roberto micheli, tiziana cividini, giovanni carlo fiappo, alessandro

XLIX Riunione Scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria
Preistoria e Protostoria del Caput Adriae
(Udine-Pordenone, 8-11 ottobre 2014)
Modalità insediative - Sezione poster
Nuovi ritrovamenti neolitici a Cargnacco: le evidenze lungo il metanodotto Snam
Roberto Micheli1, Elisabetta Castiglioni2, Tiziana Cividini3, Giovanni Carlo Fiappo4,
Alessandro Fontana5, Alfredo La Pietra3, Chiara Magrini3, Mauro Rottoli2 & Lisa Zenarolla3
1 - MiBACT - Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia, viale Miramare 9, 34135 – TRIESTE;
2 - Laboratorio di Archeobiologia dei Musei Civico di Como, piazza Medaglie D’Oro 1, 22100 – COMO;
3 – Archeologa/o, libera/o professionista;
4 - Ispettore onorario della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia;
5 - Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Geoscienze, via G. Gradenigo 6, 35131 - PADOVA
e-mail per contatti: [email protected]
Introduzione
Il territorio compreso tra Pavia di Udine e Pozzuolo del Friuli
ha costituito un ottimo luogo per lo stabilirsi di insediamenti
nel corso delle prime fasi del Neolitico. La sorveglianza
archeologica, effettuata nel 2011 lungo un tratto di
metanodotto SNAM, ha consentito di individuare nuove
evidenze neolitiche a Cargnacco, non lontano in linea d'aria dal
ben noto sito di Sammardenchia (Fig. 1). Le indagini hanno
interessato purtroppo solo un'area molto limitata nell'ambito
del tracciato della linea di posa delle tubature del gas; la
sorveglianza non ha invece rilevato altre evidenze
archeologiche lungo il tracciato del metanodotto (Fig. 2-3).
Raccolte di superficie di materiali in selce nei terreni circostanti
confermano comunque la scoperta, suggerendo la presenza di
un abitato neolitico esteso.
Il contesto geomorfologico
La trincea SNAM ha rilevato una stratigrafia regolare formata
da uno strato arativo superficiale di colore bruno di matrice
limo-argillosa e dal sottostante strato di ghiaie di medie e
piccole dimensioni (Fig. 3). L'area è costituita da depositi
alluvionali riferibili alla fase finale dell'ultima glaciazione, tra
22.000-19.500 anni fa, quando il Cormor era uno dei maggiori
fiumi alimentati dalle acque di fusione del ghiacciaio del
Tagliamento. Il sito si trova in corrispondenza del margine di
una lieve depressione coincidente con un paleoalveo a canali
intrecciati dello stesso fiume. Dopo la frequentazione neolitica,
la bassura è stata sepolta da una coltre colluviale di pochi
centimetri, che ha comunque consentito la conservazione del
deposito archeologico. A partire dalla fine dell'Ultimo
Massimo Glaciale (circa 19.500 anni fa) l'area non è stata
interessata da particolari processi geomorfologici a eccezione
Fig. 2
Fig. 3
Cargnacco
SNAM
Cargnacco
SNAM
Sammardenchia
Fig. 1
di quelli di formazione dei suoli e di trasformazione agricola
iniziati nel corso del Neolitico, ma rilevanti sopratutto dall'età
romana in poi. L'ubicazione del sito è quindi simile a quella di
molte aree che hanno fornito resti di altri insediamenti neolitici
individuati nell'area a sud di Udine, ma è differente dal più
noto villaggio di Sammardenchia-Cûeis, situato invece sopra il
terrazzo tettonico di Pozzuolo del Friuli e caratterizzato da
depositi di oltre 130.000 anni fa.
Le strutture e i materiali
Le evidenze neolitiche sono state individuate nel corso del
controllo archeologico quando, al di sotto dell’arativo
moderno, sono state intercettate alcune chiazze di terreno
bruno-nerastro (Fig. 4-5) contenenti industria litica scheggiata
in selce, qualche frammento di ceramica d'impasto e numerosi
resti ossei di fauna. Questo strato (US 5) corrisponde all’antico
suolo, genericamente troncato al tetto ma, localmente sigillato
da un colluvio del suolo stesso, che ha protetto l’antica
superficie neolitica dopo la sua frequentazione, preservando
alcune strutture negative. L'area indagata si presenta
attualmente in piano per effetto delle attività di sistemazione
agraria moderna, ma l'approfondimento ha rilevato la presenza
di un debole declivio naturale, inferiore a 50 cm, che
raccordava la pianura esterna con il paleoalveo. I materiali
archeologici erano contenuti nello strato colluviale (US 5)
a
b
Fig. 4
Fig. 5
Fig. 6
preservatisi alla sommità del sottostante strato ghiaioso (US 2)
in corrispondenza di leggeri avvallamenti e irregolarità. In
alcuni punti lo strato US 5 ricopriva un riporto/livellamento
artificiale (US 14), anch'esso contenente qualche reperto.
L'asportazione di US 5 ha messo in luce una concentrazione di
buche verosimilmente di palo localizzate accanto a una
canaletta con andamento N-S e fondo irregolare ricavata nello
strato US 2 (Fig. 6-7). I materiali (Fig 8-10) annoverano resti
della produzione dei supporti, tra i quali vi sono schegge e
frammenti di lame e lamelle, mentre mancano gli strumenti; i
resti dei supporti hanno spesso forma regolare con sezione
triangolare o trapezoidale. Quasi tutti i manufatti di selce
presentano una patina bianca coprente. I resti ceramici sono
tutti del tipo d'impasto e di piccole dimensioni. Una
particolarità del sito è il rinvenimento eccezionale in alcuni
avvallamenti riempiti dall'US 5 di numerosi resti ossei di fauna,
fortemente frammentati, ma in buone condizioni di
conservazione che si auspica possano essere presto
determinati.
I resti paleobotanici
I macroresti vegetali carbonizzati sono poco numerosi: tra essi
sono stati individuati cariossidi di un frumento non meglio
determinato (Triticum sp.) e di pabbio (Setaria viridis), oltre a
diversi frammenti di gusci di nocciole (Corylus avellana). Poco si
può dire sul frumento, mentre l'abbondanza delle nocciole che sembra documentare un sistema specializzato di raccolta è in sintonia con quanto già noto per il Neolitico friulano.
Interessante la presenza del pabbio, una graminacea infestante,
affine alla specie coltivata (il panìco, Setaria italica). La coltura
in Europa del panìco sembra diffondersi solo nell’età del
Bronzo, a partire da forme domesticate in Estremo Oriente,
ma è possibile che in altre aree dell’Eurasia siano avvenute
domesticazioni secondarie e che la specie selvatica fosse già
occasionalmente raccolta. I pochi resti di legno carbonizzato
confermano la presenza di un querceto misto spezzato da
radure lungo i cui margini crescevano pruni, noccioli e
pomoidee (melo, pero, sorbo e biancospino). Come è noto,
(US 1)
Fig. 7
l'abbondanza di questi ultimi sembra dipendere non soltanto
dall'apertura del bosco per creare spazi agricoli, ma anche per
disporre di siepi vive da sfruttare per la recinzione delle aree
coltivate, la produzione di legname minuto e la raccolta di
frutti eduli.
Considerazioni
Benché le evidenze messe in luce non siano molto estese e
risultino di non facile interpretazione, la scoperta è di grande
interesse, perché conferma l'importanza della pianura a sud di
Udine per lo sviluppo degli abitati delle comunità neolitiche
friulane. L'area doveva infatti essere densamente popolata da
piccoli insediamenti di agricoltori e allevatori che si spostavano
nel tempo in relazione alla disponibilità delle risorse primarie.
Pur mancando materiali caratteristici e utili ad una precisa
assegnazione cronologico-culturale del sito, vari elementi
dell'industria litica e i pochi frammenti fittili recuperati sono a
favore di un'attribuzione al primo Neolitico sulla base di
quanto noto a Sammardenchia, Pavia di Udine e in altri siti
neolitici friulani.
Bibliografia di riferimento
FERRARI, A. & PESSINA, A. (a cura di) 1996. Sammardenchia e i primi agricoltori del
Friuli, Udine.
FERRARI, A. & PESSINA, A. (a cura di) 1999. Sammardenchia-Cûeis. Contributi per la
conoscenza di una comunità del primo Neolitico. Pubblicazione n. 41 del Museo Friulano di
Storia Naturale, Udine.
FONTANA, A. 1999. Aspetti geomorfologici dell'area di Sammardenchia. In A.
FERRARI & A. PESSINA (a cura di), Sammardenchia-Cûeis. Contributi per la conoscenza di
una comunità del primo Neolitico. Pubblicazione n. 41 del Museo Friulano di Storia
Naturale, Udine, pp. 11-22.
FONTANA, A., MONEGATO, G., DEVOTO, S., ZAVAGNO, E., BURLA, I. &
CUCCHI, F. 2014. Geomorphological evolution of an Alpine fluvioglacial system at
the LGM decay: the Cormor type megafan (NE Italy). Geomorphology 204, pp. 136-153.
PESSINA, A., FIAPPO, G. C. & ROTTOLI, M. 2003. Un sito neolitico a Pavia di
Udine. Nuovi dati sull’inizio dell’agricoltura in Friuli. Gortania 25, pp. 73-94.
ROTTOLI, M. 1999. I resti vegetali di Sammardenchia-Cûeis (Udine), insediamento
del Neolitico antico. In A. FERRARI & A. PESSINA (a cura di), Sammardenchia-Cûeis.
Contributi per la conoscenza di una comunità del primo Neolitico. Pubblicazione n. 41 del
Museo Friulano di Storia Naturale, Udine, pp. 307-326.
ROTTOLI, M. & PESSINA, A. 2007. Neolithic agriculture in Italy: an update of
archaeobotanical data with particular emphasis on northern settlements. In S.
COLLEDGE & J. CONOLLY (eds.), The origins and spread of domestic plants in southwest
Asia and Europe, Walknut Creek, pp. 141-154.
(Evidenza 3, US 7)
(Evidenza 1, US 5)
Fig. 8
Fig. 9
Fig. 10