MESSAGGERO VENETO – mercoledì 2 aprile 2014 Indice

MESSAGGERO VENETO – mercoledì 2 aprile 2014
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata esclusivamente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal
sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
Indice articoli
REGIONE (pag. 2)
Autovie-Fvg Strade, dipendenti “condivisi”
Il governo del Fvg sia basato sulle città
Nuovo Senato e Specialità, Serracchiani punta i piedi
Dalla Cisl ultimatum sulle riforme
Contratto integrativo Bcc, la trattativa è ripartita>
Alla Caffaro un impianto da 40 milioni
UDINE (pag. 8)
«Ospedale, niente tagli indiscriminati»
PORDENONE (pag. 9)
Ventotto giorni per salvare Electrolux
Ideal Standard, Unindustria in “missione” al ministero
Domino per ora in mano a Omd-Carton
REGIONE
Autovie-Fvg Strade, dipendenti “condivisi”
LATISANA Autovie Venete e Fvg Strade condivideranno il personale. Una sorta di scambio (e
conseguenti possibili spostamenti di dipendenti tra le due società), così come previsto dai contratti. E’
una delle novità emerse in un incontro, svoltosi ieri mattina al casello di Latisana, tra i vertici delle due
controllate dalla Regione. E’ un invito formulato dalla presidente Serracchiani fin da quando è stata
nominata Commissario straordinario per l’emergenza in A4 e raccolto dall’amministratore delegato di
Autovie Venete Maurizio Castagna e dal presidente di Fvg Strade Roberto Paviotti: la collaborazione
concreta che si traduce in condivisione di servizi e integrazione di competenze. E proprio di questo si è
parlato durante la riunione operativa coordinata dall’assessore ai trasporti e vice commissario per la
terza corsia Mariagrazia Santoro. Una presenza non di rito, quella dell’assessore, ma operativa,
all’insegna del «si può fare se si vuole» ha sottolineato, esprimendo la soddisfazione per una giornata
che le ha permesso di verificare sul campo l’elevato livello tecnologico di Autovie Venete, la passione
di chi ci lavora – dai vertici ai progettisti, ai tecnici – ma soprattutto la disponibilità a mettere insieme
esperienza e know how. «Una disponibilità che non è scontata – ha detto – né ancora molto diffusa, ma
che deve diventare usuale perché è finito il tempo del “non si può” o del “si è sempre fatto così”». Due
gli ambiti che per primi potrebbero essere interessati dalla sinergia: la gestione della viabilità e il
catasto strade, una banca dati preziosa per quanto riguarda gli interventi di manutenzione. Tutti gli
aspetti, tecnici e normativi, sono stati approfonditi durante l’incontro al quale hanno partecipato i
vertici delle due società: il presidente Emilio Terpin l’Ad Castagna, il direttore operativo Razzini, il
direttore realizzazioni Pavan, il direttore operativo Sartelli, il responsabile servizi informativi Tuniz, il
responsabile protezione ambientale e manutenzioni Rotilio per Autovie Venete, il responsabile viabilità
e traffico Cante; il presidente Paviotti affiancato dalla dirigente Castellotti, dai funzionari Macuglia e
Blasone per Fvg Strade. Le sinergie fra le due società, potrebbero svilupparsi sia nell’ambito di attività
ordinarie, sia in quello di attività “commissariale”. Nel secondo caso, visto che «il Commissario
delegato è stazione appaltante che si avvale del supporto tecnico, operativo e logistico di Autovie e di
Fvg Strade», ha spiegato il direttore dell’area personale e organizzazione di Autovie Aldo Berti
«entrambe le società potrebbero utilizzare il contratto di somministrazione di personale (lavoratori
interinali) sottoscritto dal Commissario, così come potrebbero utilizzare in modo condiviso le risorse
umane per attività quali espropri, direzioni lavoro, gare. Diversamente, alcune attività ordinarie
potrebbero essere usate in modo sinergico attraverso il “Contratto di rete”, di recente introduzione nel
nostro ordinamento». Molteplici i settori di intervento comuni alle due società: dall’infomobilità alla
gestione dei mezzi invernali, dalla geolocalizzazione dei mezzi alla gestione di criticità, dai trasporti
eccezionali alla progettazione e direzione lavori. I primi due progetti sui quali potrebbe essere attivata
la sinergia sono “Info-enti” e il catasto strade. Indispensabile per gestire in modo razionale la viabilità
esterna all’autostrada in caso di criticità, “Info-enti” è una sorta di banca dati che permette di
raccogliere e redistribuire le informazioni in tempo reale attraverso canali che raggiungono target
diversificati: dalla polizia municipale dei comuni coinvolti agli operatori di Fvg strade in servizio sul
tratto interessato, dalla protezione civile ai tecnici dei servizi da ripristinare. In questo modo, nel
momento stesso in cui accade un evento, automaticamente si attiva la rete di intervento, riducendo i
tempi di soluzione e migliorando l’efficienza. Altrettanto importante il catasto strade richiesto dal
Codice della strada a tutti gli enti gestori di strade. Quello di Autovie, che potrebbe servire da modello
a Fvg Strade, è gestito attraverso il Gis (Geographic information system), un sistema computerizzato
che consente di acquisire, registrare, analizzare e visualizzare dati geografici integrandoli con una
miriade di ulteriori informazioni.
Il governo del Fvg sia basato sulle città
di SANDRO FABBRO Con un disegno di legge appena approvato al Senato (e prossimamente alla
Camera) nasceranno, nelle Regioni ordinarie, 10 città metropolitane a cui andranno ad aggiungersi
quelle delle Regioni speciali. Purtroppo arrivano tardi. Era tardiva già la loro istituzione nel 1990.
Oggi, in presenza di soli tre grandi “sistemi metropolitani” dalle dimensioni ormai trans-regionali, non
si sa bene a cosa debbano servire. Regioni, Province (in futuro enti di secondo grado) e Comuni ed ora
anche le città metropolitane: mai tanta abbondanza amministrativa e così poco vero governo strategico
del territorio. Le grandi città italiane sono le meno competitive a livello europeo
(http://labs.lsecities.net/eumm/home/); città e centri medi e minori scavalcano ormai ogni confine
amministrativo comunale (e spesso provinciale) ma la loro performance non migliora, anzi, stanno
perdendo anche quei vantaggi strutturali che ne avevano alimentato il successo nell’economia locale
post-fordista; le aree montane e pedemontane mostrano un degrado ed un abbandono sempre più
accentuati; nonostante la perdurante e grave crisi edilizia ed immobiliare, continua il consumo di suolo
(70 ettari al giorno dai dati Ispra 2013); rilevanti, diffusi e sempre più disastrosi sono i fenomeni di
dissesto idrogeologico. Le pianificazioni comunali, provinciali e regionali sono spesso “incompiute” e
frammentarie se non evasive o illusorie. Comunque non più attuali rispetto allo stato dei fenomeni
territoriali in atto. Dulcis in fundo, dovremmo anche chiederci se, per riaccendere i motori spenti di un
Paese fermo, servano veramente non solo 105 Province ma anche 20 Regioni, 8 mila 300 Comuni, 24
Autorità portuali nazionali, decine e centinaia di enti regionali e locali che gestiscono porti e aeroporti,
interporti, autoporti, zone industriali, distretti produttivi. Anche lo Stato ha le sue gravi responsabilità
sia chiaro: manca, da decenni, una vera riforma del governo del territorio, manca un piano di
protezione dai dissesti idrogeologici, mancano politiche nazionali - urbane, territoriali e dei trasporti all’altezza di un Paese con una rete fitta di città dove ormai vive l’80 per cento della popolazione e con
una geografia che ne fa la naturale piattaforma mediterranea d’Europa. Per ripartire non possiamo non
investire sulle città. E, prioritariamente, sulle città che stanno sulla rete dei corridoi europei “Core
network” perché è qui che gli interventi possono avere il più alto impatto economico. La regione Friuli
Venezia Giulia e anche Udine sono sulla rete “Core network” ma pochi lo sanno, pochissimi ne
parlano, quasi nessuno fa programmi all’altezza della sfida (si veda il libro appena pubblicato, a cura di
Fabbro e Maresca, “FVG-Europa: Ultima Chiamata”). Il Ministero delle Infrastrutture e trasporti, a
metà anni 2000, aveva previsto 16 “piattaforme territoriali strategiche” tra le quali vi era ricompreso
anche il Fvg. Quel quadro era condivisibile ma quelle “piattaforme strategiche”, dieci anni dopo, sono
ancora sulla carta. Non sono poi mai state effettivamente progettate ed ancor meno realizzate e la legge
Obiettivo del 2001, che programmava le opere strategiche, è, si e no, al 13 per cento della sua
attuazione (Rapporto Camera dei Deputati del 2014). Oggi, quella visione del territorio italiano è
superata e va ripensata radicalmente: pochi interventi prioritari, più Nord-Sud e meno Est-Ovest; più
meso e meno macro; più governance territoriali ampie e meno collusioni tra centralismo burocratico e
localismi inefficienti; più economie reali e diritti di cittadinanza (con sanità, trasporto locale, scuola,
sicurezza) e meno rendita speculativa e di posizione. La nuova programmazione italiana ed europea
impone una sorta di “Ultima chiamata”. Le città sono anche i luoghi dell’innovazione. Ma quale
innovazione? E quali città? E cos’è città oggi in una regione piccola come il Fvg? I comuni così come
sono oggi? Che innovazione possono mai generare piccoli centri e cittadine contrapposti l’una all’altro,
poco efficienti e competitivi? Associando i comuni (non abolendoli), si potrebbero costruire, in Fvg,
pochi efficienti cluster di centri urbani, cittadine e territorio rurale. Dando loro un progetto ed una
missione ed investendo sui loro punti nodali, questi cluster potrebbero aspirare a diventare anche
internazionalmente competitivi. Diciamo, dieci-dodici cluster con circa 100mila abitanti in media
ciascuno. In questi cluster urbani, si dovrebbe favorire la rigenerazione di nuove economie di base:
manifattura, turismo, trasporti, sanità, università, logistica, energia sostenibile, tempo libero,
agribusiness purché integrati nelle filiere produttive internazionali. Piani territoriali, programmi,
decisionalità strategica, investimenti per soli 10 cluster. Quale semplificazione e quali effetti
moltiplicatori sul territorio regionale!. Meno burocrazia e più certezze per gli investitori globali
interessati ad intervenire sulle infrastrutture fisiche ma anche nei settori “pensanti” e della ricerca
tecnologica, nei settori dell’energia e della mobilità sostenibile (purché si superi l’approccio di
settorialità tecnologica delle onnipresenti “smart cities”). E, perché no, anche sui settori “labour
intensive” dei servizi, della valorizzazione dei patrimoni storici, culturali, ambientali e della messa in
sicurezza del territorio. Sono begli obiettivi. Ambiziosi! Ma siamo capaci, in una piccola regione, di
andare oltre i 200 Comuni, le 4 Province, le altre decine di enti territoriali esistenti? Fino ad ora il
dibattito si è concentrato sul togliere (in particolare, le Province). Togliere (ammesso che ci si riesca) è
certamente necessario ma non sufficiente. Dobbiamo anche ricostruire nuove e più ampie cooperazioni
ed aggregazioni territoriali capaci di intercettare iniziative che scendono dal centro e spinte che salgono
dal basso. E’ inutile continuare a spendere in progetti dispersivi e su tematiche evanescenti: il localismo
virtuoso degli anni settanta-ottanta è finito. Una proposta è dunque questa: che le agende strategiche ed
i programmi, nazionali e regionali, per impiegare i fondi della programmazione europea 2014-2020,
promuovano e premino quei soggetti capaci di associare governance sovracomunali e multilivello
credibili e stabili e di proporre ampi “Progetti di Territorio”. Questi “Progetti di Territorio” dovrebbero
essere i driver di un agenda strategica regionale ispirata alla competitività ed alla coesione territoriale:
un Progetto di Territorio per ciascuno dei 10 cluster urbani di cui si è detto. In Fvg cambierebbe
radicalmente il modo di fare politiche e programmazione del territorio: una regione più coesa e
compatta, articolata solo in dieci grandi sottosistemi territoriali, potrebbe cominciare a confrontarsi,
alla pari, con realtà metropolitane vicine e con territori più efficienti oltre confine. Altrimenti anche la
nuova programmazione europea 2014-2020 si trasformerà in una ennesima illusione.
Nuovo Senato e Specialità, Serracchiani punta i piedi
di Anna Buttazzoni UDINE Un grido nella notte “Alt!” e il governo si ferma. Con un blitz notturno
spunta l’avverbio che fa cambiare rotta all’esecutivo. Il merito è dei parlamentari delle minoranze
linguistiche, di Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, che hanno minacciato di togliere il sostegno al
governo se quell’articolo non fosse stato modificato. Devono essere stati piuttosto convincenti perché il
“non” è comparso – come riportato in tabella. La questione è la riforma del Senato e del Titolo V della
Costituzione, riordino approvato lunedì dall’esecutivo e che passerà al voto delle Camere. Il governo si
ritira convinto che la legge costituzionale si applichi anche alle Regioni Speciali, e quindi anche al Fvg,
e alle Province autonome di Trento e Bolzano. Niente da fare. I parlamentari delle minoranze
linguistiche si mettono di traverso e al mattino il testo è modificato. La legge non si applica alle
Speciali, ma il fatto che il governo ci abbia provato è più di un campanello d’allarme. Tanto che oggi il
Consiglio regionale, come gli altri 20 Consigli regionali d’Italia, approverà una mozione a difesa del
regionalismo. Ieri i capigruppo di centrosinistra e centrodestra ne hanno discusso in Commissione –
presieduta da Vincenzo Martines (Pd) – e con la difesa della Specialità è spuntata anche la richiesta
forte alla presidente Debora Serracchiani di scegliere la battaglia per la tutela dell’Autonomia e non la
difesa del governo, come imporrebbe il suo ruolo di vice segretaria del Pd. Un nodo sollevato dal
centrodestra, ma anche da Sel, partito che si trova nella scomoda posizione d’essere forza
d’opposizione a Roma e di maggioranza in Fvg. Serracchiani oggi sarà in Aula e annusa il clima.
«L’articolo 33 del ddl (quello con il “non”) ha stabilito un punto fermo importante per le Regioni a
statuto speciale e per le Province autonome – fa sapere la presidente –, ma resta del lavoro da fare. Il
testo è ancora lontano dalle indicazioni concordate con le assemblee legislative e fatte proprie dalla
Conferenza delle Regioni. Dunque lavoreremo per emendarlo e migliorarlo, per dare alle istanze
territoriali le risposte che sono attese e dovute. È chiaro che non si possono fare passi indietro rispetto
alla prima versione della riforma, anche perché sarebbe incomprensibile – conclude Serracchiani – se
una riforma di razionalizzazione avesse l’aspetto e la sostanza di una nuova centralizzazione». Sel
richiama la presidente. «Da lei ci aspettiamo una difesa intransigente del regionalismo e della
Specialità – afferma il capogruppo vendoliano in Consiglio regionale Giulio Lauri –, anche se ciò
dovesse comportare differenziazioni di posizioni rispetto al governo». «Serracchiani dovrà fare delle
scelte – aggiunge il consigliere regionale di Sel Stefano Pustetto – e saranno vincolanti. Non ci sono vie
di mezzo rispetto alla difesa della Specialità e su ciò che farà verrà giudicata». Il centro della
discussione in Commissione diventano le difficoltà del doppio ruolo di Serracchiani, evidenziate dai
più, dal M5S a Fratelli d’Italia (Luca Ciriani), anche con toni duri. «Come facciamo a impegnare la
presidente – pungola il capogruppo di Fi Riccardo Riccardi – se lei deve difendere il governo? Meglio
impegnare il presidente del Consiglio». Prova a mettere ordine Cristiano Shaurli, capogruppo del Pd.
«Forse si sta facendo un errore. Con altre 20 Regioni comprese le Province autonome di Trento e
Bolzano, siamo chiamati ad approvare una mozione su federalismo e regionalismo. Invece di
concentrarci sul doppio ruolo di Serracchiani, che per me è portatore di garanzie e di forza non di
preoccupazioni – afferma Shaurli –, dovremmo concentrarci sul tema vero, il percorso per evitare
derive neo-centraliste. Saremo tanto più forti se, invece di discutere di problemi di partito o di divertirci
in critiche personali, usciremo dal Consiglio con una presa di posizione unitaria che rivendichi la
Specialità e un Paese basato su regionalismo e sussidiarietà istituzionale». Chissà se il suo appello sarà
ascolatato.
Dalla Cisl ultimatum sulle riforme
UDINE E’ finito il tempo dell’attendismo, le riforme vanno fatte fino in fondo e non a metà. E’ un aut
aut che pesa quello che l’esecutivo regionale della Cisl rivolge alla giunta Serracchiani. «Sono finiti i
tempi dell’ordinario – ammoniscono i vertici del sindacato, sentite tutte le categorie – è giunto il
momento della concretezza, a partire dalla sanità. Mentre si continua a discutere di contenitori, aziende,
offerta ospedaliera e sul territorio molte partite - spiega in sostanza il segretario Giovanni Fania – sono
ancora al palo, mentre potrebbero essere avviate senza difficoltà, dando il la a quei processi di
risparmio e razionalizzazione tanto necessari». Cisl preme per l’unificazione del 118, il riordino
dell’area materno-infantile sulla base dei dati-nascita già raccolti, i piani della prevenzione e
sull’oncologia. «L’impressione – commenta il segretario della Cisl – è che su molte questioni ci si stia
ingiustificatamente attardando, perdendo tempo prezioso». Stesso pressing anche sulla gestione delle
crisi. «Attendiamo ancora – esorta Fania – la convocazione dei tavoli di crisi per affrontare non solo le
emergenze in corso, ma anche possibili piani di sviluppo e crescita per la nostra regione. Tavoli che
devono vedere seduti sindacati e politici, e non essere demandati ai tecnici». Di qui anche la necessità
di avviare una riflessione sulla riorganizzazione degli stessi assessorati: «Non basta affidare un ruolo
tecnico: ci vogliano politiche industriali che facciano riferimento ad un assessorato specifico». Così
come serve, a giudizio della Cisl, la conferma degli ammortizzatori sociali in deroga, anche per il
secondo semestre del 2014. Mai come quest’anno poi l’assestamento di bilancio sarà determinante per
gli sviluppi della spesa regionale: la Cisl chiede quindi un confronto a stretto giro sulle variazioni di
bilancio.
Contratto integrativo Bcc, la trattativa è ripartita
UDINE Un confronto di una decina di ore, tra una pausa e qualche sospensione. Ma alla fine della
lunga giornata di colloqui, sindacati dei bancari e Federazione delle Bcc sono tornati a parlarsi, dopo la
“crisi” nei rapporti che ha portato a due giorni di sciopero (il 3 e il 17 marzo) in seguito alla disdetta del
vecchio contratto integrativo. Sarà un tira e molla ancora piuttosto lungo e, forse, travagliato: almeno
questa è la sensazione. Però tra i sindacalisti si respira un cauto ottimismo, anche perchè le parti si
rivedranno già giovedì pomeriggio per un secondo round. «Abbiamo ripreso il filo del dialogo sottolinea il segretario generale della Fiba Cisl Roberto De Marchi che era presente al tavolo - e non era
affatto scontato. I vertici della Federazione delle Bcc hanno riconosciuto che i due giorni di sciopero
hanno avuto effetto, sono stati un successo e i dipendenti (sono circa 1.500 in 15 diversi istituti bancari,
ndr) condividono la nostra battaglia. Ci sono state proposte alcune aperture, su temi normativi ed
economici, che ci sono parse interessanti e che abbiamo apprezzato. Anche noi abbiamo ridisegnato la
nostra piattaforma, mitigandola in alcune parti, venendo incontro alle richieste della Federazione». La
trattativa per raggiungere un accordo, dopo mesi di tensioni, non sarà comunque breve. «Ci siamo dati
appuntamento giovedì - dice ancora De Marchi - per continuare la verifica del percorso avviato. I tempi
non saranno rapidi, alcune cose devono ancora maturare. Diciamo che l’avvio ha dato speranze, adesso
bisogna proseguire su questa strada». Sono due, sempre secondo il sindacato, gli ostacoli ancora sul
terreno: «Dobbiamo definire - conclude il segretario della Fiba - l’inquadramento del personale nelle
filiali e un po’ di dettagli della partita economica, che la Federazione vuole contenere al massimo. Ma
stiamo lavorando anche su questo». (m.ce.)
Alla Caffaro un impianto da 40 milioni
TORVISCOSA Entro giugno 2015 il polo chimico di Torviscosa potrà contare su un impianto a cloro
soda nuovo di zecca. Attraverso la sua controllata, Halo Industry, Caffaro finanziaria - leader nazionale
nel settore della chimica - è infatti pronta a dare il “la” ai lavori per la realizzazione dell’atteso
impianto. Altamente tecnologico, efficiente sotto il profilo energetico ed ecocompatibile, andrà di fatto
a sostituire il precedente, a mercurio, sequestrato nel 2008. Costo dell’operazione: 40 milioni di euro.
Tempo di realizzazione, poco più di un anno. Superficie occupata: 20 mila metri quadrati. Produzione a
regime: 40 mila tonnellate di cloro, 44 mila di soda caustica e 13 milioni di metri cubi di idrogeno
l’anno. Ma quel che più conta della notizia annunciata ieri dall’Ad della capogruppo Caffaro industrie
Francesco Bertolini, è il ritorno dell’investimento in prospettiva. Per il gruppo ovviamente che, chiuso
il fatturato 2013 con 185 milioni di euro, punta quest’anno a sfondare il tetto dei 200 milioni e a
diventare il principale riferimento nazionale del settore. Ma anche per le imprese che lavorano in
ambito chimico e farmaceutico e che saranno attratte in zona dal nuovo impianto, considerato il divieto
di trasporto su gomma del cloro, pronto a scattare nei prossimi anni. Piazzarsi a un passo da un
impianto produttivo sarà allora fondamentale e significherà, per Torviscosa e il Friuli, nuovi posti di
lavoro. La tentazione di fare la conta è forte, ma vi resistono sia i vertici di Caffaro, che al momento
non si sbilanciano su ipotetici ritorni occupazionali, sia il sindacato, che pure non nasconde le attese.
Tutte positive. Come positive sono le due novità annunciate dall’Ad ieri. Da un lato le commesse con
Basf, Solvay, Clariant e Cheminova, che nel prossimo triennio varranno a Caffaro industrie, per lo
sviluppo e la produzione di molecole ad alto valore aggiunto, 50 milioni di euro. Dall’altro l’avvio,
segnato dall’acquisto delle celle elettrolitiche a membrana, della realizzazione del nuovo impianto a
cloro soda nel sito di Torviscosa da parte di Halo Industry (società partecipata da Friulia e da Spin del
gruppo Bracco). «Abbiamo ottenuto queste prestigiose commesse grazie alla nostra elevata
specializzazione nella chimica fine di fascia alta», spiega Bertolini che si attende «ottimi riscontri
anche dall’iniziativa di Halo Industry, che rilancerà ulteriormente il polo chimico di Torviscosa a
livello europeo». Come detto, l’iniziativa mira a consolidare le attività produttive della zona e a
favorire l’insediamento di nuove aziende nelle aree circostanti, determinando un sensibile aumento
occupazionale. Parola dell’Ad: «Il nuovo impianto eliminerà il rischio connesso al trasporto di cloro su
strada ed essendo ubicato in un’area di oltre 1 milione di mq consentirà l’accoglienza in loco di nuove
realtà, sopperendo alle esigenze di approvvigionamento da parte delle aziende utilizzatrici all’interno
dello storico polo chimico di Torviscosa, che tornerà a essere il punto strategico di tutta Europa». La
notizia è stata accolta positivamente anche da Andrea Modotto (Cgil) e Augusto Salvador (Cisl) oggi
alle prese con circa 60 dipendenti Caffaro che a fine giugno vedranno esaurirsi l’ennesimo periodo di
cassa integrazione in deroga e con tutta probabilità passeranno alla mobilità. Lunga, ancora per questo
2014, fino a un massimo di tre anni. Periodo che potrebbe essere sufficiente per vedersi schiudere,
sull’onda dell’effetto attrazione atteso dall’impianto a cloro soda, possibilità di ricollocazione. Maura
Delle Case
UDINE
«Ospedale, niente tagli indiscriminati»
GEMONA Sull’ospedale San Michele, come su tutti gli altri presidi sanitari regionali, non sarà
applicata la politica dei “tagli lineari”, ma si terrà in considerazione la qualità e gli standard dei servizi
offerti. Ad assicurarlo, dopo l’incontro di lunedì tra i candidati sindaci, i consiglieri regionali eletti nel
Gemonese e la direzione generale dell'Ass3, è l'assessore regionale alla sanità Maria Sandra Telesca.
L'assessore ricorda come sia responsabilità collettiva della giunta Serracchiani e specifica del suo
assessorato organizzare servizi sanitari che garantiscano, in tutto il Friuli Venezia Giulia, la sicurezza e
la qualità delle cure, oltre che un’equa e ottimale distribuzione sul territorio delle risorse finanziarie,
ormai veramente scarse. «Le linee per la gestione del Servizio sanitario regionale 2014 - dice Telesca rappresentano un primo passo in tale direzione. Il metodo applicato per un’ottimale distribuzione delle
risorse è quello dei “costi standard”, che consente di garantire i livelli essenziali di assistenza (i
cosiddetti Lea) evitando la politica dei tagli lineari. Le Linee 2014 hanno dato mandato al direttore
generale dell’Ass3, come a tutti i direttori generali delle Aziende sanitarie della regione, di migliorare
l’efficacia e l’efficienza della gestione senza, però, ridurre i servizi al cittadino. Per ogni livello di
assistenza è stato così determinato uno standard di riferimento, identificato con la migliore performance
dell’anno 2012 o 2013 fatta registrare da una delle Aziende sanitarie del Fvg». In base a tali indirizzi,
dunque, la prossima riforma sanitaria partirà da un’analisi attenta sull’utilizzo e la finalizzazione di
mezzi, risorse e strutture, un compito indispensabile prima dell’avvio di questa riforma che
l’assessorato ha assegnato prioritariamente agli uffici della Direzione regionale della salute,
integrazione sociosanitaria, politiche sociali e famiglia. Da ciò l'impegno nel garantire la sicurezza di
tutte le prestazioni sanitarie e anche la giusta attenzione per ogni territorio da parte dell'assessore
Telesca, che assicura anche sul suo ruolo di "tecnico". «Le mie “origini” di assessore tecnico - fa sapere
- di certo non influiscono sull’impostazione del percorso di riforma, delle responsabilità istituzionali e
del mio “rendere conto” alla collettività regionale, in ogni loro articolazione territoriale. Siamo
perfettamente consapevoli che della qualità della riforma sanitaria risponderemo ai cittadinicontribuenti, non certo al livello politico». Piero Cargnelutti
PORDENONE
Ventotto giorni per salvare Electrolux
di Elena Del Giudice Un centinaio di ore di sciopero già in archivio, altre otto per il 7 aprile, non
dimenticando quelle del modulo a scacchiera in corso pure questa settimana. I lavoratori
dell’Electrolux stanno pagando anche in termini di salario la dura battaglia contro l’ipotesi di
delocalizzazione di alcune produzioni e riorganizzazione al ribasso della multinazionale. Sapendo che
il momento della verità si avvicina. Mancano solo 28 giorni alla scadenza di fine aprile indicata dagli
svedesi come termine per l’investigazione, procedura che - in passato - si è sempre conclusa con la
conferma del presupposto: si avvia l’investigazione sulla competitività, la procedura conferma
l’assunto, e quindi si chiude, si trasferisce, si delocalizza... E mentre l’orologio scandisce
inesorabilmente il suo tic-tac, siamo ancora alle battute iniziali di una trattativa che non sarà nè facile
nè agevole chiudere in positivo. Ieri nuova mobilitazione a Porcia, con assemblea per i lavoratori del
turno del mattino, quelli del pomeridiano l’hanno fatta lunedì sera, per fare il punto sulla situazione e
sulle iniziative, e condividere il programma del 7 aprile, quando pullman carichi di operai partiranno
alle 6 del mattino per recarsi a Roma a manifestare (fino alle 20, perchè poi le corriere ripartiranno per
riportare a casa i partecipanti) e - si spera - assistere alle battute iniziali del confronto al ministero dello
Sviluppo economico tra azienda, sindacati e istituzioni. Un’iniziativa, quella dello sciopero di lunedì
con relativa manifestazione nella capitale, non condivisa con il medesimo trasporto da tutte le
organizzazioni sindacali. Determinate Fim e Fiom, più tiepida la Uilm. Per le prime due, servirà per
fare pressing sui ministri e sull’azienda; per la Uilm è un sacrificio non necessario in questa fase, dato
che difficilmente l’incontro del 7 sarà in grado di produrre un accordo. Oppure no... Oppure l’intesa
sarà possibile? Manca una settimana e in quest’arco di tempo molte cose potrebbero accadere. Anche
uno sprazzo di chiarezza nei termini della questione, se è vero che le disponibilità economiche oggi sul
piatto non bastano a colmare il divario con le richieste dell’azienda. A meno che Electrolux non le
riveda al ribasso. E poi la decontribuzione, a quanto ammonta? Quali sono i criteri di ammissione al
beneficio? Questioni cruciali alle quali l’incontro di lunedì dovrebbe iniziare a dare risposte,
consentendo di misurare la fattibilità di un’intesa che oggi appare, francamente, difficile. Anche tenuto
conto delle richieste dei sindacati che chiedono modifiche sostanziali ai piani presentati, prospettive di
lungo periodo per tutti gli stabilimenti e impegno a non intervenire, al ribasso, sui salari.
Ideal Standard, Unindustria in “missione” al ministero
“La” soluzione all’orizzonte ancora non c’è, ma la buona volontà di ricercarla bussando anche alle
porte dei ministeri, quella sì. La vertenza è quella di Ideal Standard, che corre in parallelo con
Electrolux, accomunate da una medesima scadenza, quella del 30 aprile. In quella data arriveranno al
termine i tre mesi di cassa integrazione in deroga che rappresentano, oggi, il “paracadute” sociale per i
450 dipendenti dello stabilimento di Orcenico. O prima di quella data si verificano le condizioni per
chiedere altri tre mesi di ammortizzatore, oppure dal primo maggio i 450 saranno collocati in mobilità.
Tempistica e rischi presenti nel pensieri di Unindustria Pordenone che da tempo, e sottotraccia,
starebbe lavorando ad un’ipotesi di soluzione per lo stabilimento di Zoppola. Di questo ha parlato il
presidente degli industriali, Michelangelo Agrusti, con il ministro del Lavoro Guido Poletti, a Bari nel
corso della convention di Confindustria, e sempre di questo ne ha discusso ieri, insieme al direttore
Paolo Candotti, al senatore del Pd Lodovico Sonego, al sottosegretario Claudio De Vincenti e il
direttore del Mise Gianpiero Castano. Dell’incontro romano ne ha parlato la stessa Unindustria
confermando che «è servito a fare il punto della situazione attuale e prefigurare gli scenari possibili per
trovare una soluzione capace di dare un futuro allo stabilimento di Orcenico anche dopo il termine della
cassa in deroga». Oltre la stringata nota l’associazione degli industriali non va, ma è intuibile che dietro
questa “mossa” ci sia qualcosa di più che l’andare a ricordare a Castano e a De Vincenti, sempre
presenti al tavolo nazionale di Ideal Standard, come si sia evoluta la vicenda nei mesi scorsi. Per questo
sarebbe bastato rileggere i verbali. Dunque c’è di più. Ma che cosa sia questo “di più” non è dato
sapere, nel comprensibile tentativo di evitare di alimentare false speranze tra i 450 che attendono di
sapere se ci sarà ancora un’occupazione per loro dopo il primo maggio, oppure no. Pare di capire che,
quantomeno a livello Italia, non vi sia traccia di trattative in corso tra multinazionali del settore e Ideal
Standard per rilevare uno o più stabilimenti, con relativa occupazione, volumi e quote di mercato. E se
fosse vero, si avvicinerebbe a grandi passi il baratro della chiusura. In alternativa c’è un’idea, alla quale
starebbe lavorando Unindustria, che attraverso l’autoimprenditorialità (anche sottoforma di
cooperativa) potrebbe rappresentare una speranza per una parte dei 450 occupati. Bisognerà attendere
per capire che evoluzione avrà questa idea che richiede un’ampia disponibilità di tutte le parti in causa.
(e.d.g.)
Domino per ora in mano a Omd-Carton
SPILIMBERGO Omd telcom-Carton si è aggiudicata provvisoriamente la Domino e ora
l’accoglimento definitivo della proposta di acquisizione spetta ai sindacati e ai 109 lavoratori. Il
verdetto è atteso a giorni. La conferma dell’assegnazione è arrivata ieri, dopo l’apertura delle buste,
anche se l’esito dell’asta era facilmente prevedibile. L’offerta depositata dalla cordata di imprenditori
udinesi e toscani, supportati da una finanziaria romana, era infatti l’unica. L’interesse manifestato di
recente da un potenziale acquirente non ha mai trovato concretezza. Ora si conosce anche il nome di
chi ha deciso di rinunciare a partecipare all’asta: si tratta di Stefano Boccalon, amministratore delegato
della Glass idromassaggio, azienda di Oderzo attiva nel settore del benessere, e quindi competitor di
Domino. Un nome, quello di Boccalon, che di recente si è legato anche a un’altra importante vertenza
aziendale: Ideal Standard. In entrambi i casi, seppure con i dovuti distinguo, l’amministratore di Glass
ha preferito rinunciare a portare a termine l’operazione di acquisizione. Per lo stabilimento di Orcenico,
Boccalon, alla guida di una cordata formata da un pool di imprenditori e investitori, il 21 marzo aveva
formalizzato con una lettera stringata il ritiro dalla procedura. Il tutto, dopo mesi dalla manifestazione
d’interesse, con tanto di accordo di riservatezza, che confermava e ufficializzava l’esistenza di una
trattativa seria. Per Domino, la situazione è differente: Boccalon non ha formalizzato nessuna proposta.
L’interesse è stato espresso soltanto a parole: ci sono stati, però, numerosi contatti con gli organi della
procedura, tra cui pure la governace di Domino, che hanno interessato un paio di mesi.
L’amministratore di Glass ha effettuato diverse valutazioni, poi la rinuncia. Non è dato conoscere quali
siano le motivazioni alla base del passo indietro. Per Ideal Standard sarebbero state le analisi su costi,
investimenti e tempi di ritorno a far cassare l’idea di acquisire fabbrica e posti di lavoro per continuare
a produrre ceramica sanitaria a Orcenico. Può darsi che per Domino sia valso lo stesso, ma di fatto sono
soltanto ipotesi. Tornando all’asta, va ricordato che quella di ieri è stata un’aggiudicazione provvisoria,
perché subordinata all’intesa con parti sociali e lavoratori. Soltanto se ci sarà una convergenza
d’interessi, sarà stipulato il contratto di locazione. Nel caso in cui Cisl e Cgil non firmassero l’accordo
o i lavoratori non sottoscrivessero i verbali di conciliazioni, la strada è quella del fallimento. I 109
addetti dovranno esprimersi sull’accoglimento o meno dell’offerta. In seguito, è previsto un nuovo
tavolo tra offerente, parti sociali e commissario Paolo Fabris. Nel caso in cui tutto filasse via liscio,
Omd-Carton si è detta pronta a fare ripartire subito l’attività. Un aspetto positivo: stringere i tempi di
ripresa è fondamentale per non continuare a perdere ordini. Le commesse, infatti, ci sono, ma a causa
dell’attuale situazione di empasse non vengono accettate. Nella new company, cui Domino dovrebbe
lasciare il posto, 41 dei 109 addetti saranno assunti gradualmente, entro il 2015. Giulia Sacchi