Allegato 002.1 Riferimenti giuridici – gen 2014

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO
AI SENSI DELL’ART. 6, COMMA 1, LETT. A) DEL D. LGS. N. 231 DELL’8 GIUGNO 2001
ALLEGATO NR. 2.1):
RIFERIMENTI GIURIDICI
- Modifiche normative al D.Lgs. 231/2001
- Interazione tra D.Lgs n. 231/2001 e D.Lgs n. 81/2008
Revisione 2014
Approvato dall’Organo Amministrativo in data 30.1.2014
_________________________________
Sede legale in Roma, Via del Serafico 107
RIFERIMENTI GIURIDICI
SOMMARIO
PREMESSA .................................................................................................................. 1
CAPITOLO 1
MODIFICHE NORMATIVE AL D.Lgs. n. 231/2001 ........................................................ 1
1.1
Piano della prevenzione della corruzione ................................................................... 1
1.2
D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 "Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di
pubblicità,
trasparenza
e
diffusione
di
informazioni
da
parte
delle
pubbliche
amministrazioni” ................................................................................................... 4
1.3
D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39 "Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di
incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico,
a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190”.............. 5
1.4
Brevi cenni al D.Lgs. n. 109/2012 ............................................................................ 7
1.5
La Legge 15 ottobre 2013, n. 119: dai reati 231 spariscono quelli contro la privacy ....... 8
CAPITOLO 2
INTERAZIONE TRA D.Lgs. n. 231/2001 e D.Lgs. n. 81/2008 .................................... 10
2.1
Brevi riflessioni in tema di salute e sicurezza sul lavoro. ........................................... 10
MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1
I
RIFERIMENTI GIURIDICI
PREMESSA
Il presente documento si pone l’obiettivo di contenere un approfondimento giuridico più
dettagliato rispetto all’allegato n. 2 “Riferimenti Giuridici”, costituendone un sotto-allegato.
Qualsiasi
intervento
da
parte
del
Legislatore
inerente
il
D.Lgs.
n.
231/2001,
sarà
costantemente e periodicamente inserito all’interno di questo testo, in modo tale da non
perdere mai di vista le modifiche legislative rilevanti ai fini della corretta applicazione del
decreto citato.
CAPITOLO 1
MODIFICHE NORMATIVE AL D.Lgs. n. 231/2001
1.1
Piano della prevenzione della corruzione
Con l’art. 1, comma 77 della legge 06/11/2012, n. 190, “Disposizioni per la prevenzione e la
repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”, pubblicata in
Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13.11.2012, è stato diversamente rubricato l’art. 25; in
particolare è stata introdotta, in luogo della parola “corruzione” la locuzione “induzione indebita
a dare o promettere utilità e corruzione” e sono stati inseriti due nuovi reati-presupposto nel
novero di quelli previsti e puniti dal D.Lgs. n. 231/2001. Con questi due recentissimi interventi
si è cercato di recepire e di dare attuazione anche in Italia ad alcune delle prescrizioni
contenute nella Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione del 31
ottobre 2003 (c.d. convenzione di Merida, ratificata con legge n. 116/2009), nonché nella
Convenzione penale sulla corruzione approvata dal Consiglio d'Europa il 27 gennaio 1999 (c.d.
convenzione di Strasburgo, ratificata con legge n. 110/2012).
Enti, società e associazioni, pertanto, potranno da oggi rispondere in prima persona anche dei
reati di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.) e di corruzione tra
privati (art. 2635 c.c.). Le nuove disposizioni sono entrate in vigore il 28 novembre 2012 e
hanno reso necessario per le imprese l’adeguamento dei modelli organizzativi predisposti ai
sensi del D.Lgs. n. 231/2001.
Specificatamente, il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui al nuovo art.
319-quater c.p., introdotto nell’alveo dei reati-presupposto del D.Lgs. n. 231/2001 all'art. 25,
comma 3 (accanto a corruzione e concussione), sanziona, salvo che il fatto costituisca più
grave reato, la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che,
abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce qualcuno a dare o a promettere
indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, nonché la condotta di chi dà o
promette denaro o altra utilità (al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio).
MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1
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RIFERIMENTI GIURIDICI
Tale fattispecie, dunque, richiama il reato, ora eliminato dalla c.d. legge anticorruzione, di
“concussione per induzione”, ponendosi, tuttavia, sia per la sua collocazione nell'ambito del
codice che per alcuni dei suoi elementi caratteristici, in una posizione intermedia tra la
concussione e la corruzione (posizione, comunque, più prossima alla corruzione). Ed invero, il
reato in commento si differenzia dalla concussione sia per quanto attiene il soggetto attivo
(che può essere, oltre al pubblico ufficiale, anche l'incaricato di pubblico servizio), sia per
quanto attiene alle modalità per ottenere o farsi promettere il denaro o altra utilità (che
nell'ipotesi criminosa in questione, consiste nella solo induzione), che per la prevista punibilità
anche del soggetto che dà o promette denaro o altra utilità, così come avviene per il reato di
corruzione.
Si evidenzia, a tal proposito, che proprio il possibile coinvolgimento – e la conseguente
punibilità – di un soggetto terzo rispetto alla pubblica amministrazione comporta i maggiori
rischi per enti, società e associazioni, dato che, come è noto, le disposizioni del D.Lgs. n.
231/2001 non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non
economici (nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale), circostanza che
rende certamente meno agevole, ma non l’esclude, l’incriminazione dell’ente per fatto del
pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.
L'introduzione di tale nuova fattispecie nell'alveo dei reati-presupposto ex D.Lgs. n. 231/2001,
tra l’altro, non è di poco conto per gli enti se si considera che oltre al rischio che sia comminata
una sanzione pecuniaria di entità compresa tra trecento a ottocento quote (equivalente ad una
condanna pecuniaria che può arrivare fino a un milione duecentomila euro), vi è anche quello
che venga applicata, quale misura interdittiva e per una durata non inferiore ad un anno, la
sospensione dell'attività, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione o il
commissariamento (ai sensi dell’art. 14, comma 3, del citato decreto, anche congiuntamente).
Il reato di corruzione tra privati, di converso, viene collocato nell'ambito dei reati societari
disciplinati dal codice civile e va a sostituire il precedente art. 2635 c.c., rubricato “Infedeltà a
seguito di dazione o promessa di utilità”, con contestuale sua introduzione, limitatamente al
comma 3, nel novero dei c.d. reati-presupposto all’art. 25-ter, comma 1, lett. s-bis) , D.Lgs. n.
231/2001.
L’art. 2635 c.c. sanziona, infatti, salvo che il fatto costituisca più grave reato, “gli
amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili
societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o
altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti
al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società” (comma 1), con
pena più lieve se il fatto è commesso “da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno
dei soggetti indicati al primo comma” (comma 2). È imputabile, insieme al corrotto anche il
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RIFERIMENTI GIURIDICI
corruttore ovvero “chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel
secondo comma” (comma 3).
Ebbene, l'art. 25-ter D.Lgs. n. 231/2001 prevede quale reato-presupposto il delitto di
corruzione tra privati, nei soli “casi previsti dal terzo comma dell'articolo 2635 del codice civile”
ai quali applica una sanzione pecuniaria dalle duecento alle quattrocento quote (sanzione
equivalente ad una condanna pecuniaria che può arrivare fino a seicentomila euro). Pertanto,
con riferimento a tale fattispecie una eventuale responsabilità può sorgere soltanto in capo
all’ente al quale appartiene il soggetto corruttore, ossia colui che “dà o promette denaro o altra
utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma” dell’art. 2635 c.c. (amministratori,
direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci,
liquidatori e persone sottoposte alla direzione o vigilanza di uno dei citati soggetti). I due nuovi
reati-presupposto, dunque, unitamente alle numerose altre modifiche apportate dalla c.d.
legge anticorruzione a diversi illeciti penali contro la P.A. che già rientravano nell'alveo dei
reati-presupposto ex D.Lgs. n. 231/2001, impongono ad enti, società e associazioni di
procedere ad una tempestiva e significativa revisione dei modelli già esistenti per uniformarli
alle nuove prescrizioni o di adottare un modello 231 ex novo, al fine di scongiurare eventuali
responsabilità e pesanti condanne.
Oltre ai nuovi reati inseriti nel nuovo catalogo dei delitti da cui può scaturire eventualmente
delle società, va segnalato che la nuova legge ha modificato numerosi illeciti (che già
rientravano nel D.Lgs. n. 231/01) come la “concussione” (art. 317 c.p.), la “corruzione per
l’esercizio della funzione” (art. 318 c.p.), la “corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio”
(art. 319 c.p.), la “corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio” (art. 320 c.p.), la
“istigazione alla corruzione” (art. 322 c.p.), la “corruzione in atti giudiziari” (art. 319 c.p.), il
“peculato”, la “concussione”, la “corruzione”, “l’istigazione alla corruzione di membri degli
organi dell’UE e di funzionari delle Comunità Europee e di stati esteri” (art. 322-bis c.p.); in
alcuni casi si tratta di un inasprimento delle pene, in altri cambiano i potenziali soggetti attivi
del reato (per esempio incaricati di pubblico servizio, membri degli organi o funzionari
dell’Unione o degli Stati esteri).
Per quanto concerne, invece, l’art. 346-bis c.p., introdotto anch’esso dal D.Lgs. n. 190/2012
rubricato “Traffico di influenze illecite”, si fa presente che detta norma non è stato inserita nel
contesto del D.Lgs. n. 231/2001. Il nuovo reato, infatti, non viene inserito tra i reatipresupposto della responsabilità degli enti collettivi ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. La
corporate liability per il reato di trading in influence è invece richiesta sia dalla Convenzione di
Merida (art 26, in relazione al reato di cui all’art 18) che da quella del Consiglio d’Europa (art
18, in relazione al reato di cui all’art 12). Durante i lavori parlamentari l’estensione del D.Lgs.
n. 231/2001 al reato di traffico di influenze era previsto da numerosi disegni di legge (AC
MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1
3
RIFERIMENTI GIURIDICI
3850, AC 4501, AC 4516; AS 2164, AS 2168, AS 2174, AS 2340, per cui l’ente, secondo questi
disegni di legge, poteva essere punito con sanzione pecuniaria fino ad 800 quote e con le
sanzioni interdittive di cui all’art 9 comma 2 del D.Lgs. n. 231/2001), i quali inserivano la
fattispecie nell’art 25, del quale, anzi, si modificava la stessa rubrica (“Corruzione e traffico di
influenze illecite”). Nulla di tutto ciò nel testo definitivo della Legge. Dal momento che si sono
voluti punire atti di persone fisiche, preparatori rispetto alla corruzione vera e propria, lo
stesso bisognava fare in relazione alle persone giuridiche. Il mediatore illecito può ben essere
un soggetto privato e, pertanto, agire nell’interesse della società in cui è incardinato; così pure
il suo finanziatore. Ad oggi, pertanto, a meno che la condotta di mediazione non sfoci nella
corruzione, almeno tentata, gli enti nel cui interesse è stata realizzata la condotta di traffico di
influenze non rispondono ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001.
Tutta la legge 190/2012, imperniata sulla lotta alla corruzione, è strettamente correlata agli
obblighi di pubblicità e trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche
amministrazioni, recentemente introdotti dal D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33. Tali obblighi, infatti,
sono uno dei principali strumenti per combattere la corruzione, proprio perché “è più difficile
cadere in tentazione” quando si è sotto l'occhio di tutti.
1.2
D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 "Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di
pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche
amministrazioni”
In merito agli strumenti previsti, in primo luogo, si punta sulla pianificazione delle attività, da
un lato, attraverso il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità (art. 10 del D.Lgs n.
33/2013), dall'altro, attraverso i piani di prevenzione alla corruzione emanati da ciascuna
amministrazione sulla base di un Piano nazionale predisposto dal Dipartimento della funzione
pubblica; in secondo luogo, in ciascuna amministrazione deve essere nominato, in un caso, un
responsabile per la trasparenza (art. 43 del D.Lgs. n. 33/2013), nell'altro caso, un responsabile
per la prevenzione della corruzione e anzi, di norma, le due figure coincidono. I responsabili
per la trasparenza sono sottoposti – art. 45, comma 2 -al controllo della ex CIVIT,
Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle pubbliche amministrazioni,
divenuta dal 31 ottobre 2013 Autorità Nazionale AntiCorruzione e per la valutazione e la
trasparenza delle pubbliche amministrazioni (A.N.A.C.) ai sensi dell’art. 5 della legge 30
ottobre 2013, n. 125 con cui è stato convertito in legge con modificazioni il D.L. n. 101/2013,
recante “Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione delle
pubbliche amministrazioni”.
La disciplina è molto analitica e prevede obblighi di pubblicità sia ai fini di un controllo
democratico dal basso, sia a fini di agevolare i contatti tra cittadini e pubblica amministrazione.
MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1
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RIFERIMENTI GIURIDICI
L'effettiva osservanza degli obblighi di trasparenza è garantita da una serie di norme
sanzionatorie. Per esempio, in caso di mancata o incompleta pubblicazione dei dati relativi agli
enti pubblici e privati, nonché alle società pubbliche in qualche modo riferibili a una pubblica
amministrazione, scatta un divieto di erogazione a loro favore di qualsivoglia finanziamento
(art. 22); la pubblicazione degli atti di concessione di sussidi, contributi e altre forme di
erogazione a soggetti privati è condizione perché gli atti adottati acquistino efficacia (art. 26).
Questo tipo di disposizioni dovrebbero superare una delle principali lacune della legge n.
241/1990 che hanno favorito la sua inattuazione.
Un'altra novità di rilievo è costituita dalla standardizzazione dei siti istituzionali nei quali
dovranno essere pubblicate le informazioni. Fino a oggi, infatti, ogni amministrazione era libera
di configurare il proprio sito. In molti casi, talvolta volutamente, l'accesso ai dati rilevanti
passava attraverso percorsi complicati, tanto da confondere o dissuadere l'utente. Il D.Lgs n.
33/2013 prevede che i siti contengano una sezione denominata “Amministrazione trasparente”
e che a essa si possa accedere senza filtri tali da impedire l'impiego di motori di ricerca web
per agevolare l'accesso ai dati (articolo 9). Inoltre, un allegato al decreto, indica con precisione
le sottosezioni di primo e di secondo livello così da rendere più semplici i confronti.
1.3
D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39 "Disposizioni in materia di inconferibilità e
incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti
privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge
6 novembre 2012, n. 190”
In attuazione dell'art. 1, commi 49 e 50, della legge anticorruzione, è stato pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale del 19 aprile 2013 il D.Lgs. "Disposizioni in materia di inconferibilità e
incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in
controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n.
190".
Il Decreto, attuativo di una disposizione contenuta nella Legge anticorruzione, si applica a tutta
la Pubblica Amministrazione e alle società partecipate.
Il nuovo decreto stabilisce una serie articolata e minuziosa di cause di inconferibilità e
incompatibilità (con obbligo in questo secondo caso di scegliere, a pena di decadenza, entro il
termine perentorio di 15 giorni, tra l'uno e l'altro incarico) con riferimento alle seguenti
tipologie di incarichi:
 incarichi amministrativi di vertice (ad esempio, segretario dell'ente locale o direttore);
 incarichi dirigenziali o di responsabilità, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni e
negli enti di diritto privato in controllo pubblico;
 incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico.
MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1
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RIFERIMENTI GIURIDICI
Le fattispecie previste sono:
Art. 3. Inconferibilità di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica
amministrazione, anche con sentenza non passata in giudicato;
Art. 4. Inconferibilità di incarichi a soggetti provenienti da enti di diritto privato regolati o
finanziati;
Art. 7. Inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale e locale;
Art. 9. Incompatibilità tra incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati nonché
tra gli stessi incarichi e le attività professionali;
Art. 11. Incompatibilità tra incarichi amministrativi di vertice e cariche di componenti degli
organi di indirizzo nelle amministrazioni statali, regionali e locali;
Art. 12. Incompatibilità tra incarichi dirigenziali interni e esterni e cariche di componenti degli
organi di indirizzo nelle amministrazioni statali, regionali e locali;
Art. 13. Incompatibilità tra incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo
pubblico e cariche di componenti degli organi di indirizzo politico nelle amministrazioni statali,
regionali e locali;
Art. 14. Incompatibilità tra incarichi di direzione nelle Aziende sanitarie locali e cariche di
componenti degli organi di indirizzo politico nelle amministrazioni statali, regionali e locali.
Il responsabile del piano anticorruzione di ciascuna amministrazione pubblica verifica che siano
rispettate le disposizioni del decreto in esame, segnalando i casi di possibile violazione
all'Autorità nazionale anticorruzione, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato ai fini
dell'esercizio delle funzioni di cui alla legge n. 215/2004, nonché alla Corte dei conti, per
l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative. Un eventuale provvedimento di
revoca dell'incarico amministrativo di vertice o dirigenziale conferito al soggetto responsabile
del
piano
anticorruzione,
comunque
motivato,
è
comunicato
all'Autorità
nazionale
anticorruzione che, entro 30 giorni, può formulare una richiesta di riesame qualora rilevi che la
revoca sia correlata alle attività svolte in materia di prevenzione della corruzione; decorso tale
termine, la revoca diventa efficace.
Nell'art. 1, rubricato "Definizioni", viene declinata la distinzione tra le due principali fattispecie
regolamentate dalla norma, ovvero l'inconferibilità e l'incompatibilità.
Per inconferibilità (lett. g) s'intende: "la preclusione, permanente o temporanea, a conferire gli
incarichi previsti dal presente decreto a coloro che abbiano riportato condanne penali per i
reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, a coloro che abbiano
svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche
amministrazioni o svolto attività professionali a favore di questi ultimi, a coloro che siano stati
componenti di organi di indirizzo politico".
MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1
6
RIFERIMENTI GIURIDICI
L'incompatibilità (lett. h) viene invece definita come "l'obbligo per il soggetto cui viene
conferito l'incarico di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di quindici
giorni, tra la permanenza nell'incarico e l'assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche in
enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce
l'incarico, lo svolgimento di
attività
professionali
ovvero l'assunzione della
carica di
componente di organi di indirizzo politico".
Giova evidenziare sin da subito il tenore letterale della norma che parla di obbligo di scelta tra
la permanenza nell'incarico dirigenziale e "l'assunzione" della carica di componente di organi di
indirizzo politico.
Dalla lettura del combinato disposto degli artt. 1, lett. g) e h), e 12 del decreto risulta evidente
che il legislatore ha dettato una disciplina differente per le diverse ipotesi di incompatibilità:
mentre per le ipotesi di cui all'art. 12, comma 1 (componente dell'organo di indirizzo nella
stessa amministrazione o nello stesso ente pubblico che ha conferito l'incarico, carica di
presidente e amministratore delegato nello stesso ente di diritto privato in controllo pubblico
che ha conferito l'incarico) l'incarico dirigenziale è incompatibile con l'assunzione e il
mantenimento della carica; per quelle di cui all'art. 12, commi 2, 3 e 4 (incarichi pubblici
elettivi) il legislatore parla di incompatibilità in via generale e pertanto ai sensi dell'art. 1, lett.
h), l'incarico è incompatibile con l'assunzione della carica politica e non con il mantenimento di
quella già assunta.
All'interno del Capo VIII ("Norme finali e transitorie"), l'art. 20 stabilisce la seguente disciplina:
- all'atto
del
conferimento
dell'incarico
l'interessato
presenta
una
dichiarazione
una
dichiarazione
sull'insussistenza di una delle cause di inconferibilità (comma 1);
- nel
corso
dell'incarico
l'interessato
presenta
annualmente
sull'insussistenza di una delle cause di incompatibilità (comma 2).
Le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 sono pubblicate nel sito della pubblica amministrazione,
ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico che ha conferito l'incarico. La
dichiarazione di cui al comma 1 è condizione per l'acquisizione dell'efficacia dell'incarico.
Tale norma, applicabile a regime, chiarisce che le cause di inconferibilità vanno verificate una
tantum alla data di conferimento dell'incarico, mentre l'incompatibilità è un vizio che può
insorgere anche successivamente.
1.4
Brevi cenni al D.Lgs. n. 109/2012
Una ulteriore modifica al decreto legislativo in argomento, è stata apportata dal D.L.gs. 16
luglio 2012, n. 109 “Attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime
relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di
Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”, con decorrenza dal 9 agosto 2012, il cui art. 2 ha
MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1
7
RIFERIMENTI GIURIDICI
introdotto l’art. 25-duodecies così rubricato: “Impiego di cittadini dei paesi terzi il cui soggiorno
è irregolare”, che sanziona, sotto l’aspetto pecuniario (da 100 a 200 quote, entro il limite di
150.000 euro) l’ente che ha impiegato lavoratori dei paesi terzi sprovvisti di permesso di
soggiorno nelle ipotesi di cui all’art. 22, comma 12-bis D.Lg. n. 286/1998: a) se i lavoratori
occupati sono in numero superiore a tre; b) se i lavoratori occupati sono minori in età non
lavorativa; c) se i lavoratori occupati sono sottoposti alle altre condizioni lavorative di
particolare sfruttamento.
1.5
La Legge 15 ottobre 2013, n. 119: dai reati 231 spariscono quelli contro la
privacy
La Legge 15 ottobre 2013, n. 119, pubblicata sulla G.U. n. 242 del 15 ottobre 2013, con la
quale è stato convertito con modificazioni il Decreto Legge 14 agosto 2013, n. 93, recante
disposizioni urgenti in materia di sicurezza e contrasto alla violenza, ha soppresso la
disposizione che prevedeva l’estensione del catalogo dei reati che possono dar luogo a
responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001. Dal 17 agosto scorso,
infatti, il predetto D.L. 93/2013 all’art. 9, comma 2, aveva ampliato il contenuto dell’art. 24-bis
del D.Lgs 231/2001, introducendo alcuni importanti delitti in materia di privacy, che si sono
aggiunti ai reati-presupposto idonei a far scattare la responsabilità dell’ente, in sede penale, ai
sensi del citato D.Lgs. 231/2001.
Si ricorda che il D.Lgs. 231/2001 estende agli enti collettivi (persone giuridiche, società e
associazioni) la responsabilità per alcuni reati commessi nell’interesse o a vantaggio degli
stessi, da persone fisiche in posizione apicale o subordinata. Tale responsabilità, accertata in
tribunale da un giudice penale, prevede sanzioni formalmente amministrative (pecuniarie o
interdittive) ma particolarmente afflittive e di natura sostanzialmente penale. In aggiunta alla
responsabilità della persona fisica che realizza l’eventuale fatto illecito in materia di privacy è
dunque stata prevista anche la responsabilità dell’ente; alle sanzioni per le persone fisiche già
previste dal D.Lgs. 196/2003 sono state aggiunte quindi le sanzioni per l’Ente previste dal
D.Lgs. 231/2001.
Per effetto delle modifiche recate dalla Legge di conversione n. 119/2013, con la soppressione
del comma 2 dell’art. 9 del decreto-legge 93/2013, l’ente non potrà più essere chiamato a
rispondere per le fattispecie di trattamento illecito dei dati (art. 167 Codice della privacy),
falsità nelle dichiarazioni al Garante (art. 168 Codice della privacy), inosservanza dei
provvedimenti del Garante (art. 170 Codice della privacy), frode informatica commessa con
sostituzione dell’identità digitale (art. 640ter, co. 3, c.p.), indebito utilizzo, falsificazione,
alterazione e ricettazione di carte di credito o di pagamento (art. 55, co. 9, D.Lgs. 21
novembre 2007, n. 231).
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RIFERIMENTI GIURIDICI
In particolare, si riporta l’Articolo 9 - Frode informatica commessa con sostituzione d'identità
digitale - prima e dopo la conversione in legge (in neretto sottolineato le modifiche).
1. All’articolo 640-ter del codice penale, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo il secondo comma, è inserito il seguente:
“La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il
fatto è commesso con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in danno di uno o più
soggetti.”;
b) al terzo comma, dopo le parole “di cui al secondo” sono inserite le seguenti: “e terzo”.
(2. All’articolo 24 -bis , comma 1, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, le
parole “e 635- quinquies ” sono sostituite dalle seguenti: “, 635 -quinquies e 640 ter, terzo comma,” e dopo le parole: “codice penale” sono aggiunte le seguenti:
“nonché dei delitti di cui agli articoli 55, comma 9, del decreto legislativo 21
novembre 2007, n. 231, e di cui alla Parte III, Titolo III, Capo II del decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196.”.) (comma soppresso).
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RIFERIMENTI GIURIDICI
CAPITOLO 2
INTERAZIONE TRA D.Lgs. n. 231/2001 e D.Lgs. n. 81/2008
2.1
Brevi riflessioni in tema di salute e sicurezza sul lavoro.
La legislazione italiana in materia di salute e sicurezza sul lavoro, disciplinata dal D.Lgs n.
81/2008, deve oggi confrontarsi anche con le disposizioni previste dal D.Lgs n. 231/2001. La
particolarità di tale disposizione legislativa, spesso denominata “responsabilità amministrativa
degli enti”, è che i destinatari non sono le persone fisiche ma quelle giuridiche (enti, società,
ecc.), con esclusione espressa dello Stato, degli enti pubblici territoriali, nonché degli enti che
svolgono funzioni di rilievo costituzionale, prevedendo la responsabilità amministrativa delle
società per fatti-reato commessi dai suoi vertici aziendali.
In realtà il D.Lgs n. 231/2001 ha tutte le caratteristiche di una norma penale, ma poiché il
nostro ordinamento prevede come destinatari della giustizia penale solo le persone fisiche, il
Legislatore ha adottato la dizione “responsabilità amministrativa degli enti” per non entrare in
conflitto eclatante con detto principio di diritto.
Il D.Lgs n. 231/2001 nasce per punire una serie di reati come la corruzione, la concussione, il
falso in bilancio ed ha suscitato, negli anni successivi alla sua emanazione, un interesse
limitato tra le aziende e gli enti in genere. Con l’emanazione della legge n. 123/2007 e con il
D.Lgs n. 81/2008, il campo di applicazione del D.Lgs n. 231/2001 è stato esteso anche
“all’omicidio colposo e alle lesioni colpose gravi o gravissime, commessi in violazione delle
norme antinfortunistiche sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro”. L’estensione, quindi,
delle “responsabilità amministrative” alla
salute e sicurezza
sul
lavoro, ha
ampliato
enormemente il numero delle imprese interessate, suscitando grande preoccupazione nel
mondo aziendale e societario a causa delle pesanti ripercussioni economiche e soprattutto
interdittive che possono derivare dall’inosservanza di tale normativa.
Il D.Lgs n. 231/2001 prevede che i reati vengano commessi nell’interesse o a vantaggio
dell’ente da:
- Persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione e di direzione dell’ente
o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da
persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso (c.d. “soggetti
apicali”);
- Persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui sopra (c.d.
“soggetti sottoposti”).
Pertanto, scatta il concetto di responsabilità dell’ente se determinati reati vengono commessi
da parte di soggetti che si trovano in un rapporto funzionale con l’ente a condizione che il reato
sia stato commesso nell’interesse dell’ente o a suo vantaggio. Nel caso del reato trattato in
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questa sede, il vantaggio o l’interesse per l’azienda si realizza soprattutto nel risparmio
generato dalla mancata attuazione delle misure di prevenzione e protezione. L’unico percorso
previsto dalla legge per non incorrere nelle pesantissime sanzioni previste, è l’adozione di un
modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire il reato della specie di quello
verificatosi.
E’ da premettere che il D.Lgs n. 231/2001 è particolarmente “avaro” nel fornire indicazioni su
quali debbano essere gli elementi costituivi di tale modello di organizzazione, gestione e
controllo (c.d. “MOG”), mentre la normativa statale è puntuale nel disciplinare i modelli idonei
(c.d. “sistemi di gestione della salute e della sicurezza sul lavoro”, detti anche “SGSL”) a
prevenire i reati legati alla salute e alla sicurezza sul lavoro. Da subito, comunque, è opportuno
fare una netta distinzione tra i “SGSL” ed i “MOG”: i primi, infatti, nascono per prevenire
infortuni e malattie professionali nei luoghi di lavoro; i secondi per prevenire la commissione di
un reato. Pertanto, la prima azione di prevenzione che un MOG deve attuare riguarda il
comportamento del management aziendale, che non deve essere tentato dal trarre profitto
risparmiando sull’osservanza delle norme antinfortunistiche; ipotesi questa non infrequente, in
quanto permane ancora un’errata, ma diffusa, concezione secondo la quale la sicurezza è un
costo e non un investimento, per cui si può tranquillamente “tagliare”, soprattutto in un
periodo storico come quello attuale, dominato da una profonda crisi economica.
Come sopra accennato, l’inserimento dei dati relativi alla salute e sicurezza sul lavoro tra quelli
soggetti alla responsabilità amministrativa delle imprese, avviene inizialmente con la Legge n.
123/2007; ma è con il D.Lgs n. 81/2008 che tale elemento entra a far parte a pieno titolo nella
legislazione italiana in materia di salute e sicurezza sul lavoro. E’ opportuno quindi soffermarsi
sugli articoli del c.d. “testo unico” che disciplinano tali aspetti e, in particolare, gli articoli 300 e
30 del citato D.Lgs n. 81/08.
L’art. 300 prevede il reato e disciplina le sanzioni che sono differenziate in funzione della
gravità del reato stesso, distinguendo tra omicidio colposo commesso in assenza di valutazione
del rischio, da fattispecie meno gravi. Quello che preme sottolineare è che trattasi di sanzioni
non solo pecuniarie (che, comunque, non sono trascurabili, in quanto possono arrivare alla
somma di un milione e mezzo di Euro) ma anche interdittive, tant’è che il Giudice può
ordinare, nel caso più grave, ad un’azienda la non partecipazione a gare pubbliche o la
sospensione di autorizzazioni o altro anche per un limite temporale di un anno.
Un altro passaggio non banale riguarda la definizione di modello organizzativo e gestionale
previsto dall’art. 2 lett. dd) che testualmente recita: “«modello di organizzazione e di
gestione»: modello organizzativo e gestionale per la definizione e l'attuazione di una politica
aziendale per la salute e sicurezza, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto
legislativo 8 giugno 2001, n. 231, idoneo a prevenire i reati di cui agli articoli 589 e 590, terzo
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comma, del codice penale, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla
tutela della salute sul lavoro”. E’ interessante rilevare che questa definizione, ovviamente,
riguarda i “MOG” (modelli di organizzazione, gestione e controllo) attivati per prevenire i reati
relativi alla salute e alla sicurezza e, nel richiamare l’art. 6, comma 1, lett. a) del D.Lgs n.
231/2001 (“soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente”) dissipa ogni
dubbio possibile sulla necessità che tali MOG devono rispondere ai requisiti previsti dal D.Lgs n.
231/2001 medesimo.
Infine, l’art. 30 del D.Lgs n. 81/2008, nei suoi primi 4 commi, indica, anche dal punto di vista
tecnico, i requisiti che un MOG deve avere per garantire l’efficacia esimente della responsabilità
amministrativa. E’ con il comma 5, poi, che le linee guida UNI-INAIL del 28 settembre 2001 e
le British Standard OHSAS 18001:2007 vengono espressamente citate come conformi per “le
parti corrispondenti” al MOG descritto nei commi 1, 2, 3 e 4. Questo passaggio fondamentale
riconosce finalmente agli SGSL (sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro)
l’importanza che meritano nel gestire gli aspetti di salute e sicurezza e, quindi, nel prevenire
infortuni sul lavoro e malattie professionali. Sempre il comma 5 ed il 5-bis, demandano alla
commissione consultiva permanente:
- la possibilità di indicare ulteriori modelli di MOG;
- il compito di elaborare procedure semplificate per l’adozione e l’efficace attuazione dei MOG
nelle piccole e medie imprese.
L’obiettivo della riduzione di infortuni e malattie professionali è di per sé motivo sufficiente per
sposare un’attenta politica di prevenzione ed adottare un SGSL (sistema di gestione della
salute e sicurezza sul lavoro). A riprova ulteriore dell’opportunità di adottare tale metodologia
gestionale, è opportuno porre l’attenzione su come il verificarsi di un evento lesivo al
lavoratore sia causa di costi che vengono molto spesso sottostimati dall’azienda; si pensi ai
danni ai macchinari, al fermo di produzione, alla sostituzione dell’infortunato o ancora al danno
di immagine. Comprendere il valore dell’attività di prevenzione degli infortuni sul lavoro,
significa capire come la prevenzione sia “un investimento” e non un costo.
Per questi motivi l’INAIL offre più di un servizio per sostenere gli investimenti di prevenzione, il
primo di questi strumenti attivo dal 2000, è la riduzione del premio assicurativo INAIL di cui
all’art. 24 D.M. 12/12/2000, laddove viene riconosciuto un vero e proprio sconto sul premio
assicurativo a quelle aziende (pubbliche o private) che, essendo in regola con la normativa
cogente in materia di igiene e sicurezza sul lavoro e con gli obblighi contributivi nei confronti di
INAIL e INPS, dimostrano un’attenzione alla prevenzione nei luoghi di lavoro che va oltre il
mero rispetto della normativa.
Ma lo strumento più recente che l’INAIL attua dal dicembre 2010 è il finanziamento, per larga
parte a fondo perduto (nella misura del 50%), per progetti volti al miglioramento delle
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RIFERIMENTI GIURIDICI
condizioni di igiene e sicurezza sul lavoro, che essa eroga alle imprese, ex art. 11, comma 5,
del D.Lgs n. 81/2008.
Ancora una volta l’adozione e la certificazione di un SGSL sotto accreditamento Accredia ha un
percorso privilegiato, ma anche l’adozione di un modello MOG ex D.Lgs n. 231/2001 trova una
sua specifica collocazione e quindi finanziabilità. E’ opportuno ricordare che tutte le misure qui
ricordate sono additive, per cui un’azienda può ottenere un finanziamento per l’adozione di un
SGSL o di un MOG e poi, ogni anno, ottenere lo sconto sul premio assicurativo.
In conclusione, pertanto, è possibile affermare come l’approccio organizzativo alla prevenzione
sui luoghi di lavoro sia ormai un dato giuridico incontrovertibile e irrinunciabile. La soluzione
più razionale consiste sicuramente nell’implementare un SGSL nell’ottica del D.Lgs n. 81/2008
e dotarsi, quindi, di un sistema disciplinare e di un organismo di vigilanza che possa realmente
far diminuire le probabilità che si verifichi un infortunio sul lavoro; e se tale ipotesi dovesse
accadere, l’azienda avrà, comunque, un formidabile strumento di difesa di fronte al magistrato,
salvaguardando, così, l’operatività aziendale e la sicurezza dei posti di lavoro.
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