni sarà proprio Marta a formulare davanti alla morte del fratello
Lazzaro una limpidissima professione di fede pasquale in Gesù: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo,
il Figlio di Dio che deve venire nel mondo» (11,27). Il pensiero corre spontaneamente all'anonima adultera
perdonata da Gesù, secondo quanto ci narra lo stesso quarto vangelo (8,1-11), alle donne che accompagnano
Cristo per le strade della Palestina: Maria di Màgdala, Giovanna moglie di Cusa, amministratore di Erode,
Susanna e molte altre, che assistevano Gesù e i Dodici con i loro beni (Luca 8,2). Si pensi alle donne travolte
dal dolore e sollevate da Gesù, come la madre vedova di Nain che si vede restituito il giovane figlio morto
(Luca 7,11-16), la donna colpita da emorragie che la rendevano ritualmente impura secondo le antiche leggi
e che Gesù riporta alla serenità (Marco 5,25-34). _Ci sono poi le donne delle parabole: quella preoccupata
per aver perso il suo piccolo tesoro d'una dracma (Luca 15,8-10), quella che non si rassegna davanti alla
corruzione della magistratura (Luca 18, 1-8), le vergini sapienti che sono ammesse alla festa nuziale e le
stolte che ne sono espulse (Matteo 25,1-13), la casalinga che impasta la farina col lievito (Matteo 13,33). E
c'è anche la vedova che diventa modello assoluto e purissimo di donazione rinunziando persino ai suoi ultimi
due spiccioli, destinati al tesoro del tempio come offerta (Luca 21, 1-4).
Le donne testimoni della Pasqua
È importante la presenza femminile negli ultimi giorni dell’esistenza terrena di Gesù. Appaiono alcune
donne anche in quella notte che non sembra mai finire, quando Gesù è portato da un tribunale all’altro. Da un
lato le donne del sommo sacerdote Caifa che riescono a mettere in crisi Pietro, la moglie del procuratore
romano Ponzio Pilato della quale i vangeli apocrifi ci daranno anche il nome, Claudia Prode: «Mentre Pilato
sedeva in tribunale, sua moglie mandò a dirgli: Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto
turbata in sogno, per causa sua» (Matteo 27,19). Gesù, ormai condannato alla crocifissione, esce dal pretorio
di Pilato e si avvia per la "via dolorosa". Durante quel tragitto Luca ci ricorda un'altra presenza femminile,
quella delle cosiddette "pie donne", «che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui» (23,27). Era
probabilmente una specie di "confraternita della buona morte" che assisteva i condannati a morte, compiendo
poi in loro onore i riti funebri. Raggiungiamo anche noi con Gesù il Calvario. Qui, nella quasi totale assenza
di discepoli (se si esclude «il discepolo che Gesù amava», segnalato da Giovanni), una piccola folla di donne
si accalca ai piedi della croce. Oltre alla madre di Gesù, i vari evangelisti nominano figure femminili diverse,
figure che ritroveremo anche nel momento della sepoltura del cadavere di Gesù. Ma è soprattutto nell'alba di
Pasqua che saranno le donne a riconoscere per prime l'evento della risurrezione. Anzi, una di loro, Maria di
Màgdala -che aveva accompagnato Cristo durante i suoi giorni terreni accanto ai discepoli -, dialogherà col
Risorto, prima scambiato col guardiano del giardino cimiteriale. Per "riconoscere" il Cristo pasquale, è
necessaria una visione più profonda rispetto a quella fisica, gli occhi carnali non sono sufficienti, bisogna che
la fede illumini mente e cuore di Maria che diventa, così, la prima missionaria della risurrezione: «Va. dai
miei fratelli e di' loro: lo salgo al Padre mio...» (Giovanni 20,17). Dal punto di vista storico questa
ll1S1stenza sulle donne come prime testimoni pasquali è rilevante.
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Le donne profètizzano
Nell'antico mondo orientale la donna non aveva personalità giuridica e quindi ogni sua testimonianza era
invalida. Difficilmente gli evangelisti avrebbero introdotto donne come testimoni della tomba vuota di Gesù
se questo non fosse stato nella realtà stessa degli avvenimenti. Le donne acquistano, allora, un grande rilievo
per la fede cristiana: esse sono una delle "ragioni" della nostra fede, anche se sappiamo che il mistero
pasquale ha dimensioni che superano e trascendono quelle "ragioni". Esse sono una grande presenza verso
cui la Chiesa si rivolge interrogandola continuamente, come si dice nella celebre sequenza liturgica Victimae
paschli: «Raccontaci, o Maria: che cosa hai visto sulla via?» (Dic nobis, Maria, quid vidisti in via?. E la
risposta di Maria di Màgdala è quella che la Chiesa ripete coralmente con lei: «È risorto Cristo, mia
speranza!» (Surrexit Christus, spes mea!). In questa scia si continuerà nel Nuovo Testamento a riconoscere
alla donna una sua funzione apostolica. Paolo stesso parla di donne che pregano e profetizzano (Prima lettera
ai Corinzi 11,5). Nel progetto salvifico di Cristo cadono le differenze culturali e sociali: “Non c’è giudeo, né
greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”
(Lettera ai Galati 3,28).
"In principio [...] Dio creò l’uomo a sua immagine; maschio e femmina li creò". Ma non basta "maschiofemmina", non basta la maschera a introdurre la questione donna. Quando l’uomo, Adamo – ish il suo nome
ebraico – su ordine di Dio, diede i nomi a tutti gli animali e a tutte le cose create, dovette dare un nome alla
"carne della sua carne e ossa delle sue ossa", e la chiamò ishsha, donna. Poi Adamo fece partecipe la donna
del comandamento di Dio di non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male "perché
in qualsiasi giorno tu ne avrai mangiato, di morte morrai". A questo punto, la donna cede alla tentazione del
serpente e ishsha sarà Eva, madre non vergine di tutti i viventi. Ed ecco la prima tentazione dell’"umanità":
mangiare la sostanza per togliere l’ironia – l’apertura – e l’enigma – ciò che, proprio in quanto enigma, non
richiede né soluzione né significazione. È in questo modo che Eva, mangiando la morte, toglie la questione,
dissipa il malinteso, si pone come segno dell’origine e della fine degli umani, si fa oggetto e soggetto della
pena, del castigo, della morte e fonda l’albero genealogico. "Moltiplicherò le tue pene e le tue gravidanze...".
Ma c’è un’altra donna che viene annunciata qui. Dice Dio rivolto al serpente: "Porrò inimicizia fra te e la
donna, fra la stirpe tua e la stirpe di lei; essa ti schiaccerà il capo e tu insidierai il suo calcagno". Un’altra
stirpe, non genealogica, reintegrerà l’enigma con il mito di Maria, vergine, madre, senza macchia e senza
peccato: Maria restituirà il paradiso senza più la tentazione della sostanza.
Eva ha bisogno di procreare la sostanza e di assumere la morte come pena e come riscatto alla sua
disubbidienza. Maria incomincia con l’annunciazione, interrompe la genealogia e compie la sua missione
con l’assunzione in cielo.
Tra Eva e Maria, nella Bibbia, la questione e l’enigma donna vengono esposti con altre storie, con altre
figure che si susseguono a partire dalla logica dell’ebraismo fino al loro compimento con il cattolicesimo,
con Maria e con le donne di Gerusalemme, testimoni della resurrezione.
Sara, moglie di Abramo, non concepisce, non si propone come procreatrice. Occorre che Dio intervenga e
che operi per la generazione. Sara suggerisce che sia Agar, la sua schiava, a dare un figlio a Abramo. Sara
concepisce nella sua vecchiaia, e sarà madre.
Nell’Antico Testamento, tra le leggi ebraiche c’è quella del levirato: è una legge non scritta che impone,
quando un uomo muore, al fratello dell’uomo di sposare la vedova, perché venga conservato il suo nome
attraverso la discendenza del fratello. È un mito curioso cui la Bibbia dedica più figure, ma senza mai
accostarle al male, all’incesto, al peccato. Tra le donne spiccano i personaggi di Ruth, la straniera, moglie del
figlio di Noemi, che muore. Ruth, segue Noemi e Noemi trova un espediente affinché Ruth sposi Booz, il
parente più prossimo. C’è poi Tamar, che giace con il suocero, e Sara, figlia di Raguel di Ecbàtana, che
perde, uno dopo l’altro, sette mariti uccisi da Asmodeo, l’angelo devastatore. Nessuno di questi mariti
avrebbe potuto, secondo il levirato, sposare Sara. Sara sarà liberata da Asmodeo, quando sposerà Tobia:
secondo la legge, colui che doveva sposarla.
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Fare una lettura originaria e cattolica della Bibbia è estremamente difficile, qua e là si ritrovano metafore che
richiedono la disposizione e l’umiltà dell’ascolto. Così intervengono altre figure di donne: Betsabea con
Davide, Dalila e Sansone, la regina di Saba e Salomone, Giuditta e Oloferne, Erodiade e Salomè, Ester tra
Assuero e Aman.
In nome del popolo ebraico, Giuditta taglia la testa a Oloferne mentre Ester salva la sua stirpe
dall’annientamento. Salomè chiede la testa di Giovanni e Dalila pretende di scoprire il segreto di Sansone.
Nell’Antico Testamento, Dio sembra permettere massacri, perversioni, deragliamenti e sembra usare le
donne per questo: ma è con il racconto del Nuovo Testamento che s’instaura il tempo con la sua la violenza,
lo squarcio, la Pentecoste. Con il mito di Maria non c’è più incesto, non c’è più peccato, non c’è più male e
la madre non è più la morte e non deve preservare dalla morte.
Da una lettura superficiale della Bibbia si potrebbe arrivare alla conclusione che il ruolo della donna nel
periodo biblico fosse molto ridotto. Potrebbe sembrare che il suo posto sia in casa; cio' sembra emergere da
una frase simbolica, espressa a proposito di Sara, la nostra matriarca ecco e' nella tenda (Gen 18, 9).
L'idea di concentrare la donna nei compiti casalinghi e' espressa in forma sintetica nei salmi: l'onore della
principessa e' all'interno (14, 14): la principessa con tutto il suo splendore si trova nel suo palazzo. D'altro
canto e' sottolineata nella Bibbia la centralita' dell'uomo; gia' nell'elenco della discendenza in Genesi viene
chiaramente alla luce questo elemento.
Anche se la donna ha un ruolo fondamentale nella discendenza, in ogni generazione e' scritto chi ha generato
chi, senza ricordare assolutamente la donna.
Non solo la donna non e' ricordata negli eventi che percorrono la storia, ma sentenzia che il suo statuto
giuridico non e' molto forte. Basti ricordare che un suo voto non e' tale visto che il marito ha il potere di
scioglierlo (Num, 9, 9). Anche in caso di divorzio e' il marito a dover assumere l'iniziativa, a preoccuparsi
della redazione e della consegna dell'atto (Deut, 24). Lo stesso termine isha', donna, deriva dal termine ish
uomo quasi come se dovesse trovarsi all'ombra dell'uomo, almeno secondo il verso in Gen 2, 23. per questo
(motivo) verra' chiamata isha' donna poiche' e' stata tratta dall'uomo ish. Molto spesso la donna e' ricordata,
non tanto per il suo contributo diretto alla formazione della societa', quanto per il suo aspetto esteriore. Si
potrebbe pensare che l'essere bella d'aspetto o bella a vedersi sia l'unico punto di riferimento fondamentale
per il suo status. Ci sono altre due spiegazioni necessarie:
1. La Bibbia copre un periodo storico di quindici secoli; non e' paragonabile assolutamente lo status ed
il ruolo di Sara, la matriarca, con quello della regina Ester.
2. Il nostro lavoro e' di creare un bel mosaico con pietre preziose sparse qua e la'.
Non si ha nella Bibbia un'unica opera dedicata alle donne; dobbiamo raccogliere il materiale da fonti diverse:
racconti storici, passi profetici, sapienzali e poetici. Si deve aggiungere che nel pensiero biblico l'uomo non
agisce solo sotto la spinta del tempo e del luogo. Secondo la concezione biblica non sono l'uomo e la donna a
creare la storia; si hanno due fattori in ogni processo storico-sociale: un fattore terreno ed uno celeste. I
racconti della Bibbia sono improntati a questa doppia causalita'. Questo aspetto sembra estraneo alla
posizione della donna nella Bibbia, ma e' necessario ricordare che la donna si inserisce pienamente in questo
sistema basato sulla collaborazione ed interazione tra la causalita' divina e quella umana.
Guardando nella Bibbia ed analizzando i diversi capitoli storici del periodo biblico, si può dire che non vi e'
una professione o condizione a cui la donna non abbia partecipato. Il fatto che la donna venga riconosciuta
sapiente e' riferito ai maestri e tanto piu' alle donne. La sapienza femminile incide molto sulle situazioni
sociali e storiche piu' delicate.
Cosi' come vi sono profetesse tra i profeti, cosi' vi sono donne tra i giudici. Debora e' nello stesso tempo
profetessa e giudice Debora la moglie di Lapidot era profetessa e lei giudicava e governava Israele in quel
tempo. I figli d'Israele salivano verso di lei per chiedere giustizia.
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Vi e' stata anche una donna che arrivo' al rango di regina (come governatrice indipendente, non come moglie
del re). Si parla della regina Atalia' arrivata al potere con un atto molto cruento: tutto il suo governo era
impregnato di idolatria. Anche nel campo militare strategico le donne offrono il loro contributo decisivo.
Quando richiedono a Debora di associarsi alla guerra contro Sisera', lei pur essendo d'accordo disse: verro'
con te pero' la gloria non sara' tua nella strada che stai intraprendendo perche' il signore consegnera' Sisera'
nelle mani di una donna. Abbiamo inoltre l'azione di Israel contro Sisera'.Un'altra donna sconosciuta getta
una pietra della macina sulla testa di Avimelech salvando l'intera citta' dall'incendio. (giudici 9, 53)
Da tutti gli esempi portati risulta chiaro che tutti i compiti amministrativi esistenti in quel periodo vennero
ricoperti anche da donne, con l'eccezione dei ruoli sacerdotali riservati all'uomo. Un altro ambito in cui la
donna puo' agire dando espressione alla sua personalita' e' l'aiuto fornito all'uomo. E' chiaro dalle fonti che la
donna non viveva sempre sotto una campana di vetro, ma condivideva con l'uomo i pericoli e adempiva a
compiti fondamentali a fianco del marito. L'influenza della donna sulle azioni del marito e sulla storia si
riconosce gia' al tempo di Adamo ed Eva la donna che mi hai posto al fianco mi diede il frutto e lo mangiai.
La donna contribuisce quindi all'inizio della storia umana. Il legame, anzi la dipendenza reciproca tra Adamo
ed Eva e tra la moglie ed il marito e' gia' stabilita all'inizio dalla Torah: l'uomo abbandonera' suo padre e sua
madre e si unira' a sua moglie (Gen 2, 24) bisogna fare molta attenzione alla struttura di questo verso. La
donna non abbandonera' il suo ambiente, ma deve essere l'uomo ad abbandonare i genitori. C'e' chi spiega
che in questo verso vi e' un accenno al potere della donna. L'uomo unenndosi alla moglie crea qualcosa di
nuovo e questa novita' la crea con la moglie. Non vi e' un creatore ed una creatrice, ma lei e' socia fedele
nella sua strada. Molte espressioni accennano a questo rapporto societario. L'uomo nella Bibbia associa
spesso sua moglie nelle sue decisioni ed invita la donna ad un incontro nel consiglio di famiglia. Giacobbe
mando' a chiamare Rachele e Lia. (Gen 31, 4) Se la cooperazione e' cosi' stretta e' chiaro che chi trova la
donna adatta merita l'espressione chi trova una donna trova il bene. E' vero anche il contrario; le donne che
non sono adatte ai loro mariti li allontanano dalla buona strada. Basti ricordare l'influenza negativa esercitata
dalle mogli straniere di Salomone il re (9, 1-3).
Due esempi classici sottolineano l'importanza della donna quando il marito e' al centro della vita pubblica.
Ester soggioga il sovrano. Ester godeva di un'influenza fortissima proprio in quel regno dove era stato
stabilito chiaramente di rafforzare la condizione maschile affinche' ogni uomo domini in casa propria e si
parli la lingua del suo popolo (Est. 1, 22), l'influenza di Ester era molto forte sul sovrano e in conseguenza di
cio' sull'intero regno.
Nel caso di Ester e' rilevante il fatto che una donna, scelta per la sua bellezza, si ritagli uno spazio nel
panorama del potere governativo, dando un'impostazione a tutta la storia della potente Persia. A questo punto
e' necessario aggiungere anche un altro piccolo punto che illumini l'argomento. Anche D-o benedetto ed
Israele vengono considerati come una coppia. Il popolo ebraico e' la compagnia. (Isaia 4, 5) vi e' tra loro un
amore esclusivo. Come deve fare il marito, anche D-o benedetto deve attaccarsi al coniuge: l'immagine di
uno chiarisce l'altra; i rapporti tra moglie e marito e quelli tra D-o ed Israele. Il terzo ambito e' quello della
donna come madre. Anche se si tratta di cose risapute, vieta la loro centralita', e' bene ricordarle sia pur
brevemente. In effetti si puo' dire che l'influenza della donna sulla storia si riconosce gia' dal fatto che la
donna partorisce i protagonisti della storia. Cosi' la prima donna viene chiamata hava' perche' la madre di
tutti i viventi. (Gen 3, 20)
E’ importante sottolineare che la donna come educatrice, come madre di famiglia fornisce l'indirizzo
educativo alla generazione successiva. L'importanza della donna come educatrice e' rilevante anche
nell'immagine dell'ordine familiare. Nel periodo biblico la persona cresceva non in casa del padre, bensi' in
quella materna. A proposito di Noemi dice alle nuore Ruth ed Orpa': tornate a casa di vostra madre (Rut 1,
8). Nell'epoca biblica un uomo poteva avere piu' mogli ed ognuna abitava in una sua casa, dove allevava ed
educava i suoi figli.
La Torah sottolinea l'importanza della donna come educatrice e stabilisce che l'onore ed il rispetto per la
madre siano pari a quelli dovuti al padre (es. 20, 12; lev. 19, 3); analogamente si richiede ai giovani di aprire
il loro cuore all'influenza educativa della madre: ascolta, figlio mio, l'insegnamento di tuo padre, non
disprezzare l'istruzione di tua madre (Deut. 21, 18), soltanto se non ascolta entrambi i genitori, il ragazzo
merita di essere condannato, perche' non e' piu' un essere civile. La donna comprende i problemi
dell'educazione piu' dell'uomo e la Torah lo sottolinea: la matriarca Sara vide che Ismaele scherzava con
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Isacco e la cosa non le piacque (cfr. Gen. 21, 9); i maestri del Midrash hanno spiegato la parola scherzare in
vari modi, ma resta il fatto che Sara aveva veduto la cattiva influenza di Ismaele su Isacco e quindi insistette
perche' il figlio primogenito di Abramo venisse scacciato (cfr. Gen 21,11), mentre Abramo tentennava in
quanto gli spiaceva la cosa a motivo di suo figlio; Dio diede ragione proprio a Sara: tutto quello che lei ti
dice eseguilo (Gen: 21, 12), in quanto l'influenza di Sara sull'educazione di Isacco era enorme.
Ci sono tre categorie di donne che giungono ad avere la forza di influenzare le cose: quelle che godono di un
particolare successo che le porta ad una posizione sociale di forza, la moglie che puo' influire sul marito in
quanto aiuto a lui piu' conveniente (cfr. Gen. 20, 18) ed infine la madre che influisce sul processo storico
come educatrice dei figli; certamente queste tre categorie non esauriscono l'argomento: un'importanza
particolare e' riservata ad una quarta categoria di donne, l'influenza delle quali non dipende dalla loro
personalita' o dai loro legami sociali; se esamina la scrittura si vede che essa attribuisce a queste donne un
grande influsso sull'evoluzione storica e sociale. La donna in questa categoria sociale contribuisce molto a
fissare il livello morale del popolo. Nella Torah si trova una decisa opposizione a qualsiasi forma di
immoralita' sessuale, ma l'adempimento di quanto prescrive la scrittura a questo proposito dipende in
maniera decisiva dal livello etico del sesso.
Allo stesso modo del livello morale del popolo, pure quello culturale dipende in gran misura dalle donne.
Non e' un caso che la Torah fin da principio vieti i matrimoni misti; essa conosce molto bene l'influenza della
donna sulla vita culturale delle famiglie e delle collettivita'; l'opposizione della Torah ai matrimoni misti
deriva essenzialmente dal timore che il legame con donne straniere potesse avere un influsso negativo sugli
israeliti in campo religioso e spirituale-culturale. La donna puo' indirizzare il popolo in una direzione
antireligiosa e si deve stare attenti a questa possibilita'. Quando il popolo ritorna compatto ai valori ebraici,
acquista valore l'abbandono completo dell'influenza negativa di quelle donne che non sono figlie del patto e
non possono diventarlo.
In altre parole, da un punto di vista sociale la donna ha un compito importante in quanto da essa dipende in
gran misura il livello morale, culturale e religioso del popolo e dei singoli.
Va ricordato inoltre che qualunque donna possiede la facolta' di influire sul processo storico; non si intende
parlare di quei casi nei quali la donna e' stata oggetto passivo e non oggetto attivo, ma si intende parlare di
quelle donne che hanno dato un importante contributo alle vicende della storia.
Qualunque donna, quasi ascoltando il suono della storia, puo' compiere delle azioni dalle quali dipendera' il
corso degli avvenimenti.
Vanno in fine ricordate quelle donne che diedero alla loro vita un indirizzo etico-religioso tale che il loro
comportamento, sia secondo che al di qua dei limiti legali, e' stato, secondo la scrittura, paragonabile al far
esistere mondi interi: di queste donne saranno citati tre esempi, uno preso dalla Torah, il secondo dai profeti
ed il terzo dagli agiografi.
Quando il servo di Abramo arrivo' ad Aram Naharaim ed incontro' Rebecca, non sapeva chi fosse lei e lei
non sapeva chi fosse lui, pero' lei diede da bere a lui ed anche ai suoi cammelli (Gen:24, 19), esprimendo
cosi' la sua bonta'; in seguito, quando le chiesero se voleva sposare Isacco, lei accetto' senza mezzi termini: e
le dissero: andrai con quest'uomo? E lei rispose. Andro' (Gen. 24), sebbene sapesse che vivere in Israele non
fosse facile; in altre parole Rebecca, basandosi sulla giustizia e sulla morale esegue il suo compito storico.
Per ultima viene Rut: abbandonando il paese di Moav per seguire Noemi sua suocera, Rut sapeva bene che
non avrebbe potuto avere una vita di sposa e di madre, cio' nonostante segui' quella via, comportandosi al di
qua dei limiti legali e percio' il libro di Rut parla delle lezioni di lei come azioni di bonta' (Rut 3, 10) e percio'
Rut ha contribuito a costruire il mondo, nella misura in cui il mondo e' costruito con la bonta' (Sal.89,3).
Le vicende di Rut assomigliano a quelle di Rebecca, ed anche a questo proposito va detto che non e' un caso
che lo stile del libro di Rut assomiglia a quello che parla di Rebecca e del servo Abramo. In entrambi i
racconti si trovano le stesse parole, lo stesso stile e la stessa atmosfera: in entrambi le narrazioni spicca la
bonta' delle protagoniste, entrambe salgono in Israele di loro spontanea volonta', pur andando incontro a
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grandi difficolta'. In grazia della sua personalita' e delle sue buone azioni Rut la moabita ebbe il privilegio di
diventare la madre dei re legittimi.
Questo esame del mondo della donna nell'epoca biblica e' una fonte di incoraggiamento per la donna stessa.
In pratica si può dire che l'esistenza del popolo di Israele, sia dal punto di vista fisico che da quello spirituale
e' legata in modo notevole alle donne, la cui influenza e' sempre stata grande: si può anzi dire che e' stata
Eva, la prima donna, che ha dato inizio alla storia dell'umanita' e che un'altra donna, Rut, portera' la storia
umana alla redenzione che la concludera'. Non sempre gli uomini vedono i risultati delle loro azioni, al
contrario molti muoiono senza sapere cosa possono aver compiuto per le generazioni future e quanto vale
anche per le donne, forse Rut sapeva che da lei sarebbero discesi i re della casa di Davide? Ma comunque si
può vedere che qualsiasi donna possiede la capacita' di costruire il mondo del popolo di Israele, se cammina
durante la sua vita sulla strada della bonta'.
Appare dunque chiaro da questo studio che il contributo della donna alla vita sociale ed alla coesione storica
del popolo di Israele e' stato un contributo grandissimo, ancorche' non appaia al primo colpo d'occhio, le
generazioni future lo riconosceranno.
La specificità della donna, nella lingua ebraica, è dichiarata direttamente sul suo nome: "ichà", donna in
ebraico, non è solo il femminile della parola "ich", uomo, ma il fatto che venga aggiunta una lettera nel nome
della donna, simboleggia, secondo un commento ebraico, la differenza e specificità della donna.
Nell’Ebraismo, la famiglia è considerata la base della vita sociale; il Talmud attraverso le sue leggi, mira ad
assicurarne la purezza e la stabilità.
Malgrado le società dell’antico medio oriente fossero essenzialmente a carattere patriarcale, la Bibbia riserva
un immagine favorevole alla donna, in particolare in ambito familiare ma anche all’interno della vita
religiosa d’Israele. Inoltre, riconoscendo lo specifico ruolo che la donna riveste all’interno della famiglia, il
Talmud le attribuisce un alto rango. Malgrado le sfere d’attività maschile e femminile all’interno della
famiglia divergano, la donna non occupa un livello d’importanza inferiore all’uomo. Attraverso il ruolo che
riveste in famiglia, la donna contribuisce allo sviluppo e alla continuità della comunità.
Nella fase che prepara il Nuovo Testamento, negli ultimi libri dell'Antico Testamento, malgrado emergano
dei modi femminili di dire Dio, per esempio la sapienza, per esempio lo spirito, tutte e due sono termini
femminili nel lessico di Israele, si può dire che le donne ormai sono ingessate in tutta una rete di precetti che
veramente le chiudono e impediscono loro una soggettività dal punto di vista religioso. Nella Sinagoga le
donne stanno separate dagli uomini: è qualcosa appunto di originario nel segno di questa separazione. Quello
che Gesù innova è il fatto che - ma qualcosa del genere avviene nel giudaismo extratestamentario, per
esempio, a suo modo, anche nelle comunità esseniche - accetta le donne alla sua sequela. Il testo di Luca al
capitolo 8, 1-3, racconta che c'erano delle donne che lo seguivano, ma queste donne che lo seguivano, non
soltanto prestavano, diciamo, il supporto che le donne, soprattutto ricche, prestavano alle strutture religiose
ebraiche - una sorta di protettorato, mettevano a disposizione mezzi, ma queste donne partecipano proprio
del ministero, soprattutto del ministero galilaico, cioè dell'incedere di Gesù, predicando il regno di Dio, per
le strade della Galilea. E queste donne salgono con lui a Gerusalemme e poi, soprattutto nei fatti della
Passione e della Resurrezione, noi si vede emergere la parità di queste donne. Se vuole poi riandare ad uno
schema e dire, così, in un modo molto sintetico, che cosa Gesù innova, sono tre i tabù che Gesù praticamente
demolisce: il tabù dell'impurità sessuale: una donna mestruata era considerata impura. La legge regolava
rigorosamente i rapporti. Si sa quanto sia utopico il modello di una donna perfettamente regolare. Quindi
occorre pensare di quanti problemi, non solo a livello di sfera religiosa, ma anche a livello di sfera familiare
e civile, comportasse una donna che era in condizione di impurità. Non poteva far da mangiare, non poteva
avere rapporti anche verbali. Quindi dal punto di vista del rapportarsi era il caos. E l'episodio dell'Emoroissa
che è una donna che ha perdite di sangue, e il fatto che la potenza di Gesù la guarisca sta a significare che
questo tabù è spezzato. L'altro tabù è quello della minorità della donna. La donna è fragile, è debole, lo è per
natura. Le donne che stanno con Gesù, dimostrano che non sono fragili né dal punto di vista intellettuale, né
dal punto di vista fisico, visto che compartecipano questa vita, che è quella di un gruppo carismatico, di un
gruppo che procede senza particolari comfort, o senza particolari "riguardi" per le donne. E poi infine vede
riconosciuta la soggettività giuridica delle donne. Le donne nel mondo ebraico non potevano rendere
testimonianza. E paradossalmente ad esse si mostra il Risorto dicendo:"Andate a dire a ai fratelli, ai
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discepoli, l'evento della Resurrezione". Per cui la triplice sfera della minorità femminile, nell'atteggiamento
di Gesù di Nazareth, è completamente sconfitta.
Il racconto delle Nozze di Cana è un racconto enormemente complesso, dove la teologia biblica, che mette al
centro dell'episodio la figura di Maria, costruendo, così, il tema del ruolo della Madre di Gesù. Infatti,
l'episodio comincia con il verso iniziale: "E c'era la madre di Gesù". Però, in realtà, il brano di Cana è uno
dei più interessanti perché mostra il superato contrasto uomo-donna. Quelle di Cana sono le nozze che il
Messia, il Re, stringe definitivamente con il suo popolo. Maria, la Madre, gli sposi per i quali si fa la festa, a
cui Gesù va con i suoi discepoli e quindi partecipa alla loro gioia. Però, in questo gioco di protagonisti reali,
c'è anche il gioco di protagonisti simbolici, e cioè il popolo di Dio, che è il nuovo popolo che partecipa al
banchetto messianico, gioisce del vino, che è segno della gioia delle nozze e Gesù che ripropone la figura
veterotestamentaria di Dio come sposo di Israele. Non è che tutto sia così pacifico, perché l'immagine delle
nozze è una immagine ambigua, perché la cultura patriarcale elegge la donna nel segno della soggezione.
Però, per il momento, si può considerare il fatto gioioso, perché anche in una cultura di soggezione, le nozze
sono sempre un fatto di gratuità e di dono. C'è una poesia delle nozze che la Bibbia attesta (basti pensare per
esempio, al Cantico dei cantici). Comunque, in particolare, lì c'è Maria che Giovanni interpreta, sì, come la
madre di Gesù, ma soprattutto come simbolo della comunità messianica, come simbolo della chiesa, e
interloquisce con lui. Ed è molto bello questo dialogo tra personaggi, che apparentemente non parlano tra di
loro o addirittura che non si comprendono. Gesù usa addirittura quell'espressione forte, che, per quanto ci si
sforzi di interpretare, rimane sempre di una crudezza pazzesca: "Che cosa c'è tra me e te, o donna?". In realtà
il problema di Gesù è che non vuole ancora dare inizio, non vuole svelare la sua identità di Messia. Ma il
tempo è pronto. E Maria di Nazareth viene scelta da Giovanni proprio per significare l'elemento
catalizzante, dirompente, quello che quasi costringe Gesù ad operare il primo dei due segni. Difatti,
malgrado apparentemente Gesù sembra aver deciso di andare per la sua strada, poi, di fatti, fa quello che la
Madre gli chiede, cioè venire incontro, pensate, ad un bisogno minimo, perché che il vino ci fosse o non ci
fosse, visto che avevano già bevuto abbondantemente, poteva pure sembrare un piccolo dettaglio, ma non
nella compiutezza della gioia, non nella compiutezza delle nozze messianiche, nelle quali il vino che, per la
sua trasformazione, per la sua fermentazione, simboleggia la presenza dello spirito, viceversa è necessario,
ed è necessario in grande quantità.
La centralità dello stare al Golgota le donne non l'hanno persa. Sono crocifisse e stanno con i crocifissi. Il
Golgota le donne non lo hanno perso. Lo hanno però, forse, ricevuto nella sua negatività, cioè nel peso di
dolore, non nella speranza di resurrezione che comporta. Le donne c’erano al Golgota, mentre gli uomini se
l'erano battuta e stavano a guardare da lontano, tranne Giovanni, che ovviamente colloca se stesso ai piedi
della croce, nel dialogo tra lui, Gesù e nell'affidamento a Maria. Ma è l'unico racconto che testimonia la
presenza di un maschio ai piedi della croce. Per quanto riguarda la resurrezione credo sia rimasta come
regola l'attitudine dei discepoli che le prendono per matte. Dicono: "Il dolore ha fatto loro perdere il senno".
Vaneggiano, hanno visto un fantasma. Per questo le donne non dovrebbero solo incarnare il dolore, dello
stare ai piedi della croce, ma dovrebbero essere testimoni della Resurrezione.
La Chiesa Cattolica ritiene, per antica e veneranda tradizione, che le donne non siano state chiamate da Gesù
a far parte del gruppo dei dodici e dunque, a seguire, del gruppo dei successori dei dodici, e cioè degli
apostoli, i vescovi e i loro collaboratori, i presbiteri. Per le chiese evangeliche che, all'epoca della Riforma,
hanno negato la sacramentalità istituzionale del ministero - episcopato, presbiteriato, diaconato -, non è stato
poi così difficile, sia pure dopo secoli, mutata la condizione culturale, riconoscere le donne come soggetti
capaci del pastorato. Ma il pastore non è nella comunità protestante, quello che il presbitero è nella comunità
cattolica. Il pastore è un fratello tra i fratelli, anche se c'è un rito di ordinazione, che in qualche modo lo
mostra alla comunità in questo suo ruolo. La teologia cattolica legge altrimenti la teologia del sacerdozio. E
dunque è questa la differenza fondamentale. La chiesa antica - ed è biblica la figura - ha conosciuto le
diaconesse, cioè delle donne le quali non si sa bene che ruolo svolgessero nella comunità. Proprio la Lettera
ai Romani comincia citando una diaconessa. Non si sa quale fosse esattamente il ruolo di queste figure,
diaconi e diaconesse, nel Nuovo Testamento, e si fa anche fatica a capire il ruolo di questi diaconi e
diaconesse, poi, nelle comunità dei padri. Di certo - ed è interessante -, il diacono, alla lettera, è colui che
serve, il servitore. Tutto questo sarà poi, in parte, cambiato dal Concilio Vaticano II.
La Chiesa Cattolica è un campione storico di misoginia come lo sono altre religioni, che esistono sulla faccia
della terra. Il problema è quello della cultura, e la Chiesa si adegua alla cultura, interpreta la cultura. È molto
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difficile che la Chiesa viva in un rapporto conflittuale con la cultura. Tra l'altro non si deve intendere qui
cultura nel senso in cui abitualmente lo si intende, di persone colte o di tendenza. Dovete intenderlo nel
senso antropologico-culturale, cioè come insieme organico di temi, modelli e istituzioni. La Chiesa si
esprime nelle forme della cultura. Per esempio, quando il Cristianesimo diventa religione ufficiale, viene
meno la religione pagana. Le prerogative che quella determinata classe aveva nell'Impero Romano diventano
le prerogative della nuova classe. Il Cristianesimo mentre nega alle donne una visibilità, un protagonismo sul
piano della storia, riconosce l'assoluta parità di uomini e donne sul piano della grazia. Ed è qui che il discorso
fa corto circuito, perché proprio la citazione di Galati 3, 28 : "In Cristo Gesù non c'è più né uomo né donna",
sta a significare che, di fronte alla redenzione, alla salvezza, che poi è la grande categoria interpretativa del
Cristianesimo, come di ogni fenomeno religioso, non c'è differenza tra uomini e donne. Le donne hanno
salvezza né più né meno come ce l'hanno i maschi. E, siccome per i cristiani la salvezza è diventare Cristo, le
donne diventano Cristo né più né meno come ci diventano i maschi. Per esempio, c'è una grossa differenza
rispetto all'Islam, che non considera la donna nella sua soggettività religiosa. Anche Israele considerava la
donna come soggetto religioso, anche se non gli dava una soggettività religiosa pubblica. Però, a fronte di
questa considerazione, che non c'è differenza in ordine alla grazia, la differenza c'è poi in ordine alla storia,
per cui i grandi protagonisti saranno soltanto i maschi e le donne dovranno rosicchiarsi uno spazio
fondamentalmente in due modi: attraverso la santità, o attraverso il riferimento al dono dello spirito. Saranno
la mistica e la santità il banco di prova delle donne e il modo in cui le donne faranno la storia. E’ anche vero
che senza il Cristianesimo probabilmente noi si avrebbero avuto le donne soggetto di cultura, perché l'ascesi,
la verginità diventano per le donne l'occasione di vivere in una sorta di gineceo filosofico. Le donne studiano
la Scrittura, le donne scrivono, commentano, talora predicano. Senza il Cristianesimo probabilmente questi
lussi non se li sarebbero permessi. Paradossalmente, quando le donne nella storia della comunità cristiana
escono dal chiostro e cominciano la vita attiva allora viene negata loro la scienza e la sapienza. La loro
mistica diventa mistica di diavoli e di miracoli, cioè c'è una mistica che è di tipo sapienziale, è fatta, sì, di
esperienza con Dio, ma di conoscenza di Dio. Oggi la situazione è molto diversa.
La figura di Maria non è facile da comprendere: spesso si parla del silenzio di Maria, dimenticando che Luca
pone sulle sue labbra il Magnificat, cioè un lungo componimento, che sicuramente non l'ha composto Maria,
ma il fatto che Luca glielo attribuisca dice una presa di parola, a parte che la costruzione letteraria di Luca, la
vede dialogare con l'Angelo per essere fatta convinta, mentalmente convinta di quello che le sta capitando.
Allora bisogna liberarsi della figura della statuina o del santino Maria, perché francamente non ha nessun
referente biblico. La Maria della sottomissione, della passività, la Maria, quella che va per la maggiore nei
santini che corrono in certi ambienti pii, cioè vestita di bianco, col velo azzurro, gli occhioni grandi. La
Scrittura ci presenta una donna che il figlio tratta con durezza, che fa difficoltà a capire il figlio. "Che c'è tra
me e te, o donna!" è una di queste. Gesù arriva a dire - e lo registrano Marco e Luca - che quegli è sua madre,
quelli sono i suoi fratelli e le sue sorelle: "Quelli che fanno la volontà del Padre mio". E a chi dice: "Beato il
grembo che ti ha portato e il seno che ti ha nutrito", dice ancora una volta:" Non beati questi, ma quelli che
ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica". Allora bisogna capire Maria come una donna, che vive un
qualcosa di incomprensibile, al di sopra di quello che è compatibile con le regole della esistenza umana e che
per di più, anziché essere, per così dire, premiata, deve rinnegare la maternità, secondo la carne, per
diventare madre e sorella al figlio nel discepolato. Luca presenta Maria come la perfetta discepola. Maria,
come tutti i credenti, deve mettersi alla sequela del figlio. Questa è l'immagine di Maria, l'immagine
teologica, che si trova tanto nel Vangelo di Luca che nel Vangelo di Giovanni. Il Vangelo di Giovanni è
apparentemente quello che dà a Maria il massimo del protagonismo. Non è l'unica donna, ci sono anche altre
donne, perché Giovanni usa le donne come figure profetiche, cioè quello che sta per avvenire lo fa vivere
simbolicamente attraverso figure femminili che precedono la scansione dei libri. Però sia Luca, con la sua
concezione un po' strettina del discepolato femminile, sia Giovanni, che invece è molto femminista, perché
ha un'enorme considerazione delle donne, della loro presenza nella Chiesa, concordano in questa figura di
Maria come discepola. Ed è una cosa molto seria, perché il problema vero e forte non è quello dell'esser
madre, ma è quello dell'essere discepola. Maria ha seguito Gesù e faceva parte del gruppo delle donne della
sequela. Maria è una figura positiva tutta da riscoprire, ma da riscoprire in questa sua genuina originalità.
L’esempio delle figure femminili è sempre stato importante, perchè hanno collaborato alla storia della
salvezza come protagoniste ed hanno tradotto in pratica la volontà di Dio. Infatti il piano della salvezza,
tracciato dal Signore, passa attraverso di loro. Hanno posti di primo piano negli eventi fondamentali della
storia di Israele ed incarnano tutti quei ruoli necessari per salvare il loro popolo, per trasmettere la loro
religione, per mediare nelle situazioni di conflitto riportando la pace e la fratellanza. Sono modelli e simboli
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per la storia di Israele, perchè il loro rapporto con Dio è il punto centrale della realizzazione delle loro azioni.
Attraverso la preghiera e la vicinanza a Dio, affinano la loro capacità di giungere a risolvere i problemi. Sono
creature in armonia con loro stesse, con gli altri, con l’universo intero e generatrici di serenità nel proprio
ambiente. I narratori biblici nel presentare i personaggi femminili si soffermano sulle loro azioni e sui
dialoghi e non s’interessano di descriverci dettagliatamente il loro fisico, ne si addentrano nei loro
sentimenti, nei loro pensieri e nelle loro reazioni. Sono eroine, sagge, intelligenti, mettono in risalto
l‘importanza del matrimonio e l’aiuto reciproco tra di loro. Per capire meglio la loro personalità è necessario
riflettere come Dio ha creato la donna ( Gn 1,26-28; 2,18-25). C’è una uguaglianza fondamentale dei diritti
con l’uomo verso il Signore in quanto persone create a Sua immagine ( Gn 1). Una complementarietà voluta
da Lui, che è allo stesso tempo Padre e Madre (Is 49,15; 66,13). Così è nata l’umanità a Sua immagine. L’ha
creata con i maschi e le femmine, perchè se ci fossero solo gli uomini sarebbe mancato un elemento
essenziale dell’Immagine. La specificità della donna nell’assomigliare a Dio è differente da quella dell’uomo
ed è il suo essere che riflette la perfezione divina. Nel progetto di Dio, la figura femminile esprime e sviluppa
tutte le caratteristiche più tipiche della sua personalità di donna e le condizioni per realizzare la propria
somiglianza sempre più perfetta con il Signore. Nel secondo racconto della Genesi viene spiegato perchè
l’uomo e la donna hanno un rapporto reciproco. Adamo era solo, senza un compagno, gli animali non
potevano bastargli, non gli servivano per conoscersi e per poter amare gli altri , egli doveva avere qualcuno
simile, ma non uguale a lui e Dio creò la donna, così l’uomo finalmente divenne immagine di Dio! Adamo
dormiva e quando si risvegliò riconobbe la sua “compagna”. Egli, solo con la donna, poteva vivere una vera
vita, perchè erano nati per crescere in dipendenza l’uno dall’altra ed entrambi da Dio, che avendo creato il
mondo, voleva collaboratori ed esecutori dei suoi disegni divini, così la donna aiutò l’uomo partecipando in
un piano di parità con funzioni diverse. Nei libri Sapienziali la figura femminile è presentata con i suoi
aspetti positivi, ma anche negativi. Questa avversione verso di lei è una indiretta testimonianza del suo
potere. Si legge nel libro del Siracide (9,2), “non lasciarti andare con una donna, perchè potrebbe avere il
sopravvento su di te”, come se un uomo, quando si avvicina ad una donna non la incontrasse come una
persona, ma avesse paura di perdere qualcosa di suo! Sia nel libro della Sapienza (6,12-21; 8,2) che nel
Siracide (15,2-6) la sapienza è presentata come una donna capace di creare un’atmosfera di gioia, di
distensione e di serenità, di organizzare in modo intelligente la vita familiare e di diventare una valida
compagna per l’uomo . Il libro dei Proverbi ammonisce gli uomini affinché stiano attenti alla seduzione della
donna ( 6,24-26; 7, 5-27) da un lato, mentre dall’altro glorifica i suoi valori morali, specialmente quelli di
buona moglie: una fortuna, un dono di Dio e una corona per il marito (18,22; 19,14; 12,4). Il paragone
profetico dell’amore di Dio per Israele con l’amore di uno sposo verso la sposa, poté essere concepito perchè
vi era una società in cui la moglie era rispettata ed occupava un posto importante. Nella Bibbia l’amore viene
definito con termini assoluti è: una passione profonda ed ardente, richiede fedeltà, fermezza di fronte alle
tentazioni, sostegno nelle avversità ed è talmente forte da esprimere allo stesso tempo ardore e castità.
Parlando del matrimonio e della famiglia, la figura femminile viene recuperata come persona e valorizzata.
L’uomo è obbligato a sposarsi dalla religione ebraica, la donna no, anche se poi di fatto lo desidera per
diventare madre. La sposa avendo la responsabilità dei figli e della casa, non può seguire tutti i precetti
(mizvot ), perciò la Torah ( i primi 5 libri della Bibbia) la dispensa da un certo numero di norme,
specialmente da quelle relative al culto. La capacità di procreare la rende forte perchè è portatrice di nuove
vite e necessariamente custode ed in parte arbitra della continuità di Israele. Da lei dipende la prosperità del
popolo ebraico. E’ suo il compito di generare tanti figli, i quali hanno l’obbligo di rispettare in egual modo
sia la madre che il padre (Es 20,12; Lv 19,3; Dt 5,16) . All’epoca della schiavitù in Egitto le levatrici, a
rischio della propria vita, si rifiutarono di uccidere i figli maschi degli ebrei (Es 1,15-21) e Myriam salvò suo
fratello Mosé appena venuto al mondo, facendolo adottare dalla figlia del faraone (Es 2,1-10). La storia della
salvezza fa vedere come Dio, a poco a poco, aiuta la donna a riappropriarsi del suo vero ruolo, della sua vera
fisionomia, così malgrado tutte le difficoltà, è riuscita ad essere Sua immagine risolvendo gratuitamente
situazioni difficili e testimoniando, con il suo agire salvifico, di aver ricevuto le benedizioni del Signore. E’
protagonista, responsabile, impegnata attivamente nella storia della salvezza, artefice del suo svolgimento,
vigilando con ardore, con intelligenza ed anche con astuzia al compimento della promessa, sia come madre,
sorella, figlia, e compagna . Le eroine nella Bibbia trovano solo in Dio la forza di compiere azioni di
salvezza per Israele ed il valore che vien loro riconosciuto non sta più nella maternità, ma nell’essere donne.
Le qualità prettamente femminili di bellezza, fragilità e di dolcezza, diventano, al momento del bisogno,
potenti strumenti di salvezza. Con l’aiuto di Dio queste donne riescono a superare i loro limiti, a trasformarli
in capacità straordinarie per mezzo della saggezza, a servirsi del loro fascino e della capacità di convincere e
di sedurre per un unico scopo: aiutare Israele. Ad esempio Ester, la sposa del re Serse, che per salvare il suo
popolo, riuscì a superare la paura. La sua storia è narrata nel libro omonimo. Conscia della sua debolezza,
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sola tra stranieri, osò infrangere la legge per cui nessuno, neanche lei come moglie, poteva presentarsi senza
essere stata chiamata presso il trono del re, pena la morte. Per riuscire nel suo intento per tre giorni digiunò e
pregò il Signore: “Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso se non te, perchè un grande
pericolo mi sovrasta” (Est 4,17). Dopo di ciò si fece bella e si presentò al re: “Appariva rosea nello splendore
della sua bellezza e il suo viso era gioioso, come pervaso d’amore, ma il suo cuore era stretto di paura”(Est
5,1), infatti riuscì a parlare al marito e poi svenne, ma questa ebrea salvò il suo popolo dallo sterminio di
Aman! Altra figura indimenticabile è la madre dei sette fratelli Maccabeì (2 Mac 7). Ella sostenne, con la sua
forza d’animo, i figli nel loro martirio unendo alla tenerezza materna, un coraggio virile. Riuscì a superare
qualsiasi attaccamento viscerale nei confronti dei propri figli per instaurare con loro un rapporto da pari a
pari. Il re, voleva fare della sua maternità e del suo amore uno strumento per la propria sovranità e un’arma
di ricatto per ottenere il tradimento verso il Dio di Israele, ma lei lo contrastò, sostenendo i figli nella loro
decisione. Morirono tutti dopo atroci torture ed infine lei pure, dicendo: “il re del mondo, dopo che saremo
morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna” (2 Mac 7, 9). In queste figure femminili si
ritrovano alcune fondamentali caratteristiche della personalità femminile: la fragilità e la tenerezza materna,
unite alla fortezza d’animo e al coraggio, per essere fedeli ai propri principi. L’emotività e i sentimenti più
intimi e profondi non hanno fatto loro perdere la capacità di capire qual era il vero bene. Le donne sagge
venivano tenute in considerazione e rispettate, spesso interpellate riguardo ad importanti argomenti. Pur non
partecipando ai culti, avevano su di loro lo Spirito di Dio e parlavano in Suo nome, come le profetesse,
mostrando così che l’essere femmina non costituiva un ostacolo. Alcune donne furono le guide spirituali
degli uomini. Quando si trattò di mandar via Agar con Ismaele, Dio disse ad Abramo di fare “quel che diceva
Sarah” (Gn 21,12). Anche Giacobbe prima di lasciare il suocero Labano volle sapere il parere delle mogli:
Lia e Rachele. In molte figure femminili spicca la saggezza insieme all’intelligenza e alla devozione, come
nelle spose dei patriarchi: Sara, Rebecca, Lia e Rachele , nella prostituta Raab e nelle mogli di Davide:
Michol e Abigail. Raab nascose le due spie mandate da Giosuè e le fece fuggire dalla città, ma chiese in
cambio “un segno certo” quando Gerico sarebbe stata conquistata. Ricevette la cordicella rossa, la mise alla
finestra ed i suoi furono tutti salvi Gs 2;6). Michol calò suo“marito Davide dalla finestra, per impedire di
farlo uccidere dagli inviati di Saul e, mostrando il letto, disse loro che era malato. Aveva messo sotto la
coperta i terafim ( immagini di divinità domestiche quasi di dimensioni umane) e il tessuto di pelo di capra,
ingannandoli (1 Sam 19,11-17). Abigail, per salvare suo marito Nabal dalle ire di Davide, andò incontro al re
con le provviste, si autoaccusò delle sue colpe e gli chiese perdono come se le avesse commesse lei. Dopo
l’improvvisa morte di Nabal, Davide la prese in moglie, essendo una donna “attraente e assennata” (1 Sam
25, 14-42). Queste donne sono realizzate e sicure, in qualunque condizione esistenziale si trovino, più
difficilmente vedranno nell’altra una rivale, sia sul piano affettivo che operativo. Hanno superato i sentimenti
di invidia, di sfida e di competitività e sono giunte all’aiuto reciproco, un atteggiamento necessario per
realizzare grandi progetti. Il rapporto tra alcune figure femminili non è basato sull’emotività, ma
sull’intelligenza. Per aiutarsi a raggiungere una meta usano, oltre alla comprensione ed alla razionalità,
l’umiltà ed uno sforzo di volontà. Nel periodo in cui in Israele governavano i Giudici, fra il 1200 e il 1000 a.
C. si svolgono le storie di Deborah e poi di Ruth e Noemi. La prima vicenda è narrata nei capitoli 4 e 5 del
libro dei Giudici. Erano 12 uomini saggi e severi, investiti, per grazia divina, di una particolare autorità
militare e spirituale, sempre al servizio della comunità, vi erano sia comandanti militari pronti a lottare
contro l’aggressione straniera, che capi pacifici, sia un nazireo di nome Sansone, che la profetessa Debora ,
giudice d’Israele e moglie di Lappidot (4,4) . Dice un midrash: “Io chiamo a miei testimoni il cielo e la terra
(cioè io dichiaro solennemente), che sia pagano o ebreo, uomo o donna, schiavo o schiava, su tutti , in virtù
delle proprie opere, può posarsi lo Spirito di Dio”. Il midrash è un commento dei rabbini alla Bibbia, per
chiarirne il significato. Di questa attività esegetica già parla il libro di Esdra, quando dice: “Esdra si dedicò a
indagare la legge del Signore”(7,10). E‘ una parte della Torah orale redatta a partire dal II secolo d.C. fino al
XII, inizialmente precettistica, in seguito più narrativa. Attraverso i midrashim, la Bibbia diventa uno stimolo
a riscoprire le basi dell’esperienza quotidiana, ma anche un mezzo per creare tradizioni, per far sì che la
quotidianità in cui noi viviamo esca dall’ordinario e si santifichi ricordando il passato. I rabbini scrutavano la
volontà di Dio nella Bibbia e la insegnavano agli uomini, anche se qualche volta vi era una apparente
distorsione del significato letterale del testo. Il passo midrashico precedente è importante perchè dimostra
come già prima del cristianesimo si avesse chiara in Israele la coscienza della sostanziale uguaglianza tra
uomini e donne. Il marito di Deborah si chiama Lappidot (lucignolo) perchè la moglie gli preparava per il
Santuario di Shilo dei grossi lucignoli, che servivano per accendere il candelabro (menorah) e lui li portava.
Allora, dice un altro midrash, “il Santo, benedetto Egli sia, che esaminava i cuori e le segrete intenzioni degli
uomini, le disse: Deborah, come tu hai voluto accrescere la mia luce, così io accrescerò la tua, al cospetto
delle dodici tribù”. Infatti ella godette di grande autorità e la sua qualità di profetessa richiamava gente da
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lontani paesi, per ottenere responsi ispirati. Giudicava seduta sotto la palma, perciò all’aperto, questo per
mettere in risalto, come non stesse in casa, per evitare di trovarsi sola con un uomo (Talmud Megillà 14a).
Viene presentata mentre esercita la sua attività in modo solenne: stava seduta per amministrare la giustizia,
per governare e regolare i conflitti dei popoli!
La donna nella tradizione religiosa
La Torah, nel suo complesso, si propone due scopi: il perfezionamento dell’anima ed il perfezionamento del
corpo. In altri termini essa si prefigge di portare l’uomo a realizzare al massimo la Volontà divina attraverso
l’osservanza degli obblighi religiosi. Per meglio raggiungere questo scopo anche gli istinti più comuni
devono essere guidati e disciplinati. In generale, secondo la concezione ebraica, gli istinti di base sono due:
la conservazione di se stessi, della propria vita (attraverso l’alimentazione) e la conservazione della specie
attraverso la procreazione. Ad essi è possibile aggiungere un altro aspetto (più che un istinto) che non si
riscontra se non nel genere umano: il desiderio di progredire coltivando la propria mente ed il proprio spirito.
Nell’Ebraismo buona parte dei precetti che mirano a regolamentare questi istinti è affidata proprio alla donna
ebrea che di fatto diviene la vera responsabile dei momenti più qualificanti della vita. Se tale è il ruolo della
donna, è evidente che è suo preciso dovere conoscere a fondo questo ruolo attraverso lo studio della Torah.
L’unica cosa che può esserle preclusa è lo studio fine a se stesso, tale da occupare tutto il suo tempo, perché,
se ciò fosse concesso, non avrebbe la possibilità di espletare quelle mansioni a lei connaturate. Gli obblighi
che la Bibbia affida in modo particolare alla donna, e che sono in relazione agli istinti di base sopra elencati,
sono fondamentalmente "mitzvot domestiche" in quanto é la donna ad essere maggiormente presente entro le
mura domestiche. Nulla preclude alla donna ebrea la possibilità di svolgere fuori casa una qualsiasi attività
lavorativa, ma ciò nulla deve togliere al suo impegno nell’espletamento di quegli obblighi che le sono
esplicitamente affidate. In base all’elencazione che ne fa la Mishnà, gli obblighi religiosi specificamente
affidate alle donne sono:
-La prelevazione di una parte dell’impasto destinato alla panificazione;
- La purità familiare;
- L’accensione dei lumi al Sabato e durante le maggiori festività;
A riguardo del primo obbligo, al fine di rendere sacro l’istinto primordiale della necessità di nutrirsi per
mantenersi in vita, la Bibbia insegna a destinare a Dio una parte di ogni nostro impasto destinato alla
pianificazione. Il pane è l’alimento per eccellenza, in quanto esempio evidente di trasformazione ad opera
dell’uomo di una sostanza esistente in natura e per questo motivo in molte civiltà assume una valenza
sacrale. Di fronte alla necessità di alimentarsi tutti gli esseri viventi agiscono istintivamente da predatori
considerando l’alimentazione una proprietà. L’ottica dell’Ebraismo è totalmente diversa. Il cibo, come tutto
ciò che è stato creato, non é proprietà dell’uomo bensì del Creatore ed è questo il significato delle molte
limitazioni relative all’alimentazione. La donna è destinata dal Signore a dare nutrimento: è con se stessa che
nutre e fa vivere i figli. E’ quindi logico che ad essa sia affidato anche il compito di sacralizzare il nutrimento
attraverso questa cerimonia. La consacrazione del secondo istinto, quello della conservazione della specie,
viene fatta attraverso le regole di purità famigliare ed è probabilmente collegata agli scopi stessi
dell’esistenza del mondo. Ne consegue che il matrimonio, vita coniugale, gravidanza, allattamento, ed
educazione dei bambini sono compiti fondamentali in quanto sono mezzi per garantire la continuità del
genere umano. Essi sono tutti aspetti della vita legati al ruolo femminile. Se tutto ciò ha un valore sacro, gli
atti, sia pure istintivi e naturali, che concorrono a realizzare tale scopo devono essere "sacralizzati" per non
perderne di vista i valori che li devono informare. Vi è, inoltre, un aspirazione eminentemente umana: lo
studio di questioni che trascendono i nostri sensi. La realtà umana si esplica attraverso il tempo, ed è nel
tempo che periodicamente è necessario recuperare il contatto con il mondo spirituale. Questo è, in genere, il
significato dell’osservanza delle ricorrenze ebraiche. Le festività ebraiche vengono sacralizzate e
solennizzate attraverso l’accensione di lumi, da parte della donna, che simboleggiano il desiderio umano di
luce spirituale. Come in tutti gli altri aspetti dell’Ebraismo, ciò che si richiede all’ebreo è soprattutto di "fare"
perchè solo l’azione ha il potere di rendere consapevoli che gli insegnamenti morali e spirituali ci
coinvolgono direttamente.
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In accordo con la legge della Mishnà riguardo a ciò a cui le donne sono esenti, in termini di obblighi
religiosi, è prescritto che le donne sono obbligate a tutti i comandamenti negativi e a quelli positivi non
direttamente legati a limiti temporali.
L’Eguaglianza dei sessi
La donna nella Bibbia non è considerata uguale all’uomo nel senso che alla parola "uguaglianza" si può dare
nel nostro secolo ma in numerose citazioni bibliche se ne esalta la dimensione umana e il ruolo fondamentale
che ha, più volte, ricoperto nella storia del popolo ebraico. Lo status sociale della donna, in quanto essere
umano, viene riconosciuto dalla legislazione ebraica che la pone su un piano di equità legale pur
riconoscendone le differenze e la specificità rispetto all’uomo. Ad esempio la legge stabilisce uguale rispetto
per padre e madre e le regolamentazioni pertinenti all’alimentazione e alle conseguenze dell’adulterio
valgono sia per l’uomo che per la donna in eguale misura. All’interno del patto religioso che lega gli ebrei,
su uomini e donne incombe la stessa responsabilità morale in casi, ad esempio, quali i voti religiosi. Inoltre,
malgrado la legge biblica non vieti la poligamia, da numerose fonti emerge la preferenza e la maggior
frequenza, fin dai tempi biblici, della monogamia considerata unanimemente l’unione ideale. Gli ebrei
orientali che, nel corso del Medio Evo, avevano più di una consorte risultano essere stati influenzati più dalle
pratiche islamiche che dalla legislazione talmudica che regolamentava i matrimoni. Il paragone profetico
dell’amore del Signore per Israele con quello del marito per la propria moglie poteva essere fatto solo in una
società dove le donne venivano rispettate e occupavano posti importanti.
L’Immagine della donna
Nella letteratura rabbinica si riscontrano una grande varietà di attitudini nei confronti della donna. I tratti
caratteriali delle donne divennero, all’interno del pensiero e della mentalità popolare, proverbiali. E’ scritto
nel Talmud che un uomo privo di moglie vive senza gioia, benedizione e bontà e che deve amare la propria
moglie e rispettarla più di se stesso. Dai proverbi popolari emerge un immagine di donna giudiziosa e
perseverante nel raggiungere i propri obbiettivi. D’altra parte, però, la donna viene vista come fonte di
tentazione in diversi spunti biblici e ad essa vengono attribuiti la predilezione verso la magia e l’occultismo.
Vi é un attitudine ambigua verso l’elemento femminile anche nel pensiero cabalistico che se da una parte le
attribuisce il merito di rispecchiare il lato femminile presente nella divinità e nei mondi trascendentali,
dall’altro la descrive come elemento passivo facente parte della sfera del giudizio e della severità. E’
impossibile parlare di un unica attitudine ebraica verso la donna ma generalmente le immagini positive
superano quelle negative. La letteratura ebraica nei secoli ha illustrato le qualità da ricercare in una sposa e
moglie. Emergono alcune caratteristiche stabili e ricorrenti sull’immagine femminile ideale. Innanzitutto è la
compassione ad essere maggiormente lodata quale caratteristica essenziale. Essa deve essere rivolta verso gli
svantaggiati quali l’orfano, la vedova, lo straniero, ma anche gli animali. E’, inoltre, auspicabile che una
donna visiti i malati e gli anziani, e li conforti. Un altra caratteristica essenziale che una donna ebrea
dovrebbe possedere, secondo la tradizione talmudica, è la modestia in quanto fondamenta per gli altri valori
ebraici. Il termine "modestia" è generalmente utilizzato nella lingua ebraica per indicare relazioni fra uomo e
donna ma è generalizzabile a qualunque altra situazione che implichi il rapporto con il prossimo. La
modestia indica la pudicità e la privacy in ambiti quali il vestire ed il parlare. Vi è inoltre una componente
caratteriale, non strettamente femminile, che nell’Ebraismo è più volte elogiata: la perseveranza nei propri
obblighi religiosi e sociali e la costruzione di una forte eticità. La Bibbia considera l’aspetto fisico un nobile
attributo, ma i suoi più grandi commentatori ed i rabbini hanno posto in luce l’importanza che essa non
debba essere la qualità dominante e sicuramente non la principale da ricercare in una donna. Questi attributi
non devono essere confusi con la mancanza di autostima o con la debolezza. Al contrario, essi sono elementi
caratteriali più facilmente riscontrabili, secondo l’Ebraismo, in donne forti , devote e con una buona
autostima.
Il ruolo educativo della donna
Il ruolo educativo della donna come, emerge dalla pedagogia ebraica, riguarda strettamente l’educazione dei
figli in famiglia ma in un senso più ampio include l’educazione infantile impartita in qualunque struttura
sociale. E’ importante specificare che durante i primi anni della sua vita, il bambino era lasciato alla madre o
ad una nutrice, ed era proprio la madre a fornirgli i primi rudimenti pedagogici,soprattutto morali,che
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potevano proseguire anche nell’adolescenza. Nell’ebraismo, a differenza di quanto accade presso la gran
parte dei popoli è considerata ancor oggi determinante l’appartenenza del bimbo alla madre e non al padre:
ogni figlio/a ebrea è , per la legge religiosa, ebreo/a. In ogni caso, i ragazzi più grandi erano normalmente
affidati al padre che era tenuto ad insegnarli la Bibbia mentre alle figlie erano insegnati il giudaismo e le
responsabilità domestiche a casa dalla madre stessa. Oggi, questa distinzione non esiste più. Alla donna
spetta per primo il compito della trasmissione dei valori della tradizione attraverso particolari ritualità
domestiche che fungono da simboli per fondamentali concetti morali.
Aspetti storici riguardo al ruolo della donna ebrea
La donna ebrea, nell’antichità, era di fatto spesso esclusa da gran parte della vita comunitaria e spesso
rilegata fra le pareti domestiche, sottomessa dal padre o dal marito. In questo contesto le esemplari donne
ebree della Bibbia rappresentano un importante eccezione in quanto posero la base per una trasformazione
del ruolo e dell’immaginario femminile. Con il medio Evo si designarono due sfere di civilizzazione molto
diverse tra loro. Al mondo occidentale si oppose quello orientale sotto sovranità musulmana. Le varie
differenti situazioni socioculturali ed economiche che si delinearono per le varie comunità ebraiche
costituirono un fattore determinante nell’evoluzione dello status della donna. Un problema grave, dell’epoca,
risultava essere il frequente abbandono delle donne cui mariti partivano in cerca di guadagno, in
pellegrinaggio in Terra Santa o per motivi di studio. La poligamia risultava più frequente malgrado fosse
stata legalmente proibita nel decimo secolo. L’istruzione fra le donne era ancora poco comune, soprattutto in
Oriente dove le donne dovettero subire maggiori limitazioni sia da leggi appartenenti alla società circostante
che da quelle di origine talmudica. Ciò rese l’emancipazione della donna all’interno della loro epoca, molto
difficile. Molti storici considerano l’espulsione dalla Spagna nel 1492, una data estremamente importante per
il popolo ebraico ma anche estremamente rappresentativa, a livello, simbolico, dell’inizio dell’epoca
moderna. Nelle civiltà orientale, la donna non avrà i mezzi per opporsi al suo status sociale fino ad un epoca
estremamente recente mentre nel mondo occidentale occuperà un ruolo sempre più importante sotto
l’influenza di diversi fattori. Innanzitutto, nel mondo occidentale, l’emancipazione del popolo ebraico
comportava una rivalutazione dei problemi comunitari come quello del ruolo della donna sempre più esteso
al di fuori dell’ambito domestico. Purtroppo, però, lo status effettivo della donna subì modifiche molto lente
a causa della continua ricerca di soluzioni embrionali mal definite che di fatto non contribuivano a sradicare
la ben radicata mentalità sociale. La donna ebrea risultava doppiamente discriminata: in quanto donna ed in
quanto ebrea. Fortunatamente la donna ebrea di oggi ha accesso agli studi ed al mondo del lavoro ed è
probabile che una futura rinascita dell’Ebraismo passi attraverso una nuova valorizzazione della donna.
1) Il termine "Talmud" viene più comunemente usato per indicare l’insieme di insegnamenti e i commenti
alla Mishnà (La legge orale). La parola Talmud vuol dire principalmente "studio" o "insegnamento".
2) In ebraico viene tradotto con il termine Torah che si riferisce alla legge orale e scritta
3) Il Pentateuco é l’insieme dei cinque libri della Torah, ossia dell’Antico Testamento
4) Il termine " mitzvà" deriva dalla radice ebraica "zava" che significa "comandare" o "ordinare".
"Cercate di trovare che cosa c'è di bello in ogni persona. Io dovrei inchinarmi davanti a Gesù che sta nel
cuore di quella persona" Madre Teresa di Calcutta
La donna nella Bibbia
Tra le tante immagini offerte dalle pagine della Sacra Scrittura per quanto concerne la donna, è importante la
figura della sposa. L'idea di un rapporto sponsale fra la sposa umano-terrena e lo sposo divino-celeste è un
motivo molto diffuso nelle culture antiche. Nell'Antico Testamento la sposa viene condotta allo sposo
nascosta da un velo, com'è tramandato per la prima volta nell'episodio di Rebecca: "Alzò gli occhi anche
Rebecca, vide Isacco e scese subito dal cammello. E disse al servo: "Chi è quell'uomo che viene attraverso la
campagna incontro a noi?" Il servo rispose: "È il mio padrone". Allora essa prese il velo e si coprì" .(Ge ,24
64-65)
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In segno di protezione, l'uomo poteva gettare sulla sposa il lembo del suo mantello: "Le disse: "Chi sei?"
Rispose: "Sono Rut, tua serva; stendi il lembo del tuo mantello sulla tua serva, perché tu hai il diritto di
riscatto!" (Rut 3,9)
Nei profeti la sposa è immagine della nuova Sion: "Nessuno ti chiamerà più Abbandonata perché il Signore
si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo. Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per
te" .(Is,4-5)
Geremia parla del periodo di fidanzamento tra YHWH e Israele. Il Signore si ricorda delle fedeltà della
giovinezza d'Israele, dell'amore al tempo del suo fidanzamento: "Mi ricordo di te, dell'affetto della tua
giovinezza, dell'amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non
seminata" .(Ger 2,2)
Nei Salmi il sorgere del sole è spesso paragonato all'uscire di uno sposo dalla stanza nuziale e la sposa
regale, "la regina di Ofir" è, secondo un'interpretazione successiva cristiana, la Chiesa: "Figlie di re stanno
tra le tue predilette; alla tua destra la regina in ori di Ofir. Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio, dimentica
il tuo popolo e la casa di tuo padre; al re piacerà la tua bellezza. Egli è il tuo signore: pròstrati a lui. Da Tiro
vengono portati doni, i più ricchi del popolo cercano il tuo volto.
La figlia del re è tutta splendore, Gemme e tessuto d'oro è il suo vestito. È presentata al re in preziosi ricami;
con lei le vergini compagne a te sono condotte; guidate in gioia ed esultanza entrano insieme nel palazzo del
re" . (Salmo 45(44),10-16). Il nome di "sposo" è uno di quelli che Dio dà a se stesso e che esprime il suo
amore per la creatura, oltre che per Israele, sua sposa: "Poiché tuo sposo è il Creatore, Signore degli eserciti è
il suo nome; tuo redentore è il Santo di Israele, è chiamato Dio di tutta la terra. Come una donna abbandonata
e con l'animo afflitto, ti ha il Signore richiamata. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? Dice il
tuo Dio. Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore" .(Is 54,5-7). Nei
profeti, oltre ad Osea che tratta della sposa amata ed infedele, poi redenta e riportata a casa (simbolo di
Israele che tradisce l'alleanza con Dio, il quale l'ama di amore eterno e le usa misericordia), e Geremia (cfr.
sopra con l'evocazione del tempo del fidanzamento), troviamo delle immagini molto particolari in Ezechiele.
Il profeta rappresenta Gerusalemme come una trovatella, che il suo salvatore sposa, dopo averla allevata:
"Passai vicino a te e ti vidi; ecco, la tua età era l'età dell'amore; io stesi il lembo del mio mantello su di te e
coprii la tua nudità; giurai alleanza con te, dice il Signore Dio, e divenisti mia. Ti lavai con acqua, ti ripulii
del sangue e ti unsi con olio; ti vestii di ricami, ti calzai di pelle di tasso, ti cinsi il capo di bisso e ti ricoprii
di seta; ti adornai di gioielli: ti misi braccialetti ai polsi e una collana al collo: misi la tuo naso un anello,
orecchini agli orecchi e una splendida corona sul capo. Così fosti adorna d'oro e d'argento; le tue vesti eran di
bisso, di seta e di ricami; fior di farina e miele e olio furono il tuo cibo; diventasti sempre più bella e
giungesti fino ad esser regina. La tua fama si diffuse fra le genti per la tua bellezza, che era perfetta, per la
gloria che io avevo posta in te, parola del Signore Dio" .(Ez 16,8-14) Se il realismo dei profeti mette in
evidenza l'ardore dell'amore divino, la meditazione dei sapienti, invece, sottolinea il carattere personale ed
interiore dell'unione realizzata da questo amore. Dio comunica al fedele una sapienza che è figlia sua e che si
comporta nei confronti dell'uomo come una madre e come una sposa: "Essa gli andrà incontro come una
madre, l'accoglierà come una vergine sposa; lo nutrirà con il pane dell'intelligenza, e l'acqua della sapienza
gli darà da bere. Egli si appoggerà su di lei e non vacillerà, si affiderà a lei e non resterà confuso". (Sir 15, 24.) Il Libro della Sapienza riprende l'immagine. Acquistare la sapienza è il mezzo per essere amici di Dio
(Cfr. Sapienza 7, 14: «Essa è un tesoro inesauribile per gli uomini;/quanti se lo procurano si attirano
l’amicizia di Dio,/sono a lui raccomandati per i doni del suo insegnamento».) : bisogna ricercarla, desiderarla
e vivere con essa. È la Sposa che Dio solo può dare, rende immortale colui al quale è unita. Inviata da Dio,
come lo Spirito Santo, la sapienza è un dono spirituale, è l'artefice che porta a termine in noi l'opera di Dio e
genera in noi le virtù:"Questa ho amato e ricercato fin dalla mia giovinezza, ho cercato di prendermela come
sposa, mi sono innamorato della sua bellezza. essa manifesta la sua nobiltà, in comunione di vita con Dio,
perché il Signore dell'universo l'ha amata. […] Essa insegna infatti la temperanza e la prudenza, la giustizia e
la fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita" (Ibidem 8,2 –3; 7). Nel Nuovo Testamento la
Sapienza, che è nata da Dio e si compiace di abitare in mezzo agli uomini, non è soltanto un dono spirituale,
ma appare nella carne: è Cristo, Sapienza di Dio: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria, gloria come unigenito dal Padre, pieno di Grazia e di Verità. […] Dio nessuno
l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" ( Gv1,14-18).
Nell'Apocalisse la Gerusalemme chiamata all'alleanza con il Figlio di Dio non è più la serva, che rappresenta
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il popolo dell'antica alleanza, ma la donna libera, la Gerusalemme celeste. Dopo la venuta dello sposo,
l'umanità è rappresentata da due donne, simbolo di due città spirituali: da una parte la prostituta, tipo della
Babilonia idolatra; dall'altra, invece, la sposa dell'agnello, tipo della città amata, della Gerusalemme santa
che viene dal cielo, perché dallo sposo ha la sua santità ( Ap 17,3-5): "L'angelo mi trasportò in spirito nel
deserto. Là visi una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci
corna. La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d'oro, di pietre preziose e di perle, teneva in
mano una coppa d'oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione. Sulla fronte aveva
scritto un nome misterioso: "Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra" .
"Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna
per il suo sposo" ( Ap 21, 2.). Al termine della storia sarà ultimata la veste nuziale della sposa, veste di lino
di bianchezza splendente, tessuta dalle opere dei fedeli. Nel momento in cui la prostituta sarà giudicata, lo
sposo risponderà all'appello che il suo Spirito ispira alla sua sposa. Sazierà così la sete di tutti coloro che,
come lei e in lei, desiderano quest'unione al suo amore e alla sua vita, unione feconda, di cui quella degli
sposi è uno dei simboli più luminosi: "Lo Spirito e la sposa dicono: "Vieni!" E chi ascolta ripeta: "Vieni!"
Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l'acqua della vita" (Ibidem 22, 17) . Nella letteratura del
cristianesimo antico - come in Ippolito - l'esaltazione dell'amore sponsale nel Cantico dei Cantici viene
interpretata in funzione di Cristo e della Chiesa. L'amore umano fra il re Salomone e la sua sposa appare
come "tipo" dell'amore, molto più alto, di Dio verso gli uomini e degli uomini verso il loro Creatore. Origene
definisce l'anima "sposa del Logos". Tertulliano ha chiamato le vergini cristiane "spose di Cristo". Nei primi
scritti di Agostino la Chiesa è la sponsa sine macula et ruga con esplicito riferimento a S. Paolo: "E voi,
mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa,
purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti
la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i
mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se
stesso" ( Ef 5, 25-28). Già in orazioni gallico-germaniche per la Messa, risalenti al secolo VII, Maria (in
contrapposizione ad Eva che si allontana da Dio) è celebrata come la sposa di Cristo. Per quanto concerne il
contrasto Eva- Maria, alcune raffigurazioni tardomedievali mostrano sotto un albero Eva e Maria: mentre la
prima offre il frutto del peccato originale e della morte, la seconda distribuisce dall'albero (interpretato ormai
simbolicamente come la Croce) il pane della vita.
Ideale e realtà nel matrimonio
La Bibbia ci offre un quadro teologico altissimo del matrimonio e della famiglia, ma ci fa vedere anche che
questo ideale non sempre è stato realizzato. Così nella Bibbia coesistono il progetto ideale (sul quale
insisteremo di più perché è il messaggio teologico valido per sempre) e la realtà che, soprattutto nell’AT, è
piuttosto deludente.
a) Ombre e luci nell’esperienza matrimoniale
Subito dopo averci descritto il quadro ideale del matrimonio, la Genesi ci descrive l’assassinio di Abele da
parte di Caino: il fratello uccide il fratello. Nella famiglia di Caino, il figlio Lamech per primo viola la legge
della monogamia prendendo due mogli (Gen 4,19). Però, a differenza di Lamech e dei cosiddetti figli di Dio
(Gen 6,1-4) che si danno senza ritegno alle intemperanze sessuali, Noè è monogamo e ha tre figli. Proprio
per la sua bontà e rettitudine Dio, giusto giudice, lo salva dal diluvio con tutta la sua famiglia, alla quale,
come germe e simbolo della nuova umanità, rinnova la benedizione già accordata alla prima coppia umana:
Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro: "Siate fecondi, moltiplicatevi e riempite la terra" (Gen 9,1; cfr
1,28). Con Abramo inizia una catena diretta di famiglie, che passa attraverso Davide, per sfociare nella
famiglia di Nazaret. La Genesi ha come spina dorsale tre famiglie: quelle di Abramo, Isacco e Giacobbe. Nel
presentare queste tre famiglie, l’autore sacro è più intento a far risaltare il piano divino attraverso di esse che
la loro esemplarità. Così, ad es., Abramo pratica una specie di poligamia accostandosi alla schiava Agar per
avere un figlio, Ismaele. Non è corretto il suo comportamento neppure quando presenta Sara come sorella
invece che moglie, per non aver fastidi quando essa viene richiesta per soddisfare le voglie di Abimelech
(Gen 12,10-20) o del faraone (Gen 20). Meno esemplare ancora è la famiglia di Giacobbe, a cui Dio stesso
cambia il nome in Israele (Gen 32), per farne il capostipite del suo popolo: i suoi figli, che danno origine alle
dodici tribù di Israele, nascono da due mogli di primo grado, Lia e Rachele, e da due mogli di secondo grado,
Zilpa e Bila (Gen 29). Se si passa a Davide, la situazione è ancora peggiore: coraggioso soldato e
19
condottiero, abile diplomatico, di forte religiosità, egli è però facilmente attratto dal fascino delle donne ed è
debole con i figli. Egli ha presso di sé un vero harem di mogli e concubine (2 Sam 3,2-5.15; 11,2-27; 15,16).
I suoi numerosi figli, che gli sono stati causa di enormi sofferenze, più che le sue virtù hanno ereditato i suoi
vizi: Amnon violenta la sorellastra Tamar (2 Sam 13,1-22) che Assalonne vendica assassinando il fratello (2
Sam 13,23-38). Assalonne si ribella contro il padre, insidiandogli il trono e costringendolo a fuggire da
Gerusalemme (2 Sam 15-19). Del re Salomone si dice che avesse 700 mogli e 300 concubine (1 Re 11,37).
Accanto a queste, però, ci sono delle famiglie che vivono il matrimonio in maniera esemplare, con tutte le
ricchezze d’amore, di fedeltà, di fecondità e di educazione dei figli che risultano dal progetto originario di
Dio. Si pensi alla famiglia di Rut e al matrimonio di Tobia. Particolarmente significativa è la preghiera che
Tobia e Sara innalzano al Signore all’inizio della loro vita coniugale: Tu (Dio) hai creato Adamo e hai creato
Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno. Da loro nacque tutto il genere umano... Ora, non per
lussuria io prende questa mia parente, ma con rettitudine d’intenzione. Degnati di avere misericordia di me
e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia (Tb 8,6-7). Questo sta a dire che, nonostante le molte
ombre derivanti dal circostante ambiente culturale sul mondo ebraico, l’ideale del matrimonio monogamico,
vissuto nell’amore e nella gioia dei figli, veniva sentito e normalmente anche praticato in Israele.
L’insegnamento matrimoniale presso i profeti
Perché tale ideale rimanesse sempre limpido, hanno dato un apporto determinante i profeti, che hanno
presentato l’allegoria nuziale per esprimere il rapporto d’amore e di fedeltà fra Dio e Israele. Essi, in realtà,
utilizzano un po’ tutte le immagini desunte dall’ambiente familiare per esprimere i rapporti di Dio con il suo
popolo. Dio si presenta come una madre: Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non
commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se questa donna si dimenticasse, io invece non ti
dimenticherò mai (Is 49,15-16). E per esprimere la gioia della liberazione dall’esilio viene portato l’esempio
della gioia nuziale: Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio... come uno sposo
che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli (Is 61,10); Sì, come un giovane sposa una
vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te (Is
62,5).
a) L’allegoria nuziale per esprimere l’alleanza di Dio con Israele
I profeti adoperano di preferenza l’immagine nuziale per descrivere i rapporti di Dio con Israele: egli è il
fidanzato o lo sposo sempre fedele, mentre Israele è la fidanzata o la sposa molte volte infedele. È Osea che
per primo adopera questa immagine, forse partendo da una esperienza matrimoniale fallimentare: la moglie
Gomer, infatti, si dà alla prostituzione. La prostituzione della moglie diventa simbolo dell’infedeltà di
Israele, che arriva perfino al culto delle divinità straniere, il quale porta con sé anche vere e proprie
aberrazioni sessuali. Dio, però, sempre fedele, non si arrende e progetta un nuovo fidanzamento con il suo
popolo: Pertanto, ecco io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore (Os 2,16). Il richiamo
del deserto rimanda al periodo dell’innamoramento, quando Israele seguiva il suo Dio più da vicino. Il nuovo
fidanzamento, però, non dovrà più essere rotto da nuove infedeltà: Ti fidanzerò a me per l’eternità, ti
fidanzerò a me nella giustizia e nel diritto, nella tenerezza e nell’amore... (Os 2,21-22). Geremia riprende il
tema di Dio-sposo in modo ancora più tenero, ricordando soprattutto l’entusiasmo del primo amore: Mi
ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi
nel deserto, in una terra non seminata (Ger 2,2). Proprio per questo è più acuto il rimprovero che viene
rivolto al popolo infedele: Perché il mio popolo dice: "Ci siamo emancipati, non faremo più ritorno a te?".
Si dimentica forse una vergine dei suoi ornamenti, una sposa della usa cintura? Eppure il mio popolo mi ha
dimenticato per giorni innumerevoli" (Ger 2,31-32). L’immagine è ripresa da Ezechiele che ci presenta
Israele come una fanciulla abbandonata di cui Dio si invaghisce fino a farla sua: Passai vicino a te e ti vidi;
ecco la tua età era l’età dell’amore; io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità; giurai
alleanza con te, dice il Signore Dio, e divenisti mia (Ez 16,8). L’immagine ricorre anche più frequentemente
in Isaia, dove le difficoltà dell’esilio e del reinserimento in patria vengono addolcite dal ricordo di Dio che è
lo sposo e perciò non abbandona il suo popolo: Non temere, perché non dovrai più arrossire... Poiché il tuo
sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d’Israele, è chiamato
Dio di tutta la terra (Is 54,4-6).
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b) Portata teologica dell’allegoria
L’immagine nuziale è importante per due motivi. Per un verso, Dio non avrebbe potuto prendere come
simbolo del suo amore verso Israele la realtà matrimoniale, se essa non fosse stata sentita e vissuta, almeno
normalmente, come realtà di amore e fedeltà totale. Per un altro verso, Dio vuole dare un vero e proprio
ammaestramento sul matrimonio: esso ha significato nella misura in cui riflette i costumi di Dio, ne imita gli
atteggiamenti, ne assume i valori. C’è un reciproco intreccio fra la realtà matrimoniale presa a simbolo e il
progetto matrimoniale che Dio ripropone ai credenti.
La letteratura sapienziale
Tutto il filone della letteratura sapienziale esalta i valori del matrimonio e della famiglia.
a) Il dono dei figli
Il Salmo 127 afferma che la benedizione di Dio sta alla base della famiglia e che i figli sono un suo dono: Se
il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori... Ecco, dono del Signore sono i figli, è sua
grazia il frutto del grembo. A proposito dei figli, si insiste molto sia sul dovere di educarli, sia sull’obbligo
che essi hanno di rispettare i genitori: Chi ama il proprio figlio usa spesso la frusta, per gioire di lui alla
fine. Chi corregge il proprio figlio ne trarrà vantaggio e se ne potrà vantare con i suoi conoscenti (Sir 30,12; cfr Pr 1,8). Il Signore vuole che il padre sia onorato dai figli, ha stabilito il diritto della madre sulla prole.
Chi onora il padre espia i peccati (Sir 3,2-3).
b) La moglie virtuosa e la donna adultera
Il Siracide esalta la felicità dell’uomo che ha trovato una moglie virtuosa: Beato il marito di una donna
virtuosa; il numero dei suoi giorni sarà doppio. Una brava moglie è la gioia del marito, questi trascorrerà
gli anni in pace. Una donna virtuosa è una buona sorte, viene assegnata a chi teme il Signore (Sir 26,1-3).
Nello stesso tempo condanna severamente l’adulterio, sia da parte dell’uomo che della donna: L’uomo
infedele al proprio letto dice fra sé: "Chi mi vede? Tenebre intorno a me e le mura mi nascondono; nessuno
mi vede, chi devo temere? Dei miei peccati non si ricorderà l’Altissimo". Egli però si illude, perché gli occhi
di Dio penetrano fin nei luoghi più segreti (Sir 23,18-19). Più duro ancora è il giudizio sulla donna adultera:
Così della donna che abbandona il suo marito, e gli presenta eredi avuti da estranei. Prima di tutto ha
disobbedito alle leggi dell’Altissimo, in secondo luogo ha commesso un torto verso il marito, in terzo luogo
si è macchiata di adulterio e ha introdotto in casa figli di un estraneo (Sir 23,22-23).
c) Il messaggio nuziale del Cantico dei cantici
C’è nella letteratura sapienziale un libro che è tutto dedicato all’amore umano, nella tensione del desiderio
che poi sfocerà nel matrimonio: il Cantico dei cantici. Questo piccolo poema è tutto un dialogo d’amore tra
uomo e donna che si cercano reciprocamente con gioia e trepidazione: si tratta contemporaneamente
dell’esaltazione dell’amore umano e dell’amore di Dio verso Israele.E proprio per questo l’amore deve
essere duraturo, come si esprime la sposa con immagini ardite: Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come
sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione; le sue
vampe sono come vampe di fuoco, una fiamma di Dio. Le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i
fiumi travolgerlo (Ct 8,6-7). Nulla può estinguere l’amore autentico! È un messaggio indubbiamente molto
profondo, in cui si fondono l’esperienza umana e il messaggio profetico che ha preso questa esperienza come
simbolo dell’amore indefettibile di Dio verso il suo popolo.
Il progetto originale di Dio su il matrimonio
Una visione così alta dell’amore sponsale, anche nei suoi elementi di attrazione fisica, che ci trasmette il
Cantico dei cantici, corrisponde al progetto originario di Dio, che troviamo delineato nel secondo racconto
della creazione trasmessoci dal libro della Gen 2,18-23.
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a) La tradizione jahwista
Questo racconto risale al X secolo a.C. ed esprime realtà teologiche molto profonde.Prima di tutto l’uomo è
chiamato ad uscire dalla sua solitudine: Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia
simile (2,18). Ma gli animali che Dio crea e mette a disposizione dell’uomo, non sono l’aiuto degno di lui:
Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò, gli tolse una delle costole e
richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola che aveva tolto all’uomo una donna, e la
condusse all’uomo (2,21-22). È chiaro che il linguaggio, tutto carico di immagini, non vuole narrare un
evento storico, ma afferma semplicemente che la donna non è estranea all’uomo, anzi è come una parte di
lui, con la medesima dignità, capace di dialogare e di amare. Per questo l’uomo intona il primo canto nuziale
dell’umanità: Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna, poiché
dall’uomo è stata tolta (v. 23). L’ultima frase in ebraico contiene un gioco di parole non riproducibile in
italiano: ’is = uomo, ’ishshah = donna. Anche con questa assonanza linguistica l’autore vuole esprimere
l’unità dei due sessi, pur nella loro distinzione.
b) La tradizione sacerdotale
Il primo racconto della creazione, che risale alla tradizione sacerdotale (VI sec. a.C.), esprime in maniera
ancora più solenne l’unità dell’uomo e della donna, pur nella differenziazione dei sessi, che è voluta da Dio
per la procreazione del genere umano. Il sesso perciò è una realtà integrativa che si comprende solo in
dialogo con il partner. Come coronamento dell’opera della creazione, Dio crea l’uomo, che è tale solo in
quanto maschio-femmina: E Dio disse: "Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e
domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili
che strisciano sulla terra". Dio creò l’uomo a sua immagine: a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina
li creò. Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra..." (Gen 1,26-28).
Mettiamo in evidenza due cose.
La prima. L’uomo è immagine di Dio nella dualità di maschio e femmina: né il maschio né la femmina,
presi isolatamente, sono immagine di Dio. La dialogicità dei sessi diversi già apre al dono, all’amore, alla
fecondità, riproducendo così l’immagine di Dio che è essenzialmente amore che si dona.
La seconda. Il comando di generare: Siate fecondi e moltiplicatevi... La sessualità ha il suo sbocco e la sua
specifica finalità nella trasmissione della vita. Un compito talmente grande che ha bisogno della benedizione
di Dio per essere espletato. Pur accentuando la finalità procreativa, questo testo non esclude la finalità
affettiva. Il fatto che Dio abbia creato l’uomo a sua immagine proprio in quanto maschio e femmina include
necessariamente in sé la forza attrattiva dell’amore. È l’equilibrio di questi due elementi (unitivo e
procreativo) che deve segnare per sempre il matrimonio come Dio l’ha concepito nel suo disegno originario.
Si sa però che il peccato originale ha infranto questo equilibrio, intaccando la serenità dei rapporti tra l’uomo
e la donna; anche la sessualità verrà distorta dai suoi fini propri, come dice subito dopo il testo: Moltiplicherò
i tuoi dolori e le tue gravidanze... Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà (Gen 3,16). Invece
che dono reciproco e sereno, la sessualità diventerà strumento per tiranneggiarsi a vicenda. Su questo sfondo
di perdita di senso della sessualità si spiegano tutte le deviazioni che hanno segnato la storia d’Israele e
dell’umanità: poligamia, divorzio, asservimento della donna, violenza sessuale...
La dottrina sul matrimonio nel Nuovo Testamento
Cristo, rivelatore ultimo della volontà del Padre, venuto a compiere la nostra salvezza, cercherà di riportare il
matrimonio al disegno originario di Dio.
a) L’interesse di Gesù per la famiglia
Gesù nasce in una famiglia. In una famiglia dove la parola di Dio gode di un primato assoluto e dove l’amore
totalmente disinteressato è regola per tutti. Anche nella sua vita pubblica Gesù manifesterà tutto il suo
interesse per la famiglia, dimostrando di conoscerne pregi e difetti, gioie e sofferenze. Il primo dei suoi
miracoli è per una coppia di sposi! La sua amicizia per Lazzaro, Marta e Maria è commovente. A Pietro
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guarisce la suocera malata. Ama i bambini con una tenerezza più che materna e rimprovera i discepoli che
vogliono allontanarli; anzi, li propone come esempio per chi vuol entrare nel regno dei cieli: Chi non
accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso (Mc 10,13-16).
b) La famiglia deve trascendersi
Gesù non fa della famiglia un assoluto: vuole che essa sia aperta alle esigenze di Dio, che può chiedere
perfino di abbandonarla e di subordinarla ai suoi progetti. È quanto risponde a chi gli annuncia che sua
madre e i suoi parenti lo stanno cercando: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?... Chi compie la volontà
di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre (Mc 3,31-35). Con ciò egli pone le premesse per una scelta di
vita diversa dal matrimonio.
c) Matrimonio e divorzio nel pensiero di Gesù
Nel testo che esaminiamo Gesù esprime il suo pensiero sul matrimonio. Durante il suo viaggio verso
Gerusalemme alcuni farisei, per metterlo alla prova, gli chiedono: È lecito ad un uomo ripudiare la propria
moglie per qualsiasi motivo? (Mt 19,3). Gesù si pone al di sopra di ogni controversia e di ogni scuola del suo
tempo e rifacendosi al principio condanna ogni forma di divorzio: Non avete letto che il Creatore da
principio li creò maschio e femmina e disse: "Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a
sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola". Quello dunque
che Dio ha congiunto l’uomo non lo separi. Gli obiettarono: "Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto
di ripudio e di mandarla via?". Rispose loro Gesù: "Per la durezza del vostro cuore Mosè ha permesso di
ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie,
se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra, commette adulterio" (Mt 19,4-9).
Le affermazioni di questo brano sono tre.
1) Il matrimonio rientra nel disegno primordiale di Dio, il quale non prevede alcuna eccezione
all’indissolubilità, proprio perché questa è iscritta nella natura dell’uomo e della donna in quanto
esseri complementari. Citando i due passi di Gen 1,27 e 2,24, Gesù intende riportare tutto al quadro
originale.
2) La disposizione mosaica circa il divorzio (Dt 24,1) aveva valore transitorio e dimostrava non tanto
un’accondiscendenza di Dio, quanto la durezza di cuore degli ebrei, chiusi alle esigenze
dell’autentica volontà di Dio.
3) Il divorzio, con passaggio ad altre nozze, è semplicemente adulterio e l’adulterio è espressamente
proibito dal sesto comandamento (Es 20,14; Dt 5,18).
Il matrimonio nella dottrina di san Paolo
Pur esaltando la verginità per i valori di libertà interiore e di situazione escatologica, Paolo riafferma la
dignità del matrimonio e ne ricorda diritti e doveri, fra cui quelli della fedeltà e dell’indissolubilità.
a) La dignità del matrimonio
Nella prima lettera ai Corinti si legge: Quanto alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non
toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il
proprio marito. Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito.
La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro
del proprio corpo, ma lo è la moglie... Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal
marito - e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito - e il marito non ripudi la
moglie (1 Cor 7,1-10).
Si rilevano due cose in questo testo.
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1) Marito e moglie hanno gli stessi diritti e doveri e sono parte l’uno dell’altra; non sono più due, ma
un solo essere.
2) L’apostolo si rifà al comando stesso di Gesù: Ordino, non io, ma il Signore (v. 10) per ribadire la
condanna del divorzio: l’unica soluzione, in caso di emergenza, è la separazione, che dovrebbe
essere solo temporanea. Il traguardo finale rimane la riconciliazione con il coniuge.
b) Matrimonio come segno sacramentale dell’unione di Cristo con la Chiesa
Parlando dei doveri della famiglia cristiana, nella lettera agli Efesini, Paolo incomincia proprio dei reciproci
doveri dei coniugi: Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti
come al Signore... E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la sua Chiesa e ha dato se
stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla
parola... Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la
propria moglie ama se stesso. Nessuno mai, infatti, ha preso in odio la propria carne; al contrario, la nutre
e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà suo
padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande: lo
dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa... (Ef 5,21-33; cfr Col 3,18-19; 1 Pt 3,1-8).
Prima di tutto, il discorso sul matrimonio si svolge tutto sotto il segno dell’amore: per cui l’essere sottomessi
l’uno all’altro non è segno di dipendenza schiavistica, ma di dipendenza nell’amore. In secondo luogo, il
rapporto marito-moglie viene modellato sul rapporto Cristo-Chiesa, che è essenzialmente un rapporto
d’amore: Cristo ha amato la sua Chiesa e ha dato se stesso per lei (v. 25). Solo il rapporto Cristo-Chiesa
diventa un modello di amore reciproco tra gli sposi.
Cristo afferra l’amore umano dei battezzati, lo fermenta dal di dentro, lo purifica da tutte le inevitabili scorie
per farne un riflesso, un’immagine del suo amore per la Chiesa. In terzo luogo, il matrimonio cristiano si
immerge nel mistero di Dio (v. 32) che, secondo il linguaggio di Paolo, è il suo progetto salvifico culminante
nell’incarnazione, di cui la Chiesa, in quanto sposa di Cristo, è la dilatazione, la pienezza.
Il matrimonio, perciò, non è un affare privato, ma rientra nella dimensione della ecclesialità e deve servire
alla crescita della Chiesa, della quale è un inizio nella misura in cui sa creare rapporti di amore e di fede fra
tutti i suoi membri. Il matrimonio cristiano è fonte di grazia per vivere nell’amore ed educare all’amore.
c) Pastorale familiare in san Paolo
È proprio in questa direzione dell’amore cristiano che si muove san Paolo rivolgendosi a tutti gli altri
membri della famiglia, inclusi gli schiavi: Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è
giusto... E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore.
Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, con semplicità di spirito, come a
Cristo... Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce,
sapendo che per loro come per voi c’è un solo Signore nel cielo, e che non c’è preferenza di persone presso
di lui (Ef 6,1-9). Come si vede, nessuno è dimenticato: la famiglia non si esaurisce nella coppia, ma si apre
necessariamente ai figli, come frutto dell’amore reciproco, ai quali bisogna dare una giusta educazione
corrispondente alle esigenze della fede cristiana: Allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore (v.
4).
Con l’educazione cristiana i genitori generano una seconda volta i loro figli. Anche il rapporto, non sempre
facile, tra padroni e schiavi viene inserito nel quadro della famiglia, la cui legge fondamentale è l’amore: pur
rimanendo schiavi, si esalta la loro dignità di figli di Dio, che dev’essere riconosciuta dai padroni, i quali
hanno anch’essi un solo Signore nel cielo, che non fa preferenze per nessuno.
A questo punto è evidente che il problema della schiavitù è aperto alla sua soluzione radicale. Nella lettera a
Tito ci viene offerta una catechesi familiare diretta alle varie categorie di persone che compongono la
famiglia: I vecchi siano sobri, dignitosi, assennati, saldi nella fede, nell’amore e nella pazienza. Ugualmente
le donne anziane si comportino in maniera degna dei credenti; non siano maldicenti né schiave di molto
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vino; sappiano piuttosto insegnare il bene, per formare le giovani all’amore del marito e dei figli, ad essere
prudenti, caste, dedite alla famiglia, buone, sottomesse ai propri mariti, perché la parola di Dio non debba
diventare oggetto di biasimo. Esorta ancora i più giovani ad essere assennati, offrendo te stesso come
esempio in tutto di buona condotta, con purezza di dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile...
Esorta gli schiavi ad essere sottomessi in tutto ai loro padroni; li accontentino e non li contraddicano, non
rubino, ma dimostrino fedeltà assoluta, per far onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro salvatore (Tt 2,19). Il motivo di questa condotta integra dei vari membri della famiglia cristiana è essenzialmente religioso:
Fare onore alla dottrina di Dio (v. 10), perché non sia biasimata la parola di Dio (v.5). Questo presuppone
ovviamente che la grazia matrimoniale pervada tutta la famiglia, riversandosi dai coniugi su tutte le altre
persone che la compongono.
Conclusioni
Se è vero che la società è normalmente lo specchio della famiglia, la Bibbia ci insegna come poterla
rifondare, dandole quel respiro di amore totalmente gratuito e disinteressato che solo può rendere più umano
e cristiano il mondo in cui viviamo. La condizione femminile, vista sotto il profilo sociale e anche dal punto
di vista giuridico, è uno degli elementi di analisi attraverso i quali è possibile esaminare le strutture socioculturali delle comunità umane, nei vari periodi della storia. La condizione femminile, peraltro, è stata spesso
considerata come il riflesso dell’impostazione culturale dominante nella società, e talvolta anche del
sentimento religioso popolare i quali, influenzando in varia misura i costumi e le abitudini comuni, finiscono
per incidere sui soggetti sociali e sulla loro situazione esistenziale. Con il presente studio1 non abbiamo la
pretesa di effettuare un’ulteriore indagine sociologica sulla condizione femminile, né tanto meno di
realizzare un’approfondita analisi dei disparati fattori che possono influenzare le situazioni sociali in cui le
donne vengono a trovarsi. La ricerca che ci apprestiamo a presentare ha uno scopo più limitato: esso vuol
essere un tentativo di confronto tra la condizione della donna nella società ebraica antica e gli influssi che su
di essa ha avuto l’Antico Testamento, la Parola ispirata che Dio ha lasciato al popolo israelita. L’oggetto
della presente indagine, pertanto, è volutamente circoscritto e ha una finalità specifica: la Bibbia non è un
libro scritto fuori dal tempo e dalla storia, e molti suoi brani prendono spunto da situazioni sociali reali e
sono indirizzati a persone ben determinate. D’altro canto, la stessa società in cui vivono i figli di Dio viene,
in diversa misura, influenzata dalle Sacre Scritture, specie quando i credenti hanno un ruolo attivo e positivo
nella comunità alla quale appartengono. In quest’ambito generale s’iscrive anche la questione relativa alla
situazione della donna nella società ebraica dei tempi biblici, in particolare di quelli attinenti al periodo in cui
fu scritto l’Antico Testamento. Con riferimento a ciò, in linea generale possiamo ritenerci d’accordo con chi
ha sostenuto che “la posizione generale della donna nella società ebraica era molto superiore a quella che
riconoscevano le nazioni pagane circostanti. Le sue libertà erano maggiori, le sue attività più varie ed
importanti, la sua situazione sociale complessiva più elevata e rispettata”. L’Antico Testamento (AT) aveva
tentato di elevare la donna ad un rango del tutto sconosciuto fra il I ed il III millennio a. C.. Per esempio,
tenendo conto della situazione della donna come madre, la Bibbia afferma sinteticamente, ma anche con
grande chiarezza, che ella dev’essere rispettata ed onorata alla stessa stregua del padre. Nel Decalogo, infatti,
l’Eterno prescrive (Es 20,12): “Onora tuo padre e tua madre” Inoltre, erano punite con la morte sia le
percosse (Es 21,15) che le maledizioni (Es 21,17), quand’esse erano rivolte dal figlio non soltanto contro il
padre ma anche contro la madre: “Chi percuote suo padre o sua madre dev’essere messo a morte” “Chi
maledice suo padre o sua madre dev’essere messo a morte” Le stesse prescrizioni di Es 21,17 venivano
ripetute nel Levitico (20,9) e più tardi nei Proverbi di Salomone (20,20). In tutto l’AT risulta chiaro che la
madre non doveva avere un ruolo diverso dal padre per quanto concerne il rispetto e l’onore dovuti dai figli
ai loro genitori. Altre prescrizioni dell’Antico Testamento si muovevano nella stessa direzione, quella della
pari dignità delle figure dei due genitori. In Dt 27,16 sta scritto, per esempio: “Maledetto chi disprezza suo
padre o sua madre!” e la disubbidienza di un figlio alle parole della madre era severamente punita, alla stessa
stregua delle beffe operate contro il padre (Pr 30,17): “L’occhio di chi si beffa del padre e non si degna di
ubbidire alla madre, lo caveranno i corvi del torrente, lo divoreranno gli aquilotti”. La madre, infatti, nella
visuale biblica dell’educazione dei figli, ha un’importanza fondamentale ed insostituibile, complementare a
quella del padre, e degna di ricevere ogni attenzione ed onore da parte dei figli. L’insegnamento della madre
“non va rifiutato”, proprio come l’istruzione del padre (Pr 1,8) e “non dev’essere trascurato”, al pari dei
precetti dati dal padre (6,20).
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