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Dispensa 2 - Imprese Agroalimentari e Mercati Globali –esame da 6 cfu
a cura di Angela Mariani – A.A. 2011-2012
Globalizzazione dei mercati agroalimentari:
ostacoli e regolamentazione
Indice
1 Intervento pubblico e scambi internazionali .................................................................. 3
1.1
Principali strumenti ......................................................................................................... 3
1.2
Analisi qualitativa degli effetti delle politiche commerciali ........................................... 5
1.2.1 Strumenti attivabili dai paesi importatori .................................................................... 5
1.2.2 Strumenti attivabili dai paesi esportatori ..................................................................... 7
1.3
Processo di liberalizzazione degli scambi ....................................................................... 9
1.3.1 Multilaterale ................................................................................................................ 9
1.3.2 Bilaterale e regionale ................................................................................................... 9
2 Regolamentazione internazionale: la World Trade Organization.............................. 11
2.1
Le regole di base della WTO ......................................................................................... 13
2.2
L’organizzazione ........................................................................................................... 15
2.3
Risoluzione delle dispute .............................................................................................. 16
2.4
Breve analisi degli allegati e accordi specifici del Gatt................................................. 17
2.4.1 Il settore tessile e dell’abbigliamento ........................................................................ 17
2.4.2 Anti-dumping, sussidi, salvaguardie ......................................................................... 17
2.4.3 Regolamentazione di forme di barriere doganali ...................................................... 19
2.4.4 Misure di investimento (TRIMs). .............................................................................. 20
2.5
WTO e Paesi in via di sviluppo ..................................................................................... 20
3
Barriere Tecniche: Accordo SPS e Accordo TBT ........................................................ 22
3.1.1 L’Accordo sull’applicazione delle Misure Sanitarie e Fitosanitarie ......................... 23
3.1.2 L’Accordo sulle Barriere Tecniche agli Scambi ....................................................... 24
3.1.3 Barriere tecniche e PVS ............................................................................................ 25
3.1.4 Alcune osservazioni critiche su quanto previsto negli Accordi SPS e TBT ............. 26
3.1.5 Standard privati ......................................................................................................... 28
4 Tutela dei Marchi: regolamentazione del Wto ............................................................. 29
4.1
Accordo sugli Aspetti Commerciali dei Diritti di Proprietà Intellettuale (TRIPs) ........ 29
4.2
Accordo Trips le regole per le indicazioni geografiche ................................................ 29
4.3
Perché la tutela dei marchi è importante per l’Italia...................................................... 32
4.3.1 L’industria alimentare italiana: rilevanza delle esportazioni..................................... 32
4.3.2 Contraffazione e italian sounding.............................................................................. 34
4.3.3 La difesa dei marchi e delle indicazioni geografiche ................................................ 37
1
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5 Commercio dei prodotti agricoli: politiche e regolamentazione del Wto .................. 40
5.1
Politiche agricole e effetti sugli scambi internazionali ................................................. 40
5.2
Accordo sull’agricoltura dell’Uruguay Round .............................................................. 42
5.2.1 Accesso ai mercati ..................................................................................................... 43
5.2.2 Sussidi alle esportazioni ............................................................................................ 45
5.2.3 Sostegno interno ........................................................................................................ 46
6 Il negoziato Doha: le trattative per un nuovo Accordo Agricolo ...................................... 48
6.1
Liberalizzazione degli scambi agricoli e PVS ............................................................... 49
6.2
Lo stato delle trattative sull’agricoltura ......................................................................... 50
6.3
Negoziato agricolo: considerazioni di sintesi ................................................................ 53
2
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1
INTERVENTO PUBBLICO E SCAMBI INTERNAZIONALI
Gli scambi commerciali (cioè i flussi di importazione e di esportazione) e la competitività
delle imprese possono essere e sono influenzati in modo significativo dall’intervento
pubblico.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------Solo a titolo esemplificativo supponiamo che gli Stati Uniti impongano un dazio (cioè una tassa) sulle
importazioni di un prodotto: il vino. Dazio che è diverso a seconda dei paesi esportatori.
- una impresa italiana che vuole esportare vino negli Stati Uniti deve alla frontiera pagare un dazio
del 10%. Il prodotto arriva alla frontiera e il prezzo è 10 dollari, con il dazio il prezzo sale a 110.
- per un prodotto che arriva dall’Australia invece ipotizziamo un dazio del 5%. Immaginiamo per
semplificare che il prezzo dell’impresa australiana alla frontiera sia sempre di 10 dollari, con il
dazio il prezzo sale a 105.
Conseguenze: il governo degli Stati Uniti mettendo un dazio alla frontiera fa si che i vini importati
risultino più costosi. Chi si avvantaggia? - I produttori di vino della California perché i vini importati
sono più costosi. - Il Governo che ha un’entrata fiscale pari all’ammontare dei dazi.
Ancora, nel nostro esempio, in termini relativi i produttori italiani sono maggiormente penalizzati
rispetto a quelli australiani.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------1.1
Principali strumenti
.Nel prospetto che segue sono riportati i principali strumenti, diretti ed indiretti, che
possono essere attivati dall’autorità pubblica per regolare i flussi di importazione ed
esportazione e per sostenere la competitività delle produzioni nazionali considerando:
strumenti di politica commerciale,
forme di regolamentazione dei mercati e
altri strumenti di politica economica.
Lo schema non vuole essere una elencazione esaustiva, ma richiamare l’attenzione su
strumenti che sono rilevanti per l’analisi del processo di liberalizzazione degli scambi per il
settore agroalimentare e del processo di integrazione dell’Unione Europea. Gli strumenti sono
classificati in relazione alla posizione del paese come importatore o esportatore; alcuni sono,
invece, strumenti attivabili da entrambi i soggetti.
IMPORTATORE
Dazi (tariffe)
Prelievi variabili
Restrizioni quantitative (Quote e licenze)
Sussidi alle importazioni
ESPORTATORE
Tasse (o dazi) sulle esportazioni
Limitazioni alle esportazioni
Restrizioni volontarie
Sussidi alle esportazioni
Dumping
Barriere tecniche (Forme di regolamentazione dei
mercati)
Barriere Doganali)
Sussidi alla produzione
Politiche varie: tassazione, sicurezza sociale, pol. monetaria (tasso di cambio),
politiche per gli investimenti diretti, politica della concorrenza
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Il primo gruppo di strumenti (quelli in corsivo nel prospetto ) sono politiche commerciali.
Le politiche commerciali, che sono analizzate con maggiore dettaglio nel paragrafo 1.2
agiscono in modo diretto sui flussi di importazione e di esportazione. Una distinzione
terminologica importante è tra barriere tariffarie (dazi) e barriere non tariffarie, che
includono tutti gli strumenti diversi dai dazi.
Di particolare rilievo per il sistema agroalimentare sono le forme di regolamentazione dei
mercati, che dal punto di vista degli scambi internazionali possono rappresentare un ostacolo
agli scambi e vengono denominate barriere tecniche. Come visto nella Dispensa n. 1 i
governi intervengono sui mercati attraverso varie forme di regolamentazione per correggere i
fallimenti del mercato a tutela della salute dei consumatori (sicurezza degli alimenti), della
salute di animali e piante e per assicurare il buon funzionamento del mercato (correggere
l’asimmetria informativa, assicurare la differenziazione verticale dei prodotti e transazioni
leali).
Gli strumenti utilizzabili sono diversi: norme tecniche (standard che possono riguardare il
prodotto o i processi produttivi), forme di certificazione (verifica della conformità agli
standard), dichiarazione di informazioni (etichettatura obbligatoria e regole per quella
volontaria), divieto di importazione (totale o parziale).
Gli strumenti e le forme di intervento scelti da ciascun paese per regolamentare la
produzione e la commercializzazione dei prodotti alimentari sono influenzate e determinate da
una serie di fattori con una netta specificità a livello nazionale. Tra paesi infatti possono
sussistere differenze anche significative con riferimento a:
- la valutazione degli attributi qualitativi dei prodotti;
- la valutazione e gestione del rischio;
- le condizioni locali e la regolamentazione tecnica adottata (ad esempio, l’applicazione
dell’HACCP), che possono determinare una maggiore o minore esposizione al rischio;
- i sistemi legali, che possono fornire un livello diverso di incentivi alle imprese a fornire
prodotti sani;
- i valori culturali e religiosi;
- il peso attribuito a considerazioni di natura etica (benessere degli animali, difesa
dell’ambiente, condizioni di lavoro);
- il livello di fiducia nella scienza e nell’operato dei responsabili politici nazionali.
L’esistenza di una differenza tra le forme di regolamentazione adottate da singoli paesi
costituisce un ostacolo agli scambi internazionali (barriera tecnica), in quanto impone agli
esportatori costi addizionali per conformare il prodotto alle regole del singolo mercato e/o per
sottoporsi ai sistemi di verifica e controllo.
Inoltre, è possibile ricorrere a queste forme di regolamentazione non per tutelare interessi
legittimi, ma solo al fine di creare una barriera di carattere non tariffario per proteggere i
produttori nazionali. Infatti, le varie forme di regolamentazione, sotto la spinta di particolari
gruppi di interesse, possono essere utilizzate non per i loro scopi legittimi (correzione dei
fallimenti del mercato), ma per limitare le importazioni (causando così una perdita in termini
di benessere).
4
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Per barriere doganali si intendono le forme di regolamentazione di tipo amministrativo
che stabiliscono le procedure di valutazione delle merci alle frontiere, i controlli e gli
eventuali adempimenti richiesti. È chiaro che queste procedure (necessarie ad esempio per
poter applicare eventuali dazi e per verificare che i prodotti importati rispondano alle
normative interne per l’immissione nel mercato) possono essere rese particolarmente lente e
complesse proprio allo scopo di disincentivare o rendere più costose le importazioni.
I sussidi alla produzione sono le varie forme di intervento pubblico che hanno come
effetto quello di ridurre i costi di produzione delle imprese nazionali.
Il sussidio è uno strumento utilizzato per favorire un incremento della produzione interna e
accrescere la competitività delle imprese nazionali. Ha un riflesso sui mercati internazionali in
quanto, stimolando l’aumento dell’offerta interna, incide sul volume delle importazioni o
delle esportazioni. Grazie al sussidio alla produzione (che riduce i costi) le imprese nazionali
possono aumentare la produzione, nel caso di un paese importatore si avrà una contrazione del
volume delle importazioni; di contro nel caso di un paese esportatore si avrà un aumento del
volume delle esportazioni. I sussidi rappresentano un costo per il bilancio del paese che li
concede ai propri produttori.
1.2
Analisi qualitativa degli effetti delle politiche commerciali1
1.2.1 Strumenti attivabili dai paesi importatori
Dazi
Il dazio (o tariffa)2 è il principale strumento di politica commerciale, il più comunemente
utilizzato per limitare le importazioni di un paese, adottato dai governi per proteggere
particolari settori o per ragioni fiscali. Sostanzialmente si tratta di una tassa sull’importazione
di un bene. Il dazio viene detto specifico quando consiste in un ammontare fisso, imposto per
ogni unità importata del bene considerato; ad valorem quando viene fissato come una
percentuale in in rapporto al valore del bene; misto quando si verifica un utilizzo
contemporaneo dei due tipi precedenti.
L’applicazione di un dazio provoca nel mercato interno del paese importatore un aumento
del prezzo del bene (causato dal dazio) che a sua volta (per le leggi dell’offerta e della
domanda) comporta:
 un incremento della produzione nazionale del bene stesso, che si traduce in un vantaggio
per le imprese che ora producono di più e a un prezzo maggiore,
1
Alla stesura di questo ha collaborato Flavio Boccia.
2 L’insieme dei dazi costituisce la tariffa doganale di un paese. Per semplicità usiamo i termini dazio e
tariffa come sinonimi.
5
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
una riduzione della domanda dei consumatori, la cui situazione peggiora perché possono
acquistare un volume inferiore del prodotto e lo pagano un prezzo più alto.
Nel contempo, il paese che protegge il suo mercato interno con un dazio ottiene delle
entrate pari al prodotto tra l’entità del dazio e la quantità importata.
Per quanto concerne l’effetto sul mercato internazionale, questo risulta negativo per i
paesi esportatori. Il dazio infatti, provoca una riduzione della domanda di importazioni,
ovvero del volume complessivo degli scambi, e, di conseguenza anche un abbassamento del
livello del prezzo internazionale. Gli esportatori dunque esportano meno e vedono contrarsi
anche i ricavi.
Ovviamente un paese può applicare tariffe di livello diverso per prodotti (voci doganali);
tariffe più elevate per i prodotti per i quali vuole accordare una maggiore protezione.
Nel caso in cui la tariffa applicata cresce in funzione del livello di trasformazione del
prodotto si parla di escalation tariffaria. L’obiettivo in questo caso è quello di proteggere le
industrie di trasformazione con un livello alto di tariffa e consentire di importare gli input
necessari per la trasformazione senza dazio (o con un dazio basso). Esempio tariffa alta per il
caffè trasformato e bassa o nulla per il caffè in chicchi.
Gli esportatori possono aggirare l’effetto di un dazio riducendo il prezzo di esportazione, in
questo caso anche il prezzo all’interno del paese che pone il dazio diminuisce.
Prelievi variabili
Uno strumento che è stato utilizzato per i prodotti agricoli (soprattutto dall’Unione
europea) è il prelievo variabile: questo viene applicato quando un paese vuole garantire con
certezza ai produttori nazionali un prezzo stabile e più elevato rispetto a quello del mercato
internazionale. Il prelievo variabile è di fatto una tariffa all’importazione variabile che colma
esattamente la differenza tra il prezzo internazionale (più basso) ed il prezzo garantito interno
(più alto): questo meccanismo deve essere flessibile in modo tale che i prelievi
all’importazione possano essere ricalcolati ed aggiustati per tener conto dei cambiamenti di
breve periodo dei prezzi mondiali. Ovviamente il meccanismo funziona fintanto che il prezzo
mondiale si trova al di sotto di quello garantito all’interno del paese, mentre cesserà di
funzionare per livelli superiori.
Il prelievo variabile quindi elimina l’influenza dei prezzi internazionali sui prezzi nazionali
e trasferisce l’instabilità interna della domanda o dell’offerta nel mercato mondiale attraverso
cambiamenti nel volume delle importazioni.
Sia sul mercato interno sia su quello internazionale, tutti gli effetti relativi a prezzi,
produzione e consumo interni, entrate statali e scambi sono gli stessi evidenziati nel caso del
dazio.
Restrizioni quantitative: Quote
La quota (o contingente) è una restrizione diretta sulla quantità di un bene che può essere
importata e implica l’implementazione di un regime di licenze. Gli effetti di una quota sono
6
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gli stessi di un dazio per quanto concerne prezzo interno ed internazionale, ma ha due
importanti specificità.
1) Le licenze - Quando la restrizione alle importazioni è imposta tramite una quota, la
differenza tra il prezzo interno e quello internazionale è percepito dai destinatari delle
licenze di importazione. Un aspetto centrale per valutare chi si appropria di questa rendita
è il meccanismo di distribuzione delle licenze. Se lo stato attribuisce le licenze a titolo
gratuito il soggetto che detiene la licenza si appropria della rendita. Se lo stato mette
all’asta la licenza la rendita diventa un’entrata per il bilancio pubblico.
2) La quota limita in modo certo le importazioni al livello prestabilito. Mentre con il dazio
l’esportatore può decidere di assorbirlo in tutto o in parte, riducendo i prezzi o
accontentandosi di profitti più bassi, con il contingentamento ciò è impossibile.
Sussidi alle importazioni
Alcuni interventi di politica commerciale, al contrario di quanto visto sopra, possono
favorire l’importazione di beni (di consumo o intermedi): in tal caso si parla di sussidi alle
importazioni3.
Un sussidio alle importazioni ha l’effetto di ridurre il prezzo sul mercato interno (gli
importatori comprano il bene al prezzo mondiale e lo vendono ad un prezzo più basso grazie
al sussidio), ciò va ovviamente a vantaggio dei consumatori mentre danneggia i produttori
interni.
Con la diminuzione dei prezzi interni, la domanda aumenta e la produzione interna
diminuisce, quindi le importazioni indotte dal sussidio cresceranno fino alla copertura del gap.
Il costo governativo totale dell’operazione è dato dal prodotto tra il sussidio ed il nuovo e più
elevato volume di importazioni.
Il prezzo sul mercato mondiale, subirà un aumento a causa dell’incremento degli scambi
mondiali.
E’ infine da notare che, quando è in corso una operazione di sussidio all’importazione,
deve essere in atto anche qualche azione per il controllo delle esportazioni. I produttori
potrebbero essere tentati di rifornirsi al più basso prezzo interno e vendere a quello
internazionale più remunerativo.
1.2.2 Strumenti attivabili dai paesi esportatori
Tasse sulle esportazioni
La tassa sulle esportazioni è un prelievo applicato sui prodotti destinati ai mercati esteri.
E’ uno strumento utilizzato principalmente per due scopi: generare entrate per il bilancio
pubblico di facile riscossione e ridurre il prezzo dei prodotti sul mercato interno.
Una tassa sulle esportazioni ovviamente rende meno conveniente inviare le merci sul
mercato internazionale e aumenta l’offerta verso il mercato interno, con la conseguenza che il
prezzo interno tende a diminuire.
3
Per sussidio si intende un contributo finanziario pubblico a beneficio dei destinatari
7
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Le esportazioni si contraggono (il volume degli scambi mondiali si contrae) e il prezzo
internazionale tende ad aumentare.
Le entrate per il bilancio pubblico del paese sono pari al prodotto tra il valore della tassa ed
il nuovo e più basso volume di esportazioni.
Limitazioni delle esportazioni
Un paese esportatore può controllare direttamente la quantità di un bene destinata al
mercato internazionale imponendo un limite massimo alla quantità: quota o limitazione
sull’esportazione. Tale limitazione può essere applicata verso tutti i paesi
indiscriminatamente oppure verso una singola nazione o gruppo di nazioni (embargo).
Le esportazioni possono essere limitate in base ad un accordo con il paese importatore: in
questo caso si parla di limitazioni volontarie alle esportazioni.
Questo strumento ha gli stessi effetti della tassa sulle esportazioni, ma essendo una
limitazione che incide in modo diretto sulle quantità valgono le stesse osservazioni e
differenze discusse nel paragrafo precedente con riferimento alla differenza tra dazio e quota.
In particolare, la differenza tra il prezzo internazionale e quello interno provoca un
guadagno per chi riesce ad ottenere le licenze per l’esportazione: le osservazioni sulla rendita
e sulle questioni relative alla sua attribuzione sono le stesse del caso della quota
all’importazione.
Sussidi alle esportazioni
I sussidi alle esportazioni consistono in pagamenti diretti (somme ad integrazione del
prezzo internazionale) o misure che riducono i costi per gli esportatori nazionali, quali
concessione di sgravi fiscali, prestiti agevolati o tariffe per trasporti e noli agevolate, oppure
prestiti agevolati verso gli acquirenti esteri, al fine di stimolare le esportazioni.
Un sussidio all’esportazione concesso sotto forma di somma ad integrazione del prezzo
internazionale è uno strumento opposto - nell’applicazione e negli effetti – alla tassa sulle
esportazioni: come la tassa, anch’esso genera una divergenza tra prezzo interno e prezzo
mondiale, con la differenza, però, che nel primo caso il prezzo nazionale è minore di quello
internazionale, mentre nel secondo si verifica il contrario. Il prezzo nazionale più alto del caso
del sussidio all’esportazione scoraggia la domanda interna e stimola un aumento della
produzione.
Di conseguenza l’aumento del volume dei prodotti esportati determina una riduzione del
prezzo internazionale.
Poiché il prezzo interno del paese esportatore è superiore a quello mondiale è necessario
attivare forme di controllo delle importazioni. Il costo del sussidio all’esportazione grava sul
bilancio dello stato.
Dumping
Il dumping è luna pratica commerciale che consiste nell’esportare prodotti sotto costo o a
prezzi inferiori rispetto a quelli praticati sul mercato interno.
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Le conseguenze sul mercato internazionale sono le stesse che si riscontrano con i sussidi
all’esportazione (maggiori volumi esportati e una riduzione del prezzo internazionale).
1.3
Processo di liberalizzazione degli scambi
Le diverse forme di intervento pubblico analizzate nei paragrafi 1.1 e 1.2 come visto
possono incidere in modo diretto o indiretto sugli scambi internazionali. Attraverso queste
politiche i paesi cercano di incrementare il proprio benessere economico, di fatto a spese del
benessere di altri paesi.
Nella teoria economica è dimostrato che il libero scambio (situazione teorica di completa
assenza di qualsiasi politica che possa interferire con gli scambi) può determinare un aumento
del benessere generale. Il vantaggio per l’insieme di tutti i paesi è che ciascuno si può
specializzare nelle produzioni in cui ha un vantaggio comparato, la produzione totale aumenta
e i consumatori possono accedere ad una maggiore quantità di beni e ad una maggiore varietà
a prezzi inferiori.
Detto in modo estremamente semplificato ciascun paese, agendo singolarmente, sta meglio
adottando una politica protezionistica, ma un gruppo (o tutti) i paesi migliorerebbero la loro
condizione se scegliessero congiuntamente di liberalizzare gli scambi.
1.3.1 Multilaterale
Questa idea è alla base del processo di liberalizzazione degli scambi su base multilaterale
Che si è concretizzato prima all’Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio (GATT),
siglato nel 1947 come accordo internazionale provvisorio, poi sostituito nel 1995 da una vera
e propria organizzazione internazionale la World Trade Organization (WTO) o
Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).
La WTO, come discusso nel capitolo 2, si occupa delle regole del commercio fra le nazioni
e ha l’obiettivo di creare le condizioni per un commercio internazionale libero e corretto.
1.3.2 Bilaterale e regionale4
In parallelo al processo di liberalizzazione multilaterale ha avuto luogo ( e di recente si va
progressivamente sviluppando) un processo di integrazione economica a livello regionale
realizzata attraverso accordi siglati da gruppi di paesi che danno luogo a forme più o meno
spinte di apertura dei mercati tra i soli partecipanti Nei processi di integrazione regionale si
possono distinguere diversi livelli.
La forma più debole di integrazione economica è l’area di commercio preferenziale: un
gruppo di paesi concede un accesso preferenziale (riduzione delle tariffe) attraverso degli
accordi specifici a certi prodotti provenienti da determinati paesi. Una alternativa per dare
accesso preferenziale è tramite la fissazione di quote di importazione riservate ad alcune
tipologie di merci di certi paesi. Alcuni esempi significativi sono il commercio preferenziale
formata dall’Unione europea con i paesi ACP (ex colonie europee della zona Africa-CaraibiPacifico) o il Commonwealth britannico tra Regno Unito e alcuni paesi, tra cui diverse ex
colonie dell’impero.
4
La stesura di questo paragrafo è di Flavio Boccia
9
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Invece, l’area di libero scambio rappresenta la forma di integrazione in cui vengono
eliminate in modo completo le barriere commerciali tra i paesi che vi prendono parte; tuttavia,
ciascun paese mantiene le proprie politiche commerciali nei confronti dei paesi terzi.
--------------------------------------------------------------------------------------------------Gli esempi principali sono:
NAFTA (Accordo di libero scambio nord-americano), tra Canada, Stati Uniti e Messico;
EFTA (Associazione di libero scambio europeo), attualmente tra Norvegia, Svizzera, Islanda e
Liechtenstein;
AFTA (Area di libero scambio dell’ASEAN, ovvero della Associazione delle nazioni
dell’Asia sud-orientale), tra Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Thailandia, Brunei,
Vietnam, Laos, Birmania e Cambogia;
AFTZ (Zona di libero scambio africana), tra Angola, Botswana, Burundi, Comore, Repubblica
Democratica del Congo, Egitto, Eritrea, Etiopia, Gibuti, Kenya, Lesotho, Libia, Madagascar,
Malawi, Mauritius, Mozambico, Namibia, Ruanda, Seychelles, Swaziland, Sudafrica, Sudan,
Tanzania, Uganda, Zambia e Zimbabwe.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------Un passo ulteriore nel processo di integrazione è costituito dall’unione doganale: in tale
forma vengono eliminate le barriere commerciali che impediscono la libera circolazione delle
merci e, a differenza dell’area di libero scambio, viene prevista l’armonizzazione delle
politiche commerciali con l’istituzione di una tariffa doganale esterna comune (TEC), ovvero
unica nei confronti di tutti i paesi non membri, la cui funzione, appunto, è di proteggere i
mercati dell’unione dalla concorrenza dei prodotti provenienti dall’esterno. L’esempio
principale è dato dalla Comunità Economica Europea (CEE) costituita nel 1957 da Italia,
Francia, Germania Occidentale, Belgio, Olanda e Lussemburgo.
Il mercato unico (o mercato comune) è una unione doganale con politiche comuni sulla
regolamentazione dei prodotti, dei fattori di produzione (capitale e lavoro) e di impresa:
l’obbiettivo è quello della libera circolazione di beni, servizi, capitali, lavoro tra i paesi
membri. Questa forma è stata raggiunta dalla CEE nel 1993. Nel paragrafo 5.1 della dispensa
1 è stato discusso il processo di eliminazione delle barriere tecniche nel processo di
formazione del mercato unico europeo.
Una unione economica e monetaria, invece, contempla l’armonizzazione oppure, in uno
stadio ancora più avanzato, l’unificazione delle politiche monetarie e fiscali fra gli stati
membri. Si tratta dello stadio finale dell’integrazione economica. L’esempio di totale
integrazione è dato dagli Stati Uniti, mentre nel caso di una parte dei membri dell’Unione
europea (la cosiddetta “zona dell’Euro”) si è in presenza di una armonizzazione delle sole
politiche monetarie, ma non ancora di quelle fiscali.
Una menzione a parte, infine, meritano le cosiddette zone franche, di sviluppo più recente:
in sostanza si tratta di aree istituite al solo scopo di attirare investimenti esteri con esenzione
di dazi su materie prime e prodotti intermedi.
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REGOLAMENTAZIONE INTERNAZIONALE: LA WORLD TRADE ORGANIZATION5
2
Le diverse forme di intervento pubblico discusse nel capitolo 1 sono oggi sottoposte
alla regolamentazione concordata nell’ambito della World Trade Organization (WTO).
La WTO o Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) è l’organismo internazionale
che si occupa delle regole del commercio fra le nazioni: è nata il 1° gennaio 1995, come
risultato dell’Uruguay Round, ma il relativo sistema commerciale è più vecchio di circa
mezzo secolo e si fonda sull’Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio (GATT:
General Agreement on Tariffs and Trade).
L’Accordo GATT era stato firmato nel 1948 da 23 paesi e dettava la prima
regolamentazione del commercio internazionale. L’ambizione, inizialmente, era quella di
creare una vera istituzione, ma questo obiettivo non poté essere realizzato e, quindi, il GATT
è rimasto semplicemente un accordo. Il suo ruolo, però, è stato molto significativo, si sono
infatti realizzati 8 Round negoziali, nei quali sono state concordate significative di
riduzione delle tariffe e sono state progressivamente ampliate le forme di intervento
pubblico nazionale sottoposte a regolamentazione. In parallelo è cresciuto il numero dei
paesi partecipanti.
Dal 2001 si è avviato un nuovo negoziato il Doha Round, che ancora non si è concluso. Al
Doha Round si farà riferimento nel capitolo 6.
Negoziati che si sono svolti in ambito GATT:
Anno
Luogo / Nome
Oggetto
1947
Ginevra
Tariffe
1949
Annecy
Tariffe
1951
Torquay
Tariffe
1956
Ginevra
Tariffe
1960-61 Ginevra (Dillon Round)
Tariffe
1964-67 Ginevra (Kennedy Round)
Tariffe e misure anti-dumping
1973-79 Ginevra (Tokyo Round)
Tariffe, Barriere non tariffarie,
1986-94 Ginevra (Uruguay Round)
Tariffe, regole, servizi, proprietà
intellettuale, regolazione delle
dispute, settore tessile, agricoltura,
Nascita della WTO
2001 - ? Doha Round
Paesi
23
13
38
26
26
62
102
123
Le fondamenta della WTO sono costituite da accordi, negoziati e firmati dagli attuali 153
Stati membri. Nella WTO ogni singolo paese agisce per conto proprio, ma sempre più i paesi
cercano di riunirsi per formare gruppi e alleanze al suo interno. I paesi membri dell’Unione
Europea, ad esempio, delegano la Commissione Europea a rappresentarli a quasi tutte le
riunioni della WTO, cosicché l’Ue è membro con propri diritti e doveri alla stessa stregua di
5
La stesura di questo capitolo è di Flavio Boccia
11
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tutti gli altri stati. Comunque, come si vedrà capitolo 6 gruppi di paesi, che hanno interessi in
comune, cercano di coordinare le proprie posizioni e di agire all’unisono.
La regolamentazione stabilita nell’ambito della WTO poggia su un insieme di accordi
(Figura 1)
Figura 1 – La struttura base degli Accordi della WTO
Merci
Servizi
Principi base
GATT
GATS
Allegati e accordi
specifici
Altri allegati e
accordi sulle
merci
Liste degli
impegni dei
paesi
Allegati sui servizi
Impegni per
l’accesso ai
mercati
Proprietà
intellettua
le
TRIPS
Dispute
Risoluzione
delle
dispute
Liste impegni dei
paesi (ed esenzioni
dal MFN)
L’elenco degli allegati e degli accordi specifici è il seguente:
Per i beni (sotto il GATT)
Agricoltura
Tessile e abbigliamento
Anti-dumping
Sussidi e strumenti di risposta a sussidi di altri paesi
Salvaguardia (misure protettive dalle importazioni in casi di emergenza)
Regolamenti sanitari e fitosanitari (SPS: Sanitary and Phytosanitary Measures)
Barriere tecniche (TBT: Technical Barriers to Trade)
Licenze d’importazione
Metodi di valutazione doganali
Ispezioni navali pre-imbarco
Regole sull’origine dei prodotti
Investimenti (TRIMs: Trade-Related Investment Measures)
Per i servizi (sotto il GATS)
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Movimento di persone, Trasporto aereo, Navigazione, Telecomunicazioni, Servizi finanziari.
Il commercio delle merci è regolato dall’Accordo GATT che è il testo del vecchio accordo
emendato.
Lo scambio dei servizi è regolato dall’Accordo Generale sul Commercio dei Servizi (GATS:
General Agreement on Trade in Services).
La proprietà intellettuale è regolata dall’Accordo sugli Aspetti Commerciali dei Diritti di
Proprietà Intellettuale (TRIPS: Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights.
La WTO riunisce i tre accordi all’interno di una singola organizzazione, un singolo insieme di
regole e un singolo sistema per la risoluzione delle dispute.
Le più rilevanti differenze tra il vecchio GATT ed la WTO sono le seguenti:
- il GATT era un accordo ad hoc e provvisorio.;
- la WTO ed i relativi accordi sono permanenti. Come organizzazione internazionale, la WTO
ha una solida base giuridica, perché i membri ne hanno ratificato gli accordi, che
descrivono anche il suo funzionamento;
- la WTO ha “membri”; il GATT, invece, ha avuto “parti contraenti”, sottolineando il fatto
che esso era ufficialmente solo un testo legale;
- il GATT si è occupato del commercio di merci, mentre la WTO riguarda anche i servizi e la
proprietà intellettuale;
- il sistema di risoluzione delle dispute della WTO è più efficace rispetto al vecchio sistema
del GATT.
Le funzioni della WTO sono le seguenti:
- amministra l’accordo commerciale WTO;
- è il forum per i negoziati commerciali (Round);
- gestisce le dispute commerciali;
- realizza un monitoraggio delle politiche commerciali nazionali;
- fornisce assistenza e gestisce programmi di formazione per i Paesi in Via di Sviluppo
(PVS), sulle tematiche connesse al commercio internazionale;
- coopera con le altre organizzazioni internazionali.
2.1
Le regole di base della WTO
Gli accordi della WTO sono lunghi e complessi perché sono testi legali che coprono, come
sopra evidenziato, una vasta gamma di settori e problematiche; tuttavia un certo numero di
regole fondamentali caratterizzano tutti questi documenti. Tali regole sono il fondamento
del sistema commerciale multilaterale ed erano anche alla base del GATT.
I)
Le uniche forme di protezione che possono essere utilizzate sono le tariffe (i dazi)
che ciascun paese membro dichiara in sede WTO e sono detti “consolidate”, nel
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senso che non possono essere modificate (cioè aumentate) senza una forma di
compensazione per gli altri paesi membri.


Questa regola generale deriva da due articoli del GATT:
l’articolo XI, il quale prevede che nessun membro possa istituire o mantenere –
all’importazione o all’esportazione – proibizioni o restrizioni quantitative, effettuate tramite
contingenti, licenze o altro mezzo che ponga limiti agli scambi, ad eccezione delle tariffe
doganali (di cui, comunque, si favorisce la progressiva riduzione);
l’articolo XVI, il quale vieta qualsiasi sovvenzione pubblica che abbia l’effetto di favorire
l’esportazione di prodotti ad un prezzo inferiore a quello normale di vendita nel paese di
origine.
La logica di questa regola è che i dazi sono uno strumento meno distorsivo rispetto alle quote:
una volta consolidati in sede WTO si procede poi a contrattare nei vari Round una loro
progressiva riduzione.
I paesi si impegnano ad non aumentare il livello dei dazi consolidati è possibile farlo solo in
un limitato e preciso elenco di situazioni regolamentate in specifici allegati all’accordo Gatt.
I possibili casi sono i seguenti:
- azioni intraprese contro il dumping (vendita sleale a basso prezzo) dazi antidumping;
- dazi “compensativi” speciali da contrapporre come equivalente di sussidi proibiti, quelli
all’esportazione e quelli che possono alterare la competitività delle imprese (l’agricoltura ha
però regole particolari);
- limitazioni commerciali di emergenza a “salvaguardia” (per eccezionali aumenti delle
importazioni)
Questi allegati sono approfonditi nel paragrafo 2.4.2
II) La clausola della Nazione Più Favorita (MFN).
I paesi membri non possono effettuare una discriminazione fra i loro partner
commerciali; se viene accordato a qualcuno un trattamento speciale (quale, ad esempio, una
minore protezione doganale per uno o più prodotti), la concessione deve essere estesa a tutti
gli altri membri della WTO.
La logica di questa regola è quella di evitare discriminazioni tra paesi e promuovere in
questo modo una liberalizzazione degli scambi multilaterale.
Eccezioni all’applicazione di questa clausola si hanno in due casi:
-
rimozione delle barriere tra paesi che costituiscono un’area regionale integrata, (in quanto
è considerato positivo un processo di liberalizzazione su scala regionale)
oppure nel caso in cui un trattamento differenziato è accordato nei confronti dei PVS
(come si vedrà in dettaglio nel paragrafo 2.5).
III) Trattamento nazionale: uguaglianza tra beni esteri e nazionali.
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Le merci importate, dopo essere state assoggettate all’eventuale dazio, e quelle prodotte
localmente devono essere trattate allo stesso modo. Questo principio proibisce di trattare
prodotti “simili” (like product) in modo diverso a seconda della loro origine, ossia se
importati o di produzione nazionale.
IV) Trasparenza.
Per garantire la trasparenza i paesi membri sono tenuti ad informare subito la WTO quando
intraprendono azioni di un certo rilievo, quali ad esempio nuove norme tecniche che
interessano il commercio, cambiamenti delle regolamentazioni relative allo scambio di servizi
o all’accordo della proprietà intellettuale.
2.2
L’organizzazione
La WTO funziona grazie all’azione dei governi dei paesi membri. Tutte le decisioni
importanti sono prese dall’insieme dei paesi membri, dai ministri o dai funzionari e le
decisioni sono normalmente prese tramite consenso.
Al vertice dell’Organizzazione vi è la Conferenza Ministeriale, che deve riunirsi almeno
una volta ogni due anni e che può prendere decisioni su tutti gli argomenti relativi agli accordi
commerciali multilaterali.
Altre attività sono gestite dai seguenti tre organi,
il Consiglio Generale,
l’Organo di Risoluzione delle Controversie tra i paesi membri e
l’Organo di Controllo delle Politiche Commerciali dei paesi membri,
oltre che da una serie di Comitati generali (su GATT, GATS e TRIPS) e di sottocomitati
specifici, così come indicato nella Figura 2.
Il Segretariato è l’organo esecutivo della WTO: ha sede a Ginevra e ha uno staff al cui
vertice vi è un Direttore Generale. Le sue responsabilità principali sono:
 supporto amministrativo e tecnico per i corpi delegati della WTO (consigli, comitati,
gruppi di lavoro, gruppi di negoziazione) per le trattative e l’implementazione degli
accordi;
 supporto tecnico per i Paesi in Via di Sviluppo, soprattutto i meno avanzati;
 analisi delle politiche commerciali realizzate da economisti e statistici della WTO;
 assistenza, da parte dello staff legale, nella risoluzione delle dispute commerciali che
coinvolgono l’interpretazione delle regole e dei precedenti della WTO;
 gestione delle trattative per l’adesione di nuovi membri e assistenza ai relativi governi.
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Figura 2 – Struttura della WTO
Tutti i Membri partecipano alla Conferenza Ministeriale, al Consiglio Generale, ai vari
consigli, comitati, etc., ad eccezione degli Organi per la Risoluzione delle Controversie e per
il Monitoraggio dei Tessili e i comitati ed i consigli plurilaterali.
Conferenza Ministeriale
Consiglio Generale in veste di
Organo di controllo della
Politica Commerciale
Consiglio per Commercio in Beni
Comitati per:
Commercio e Ambiente
Commercio e Sviluppo
Sottocomitato per i paesi meno sviluppati
Accordi Commerciali Regionali
Restrizioni Bilancia dei Pagamenti
Bilancio, Finanza e Amministrazione
Gruppi di Lavoro per:
Accessioni
Relazioni tra Commercio e Investimenti
Relazioni tra Commercio e Politica
della Concorrenza
Trasparenza negli Appalti Pubblici
Consiglio Generale
(Segretariato)
Consiglio Generale in veste di
Organo di Risoluzione delle
Controversie
Consiglio per gli Aspetti
Commerciali della Proprietà
Intellettuale
Comitati per:
Accesso ai Mercati
Agricoltura
Misure Sanitarie e Fitosanitarie
Barriere Tecniche al Commercio
Sussidi e Misure Compensative
Pratiche Anti-Dumping
Dogane
Regole di Origine
Permessi all’Importazione
Misure di Investimenti legati al
Commercio
Salvaguardie
Organo di Appello
Organi di Risoluzione
delle Controversie
Consiglio per Commercio nei
Servizi
Comitati per:
Commercio nei Servizi Finanziari
Impegni Specifici
Gruppi di Lavoro per:
Servizi Professionali
Regole GATS
Comitati Plurilaterali:
Comitato per Commercio in Aerei
Civili;
Comitato per Appalti Pubblici
Organo di Monitoraggio dei
Tessili
Gruppi di Lavoro per:
Imprese Statali
Ispezioni Pre-Imbarco
2.3
Risoluzione delle dispute
In mancanza dei mezzi per la risoluzione delle dispute, l’Organizzazione sarebbe senza
valore, poiché non ci sarebbe la possibilità di far rispettare le regole. Per questa ragione è stato
stipulato un Accordo per la Risoluzione delle dispute, che impegna i paesi a utilizzare il
sistema multilaterale di risoluzione delle dispute invece di agire unilateralmente, ciò significa
sostenere le procedure accordate e rispettare i giudizi.
Nel caso uno o più paesi rilevino azioni di altri non conformi alle regole stabilite si
debbono rivolgere alla WTO. Il procedimento, che è sotto la responsabilità dell’Organo di
Risoluzione delle Controversie, inizia con una fase di consultazione tra le parti, al fine di
incoraggiare una soluzione rapida e informale della controversia. In caso di fallimento, viene
istituito un panel di esperti, contro il cui giudizio si può eventualmente ricorrere in appello. Le
decisioni del panel e dell’appello diventano subito operative a meno che non vi sia il consenso
contro l’adozione in seno all’Organo di Risoluzione delle Controversie. Per ciascuno stadio
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del processo sono previsti precisi limiti temporali; nel complesso la procedura deve essere
risolta in 14 mesi.
Anche se le decisioni del panel e dell’organo di appello sono vincolanti, la WTO non ha il
potere di obbligare i paesi a modificare le forme di regolamentazione nazionale, ma solo di
richiedere al paese “condannato” di conformarsi alle regole dell’Accordo. Se il paese decide
di non procedere in tale direzione la disciplina della WTO prevede due alternative. La prima
possibilità è quella di negoziare l’entità della compensazione che il paese in infrazione deve a
quello/i danneggiato/i. Se non si raggiunge un accordo sull’entità della compensazione, i paesi
danneggiati possono chiedere alla WTO l’autorizzazione a imporre sanzioni commerciali6.
2.4
Breve analisi degli allegati e accordi specifici del Gatt
In questo paragrafo sono presentate in modo sintetico le caratteristiche dei principali
allegati e accordi relativi allo scambio di merci, ad esclusione di quelli relativi, alle barriere
tecniche, alle barriere sanitarie e fitosanitarie e al settore agricolo trattati nel capitolo
successivi.
2.4.1 Il settore tessile e dell’abbigliamento
Il tessile (così come l’agricoltura) è un settore per il quale i paesi avanzati hanno
utilizzato nel corso degli anni in modo sempre più rilevante forme di protezione del mercato
interno dalle importazioni a più basso prezzo provenienti dai PVS. Lo strumento utilizzato è
stato principalmente quello delle quote (che come sopra evidenziato è uno strumento non
coerente con le regole del GATT). Per la prima volta nell’ambito dell’Uruguay Round è stato
affrontato il problema e sottoscritto un accordo che ha portato, nell’arco di un decennio alla
progressiva eliminazione del sistema delle quote. Il livello di protezione tariffaria in questo
settore resta comunque molto elevato.
2.4.2 Anti-dumping, sussidi, salvaguardie
Come visto in precedenza, la WTO consente solo l’applicazione delle tariffe consolidate,
ma sono previste delle eccezioni. Le tre questioni primarie affrontate sono:
- azioni intraprese contro il dumping (vendita sleale a basso prezzo);
- dazi “compensativi” speciali da contrapporre come equivalente contro l’uso di sussidi
proibiti o contestabili;
- limitazioni commerciali di emergenza a “salvaguardia” delle industrie nazionali.
Anti-dumping.
Se un’impresa esporta un prodotto ad un prezzo più basso di quello normalmente praticato
nel proprio paese di origine, allora si parla di dumping. E’ chiaro che questo comportamento
può determinare un danno per le imprese di altri paesi, che spesso chiedono e ottengono forme
6
In genere, per il paese condannato è più conveniente optare per le forme di ritorsione perché risulta,
in termini di valore netto, meno costoso
17
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di protezione dai governi nazionali. Per regolamentare queste forme di reazione a
comportamenti sleali è operativo nell’ambito della WTO l’Accordo Anti-Dumping.
Un paese che ritiene di essere danneggiato a causa di azioni di dumping può reagire
ponendo dei dazi antidumping. Per poterlo fare deve seguire una procedura: il paese deve
dimostrare la sua effettiva presenza, deve calcolarne l’entità (cioè quanto il prezzo
all’esportazione è più basso di quello del mercato nazionale di origine) e dimostrare che è
causa di danni.
Sussidi.
L’Accordo sui sussidi riguarda la disciplina relativa al loro uso e le azioni che i paesi
possono intraprendere per proteggersi dai loro effetti. Come vedremo nel capitolo 5 i sussidi
per prodotti agricoli hanno una regolamentazione specifica nell’ambito dall’Accordo
sull’Agricoltura.
La WTO parte da una definizione di sussidio: contributo finanziario, delle autorità o di
qualsiasi organismo pubblico di un paese, che conferisca vantaggi ai destinatari. Inoltre
effettua una differenza tra:
- sussidio specifico: aiuto concesso solo ad una impresa o ad un gruppo di imprese nell’ambito
del territorio di un determinato paese;
- sussidio non specifico: accordato a tutte le imprese di un paese.
Ai fini della loro regolamentazione i sussidi sono distinti in tre categorie:
 Sussidi proibiti: si tratta di quelli subordinati al raggiungimento di determinati risultati di
esportazione oppure all’uso di beni nazionali al posto di quelli d’importazione e sono proibiti
poiché provocano chiaramente una distorsione del commercio internazionale. Per questo
motivo è possibile appellarsi all’Organo di Risoluzione delle Controversie della WTO che,
nel caso di conferma della presenza di sussidi, ne imporrà l’immediata cessazione e la
mancata attuazione di tale decisione genererebbe contromisure come, ad esempio,
l’imposizione di dazi “compensativi”.
 Sussidi contestabili: in questa categoria rientrano tutti i sussidi permessi dagli accordi, a
meno che un paese non dimostri che la loro applicazione danneggia i propri interessi. Il
danno causato può rientrare in una delle tre seguenti categorie: a) i sussidi possono
danneggiare l’industria nazionale di un paese importatore; b) i sussidi possono danneggiare
un altro esportatore in concorrenza su un mercato terzo; c) i sussidi possono danneggiare gli
esportatori che cercano di concorrere nel mercato nazionale del paese che adotta questa forma
di sostegno. Anche in questo caso i passi da seguire sono gli stessi di quelli menzionati per i
sussidi proibiti.
 Sussidi non-contestabili: questi sussidi possono essere non-specifici oppure specifici, ma
destinati unicamente allo sviluppo di regioni svantaggiate, alle spese di assistenza tecnica o
di ricerca, ad investimenti finalizzati all’adattamento a nuove norme di protezione
dell’ambiente. Questi sussidi non sono contestabili in sede WTO, ma sono soggetti a rigide
condizioni.
18
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Le procedure per l’individuazione di sussidi vietati, dei danni che essi possono arrecare,
dell’intervento dell’ Organo di Risoluzione delle Controversie e, eventualmente, dei
provvedimenti da prendere sono simili a quelle viste nel caso del dumping.
Salvaguardie.
Un ultimo caso nel quale è possibile imporre dazi (o andare oltre quelli consolidati) è il
caso in cui si verifichi un aumento delle importazioni di un prodotto così rilevante da causare
o minacciare di causare un grave danno all’industria nazionale, che produce un prodotto
simile o in diretta concorrenza con quello che viene importato. Se il paese dimostra che le
importazioni possono rappresentare un grave pregiudizio o minaccia di grave pregiudizio può
adottare misure di salvaguardia, che debbono essere decise ed applicate sotto uno stretto
controllo multilaterale e durare il tempo minimo necessario.
2.4.3 Regolamentazione di forme di barriere doganali
Licenze di importazione.
Per le licenze d’importazione, l’Accordo della WTO impone regole chiare per rendere la
procedura trasparente e non discriminatoria in particolare:
- obbliga i membri a rendere pubbliche tutte le informazioni necessarie affinché gli operatori
commerciali possano conoscere con chiarezza le basi per la concessione delle licenze;
- contiene norme chiare relative alla notifica dell’inizio delle procedure per la concessione
delle licenze d’importazione o di eventuali cambiamenti;
- fornisce indicazioni per la compilazione delle domande;
- definisce criteri e procedure per la concessione automatica delle licenze, tali da non creare
effetti restrittivi sugli scambi;
- limita allo stretto necessario le procedure per la concessione non automatica delle licenze.
Regole per la valutazione delle merci in dogana.
Sono stabilite regole per la valutazione delle merci in dogana, perché il controllo del
valore reale delle merci all’arrivo nel paese importatore rappresenta uno degli elementi
essenziali della trasparenza e della lealtà commerciale. Dichiarare valori diversi da quelli di
mercato, significa creare distorsioni nella concorrenza tra imprese e tra paesi: ad esempio, una
sottofatturazione consente di introdurre merci a costi più bassi (nel caso di tariffe doganali “ad
valorem”).
Regole sull’origine dei prodotti.
L’esigenza di introdurre discipline multilaterali in questo settore è emersa nel corso
dell’Uruguay Round, a seguito del crescente processo di globalizzazione della produzione,
cioè situazioni in cui parti della supply chain sono ubicate in paesi diversi. L’assenza di norme
internazionali consentiva ad utilizzare le regole di origine come strumenti di politica
commerciale. Le norme in materia si ricollegano strettamente a quelle relative ai valori in
dogana: conoscere l’esatta provenienza di una merce (cioè il paese dove è stata prodotta)
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facilita l’individuazione del prezzo che consente, altresì, di controllare operazioni
commerciali che tendono ad evitare il pagamento dei diritti doganali. Le norme della WTO
mirano ad armonizzare tutte quelle regole di origine che non riguardano specificamente la
concessione di preferenze tariffarie, garantendo nel contempo che tali regole non creino
indesiderati ostacoli al commercio. Quindi, l’Accordo si propone di arrivare ad una
definizione di regole di origine oggettive, comprensibili ed affidabili.
2.4.4 Misure di investimento (TRIMs).
L’Accordo sulle Misure di Investimento Relative al Commercio (TRIMs) si occupa di
regolamentare la possibilità di un paese di imporre vincoli e restrizioni agli investimenti esteri
(delle multinazionali), quali, ad esempio, la necessità di garantire un numero minimo di forzalavoro locale o l’uso di materiali di provenienza nazionale nelle attività produttive.
Concentrando il suo lavoro sul perfezionamento di alcuni aspetti (come la trasparenza, le
disposizioni per lo sviluppo o la salvaguardia per motivi inerenti la bilancia dei pagamenti), il
lavoro della WTO verte in particolar modo sulla individuazione di un punto di equilibrio tra
gli interessi dei paesi che effettuano investimenti diretti all’estero e paesi che ne beneficiano,
soprattutto quando questi ultimi sono PVS e, quindi, risulta determinante l’attenzione alle
politiche di sviluppo e agli obiettivi di politica economica di tali paesi.
2.5
WTO e Paesi in via di sviluppo
La specificità dei problemi dei PVS è stata affrontata, nei vari Round negoziali, prevedendo
la possibilità di fruire di un Trattamento speciale e differenziato (TSD), rispetto alle norme
contenute negli accordi. Il TSD si è nel tempo sostanziato in un insieme di previsioni
eterogenee, che possono essere ricondotte in sei categorie:
 Autorizzazione ai Paesi sviluppati a concedere trattamenti preferenziali ai PVS attraverso
deroghe alla clausola della nazione più favorita.
 Possibilità per i PVS di derogare al principio della reciprocità delle concessioni, a livelli
compatibili con le loro esigenze di sviluppo.
Per i PVS sono state previste inoltre:
 esenzione dal rispetto di alcune obbligazioni, in modo transitorio o permanente,
 dilazioni temporali nell’implementazione degli impegni,
 maggiore libertà nell’uso di politiche commerciali, in generale proibite.
 assistenza e supporto tecnico per l’implementazione degli impegni.
In particolare la possibilità di derogare alla clausola della nazione più favorita e
l’affermazione del principio della non reciprocità sono la base legale del Sistema
generalizzato delle preferenze con il quale i Paesi sviluppati hanno offerto, su base
unilaterale e volontaria, riduzioni delle tariffe per i prodotti dei PVS. Inoltre numerosi Accordi
preferenziali sono stati siglati, soprattutto dall’UE e dagli USA, con gruppi di Paesi meno
avanzati (PMA).
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L’efficacia degli accordi commerciali preferenziali nel favorire una maggiore
partecipazione dei PVS al commercio è stata fortemente condizionata e limitata dalle modalità
di applicazione. Le cause principali sono da ricondurre ai criteri di selezione che spesso hanno
portato alla scelta di paesi beneficiari con basso potenziale di esportazione, per i vincoli sul
lato dell’offerta, e di un numero limitato di prodotti, escludendo quelli con i maggiori
potenziali di esportazione. La scelta dei prodotti inoltre ha spinto alcuni paesi beneficiari ad
una specializzazione eccessiva e/o in settori con un basso vantaggio competitivo. Le
condizioni di accesso preferenziale sono state soggette a cambiamenti, creando così un clima
di incertezza non favorevole agli investimenti. Infine, complessi e costosi adempimenti
amministrativi e le regole di origine imposte negli accordi hanno determinato un basso
margine di utilizzazione delle preferenze, soprattutto per i prodotti tessili.
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3
BARRIERE TECNICHE: ACCORDO SPS E ACCORDO TBT
I flussi di esportazione non sono ostacolati solo dalle politiche commerciali, l’accesso ai
mercati è sempre più condizionato dalla presenza delle barriere tecniche, in particolare dagli
standard di sicurezza e qualità che impongono requisiti di prodotto e di processo, procedure di
certificazione e obblighi di rintracciabilità.
È importante tenere distinti nell’analisi le due tipologie di standard: quelli stabiliti dalle
autorità di governo nella loro attività di regolamentazione dei mercati, che sono di
carattere cogente; quelli stabiliti da soggetti privati (imprese o gruppo di imprese), che sono
di natura volontaria ma, per la loro diffusione, stanno assumendo il connotato di
obbligatorietà di fatto.
Le misure emanate dalle autorità di governo sono sottoposti ad una regolamentazione
internazionale in due accordi, siglati nell’ambito dell’Uruguay Round, l’Accordo sulle
Barriere Tecniche agli Scambi (TBT) e l’Accordo sull’applicazione delle Misure
Sanitarie e Fitosanitarie (SPS) che stabiliscono un insieme di criteri per evitare che
possano essere iutilizzate al solo scopo di ostacolare gli scambi.
L’Accordo TBT, ha un carattere generale, si applica alle forme di regolamentazione e
standard che hanno come obiettivo la tutela della salute, la sicurezza, l’ambiente e i
consumatori (da pratiche ingannevoli)
L’Accordo SPS riguarda invece in modo specifico un insieme di misure identificato
rispetto agli obiettivi, in particolare i vari tipi di misure e di procedure di controllo che hanno
l’obiettivo di proteggere: la vita e la salute di persone e animali, dal rischio legato agli
alimenti; la salute delle persone, da animali o piante che possono portare malattie; la vita degli
animali o delle piante, dall’introduzione di animali o insetti nocivi o portatori di malattie.
I due Accordi hanno alcuni elementi in comune nell’impostazione.
 In entrambi sono stabiliti gli obiettivi e i criteri in base ai quali i paesi possono
legittimamente fissare forme di regolamentazione ed è promossa una progressiva
armonizzazione delle normative a livello internazionale, attraverso il riferimento a
standard stabiliti da organismi internazionali e mediante l’applicazione dei principi
dell’equivalenza e del mutuo riconoscimento . Il processo di armonizzazione promosso dalla
WTO dovrebbe condurre alla eliminazione delle differenze tra le normative nazionali, a
meno che queste differenze non trovino una legittima giustificazione.
 In entrambi gli Accordi sono previste procedure per garantire la trasparenza nel processo
di formazione delle normative e l’accesso alle informazioni. I paesi si sono impegnati a
notificare al Segretariato della WTO le proposte di nuove norme e procedure di conformità,
in modo tale che gli altri paesi possano eventualmente rilevarne la non rispondenza con gli
impegni presi nell’Accordo. È prevista anche la possibilità che la loro applicazione venga
posticipata, per dare il tempo ai paesi esportatori di adattarsi alle nuove regole. Inoltre,
ciascun paese deve istituire un “punto di informazione” dove si possono richiedere e
ottenere informazioni e documentazioni relative alle norme tecniche, agli standard e alle
procedure di conformità.
22
Dispensa 2 - Imprese Agroalimentari e Mercati Globali –esame da 6 cfu
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Tra l’Accordo TBT e l’Accordo SPS sussistono, oltre al differente campo di applicazione, due
importanti differenze:
 l’elenco degli obiettivi legittimi nell’Accordo TBT è più ampio e definito in modo meno
preciso;
 l’applicazione di normative diverse rispetto a quelle stabilite da organismi internazionali deve
essere giustificata, nell’Accordo SPS sulla base di una valutazione scientifica del rischio,
mentre nell’Accordo TBT possono essere presi in considerazione anche altri fattori.
Con riferimento ai prodotti agroalimentari, per la regolamentazione dei problemi della
sicurezza degli alimenti l’Accordo SPS è quello direttamente pertinente. Mentre l’Accordo
TBT è destinato ad assumere crescente rilevanza in relazione alla progressiva introduzione da
parte dei governi di norme di etichettatura e di forme di regolamentazione dei processi
produttivi finalizzate a rispondere alle esigenze dei consumatori di maggiori informazioni e
garanzie sulle caratteristiche fiducia dei prodotti. Inoltre è da sottolineare che, proprio la
disciplina più rigorosa prevista dall’Accordo SPS rappresenta un incentivo per i paesi ad
adottare misure regolamentate dall’Accordo TBT, perché hanno una minore possibilità di
essere contestate.
3.1.1 L’Accordo sull’applicazione delle Misure Sanitarie e Fitosanitarie
L’Accordo SPS riconosce ai paesi il diritto di applicare le misure sanitarie e
fitosanitarie necessarie per garantire la protezione della salute e della vita delle persone,
degli animali e delle piante e pone come criterio di legittimità la condizione che siano
basate su criteri scientifici e non siano mantenute in assenza di prove sufficienti.
Data la natura dei rischi è possibile applicare le misure verso singoli paesi ed
eventualmente riconoscere ad aree sub-nazionali lo status di zona indenne o a limitata
diffusione di determinati parassiti o malattie.
Per giungere a un’armonizzazione delle normative i paesi si sono impegnati a basare le
proprie misure sanitarie e fitosanitarie sulle norme, le direttive e le raccomandazioni fissate
dagli organismi internazionali. In particolare:
- quelli della Commissione del Codex Alimentarius per i prodotti alimentari,
- quelli dell’Ufficio internazionale delle epizoozie, per la salute e la sicurezza degli animali e
dei loro prodotti,
- quelli elaborati sotto gli auspici del Segretariato FAO della Convenzione Internazionale per
la protezione delle piante, per la salute e la protezione delle piante .
Quindi le misure stabilite da un Paese basate sulle indicazioni di detti enti
internazionali si presume siano conformi all’Accordo SPS.
È espressamente previsto che i paesi possano stabilire norme che garantiscono un
livello di protezione più elevato rispetto a quello ottenibile applicando le norme
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internazionali, se giustificate e supportate da prove scientifiche e da una valutazione dei
rischi per la salute e per la vita. Il processo di valutazione del rischio deve essere: basato su
tecniche riconosciute (quelle stabilite da enti internazionali); supportato da evidenze
scientifiche; trasparente (tutte le informazioni devono essere rese disponibili ai paesi membri
che lo richiedano). Il livello di protezione scelto deve risultare proporzionato al rischio
che il paese è disposto a sostenere e coerente, nel senso che situazioni di rischio simile
debbono determinare la scelta di livelli di protezione simili.
In ogni caso, dovranno essere scelte le misure di protezione sanitaria e fitosanitaria che
consentono di raggiungere l’obiettivo con i minori effetti negativi sugli scambi
commerciali.
Nel caso in cui l’evidenza scientifica non consenta un giudizio definitivo, l’Accordo
prevede che si possano applicare delle misure temporanee, per il ragionevole periodo di
tempo necessario ad approfondire l’analisi del rischio.
Infine, dato che uno stesso obiettivo può essere raggiunto attraverso l’applicazione di
strumenti diversi, i paesi firmatari si sono impegnati a riconoscere l’equivalenza delle
normative sanitarie e fitosanitarie, stabilite da altri paesi, se in grado di garantire gli stessi
risultati in termini di protezione della salute e della vita, attraverso la stipulazione di
accordi di mutuo riconoscimento bilaterali o su base regionale. Per arrivare a questi
accordi è il paese esportatore che deve dimostrare, sulla base di prove scientifiche,
l’equivalenza delle normative vigenti sul proprio territorio rispetto a quelle in vigore nel
paese importatore.
3.1.2 L’Accordo sulle Barriere Tecniche agli Scambi
L’Accordo TBT riconosce che i Paesi membri sono liberi di fissare, al livello che
considerano più appropriato, le norme necessarie per assicurare obiettivi legittimi (tutela
salute, sicurezza, ambiente, consumatori) rispettando alcuni principi e regole.
Come regole generali, la clausola della nazione più favorita vieta di applicare qualsiasi
norma in modo discriminatorio tra paesi, e la regola del trattamento nazionale, proibisce di
trattare prodotti “simili” (like product) in modo diverso a seconda della loro origine, ossia se
importati o di produzione nazionale.
Come principio specifico, le norme tecniche e le procedure di conformità non debbono
essere preparate, adottate o applicate “allo scopo di” o “con l’effetto di” creare ostacoli non
necessari al commercio: cioè non devono imporre limiti agli scambi che non siano
indispensabili per raggiungere gli obiettivi legittimi. Una barriera tecnica impone limiti
eccessivi quando gli obiettivi stabiliti potrebbero essere raggiunti con misure che hanno un
minore impatto sugli scambi. Inoltre, il costo di implementazione delle misure deve essere
proporzionale all’obiettivo e una norma deve subito eliminata, qualora le circostanze che
hanno portato alla sua introduzione non sussistano più.
Come linea generale, l’Accordo specifica che, quando è “appropriato”, le norme sui
prodotti devono essere stabilite in relazione alla performance del prodotto e non in termini
di modalità di progettazione o di caratteristiche descrittive.
24
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L’Accordo TBT riconosce che l’eterogeneità che si riscontra tra i paesi nelle norme,
negli standard e nelle procedure di conformità può essere legittimamente giustificata sulla
base delle differenti situazioni nazionali determinate dai gusti dei consumatori, dal livello
del reddito o da fattori geografici (quindi non richiede come l’Accordo SPS una prova
scientifica)
L’Accordo TBT incoraggia i paesi membri a utilizzare, per predisporre le normative
nazionali e le procedure di conformità, gli standard stabiliti da organismi internazionali
(quali l’ISO) , a meno che questi non siano inefficaci o inappropriati per raggiungere gli
obiettivi. Ciò può essere dovuto, tra l’altro, a fattori climatici e geografici o a problemi
tecnologici e infrastrutturali.
In assenza di standard internazionali i paesi accettano di considerare equivalenti norme
tecniche differenti dalle proprie, se sono finalizzate a raggiungere gli stessi obiettivi anche se
con modalità diverse. Mentre, per le procedure di conformità (le certificazioni), l’Accordo
sollecita i paesi ad avviare negoziati per giungere al reciproco riconoscimento delle
rispettive procedure di conformità
3.1.3 Barriere tecniche e PVS
In entrambi gli accordi, è previsto un Trattamento speciale e differenziato per i PVS, in
quanto sono espressamente riconosciute le difficoltà che possono incontrare nel conformarsi a
nuove regole e nell’elaborare e applicare standard e procedure di valutazione della conformità.
I Paesi sviluppati: sono invitati a tenere conto nel predisporre le misure, delle necessità
particolari dei PVS, specie di quelli meno sviluppati; possono accordare un periodo di
adattamento più lungo per i prodotti di loro di specifico interesse, si sono impegnati a fornire
assistenza tecnica e aiuti, nei casi in cui risultino necessari consistenti investimenti per
conformarsi alle norme; devono incoraggiare e a facilitare la partecipazione dei PVS alle
organizzazioni internazionali di standardizzazione. I PVS possono: richiedere deroghe
specifiche al rispetto degli obblighi degli accordi in base alle loro necessità finanziarie,
commerciali e di sviluppo e adottare forme di regolamentazione finalizzate a preservare
tecnologie tradizionali e metodi di produzione e trasformazioni compatibili con le loro
necessità di sviluppo.
Nella letteratura è ampiamente documentato l’impatto negativo sui flussi di esportazione
dai PVS determinato dalla presenza sempre più numerosa di forme di barriere tecniche,
soprattutto misure sanitarie e fitosanitarie. Così come sono stati identificati i punti critici della
regolamentazione della WTO e della sua applicazione: i PVS non sono ancora in grado di
partecipare a pieno nelle istituzioni (organismi di standardizzazione internazionale) e nelle
procedure (contestazione di misure); gli accordi di reciproco riconoscimento dell’equivalenza
delle misure e dei sistemi di controllo sono stati negoziati quasi esclusivamente tra Paesi
sviluppati. Inoltre, i Paesi sviluppati: non tengono conto in misura sufficiente delle esigenze
dei PVS nella predisposizione di nuove misure; accordano tempi troppo ristretti tra la notifica
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di nuove misure SPS e la loro implementazione, non forniscono un sufficiente livello di
assistenza.
3.1.4 Alcune osservazioni critiche su quanto previsto negli Accordi SPS e TBT
La regolamentazione stabilita dalla WTO, presentata nei precedenti paragrafi, è oggetto di
forti e crescenti critiche da parte dell’opinione pubblica e a livello sia politico che
accademico. Per poterne valutare i limiti è opportuno partire da una chiara specificazione
degli assunti di base, che sono indispensabili per esprimere un giudizio ed, eventualmente, per
predisporre meccanismi di correzione.
Alla base dell’Accordo SPS vi sono due elementi guida: sono i produttori a chiedere
protezione ai governi e le misure adottate debbono essere giustificate dalla presenza di
un problema scientifico e di un rischio.
Le critiche al sistema si basano sulla non accettazione della validità di questi elementi
guida: le istanze di protezione provengono sempre più dai consumatori (o da associazioni
di ambientalisti); i risultati della scienza non sempre forniscono una risposta intorno alla
quale è possibile raccogliere un largo consenso da parte della stessa comunità degli scienziati
e/o una ragionevole fiducia da parte dell’opinione pubblica. In particolare, basare il sistema
sulla “scienza” implica assumere che: possa essere sempre raggiunto un consenso scientifico;
gli scienziati siano indipendenti da influenze esterne; esistano informazioni sufficienti per
valutare il rischio; l’opinione pubblica riponga fiducia nel giudizio scientifico degli esperti
Un esempio a riguardo: il caso dei prodotti geneticamente modificati
Per giustificare una regolamentazione per i prodotti GM determinata dalla necessità di
proteggere la vita e la salute di persone, animali e piante, è necessario, in base all’Accordo
SPS, procedere all’analisi del rischio e fornire una giustificazione scientifica per l’utilizzo
di standard più elevati rispetto a quelli stabiliti da organismi internazionali. Nel caso dei
prodotti GM, però, sorgono quattro problemi:
1. non c’è ancora una posizione sul problema della sicurezza dei prodotti GM che raccolga
un ampio consenso scientifico e non sono stati elaborati standard armonizzati a livello
internazionale;
2. l’indipendenza della valutazione degli scienziati è messa in discussione dalla netta
prevalenza della ricerca privata rispetto a quella pubblica;
3. esiste nella comunità scientifica un certo consenso intorno alle procedure da usare per
valutare la sicurezza dei prodotti nel breve periodo, mentre per i prodotti GM, così come
in altri casi, il nodo da affrontare è la valutazione degli effetti nel tempo, sia per la salute
che per l’ambiente;
4. l’assenza di informazioni sufficienti, soprattutto sugli effetti di lungo periodo, che
potrebbero anche essere irreversibili, configura una situazione di incertezza, che non
consente di fare una valutazione del rischio sulla base di probabilità statisticamente
determinabili.
26
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La domanda dei consumatori di un livello più elevato di sicurezza dei prodotti
alimentari non sempre è basata su effettivi riscontri scientifici, ma è determinata da un
livello crescente di preoccupazione e di mancanza di fiducia sia nei confronti dei risultati della
scienza, sia della capacità delle autorità pubbliche di controllare. Le valutazioni espresse dalla
comunità scientifica sono “beni fiducia”, la cui accettazione è basata sul meccanismo della
reputazione che, negli ultimi anni, è stata più volte messa in discussione, soprattutto nella Ue,
a seguito di evidenti comprovati fallimenti.
Come rilevato in diversi studi, i consumatori percepiscono ed elaborano una valutazione
del rischio che presenta una serie di sistematiche distorsioni; ad esempio, si tende a
sovrastimare la probabilità di eventi con un livello basso di rischio e che hanno risonanza sui
media (es. botulino), e di contro a sottostimare quelli che presentano un rischio elevato e una
lenta evoluzione nel tempo (es. patologie cardiovascolari legate alla dieta); si ha una elevata
fiducia nella correttezza della propria valutazione e si è restii ad accettare opinioni scientifiche
che attestano qualcosa di diverso.
Più in generale, l’opinione pubblica valuta i rischi in modo diverso dagli esperti (che
spesso tra loro stessi, in relazione al proprio percorso formativo, non sono neppure d’accordo)
perché prende in considerazione e attribuisce rilevanza a un complesso articolato di fattori,
che va oltre la misura quantitativa del rischio.
Inoltre, la percezione del rischio e la valutazione sul grado di accettabilità risultano diverse
tra consumatori in funzione di paesi/aree in cui vivono e ciò si riflette nella richiesta ai
governi di diverse forme e livelli di intervento.
Il non riconoscere che i consumatori possano essere una legittima fonte di pressione a
favore di misure di protezione può mettere a rischio il sistema della WTO. Nell’opinione
pubblica si sta sviluppando un sentimento di avversione al processo di globalizzazione che
viene vissuto come una prevaricazione della libertà dei governi nazionali, eletti
democraticamente per rappresentare gli interessi e i valori della collettività, rispetto
all’obiettivo di realizzare il livello desiderato di tutela e sicurezza per i cittadini.
La regola del trattamento nazionale e quanto disposto nell’Accordo TBT sono stati
interpretati nel senso che l’equivalenza dei prodotti deve essere valutata in relazione alle
caratteristiche intrinseche del prodotto, impedendo in questo modo forme di
discriminazione delle importazioni basate sulle modalità del processo produttivo. I
consumatori, invece, attribuiscono un’importanza crescente proprio alle caratteristiche dei
processi produttivi per valutare la sicurezza dei prodotti, la loro rispondenza ai propri valori
etici, morali e culturali (ad esempio, trattamento degli animali, condizioni e remunerazione
del lavoro) e l’impatto ambientale.
L’etichettatura è uno strumento al quale le regolamentazioni nazionali stanno facendo
ricorso, in modo crescente, per risolvere problemi di asimmetria informativa e come
strumento per orientare/sostenere modelli di produzione, oppure quando risulta l’unica
alternativa praticabile se non si possono imporre standard di processo per i prodotti importati.
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Per l’etichettatura possono essere chiamati in causa l’Accordo SPS, se le motivazioni alla
base sono la sicurezza per la salute, oppure l’Accordo TBT, se le motivazioni sono legate alla
tutela del consumatore. Quest’ultimo è il caso di maggiore interesse per le questioni che apre.
Il problema è la definizione degli obiettivi legittimi di una politica di tutela dei
consumatori. L’Accordo TBT riconosce solo la protezione da pratiche ingannevoli,
limitando così il diritto del consumatore alla tutela da false informazioni sugli attributi del
prodotto. Mentre un più ampio diritto a conoscere implica avere a disposizione tutte le
informazioni importanti per le decisioni di acquisto, e, quindi, pone al centro dell’attenzione i
processi produttivi.
3.1.5 Standard privati
Come evidenziato nella prima dispensa (cap. 4) il funzionamento dei mercati è sempre più
influenzato da standard privati volontari applicati dalle imprese per conseguire principalmente
tre obiettivi: garantire al consumatore le caratteristiche dei prodotti, ridurre i rischi e i costi di
transazione lungo la catena.
Gli standard privati, se sussistono differenze a livello internazionale, incidono sugli scambi
internazionali allo stesso modo di quelli cogenti. La regolamentazione stabilita nell’ambito
della Wto non si applica agli standard definiti da soggetti privati, che stanno assumendo
un ruolo sempre più importante nel condizionare i flussi commerciali, soprattutto per i
prodotti differenziati e a più alto valore aggiunto la componete più dinamica del commercio
internazionale dei prodotti agroalimentari.
Nella misura in cui tenderanno a prevalere sul mercato standard privati più vincolanti di
quelli stabiliti dall’autorità pubblica, la regolamentazione concordata nell’ambito della WTO
potrebbe risultare inefficace nel rimuovere le barriere agli scambi.
28
Dispensa 2 - Imprese Agroalimentari e Mercati Globali –esame da 6 cfu
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4
TUTELA DEI MARCHI: REGOLAMENTAZIONE DEL WTO
4.1
Accordo sugli Aspetti Commerciali dei Diritti di Proprietà Intellettuale
(TRIPs)
L’Uruguay Round ha portato, per la prima volta, i diritti di proprietà intellettuale nel
sistema WTO. Idee e conoscenza costituiscono una parte importante ed in continua crescita
del commercio, grazie all’invenzione, all’innovazione e alla ricerca.
L’Accordo sugli Aspetti Commerciali dei Diritti di Proprietà Intellettuale (TRIPS: TradeRelated Aspects of Intellectual Property Rights) ha stabilito una serie di regole "minime" per il
sostegno e la protezione dei diritti di proprietà intellettuale a livello mondiale. Il testo
dell'accordo è piuttosto corposo ed è diviso in sette parti contenenti 73 articoli che richiamano
accordi precedentemente stabiliti e definiscono nuove regole, lasciando anche alcune
ambiguità.
L’accordo TRIPs riguarda: diritti di autore, marchi di fabbrica e di servizi, indicazioni
geografiche (che sono analizzate nel paragrafo 4.2) design industriale, brevetti, topografia dei
circuiti integrati, programmi informatici.
L’Accordo stabilisce specifici principi per l’attuazione ed il rispetto dei diritti in questione
in tutti i paesi membri. Alla base sono sempre i tre principi base: non-discriminazione:
trattamento nazionale e trattamento di nazione più favorita. In base all’Accordo i membri
dell’Organizzazione si devono dotare, qualora assenti, delle necessarie procedure
giuridiche ed amministrative per garantire la tutela dei diritti di proprietà intellettuale
nel loro territorio.
Per eventuali controversie per gli stati si può ricorrere al Organo di Risoluzione delle
Controversie.
4.2
Accordo Trips le regole per le indicazioni geografiche
L’idea che un prodotto si possa caratterizzare in base alla sua provenienza geografica ha
avuto un riconoscimento e un sistema di tutela a livello multilaterale nell’ambito dell’Accordo
Trips (artt. 22-24) 7. L’Accordo definisce le Indicazioni Geografiche (IG) come le
<<indicazioni che identificano un prodotto come originario del territorio di un Paese membro,
o di una regione o località di detto territorio, quando una determinata qualità, la reputazione
o altre caratteristiche del prodotto siano essenzialmente attribuibili alla sua origine
geografica>>8. Questa definizione ampia comprende i prodotti che nell’Unione Europea sono
riconosciuti come Denominazioni di Origine Protetta e Indicazioni Geografiche Protette.
7
Prima dell’accordo Trips la protezione delle indicazioni geografiche era prevista in alcune
Convenzioni e Accordi (ancora in vigore) che presentavano vari limiti legati al ristretto numero dei
Paesi firmatari, agli strumenti di protezione previsti e all’ambito di applicazione.
8 L’Indicazione Geografica è, quindi, un concetto diverso dalla indicazione di origine o di
provenienza che serve ad indicare che un prodotto o servizio proviene da un Paese (made in…), senza
alcun riferimento alla qualità o alla reputazione del prodotto (condizioni queste invece richieste per
una IG). L’indicazione di provenienza, rilevante per l’applicazione delle misure doganali alle
frontiere, per i prodotti alimentari sta diventando un problema sempre più spinoso in seguito alla
29
Dispensa 2 - Imprese Agroalimentari e Mercati Globali –esame da 6 cfu
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L’Accordo Trips stabilisce uno standard minimo di protezione a livello internazionale
per le IG e affronta le ipotesi di conflitto con altri diritti di proprietà intellettuale (i
marchi). Per il vino prevede un livello di protezione maggiore rispetto a quello accordato
agli altri prodotti.
La tutela delle IG è indispensabile per garantire una concorrenza leale sui mercati
internazionali, in quanto dalla loro utilizzazione abusiva ne possono risultare conseguenze
negative sia per i legittimi produttori, che per i consumatori. I primi, subiscono non solo il
danno meramente economico, per la perdita di quote di mercato, ma vedono anche
compromesso il valore dell’investimento fatto per costruire una reputazione. I consumatori,
invece, sono indotti ad acquistare prodotti che non hanno le specifiche qualità e caratteristiche
ricercate.
La tutela delle IG è un problema che interessa soprattutto i produttori dell’Unione Europea
che sono danneggiati a causa dell’utilizzo illecito delle denominazioni protette come DOP e
IGP e delle denominazioni geografiche dei vini.
Nell’ambito dell’Accordo TRIPS la regola generale è che i paesi membri debbono mettere a
disposizione delle parti interessate gli strumenti legali (nella propria legislazione nazionale)
per prevenire l’uso, nella designazione o presentazione di un prodotto, di indicazioni
geografiche se ciò può indurre in errore il consumatore circa l’effettiva provenienza del
prodotto o costituire una forma di concorrenza sleale. La protezione risulta quindi
piuttosto debole dal momento che basta aggiungere all’indicazione geografica il vero luogo di
provenienza (es. Parma ham, made in Canada). Il rischio è che in questo modo le indicazioni
geografiche si trasformino in nomi generici per tipologie di prodotti. Da notare che la
protezione internazionale è inferiore a quella accordata nell’UE (si veda Dispensa 1 paragrafo
5.5).
A due categorie di prodotti, i vini e gli alcolici, è assicurato un livello di protezione
maggiore; è sempre proibito utilizzare un indicazione geografica se il prodotto non
proviene dal luogo indicato senza la necessità di dimostrare che si crea confusione per i
consumatori o che la concorrenza viene falsata. Il divieto vale anche nei casi in cui la vera
origine del prodotto è segnalata o l’indicazione geografica è accompagnata da parole quali
“tipo” o “stile” o “imitazione” o espressioni simili.
L’articolo 24 dell’Accordo prevede una serie di eccezioni, particolarmente rilevanti nel
caso della protezione rafforzata per vini e alcolici. I paesi non sono obbligati a proteggere
un’indicazione geografica quando: è divenuta un termine generico per indicare un
determinato prodotto; non è protetta nel paese di origine o é caduta in disuso; è stata utilizzata
tendenza a segmentare la catena della produzione in diverse localizzazioni. Anche in questo caso
differenze nelle normative nazionali possono interferire con gli scambi ed in ambito Wto è stato
siglato un accordo Regole sull’origine dei prodotti con l’obiettivo ultimo di arrivare a normative
armonizzate a livello internazionale..
30
Dispensa 2 - Imprese Agroalimentari e Mercati Globali –esame da 6 cfu
a cura di Angela Mariani – A.A. 2011-2012
in modo continuativo per un certo periodo precedente; oppure quando un marchio è stato
registrato o utilizzato in precedenza in buona fede.
Allo scopo di rendere operativo il sistema di protezione delle IG, è stata prevista
l’istituzione di un Registro multilaterale di notificazione e registrazione delle indicazioni
geografiche dei vini e delle bevande alcoliche (art. 23.4). I negoziati sono cominciati nel
1997; nel tempo sono state presentate proposte diverse da vari membri della Wto e sono state
fissate scadenze che non si è riusciti a rispettare. Le difficoltà di giungere ad un compromesso
nascono da sostanziali differenze nel significato e nelle finalità che si vogliono attribuire a
detto registro.
Da un lato, l’UE propone un sistema di notifica e registrazione con effetti giuridici
vincolanti. In particolare, una IG una volta notificata a livello internazionale, passato un certo
periodo nel quale altri Paesi membri della Wto la possono contestare, verrebbe inclusa nel
registro. Da quel momento dovrebbe essere protetta in tutti i Paesi della Wto e non potrebbe
più trasformarsi in termine generico. In questa procedura i soggetti privati non hanno titolo a
fare opposizione alla registrazione di una IG; gli unici legittimati sono gli Stati e l’esistenza di
un marchio precedentemente registrato non è menzionata come possibile causa di obiezione.
Dall’altro, un gruppo di Paesi (Usa, Canada, Cile e Giappone) intendono il registro come
una banca dati centralizzata a livello Wto, contenente tutte le IG notificate da parte dei Paesi
membri. Questo Registro avrebbe la funzione di un riferimento, non vincolante, per le corti di
giustizia dei singoli Paesi membri nelle controversie sulla tutela delle IG e/o in caso di
conflitto di una IG con un marchio commerciale. I Paesi che non partecipano al Registro non
avrebbero alcun obbligo. La giurisdizione e la decisione finale in merito ai possibili conflitti
rimarrebbe di esclusiva competenza degli Stati membri.
Il compromesso che sembra delinearsi si discosta da quanto proposto dall’UE e va in
direzione di un sistema volontario di notifica.
L’UE, di recente, ha tentato il recupero di alcune denominazioni di origine, utilizzate nel
mondo come nomi semi-generici o marchi registrati, al di fuori dell’Accordo Trips. Ha
proposti di inserire questo tema nell’ambito del negoziato agricolo in corso nel Doha Round,
ma la proposta è stata respinta.
Ad oggi, gli unici risultati concreti sono stati ottenuti dall’UE affrontando il problema del
riconoscimento e della tutela delle denominazioni geografiche per i vini nel contesto di
Accordi bilaterali, offrendo in cambio varie concessioni in tema di riconoscimento di pratiche
enologiche o deroghe alle norme di etichettatura.
Accordi sono stati siglati con i principali Paesi produttori del Nuovo Mondo (quali Stati
Uniti ed Australia) con uno schema che prevede l’impegno da parte loro a rinunciare all’uso
di denominazioni europee utilizzate come termini semi-generici, definite in apposite liste, e
con determinate cadenze temporali.
31
Dispensa 2 - Imprese Agroalimentari e Mercati Globali –esame da 6 cfu
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Principali elementi dell’Accordo UE-Usa (da leggere per capire il problema)
Gli Usa si sono impegnati a “presentare al Congresso una proposta di modifica dello status e
a limitarne l’uso per 17 denominazioni europee che attualmente sono considerati “termini
semigenerici”. Le 17 indicazioni sono: Borgogna, Chablis, Champagne, Chianti, Claret,
Haut-Sauterne, Hock, Madera, Malaga, Marsala, Moselle, Porto, Retsina, Rhine, Sauterne,
Sherry e Tokaj.
Gli Usa hanno la facoltà di utilizzare, in determinate condizioni e per un periodo limitato, 14
menzioni comunitarie per etichettare e commercializzare i loro vini: Château, classic, clos,
cream, crusted/crusting, fine, late bottled vintage, noble, ruby, superior, sur lie, tawny,
vintage e vintage character.
L’UE, quando gli Usa avranno rispetto l’impegno sui semigenerici, si impegna a riconoscere
tutte le pratiche enologiche approvate negli Usa.
4.3
Perché la tutela dei marchi è importante per l’Italia9
4.3.1 L’industria alimentare italiana: rilevanza delle esportazioni
L’Industria alimentare europea, prima Industria Alimentare nel mondo, rappresenta in Europa
il primo comparto manifatturiero (12.9%) seguito dal settore automobilistico e dalla chimica.
Ha un fatturato di oltre 1.000 miliardi di euro, un numero di addetti di 4,4 milioni i quali
partecipano all’attività di 310.000 aziende. L’Industria alimentare europea esporta un valore di
58,2 miliardi di euro ed importa un valore di 57,1 miliardi di euro di prodotti alimentari; essa
trasforma il 70% delle materie prime agricole prodotte in Europa.
L’Industria alimentare italiana, terza in Europa dopo Germania e Francia, rappresenta un
pilastro dell’economia italiana ed è la seconda manifattura dopo il metalmeccanico: vanta un
fatturato di 124 Miliardi di euro (+3,3% rispetto al 2009); acquista e trasforma oltre il 72% del
prodotto agricolo nazionale ed esporta per un valore pari a 21 Miliardi di euro (+10,7%
rispetto al 2009). Le importazioni, invece, sono pari a 16,7 miliardi di euro. L’80% dell’export
alimentare italiano è rappresentato da prodotti industriali di marca. L’Industria alimentare ha
visto, nel 2010, un attivo commerciale di ben 4,2 miliardi di euro.
Le produzioni agroalimentari nazionali vantano, inoltre, il primato della qualità normata
nell’ambito del sistema europeo delle indicazioni geografiche, con 221 DOP, IGP e STG e
480 tra DOCG, DOC e IGT.
Per quanto concerne i diversi settori produttivi, al primo posto figura il comparto lattierocaseario (con una produzione fonte di un fatturato di 14,2 miliardi di euro), segue il settore del
vino e dei liquori (10,7 miliardi di euro), il settore dolciario (10,1 miliardi di euro) e il settore
delle carni fresche e trasformate (7,4 miliardi di euro).
9
Questo testo è tratto, con alcuni adattamenti da “Audizione di Federalimentare presso la
Commissione Parlamentare Monocamerale di Inchiesta sui fenomeni della Contraffazione e della
Pirateria in campo commerciale”, Roma, 9 marzo 2011.
La Federalimentare (Federazione italiana dell’Industria alimentare), con le 18 Associazioni di
categoria che la costituiscono, è la Federazione aderente a Confindustria che rappresenta e tutela
l’industria alimentare in Italia.
32
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Figura 3 – Industria alimentare italiana: fatturato per tipologia di prodotto 2010
Fonte: Elaborazioni e stime Federalimentare 2010.
Se focalizziamo l’attenzione sull’export incontriamo al primo posto il vino, i mosti e gli
aceti che ricoprono il 20,1% del totale dei prodotti in uscita. Seguono i prodotti dolciari con il
12,5%, i prodotti lattiero caseari con il 9,2% e la pasta con l’8,7%. Una posizione di primato
tra i prodotti esportati è ricoperta anche dagli ortaggi trasformati e le conserve con l’8,3%,
dagli oli e grassi (7,4%) e dalle carni preparate (5,2%).
Le variazioni nell’export (+10,7 nel 2010) sono state, se si eccettua una flessione nel settore
del riso e della pasta, complessivamente positive, con aumenti del 45% nel settore della birra e
del 26% nel settore lattiero-caseario. Se invece ci poniamo in un’ottica retrospettiva possiamo
notare come l’export nel settore alimentare sia raddoppiato in 10 anni passando da un valore
assoluto di 12 miliardi di euro nel 2000 ai 21 miliardi del 2010.
Le principali destinazioni delle esportazioni italiana sono in ordine di valore: la Germania,
Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Svizzera e Paesi Bassi. La domanda di prodotti
agroalimentari è, tuttavia, incrementata nell’ultimo anno in misura significativa in Paesi come
la Cina (ben del 62,7%), l’India (del 57,1%), la Turchia (del 54,1%), il Brasile (del 38,5%), la
Russia (del 36,8%).
33
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Figura 3 – Export alimentare italiano: peso % dei comparti
Fonte: Federalimentare 2010.
4.3.2 Contraffazione e italian sounding
La crescita nell’export, pur considerevole, è, tuttavia, rallentata rispetto alle imprese
straniere concorrenti a causa:
- della frammentazione del settore, cioè la presenza di dimensioni aziendali piccole e medie,
- dell’assenza di catene distributive italiane all’estero, e
- della contraffazione e dell’italian sounding, fenomeni che penalizzano il settore alimentare
italiano con ricadute negative sui consumatori (prodotti di incerta composizione e dubbia
igiene), sulle imprese (difficoltà nella promozione dei prodotti e nella difesa dell’autenticità)
e sullo Stato produttore (sottrazione di gettito fiscale, lotta alla criminalità).
Il fenomeno della contraffazione va tenuto distinto da quello dell’Italian sounding,
altrimenti definito imitazione, in quanto mentre la contraffazione è illegale e può essere,
pertanto, perseguita giuridicamente, l’Italian sounding è legale e non può essere, in quanto tale,
contrastato attraverso un intervento giudiziale, come non può essere represso o perseguito con
misure di prevenzione espletate attraverso un intervento delle forze di polizia giudiziaria
evitandone, in tal modo, l’ingresso nel mercato.
Le pratiche illecite quali contraffazione, pirateria, plagio o sleali quali l’imitazione rappresentano
uno degli ostacoli alla penetrazione dei prodotti delle nostre imprese nel processo di
globalizzazione. La contraffazione, nel settore alimentare, riguarda prevalentemente illeciti
relativi alla violazione del marchio registrato, delle indicazioni geografiche (DOP, IGP, ecc.),
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Dispensa 2 - Imprese Agroalimentari e Mercati Globali –esame da 6 cfu
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della presentazione dei prodotti, mentre sono più rari i casi di contraffazione di brevetto.
L’italian sounding, rappresenta invece un fenomeno più subdolo e consiste nell’utilizzo di
etichette o altri simboli o colori o figure sull’imballaggio che evocano l’italianità del luoghi di
origine della materia prima, della ricetta, del marchio, o del processo di trasformazione di
prodotti fabbricati all’estero
Contraffazione e italian sounding riducono il fatturato dell’industria alimentare italiana, in
particolare dell’export, in maniera decisiva e valgono insieme circa 60 miliardi di euro dei quali
6 rappresentano la contraffazione e 54 miliardi di euro l’imitazione. I dati sono preoccupanti: tra
il 2001 e il 2010 il fenomeno dell’italian sounding è aumentato del 180%. Una situazione che
appare leggermente meno preoccupante in Europa, dove il fenomeno appare limitato a un
prodotto originale ogni due italian sounding per un fatturato stimato di 13 miliardi di euro per i
prodotti originali e 21 miliardi per quelli imitati.
La vera sfida sembra si giocherà in Canada, negli Stati Uniti e nel centro America dove la
mancanza di tutela legale di alcuni nostri marchi genera un fatturato di contraffazione di 3
miliardi di euro contro i 24 miliardi di quelli italian sounding. Una montagna di soldi che trova
riscontro in percentuali sconcertanti: il 97% dei sughi per pasta sono imitazioni; il 94% delle
conserve sott'olio e sotto aceto sono italian sounding, quindi non autentiche come lo sono il 76%
dei pomodori in scatola e il 15% dei formaggi.
A livello mondiale i principali mercati di riferimento dei prodotti contraffatti o imitati sono Stati
Uniti, Messico, Brasile, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Russia e Turchia e, nell’Unione
europea, Germania, Francia, Regno Unito e Paesi Scandinavi. Se nel Nord America il rapporto
tra prodotti originali e imitati è di uno a otto, anche nel mercato unico europeo, nonostante la
conoscenza ed informazione diffusa del consumatore, il fenomeno raggiunge dimensioni
preoccupanti con un prodotto originale ogni tre imitati in Germania ed Olanda, uno ogni due in
Francia e un rapporto di uno a uno in Gran Bretagna e nei Paesi Scandinavi.
Questi dati ci mostrano come, da una parte, la riduzione del fenomeno della contraffazione
rappresenterebbe una spinta immediata per l’export alimentare italiano mentre, dall’altra, la
riduzione dell’italian sounding favorirebbe il nostro export nel medio periodo. Se consideriamo,
infatti, che la contraffazione ha un valore pari a quasi 1/3 delle nostre esportazioni,
comprendiamo come la lotta possa rappresentare una consistente fonte di reddito quasi
immediato per l’industria alimentare. Questo permetterebbe, altresì, di garantire che venga
mantenuta la fiducia nei nostri prodotti da parte dei consumatori, mentre i produttori
riceverebbero i benefici economici ai quali hanno diritto.
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Figura 4 – Stime in euro: Contraffazione + Italian Sounding 2010
Fonte: ICE/Federalimentare + NAFTA e MERCOSUR.
Prospetto C –Italian Sounding in Stati Uniti e Canada: stime 2009
NORD AMERICA PATRIA DELL’ITALIAN SOUNDING: SONO I FORMAGGI I PRODOTTI PIU
COPIATI
Stati Uniti e Canada generano da sole il 40% del fatturato totale dell’Italian Sounding alimentare. I
prodotti più copiati in quest’area geografica sono senza dubbio i formaggi. Le cifre di questo
fenomeno, che colpisce uno dei settori cardini dell’export alimentare italiano sono davvero eclatanti:
solo il 15 % dei formaggi presentati come italiani in Nord America è autentico. In particolare sono
imitati il 97% delle mozzarelle e dei provoloni, il 96% del parmigiano reggiano grattugiato e il 95%
delle ricotte. Leggermente meglio, si fa per dire, la fontina che è falsa “solo” in 8 casi su 10 (81%)….
Concludono questa triste carrellata l’Asiago che nel 68% dei casi è solo una brutta copia del tipico
formaggio italiano e il Gorgonzola, falso 1 volta su 2 (54%) negli scaffali dei supermercati. Fa
eccezione il solo Grana Padano che è l’unica voce di prodotto che è stata rilevata a maggioranza
autentica.
DAI SUGHI ALLE CONSERVE, DALL’OLIO D’OLIVA AI SALUMI: TRIONFANO LE IMITAZIONI
Il falso made in Italy in Nordamerica non risparmia gli altri settori dell’industria alimentare italiana,
traino del nostro export e simbolo della nostra immagine nel mondo.
Dati Federalimentare alla mano scopriamo che i sughi per la pasta, ad esempio, sono falsi nel 97% dei
casi, in poche parole... sempre. Tra le marche imitative troviamo curiosi rimandi ai personaggi storici
del Nostro paese: c’è il sugo “Da Vinci” e quello che si chiama Gattuso come il nostro campione del
mondo. Senza dimenticare Coco Pazzo e Mario’s: è chiara la strategia di utilizzare immagini che
evocano l’Italia per catturare l’appeal dei consumatori.
Seguono poi le conserve sott’olio e sott’aceto che sono prodotti imitatiivi nel 94% dei casi. In questo
settore è davvero molto raro trovare prodotti alimentari originali italiani: tra le marche più diffuse nel
territorio nordamericano ci sono Giuliano’s specialità food e “Mancini”.
Passiamo poi all’Olio d’oliva. Se questo settore appare sostanzialmente maturo con una quota di
appena l’11% di prodotti imitativi è anche vero che si registra una percentuale molto consistente - 1
su 3 – di olii italiani non extravergini. I casi di maggiore rilievo di olio d’oliva imitativo italiano sono
rappresentati dagli olii “Consorzio” e “Pompeian” localizzati soprattutto nella costa occidentale degli
Stati Uniti e a New York.
Non vengono risparmiati neanche i salumi: prosciutto crudo, prosciutto cotto, salami e mortadella
sono falsi quasi 9 volte su 10 (86%).
Nel carrello della spesa “italian sounding” finiscono spesso anche i pomodori in scatola, falsi 8 volte
su 10 (76%). Le marche piu diffuse in questa categoria sono “Progresso” e “Contadina”. Mentre a
carattere locale ci si imbatte in alcuni prodotti che propongono un legame con l’Italia in termini
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fortemente “ingenui”, come i pomodori Duomo che presentano l’immagine del duomo di Milano in
etichetta….
Concludiamo la nostra carrellata con la pasta, regina della dieta mediterranea. Nel mercato Nord
Americano, in particolare in Canada e negli Stati Uniti, il mercato delle paste alimentari appare
abbastanza maturo. In numeri, 3 confezione di pasta su 10 (28%) sono imitative e non hanno niente a
che vedere con il simbolo del made in Italy alimentare nel mondo.
La situazione cambia se ci riferiamo al mercato delle paste fresche la cui percentuale di Italian
sounding è decisamente elevata: quasi 2 prodotti su 3 (73%) sono imitativi. Tra i brand più diffusi la
“Pasta di giorno” e la “Verdi”, come il grande compositore italiano...
Mentre il mercato dei dolci, in particolare biscotti, presenta una quota di perfetta parita (50%) tra
prodotti imitativi e prodotti autentici. Negli Stati Uniti, la marca di biscotti fake Italians di gran lunga
più diffusa è “Stella d’oro”. Altri brand degni di nota sono Nonni’s e Musso’s, mentre in Canada nella
grande distribuzione trionfano soprattutto i biscotti “Milano” e Verona”.
4.3.3 La difesa dei marchi e delle indicazioni geografiche
Per le imprese del settore alimentare questa tutela va ricercata nella difesa dei marchi e delle
indicazioni geografiche: queste ultime agiscono come un particolare tipo di marchio
collettivo in quanto, al pari di esso, permettono di identificare un prodotto come avente una
particolare origine o provenienza. Tale informazione, inoltre, rappresenta per l’acquirente una
garanzia di qualità del prodotto, grazie ai rigidi disciplinari, e può indurre ad acquistare il bene
proprio in virtù della sua qualità o reputazione. Il marchio privato o collettivo, in quanto tale,
rappresenta proprio per questo un asset patrimoniale. Le indicazioni geografiche ed i marchi
possono essere protetti in vari modi, anche attraverso norme sanzionatorie specifiche o con
leggi che combattano la concorrenza sleale, leggi per la tutela dei consumatori o una
combinazione di esse. Le nostre imprese, soprattutto quando agiscono in mercati extraeuropei,
necessitano un sostegno nella ricerca della migliore modalità per la tutela dei loro marchi,
nella ricerca delle regole che disciplinano la registrazione, e nell’accompagnare il ricorrente
lungo l’iter giudiziario locale.
D’altronde, le imprese operanti nel mercato della contraffazione o dell’italian Sounding
possono contare su vantaggi competitivi strutturali: ridotti costi di produzione (anche in
relazione all’economicità delle materie prime utilizzate) e dei servizi (infrastrutture e logistica
ridotti in quanto operano nello stesso mercato in cui il prodotto finale viene commerciato). I
produttori di prodotti alimentari imitati si collocano in una fascia intermedia, praticando livelli
di prezzo (il cosiddetto premium price, stimato in una forchetta fra il +25% e il +70%)
decisamente superiori ai loro prodotti sostitutivi nazionali ma, allo stesso tempo, ancora
inferiori a quelli dei prodotti originali Made in Italy. Inoltre, essendo imprese di dimensione
media, piccola o piccolissima, danno luogo ad un fenomeno diffuso, difficilmente
contrastabile.
Questo immenso supermercato del “falso” vede svariate tipologie di prodotti: per quanto
riguarda il comparto lattiero-caseario sono il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, la
Mozzarella e il Gorgonzola ad essere maggiormente copiati; l’imitazione nel settore delle
carni è rivolta, invece, a prodotti come i prosciutti di Parma e San Daniele e la Mortadella di
Bologna. A questi, si aggiungono molti altri prodotti simbolo del nostro patrimonio
agroalimentare: vini, in misura maggiore Chianti e Marsala, liquori, olio d’oliva, aceto
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balsamico, conserve di pomodoro e vegetali, caffè, riso e prodotti della tradizione di seconda
trasformazione (sughi, paste, dolci).
L’obiettivo perseguito da Federalimentare è di coordinare e dare una regia ai molti Enti attori
nonché di promuovere e valorizzare i prodotti della filiera agroalimentare che sono realmente
di origine italiana a differenza dei tanti prodotti italian sounding che, pur avendo un nome o
un packaging che richiamano l’identità italiana, sono in realtà delle imitazioni fabbricate
all’estero. Al fine di perseguire questo obiettivo, la Federazione ritiene decisivo concentrare
e dirigere gli sforzi direttamente verso il consumatore finale, educandolo a riconoscere la
differenza di qualità e gusto del prodotto realmente italiano, e modificandone quindi il
comportamento al momento dell’acquisto. Occorre, inoltre, intervenire parallelamente sugli
operatori professionali del settore (importatori, distributori moderni e tradizionali, buyers,
ristoratori) attraverso azioni di promozione commerciale più tradizionali che possano
facilitare l’effettiva diffusione dei prodotti italiani nel mercato locale. In questo senso le
azioni promozionali vanno rivolte ad informare sulle caratteristiche specifiche del prodotto
autentico ed educare il consumatore alla ricerca del marchio “Made in Italy” e alla lettura
dell’etichetta, trasformando così una minaccia in una grande opportunità di sviluppo per le
nostre firme agroalimentari.
Le soluzioni da ricercare non devono esplicarsi in misure concernenti solo la sfera europea.
Sicuramente sono auspicabili legislazioni ad hoc a livello WTO e a livello bilaterale. Ma
dobbiamo, altresì, stimolare dei riscontri da parte dei singoli Paesi che sono sensibili a questo
problema. Spesso, tuttavia, interessi locali fanno sì che i nostri partner, perfino europei, siano
meno interessati a misure volte a contrastare l’imitazione.
Occorre, infatti, prevedere un ulteriore potenziamento dei desk anticontraffazione all’estero
nei Paesi dove l’industria della contraffazione è maggiormente attiva (es. Cina, Russia,
Australia, Turchia, Brasile, Centro America e Nord America). Occorre, altresì, una
cooperazione in modo da assicurare assistenza tecnica e giuridica specifica alle imprese,
attraverso un fondo per sostenere le loro spese per le loro cause/contenziosi all’estero.
L’assistenza di cui le nostre imprese hanno bisogno riguarda sia la fase della tutela
preventiva, attuata attraverso la registrazione delle indicazioni geografiche e dei marchi
dando al titolare il diritto esclusivo di usare il marchio o autorizzare l’uso
dell’indicazione geografica per il prodotto per cui avviene la registrazione, sia l’eventuale
tutela successiva alla violazione del copyright attraverso la ricerca delle soluzioni che
potrebbero comportare conseguenze civili o penali per il trasgressore. Per bloccare l’azione
dei contraffattori, il titolare o il licenziatario di un marchio potrebbe, ad esempio,
intraprendere un’azione civile per violazione dello stesso. Le azioni civili, tuttavia, sono
dispendiose a causa del tempo occorrente per concluderle e per le risorse che devono essere
impiegate: nella maggior parte di casi, per questo, non si arriva ad un processo vero e proprio,
ma si concorda una negoziazione e/o transazione in una fase precedente.
Avviare un’azione in tribunale di solito è sufficiente a spingere le parti in difetto a cercare un
compromesso. In queste fasi cruciali è necessario l’appoggio delle Istituzioni che può essere
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dato attraverso una maggiore e penetrante presenza dei Desk sulla Proprietà Intellettuale: essi
possono indicare la migliore strada percorribile, avendo conoscenza delle regole e delle azioni
esperibili per il raggiungimento del migliore risultato in quel determinato Paese con quello
specifico ordinamento.
I titolari dei marchi necessitano la cooperazione delle istituzioni per proteggere i propri
prodotti. Ciascuno Stato extracomunitario ha un sistema di registrazione e leggi proprie;
il marchio, pertanto, deve essere registrato in ognuna di queste giurisdizioni per essere
protetto: fondamentale, in questa fase, è la cooperazione che le istituzioni presenti o di cui si
auspica la presenza possano offrire alle nostre aziende.
Accanto a queste azioni, è importante che le Istituzioni nazionali e comunitarie procedano nel
solco delle battaglie intraprese in passato al fine di ottenere una tutela sempre più efficace
delle nostre indicazioni geografiche e dei nostri marchi, sia a livello dei negoziati
internazionali sull’ACTA (Anticounterfeiting Trade Agreement), sia mediante l’estensione dei
meccanismi di protezione e sanzione (l’enforcement garantita dall’Accordo TRIPs) oggi
previsti solo per vini e alcolici. Inoltre, è necessario proseguire gli sforzi negoziali per la
stipulazione di accordi di partenariato con altri Paesi per sostenere la cooperazione
amministrativa per la lotta alla fonte del fenomeno della contraffazione nei Paesi di origine.
Oltre che a livello europeo, infatti, l’Italia ha la possibilità di siglare accordi e convenzioni
bilaterali per favorire una maggiore collaborazione con i paesi extra UE.
39
Dispensa 2 - Imprese Agroalimentari e Mercati Globali –esame da 6 cfu
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5
COMMERCIO DEI PRODOTTI AGRICOLI: POLITICHE E REGOLAMENTAZIONE DEL WTO
5.1
Politiche agricole e effetti sugli scambi internazionali
Si può dire che da sempre il settore agricolo è stato oggetto di attenzione da parte dei
governi che hanno attivato forme di intervento che hanno interferito in misura significativa sul
meccanismo di formazione dei prezzi e quindi sugli scambi e sulla collocazione internazionale
delle produzioni.
La disciplina del commercio internazionale stabilita in sede GATT fino alla stipula
dell’Accordo dell’Uruguay Round di fatto non è stata mai applicata per il settore agricolo.
Per poter meglio comprendere le ragioni per cui alla metà degli anni ’80 è emersa
l’esigenza di stabilire anche per il settore agricolo una forma di regolamentazione delle
politiche e le peculiari caratteristiche dell’accordo raggiunto, è utile sintetizzare brevemente
l’evoluzione nel tempo dell’impostazione delle politiche per il settore agricolo e i problemi
che ne sono scaturiti.
Le politiche di settore realizzate nel corso del tempo nei diversi paesi sono state molto
eterogenee in termini di obiettivi e strumenti utilizzati.
In termini di obiettivi dell’intervento si possono individuare due approcci diametralmente
opposti:
1) politiche dette di protezione positiva: finalizzate a proteggere la produzione interna
(dalla concorrenza dei prodotti di importazione) e sostenere i redditi degli agricoltori
2) politiche dette di protezione negativa: finalizzate sfruttare il potenziale di
esportazione dell’agricoltura e a garantire l’approvvigionamento dei prodotti
alimentari per i consumatori a prezzi bassi.
Le politiche di protezione positiva hanno garantito un sostegno al settore utilizzando, in
modo esclusivo o combinato a seconda dei prodotti, due modalità definite come: sostegno via
mercato, sostegno al reddito..
 Sostegno via mercato consiste nel fissare un livello di prezzo interno per un prodotto più
elevato rispetto a quello internazionale, garantendo in questo modo un ricavo maggiore
per l’agricoltore. Nel caso di un paese importatore, per mantenere il prezzo al livello
superiore a quello del mercato mondiale è necessario proteggere il mercato interno con
dazi o meglio con prelievi variabili (pari alla differenza tra i due prezzi) oppure fissando
quote di importazione. Nel caso di un prodotto di esportazione invece è necessario, per
vendere le produzioni sui mercati internazionali, corrispondere un sussidio alle
esportazioni. In entrambe le situazioni il costo del sostegno al reddito degli agricoltori è a
carico dei consumatori che pagano un prezzo più elevato per i prodotti. Inoltre i
sussidi all’esportazione rappresentano anche un costo per lo stato.
 Sostegno al reddito, realizzato attraverso il pagamento diretto ai produttori di una
somma ad integrazione del prezzo percepito sul mercato o sussidi alla produzione (per
ridurre i costi di produzione) In questo caso il costo è a carico dello stato che paga questo
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contributo. Il prezzo del prodotto sul mercato interno, con questa modalità di intervento,
non si discosta da quello internazionale (non si attivano quindi strumenti di politica
commerciale), ma comunque c’è un effetto di distorsione degli scambi internazionali
determinato dall’incentivo ad aumentare la produzione interna.
Questo è il tipo di politiche adottato dall’Unione Europea per il settore agricolo e, cha va
sotto il nome di Politica Agricola Comunitaria (Pac,) dalla costituzione del mercato comune
fino alla metà degli anni ’90.
Una politica di protezione positiva ha due importanti riflessi sui mercati internazionali. In
primo luogo, poiché determina un aumento della produzione interna, la riduzione della
domanda di importazioni o l’aumento delle quantità esportate, ha l’effetto di spingere i prezzi
mondiali verso il basso. Inoltre, strumenti quali le quote, i prelievi variabili e le
restituzioni alle esportazioni accentuano l’instabilità dei prezzi internazionali, in quanto
non consentono aggiustamenti in termini di quantità scambiate.
Le politiche di protezione negativa invece sono state adottate, soprattutto negli anni ’70, da
molti Paesi in Via di Sviluppo (PVS) principalmente allo scopo di:
- ridurre i prezzi dei prodotti alimentari di base, per poter tenere bassi i salari e promuovere
così l’industrializzazione
- ottenere entrate fiscali semplici da riscuotere attraverso la tassazione delle esportazioni.
Gli strumenti utilizzati, quali fissare un prezzo massimo interno, sussidi alle importazioni,
tasse e restrizioni quantitative alle esportazioni, hanno l’effetto di disincentivare la
produzione e le esportazioni, stimolando, invece, la domanda e quindi l’aumento delle
importazioni . L’effetto sul mercato internazionale è quello di spingere verso un aumento
del prezzo.
In sintesi: Gli strumenti di protezione positiva hanno l’effetto sul mercato mondiale di
spingere verso una riduzione dei prezzi, mentre gli strumenti di protezione negativa hanno
l’impatto opposto, una spinta verso l’aumento del livello del prezzo. Inoltre, in entrambi i casi
si accentua l’instabilità dei prezzi internazionali, ciò in quanto variazioni della domanda e/o
dell’offerta interna sia nel paese importatore che nel paese esportatore non determinano
aggiustamenti in termini di prezzo interno, ma si scaricano in variazioni delle quantità
importate o esportate. E’ da sottolineare che, l’instabilità dei prezzi è una caratteristica
specifica del mercato dei prodotti agricoli in quanto la quantità prodotta è condizionata da
eventi non prevedibili ed esterni quali andamento climatico, volume delle piogge, malattie
delle piante e ovviamente non è favorevole in quanto causa una forte variabilità dei ricavi
degli operatori agricoli. Ovviamente accentuare questa instabilità è un ulteriore effetto
negativo causato da queste politiche.
41
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Fino a quando, dai diversi paesi, sono state adottate politiche che risultavano avere
effetti opposti sui prezzi internazionali, essi sono rimasti, al di là delle fluttuazioni anche
consistenti di breve periodo, sostanzialmente stabili, mentre si è avuto un sensibile
incremento nel volume degli scambi, con un forte aumento delle esportazioni dai paesi
sviluppati verso quelli in via di sviluppo.
I problemi sorgono a partire dall’inizio degli anni ’80, quando i PVS hanno modificato
l’impostazione delle loro politiche smantellando la protezione negativa e introducendo, in
alcuni casi, una protezione positiva per il settore agricolo. Le ragioni di questo cambiamento
sono da ricondurre al sostanziale fallimento del modello di sviluppo che puntava allo crescita
del settore industriale a spese dell’agricoltura. In particolare, da un lato, l’incremento delle
importazioni di prodotti alimentari, insieme all’aumento del prezzo del petrolio e al forte
aumento dei tassi di interesse, aveva reso insostenibile il livello ed il costo del debito estero;
dall’altro, l’abbandono dell’attività agricola aveva avuto come conseguenza il fenomeno dello
spopolamento delle campagne e la congestione delle aree urbane.
Nel corso degli anni ’80, quindi, l’effetto delle politiche di sostegno ha determinato una
spinta alla riduzione dei prezzi sui mercati internazionali che ha causato un aumento
continuo del livello della protezione (come differenza tra prezzo interno e prezzo
internazionale) e delle spese necessarie per sostenere il settore (soprattutto quelle relative alle
restituzioni alle esportazioni). La riduzione dei prezzi internazionali è risultata molto
penalizzante per tutti i paesi esportatori, in particolare gli USA e quelli che non adottavano
politiche di protezione positiva (Gruppo di Cairns, vedere prospetto B alla fine delle dispense
per la definizione). Le loro critiche si rivolgevano soprattutto verso le politiche adottate
dall’UE che faceva ampio ricorso all’utilizzo dei prelievi variabili e delle restituzioni alle
esportazioni.
Data questa situazione dei mercati negli anni ’80 matura la convinzione che è necessario
discutere a livello multilaterale le politiche di protezione e sostegno al settore agricolo. La
sede è stata il negoziato dell’Uruguay Round nell’ambito del quale si è giunti a un accordo
che stabilisce una regolamentazione delle forme di intervento nel settore agricolo e delinea il
percorso verso l’obiettivo di una progressiva liberalizzazione degli scambi.
5.2
Accordo sull’agricoltura dell’Uruguay Round
Per l’agricoltura l’UR ha rappresentato senza dubbio un punto di svolta, il settore è stato
ricondotto nell’ambito della regolamentazione internazionale anche se gli impegni, grazie al
numero di eccezioni e alle modalità di applicazione, non hanno determinato un significativo
effetto in termini apertura dei mercati e rimozione dei sussidi distorsivi della concorrenza.
L’Accordo Agricolo ha previsto una serie di impegni in tre aree, accesso al mercato,
sussidi alle esportazioni, sostegno interno ( prospetto A), riservando ai Paesi in via di
sviluppo (PVS) un trattamento speciale e differenziato in termini di minori riduzioni per le
tariffe, i sussidi e il sostegno e tempi più lunghi di implementazione (10 anni invece di 6).
Mentre i Paesi meno avanzati (PMA) sono stati esonerati dagli impegni.
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Prospetto A – Impegni contenuti dell’Accordo sull’agricoltura, per Paesi sviluppati e Paesi in
via di Sviluppo.
PAESI SVILUPPATI
6 anni: 1995 - 2000
PVS
10 anni: 1995 - 2004
TARIFFE:
Riduzione media delle tariffe
Riduzione minima per prodotto
SUSSIDI ALLE ESPORTAZIONI
Riduzione del valore dei sussidi
Riduzione
delle
quantità
sovvenzionate
SOSTEGNO INTERNO
Riduzione della Misura Aggregata del
sostegno
-36%
-15%
-24%
-10%
-36%
-21%
-24%
-14%
-20%
-13%
Fonte: www.wto.org
L’impostazione di base si può così sintetizzare: si è fotografata la situazione in un dato
periodo di riferimento, in termini di livello delle tariffe, restituzioni alle esportazioni e
sostegno, e rispetto a quel riferimento sono stati sottoscritti gli impegni per una progressiva
riduzione dell’intervento.
5.2.1 Accesso ai mercati
Anche per il settore agricolo vale oggi la regola che l’unica forma di protezione del
mercato interno è rappresentata dalle tariffe. Per eliminare le forme di barriere non
tariffarie (quote, prelievi variabili) è stato deciso di procedere attraverso un meccanismo
denominato “tarifficazione”.
La tarifficazione è consistita nella trasformazione delle diverse forme di protezione non
tariffaria nel loro equivalente tariffario, ottenuto calcolando un importo della tariffa tale da
garantire un livello di protezione equivalente a quella ottenuta con l’applicazione di misure
non tariffarie (ciòè un volume equivalente di importazioni). Le tariffe così calcolate sono
diventate le tariffe consolidate.
La tarifficazione, utilizzata soprattutto dai Paesi sviluppati, è stata applicata consentendo di
determinare un livello di tariffe consolidate molto elevato e con varie eccezioni che ne
hanno indebolito la portata. Peraltro anche i PVS hanno potuto consolidare tariffe elevate,
spesso non correlate al livello precedente di protezione.
L’eliminazione delle forme di protezione diversa dalle tariffe, e l'impegno a non introdurne
di nuove, è uno dei risultati di maggior rilievo dell'accordo. La trasformazione di ostacoli non
tariffari in tariffe ha 3 implicazioni da sottolineare.
1. Rende meno efficacie la protezione del mercato interno in quanto il livello del prezzo dopo
l'applicazione della tariffa è comunque legato a quello internazionale; mentre applicando
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forme di protezione diversa dalle tariffe (come i prelievi variabili o le quote) si possono
isolare completamente i due mercati.
2. Il livello della protezione di cui beneficia un prodotto diventa trasparente e quantificabile,
quindi è più facile la negoziazione della sua riduzione.
3. Per aumentare il reddito degli agricoltori l’intervento pubblico deve agire con forme di
aiuto dirette e non più fissando un prezzo sul mercato interno superiore a quello del
mercato internazionale.
Gli impegni di riduzione del livello tariffario, applicati alle tariffe consolidate, sono stati
stabiliti con riferimento alla media semplice tra le singole voci doganali: una riduzione
media delle tariffe del 36%, da modulare in quote costanti nei sei anni, con il vincolo di una
riduzione minima del 15% per ciascuna singola voce (per i PVS i due valori sono
rispettivamente il 24% e il 10%). Adottando la media semplice, in luogo di quella ponderata
per il peso sugli scambi, è stata lasciata a ciascun paese ampia discrezionalità nel distribuire il
taglio delle tariffe tra i prodotti, cioè ridurre in misura più consistente la protezione per i
prodotti di scarsa rilevanza e contenere nel minimo consentito la riduzione tariffaria per quelli
ritenuti strategici per il settore. In questo modo si sono potuti rispettare gli impegni
mantenendo, se non amplificando, i forti differenziali nel livello delle tariffe tra diversi
prodotti (picchi tariffari) e in funzione del livello di trasformazione (tariff escalation).
Questi sono due aspetti della struttura tariffaria dei Paesi sviluppati che colpiscono e limitano
in modo particolare le importazioni dai PVS.
Il riferimento ad alcuni dati può fornire un idea del livello medio della protezione e della
forte differenziazione tra prodotti e tra i paesi fornitori (Vedere tabelle 1, 2 e 3 alla fine della
dispensa). Il livello delle tariffe consolidate, come si evidenzia dalla tabella 1, sia per i Paesi
sviluppati che per i PVS, è quasi il doppio rispetto a quelle effettivamente applicate.
Concentrando l’attenzione sulle tariffe applicate dai paesi a reddito più elevato, la tabella 2
mostra la notevole divergenza nel livello delle tariffe tra i vari prodotti, mentre la tabella 3
evidenzia le forte differenziazione del livello delle tariffe che fronteggiano diversi aggregati di
PVS, generata dalle preferenze tariffarie stabilite sulla base del trattamento speciale e
differenziato.
Poiché il livello delle tariffe in molti casi è così elevato da non consentire comunque un
flusso di importazioni, ciascun paese deve offrire un accesso minimo al proprio mercato
pari al 5% dei consumi interni applicando una Quote di importazione a con una Tariffa
Ridotta.
Per proteggere il mercato interno da aumenti eccessivi delle importazioni o riduzioni dei
prezzi è prevista la possibilità di introdurre dei dazi aggiuntivi per i prodotti per i quali è stata
applicata la tarifficazione (clausola di salvaguardia speciale) Quanto previsto nella clausola
di salvaguardia speciale differisce dal meccanismo di salvaguardia previsto nell’accordo
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(come visto sopra nel paragrafo 2.4.2) in quanto i dazi supplementari possono essere applicati
automaticamente e non è necessario dimostrare che il paese sta subendo un grave danno.
In conclusione con riferimento all'accesso ai mercati i paesi contraenti si sono
impegnati a ridurre la protezione del mercato interno sia con riferimento agli strumenti
utilizzabili (escludendo la possibilità di fare ricorso a strumenti diversi dalle tariffe) sia
come livello (riduzione delle tariffe).Ferma restando la possibilità di intervenire a fini di
stabilizzazione dei mercati imponendo dazi supplementari per compensare (in parte)
riduzioni dei prezzi mondiali o aumenti delle importazioni di ampiezza eccessiva.
Per il commercio dei prodotti agricoli e alimentari la protezione tariffaria rappresenta solo
una parte del problema, perché i mercati sono stati fortemente distorti per effetto di altri
interventi, quali i sussidi alle esportazioni e le varie forme di sostegno alla produzione,
utilizzati quasi esclusivamente dai Paesi sviluppati (i sussidi all’esportazione soprattutto
dall’UE).
5.2.2 Sussidi alle esportazioni
Per i sussidi alle esportazioni, che come già detto sono proibiti in base alle norme della
WTO, è stata prevista una graduale riduzione (a partire dal livello raggiunto in uno dei due
periodi 1991-92 o 1986-90) sia per il valore dei sussidi sia per le quantità sovvenzionate
(prospetto A).
Le forme di sussidi alle esportazioni soggette a riduzioni sono elencate nell’accordo, in
sostanza comprendono la maggior parte degli strumenti utilizzati e, comunque, c'è l'impegno a
non utilizzare altri strumenti in modo da eludere gli impegni presi.
----------------------------------------------------------------------------------------------------Le varie forme di sussidi alle esportazioni soggetti a impegno di riduzione
a) Gli aiuti, in denaro o in natura, condizionati a risultati in termini di esportazioni, concessi
dai Governi o da loro organismi a produttori agricoli, singoli o associati, a imprese di
trasformazione o uffici di commercializzazione.
b) La vendita sui mercati esteri, a prezzi inferiori a quelli interni, di prodotti conferiti
all'ammasso.
c) I sussidi alle esportazioni di prodotti anche se finanziati a carico dei produttori agricoli.
d) I sussidi finalizzati a ridurre i costi della commercializzazione all'estero, con esclusione
delle azioni di promozione dell'export e dei servizi di consulenza. Quanto alla concessione di
crediti all'esportazione, di garanzie dei crediti e programmi di assicurazione per i rischi di
esportazione i paesi contraenti hanno assunto l'impegno ad adoperarsi per l’elaborazione di
norme di condotta a livello internazionale.
e) Agevolazioni sulle tariffe di trasporto e dei noli limitate alle sole merci esportate.
------------------------------------------------------------------------------------------------------Dagli impegni alla riduzione è rimasta esclusa una categoria importante, quella dei crediti
all’esportazione (molto utilizzata ad esempio dagli Stati Uniti). Per la concessione di crediti
all’esportazione, di garanzie dei crediti e programmi di assicurazione per i rischi di esportazione,
45
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i Paesi membri hanno assunto solo l’impegno ad adoperarsi per l’elaborazione di norme di
condotta a livello internazionale. Impegno che però non si è nel tempo concretizzato.
5.2.3 Sostegno interno
Per il sostegno interno è stata prevista una regolamentazione differenziata in relazione
all’impatto sul commercio internazionale.
Sono stati sottoposti al vincolo di una progressiva riduzione gli interventi definiti
come forme sostegno”accoppiate”, quelle cioè che possono avere effetti distorsivi sul
commercio (perché hanno l’effetto di aumentare la produzione interna). Questi interventi
sono: quelli che generano un differenziale tra prezzo interno e prezzo internazionale (sostegno
via mercato) e le forme di sostegno al reddito (pagamenti diretti e sussidi) che stimolano
l’aumento della produzione.
Per questa tipologia di interventi, classificati nella cosiddetta scatola gialla, è stato
elaborato un indicatore, Misura Aggregata del Sostegno (MAS), rispetto al quale sono stati
presi gli impegni di riduzione. Anche in questo caso, a causa delle modalità di calcolo
(riferimento ai prezzi medi internazionali del periodo 1986-88 particolarmente bassi), siè
determinato un livello di partenza del sostegno particolarmente elevato. Inoltre non si è posto
alcun vincolo specifico per prodotto e quindi i paesi sono stati liberi di operare i tagli in modo
differenziato mantenendo per alcuni livelli elevati di sussidi. Infine, dal calcolo della MAS
sono stati esclusi comunque una serie di interventi con un impatto limitato sulla produzione e
sugli scambi.
Mentre per le misure di sostegno che non hanno un effetto distorsivo sugli scambi, dette
“disaccoppiate” dalla produzione, individuate e definite in quella che viene chiamata
scatola verde, non è stato imposto alcun vincolo.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------Elenco degli interventi della scatola verde
1 - Offerta di servizi generali a favore degli agricoltori o delle Comunità rurali quali, ad
esempio, la ricerca, la formazione, la divulgazione, il controllo della produzione, sia per
ragioni sanitarie che di normalizzazione, la promozione e la pubblicità, le infrastrutture.
2 - Costituzione di ammassi (scorte) a scopo di sicurezza alimentare.
3 - Aiuti alimentari alle fasce più povere della popolazione.
4 - Pagamenti diretti ai produttori, non legati alla quantità prodotta, finalizzati a :
- sostenere il reddito in casi di sua forte riduzione: qualora l'agricoltore subisca una perdita
superiore al 30% rispetto alla media dei redditi del quinquennio precedente
- compensare danni causati da calamità naturali che determinino una perdita di prodotto
superiore al 30% (sempre rispetto alla media calcolata come sopra);
- incentivare l'aggiustamento strutturale attraverso il prepensionamento, il ritiro delle
risorse dalla produzione (set-aside) e gli aiuti agli investimenti (non specifici per singole
produzioni).
- salvaguardare l'ambiente
- promuovere lo sviluppo delle aree svantaggiate.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------46
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Quanto previsto nell’accordo agricolo per il sostegno interno è la cornice nelle quale si
sono realizzati importanti cambiamenti nelle politiche per il settore in direzione di una
progressiva riduzione delle forme di sostegno con i maggiori effetti distorsivi sui mercati.
I cambiamenti più rilevanti sono stati realizzati dall’UE che ha portato a termine un
profondo processo di riforma della Politica Agricola Comunitaria che, a partire dal 2003
ha determinato un significativo spostamento del sostegno verso pagamenti disaccoppiati
(principalmente destinati a promuovere la salvaguardia dell'ambiente e lo sviluppo delle aree
svantaggiate)
Ad oggi di conseguenza il livello della protezione tariffaria è diventato un fattore rilevante
per il sostegno del reddito delle imprese.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------Il livello del sostegno al settore agricolo nei Paesi sviluppati resta comunque elevato, come
evidenziato dell’Ocde che fornisce ogni anno una misura, il Producer Support Estimate (Pse), di tutti i
trasferimenti al settore, sia quelli dai consumatori (pagati come prezzo più elevato rispetto a quello
internazionale, sostegno via mercato) sia dai contribuenti (come spesa o mancata entrata di bilancio)
nella forma di pagamenti diretti (sia accoppiati che disaccoppiati). Considerando i paesi O CDE il
sostegno nel biennio 2005-07 risulta intorno ai 260 miliardi di dollari, concentrato principalmente
nell’UE (132), Giappone (quasi 40) e Stati Uniti (intorno ai 35). Il Pse espresso in termini percentuali
rispetto al valore della produzione si è ridotto, dal 37% del biennio 1986-88 al 26% del biennio 200507, ma a questa caduta ha contribuito principalmente l’andamento dei prezzi internazionali risultati
negli ultimi anni in crescita. La componente del sostegno via mercato si è progressivamente ridotta, il
suo peso è sceso da oltre l’80% del biennio 1986-88 al 55% nel 2005-07 (con forti differenze di peso
tra paesi, è ancora la quasi totalità del sostegno per Giappone e Corea); di contro è aumentato il peso
dei pagamenti diretti disaccoppiati.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
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6
IL NEGOZIATO DOHA: LE TRATTATIVE PER UN NUOVO ACCORDO AGRICOLO
L’avvio di un nuovo negoziato (il primo dopo la nascita della WTO) è stato un processo
lungo e molto conflittuale. Un primo tentativo è stato fatto con la Conferenza Ministeriale di
Seattle del 1999, che avrebbe dovuto dare avvio ad un nuovo round di negoziati globali (il
Millennium Round) ma la forte opposizione dei PVS e di organizzazioni non governative ha
fatto fallire il tentativo.
Solo nel novembre 2001 si è svolta a Doha la quarta Conferenza Ministeriale durante la
quale si è trovato un accordo per una agenda di temi sui quali i paesi si sono impegnati a
negoziare, con precisi impegni temporali, e si era stabilito di chiudere il negoziato
complessivo per il 2005 (per la trattativa agricola era invece previsto il 2003).
Almeno come dichiarazioni di intenti, questo negoziato rappresenta un elemento di rottura
rispetto al passato. L’agenda dei lavori (i temi principali in discussione sono l’agricoltura,
l’accesso ai mercato per i prodotti non agricoli e i servizi), riconoscendo che il commercio
internazionale può giocare un ruolo nel promuovere lo sviluppo economico e ridurre la
povertà, pone al centro dell’attenzione i bisogni e gli interessi dei PVS, peraltro oggi la
maggior parte dei paesi membri della WTO, tanto da qualificarsi come Doha Development
Agenda. Gli stessi PVS, e tra questi gli emergenti di grandi dimensioni (Brasile, India e Cina),
diversamente dal passato hanno assunto un ruolo attivo nei negoziati sia in fase di definizione
dell’agenda, impedendo l’inclusione di alcuni temi10, sia durante le trattative.
L’accordo agricolo dell’Uruguay Round è stato chiuso come una prima tappa di un
processo in direzione di una progressiva riduzione del sostegno e delle misure protezionistiche
nel settore agricolo, esso conteneva infatti l’impegno ad avviare, prima della fine del periodo
della sua applicazione (sei anni), un nuovo negoziato. Le trattative sono iniziate nel marzo del
2000 e successivamente si sono inserite nell’ambito del nuovo negoziato complessivo lanciato
nel 2001 a chiusura della riunione della Conferenza Ministeriale di Doha.
Le trattative agricole si sono subito rivelate complesse, sia per le nette divergenze negli
interessi e nelle posizioni portate avanti nelle proposte presentate da singoli paesi e/o gruppi
di paesi, sia per la stretta correlazione, come trade-off, con le trattative in corso in altri tavoli
negoziali (Accesso ai mercati per i prodotti non agricoli e Servizi). La chiusura del negoziato
è infatti possibile solo con un accordo su tutti i temi in discussione (single undertaking).
Per l’agricoltura la Dichiarazione di Doha conferma l’obiettivo di lungo periodo di
stabilire un sistema di scambi commerciali corretto e orientato al mercato con l’impegno a
10
In particolare i PVS si sono opposti all’inclusione nell’agenda di nuovi temi, richiesta soprattutto
dall’UE, quali: commercio i e standard di lavoro, commercio e ambiente e i cosiddetti Singapore
Issues (commercio e investimenti, commercio e politica della concorrenza e trasparenza negli
approvvigionamenti pubblici, facilitazioni nel commercio). Di questi temi solo il meno problematico,
facilitazioni del commercio, che attiene a misure per semplificare le procedure doganali e di transito
delle merci alla fine è entrato a far parte dell’agenda negoziale.
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perseguire nei tre pilastri già oggetto dell’Accordo dell’UR, i seguenti obiettivi: ampliare
l’accesso ai mercati, ridurre, con l’obiettivo finale di eliminarli, i sussidi alle esportazioni, e
una riduzione sostanziale del sostegno interno. Inoltre è espressamente previsto che il TSD per
i PVS dovrà essere elemento integrante di ogni parte dell’accordo agricolo, risultare effettivo e
permettere ai PVS di far fronte alle loro necessità, in particolare la sicurezza alimentare e lo
sviluppo rurale.
6.1
Liberalizzazione degli scambi agricoli e PVS
Prima di analizzare lo stato delle trattative agricole del Doha Round è utile richiamare
l’attenzione su alcune valutazioni delle opportunità e dei problemi per i PVS legati al processo
di liberalizzazione degli scambi di prodotti agricoli.
L’eliminazione della protezione tariffaria e dei sussidi da parte dei Paesi sviluppati avrebbe
come conseguenza un aumento dei prezzi internazionali dei prodotti, attualmente protetti e
sussidiati. L’effetto sui PVS verrebbe quindi a dipendere dalla loro posizione di esportatori o
importatori netti: i primi ne verrebbero avvantaggiati (esportando a prezzi più elevati), mentre
i secondi subirebbe effetti negativi (importazioni più costose). All’interno dei singoli paesi,
invece, prezzi più elevati possono avvantaggiare i produttori agricoli, nella misura in cui i
prodotti non sono autoconsumati ma venduti sul mercato, ma danneggiano le famiglie urbane
più povere, che destinano una quota rilevante del loro reddito per l’acquisto di prodotti
alimentari. Inoltre una riduzione delle tariffe può avere effetti negativi per quei paesi a cui
oggi è garantito un accesso preferenziale ai mercati. L’erosione delle preferenze sui mercati
dell’UE e degli USA colpirebbe in generale il gruppo dei PMA, in particolare l’Africa sub
sahariana e i Caraibi.
Nel complesso un vantaggio maggiore e meglio distribuito dei benefici si avrebbe se anche
i PVS rimuovessero la protezione dei loro mercati, soprattutto quelli in rapido sviluppo dove
nel futuro si prevedono le maggiori possibilità di crescita della domanda.
Nel valutare gli effetti della liberalizzazione degli scambi di prodotti agricoli e
alimentari, è quindi semplicistico e non corretto affermare che l’eliminazione delle
forme di protezione e sostegno accordate all’agricoltura dai Paesi sviluppati si
tramuterebbe automaticamente in un vantaggio per tutti i PVS. Le conseguenze saranno
diverse tra paesi (esportatori o importatori) e tra soggetti (consumatori e agricoltori), e
questo pone la questione di quali strategie implementare per ridurre i costi, sia per
ragioni etiche sia per raggiungere il consenso necessario per supportare il processo di
liberalizzazione multilaterale.
Resta infine da sottolineare che la possibilità per i PVS di trarre beneficio dalla
liberalizzazione dei mercati sono condizionate da due fattori: i costi di aggiustamento e i
vincoli dal lato dall’offerta. I PVS, rispetto ai Paesi sviluppati non solo devono fronteggiare
maggiori difficoltà di aggiustamento (legate a: riallocazione delle risorse tra settori, aumento
della disoccupazione, adeguamento a nuove regolamentazioni, redistribuzione dei redditi e
minore gettito fiscale dalle tariffe) ma è anche più problematico sostenerne il costo,
49
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disponendo di minori risorse e altre priorità di politica economica. Inoltre, senza i necessari
investimenti per superare i vincoli sul lato dell’offerta, non si possono cogliere le opportunità
offerte da una maggiore apertura dei mercati. Vincoli dal lato dell’offerta sono legati alla
mancanza delle infrastrutture materiali (strade, ferrovie, porti, mezzi di trasporto e stoccaggio
refrigerati), immateriali (reti di comunicazione, sistemi di istruzione e formazione
professionale) e delle istituzioni economiche (mercati del credito e delle assicurazioni, borse
merci e valori, enti di standardizzazione e certificazione).
6.2
Lo stato delle trattative sull’agricoltura
Nel negoziato agricolo i PVS hanno giocato un ruolo attivo organizzandosi in coalizioni
che, nonostante l’eterogeneità degli interessi dei singoli paesi, sono state in grado di
presentarsi in modo propositivo con linee comuni di strategia negoziale (prospetto B alla fine
della dispensa).
Da leggere per avere un’idea delle trattative….La prima scadenza fissata per ratificare un
accordo era la Quinta Conferenza Ministeriale tenuta a Cancun del 2003 quando il gruppo
del G20 ha di fatto bloccato il tentativo degli Stati Uniti e dell’UE di gestire il negoziato
agricolo assumendo da allora un ruolo forte e attivo nelle trattative. Un primo risultato è stato
l’Accordo quadro sull’Agricoltura raggiunto nel luglio del 2004, che ha fornito l’impianto di
riferimento per le successive trattative sulle regole e i criteri (modalities) per stabilire gli
impegni per ciascun paese. Limitati progressi sono stati fatti in occasione della Conferenza
Ministeriale di Hong Kong (2005), durante la quale venne fissata una nuova scadenza (aprile
2006) per la presentazione di un accordo sulle modalities. Anche questa scadenza è stata
disattesa e i negoziati sono stati sospesi nel 2006 su posizioni inconciliabili; nell’ambito
della trattativa agricola, gli USA non erano disposti a cedere di più sul sostegno interno e
l’UE sull’accesso ai mercati, mentre per i prodotti non agricoli e i servizi il G20 non era
disposto a maggiori concessioni. Già dall’inizio del 2007 le trattative ripresero con una bozza
di modalities (Luglio 2007) sulla quale non si riuscì a trovare un accordo durante il vertice di
Posdam del G-4 (Brasile, India, USA e UE). Successivamente le trattative sono proseguite per
arenarsi di nuovo nell’estate del 2008 su una nuova bozza di modalities; dove sulla maggior
parte dei nodi sembrava si fosse riusciti a trovare un compromesso ma le divergenze di
posizioni, tra India e USA, sul meccanismo speciale di salvaguardia sono risultate
insormontabili. Ad oggi le trattative di fatto sono ferme sulla bozza delle modalities
predisposto nel dicembre 2008.
Di seguito sono discussi, in modo sintetico, i principali punti sui quali nel dicembre del
2008 è stato raggiunto un accordo di massima, niente è ancora definitivo, e gli elementi sui
quali invece la discussione è ancora aperta. In particolare sono evidenziati gli elementi che
renderebbero questo accordo più stringente rispetto all’UR e quanto previsto, come
trattamento speciale e differenziato, per i PVS. I PMA sono esclusi da qualsiasi impegno ed è
previsto un meccanismo di compensazione per i riflessi negativi dell’erosione delle
preferenze.
50
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Per i sussidi alle esportazioni un compromesso sembra delineato, dopo che nella
conferenza di Hong Kong l’UE ha accettato di concordare una data (il 2013) per la loro
completa eliminazione ottenendo in cambio l’estensione della regolamentazione anche alle
altre forme di sussidio indiretto. La proibizione dei sussidi all’export, come da regola generale
della Wto, sarebbe un risultato importante per eliminare un strumento che ha avuto un impatto
distorsivo rilevante sui prezzi nei mercati internazionali11. Di rilievo sono anche i passi
avanti nella regolamentazione degli aiuti alimentari, con una disciplina specifica per quelli di
emergenza.
Nell’ambito dell’accesso ai mercati, per la riduzione delle tariffe è stato scelto un
approccio per fasce (formula tiered) che prevede un taglio delle tariffe consolidate maggiore
per quelle con un livello più elevato.
Solo a titolo esemplificativo, il prospetto che segue riporta le quattro diverse fasce tariffarie
che sono state concordate e impegni di riduzione differenziati per i Paesi sviluppati e per i
PVS.
Paesi Sviluppati
Fasce
tariffarie
Da 0 a 20%
Da 20 a 50%
Da 50 a 75%
Sopra 75%
Paesi in via di sviluppo
Riduzioni
In 5 anni
50%
57%
64%
70%
Fasce
tariffarie
Da 0 a 30%
Da 30 a 80%
Da 80 a 130%
Sopra 130%
Riduzioni
In 10 anni
2/3 valori dei Paesi
sviluppati
In caso di presenza di escalation tariffaria è prevista per i prodotti trasformati una
riduzione della tariffa maggiore, ottenuta collocandoli nella banda superiore rispetto alla quale
ricadrebbero, se già nella fascia più alta c’è una maggiorazione del taglio tariffario. Mentre, è
stata abbandonata l’ipotesi di l’introduzione di tetti tariffari (tariff caps), strumento utile per
contenere in modo più efficacie i picchi tariffari, sostenuta soprattutto dai paesi del gruppo di
Cairns.
L’approccio per fasce potrebbe garantire, rispetto a quanto concordato nell’UR,
risultati superiori in termini di riduzione sia del livello medio tariffario sia della dispersione
(picchi tariffari e escalation). Gli impegni però sono assunti rispetto alle tariffe consolidate e
quindi l’impatto effettivo dipende dalla differenza esistente con quelle applicate. Comunque
un taglio delle tariffe consolidate sarebbe un risultato rilevante per i paesi esportatori perché
riduce l’incertezza sul livello delle tariffe future, che non potranno più superare quel tetto.
11
Negli ultimi anni, in presenza di prezzi elevati sui mercati internazionali, i sussidi all’export si
erano molto ridotti ma ad esempio nei primi mesi del 2009 sono stati nuovamente utilizzati per
fronteggiare le difficoltà del settore lattiero caseario, sia dall’UE che dagli Stati Uniti.
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L’effettiva maggiore apertura dei mercati è condizionata anche dai margini di flessibilità
che sono garantiti dall’applicazione di tre categorie di eccezioni, la prima, i prodotti i
sensibili, utilizzabile da tutti i paesi, le altre due dedicate in modo specifico solo ai PVS, i
prodotti speciali e il Meccanismo Speciale di Salvaguardia (MSS).
Ciascun paese ha la possibilità di individuare una lista di prodotti sensibili, cui applicare
condizioni di favore cioè minori riduzioni tariffarie. Il numero delle linee tariffarie designabili
come sensibili è ancora da definire; comunque la percentuale per i PVS sarà superiore di 1/3
rispetto a quella concessa ai Paesi sviluppati.
Per assicurare un risultato globale di riduzione della protezione tariffaria è previsto un
vincolo sul taglio medio minimo delle tariffe pari al 54%, valore ridotto al 36% per i
PVS, percentuali quindi superiori a quelle conseguite con l’UR.
I PVS potranno individuare un ulteriore insieme di prodotti, denominati speciali, per i
quali è possibile continuare a garantire una maggiore protezione, prevedendo per una quota,
una completa esenzione dalla riduzione delle tariffe, per il rimanente una riduzione tariffaria
minore. Questa categoria di prodotti è stata introdotta su richiesta dei Paesi del G33 come una
flessibilità necessaria per gli obiettivi di sicurezza alimentare e sviluppo rurale. Come criteri
di fondo possono essere selezionati come speciali quei prodotti che sono alimenti di base della
dieta locale, rappresentano una quota rilevante della spesa per alimenti e/o sono prodotti
dall’agricoltura di sussistenza12.
E’ previsto anche un Meccanismo di Salvaguardia Speciale dedicato solo ai PVS per
provvedere una protezione temporanea in caso di improvvisi aumenti delle importazioni13.
Questo è ancora oggi un nodo non risolto e problemi aperti sono molti: stabilire le soglie da
utilizzare per far scattare il meccanismo e poter applicare tariffe più elevate; possibilità o
divieto di superare le tariffe consolidate nell’ambito dell’UR; l’arco di tempo nel quale le
misure possono restare in vigore.
Passando a considerare il sostegno interno, si ipotizza una regolamentazione più
vincolante rispetto a quanto concordato nell’accordo dell’UR, perché sono previsti impegni di
riduzione che riguardano tutte le categorie di sostegno che possono avere un effetto
distorsivo sugli scambi e il livello di sostegno specifico per prodotto. È da sottolineare però
che i livelli di sostegno sui quali applicare le riduzioni non sono quelli effettivi ma quelli
massimi consentiti dopo l’applicazione dell’UR, che risultano sostanzialmente superiori.
Gli impegni presi per la riduzione del sostegno sono molto complessi e articolati,
semplificando al massimo si può dire che: per includere tutte le misure distorsive è stato
12
Diversi studi mettono in dubbio la validità della scelta dei prodotti speciali come strategia per
garantire la sicurezza alimentare, dal momento che, come già segnalato, prezzi dei prodotti agricoli più
elevati possono avvantaggiare i produttori agricoli (nella misura in cui i prodotti non sono
autoconsumati ma venduti sul mercato) ma danneggia i consumatori delle fasce più povere, che
destinano una quota rilevante del loro reddito (si stima circa i ¾) per l’acquisto di prodotti alimentari.
13 Invece si prospetta l’eliminazione della Clausola Speciale di Salvaguardia prevista nell’UR.
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individuato un nuovo indicatore definito Overall Trade-distorting Domestic Support
(OTDS) e anche in questo caso si è scelto di adottare un approccio alla riduzione per fasce.
Overall Trade-distorting Domestic Support (OTDS)
Paesi Sviluppati
Fasce
Riduzioni
In 5 anni
> 60 miliardi $
80%
tra 60 e 10 miliardi $
70%
< 10 miliardi $
55%
PVS
Riduzioni
In 8 anni
2/3 valori dei Paesi
sviluppati
Per la scatola verde è prevista una ridefinizione delle politiche ammesse che integra una
serie di tipologie di intervento che i PVS possono attivare per ragioni di sicurezza alimentare,
per lo sviluppo rurale, la lotta alla povertà e il sostegno ai produttori marginali.
Per i PMA, come già evidenziato, non sono previsti obblighi, ma, per compensare le
conseguenze negative dovute alla riduzione delle preferenze tariffarie di cui godono, è
previsto che i Paesi sviluppati e tra i PVS quelli che potranno farlo, garantiscano
l’accesso dei loro prodotti a tariffa zero. L’accesso a tariffa zero però potrà essere limitato
solo al 97% delle linee tariffarie, l’esenzione del 3%, che potrebbe sembrare una quota
irrisoria, di fatto, data la struttura delle esportazioni dei PMA, compromette in modo
significativo le possibilità di espansione delle esportazioni di questi paesi
6.3
Negoziato agricolo: considerazioni di sintesi
Le trattative in corso nell’ambito del Doha Round per giungere ad un nuovo accordo
agricolo hanno visto per la prima volta una attiva partecipazione da parte dei Pvs. Partendo da
posizioni negoziali fortemente divergenti si è giunti ad una bozza delle modalities che, nelle
sue linee di fondo, può essere valutata in modo positivo sotto due aspetti: da un lato, sarebbe
una nuova e più incisiva fase del processo di revisione delle politiche per il settore agricolo in
direzione di forme di intervento meno distorsive degli scambi; dall’altro, potrebbe assicurare
una più efficacie apertura dei mercati.
Rispetto ai risultati raggiunti con l’UR, nella la bozza di modalities: è prevista
l’eliminazione dei sussidi alle esportazioni e una disciplina più stretta sulle altre forme di
sussidi; la formula scelta per ridurre le tariffe, pur in presenza delle eccezioni previste per i
prodotti sensibili, dovrebbe consentire una più significativa riduzione delle tariffe consolidate,
incidendo anche sui picchi e l’escalation tariffaria; sono posti limiti più efficaci al sostegno
interno distorsivo.
Considerando i PVS nei tre pilastri gli impegni richiesti sono sempre minori rispetto a
quelli per i Paesi sviluppati e diluiti in un arco temporale più lungo. Anche se a questo
riguardo è da sottolineare che gli stessi PVS esportatori avrebbero interesse a una maggiore
riduzione della protezione tariffaria, soprattutto nei paesi in rapido sviluppo, dove nel futuro si
potranno aprire le maggiori potenzialità di crescita. Le esigenze specifiche dei PVS importatori
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sono riconosciute da un lato con la possibilità di individuare una lista di prodotti sensibili a
cui continuare a garantire una maggiore protezione, dall’altro con il Meccanismo di
salvaguardia speciale, per proteggere i mercati interni in caso di aumenti improvvisi delle
importazioni. I PMA sono esclusi dagli impegni e si prevede una compensazione per i riflessi
negativi dell’erosione delle preferenze. Ma la possibilità accordata ai Paesi sviluppati di
limitare l’accesso a tariffa zero al 97% delle linee tariffarie rende questa previsione più
formale che sostanziale.
Quanto previsto come Trattamento speciale e differenziato nella bozza di accordo agricolo
e le potenzialità di espansione offerte dalla riduzione della protezione tariffaria non sono
sufficienti a garantire ai PVS una effettiva maggiore partecipazione al commercio
internazionale e i derivanti vantaggi in termini di sviluppo. Sono una condizione necessaria
ma non sufficiente, è essenziale un impegno effettivo nel garantire una adeguata assistenza
tecnica e supporto per sostenere i costi di aggiustamento e rimuovere i vincoli dal lato
dell’offerta. Nell’ultimo decennio sono stati fatti alcuni passi avanti in questa direzione,
soprattutto in termini di enfasi sulla necessità di intraprendere azioni in modo più efficacie e
coordinato, anche se gli impegni assunti non sono vincolanti e le promesse di maggiori
contributi finanziari da parte dei paesi donatori sono spesso rimaste solo sulla carta.
Un ambito specifico, di particolare rilevanza per l’agroalimentare, è il potenziamento
dell’assistenza tecnica prevista nell’ambito dell’Accordo sulle Misure Sanitarie e
Fitosanitarie.
Nonostante i progressi nelle trattative ad oggi non sembra ragionevole prevedere una
chiusura dei negoziati in tempi rapidi
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Prospetto B - Coalizioni dove sono presenti PVS, che presentano un’agenda negoziale comune, principali interessi e posizione nel negoziato
Paesi
Angola, Antigua e Barbuda, Bangladesh, Barbados, Belize, Benin, Birmania, Botswana, Burkina
Faso, Burundi, Cambogia, Camerun, Ciad, Congo, Costa d’Avorio, Cuba, Gibuti, Dominica,
G90
Egitto, Figi, Gabon, Gambia, Ghana, Giamaica, Grenada, Guinea, Guinea Bissau, Guyana, Haiti,
(64
paesi
Kenya, Lesotho, Madagascar, Malawi, Maldive, Mali, Marocco, Mauritania, Mauritius,
dell’Unione
Mozambico, Namibia, Nepal, Niger, Nigeria, Papua Nuova Guinea, Rep. Centrafricana, Rep.
Africana,
Democratica del Congo, Rep. Dominicana, Rep. Sudafricana, Ruanda, Saint Kitts e Nevis, Saint
ACP, PMA)
Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Senegal, Sierra Leone, Salomone, Suriname, Swaziland,
Tanzania, Togo, Trinidad e Tobago, Tunisia, Uganda, Zambia, Zimbabwe
G20
G33
Interessi e posizione nel negoziato agricoli
Gruppo con interessi eterogenei:
- i paesi importatori sono preoccupati degli effetti del
possibile aumento dei prezzi mondiali associato alla
liberalizzazione, per i riflessi negativi sul costo della
propria dipendenza alimentare
- i paesi esportatori temono gli effetti negativi
dell’erosione delle preferenze commerciali di cui
godono, che potrebbe derivare da una riduzione
generale delle tariffe
Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Cina, Colombia, Cuba, Egitto, India, Indonesia, Messico,
Comprende i principali paesi emergenti con grande
Nigeria, Pakistan, Paraguay, Filippine, Rep. Sudafricana, Tanzania, Tailandia, Venezuela,
peso nei mercati internazionali. E’ la coalizione più
Zimbabwe
attiva.
Antigua e Barbuda, Barbados, Belize, Benin, Botswana, Cina, Congo, Corea del Sud, Costa
Gruppo
d’Avorio, Cuba, Filippine, Giamaica, Grenada, Guyana, Haiti, Honduras, India, Indonesia,
preoccupazione circa gli affetti della liberalizzazione
Kenya, Mauritius, Madagascar, Mongolia, Mozambico, Nicaragua, Nigeria, Pakistan, Panama,
commerciale sui propri fragili sistemi agricoli. Ha un
Perù, Rep. Dominicana, Senegal, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine,
particolare interesse per il trattamento speciale e
Sri Lanka, Suriname, Tanzania, Trinidad e Tobago, Turchia, Uganda, Venezuela, Zambia,
differenziato
di paesi eterogenei
accomunati dalla
Zimbabwe
Gruppo di
Cairns
G10
Argentina, Australia, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Filippine,
Guatemala, Indonesia, Malesia, Nuova Zelanda, Paraguay, Rep. Sudafricana, Tailandia,
Uruguay
Gruppo formatosi nel 1986 attivo durante l’Uruguay
Round, eterogeneo quanto a grado di sviluppo, tutti
esportatori
competitivi
che
spingono
per
la
liberalizzazione del commercio
Bulgaria, Corea del Sud, Giappone, Islanda, Israele, Liechtenstein, Mauritius, Norvegia,
Gruppo dei paesi più protezionisti, forti importatori
Svizzera, Taipei
netti
55
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Tabella 1 – Media ponderata (peso sulle importazioni) delle tariffe di importazione per i
prodotti agroalimentari, 2001. (% , equivalente ad valorem)
Tariffe
Tariffe
consolidate
applicatea
Paesi sviluppati
27
14
Paesi in via di sviluppo
48
21
di cui: Paesi meno sviluppati
78
13
Mondo
37
17
a
Incluse preferenze tariffarie, contingenti tariffari a tariffa ridotta e l’equivalente ad valorem per
le tariffe specifiche.
Fonte: Anderson K., Martin W. (2005), “Agricultural Trade Reform and the Doha Development
Agenda”, The World Economy n. 28.
Tabella 2 – Tariffe medie ponderate applicate per settore, %.
AsiaUE-25
USA
Paesi
Sviluppati
Riso
62,9
4,6
289,9
Riso trasformato
138,1
4,9
314,0
Cereali
24,3
1,1
83,9
Grano
0,5
2,4
69,2
Zucchero
128,5
34,8
120,4
Semi oleosi
0,0
4,3
62,4
Animali vivi
36,2
0,1
20,4
Prodotti animali
4,3
0,6
9,9
Carne
62,8
3,2
25,2
Carne traformata
20,0
3,6
31,8
Prodotti lattiero-caseari
39,6
18,8
40,2
Fibre animali
0,0
1,6
0,2
Frutta e verdura
17,9
2,7
17,1
Altre colture
2,3
2,7
3,7
Grassi
4,6
3,5
4,2
Bevande e Tabacco
13,7
2,4
13,1
Alimentari
10,1
4,2
12,6
Totale agroalimentare
16,7
4,7
22,5
EFTA
12,3
11,6
82,6
134,4
48,2
38,5
53,6
33,7
177,6
167,9
91,7
0,0
31,8
20,0
36,2
15,9
20,8
47,7
CairnsPaesi
sviluppati
0,0
0,0
0,1
1,2
3,5
0,1
0,0
8,3
5,9
30,4
76,6
0,0
1,7
1,4
2,1
7,2
6,8
10,8
Fonte: Bureau J.-C., Sébastien J., Matthews A. (2005), “The Consequences of Agricultural
Trade Liberalization for Developing Countries: Distinguishing Between Genuine Benefits and
False Hopes”, CEPII Working Papers No 2005 – 13 August.
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Dispensa 2 - Imprese Agroalimentari e Mercati Globali –esame da 6 cfu
a cura di Angela Mariani – A.A. 2011-2012
Tabella 3 – Settore agricolo: Tariffe medie ponderate applicate bilaterali, %.
Tariffe applicate da →
UE25
USA
AsiaPaesi
sviluppata
EFTA
CairnsPaesi
sviluppati
Tariffe applicate a↓
UE-25
5,8
22,2
52,0
15,7
USA
16,2
28,9
57,9
5,1
Asia- Paesi sviluppati
12,5
3,7
17,9
6,2
EFTA
7,9
3,9
11,6
10,6
Cairns- Paesi sviluppati
25,9
3,4
24,9
79,8
Paesi del Mediterraneo
7,3
4,0
14,1
25,7
3,7
Africa Sub-Sahariana
6,7
3,0
12,0
8,9
0,7
Cairns- Paesi in via di sviluppo
18,3
3,8
24,0
34,7
5,9
Cina
13,5
5,1
21,7
36,7
8,7
Asia del Sud
14,4
1,8
33,7
21,9
1,8
Resto del Mondo
15,1
2,1
17,4
25,8
2,6
Valore Medio
16,7
4,7
22,5
47,7
10,8
Fonte: Bureau J.-C., Sébastien J., Matthews A. (2005), “The Consequences of Agricultural
Trade Liberalization for Developing Countries: Distinguishing Between Genuine Benefits and
False Hopes”, CEPII Working Papers No 2005 – 13 August.
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