Cass. Civ. 19534-2014 - Dirittifondamentali.it

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« Garante della privacy, giudice ordinario ed azione di risarcimento del danno »
(Cassazione civile sez. I, 17 settembre 2014, n. 19534)
persona fisica e diritti della personalità - riservatezza – azione risarcitoria
La statuizione di non luogo a provvedere assunta dal Garante della Privacy ex art. 149
secondo comma d.lg. n. 196 del 2003, derivante dall'adesione spontanea da parte del
titolare del trattamento alla cancellazione e non utilizzazione di dati personali così
come richiesto dagli interessati, non impedisce l'esercizio dell'azione di risarcimento
del danno davanti all'autorità giudiziaria ordinaria, né tale azione deve essere
proposta nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione del
provvedimento del Garante. Dall'esame dei provvedimenti attribuiti alla competenza
del Garante in sede di tutela "alternativa a quella giurisdizionale" (sezione 3 del
Titolo 1, Capo 1, della Parte 3 ) può escludersi che a tale Autorità sia attribuita la
cognizione di domande risarcitorie, da ritenersi coperta da riserva esclusiva di
giurisdizione ordinaria.
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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella
Dott. BENINI Stefano
Dott. CAMPANILE Pietro
Dott. ACIERNO Maria
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro
- Presidente - Consigliere - Consigliere - rel. Consigliere - Consigliere -
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ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 1550-2010 proposto da:
M.D. (c.f. (OMISSIS)), M.S. (c.f.
(OMISSIS)), D.C. (c.f. (OMISSIS)), M.M.
(c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA
38, presso l'avvocato PANARITI PAOLO, che li rappresenta e difende,
giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrenti contro
FINEGIL EDITORIALE S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in persona del legale
rappresentante pro tempore, G.E., B.C., elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA G.B. VICO 1, presso l'avvocato PROSPERI MANGILI LORENZO, che li
rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrenti contro
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI;
- intimato avverso la sentenza n. 24122/2008 del TRIBUNALE di ROMA, depositata
il 03/12/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/07/2014
dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;
udito,
per
i controricorrenti,
l'Avvocato LORENZO PROSPERI MANGILI che ha chiesto l'inammissibilità
o il rigetto del ricorso; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CORASANITI Giuseppe che ha concluso per l'accoglimento
del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Roma ha dichiarato inammissibile
il ricorso proposto da M.D., M.L. e S. nonchè D.C. D.Lgs. n. 196 del 2003, ex
art. 152, nei confronti della Finegil Editoriale s.p.a. (in qualità di editore della
Gazzetta di Mantova e titolare del trattamento dei dati personali), del direttore
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responsabile G.E. e del giornalista B.C., per aver pubblicato un articolo in data
(OMISSIS) in relazione ad un fatto di sangue (il presunto omicidio della
propria madre, perpetrato dal marito di M.M. L.) occorso il (OMISSIS). Dalla
lettura dell'articolo, nonostante l'espressa preventiva richiesta della famiglia
(omissis)
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la nullità della sentenza per
violazione dell'art. 132 cod. proc. civ., per avere il Tribunale di Roma del tutto
omesso di indicare le conclusioni delle parti e la concisa esposizione dello
svolgimento del processo e dei motivi di fatto e di diritto della decisione. Così
operando, nella sentenza impugnata non sono stati indicati gli elementi atti a
giustificare le ragioni della decisione. Dalla motivazione della sentenza non è
risultato possibile comprendere quale sia stato l'iter logico-giuridico che ha
condotto a qualificare il provvedimento del Garante come di rigetto, dal
momento che il medesimo per numerose richieste dei ricorrenti aveva
dichiarato il non luogo a provvedere per adesione spontanea del titolare e del
responsabile del trattamento dei dati. Tale erronea qualificazione dell'azione
ha determinato in via esclusiva l'inammissibilità del ricorso che non è stato
proposto come impugnazione del provvedimento del Garante ma come
autonoma domanda risarcitoria, non costituendo impedimento all'esercizio di
tale diritto il provvedimento di non luogo a provvedere.
Nel secondo motivo viene dedotta l'omessa o insufficiente motivazione su un
fatto controverso consistente nell'aver qualificato come di rigetto integrale la
pronuncia del Garante. In particolare, il Tribunale, avendo omesso una sia pur
sintetica ricostruzione della controversia, non ha fornito alcuna spiegazione
dell'equiparazione tra rigetto e non luogo a provvedere su cui si è fondata la
decisione. Su tale cruciale profilo manca l'indicazione delle ragioni della
conclusione assunta.
Nel terzo motivo viene dedotta l'omessa ed insufficiente motivazione della
sentenza impugnata per mancanza dello svolgimento del processo, nonchè
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assenza delle argomentazioni e conclusioni delle parti. Tale ultima omissione
è stata cruciale perchè le parti ricorrenti avevano spiegato che l'azione
proposta non era un'impugnazione del provvedimento del Garante e che essi
non intendevano contestare la statuizione di rigetto.
Nel quarto e quinto motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione del
D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 149, comma 2 per avere il Tribunale ritenuto che la
decisione di non luogo a provvedere integri il rigetto del ricorso proposto al
Garante, peraltro all'esito di una valutazione d'infondatezza mai intervenuta e
precluda una successiva domanda risarcitoria.
Nel sesto motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n.
196 del 2003, art. 152 per aver ritenuto applicabile alla specie il termine
decadenziale previsto per l'impugnazione del provvedimento del Garante.
I motivi del ricorso, in quanto logicamente connessi, possono essere trattati
unitariamente.
In primo luogo deve osservarsi che, nel caso di specie, la fase processuale
relativa alla decisione della controversia davanti al Tribunale è regolata dal
D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, comma 10, ratione temporis applicabile (dal
6/10/2011 sostituito dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10), secondo il quale
"Terminata l'istruttoria, il giudice invita le parti a precisare le conclusioni ed a
procedere, nella stessa udienza, alla discussione orale della causa,
pronunciando subito dopo la sentenza mediante lettura del dispositivo. (...) Il
giudice può anche redigere e leggere, unitamente al dispositivo, la
motivazione della sentenza, che è subito dopo depositata in cancelleria".
Nel procedimento regolato dal citato D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152 era
consentita al giudice monocratico di primo grado la lettura oltre che del
dispositivo anche della motivazione della sentenza all'udienza di discussione.
In mancanza di un espresso riferimento al modello processuale generale di
decisione e motivazione semplificata, rinvenibile nell'art. 281 sexies cod. proc.
civ., occorre stabilire preliminarmente se la norma speciale consentisse
l'applicazione analogica di tale modello codicistico, con la conseguente
ammissibilità dell'omissione dello svolgimento del processo e la limitazione
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della motivazione alla concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto
della decisione. Poichè l'art. 152 prevede entrambi i modelli deliberativi
previsti in via generale, ovvero il modello a trattazione scritta (lettura del
dispositivo con motivazione differita) e il modello a trattazione orale (lettura
contestuale del dispositivo e della motivazione) deve ritenersi che
quest'ultima
opzione
riguardi
le
cause
meno
complesse
e
possa,
conseguentemente, essere adottata in conformità all'art. 281 sexies cod. proc.
civ.. Peraltro, per le controversie instaurate successivamente al 6/10/2011 alle
quali si applica il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10, il modello di decisione e
motivazione semplificata viene desunto dall'art. 429, comma 1, così come
modificato per effetto del D.L. n. 112 del 2008, art. 53, convertito nella L. n. 133
del 2008, dal momento che tali controversie sono assoggettate al cd.
rito del lavoro.
Da tali premesse normative consegue che, sotto il profilo formale, il giudice
della sentenza impugnata non era tenuto a pena di nullità ad esporre nella
motivazione né le conclusioni delle parti, né lo svolgimento del processo
(Cass. 7268 del 2012), dovendosi, tuttavia, valutare, in concreto, se vi siano
omissioni che impediscano di ricostruire il percorso decisionale che ha
condotto alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso.
Al riguardo deve rilevarsi che la decisione ancorché in modo estremamente
sintetico ha indicato l'iter logico giuridico seguito, partendo da precise
premesse di fatto e di diritto:
- La pronuncia del Garante è di rigetto;
- L'azione davanti al Garante esclude in via radicale l'accesso alla giustizia
ordinaria, consentendo esclusivamente l'impugnazione del provvedimento
adottato da quest'ultimo;
- Nella specie qualificando l'azione proposta come impugnazione se ne è
ravvisata la tardività.
Non si rileva, in conclusione, la nullità della sentenza impugnata né sotto il
profilo della formale assenza della riproduzione delle conclusioni delle parti,
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né sotto il profilo della radicale carenza delle ragioni di fatto e di diritto sulle
quali si fonda.
Deve, pertanto, in concreto essere verificata la fondatezza delle asserzioni
contenute nella pronuncia, alla luce delle contestazioni contenute nel ricorso.
In primo luogo, deve rilevarsi che nel ricorso (pag.8) sono riprodotti (e non
contestati dalla parte controricorrente) i capi a) e b) della statuizione del
Garante, recanti la formula del "non luogo a provvedere" giustificata
dall'adesione spontanea del titolare del trattamento alla cancellazione dei dati
sensibili ivi contenuti. In secondo luogo, deve osservarsi che la domanda
risarcitoria avanzata davanti al Tribunale di Roma è esclusivamente incentrata
sull'illegittimo trattamento dei dati relativi ai suddetti capi a) e b) con espressa
esclusione di quelli che avevano dato luogo alle statuizioni di rigetto, c), d), e);
cfr. pag. 9 del ricorso. Anche tale circostanza risulta non contestata dalla parte
controricorrente.
Alla luce di queste premesse di fatto deve essere accertata, in primo luogo, la
fondatezza dell'assunto relativo alla radicale alternatività tra l'azione art. 141,
lett. c) davanti al Garante e quella davanti al giudice ordinario. La sentenza
impugnata ha sostanzialmente fondato la propria decisione sul rilievo
secondo il quale, una volta prescelto il canale della tutela davanti al Garante, il
ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria può assumere esclusivamente la
forma dell'impugnazione della pronuncia del Garante, con conseguente
inammissibilità di un'autonoma domanda risarcitoria. Il corollario, ancorchè
non esplicitato nella pronuncia impugnata, di tale assunto sembra essere
quello di escludere ab origine l'accesso alla tutela risarcitoria, se successiva
alla proposizione del ricorso davanti al Garante, così esaurendo il diritto del
titolare dei dati alla tutela preventiva od inibitoria.
Al riguardo deve rilevarsi che il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15 stabilisce in via
generale che chiunque cagioni un danno ad altri per effetto del trattamento di
dati personali è tenuto al risarcimento, ai sensi dell'art. 2050 c.c.. Il danno non
patrimoniale è risarcibile anche in caso di trattamento non conforme alle
modalità prescritte nell'art. 11. La tutela risarcitoria è rimessa in via esclusiva
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all'autorità giudiziaria ordinaria, sia alla luce dell'abrogato D.Lgs. n. 196 del
2003, art. 152, comma 12 sia alla stregua del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10,
vigente comma 6.
L'esercizio del diritto al risarcimento del danno, non solo non patrimoniale,
richiede la domanda della parte.
I provvedimenti che possono essere adottati dal Garante, su ricorso proposto
D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 141, lett. c), si articolano in misure di natura
provvisoria e definitiva. Tra i primi vi sono il blocco in tutto od in parte dei
dati o la sospensione del trattamento. In ordine ai provvedimenti definitivi il
Garante può disporre la cessazione del comportamento illegittimo, indicando
le misure necessarie a tutela dei diritti dell'interessato e assegnando un
termine per la loro adozione. Se richiesto dalle parti, il Garante può
provvedere sulle spese del procedimento. Infine, ove sorgano difficoltà o
contestazioni in ordine all'esecuzione possono essere disposte modalità di
attuazione, sentite le parti. La statuizione sulle spese del procedimento
costituisce, ove non opposta, titolo esecutivo. (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 150).
Dall'esame dei provvedimenti attribuiti alla competenza del Garante in sede
di tutela "alternativa a quella giurisdizionale" così la sezione 3 del Titolo 1
(Tutela amministrativa e giurisdizionale), Capo 1, della Parte 3 (Tutela
dell'interessato e sanzioni) può escludersi che a tale Autorità sia attribuita la
cognizione di domande risarcitorie, da ritenersi coperta da riserva esclusiva di
giurisdizione ordinaria.
La fondatezza di tale ultima affermazione, tuttavia, deve essere confrontata
con il principio dell'alternatività delle tutele contenuto nel D.Lgs. n. 196 del
2003, art. 145, commi 2 e 3, secondo i quali: a) il ricorso al Garante non può
essere proposto se per il medesimo oggetto e tra le stesse parti è stata già adita
l'autorità giudiziaria; b) la presentazione del ricorso al Garante rende
improponibile un'ulteriore domanda davanti all'autorità giudiziaria ordinaria
tra le stesse parti e per lo stesso oggetto.
Come espressamente stabilito dalle disposizioni esaminate l'alternatività
riguarda esclusivamente le domande aventi un identico oggetto, ovvero quelle
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che, se pendenti contestualmente davanti a più giudici, possono, in via
generale, essere assoggettate al regime processuale della litispendenza o della
continenza. Si tratta delle domande che richiedono interventi di natura
preventiva, inibitoria o conformativa, potendo il Garante indicare modalità
concrete di cessazione del trattamento illecito dei dati. La domanda di
risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale ha causa petendi e
petitum radicalmente divergenti da quelle sopra esaminate ed è destinata ad
una declaratoria d'inammissibilità se proposta davanti al Garante. Peraltro, in
numerose pronunce (ex multis 19/2/2002 doc. web. 1063674; 5 ottobre 2006
doc. web. 135919), il Garante ha ritenuto inammissibile il ricorso contenente
una domanda risarcitoria, ritenendosi privo di competenza al riguardo.
L'accoglimento del ricorso, totale o parziale, da parte del Garante può, in
conclusione, facilitare il ricorso alla tutela risarcitoria davanti all'autorità
giudiziaria ordinaria, ma non escluderla.
Diversamente ragionando, dovrebbe ritenersi alternativamente che scelta la
strada della tutela inibitoria (e preventiva), sia negata quella risarcitoria,
oppure che, nonostante il riconoscimento del trattamento illecito dei dati
personali, la parte sia tenuta ad un'impugnazione del provvedimento del
Garante al solo fine di richiedere il risarcimento del danno e non incorrere
nella sanzione di tardività dell'azione. Quest'ultima soluzione è in netto
contrasto con il canone costituzionale della ragionevolezza. La prima
introduce un impedimento all'ottenimento della tutela piena di un diritto
fondamentale quale quello in gioco, del tutto incompatibile con l'art. 24 Cost..
Diversa è la soluzione in caso di rigetto del ricorso da parte del Garante. In
tale ipotesi, condicio sine qua non per adire l'autorità giudiziaria è
l'impugnazione tempestiva del provvedimento di diniego, con conseguente
facoltà di proporre la connessa domanda risarcitoria unitamente a quella
relativa all'accertamento della illiceità del trattamento dei dati. Ma nella
specie, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, il
provvedimento del Garante non è stato di rigetto integrale del ricorso
proposto ma soltanto parziale. Per la parte più consistente d'illecito
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trattamento di dati denunciata nel ricorso vi è stata l'adesione spontanea del
titolare alla cancellazione ed eliminazione dei dati in oggetto. Esclusivamente
rispetto ad essi i ricorrenti hanno legittimamente proposto domanda
risarcitoria, senza contestare (non avendo alcun interesse al riguardo) la
statuizione di non luogo a provvedere, in quanto logicamente conseguente
alla predetta adesione.
Quest'ultima statuizione non può essere equiparabile ad un provvedimento di
rigetto in quanto si fonda sulla presa d'atto dell'adempimento spontaneo alla
rimozione della situazione d'illecito trattamento di dati sulle testate ed i
networks del titolare del trattamento.
La parte ricorrente ha prestato piena acquiescenza al provvedimento del
Garante, sia nella parte relativa al rigetto, divenuta intangibile, sia nella parte
relativa al provvedimento di non luogo a provvedere. In ordine a
quest'ultima, tuttavia, la mancata impugnazione non ha determinato alcun
impedimento alla successiva tutela risarcitoria proprio in virtù della
mancanza di un provvedimento di rigetto. Il mancato accertamento della
liceità od illiceità del trattamento non è derivato da un accordo tra le parti o
dalla sopravvenuta carenza d'interesse dei ricorrenti ma esclusivamente
dall'adesione spontanea da parte del titolare del trattamento all'accoglimento
di alcune delle domande rivolte alla cancellazione definitiva di dati personali
dei ricorrenti medesimi.
Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Roma la cognizione del
giudice ordinario nella specie non subisce alcun vincolo da parte del pregresso
provvedimento del Garante, limitatamente al trattamento dei dati personali
contenuti nella statuizione di non luogo a provvedere, essendo mancato un
accertamento pieno della loro natura e liceità. Deve, peraltro, evidenziarsi che,
ai sensi del primo comma del D.Lgs n. 196 del 2003, art. 149, la comunicazione
del ricorso al titolare a cura dell'ufficio del Garante al fine di far esercitare al
titolare medesimo la facoltà di adesione spontanea si fonda su una preventivo
vaglio di ammissibilità e non manifesta infondatezza del ricorso. Tale vaglio
non è equiparabile ad una decisione di merito del Garante, così come
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l'adesione spontanea non può comportare l'esclusione dell'accertamento dei
presupposti della fondatezza della tutela risarcitoria davanti all'autorità
giudiziaria ordinaria.
In conclusione il ricorso deve essere accolto, la sentenza cassata con rinvio al
Tribunale di Roma in diversa persona perchè si attenga al seguente principio
di diritto: "la statuizione di non luogo a provvedere assunta dal Garante della
Privacy D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 149, comma 2, derivante dall'adesione
spontanea da parte del titolare del trattamento alla cancellazione e non
utilizzazione di dati personali così come richiesto dagli interessati, non
impedisce l'esercizio dell'azione di risarcimento del danno davanti all'autorità
giudiziaria ordinaria, nè tale azione deve essere proposta nel termine
perentorio di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento del
Garante".
PQM
La Corte, accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le
spese del presente procedimento al Tribunale di Roma in diversa persona.
In caso di diffusione omettere le generalità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2014
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