Whistleblowing: “fischiettando” contro la corruzione

L’Indro, 5 dicembre 2014
Whistleblowing:
“fischiettando”
contro
la
corruzione
di Camilla Doninelli
Nicoletta Parisi e Giorgio Fraschini ci spiegano cos'è
Se dovessimo misurare la fiducia nelle Istituzioni, tenendo conto della corruzione che
dilaga senza un freno, avremmo un risultato sconcertante. C’è chi lo ha fatto. E’ solo di
qualche giorno fa l'annuncio del Corruption Perception Index 2014 di Transparency
International. L’Italia è al 69esimo posto su 174 Paesi. Non c’è molto da sorprendersi,
né tantomeno da rallegrarsi. Come sappiamo in Italia una legge anticorruzione esiste,
è la legge Severino sulle «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della
corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione». Nel testo, all’art. 1
comma 51 (che introduce l’art. 54-bis nel Dlgs 165/2001) si legge che «il pubblico
dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce
al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in
ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad
una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro
per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia».
Con la legge n. 114/2014 l'A.N.AC. è divenuta una dei destinatari di degnazione di
whisleblower. Quindi potrebbe essere lo stesso dipendente pubblico ad attivare il
controllo statale, nel caso in cui viene a conoscenza di un illecito. Per questa via si
tenta anche di innalzare il livello della cultura della legalità. Questo strumento ha un
nome e un cognome: il Whistleblowing. Di matrice anglosassone, è un modello di
controllo partecipativo che potrebbe essere molto utile, un aiuto consistente di
supporto al controllo nazionale. Letteralmente il “whistleblower” è colui che segnala
l’illecito (soffiatore nel fischietto), non farebbe altro che mettere in pratica un dovere
civico. Purtroppo in Italia questo tipo di azione è generalmente considerata una
“spiata”, concezione del tutto autoctona. Ce lo conferma anche Nicoletta Parisi,
consigliere dell’A.NAC. “Questo comportamento viene spesso considerato un atto di
delazione; è una connotazione che non tiene conto dei principi espressi dalla nostra
Costituzione e dalle leggi leggi che ne danno applicazione, che obbligano il pubblico
ufficiale a denunciare il fatto d’illegalità. Noi abbiano una Costituzione molto moderna che
ci fornisce un principio, che non è mai stato traslato nel nostro ordinamento. Eppure a
livello internazionale il contrasto a fatti d’illegalità per effetto della collaborazione che
proviene da chi lavora all’interno della struttura – pubblica o privata che sia - viene
considerato un aiuto fondamentale contro le condotte di corruzione: ci chiedono un
impegno sul piano normativo in questo senso la Convenzione delle NU del 2003, la
Convenzione OCSE del 1997, il Consiglio d'Europa con le proprie raccomandazioni adottate
dall'organo di controllo denominato "GRECO", continua la Parisi.
Nel modello anglosassone, tipicamente negli Stati Uniti, il whistleblower è tanto
valorizzato da ottenere, a seguito della segnalazione accertata come fondata,
anche un compenso pecuniario, pur ricevendo la sanzione penale conseguente
se penalmente coinvolto nella condotta illecita. Peraltro anche in altri Paesi
europei, questo tipo d’istituto non è accolto in modo diffuso. “Non c’è scritto da
nessuna parte, nemmeno nelle regole internazionali, quale deve essere lo statuto
riguardante il whistleblower. Ciascun ordinamento nazionale, nell’ambito della propria
sovranità stabilisce come tutelarlo. Noi abbiamo deciso, con la legge Severino, di
proteggerlo tramite uno statuto di riservatezza, così da metterlo al riparo da procedimenti
disciplinari indebiti”, ci spiega Nicoletta Parisi. Quello che dobbiamo sottolineare è che
questo istituto, in Italia, è previsto, appunto dalla "legge Severino", soltanto per le
Pubbliche Amministrazioni, mentre nessuna disposizione di portata generale è oggi
contemplata in relazione alle imprese private".
“In America danno delle ricompense esose. Loro fanno un ragionamento prettamente
economico”, afferma Giorgio Fraschini, collaboratore di Transparency International
Italia. “Forse nei Paesi come il nostro serve un incentivo – continua - Ma se paghi qualcuno
per fare qualcosa non torni più indietro. In Italia non esiste questa cultura, è la natura,
non esporsi quando non devi. In Europa ci siamo arrivati negli ultimi anni perché
l’Unione e il Greco stanno spingendo in questo senso”. Nel nostro sistema “la
giurisprudenza, nell’accertare la responsabilità o meno dell’impresa, insieme a quella del
funzionario, ha dichiarato che il whistleblowing è un sistema che dovrebbe aiutare il
radicamento della cultura d’impresa in senso etico e quindi in realtà, tramite la
giurisprudenza e i modelli organizzativi fatti, il whistleblowing dovrebbe essere presente
anche nelle imprese private. Non c’è una legge che lo prevede. E’ una guide line che ci viene
fornita dalla giurisprudenza. Se l’impresa fa passare il messaggio che è fiduciosa nei
comportamenti eticamente corretti, e chi denuncerà atti di illegalità verrà protetto”,
sottolinea la Parisi. “Il legislatore ha percepito la diffidenza del pubblico dipendente verso
la pubblica amministrazione, ecco perché ha inserito l’Anac come destinatario della
segnalazione. Il whistleblower, secondo l’interpretazione di Anac, non è l’anonimo che
segnala, ma è la persona che alla luce del sole compie la segnalazione e in cambio riceve la
riservatezza all’interno dell’impresa, come nella PA”.
Il problema naturalmente è anche se l’illecito riguarda un singolo o tutto il corpo
dirigenziale, “in quei contesti dove c’è un Management coinvolto nell’illecito la
segnalazione interna è problematica. In alcuni casi avrebbe sicuramente aiutato. E’
l’azienda stessa o l’amministrazione che ha l’interesse ad isolare questa persona.
Tendenzialmente dovrebbe segnalare internamente, perché le aziende o gli enti sono i
soggetti che potrebbero affrontare meglio la questione”, ci spiega Fraschini.
Ma in questo panorama come si sta comportando il governo Renzi? “La Presidenza del
Consiglio, con la quale stiamo lavorando proprio sul whistleblower in maniera molto
positiva, ha introdotto nello scorso mese di agosto un proprio sistema di whistleblowing
interno per la gestione di segnalazioni di illeciti di propri dipendenti, con una tecnologia
che è in grado di dividere, dal momento in cui la segnalazione arriva, il nome del
segnalante dai fatti, cosicché essi' abbiano due percorsi diversi. Sta anche emergendo la
volontà di avviare una collaborazione fra istituzioni pubbliche che, utilizzando la stessa
tecnologia, possano comunicare reciprocamente più facilmente, anche abbassando i costi
che un sistema di tutela del whistleblower necessariamente comporta. In questo momento
trovo che ci sia una reale volontà del nostro Governo di mettere a regime la tutela del
dipendente pubblico che segnala. Resta da verificare se il Parlamento abbia la stessa
volontà, manifestandola per esempio tramite l'approvazione di una normativa che in via
generale, anche per il settore privato, stabilisca l'obbligo di creare un canale di
segnalazione di fatti di illegalità' che si riproducono all'interno dell'ambiente di lavoro. La
logica sottesa è quella di prevenire le condotte illecite, evitando che esse si radichino
nell'entrata, "facendo pulizia" prima che si debba intervenire con un procedimento
giudiziario", conclude Nicoletta Parisi.