Per una giusta comprensione della fratellanza L’attuale crisi economica ci costringe a ripensare i presupposti di una economia capitalistica ormai giunta al capolinea. Questa crisi è l’opposto di una carestia dato che non mancano certo beni e materie prime, infatti le aziende sono piene di merci invendute. Inoltre gran parte dell’economia è ormai formata dai servizi, lavoro immateriale che viene offerto in abbondanza. Manca la moneta nelle tasche dei cittadini che provoca povertà e disoccupazione e dove ormai i lavoratori non hanno più soldi per comprare quello che loro stessi producono. La situazione è talmente di difficile lettura che anche gli esperti mossi da buona volontà stentano a trovare soluzioni. Le uniche proposte convincenti sono quelle che intendono ripensare alla radice l’uso del denaro e la funzione del lavoro. Vogliamo qui considerare quanto già fatto in questa direzione da studiosi ed economisti non coinvolti col sistema che, mossi da un principio di fratellanza, con coraggio hanno prodotto risultati significativi per un rinnovamento della sfera economica. La moneta E’ ormai fin troppo chiaro come viene oggi creato il denaro. Quello che il sistema bancario e finanziario vorrebbero che la gente ignorasse o accettasse supinamente. Dal 1971 con i trattati internazionali di Bretton Wood l’emissione della moneta non ha più necessità di una copertura aurea. Una vera rivoluzione copernicana, così la definisce l’economista Nino Galloni, passata purtroppo inosservata perché vi sarebbe stata la possibilità di iniziare un processo di liberazione dalla schiavitù del denaro. Ne ha invece approfittato il sistema bancario; ormai associazione di banche private; per impadronirsi della gestione monetaria con la quale può creare denaro dal nulla. Gli Stati che hanno rinunciato alla loro sovranità monetaria per aderire all’ Europa sono costretti a chiedere in prestito il denaro alla Banca Centrale Europea dietro il pagamento di un interesse. Ma il denaro per pagare i prestiti e gli interessi lo Stato è costretto a sottrarlo, con le tasse, alla sfera economica e ai cittadini. Tenendo conto che le banche commerciali operano ormai allo stesso modo, si ottiene come risultato che aziende e cittadini vengono progressivamente privati di liquidità a favore del sistema bancario. Questi sono fatti e non opinioni, infatti anche il premio Nobel per l’economia del 1988 Maurice Allais dichiara apertamente : “ L’attuale creazione di denaro dal nulla del sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte dei falsari. La sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto.” Anche la studiosa di problematiche monetarie Margrit Kennedy sostiene che in una nazione non potrà esserci vera democrazia se non viene cambiato questo perverso sistema monetario. Non potevano, quindi, mancare le reazioni di economisti che non intendono collaborare con tale dittatura del sistema bancario. Fra i più noti vi sono i portatori della Modern Money Teory (MMT). Costoro sostengono la necessità che ogni Stato si riprenda la sua sovranità monetaria, potrà così emettere tutto il denaro che serve per creare la piena occupazione prevedendo lavori socialmente utili e, con un opportuno sistema di tassazione, regolare il flusso di denaro necessario per una sana economia. Il merito di questi economisti è quello di sostenere apertamente che ormai il denaro non è più un bene materiale e quindi limitato, ma soltanto un mezzo di scambio e che non ci sono limiti all’ emissione di moneta da parte di uno stato con sovranità monetaria. Vi sono però economisti altrettanto autorevoli e ben intenzionati (quelli male intenzionati che difendono il sistema non vengono presi in considerazione) per i quali la soluzione della MMT sarebbe certamente risolutiva se solo lo Stato rappresentasse veramente la comunità dei cittadini. Nella realtà questo Stato è preda della voracità dei partiti e delle lobby di potere ormai collusi fra loro in modo inestricabile : è assurdo sperare possa gestire questa situazione per il benessere dei cittadini. Inoltre non verrebbe risolto quello che gli economisti che si adoperano per una economia etica ritengono essere il vero tumore del sistema capitalistico e cioè : l’accumularsi del denaro inoperoso nel sistema finanziario dove, per mezzo del meccanismo degli interessi, si crea denaro dal denaro senza produrre beni reali. Con la conseguenza che chi produce beni reali non ha denaro per comprarli perché finisce nelle tasche degli speculatori finanziari che giocano con soldi virtuali senza produrre beni. Economia etica Riemergono così le teorie di alcuni economisti di inizio 900, allora soffocate dall’invadenza e voracità del sistema capitalistico dominante, ma mai completamente dimenticate dagli studiosi più intelligenti come Silvio Geselle e Rudolf Steiner e considerate interessanti dallo stesso Keynes che oggi è un punto di riferimento per molti economisti. Questi sostengono che il denaro inoperoso venga regolarmente tassato in modo che torni ad essere mezzo di scambio e non merce accumulabile nel sistema finanziario che finisce inevitabilmente per soffocare l’economia reale. Molti sono gli studiosi che si adoperano per una economia etica a ritenere indispensabile tale tipo di moneta a scadenza. Fra questi anche i sostenitori dell’antropocrazia di Nicolò Bellia che prevedono una unica tassazione per i cittadini, quella del denaro appunto, dalla quale ricavare, oltre ad un reddito di cittadinanza per tutti, le risorse per ogni altra spesa che lo Stato deve sostenere per la comunità. Molti, benché simpatizzanti di questa teoria, dissentono però sul fatto che essa preveda ancora una moneta gestita dallo Stato, poiché ritengono che la moneta debba essere proprietà dei cittadini come già sostenevano G. Auriti ed Ezra Pound. A questo punto sono molti i sostenitori di una economia etica al servizio dell’uomo che concordano su di una moneta che sia: _ soggetta ad una tassazione per favorire la circolazione e scoraggiarne l’accumulo; _ emessa da organizzazioni di cittadini che operano nella sfera economica. Per far fronte alla mancanza di liquidità e sottrarsi all’usura del sistema bancario sempre più numerosi sono i progetti di monete locali o complementari che prevedono una nuova moneta di questo tipo. In Italia economisti come Nino Galloni, Domenico De Simone, Giacomo Preparata e altri si adoperano da tempo per organizzare in vari comuni una rete di monete locali simili. In Europa i progetti di monete complementari sono centinaia e alcuni, come il Wir in Svizzera, sono attivi addirittura dal 1934 e coinvolgono più di 60 mila aziende. Merita ricordare che anche in ambito antroposofico vi sono iniziative di questo tipo. Nella vicina Baviera per merito di alcuni antroposofi è attivo da tempo e con successo il Chiemgauer, una moneta complementare sostenuta dalle realtà economiche locali. Alla fine di questo processo di trasformazione del denaro merita anche ricordare i lavori dell’economista Geminello Alvi che riprende quanto Rudolf Steiner ci dice sulle qualità del denaro. Diverso è il denaro di acquisto dal denaro di prestito che a sua volta differisce dal denaro di dono. Differenziata dovrà quindi essere il trattamento di questi tre tipi di denaro ricordando però sempre che il denaro nasce dallo spirito e nelle attività dello spirito deve morire come denaro di dono. Metamorfosi della moneta Questi fatti testimoniano come sia da tempo in atto una metamorfosi della moneta e come questa debba essere ripensata alla radice. E’ infatti necessario constatare come sia cambiata la natura dei beni e dei servizi presenti nella sfera economica per il soddisfacimento delle reciproche esigenze. Un tempo prevalevano i beni materiali come cibo e vestiario che richiedevano lavoro fisico per essere prodotti. Oggi prevalgono servizi e beni immateriali che richiedono soprattutto ingegno. Il valore di un automobile, ad esempio, non è certo contenuto nella materia che la compone, ma soprattutto nelle competenze tecnologiche presenti nel motore e nei complessi macchinari necessari alla sua produzione. Per lo scambio di beni materiali era ovvio un altro bene materiale come l’oro e la moneta che lo rappresentava, ma siccome entrambi erano limitati e faticoso reperirli, era naturale ed inevitabile una economia della” scarsità”. Oggi i beni sono soprattutto immateriali e presuppongono l’ingegno umano, un altro bene non solo immateriale ma illimitato. Anche il mezzo di scambio conseguentemente e silenziosamente si è adeguato smaterializzandosi progressivamente fino a diventare impulso elettronico. Dovremo prepararci a considerare la possibilità di una economia dell’abbondanza dove risulterà assurdo sostenere che non si possono scambiare beni immateriali per mancanza di moneta immateriale e dove ogni uomo sarà finalmente liberato dall’ossessione del denaro. Solo vecchie abitudini di pensiero e assurde paure ci impediscono di farlo. Naturalmente anche la funzione delle banche dovrà essere completamente ripensata. Banche etiche e cooperative bancarie raccoglieranno i risparmi dei cittadini e li adopereranno per sostenere attività economiche da loro indirizzate per il benessere della comunità e sottratte al buco nero della finanza speculativa. La disoccupazione Indissolubilmente legato al problema del denaro è il problema del lavoro. Le famiglie riducono le spese per gli acquisti a causa della scarsità di moneta, le aziende riducono la produzione e quindi meno posti di lavoro ed inevitabile disoccupazione. A tutto ciò si aggiunge il fatto che, per essere sempre più competitivi sul mercato, le aziende devono ricorrere all’automazione riducendo sempre più il costoso e complesso lavoro umano con l’inevitabile conseguenza che la disoccupazione è destinata ad aumentare. Se poi pensiamo che solo 40 su cento sono le persone che oggi lavorano e già producono beni in quantità doppia del necessario e che fra pochi anni si prevede scenderanno a 30 su cento, risulterà fin troppo chiaramente che chi vive solo di reddito da lavoro, fra poco, non avrà più risorse per il proprio sostentamento. La dura legge del mercato non potrà certo tollerare di elargire risorse monetarie a chi non produce! Occorrerà assolutamente rivedere il dogma indiscusso del reddito di sussistenza legato alla prestazione lavorativa se non vogliamo assistere alla assurdità di famiglie ridotte alla fame vicino a supermercati in crisi per eccesso di beni invenduti. Ma questa è l’inevitabile conseguenza di un sistema economico che al principio della fratellanza, che vorrebbe le risorse equamente ripartite, sostituisce la libertà di sfruttare beni comuni e persone per creare profitto solo per pochi e non altrettanto benessere per tutti anche quando questo sarebbe possibile. Quindi, assieme ad un disumano sistema capitalistico ormai al collasso, siamo costretti a ripensare la preziosa funzione del lavoro umano così come abbiamo fatto per la natura del denaro. Il lavoro Anticamente il problema del lavoro non esisteva perché veniva considerato lecito ed inevitabile ricorrere all’uso della schiavitù. Col passare dei secoli le cose non sono cambiate più di tanto se pensiamo che anche oggi molti non hanno i mezzi per acquistare quello che essi stessi producono, come abbiamo visto. Ma anche oggi, vecchie abitudini diventate ormai prassi sociale, relegano molti lavori a semplice espediente per procurarsi la moneta con cui procacciarsi i mezzi di sostentamento. Questo nonostante sia ormai evidente anche agli economisti più ottusi che è proprio il lavoro dell’uomo il vero capitale e non i mezzi di produzione e tantomeno il capitale finanziario, infatti anche questi rimarrebbero semplici “oggetti inanimati” senza le capacità organizzative e inventive delle persone. Si parla ormai giustamente di capitale umano, un bene immateriale e illimitato perché si richiede sempre più intelligenza e sensibilità per creare beni e servizi destinati a soddisfare le esigenze di chi li riceve: qualità spirituali di cui solo un uomo cosciente e responsabile è dotato e che non può essere acquistato sul mercato come si fa con una merce. Infatti quanto potrà valere il lavoro di un chirurgo che ogni giorno, in sala operatoria, salva vite umane? Altrettanto si potrà dire di un buon educatore e così per tutti quei lavori che soddisfano i bisogni vitali degli altri ed alleviano le loro sofferenze. Lavori a cui non potremo attribuire un prezzo, ma che potranno essere compensati giustamente dall’ apporto lavorativo degli altri fatto con altrettanta cura. Ma se tali prestazioni lavorative non si prestano ad essere compensate con del denaro, da dove potranno provenire i mezzi di sostentamento se non dalla comunità che la persona arricchisce col suo lavoro? Ci accorgiamo qui che il patrimonio di idee con cui fino ad oggi sono organizzate le dinamiche sociali ed economiche non sono sufficienti a trovare soluzioni. Abbiamo assolutamente bisogno di nuovo organismo di pensieri per risolvere il complesso problema sociale ! Il lavoro non è una merce A questo proposito si comprende quanto R. Steiner aveva enunciato con la sua teoria sulla tripartizione dell’organismo sociale a cui oggi molti economisti e studiosi attingono considerandolo un patrimonio prezioso e ricco di risposte per i problemi attuali che ormai sono emersi come conseguenza inevitabile di una concezione materialistica dell’economia che vede nell’uomo un semplice produttore di reddito. Non ci stupiremo se quanto constatato fin qui, esaminando i fatti, coincide con le considerazioni che egli faceva ormai un secolo fa, inascoltato dai più: _ L’uomo non vive del suo denaro, ma del lavoro degli altri. _ Il lavoro non può essere venduto come una merce. _ E’ indispensabile separare il reddito da lavoro dal reddito di sostentamento. Basterebbero queste semplici proposte per trasformare completamente la funzione e, conseguentemente, la gestione del lavoro umano. Con questo egli intende dirci che il lavoro umano attende il giusto riconoscimento come gesto morale con cui ognuno esplica i propri talenti e ricambia il lavoro degli altri, crea rapporti umani portatori di destino e contribuisce al processo evolutivo della famiglia umana. Per questi motivi è certo un bene che l’uomo lavori, ma noi sappiamo che il bene non può essere imposto e quindi il lavoro non può essere né un obbligo né tantomeno un ricatto perchè vanificherebbe la carica di moralità di cui può essere portatore. Riempire così l’agire sociale di gesti morali e non utilitaristici o coercitivi avrà grandi conseguenze per la salute del corpo sociale. Ma questo sarà possibile solo se i mezzi di sostentamento per una vita dignitosa vengono separati dal reddito da lavoro che potrà certamente essere anche retribuito ma mai completamente compensato con il denaro. Naturalmente tutto ciò sembrerà un’utopia. Lo sarà però solo per coloro che rimangono vittime dell’opinione che viviamo ancora in una economia della scarsità quando ancora il denaro era legato all’oro, un bene certamente scarso, e accettano supinamente la creazione di una moneta a debito. Ma, come abbiamo cercato di dimostrare all’inizio di queste nostre considerazioni parlando della moneta, dobbiamo convincerci che possiamo invece dare inizio alla economia del benessere dove dovrà emergere tutta l’assurdità che, in presenza di beni materiali e immateriali in abbondanza e di altrettanta abbondanza di capitale umano, vi sia scarsità di” pezzi di carta” per facilitare lo scambio di tale abbondanza . Questo intendevano i nostri economisti quando parlavano di possibile “rivoluzione copernicana”. Beni comuni Un ulteriore e valido motivo per sostenere la separazione del reddito di sostentamento dal reddito da lavoro è l’idea dei “beni comuni” che si sta diffondendo non solo fra operatori economici ma anche fra studiosi di diritto come Ugo Mattei. Praticamente si sostiene che la sfera dei beni demaniali, già riconosciuta dalla comunità e dalla legge, andrebbe allargata anche alle risorse energetiche, ai terreni e a tutti i beni di sostentamento indispensabili. Questi sarebbero proprietà di ogni cittadino e quindi tali risorse potranno essere date solo in gestione ad organizzazioni private per produrre beni ed anche profitti, parte dei quali dovranno poi tornare alla comunità che ne rimane la vera proprietaria e che potranno poi essere equamente distribuite contribuendo così alla creazione di un reddito di sostentamento per tutti. A conclusione di queste nostre considerazioni sul principio di fratellanza, ci sembra più che ragionevole sostenere che questa non potrà essere realizzata senza un radicale cambiamento del sistema monetario, un totale ripensamento della funzione del lavoro e il riconoscimento dei beni comuni come proprietà della comunità. Sarà in tale modo possibile liberare l’uomo dai condizionamenti esteriori di una vita economica volutamente malsana che gli impedisce di coltivare il vero, il bello e il buono come certamente desidera l’uomo superiore che vive in lui. Solo allora potrà far onore ai suoi talenti e liberamente donarli alla comunità. Siamo convinti che rimarranno pochi gli uomini che sceglieranno di non lavorare; sperimenteranno così come si diventa poveri quando si vive solo del proprio denaro. Renzo Rosti
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