sedia della felicita - Cineforum Sanbonifacio

FEDERAZIONE ITALIANA DEI CINEFORUM
www.cineforumsanbonifacio.it
CINEFORUM DI
SAN BONIFACIO (VR)
SEDIA DELLA FELICITA’ (LA)
Un tesoro nascosto in una sedia, un’estetista e un tatuatore che, dandogli la caccia, si
innamorano, un misterioso prete che incombe su di loro come una minaccia. Dapprima rivali, poi
alleati, i tre diventano protagonisti di una rocambolesca avventura che, tra equivoci e colpi di
scena, li vedrà lanciati all’inseguimento dai colli alla pianura, dalla laguna veneta alle cime
nevose delle Dolomiti.
REGIA
Carlo Mazzacurati
SCENEGGIATURA
Carlo Mazzacurati,
Doriana Leondeff,
Marco Pettenello
FOTOGRAFIA
Luca Bigazzi MONTAGGIO
Clelio Benvento
MUSICHE
Mark Orton
INTERPRETI
Valerio Mastandrea,
Isabella Ragonese,
Giuseppe Battiston,
Katia Ricciarelli, Raul
Cremona, Daniele
Mazzocca, Milena
Vukotic, Roberto
Citran, Mirko Artuso,
Roberto Abbiati,
Natalino Balasso
PRODUZIONE
Bibi Film, Rai Cinema
DISTRIBUZIONE
01 Distribution
Un impossibile “documentario fantastico” sul nostro irriconoscibile Nordest. Una
commedia svitata zeppa di figure strampalate e folgoranti. Uno sfrenato giallo
comico, ispirato a un romanzo russo già usato fra gli altri da Mel Brooks. Ma
soprattutto un’esilarante “summa” del cinema di Carlo Mazzacurati, che dai tempi
di Notte italiana, 1987, non ha mai smesso di cercare tesori nascosti nell’infinita
provincia italiana.
Crudele paradosso: il film più vitale della stagione lo ha fatto un regista scomparso
nel frattempo. Che però qui trova una foga e insieme una grazia destinate a
moltiplicare il divertimento e il rimpianto. La motivazione del Premio alla carriera
assegnatogli dall’ultimo Festival di Torino parlava del suo amore per «i vizi e le
intuizioni» di un popolo sempre più «confuso e disperato»: il nostro. Ma per
Mazzacurati, qui più che mai, disperazione fa rima con azione. E i suoi personaggi
non stanno mai fermi, come nelle grandi “screwball comedies” anni Trenta.
Ecco dunque il tatuatore Valerio Mastandrea, arenato a Jesolo chissà perché, che a
forza di incidere epidermidi inizia a intuire cosa nascondono i suoi clienti, come
uno psicanalista selvaggio. Ecco l’estetista siciliana Isabella Ragonese, altra
“spostata” esperta in sogni e frustrazioni, sentirsi svelare da una criminale in punto
di morte (Katia Ricciarelli) dove ha nascosto uno scrigno di gioielli. Morale: il
tatuatore e l’estetista, uniti dal caso, si lanciano in una folle caccia al tesoro tra
antiche ville abbandonate, officine diventate ristoranti cinesi, preti assatanati e
disinibiti (Giuseppe Battiston).
E poi maghi cialtroni, archiviste sadomaso, pescivendoli incomprensibili, anziane
veggenti malate, banditori di aste tv, montanari pittori naif, quadri dipinti dai
montanari naif, in un crescendo a cui partecipa con affetto mezzo cinema italiano
(Albanese, Vukotic, Orlando, Bentivoglio, Citran…). Con una leg-gerezza che
ignora la satira, palla al piede di tanti film nostrani, per rischiare la pura
invenzione. Vedi l’epilogo, che insinua in tanta frenesia un brivido addirittura
metafisico. Mai “testamento” fu più scanzonato. E profetico, se davvero
Mazzacurati voleva conciliare «il senso di catastrofe, verso cui tutti stiamo
correndo, con l’energia e la voglia di riscatto che nonostante tutto si sente in
Italia».
(Fabio Ferzetti – “Il Messaggero”)
“L'ultima, prima di morire, svelta, coerente, forse la commedia migliore di
Mazzacurati, che in una bizzarra poltroncina di legno e stoffa zebrata mette la
speranza che il Paese ritrovi fiducia e serenità. (...) Dal romanzo del russo Petrov,
che ispirò anche un exploit di Mel Brooks. Le parole di Carlo: «Per una volta
DURATA
volevo dirigere una commedia in cui si ride per l'azione, dove la comicità non fa
98’
“Piccola
patria” di Alessandro
Rossetto,
film forte enéè
necessariamente
sgradevole,
unho
Triveneto
perdere
alla narrazione
realismo néè verità.
E' il ambientato
più comicoinche
fatto, undi
fango e fuliggine, capannoni
industriali,
alberghi sgraziati. Qui si muove un’umanità meschina,
film
che avreiterreni
volutoagricoli,
vedere».”
avida, ansiosa di fuggire. “Schei”, soldi, è la parola d’ordine, e al dialetto veneto e al linguaggio brutale Rossetto
(Silvio Danese, “Nazione - Carlino - Giorno”)
PAESE
ITALIA, 2014
“(…) Ma di che si tratta? In prima battuta si tratta di ritrovare un set di sedie dall’incredibile forma di elefante,
orrendamente pacchiane. Ma le sedie sono state disperse. I nostri cacciatori le trovano una ad una, ne squartano
ansiosi l’imbottitura. Ma niente, non trovano niente. Resta ancora l’ultima, finita nelle mani di due fratelli
montanari, cui manca più di una rotella, isolati su una remota malga dolomitica, uno dei due pittore naif. È
lassù che si celebrerà un finale pazzamente fiabesco, drammatico (per la fine che fa il prete), teneramente
sentimentale per Dino e Bruna. Il racconto si frammenta in mille deviazioni e derivazioni animate da una folla
di personaggini che restano incisi nella memoria, dal mago Kasimir, squallido e volgare cialtrone (Raul
Cremona) all’esotico fioraio del cimitero (Marco Marzocca). O il rozzo fornitore dei macchinari del negozio di
Bruna (Natalino Balasso), con i dipendenti rumeni che, dice, «non sono abituati» a contratto e contributi. O,
ancora, la signora veggente (deliziosa Milena Vukotic) che il prete assatanato tormenta. In mezzo a questa folla
si affacciano quasi tutti gli attori che hanno accompagnato la storia artistica di Carlo Mazzacurati. Roberto
Citran (il pescivendolo incomprensibile), Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio e Silvio Orlando nei panni di
due miserabili banditori di asta televisiva.
Mazzacurati ha lasciato alcune parole introduttive allo spirito del suo film. «Volevo anche che l’umanità di
questo racconto emergesse a volte attraverso le forme del grottesco a volte in toni più lirici, ma la cosa che più
mi stava a cuore era di riuscire a tenere insieme il senso di catastrofe, in cui sembra che tutti stiamo cadendo,
con l’energia e la voglia di riscatto che nonostante tutto si sente nell’aria». Grazie per questa fiaba senza capo
né coda, indicativa di un sentimento che ha permeato tutta l’opera di Mazzacurati: di viva preoccupazione e di
appassionata partecipazione ai guai delle persone e del mondo, ma anche di incrollabile fiducia nelle risorse
umane e soprattutto di quell’umanità che più è sgomenta e poco attrezzata, che più è sospinta ai margini dei
grandi movimenti della Storia.”
(Paolo D’Agostini – La Repubblica).
“Quando Carlo Mazzacurati (scomparso il 22 gennaio scorso a 58 anni) ha girato questo film, l'estate scorsa,
probabilmente sapeva che sarebbe stato il suo ultimo. La malattia che poi l'ha condannato aveva già dato
segnali inequivocabili, nonostante la tenacia e il coraggio con cui il regista padovano l'aveva contrastata e la
dedica «a Emilia e Marina» (cioè alla moglie e alla figlia) sono un'ulteriore prova della sua consapevolezza.
Eppure 'La sedia della felicità' ha poco del «film testamentario», se non il fatto che ripercorre una serie di temi
centrali nella sua carriera di regista (ma proprio per questo non certo nuovi). Piuttosto, possiede una leggerezza
e una delicatezza, autoironiche e vagamente malinconiche, che conquistano e affascinano, e si rivelano come la
vera, preziosa «eredità» che ha voluto lasciarci. Soprattutto rispetto a un cinema italiano che oggi appare spesso
o troppo vacuo o troppo pretenzioso. (…) Lo ammetteva volentieri anche lo stesso regista di sentirsi spaesato al
di fuori di quel mondo e di quella cultura. E non è un caso che dopo un inizio «romano» abbia - caso
abbastanza unico in Italia - abbandonato la capitale del cinema per tornare a stabilirsi nella sua Padova (così
come è significativo che il suo film più sincero e per alcuni più riuscito, 'Un'altra vita' , racconti lo smarrimento
di un non-eroe proprio di fronte alla scoperta del lato oscuro di Roma).Qui la «provincia» diventa una specie di
atteggiamento mentale, un modo di vivere e di comportarsi che non ha bisogno delle tradizionali carrellate sulla
campagna devastata dai capannoni industriali o sulle cartoline ricordo di angoli folcloristici. Si fa fatica a
ritrovare Jesolo, da cui muovono i due protagonisti del film, o riconoscere i diversi luoghi delle loro
peregrinazioni: la «provincia» di questo film è quella che stuzzica gli antropologi, quella dei modi di
comportarsi, delle reazioni spesso fantasiose (e sempre divertenti) che ti mettono all'improvviso di fronte a un
mondo che non avresti immaginato. (...) Il romanzo e le versioni cinematografiche precedenti giocavano molto
del loro interesse sulle complicazioni della trama e della ricerca. Mazzacurati e i suoi cosceneggiatori, Doriana
Leondeff e Marco Pettenello, puntano invece tutto sulle caratterizzazioni dei vari personaggi, specchi di un
mondo «marginale» e «provinciale» (...) ma anche campioni di un'umanità sorprendentemente surreale, come i
gemelli affidati a un doppio Antonio Albanese o i teleimbonitori Silvio Orlando e Fabrizio Bentivoglio (piccoli,
esilaranti camei di attori che avevano interpretato in passato i film di Mazzacurati). Ne esce un viaggio che è
solo apparentemente una ricerca del Graal con sfumature gialle; in realtà è il ritratto di un mondo che dietro le
stranezze e le ridicolaggini mostra la faccia malinconica e umanissima di un'Italia dimenticata o relegata ai
margini e che, però, possiede una sua dolcezza e una sua tenerezza pur nella stranezza e nell'incongruenza.
Mazzacurati, attraverso la fotografia di Luca Bigazzi e la fiducia del produttore Angelo Barbagallo, filma ogni
situazione con la comprensione «renoiriana» di chi sa che tutti hanno le loro ragioni. E lo fa con una leggerezza
di tocco contagiosa e soprattutto fiduciosa nelle persone. Ottenendo di regalarci una commedia che per simpatia
e originalità esce finalmente fuori dai «soliti» schemi, e insieme ci lascia il ritratto di un mondo dove - come
fanno i due protagonisti - si può vivere senza abdicare al proprio ottimismo e alla propria generosità."
(Paolo Mereghetti, “Corriere della Sera”)