Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014 Cultura 29 italia: 57565156525750 PECHINO La prima rivista di autori cinesi in italiano Traduttori cercansi Pechino pubblicherà una rivista in lingua italiana interamente dedicata alla letteratura cinese: la prima, esultano i curatori. Uscirà a luglio, il progetto ricalca quello di «Pathlight», trimestrale in inglese. La versione italiana, cadenza annuale, fa capo alla casa editrice Letteratura del Popolo (Renmin Wenxue). Se cinesi sono il responsabile, Shi Zhanjun, e uno dei due direttori editoriali, italiane sono l’altro direttore editoriale, Patrizia Liberati (tra le nostre più apprezzate traduttrici dal cinese, sue le versioni recenti del Nobel Mo Yan), e la vice, Silvia Pozzi (Università di Milano Bicocca). Spiegano Liberati e Pozzi: «Abbiamo deciso di dedicare il numero inaugurale alle “nuove voci”, con poesie e prose di autori mai prima editi in italiano». Alla rivista, che sarà acquistabile online e distribuita nelle università e negli 11 istituti Confucio d’Italia, aderiscono traduttori noti ma la partecipazione è aperta a chi sta fuori dai circuiti editoriali. Cesare Segre nel suo studio nel 2005 (foto Leonardo Cendamo/Grazia Neri) gia ricciardiana La prosa del Duecento è del ‘59 , preceduta da quella dei Volgarizzamenti medievali, 1953). Non manca di occuparsi dei romances spagnoli, sempre animato da quell’«atteggiamento sperimentale» e per niente dogmatico che Gian Luigi Beccaria ha messo in evidenza introducendo il «Meridiano». Segre si definiva philologus in aeternum. Dunque è normale che per lui la semiotica venisse dopo lo studio puntuale della tradizione del testo, al punto che a un allievo, come me, che trovò il coraggio di chiedergli la tesi, raramente proponeva scappatoie strutturaliste, ma chiedeva di affrontare edizioni critiche (pura ecdotica, come direbbero gli esperti) di impegno spesso immane (personalmente mi ritrovai alle prese con il volgarizzamento duecentesco del De regimine principum di Egidio Romano: 800 pagine di sola trascrizione testuale!). La severità era uno dei suoi tanti meriti. Ciò non toglie che quel che poi l’avrebbe interessato è il nesso tra lingua, cultura e società a ogni altezza temporale e spaziale. Ciò che produce una raffica di saggi, raccolti in volumi capaci di anticipare sempre i tempi, da I segni e la critica (1969) a Semiotica filologica (1979), a Intrecci di voci (1991) e oltre, fino a Critica e critici (2012), in cui Segre mette in gioco lo statuto della critica, tra accademismo esasperato e sciatterie giornalistiche, due estremi che non sopportava. Lettore inquieto, e perciò dialogante con tutto e con tutti (anche con critici estremamente lontani dalla sua vocazione «iperrazionalistica», come Roland Barthes), ha sposato la critica formale (sulle orme di Jakobson e degli altri russi fino a Lotman: di Jakobson fu amico e ricordava una notte di nebbia fittissima in auto con lui, che chiacchierava come nulla fosse, di ritorno da Pavia) senza farne un’ortodossia metodologica, anzi superandola dopo averne ricavato il massimo A 360 gradi Il Meridiano Mondadori dell’«Opera critica» appena uscito testimonia la varietà degli interessi dei risultati. Il testo letterario è sempre, per Segre, nonostante gli sforzi di modellizzazione e la capacità di disegnare ampie tipologie, una creatura bifronte di forme e contenuti, frutto di un’esperienza vissuta. Ha «osato» spingersi lungo il filone «espressionistico» avvistato da Contini, ma svoltando poi verso altri lidi. Sempre da protagonista ha messo a frutto la lezione di Michail Bachtin sulla narrazione polifonica come pluralità di registri, di strati sociali, di punti di vista, valorizzando il livello anche sociologico. Ha elaborato le nozioni di «intertestualità» e «interdiscorsività», mostrandone la fertilità nella lettura dei testi medievali, ma anche delle opere di Carlo Emilio Gadda, di Vincenzo Consolo, di Guido Morselli, di Luigi Meneghello, e spaziando anche da Cervantes a Beckett con un dominio di mezzi che nessuno della sua generazione (non solo in Italia) ha avuto. Ha voluto indagare negli «altri mondi», con un volume che raccoglie saggi sulle opere che mettono in scena l’aldilà o realtà alternative, si tratti di luoghi di morte o di follia. Si è spinto verso il teatro e verso il linguaggio visivo: «Il mio interesse per l’arte — ha scritto — precede, nella mia biografia, quello per la letteratura». La tentazione di virare verso la critica d’arte è sempre stata forte. Ma negli ultimi anni, quel che più lo interessava era, letteratura o no, la finalità che suggerisce a un artista di mettersi all’opera. Una questione di etica. E di politica. Il mondo intorno, la situazione italiana, il dissesto del Paese e in generale dell’Europa entravano sempre di più nei suoi discorsi quando ci si incontrava a cena con sua moglie, Marisa Meneghetti (allieva di Gianfranco Folena e filologa romanza anche lei), e con gli amici, primi tra tutti Corrado Stajano e Giovanna Borgese. Ricordava volentieri la sua amicizia con Primo Levi e non nascondeva il dolore per la sua morte voluta, evocava di continuo l’incubo notturno ricorrente di trovarsi su un treno diretto ad Auschwitz (dove erano finiti cinque tra suoi zii e cugini), esprimeva senza riserve la passione assoluta per Kafka, non riusciva a sottrarsi alla depressione che negli ultimi tempi non lo abbandonava (specie dopo la morte del fratello Carlo), ritornava spesso sulla convinzione di sentirsi un asociale. «Apolitico con la passione per la politica» e con una grande amarezza, dopo le speranze uscite dalla Liberazione, Cesare Segre non poteva che approdare al tema ultimo dell’etica in letteratura: «Ho cominciato a scrivere su Primo Levi solo dopo la sua morte. È proprio verso la fine degli anni Ottanta che mi sono sentito in grado di esprimermi sulla Shoah e sui suoi testimoni». In uno dei suoi ultimi scritti per il «Corriere della Sera», a cui collaborava (da maestro anche come «giornalista») dall’88, si interrogava sul pericolo terribile — per lui un’angoscia — di perdere la memoria collettiva dell’orrore una volta morti i suoi testimoni diretti. Chi ha avuto il privilegio e la fortuna di conoscere Segre non correrà mai questo rischio. Grazie, Cesare, non solo per questo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Due racconti di Di An (nella foto) e Lu Min e sei poesie di Sun Lei sono a disposizione di chi volesse cimentarsi e verranno scelte le versioni migliori. «Inseriremo — conclude Liberati — i dettagli delle case editrici cinesi detentrici dei diritti, per facilitare i contatti con quelle italiane interessate». Marco Del Corona @marcodelcorona © RIPRODUZIONE RISERVATA L’esempio L’impegno civile fu la bussola nonostante le delusioni Sperimentò le persecuzioni e non scelse la torre d’avorio di CORRADO STAJANO N on ha fatto in tempo, Cesare, a goder la festa cui diceva di tener tanto, la festa per la sua Opera critica, il Meridiano uscito in febbraio. Chissà se poi ci credeva veramente o fingeva anche con gli amici, dopo che il male dal primo di agosto dell’anno scorso l’aveva assalito. Si era rotto una vertebra a Cortina, ma il vero tormento era nascosto nel corpo sofferente. Diceva di non sapere, lui abituato a scovare le varianti di un frammento nelle pieghe delle pagine degli amati scrittori di secoli lontani e anche di oggi. Il suo corpo doveva essere per lui come quelle righe impresse sulla carta antica e nuova su cui fin da ragazzo aveva curvato gli occhi e l’anima. Era stato adulto fin da piccolo, Cesare Segre, nato a Verzuolo, in Piemonte, nel 1928, passato attraverso le tragedie del Novecento che gli avevano plasmato la vita e che non aveva mai dimenticato, tra passato e presente. Quel sorrisino che si captava sempre nei suoi occhi acuti era il suo segno. E spesso non si capiva se era ironico, deridente nei confronti delle sciagure e delle bassezze umane o soltanto triste per un Paese che con le opere e gli scritti aveva sempre cercato di render migliore, più civile, rispettoso della cultura e della sua Storia. Philologus in aeternum scrisse nel 1984 in un’intervista immaginaria pubblicata su «Belfagor». Ma non fu certo un filologo della normalità. Un filologo della complessità, piuttosto, sempre aperto al nuovo, cancellatore degli schemi. Usò gli strumenti della stilistica, poi dello strutturalismo, poi della semiotica cercando sempre di mantenere un equilibrio nell’interpretazione dei testi letterari, un punto d’incontro tra la volontà dell’autore, del critico, del lettore. Si considerava simile a un restauratore, felice quando riapparivano, come per miracolo su un muro, i colori originari di una pittura malamente guastati. Era sempre alla ricerca del Le date 1928 Cesare Segre nasce a Verzuolo, in provincia di Cuneo, il 4 aprile 1938 Il 5 settembre entrano in vigore le leggi razziali. Segre, ebreo, sarà costretto a lasciare il ginnasio del Liceo Alfieri di Torino, città dove si laureerà in Storia della lingua con Benvenuto Terracini 1950 Si stabilisce con la famiglia a Milano 1954 Ottiene la cattedra di Filologia romanza a Trieste 1956 Insegna a Pavia, dove manterrà la cattedra per quasi mezzo secolo 1969 Esce il suo primo libro metodologico, «I segni e la critica» (Einaudi), che verrà tradotto in spagnolo, inglese e portoghese 1988 Cesare Segre diventa collaboratore del «Corriere della Sera» 2014 Il 16 marzo muore a Milano nuovo, non lo disdegnava mai, lo mescolava, invece. Chi lo ascoltava parlare con quella sua voce appena sussurrata non immaginava il suo fervore di giocatore della letteratura e della storia, la sua passione, l’amore per la sfida. Le persecuzioni della prima giovinezza, gli anni trascorsi nascosto nel collegio della Madonna dei Laghi, ad Avigliana, furono nodali per lui, sempre dalla parte delle vittime, dei perseguitati. Fu un cittadino fedele di libertà e giustizia, maestro di se stesso, allora, lettore onnivoro. E dopo fu fedele sempre ai suoi maestri, erede e rinnovatore della loro lezione: Santorre Debenedetti, fratello della nonna paterna, personaggio mitologico ed eccentrico, storico erudito; Benvenuto Terracini, il secondo grande maestro, professore di Storia della lingua e di Glottologia, con cui si laureò; e Gianfranco Contini, il terzo maestro, critico ed editore di testi, del quale fu il più giovane degli allievi. Per la loro influenza, era solito dire, aveva assorbito le tre diverse tendenze della filologia, arricchendo così il suo repertorio di idee e le sue possibilità di uomo e di studioso. Era un uomo curioso che odiava la mediocrità. Sempre in guardia, il più delle volte deluso. La gioia della liberazione fu breve, i fascisti erano rimasti, ai loro posti. Provò la stessa delusione dopo il fallimento del centrosinistra; il ‘68 non lo scandalizzò; nel 1994 dopo la vittoria elettorale del Polo della Libertà sentì il pericolo e promosse con persone di grande e di piccolo nome della cultura italiana il Manifesto democratico, un’azione ribelle. Non restò mai chiuso nelle torri d’avorio. L’impegno morale e civile gli fecero da bussola. Sostava certe volte malinconico davanti alle piccole lapidi dei ragazzi partigiani con le loro coroncine appassite. Per quale Italia?, diceva come a se stesso ma non rinunciava a fare. © RIPRODUZIONE RISERVATA Buchmesse Segni di ripresa del mercato in Germania, Amazon diventa editore in proprio di testi in tedesco. E le bugie di Sascha Arango arriveranno in Italia Lipsia fa i conti: i manga giapponesi aiutano i libri e i libri aiutano se stessi da Lipsia RANIERI POLESE C on un record di presenze (237 mila visitatori, contando insieme i 175 mila che hanno preso d’assalto i padiglioni della Buchmesse e gli oltre 120 mila che hanno seguito incontri in città) si è chiusa l’edizione 2014 della Fiera di Lipsia. Un risultato che conferma il buon andamento del mercato librario in Germania: la crisi degli ultimi anni, dice l’Associazione dei librai tedeschi, si è arrestata. C’è poi un altro segnale confortante, il pubblico sta tornando a comprare nelle librerie tradizionali. Insomma, è il commento generale, la campagna per la promozione del libro («Vorsicht Buch!», Attenzione: libro) partita da Lipsia l’anno passato, sta dando i suoi frutti. Manga über alles. Fra le ragioni dell’aumento di visitatori, comunque, c’è anche la decisione della Fiera di tenere la prima Manga-Comic Convention a Lip- sia. Un evento che ha moltiplicato l’afflusso di giovani cosplayer, i ragazzi che si vestono come i personaggi dei fumetti (oltre 30 mila). Ai manga è stato dedicato un intero padiglione, con stand di editori, merchandising e sale di proiezione di anime (cartoni animati): sabato e domenica si è registrata una vera invasione. Crepuscolo dei libri? Presentato alla Fiera, il volume del libraio-editore di Berlino Detlef Bluhm raccoglie, sotto un titolo wagneriano (Büchedämmerung, Crepuscolo dei libri), vari saggi che si interrogano sul futuro del libro di carta. Sopravviverà alla rivoluzione dell’editoria digitale? E la figura dell’editore è destinata a sparire? Quasi a dar sostegno ai più foschi presagi è arrivata la notizia che anche in Germania Amazon diventa editore in proprio di libri in tedesco (finora avevano pubblicato traduzioni in inglese di autori tedeschi). Un fenomeno, quello del self-publishing, che già esisteva: pub- blicata on line, la serie krimi Berlin Gothic di Jonas Winner è diventata un bestseller. Ma la forza del colosso Amazon, ovviamente, non può non spaventare. Per l’Ucraina. Per il terzo anno alla Fiera, il programma Tranzyt riuniva autori e intellettuali ucraini, polacchi e bielorussi. Da sempre attenta ai Paesi del vicino Est, Lipsia ha quest’anno dato voce agli scrittori ucraini che difendono l’indipendenza della loro nazione. Juri Andruchowytsch ha chiesto all’Europa di non assistere impassibile all’avanzata di Putin, ma di sostenere il governo di transizione e le forze democratiche. Intanto, Bestseller L’editore Nord porta da noi le 976 pagine del thriller sul Medio Oriente di Frank Schätzing sul muro della Nikolaikirche, la chiesa protestante da cui partì nel 1989 la Friedliche Revolution, il movimento di protesta contro il regime della Ddr che portò alla caduta del Muro, è stata posta una bandiera ucraina. Krimi & bestseller. Subito primo in classifica con il nuovo Breaking News (Kiepenheuer & Witsch), Frank Schätzing ha fatto il tutto esaurito nei numerosi incontri fuori e dentro la Fiera. Bestseller mondiale con le fantasie eco-apocalittiche del Quinto giorno (2004), Schätzing ha scritto un thriller politico sul conflitto tra israeliani e palestinesi, 976 pagine in cui si mescolano personaggi d’invenzione con i protagonisti della storia del Medio Oriente. In Italia uscirà da Nord edizioni. Ancora acquisti italiani: Marsilio si è aggiudicato Die Warheit und andere Lügen (La verità e altre bugie, Bertelsmann) di Sascha Arango, per la critica il miglior esordio della stagione. Molto applaudito Dalla tv Lo sceneggiatore Sascha Arango (1959) è l’autore del romanzo «La verità e altre bugie» che verrà pubblicato in Italia da Marsilio nell’auditorium della televisione Mdr, Arango, padre colombiano madre tedesca, sceneggiatore della serie televisiva Tatort, ci dà il ritratto di un bugiardo perfetto, lo scrittore Henry che vive imbrogliando gli altri. Ma da impostore a mostro il passo sarà breve... Ancora un debutto, quello di Katja Eichinger, la vedova di Bernd Eichinger, il geniale produttore morto nel 2011, cui si debbono film come Cristiana F, Il nome della rosa, Hitler-La caduta e La banda Baader-Meinhof. Katja ha appena pubblicato American Solo (Metrolit). Una storia di follia che si svolge a Los Angeles, ma che ricorda il sequestro dell’austriaca Natascha Kampusch: un musicista pazzo rinchiude nella panic room di casa sua una ragazza con l’intenzione di creare la donna perfetta. «Mio marito» ha detto la Eichinger «avrebbe voluto fare un film sulla Kampusch. Ora io ci ho scritto un romanzo». © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 8727381
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