I comportamenti monopolistici 14.4.5 Gli accordi di cartello tra compratori: giocatori professionisti e amatoriali Allo stesso modo in cui i venditori talvolta stipulano accordi collusivi in modo da riuscire a esercitare, tutti insieme, potere monopolistico, anche i compratori possono costituire cartelli allo scopo di esercitare collettivamente potere monopsonistico. Tra gli esempi più noti di accordi di cartello tra compratori, ci sono le leghe sportive professionistiche statunitensi. Fino al 1976 la cosiddetta clausola di conferma obbligava i giocatori professionisti di baseball a trattare con un’unica società sportiva. In effetti ogni squadra sceglieva i suoi giocatori tra un gruppo di atleti già legati a quella società e per questo godeva di potere monopsonistico. Anche le “scelte” compiute dalle leghe sportive professionistiche di basket e di football hanno effetti simili. Secondo il sistema delle scelte, un giocatore che viene ingaggiato per la prima volta dalla lega professionistica (per esempio, quando finisce l’università) o firma un contratto con la società che lo ha scelto o rinuncia a giocare per qualunque squadra della lega. Da vari studi sugli sport professionistici è risultato che questi cartelli tra compratori sono efficaci. Scully (1974), per esempio, ha verificato che i giocatori professionisti di baseball percepivano compensi di gran lunga inferiori al loro ricavo marginale del prodotto. Sommers e Quinton (1982), invece, hanno effettuato una ricerca su come siano cambiati gli ingaggi dei giocatori di baseball dopo che la clausola di conferma è diventata meno vincolante e alcuni atleti hanno potuto scegliere liberamente per quale società giocare. I due studiosi hanno scoperto che la concorrenza tra le squadre di baseball ha fatto sì che questi giocatori arrivassero a percepire compensi molto prossimi al loro ricavo marginale del prodotto. In effetti, come risultato del costante allentamento delle precedenti restrizioni, i compensi dei giocatori professionisti di basket esplosero nel 1996. Diversi giocatori ottennero contratti pluriennali valutati oltre 100 milioni di dollari, mentre solo alcuni anni prima contratti vicini ai 60 milioni di dollari erano rari. Nonostante le società sportive professionistiche siano riuscite a esercitare un notevole potere monopsonistico, probabilmente il più efficace cartello tra compratori è stato quello costituito dalle università statunitensi. In genere le università versano ai giocatori delle loro squadre di basket e di football un compenso che corrisponde a una percentuale molto bassa delle entrate che essi procurano all’istituto. La National Collegiate Athletic Association controlla costantemente che nessuna università violi gli accordi versando compensi elevati ai giocatori (né sotto forma di pagamenti in contanti né sotto forma di benefici in natura, come, per esempio, automobili sportive o appartamenti). Per quanto riguarda il football, il cartello delle università può contare sulla collaborazione della lega professionistica, vale a dire la National Football League. Per anni la NFL si è rifiutata di ingaggiare giocatori che non avessero raggiunto l’età della laurea e avessero ancora diritto a frequentare l’università. Poi nel 1990, quando alcuni studenti che aspiravano a giocare in squadre professionistiche prima di aver terminato l’ultimo anno d’università minacciarono di fare causa alla lega, la National Football League accettò di ingaggiare giocatori delle squadre universitarie prima che raggiungessero l’età della laurea, ma solo a condizioni meno favorevoli rispetto agli altri giocatori. In ogni caso, le università e la NFL hanno continuato a fare tutto il possibile affinché gli atleti delle squadre universitarie venissero pagati molto meno del loro ricavo marginale del prodotto. Katz, Rosen, Morgan, Bollino, Microeconomia, 4a edizione, McGraw-Hill, 2011, ISBN 978-88-386-6581-3 1
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