Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino¶15 dicembre 2014¶N. 51 9 Società e Territorio Rubriche L’altropologo di Cesare Poppi Dove non osarono i greci Malta deve essere l’unico posto al mondo dove uno si mette a chiacchierare con un negoziante di liquori e quello gli rivela di essere stato un agente del Mossad, i servizi segreti israeliani. «Lei di sicuro sta scherzando» deglutisce nervoso l’Altropologo, che col Mossad ha avuto un solo diciamo «incontro» anni fa durante un tentativo di colpo di stato in Ghana e dell’evento non conserva un gran bel ricordo. «Un agente del Mossad non va certo a dirlo in giro». Quello ride – una risata da mercante levantino. Il suo negozio – anzi, di suo figlio – farebbe più figura in un suq del Maghreb che al limite estremo del Corso Repubblica, la strada più chic di La Valletta impaccata di turisti. Polvere e disordine fra bottiglie scompagnate e cartoni semiaperti ingombrano il passaggio che uno non sa dove trovare cosa. Prezzi da gladiatori, come dicono a Roma, che si deve cercare sotto gli scaffali per trovare una bottiglia di gin che non ci voglia un mutuo in banca... Insomma, quello ride e fa: «Quando un agente va in pensione può anche dirlo, anzi, gli conviene farlo», insiste. La cosa mi incuriosisce: «E perché?!». Quello lancia uno sguardo a trecentosessanta gradi tutt’attorno quella sua tana di negozio, sorvola in ricognizione il banchetto che ha sistemato in mezzo alla strada con paccottiglia di poco conto. Soddisfatto mi pianta di nuovo addosso quel suo sguardo tornato sonnolento, glissa e mi fa: «Qui a Malta mi hanno sempre lasciato tranquillo. Lo sanno tutti che è meglio così, non crede?». Ci salutiamo con un shalom – e mi faccio di nebbia nella folla del corso. Posto strano, Malta. Piantata in mezzo al Mediterraneo ad ottanta chilometri dalla Sicilia eppure distante da quella anni luce. C’è più Sicilia a New York che non a Malta e la sensazione permane anche se uno cerca di convincersi che – dati i legami storici, politici e culturali fra le due isole qualcosa in comune dovrà pur esserci. Il problema è trovarlo, quel «qualcosa». Uno allora dice: certo saranno i pastizzi, prodotti da forno dolci e salati sfornati a tutte le ore del giorno dalle innumerevoli pastizzerie. Tempo sprecato: qualche lontana analogia, qualche vago ricordo. Gli arancini sono arancini, modo siculo e dunque solo importati ma non assimilati alla cucina o alla lingua locale. Che è una lingua fare perché aprono scenari inaspettati) che sia per un residuo, impellente bisogno di distinguersi comunque da una variazione sul tema che ha definito la sorte delle isole maltesi, poi il loro carattere, ed infine il loro diventare Nazione, costruendo una identità che sensori intelligenti sentono pulsare accanto alla cacofonia delle influenze esterne (solo) apparentemente dominanti. Provate a pensare: con la caduta del Regno di Gerusalemme fondato con la Prima Crociata, il potente Ordine dei Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme si ritira a Cipro, e di qui nel 1309 strappa Rodi ai Bizantini per farne la base permanente e centrale dell’Ordine, che cambia la sua line of business dalla cura dei poveri e dei pellegrini alla guerra di corsa: fare i corsari rende molto di più. Quando Costantinopoli cade nel 1453 il primo obiettivo del Gran Turco è di cancellare il cancro dei Cavalieri dalle acque vicine: nel 1522, in sei mesi 200’000 turchi costringono i 7000 armati cristiani a fuggire in Sicilia. Nel 1530 il re di Spagna assegna Malta agli ex-cavalieri di Rodi come nuova sede dell’Ordine e bastione ultimo contro il pericolo che «Alla» diventi «Allah» da Malta alle Isole Lafoten (mi spiego?). È come se da un momento all’altro il Canton Ticino fosse dato agli Americani (intendo i gringos statunitensi) con licenza di perseguire da lì i loro interessi geopolitici. Il rapporto fra i Cavalieri, allora come ora organizzazione transnazionale problematica e misteriosa, e l’Isola di Alla fu complesso, difficile – e forse ancora da capire fino in fondo. Poi la dominazione Napoleonica, quindi quella Inglese: e questi sempre lì a invocare, pregare, cantare Alla col marchio Santa Romana Chiesa. Malta è la Melita dei Romani: ovvero «L’Isola del Miele». Perché i Greci, grandi colonizzatori che spremevano sangue dalle pietre, non vi abbiano mai messo piede resta per me un mistero. Qui, già dall’Età del Bronzo, si costruivano templi su di una scala che supera di gran lunga qualsiasi altro edificio coevo in Europa. Alla u akbar – in salsa maltese, dunque? È bello pensare che i Greci avessero capito che le Isole del Miele erano Altro, e se ne siano tenuti alla larga. Di certo l’Altropologo in questo sbaglia: ma è un errore che fa pensare. ove s’incontrano i primi, secondi e talora terzi coniugi, con i rispettivi congiunti. In questi casi accade che i bambini si chiedano «papà di chi?». In mezzo si collocano le famiglie monosessuali, dove i genitori sono due maschi o due femmine. Mutamenti così repentini possono provocare un certo disorientamento e accade che alcuni, meno adattabili, decidano di fuggire lontano, trascorrendo i giorni di festa in crociera, oppure nel chiuso di una baita di alta montagna o su una spiaggia assolata dei Caraibi. Cito per ultimi, perché non fanno notizia, i nuclei tradizionali che ricalcano la famiglia dei nonni, quella che lei ricorda come un reperto storico. Immagino che tra commensali disomogenei s’intreccino discorsi più interessanti rispetto a quelli di un tempo, che finivano spesso col parlare di interessi e di soldi, e che le vivande preparate dalle nuove famiglie comportino variazioni rispetto al menù tradizionale. Non a caso la prossima Expo è dedicata all’alimen- tazione del mondo. Tuttavia vorrei, da «bambinologa» quale sono, assumere ancora una volta il punto di vista dei bambini che, del Natale, costituiscono i principali protagonisti. Loro, insieme ai nonni, sono i paladini della tradizione e, come tali, vogliono che i riti si ripetano, che la continuità si affermi, che la sorpresa dei regali sia incorniciata dalla stabilità della situazione e dalla consuetudine dei gesti. Quando tutto cambia, la novità si disperde nella confusione. Meglio che la cena della vigilia e il pranzo di Natale comprendano, come asse portante, i piatti tipici della zona e della famiglia. Su questa base sicura si possono introdurre variazioni marginali ma l’attesa non può essere disattesa. Proprio perché l’età evolutiva comporta continui cambiamenti, cerchiamo, come accade sulla scena teatrale, che lo sfondo rimanga stabile in modo che a muoversi siano gli attori, non il fondale. Il meglio di ogni festa si condensa nei preparativi, nella prefigurazione e nell’aspettativa di ciò che avverrà. Quella tensione gioiosa non si dimentica più e rimane nella mente come la musica di fondo dei Natali della nostra infanzia. Nelle ricorrenze fondamentali tutto è importante, non esistono particolari insignificanti: sono importanti gli addobbi, i profumi, il modo con cui si apparecchia la tavola e si serve il cibo, come sono incartati e disposti i regali sotto l’albero. I bambini, anche se non lo danno a vedere, osservano e memorizzano tutto. Ma, più saggi di noi, sanno che il senso del Natale non risiede nelle cose ma nell’amore che le illumina e riscalda. Perciò una cosa soprattutto chiedono: di volerci tutti bene, almeno per un giorno. ziarie di chi lo compie e per scopi non più utilitaristici. Certo, esistono ancora cani destinati a mansioni specifiche: da caccia, da guardia, al servizio di pastori, poliziotti, soccorritori, ciechi, e via dicendo. Ma, per la stragrande maggioranza dei proprietari (denominazione politicamente corretta che sta sostituendo quella di padrone) il cane significa un compagno di svaghi, una presenza viva che riempie una solitudine, un hobby stimolante o consolatorio. Ciò che chiede il tempo necessario per occuparsene e, di conseguenza, è diventato un tipico attributo della società del tempo libero. E ha rappresentato, addirittura, un sintomo di libertà politica. Negli anni 70, avevo conosciuto una Mosca senza cani: «Sono un attributo borghese», raccontavano le guide. Ora, proprio quest’aspetto, di tipo classista, è andato perso. Possedere un cane, insomma, non è più una questione di ceto. Si tratta, piuttosto, di una scelta individuale che fa capo a motivazioni diverse: amore per il mondo animale, piacere per le camminate, bisogno di sicurezza, non da ultimo spirito di sacrificio. Il dare-avere regola anche questo rapporto, in cui il proprietario può pagare ad alto prezzo la compagnia del suo amico più fedele: diventandone schiavo. Come succede soprattutto d’estate: quando per via del cane c’è chi rinuncia a viaggi e vacanze. Ma c’è un rischio peggiore: quando si cede alle tentazioni del consumismo cinofilo. Ne è un esempio clamoroso, il reparto cani di Harrod’s, a Londra, dove è in funzione una Spa e un servizio hairstyling e manicure per quattrozampe d’alto bordo. Al di là di questi risvolti grotteschi, la proliferazione dei cani fa vivere un fiorente settore industriale e commerciale e ha creato nuove specializzazioni professionali. Fra cui, la più praticata, in particolare da giovani disoccupati, è il dogsitter: che porta a spasso il cane, anche per svolgere le sue più intime necessità. E proprio questa cacca ha costituito, per anni, un motivo di dispute. Quante volte, mi sono sentita ripetere: «Perché non scrive un articolo sui cani che imbrattano la città?». Allarme, a quanto sembra, rientrato. I proprietari sono spesso muniti di sacchetto e paletta. Con ciò, l’avvento di questa popolazione a quattro zampe non manca di provocare situazioni imbarazzanti: nei bar, nei ristoranti, nei giardini pubblici, persino in gallerie d’arte e musei, dove vigono regole fluttuanti. Cani sì o cani no? Fatto sta che, ogni tanto, scoppia una disputa. punico-fenicia, della famiglia semitica come l’aramaico, l’arabo e l’ebraico: sentire parlare maltese ai numerosi caffè dove i notabili del quartiere si radunano per un caffè che dura tre ore di conversazione secondo quella virtù tutta (quella sì!) panmediterranea di trovare nella conversazione tale e quale una ratio per vivere è un’esperienza straniante. Cadenza, fonetica e gestualità sono senza dubbio siciliane, o forse anche calabresi e pugliesi, se proprio vogliamo gettare larga la rete: poi uno si avvicina e – invece – invece quello «è arabo» – uno improvvisamente s’accorge (anche se non è perché semmai è l’arabo ad essere come il punico, il fenicio o il berbero prima di diventare quella lingua globale che ne ha fatto l’Islam). E lo straniamento prende ancora più forza quando uno entra in chiesa: piene di gente come l’Altropologo si ricorda fossero le chiese a Bologna fino ai primi anni Sessanta, nelle chiese parrocchiali maltesi Dio si invoca, si prega e si canta col nome di Alla. Mi domando perché «Alla» e non «Allah» e mi piace pensare (su questo vi garantisco che anche l’Altropologo si sbaglia, ma ci sono errori che val la pena La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi A Natale, indovina chi viene a cena? Cara Silvia, oltre alla varietà dei personaggi che, a Natale, portano i doni ai bambini (San Nicolao, Babbo Natale, Gesù Bambino, la Befana e, come segnala una lettrice, i Re Magi) vorrei segnalarle la varietà delle persone che siederanno alla nostra tavola per la cena della Vigilia e il pranzo successivo. Quando ero bambina i commensali eravamo noi figli, i nonni e i genitori. Ora, anche noi abbiamo tre figli ma, alla fine, ecco come si è ramificato il nostro albero genealogico. Eleonora, la maggiore, sposata con un medico italiano, verrà col marito e la figlia diciottenne, indiana, adottata quando aveva sette anni. Il secondogenito, Michele, arriverà da Buenos Aires con la moglie argentina e due gemelle di otto anni. Il terzo, Nicola, interverrà con la compagna, proveniente dal Madagascar, il figlio dodicenne di lei e il loro piccolo, di due anni. Non sembra una seduta dell’ONU? Che ne dice? / Marta Cara Marta, dico che non ci sono più i Natali di una volta. Ma non recriminiamo perché il mondo cambia e non è detto che cambi sempre in peggio. Che s’incontrino, in un clima di convivialità e di festa, persone provenienti da varie parti del mondo costituisce una opportunità per aprire le porte della casa, della mente e del cuore. In fondo le famiglie a denominazione di origine controllata, rischiavano di soffocare per eccesso di prossimità e somiglianza. Spesso, nelle grandi occasioni, scoppiavano litigi rimasti proverbiali. Ora invece l’eterogeneità delle costellazioni familiari rende difficile fare confronti e stabilire gerarchie di merito e di valore. Ognuno vive come può e come vuole. La famiglia modello non esiste più. Infranti gli stampi della tradizione, assistiamo alla costituzione delle forme più svariate. Si va dalla taglia extra small, composta da un solo genitore con il figlio, quasi sempre unico, a quella extra large, costituita assemblando due o più nuclei familiari, Informazioni Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a [email protected] Mode e modi di Luciana Caglio Largo ai cani, nuovi concittadini Sono più di 28 mila i cani ufficialmente registrati in Ticino, come dire uno ogni dieci cittadini adulti. Questa volta, il dato statistico non stupisce. Coincide, infatti, con l’esperienza vissuta nella nostra quotidianità: dove balza all’occhio la crescente presenza di questi amici dell’uomo. Di questa convivenza offre un’immagine rivelatrice il sabato mattina in città: un momento e un luogo, destinati all’abitudine degli acquisti familiari e al rito degli incontri spontanei, fra amici, conoscenti o sconosciuti. Proprio qui, con le persone, compaiono, sempre più numerosi, i cani. Magari non soltanto uno, ma due o tre, appartenenti allo stesso proprietario, che, a volte, sentendosi osservato, spiega: «Anche loro, come i bambini, soffrono se sono unici». L’allusione ai bambini, del resto, non è campata in aria. Segno dei tempi di bassa natalità, gli amici a quattro zampe sono chiamati, non di rado, a sostituire, sul piano affettivo, un figlio o un nipotino. Tanto da suscitare un imbarazzante interrogativo, d’ordine etico, demografico e persino religioso : c’è, insomma, un nesso fra culle vuote e canili pieni? Risposta da lasciare, evidentemente, agli specialisti del pensiero alto. Mentre, da cronisti semplicemente curiosi, ci spetta il compito di decifrare un fenomeno, sempre più diffuso, per individuare le cause che l’hanno prodotto e degli effetti che produce. Perché, la constatazione è persino scontata, questa proliferazione canina non viene dal nulla. È frutto delle concomitanze, politiche, sociali, economiche, che definiscono un’epoca. Oggi, infatti, comperare un cane rappresenta, innanzi tutto, un gesto consumistico, che dimostra le possibilità finan-
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