FLAVIA FRANCONI LA MEDICINA DI GENERE: UNA RIVOLUZIONE SILENZIOSA PAOLA CONTI Premessa Assessora alla Politica della Persona, Regione Basilicata; Dipartimento di Scienze Biomediche Università di Sassari Esperta per Inail in salute e sicurezza sul lavoro in ottica di genere ILARIA CAMPESI Laboratorio Nazionale di Medicina di Genere, Osilo, Sassari Una pietra miliare per il superamento del pregiudizio di genere è la dichiarazione della Convenzione di Seneca Falls (19-20 Giugno del 1848) che chiede l’eguaglianza dei diritti e dei doveri fra uomo e donna (Franconi, Cantelli Forti, 2013). Ma è necessario aspettare la Convenzione sull’eliminazione di ogni discriminazione verso le donne (CEDAW) del 1979 perché gli Stati si impegnino a garantire la parità dei diritti tra uomini e donne (Franconi, Cantelli Forti, 2013). Solo dopo questa conferenza, intorno al 1990-1995, nasce negli Stati Uniti la medicina di genere. Arrivano poi le raccomandazioni da parte di molte organizzazioni internazionali come l’Unione Europea (2000), il Parlamento Europeo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità che, nel 2013, dichiara la medicina di genere una priorità. Purtroppo, il pregiudizio di genere, che ha pervaso la nostra società fin dai suoi albori, ha portato ad una situazione che ancora oggi determina gap, generalmente, più svantaggiosi per le donne; tuttavia in alcuni casi (emicrania, osteoporosi, carcinoma mammario ecc.) lo svantaggio è maschile (Franconi et al, 2010). Il riconoscimento delle differenze: “Le donne non sono piccoli uomini” Nonostante Ippocrate avesse già descritto la diversa suscettibilità verso la gotta degli uomini e delle donne affermando che la donna si ammala difficilmente di gotta prima delle menopausa (da Enomoto, Endou, 2005), le donne, storicamente, sono state considerate “piccoli uomini” con la sola esclusione degli organi deputati alla riproduzione tanto che si è parlato di “Bikini Medicine”; così facendo, si è creata una medicina androcentrica focalizzata soprattutto, se non esclusivamente, sull’uomo giovane adulto caucasico (Marino et al, 2011). Pertanto i golden standard per i criteri di normalità e le terapie derivano da dati ottenuti sull’uomo maschio caucasico, per poi essere estrapolate alla donna senza tener conto delle possibili differenze. Attualmente, questo stato di cose sta migliorando anche se non troppo velocemente. Non tutte le diseguaglianze sono inique La rivendicazione di uguaglianza si traduce spesso, come scriveva Norberto Bobbio, “nella negazione di una specifica ineguaglianza” fra individui. Il premio Nobel François Monod si spinge oltre, sostenendo che, in biologia, il concetto d’eguaglianza è stato “inventato precisamente perché gli esseri umani non sono identici”. D’altro canto, tutte le culture assegnano alle donne e agli uomini specifiche caratteristiche, responsabilità, doveri, diritti 2 e risorse economiche. Perciò, gli uomini e le donne nella stessa comunità o famiglia spesso conducono vite differenti, sono esposti a diversi rischi e hanno un accesso diverso all’assistenza sanitaria (Clow et al, 2009). Conseguentemente, un egualitarismo astratto, che non vede le differenze, si tradurrebbe in ingiustizia, perciò è opportuno considerare il divieto di discriminazione per assicurare il pieno rispetto dei profili di uguaglianza che accomunano gli individui mediante la considerazione delle differenze emergenti dalle situazioni concrete (Dworking, 2010). Le differenze biologiche Le differenze biologiche sono numerose e rilevanti (Legato, 2009; Franconi, 2010; Franconi et al, 2011, 2011a; Franconi, Cantelli Forti, 2013), ed esse sono destinate ad aumentare col proseguire degli studi. Qui, a titolo esemplificativo, ricordiamo che le donne sono più basse e più magre rispetto all’uomo avendo più tessuto adiposo e una minore massa muscolare e un minore contenuto di acqua totale rispetto all’uomo (Marino et al, 2011), senza dimenticare che la frequenza cardiaca è maggiore nelle donne. Inoltre, le lipoproteine ad alta densità sono più alte nelle donne, mentre i globuli rossi sono più numerosi negli uomini (Legato, 2009). Si ricorda che i composti endogeni ed esogeni subiscono un diverso metabolismo nel fegato delle donne e degli uomini (Marino et al, 2011; Franconi et al, 2011a). Numerose differenze sono state riscontrate anche a livello renale (Franconi et al, 2011; Mezzina, Gallieni, 2013) ed esse possono riflettersi in una differente eliminazione dei farmaci. Infine, le donne vivono più a lungo prevalendo fra gli anziani. La più lunga aspettativa di vita delle donne sembra dipendere sia da fattori biologici che sociali; infatti, il fumo potrebbe essere responsabile in gran parte del gender gap nella longevità (McCartney et al, 2011). In particolare, il confronto con gli altri paesi europei, evidenzia che l’Italia è tra i paesi con la più alta aspettativa di vita per ambedue i generi, avendo però i peggiori risultati per quanto riguarda l’aspettativa di vita in buona salute (Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD), 2012). Ciò non dipende dalla spesa poiché la risorse investite in Italia sono simili a quella degli altri paesi con sistemi universalistici (OECD - 2012). Da notare che la maggiore longevità della donna si accompagna a una peggiore salute rispetto all’uomo (paradosso donna). Differenze di sesso-genere ed età Molte sono le differenze biologiche riscontrate nella vita prenatale e in età pediatrica (Del Principe et al, 2013). Ad esempio, le bambine alla nascita hanno più grasso sottocutaneo rispetto ai bambini e pesano meno (Bukowski et al, 2007). Le differenze che si riferiscono alla composizione corporea tendono a diminuire a sei mesi d’età, per poi diventare ben evidenti dopo la pubertà (Kirchengast, 2010). Durante la vita adulta, esse tendono a essere stabili, ma si riducono o aumentano in maniera significativa dopo gli ottanta anni (Franconi et al, 2011) e ciò può influenzare i parametri farmacocinetici in maniera sessualmente dimorfa ed età-dipendente. Le differenze osservate nella vita prenatale suggeriscono che i farmaci che attraversano la placenta possono avere effetti diversi nel feto femmina e nel feto maschio (Franconi, Cantelli Forti, 2013; Rodriguez-Cuenca et al, 2007) e tali effetti possono essere precoci e tardivi. Per esempio, la somministrazione di glucocorticoidi alla madre poco prima del parto induce nei bambini tra i 6 e gli 11 anni un’alterata risposta allo stress psicosociale e ciò è specialmente evidente nelle bambine (Alexander et al, 2012). Alcune differenze insorgono nell’adolescenza. Un esempio eclatante, per le conseguenze che ha sulla sicurezza dei trattamenti farmacologici (vedi oltre), è l’allungamento, dopo la pubertà, del tratto QT dell’elettrocardiogramma nella donna, ma non nell’uomo (Franconi et al, 2011). Infine, l’età influenza il metabolismo, la funzione renale ed epatica, il flusso d’organo, sebbene non sia ben chiarito se ciò avvenga in maniera sessualmente dimorfa. Certamente un dimorfismo sessuale sembra essere presente a livello renale poiché la perdita di funzionalità età-dipendente è più marcata negli uomini rispetto alle donne (Franconi et al, 2011). Evidentemente, le differenze di sesso-genere interessano anche l’età pediatrica e geriatrica e variano nel corso della vita, perciò appare opportuno declinare insieme età e genere. Le differenze indotte dall’ambiente Il ruolo dei fattori biologici nel controllo della salute è ben noto, meno noto è il ruolo dei fattori ambientali, eppure il 24% di tutte le malattie è dovuto proprio a cattive esposizioni ambientali ed a fattori socio-economici tanto che è stata descritta la cosiddetta status syndrome (Marmot, 2006). In particolare, al più basso stato economico e sociale sono associati l’insorgenza di malattie cardiometaboliche, essendo l’associazione particolarmente importante per le donne (Fano et al, 2012). Le donne, soprattutto in età avanzata, hanno un più basso stato economico e sociale, e ciò potrebbe comprometterne la salute. Oramai è certo che il modo di lavorare dei nostri geni è influenzato dallo stato econo- mico, dal tipo di lavoro, dagli stili di vita ecc. Infatti, i lavori manuali e il basso stato economico riducono la metilazione del DNA e quindi variano il modo di operare dei geni (McGuinness et al, 2012), anche il fumo di sigaretta riduce la metilazione del DNA e ciò avviene in maniera maggiore nelle donne rispetto agli uomini (Campesi et al, 2013). Le differenze biologiche, in effetti, possono essere modificate dal genere, perché tra sesso e genere vi sono delle interazioni complesse tanto che talvolta non è più possibile distinguere il ruolo dell’uno e dell’altro suggerendo l’opportunità di associare i due concetti (Franconi et al, 2011; Marino et al, 2011; Franconi et al, 2012; Regitz Zagrosek, 2012). In conclusione, l’epigenetica sembra chiarire i modi con cui la società modifica il nostro corpo biologico eliminando la dicotomia tra sesso e genere, facendo nello stesso tempo nascere l’esigenza di nuovi paradigmi sperimentali. Società e salute: care-giver Molti sono gli aspetti sociali che potrebbero essere citati (violenza di genere, povertà, disoccupazione, ecc.), ma oggi vogliamo soffermarci sul ruolo di cura che le donne svolgono. Il ruolo di care-giver, infatti, caratterizza la vita delle donne molto di più rispetto a quella degli uomini. Per esempio, le donne italiane si prendono molto cura degli altri (nella distribuzione del lavoro domestico non pagato mediamente il rapporto donne/uomini è di 5 a 1) (ISTAT, 2007) quindi sono produttrici di benessere e salute per gli altri (Addabbo et al, 2010), ma non per se stesse. Infatti, il ruolo di care-giver porta ad una perdita di benessere per lo stress che determina (MacDonald et al, 2005) fino a generare seri svantaggi per la salute come depressione, malattie cardiovascolari ecc. (Ministero della Salute, 2008), potendo anche modificare la risposta farmacologica (vedi la minor risposta anticorpale alle vaccinazioni, Glaser et al, 2000). Il sistema dello stress, lavora in maniera sesso e genere specifica e quindi lo stesso stimolo può indurre una risposta diversa nella donna e nell’uomo (Bangasser, Valentino, 2012) (vedi anche paragrafo successivo). Stress, un campo d’elezione nella prospettiva sesso-genere Gli stressor ambientali e di contesto hanno un ruolo fondamentale nella salute, ma non è ancora completamente noto come questo avviene. L’esposizione cronica e acuta a fattori di stress può produrre conseguenze sulla salute a lungo termine (Ganzel et al, 2010; McEwen, 1998). Gli stressor, infatti, possono avere effetti a cascata su tutti i sistemi del corpo, aumentando, ad esempio, la pressione sanguigna, disregolando la risposta immunitaria ecc. Teoricamente, i fattori di stress come ad esempio le situazioni pericolose, l’instabilità sociale, il vivere in un “quartiere pericoloso”, gli eventi dolorosi della vita ed i problemi quotidiani possono essere correlati ad un elevato carico allostatico. I fattori 3 di stress cronico o acuto sono teoricamente correlati alla scarsa salute, sia che si tratti di rischi ambientali o di ambienti caratterizzati da povertà (Stronegger et al, 2010). La letteratura che indaga le diseguaglianze di salute pone l’accento sulle differenze di genere nel processo di stress cronico: i fattori di rischio e di protezione sono fortemente connotati per sesso-genere, così come la percezione di stress e le condizioni di recupero. Quindi, ci possono essere differenze di genere nel carico allostatico e nei suoi biomarker e nell’associazione tra i vari fattori di stress, come ad esempio, l’esposizione all’alluminio (Mair et al, 2011). Il sesso-genere e sperimentazione Storicamente, le donne e gli animali di sesso femminile sono stati scarsamente arruolati negli studi (Franconi et al, 2010), per non parlare degli studi sulle cellule che spesso sono asessuate (Tabella 1), e quando lo erano, il disegno sperimentale spesso non era adatto a individuare le differenze di sesso-genere. Conseguentemente, i dati ottenuti nell’uomo sono stati applicati alla donna e ciò ha prodotto una minore appropriatezza nel genere femminile (Franconi et al, 2010) caratterizzata anche da una maggior incidenza e gravità delle reazioni avverse (ADR) (Franconi et al, 2010, Franconi et al, 2012). Qui dobbiamo chiarire che la medicina di sesso-genere non si limita alle donne, ma crea nuovi prototipi di salute anche per l’uomo, incorporando gli aspetti biologici con quelli sociali, dando valore alle differenze e alle so- 75% CELLULE XX TABELLA 1 PERCENTUALE DEGLI STUDI CHE INDICANO IL SESSO DELLE CELLULE. Dati da Shah et al, 2014. 4 CELLULE XY Chi decide di adottare un approccio di genere nella ricerca deve, quindi, affrontare numerosi problemi concettuali. L’uso dei costrutti di sesso e genere, infatti, è spesso poco chiaro data la loro complessità perciò bisogna adottare strategie di problem-solving basate sulla capacità di adattamento, sul pragmatismo, sull’assunzione del paradigma della complessità, sulla definizione operativa dei concetti e dei fattori e dei parametri a essi attribuiti (Alex et al, 2012). L’utilizzo di tipo dualistico o semplificato di sesso e genere aumenta il rischio di effetti di confondimento. Perciò è necessario chiarire l’uso dei termini “sesso” e “genere” e sviluppare modi più efficaci per concettualizzare l’interazione tra di essi, in relazione, sia agli esiti di salute in generale che alle diverse malattie (Christianson et al, 2012). La sfida attuale è, quindi, incentrata sul superamento di una mera visione dicotomica dei concetti di “sesso” e “genere”, sul come sesso e genere interagiscano con la salute, con particolare attenzione alle costruzioni sociali e le relazioni di genere, le condizioni di vita, le esperienze corporee, lo stress e i marker biologici. È opportuno evidenziare che i risultati della ricerca oltre che dipendere dal genere dell’osservato dipendono anche dal genere dell’osservatore, perché ognuno di noi pensa ed agisce in conseguenza del suo essere donna o uomo. Il proprio genere e sesso influenza la scelta dei temi della ricerca, l’interpretazione dei risultati, il farmaco da prescrivere (Zuk 2002; Lawton et al, 1997; Robinson, Wise, 2003) ecc. 20% 5% femmine non hanno considerato le varie fasi della vita della femmina, la correttezza dei fattori di normalizzazione in entrambi i generi. Recentemente, abbiamo evidenziato che le house-keeping proteins, un fattore di normalizzazione usato negli esperimenti di biologia molecolare, risultano, almeno nel ratto, essere dipendenti dal genere in maniera organo specifica (Campesi et al, 2013a). Infine sono poche le ricerche che hanno approfondito il ruolo del genere sulle differenze biologiche e viceversa; evidentemente, come suggerisce anche il Parlamento Europeo, è il momento che la medicina sesso-genere diventi interdisciplinare e intersettoriale. NON SPECIFICATO miglianze fra donna e uomo in tutte le fasce di età. In realtà, nello studio delle differenze tra maschi e femmine s’incontrano molte difficoltà culturali e metodologiche. Ciò nonostante, le ricerche sulle differenze biologiche si sono sviluppate in maniera notevole tanto che oramai sappiamo che il cuore, il rene, il polmone ecc. devono essere declinati sia al femminile che al maschile (Franconi, Cantelli Forti, 2013). Purtroppo molte delle ricerche effettuate che hanno arruolato maschi e Consumo dei farmaci e reazioni avverse Le donne sono le più grandi consumatrici di farmaci, ma la popolazione femminile è la meno studiata rispetto a quella maschile (Franconi et al, 2010), essendo lo svantaggio delle donne particolarmente presente nell’ambito delle sperimentazioni di farmaci per patologie non specificamente e tradizionalmente femminili come le malattie cardiovascolari che però sono il primo killer delle donne. A differenza di quanto avveniva in passato recente, oggi si osserva che una buona percentuale di donne è arruolata negli studi di fase 3, mentre sono poco arruolate negli studi di fase 1 e 2 (Franconi et al, 2010). Lo scarso arruolamento delle donne negli studi clinici d’intervento potrebbe essere una delle cause che determinano la maggiore frequenza e gravità delle reazioni avverse nelle donne rispetto agli uomini (Franconi et al, 2010). Nella tabella 2 riportiamo i dati della rete nazionale di farmacovigilanza relativi alle segnalazioni spontanee che evidenzia la maggior frequenza di reazioni avverse nelle donne in ogni fascia di età già a partire dal secondo anno di vita. Per quanto riguarda le classi sistemico organica, ad eccezione delle reazioni avverse a carico del sistema renale ed urinario che sono più frequenti negli uomini, una maggiore numerosità è riportata nelle donne in relazione alle altre classi sistemico organica (Franconi et al, 2012). Il maggiore numero di reazioni avverse nelle donne può essere determinato da vari fattori come le differenze biologiche che influenzano i parametri farmacocinetici che risentono delle variazioni ormonali (ciclo mestruale, gravidanza, menopausa) che caratterizzano la vita della donna ivi compreso l’uso di estrogeni e progestinici (Franconi et al, 2010) ed i target farmacologici che qui sono omessi insieme a quelli farmacocinetici perché trattati in numerosissime review (Franconi et al, 2007; Franconi et al, 2011, Franconi et al, 2011a, Franconi, Campesi, 2014). TABELLA 2 DISTRIBUZIONE SEGNALAZIONE PER SESSO ED ETÀ (ANNO 2011) Modificata da Franconi et al, 2012. Inoltre, le donne sembrano essere più vulnerabili verso alcune reazioni avverse come la sindrome del QT lungo perché la ripolarizzazione cardiaca, dopo la pubertà, è più lunga nelle donne rispetto agli uomini (Franconi et al, 2010). Numerosi farmaci (antiaritmici, anti-istamici, antipsicotici, anti-infettivi ecc) (Franconi et al, 2010) possono provocare questa aritmia. Le donne inoltre sono più vulnerabili verso l’osteoporosi e fratture da farmaci (corticosteroidi, inibitori dell’aromatasi, inibitori della pompa protonica, eparina ecc) proprio per la loro specifica vulnerabilità verso questa patologia (Mazziotti et al, 2010). Infine, essendo il rischio di sviluppare reazione avverse associato alla depressione (Franconi et al, 2010) e visto che questa patologia è prevalente nelle donne, è evidente che la depressione rappresenta un rischio maggiore di ADR per le donne rispetto ai maschi (Franconi et al, 2010). Aderenza alle cure Nonostante le differenze riscontrate nei parametri farmacocinetici, la dose raccomandata è ancora calcolata per un uomo adulto di 70 Kg il che può produrre livelli plasmatici più alti nelle donne. A questo proposito, l’anno scorso la Food and Drug Administration ha evidenziato che lo zolpidem, un ipnotico sul mercato da più di 20 anni, deve essere somministrato con un dosaggio inferiore nelle donne rispetto all’uomo (Kuehn, 2013). Un elemento importante nella risposta alla terapia è l’aderenza. Sebbene siano ancora relativamente pochi gli studi che indagano questo aspetto dal punto di vista del sesso- genere, emerge che essa possa essere sessualmente dimorfa. Infatti, l’aderenza alla terapia dopo infarto del miocardio, in corso di ipertensione arteriosa e di scompenso, è maggiore negli uomini rispetto alle donne (Journath et al, 2010; Kirchmayer et al, 2012). Secondo Mazzaglia e collaboratori (2009), ciò potrebbe dipendere dal fatto che le donne prevalgono fra gli anziani e gli anziani possono avere disturbi cognitivi che possono ridurre l’aderenza (Journath et al, 2010). Il maggior numero di reazioni avverse nelle donne può anche dipendere dal fatto che le donne consumano più farmaci e prevalgono tra gli anziani, essendo anche più soggette alla politerapia. Fra l’altro, l’invecchiamento produce una serie di cambiamenti corporei che portano ad una maggiore diminuzione del profilo di tollerabilità nelle donne rispetto ai maschi. Infine, i disturbi cognitivi aumentano il rischio di errori da parte del paziente (Franconi et al, 2010) specialmente se femmina e se fa politerapia (Fiss et al, 2013). Le differenze potrebbero anche dipendere dai diversi comportamenti che le donne e gli uomini hanno verso la salute e i farmaci. Per esempio, le donne valutano in maniera più negativa i farmaci rispetto agli uomini (Pound et al, 2005; Horne, 2004). Ciò potrebbe dipendere dal fatto che gli eventi avversi sono più frequenti e severi nelle donne (Franconi et al, 2011) che negli uomini; l’esperienza di un effetto avverso, infatti, si associa con la sospensione della terapia (Sabaté, 2003; Pound et al, 2005). FASCIA DI ETÀ Uomini Donne Totale MENO DI 1 MESE 9 4 13 DA 1 MESE A MENO DI 2 ANNI 654 570 1.224 DA 2 A 11 ANNI 621 1.793 2.414 DA 12 A 17 ANNI 194 562 756 DA 18 A 64 ANNI 3.752 5.459 9.211 DA 65 ANNI 3.646 4.206 7.852 8.876 12.594 21.470 TOTALE 5 Tuttavia altri dati suggeriscono che le donne e gli uomini anziani e ipertesi non differiscono per quanto riguarda l’aderenza (Holt et al, 2013). Anche in un campo del tutto diverso come la terapia dell’HIV si evidenziano delle differenze anche se con meno chiarezza. Infatti, alcuni studi dove la percentuale di donne arruolate era molto bassa non evidenziano differenze (Carrieri et al, 2003; Golin et al, 2002), mentre altri con un numero maggiore di donne rivelano che le donne sono meno aderenti degli uomini (Arnsten, 2002; Delgado et al, 2003). L’aderenza nei pazienti con HIV dipende anche dal tipo di tossicodipendenza eventualmente associata con la malattia infettiva essendo l’aderenza particolarmente bassa nelle donne alcoliste e in quelle che fanno uso di oppiodi, mentre negli uomini, la bassa aderenza si associa all’uso di crack o di cocaina ed alla non partecipazione ai gruppi di supporto (Berg, 2004). Infine, ricordiamo che le cause che portano ad una bassa aderenza possono essere diverse nei due generi. Ad esempio, gli uomini dimenticano più facilmente di assumere il farmaco e sbagliano maggiormente il dosaggio, mentre nelle donne, la scarsa aderenza dipende principalmente dall’insorgenza di eventi avversi (Thunander Sundbom, Bingefors, 2012) e dal loro ruolo di care-giver che le porta a trascurare la propria salute (Rolnick et al, 2013). Tali differenze sono presenti anche dopo il controllo di numerose variabili come l’età (Thunander Sundbom, Bingefors, 2012). Inoltre, negli uomini una bassa aderenza è associata con una ridotta funzione sessuale e con la massa corporea, mentre, nelle donne, la bassa aderenza si associa a difficoltà di comunicazione con il care-provider e alla depressione (Holt et al, 2013). Pensieri di Cicogne 6 Questi dati suggeriscono fortemente che l’aderenza alla terapia possa essere influenzata dal genere, pertanto appare opportuno avviare studi specifici in maniera da poter programmare counseling genere specifici. Conclusioni Appare evidente che in tutto il processo di drug discovery e development è tempo di studiare i farmaci nei due generi. Inoltre è chiaro che gli studi di genere richiedono nuovi paradigmi sperimentali che, insieme alle differenze biologiche, considerino l’impatto dei fattori sociali sulla risposta farmacologica, le varie fasi della vita della donna e l’uso di ormoni esogeni. Studi così fatti potrebbero ridurre “the time for translation of research results into daily clinical practice” e aumentare il profilo di tollerabilità dei trattamenti farmacologici. In futuro, sarà opportuno valutare come il genere dello sperimentatore o del clinico impatta sui risultati sperimentali. Un recentissimo articolo apparso su Nature Methods evidenzia come lo sperimentatore di sesso maschile, ma non quello di sesso femminile, inducendo un’analgesia da stress, inibisce la risposta dolorosa nei topi e nei ratti maschi e femmine (Sorge, 2014), indicando chiaramente che il sesso dello sperimentatore impatta sui risultati degli esperimenti. SONO PIÙ BELLI I MASCHI SONO PIÙ BELLE LE FEMMINE BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE 1. Addabbo T, Caiumi A, Maccagnan A. Unpaid Work, Well-Being and the Allocation of Time in Contemporary Italy’, In Addabbo T, Arrizabalaga MP, Borderias C, Owens A. editors Gender Inequalities, Households and the Production of Well-Being in Modern Europe- Gender and Well-being’ Ashgate, Aldershot, UK and Burlington VT (USA) 2010 2. Alex L, Fjellman Wiklund A, Lundman B et al. Beyond a dichotomous view of the concepts of “sex” and “gender” focus group discussions among gender researchers at a medical faculty. PloSOne2012; 7: e50275 3. 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