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INTERVENTO AL CONVEGNO “IL FALLIMENTO DELLE SOCIETÀ PUBBLICHE”
ROMA 10/06/2014
di Sergio Scicchitano
Buongiorno a tutti.
Innanzitutto devo dirvi che per me è un grandissimo piacere ed onore presentare il mio
ultimo libro proprio qui presso la Suprema Corte.
Per me è come ritornare a casa, visto che mio padre ha concluso la sua carriera come
Presidente di Corte della Cassazione.
Ringrazio innanzitutto la mia Università che mi ha consentito ciò e ringrazio ovviamente
tutti i presenti a partire dai relatori, al Presidente della Link Prof. Vincenzo Scotti, alla
Prof.ssa Zambrano e al Prof. Gennaro Terracciano, direttore della collana giuridica, alla
Dott.ssa Stefania Lazzari che ha reso possibile, organizzandolo, tutto ciò.
Ringrazio molto il Presidente Antonio Di Pietro che mi ha onorato della Sua autorevole
presenza e tutti i componenti del mio studio oggi presenti.
Grazie proprio a tutti.
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Come noto l’articolo 1 della Legge Fallimentare dispone che “Sono soggetti alle
disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano
un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici”
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Pertanto gli Enti Pubblici sono esenti da fallimento.
Tuttavia, diversi dagli Enti Pubblici sono le società “in mano pubblica”, vale a dire le
società nelle quali un Ente Pubblico detiene la maggioranza o la totalità delle azioni.
A differenza degli Enti Pubblici, le “società in mano pubblica” sono soggette a fallimento.
Nel silenzio della Legge l’assoggettabilità a fallimento di tale tipologia di società è stata
ampiamente riconosciuta dalla giurisprudenza assolutamente prevalente, la quale ha
affermato l’importante principio secondo cui “La società per azioni con partecipazione pubblica
non muta la sua natura di soggetto di diritto privato per il solo fatto che l'ente pubblico ne possegga
in tutto o in parte le azioni. Pertanto, se la società partecipata dalla mano pubblica si avvale degli
strumenti previsti dal diritto societario, essa non può che essere ritenuta un soggetto di natura
privata”.
Il principio in discorso è stato affermato dalla Corte di Cassazione già nel lontano 1979.
In tale frangente la Corte di Cassazione, con la sentenza n.158 del 10.01.1979 afferma, con
riferimento al caso specifico esaminato, che una società per azioni concessionaria dello
Stato per la costruzione e l’esercizio di un’autostrada non perde la propria qualità di
diritto privato per il solo fatto che ad essi partecipano Enti Pubblici come azionisti.
Pertanto il principio affermato dalla Corte di Cassazione nel 1979 era già del tutto chiaro:
nonostante la partecipazione dell’ente pubblico la società rimane soggetto di diritto
privato e, come tale, è assoggettabile a fallimento a norma dell’art. 1 della Legge
Fallimentare.
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Il medesimo principio venne poi ripreso da sentenze di merito emesse dai Tribunali di
tutta Italia, i quali si pronunziarono in senso favorevole all’assoggettabilità delle società
“in mano” pubblica a procedura concorsuale.
Per citare alcuni esempi: Tribunale di Velletri, sentenza 08 marzo 2010; Tribunale Santa
Maria Capua Vetere, sentenza del 24 maggio 2011; Tribunale di Napoli, sentenza
31.10.2012; Tribunale Nocera Inferiore 21 novembre 2013.
Tutte queste, e molte altre, sentenze hanno affermato lo stesso principio: nonostante la
partecipazione dell’ente pubblico la società rimane soggetto di diritto privato e, come
tale, è assoggettabile a fallimento a norma dell’art. 1 della Legge Fallimentare.
Inoltre esse furono ispirate anche da ragioni volte a tutelare il ceto creditorio di tali società.
Infatti sarebbe stato ingiusto che i creditori di una società “in mano pubblica” non
avessero mezzi di tutela a fronte dell’assoluto stato di insolvenza della loro debitrice.
I creditori di tali società infatti, ove la società “in mano pubblica” loro debitrice avesse
goduto della medesima esenzione dal fallimento che caratterizzava l’Ente Pubblico
partecipante, avrebbero potuto solo avvalersi dei mezzi di tutela consistenti
nell’esperimento di azioni esecutive individuali.
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In alcuni Tribunali d’Italia tuttavia il principio dell’assoggettabilità a fallimento delle
società c.d. “ in mano pubblica” ha stentato a radicarsi.
In tali Tribunali – nell’arco temporale di soli due anni – si è assistito all’emanazione di due
sentenze di contenuto radicalmente opposto, una in senso contrario all’assoggettabilità a
fallimento e l’altra in senso favorevole.
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A titolo meramente esemplificativo:
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1. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere:
- Prima: con provvedimento del 9 gennaio 2009, ha sostenuto LA NON
ASSOGGETTABILITA’ A FALLIMENTO delle società “in mano pubblica”;
- Dopo: con sentenza del 24 maggio 2011, ha affermato l’esatto contrario, vale a dire
L’ASSOGGETTABITILA’ A FALLIMENTO delle società “in mano pubblica”.
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2. Il Tribunale di Palermo:
- Prima: nel 2010 ha ritenuto fosse imprenditore commerciale assoggettabile a
fallimento una società di rifiuti del capoluogo siciliano;
- Dopo: con decreto dell’8 gennaio 2013 ha rigettato un’istanza di fallimento
presentata contro una società per azioni partecipata dal Comune sostenendo che “non può
fallire”.
Pertanto, come è evidente, non sono mancate sporadiche pronunzie in senso contrario
all’assoggettabilità a fallimento delle società “mano pubblica”.
Si tratta, tuttavia, di eccezioni atteso che la giurisprudenza assolutamente maggioritaria
ritiene invece che le società “in mano pubblica” siano fallibili.
Esaminando le poche sentenze con le quali i Tribunali hanno inteso escludere
l’assoggettabilità al fallimento si nota come i singoli casi esaminati presentassero un quid
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pluris rispetto alla semplice presenza di una società partecipata prevalentemente o
integralmente da un Ente Pubblico (Stato, Regione, Provincia o Comune).
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In questi casi la peculiarità – che ha inciso ai fini dell’esenzione della società dal fallimento
– era rappresentata dal fatto che la stessa, oltre ad essere partecipata da un Ente Pubblico,
svolgeva servizi pubblici essenziali destinati al soddisfacimento di bisogni collettivi.
Ecco il motivo per il quale i Tribunali – si ripete con sporadiche pronunzie – in questi
casi hanno escluso la fallibilità della società “in mano pubblica”.
In questi casi infatti - nonostante la partecipazione dell’ente pubblico non avesse inciso
sulla natura della società quale soggetto di diritto privato e, come tale, è assoggettabile a
fallimento a norma dell’art. 1 della Legge Fallimentare – il fatto che la stessa espletasse un
servizio pubblico finalizzato al soddisfacimento di bisogni collettivi determinava di per sé
la carenza di un altro presupposto essenziale, secondo l’articolo 1 della Legge
Fallimentare, all’assoggettabilità a fallimento, vale a dire: la natura commerciale
dell’impresa e l’espletamento dell’attività commerciale.
In buona sostanza, in questi casi, a determinare l’esenzione dal fallimento della società “in
mano pubblica” non è stata la presenza di una partecipazione maggioritaria o totalitaria di
un Ente Pubblico, quanto piuttosto il mancato espletamento di un’attività commerciale e
quindi lucrativa.
A titolo meramente esemplificativo si menziona: Tribunale di Patti, sentenza 06 marzo
2009 (che ha dichiarato esente da fallimento una società per azioni esercente il servizio di
raccolta dei rifiuti solidi urbani partecipata esclusivamente da enti pubblici); Tribunale
Catania, sentenza 26 marzo 2010 (con cui è stata esclusa la fallibilità di una società per
azioni esercente il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani partecipata
esclusivamente da enti pubblici dotata di poteri di imposizione e di riscossione
tipicamente pubblicistici).
In tali casi, era quindi la natura pubblica dell’attività esercitata dalla società “in mano
pubblica” a renderla esente da fallimento, non potendosi qualificare la società come
impresa commerciale.
Ad ogni buon conto, anche sotto tale ultimo aspetto, si evidenzia un importante intervento
chiarificatore della Corte di Cassazione che nell’anno 2013 ha stabilito definitivamente il
principio dell’assoggettabilità a fallimento delle società “in mano pubblica”, pur in
presenza dello svolgimento di un servizio pubblico finalizzato al soddisfacimento di
bisogni collettivi.
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Infatti la Corte di Cassazione, con sentenza del 27 settembre 2013 n. 22209/2013 –
ribadendo il principio secondo cui la società per azioni con partecipazione pubblica non
muta la sua natura di soggetto di diritto privato per il solo fatto che l'ente pubblico ne
possegga in tutto o in parte le azioni – ha anche affermato che “L'eventuale divergenza
causale rispetto allo scopo lucrativo non appare sufficiente ad escludere che, laddove sia stato
adottato il modello societario, la natura giuridica e le regole di organizzazione della partecipata
restino quelle proprie di una società di capitali disciplinata in via generale dal codice civile.
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Ciò che rileva nel nostro ordinamento ai fini dell'applicazione dello statuto
dell'imprenditore commerciale non è il tipo dell'attività esercitata, ma la natura del
soggetto”.
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Ove si opinasse il contrario – ha sostenuto la Corte - si dovrebbe giungere alla
conclusione che anche le società a capitale interamente privato cui sia affidata in
concessione la gestione di un servizio pubblico ritenuto essenziale sarebbero esentate
dal fallimento.
Pertanto risulta ormai pacifico il principio dell’assoggettabilità a fallimento delle società
“in mano pubblica”.
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IL DIVERSO CASO DELLE SOCIETÀ IN HOUSE
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Se è pacifica l’assoggettabilità a fallimento delle società “in mano pubblica” è altrettanto
pacifico il principio della non assoggettabilità a fallimento delle società che – oltre ad
essere “in mano pubblica” – svolgono un servizio pubblico in regime di c.d. House
Providing.
Nel regime del c.d. HOUSE PROVIDING si ha una “una sorta di amministrazione “indiretta”
nella quale la gestione del servizio, in un certo senso, resta saldamente nelle mani dell’ente
concedente attraverso un controllo assoluto sull’attività della società affidataria la quale, a sua
volta, è istituzionalmente destinata in modo assorbente a operazioni in favore di questo” (TAR
Campania, Sez. I, 30/3/2005 n. 2784).
Ricorrendo tali presupposti, la società partecipata perde completamente la propria
autonomia e finisce per divenire un mero organo dell’Ente Pubblico partecipante.
I connotati qualificanti della società in house, costituita per finalità di gestione di pubblici
servizi, si individuano nei seguenti requisiti:
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1.la natura esclusivamente pubblica dei soci;
2. l'esercizio dell'attività esclusivamente o quanto meno in prevalenza a favore dei soci
stessi;
3. la sottoposizione ad un controllo corrispondente a quello esercitato dagli enti
pubblici sui propri uffici.
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Tali presupposti devono ricorrere tutti per poter definire una società non semplicemente
“in mano pubblica” ma “in house”.
Tali presupposti sono stati delineati dalla Corte di Cassazione, con pronunzia a Sezioni
Unite del 25 novembre 2013 n. 26283, evidenziando che in loro presenza non può
configurarsi un rapporto di alterità, né una separazione patrimoniale, tra l’ente
pubblico partecipante e la società stessa.
Ne consegue la non assoggettabilità delle società in house a fallimento.
Tale principio è stato affermato, di recente.
In presenza di tali presupposti la Giurisprudenza di legittimità ha escluso
l’assoggettabilità della società a fallimento.
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Tale principio è stato, di recente, affermato anche dalla giurisprudenza di merito.
A titolo meramente esemplificativo si menziona la sentenza del Tribunale Verona 19
dicembre 2013 , n. 651/2013; Tribunale di Napoli, sentenza del 09 gennaio 2014, n.
1097/13 N.R.R.Fall.
In particolare, con la sentenza del 9 gennaio 2014, Il Tribunale di Napoli ha evidenziato
che nelle società in house gli organi della società risultano preposti ad una struttura
corrispondente ad un’articolazione interna alla pubblica amministrazione e ad essa legati
da un vero e proprio rapporto di servizio.
Conseguentemente, come accade nelle Amministrazioni pubbliche, gli amministrazioni
della società sono sottoposti ad un controllo assoluto da parte delle amministrazioni, tali
da privarli di effettivi e concreti poteri gestori.
In qualità di articolazione di enti pubblici, a tali società deve essere estesa la previsione di
esenzione di fallimento, ex art. 1 l.f.
Prof. Avv. Sergio Scicchitano