Commento a “ L’Infinito” di Giacomo Leopardi La poesia "L'infinito" di Giacomo Leopardi è tratta da "Idilli", che indica un componimento dedicato alla contemplazione di un paesaggio e all'espressione dei sentimenti intimi del poeta. L'autore della poesia è Giacomo Leopardi, nato nel 1798 a Recanati. A dieci anni continuò a studiare da solo, attingendo alla ricchissima biblioteca paterna. A diciasette anni Giacomo riemerse dalla biblioteca di casa con il desiderio di vivere esperienze intellettuali al di fuori di Recanati. Nel 1830 Leopardi lasciò definitivamente il paese natale e si recò a Firenze, poi a Roma e a Napoli. Morì nel 1837, in seguito a una crisi d'asma, a soli trentanove anni. Il tema predominante della poesia è l’immensità dell’infinito. Si possono individuare nel testo quattro unità tematiche: la prima dal titolo “il limite, il reale” espresso dalle parole-chiave “questo ermo colle”, “questa siepe”, “ultimo orizzonte” (v. 1, 2, 3) narra cosa prova il poeta per il colle Tabor e per la siepe che gli limita la vista dell’orizzonte. La seconda ha come titolo “l’infinito e l’immaginazione”, le parole-chiave “interminati spazi”, “sovrumani silenzi”, “profondissima quiete” e “io nel pensier mi fingo”, ci fanno capire cosa il Leopardi sta pensando quando si trova davanti alla siepe. Le parole-chiave “il vento odo stormir”, “quello infinito silenzio”, “questa voce” ci introducono la terza unità tematica, “il ritorno di un dato reale”, che ci narra un confronto che il poeta fa nei confronti del vento. Nell’ultima, dal titolo “Il piacere dell’immaginazione”, espresso dalle parole-chiave “questa immensità” (v. 13), “s’annega il pensier mio” (v. 14), “naufragar m’è dolce in questo mar” (v. 15), il poeta conclude che è dolce naufragar nel mare dell’infinito. L’Infinito è un testo poetico composto da 15 versi, endecasillabi sciolti; nel testo compaiono diversi termini aulici, che evidenziano la formazione classica dell’autore. Nel testo sono presenti diversi enjambement, come al verso 2-3, al verso 4-5-6. Questa tecnica poetica viene usata dall’autore per non interrompere l’immagine, che continua, nonostante termini il verso. Nella poesia compare una metafora al verso 14-15: il poeta afferma di naufragare nel mare dell’immaginazione. Nel testo compaiono diversi aggettivi dimostrativi; l’aggettivo questo viene usato all’inizio per indicare un’ elemento, cioè “quest’ ermo colle. Ciò che invece è immenso e infinito viene definito con l’aggettivo quello, perché è lontano da lui. Al termine dell’idillio l’immensità è definita con l’aggettivo questo perché l’infinito e l’immensità sono diventati sentimenti dell’ autore. Vengono usati inoltre diversi termini di formazione classica ma nell’insieme non presenta difficoltà di comprensione. Vi è la ripetizione dei suoni s ed n che richiamano l’infinito. Leopardi esprime una dolce calma piena di attesa con i due gerundi ,”sedendo e mirando”, che rallentano il ritmo che diventa poi incalzante, con la serie di congiunzioni ed aggettivi (“ interminati spazi… e sovrumani silenzi, e profondissima quiete…”), che esprimono progressivamente una serie di pulsioni vitali , culminanti nella liberazione e dissoluzione del proprio io negli “interminati spazi”. Il poeta però non si abbandona alle pulsioni, ma riconduce subito queste sensazioni nel suo io che le controlla con la serenità della ragione (“io nel pensier mi fingo”). L’armonia e la serenità del verso, la potenza del pensiero e del sentimento gli permettono di percepire, di pensare, con la grandezza del suo animo, contemporaneamente la voce della vita , l’infinità del Silenzio e dell’Essere (“io quello infinito silenzio a questa voce vo’ comparando”). Anche attraverso il confronto tra le morti stagioni e la vitalità del presente, Leopardi esce di nuovo dal suo mondo e si riapre all’eterno. Anche qui la serie di congiunzioni, dà il senso del desiderio di continuare a vivere queste sensazioni e pulsioni: “e mi sovvien l’eterno, e le morti stagioni, e la presente e viva , e il suon di lei”. Leopardi conquista l’infinito spazio-temporale (l’eterno), da una parte lo fa suo e dall’altra annulla il suo pensiero nell’immensità del sentimento: “in questa immensità s’annega il pensier mio”. A questo punto il poeta si ferma, per lasciar gustare appieno il successivo abbandono finale di tutto il suo io in una sensazione di totale appagamento: “il naufragar mi è dolce in questo mar”. Mentre precedentemente l’immenso era “quello infinito”, dove “quello” indica qualcosa lontano da chi scrive (l’elemento intangibile al di là della siepe), alla fine del canto diventa “questa immensità”, “questo mare”. L’aggettivo “questo” indica difatti l’avvenuta interiorizzazione dell’infinito e dell’eterno, di conseguenza se prima la percezione dell’immensità provocava al Leopardi un sottile brivido, “ove per poco il cor non si spaura”, ora “il naufragar … è dolce in questo mare”. E’ l’individuo dunque che annega nell’infinito, dopo averlo portato dentro di sé, nel suo mondo. Dopo pulsioni, intervallate da momenti di pausa, Leopardi conclude il canto con il dolce piacere anche materiale dei sensi : ritorna nel grembo della madre. Alcune figure retoriche presenti nella poesia: ENJAMBEMENT= interminati spazi-‐sovrumani silenzi ANASTROFE=sempre caro mi fu quest’ermo colle IPERBOLE= Sovrumani-‐profondissima-‐interminati Antitesi= questa siepe-‐quella, quell’infinito silenzio-‐quella voce morta-‐ stagione viva METAFORA= mare in cui annega il pensiero e poi naufraga OSSIMORO= lega un verbo come naufragar appartenente alla sfera della morte all’aggettivo dolce
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