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EssePiù
Anno XXII • Numero 3 • Maggio - Giugno 2013 • ASA - Associazione Solidarietà Aids • Milano
Perché la paura?
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Ormai tutti pensano che l’Aids non esista
più: con le terapie antiretrovirali, sempre
più efficaci e meglio tollerate, le malattie
opportunistiche che fino agli anni ’90 facevano stragi oggi sono diventate rare, avendo le persone con Hiv in terapia una funzionalità immunitaria praticamente normale.
Si ammala chi non assume bene i farmaci (o
non li assume del tutto) o chi non ha mai
fatto il test e si accorge di essere sieropositivo perché sta male.
In questo mondo felice le persone con Hiv,
secondo il pensiero comune, vivono tranquillamente la loro vita come se l’infezione
non ci fosse: qualche pillola e via. In realtà il
problema più grave, la paura, non è per
niente archiviato. Se si parla un po’ (con
chiunque!) si scopre che la situazione viene
molto spesso tenuta nascosta per paura della discriminazione. Non solo. Spesso le persone hanno una paura quasi fobica di contagiare gli altri: ti descrivono le attenzioni
che hanno per tenere separato il loro spazzolino da denti da quello della mamma, ti
raccontano che hanno paura di tenere in
braccio i nipotini, che tengono sotto controllo stretto i loro bicchieri perché nessuno
li usi (“non si sa mai…”).
Altra paura è quella di ammalarsi: ogni sin-
tomo è legato all’Hiv, dal prurito al mal di
schiena, come se non ci fossero malanni non
necessariamente legati all’infezione. Tanti
hanno paura di viaggiare: “chissà che assistenza potrei avere in India…” o di tenere
gatti in casa (la famigerata toxoplasmosi
che ormai non fa più neanche il solletico).
Non dico che essere sieropositivi è una “malattia” come tutte le altre, perché sicuramente dal punto di vista psicologico ha delle sue valenze (e valori) ben precise, ma che
le persone con l’Hiv non devono vivere l’infezione come qualcosa che le divide dal
mondo, ma come qualcosa che glielo fa vedere in una maniera diversa. Dentro alle
persone sieropositive c’è molto spesso più
solidarietà, più attenzione a quello che c’è
di veramente importante nella vita, ma deve essere fatto un grande sforzo per fare
uscire queste potenzialità.
E alla fine la paura dei sieronegativi di infettarsi senza aver fatto niente di realmente a
rischio si sovrappone alla paura dei sieropositivi di contagiare con i bicchieri…
La vita è bella anche con l’Hiv, è un vero
peccato sentirsi “meno” rispetto ai sani. La
differenza la fa tutto il resto (carattere, interessi, affetti), non la malattia…
Massimo
Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c Legge 662/96 - Filiale di Milano
Pazienti con HIV:
l’Italia al primo posto
per aspettativa di vita
EssePiù
Bimestrale dell’ASA
Associazione Solidarietà Aids
Redazione:
Via Arena, 25 - 20123 Milano
Tel. 02-58.10.70.84 - Fax 02-58.10.64.90
su Internet http://www.asamilano.org
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Iscrizione al Registro della Stampa presso il Tribunale di Milano
n.499 del 01.08.1996
Direttore responsabile: Massimo Cernuschi
Redazione: Adriana Faggi, Flavio Angiolini, Alessandro Condina.
Collaboratori esterni: Roberto Mandelli.
Impaginazione: Andrea Porro
La responsabilità delle opinioni espresse in questo bollettino è dell’autore. Le
opinioni qui pubblicate non costituiscono necessariamente una presa di posizione dell’ASA. La posizione dell’ASA è espressa solo negli articoli firmati
con il nome dell’Associazione. Gli articoli qui pubblicati possono essere riprodotti parzialmente o integralmente a patto di citarne la fonte.
EssePiù viene stampato con il contributo di AbbVie S.r.l.
L’aspettativa di vita di un paziente con infezione da HIV regolarmente in terapia si
avvicina sempre più a quella della popolazione generale. Se ne è parlato lo scorso
maggio alla V edizione di I.C.A.R. (Italian
Conference on AIDS and Retrovirus), dove
è stato presentato uno studio internazionale pubblicato nel 2013. Da esso emerge
che una corretta adesione alla terapia permette di vivere a lungo. Anche fino a 80
anni. Non solo. Secondo lo stesso studio,
l’Italia ha il primato mondiale in tema di
aspettativa di vita delle persone sieropositive in terapia antiretrovirale. La ricerca ha
esaminato tutti i registri nazionali relativi
a infezioni, miglioramenti e decessi dei
soggetti in terapia. Dal confronto risulta
che non ci sono grandi differenze tra i dati
registrati in Francia, Spagna e Germania,
mentre la situazione italiana si presenta
nettamente migliore.
La stessa indagine ha rilevato notevoli
cambiamenti nelle abitudini sociali: a differenza degli anni Ottanta, quando il veicolo primario era lo scambio di siringhe infette, oggi la trasmissione dell’HIV è sempre più dovuta a rapporti sessuali (80%).
Aumenta anche l’età media dei pazienti,
oggi di 30-40 anni, mentre era di 20-30 anni fino al 2000. I pazienti, insomma, stanno
invecchiando “naturalmente” e anch’essi,
come gli altri, accusano gli acciacchi e le
malattie legate all’avanzare dell’età. Il merito di aver migliorato l’aspettativa di vita
spetta ai nuovi farmaci che hanno meno
effetti collaterali e sono di più facile gestione (trattandosi di poche o una sola pil-
lola al giorno).
Il tema dell’invecchiamento è stato affrontato anche nel corso di IAS 2013, settima
edizione della Conferenza su Patogenesi,
Trattamento e Prevenzione dell’HIV, tenutasi a Kuala Lumpur, in Malesia dal 30 giugno al 3 luglio. In questa sede si è ribadito
che i farmaci odierni consentono di vivere
a lungo e in salute alle persone sieropositive che accedono alle cure e rispondono
bene al trattamento. Sono piuttosto le patologie non-AIDS correlate a rappresentare oggi il problema più urgente.
Steven Deeks (University of California, San
Francisco) ha ricordato che, anche se ben
controllata, l’infezione da HIV determina
comunque una ridotta funzionalità del sistema immunitario, contribuendo così allo
sviluppo di altre patologie. L’HIV è infatti
un fattore di rischio per malattie riguardanti cuore, ossa, reni, danni cerebrali e alcune forme di cancro. Molte di queste patologie sono le stesse associate all’invecchiamento, ma in una persona sieropositiva tendono a svilupparsi più precocemente, creando seri problemi sia ai singoli soggetti, sia alle istituzioni sanitarie nazionali,
sempre più in difficoltà a mantenere un
buon livello di servizi.
Per giocare d’anticipo, è necessario assumere farmaci (iniziando al più presto la terapia antiretrovirale) e adottare stili di vita
appropriati per arrivare nelle migliori condizioni possibili al giorno in cui sarà scoperta una cura capace di debellare il virus.
Fonti: asca.it; IAS 20013
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Giovani: scarsa
informazione
su contraccettivi e malattie
sessualmente trasmesse
Molte ragazze giovani e giovanissime (ben
4 su 10) non usano metodi contraccettivi. E
solo 3 su 10 ricevono informazioni corrette
sulla sessualità da medici e insegnanti, mentre 7 su 10 si affidano a fonti di dubbia qualità. Questo il risultato dell’indagine condotta in maggio dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (Sigo), che ha analizzato le abitudini sessuali di oltre mille giovani tra i 14 e i 25 anni. Dalla ricerca emerge che la situazione è peggiorata rispetto al
2010, essendo aumentato del 5% il numero
delle giovanissime che affrontano la prima
esperienza sessuale senza usare alcuna precauzione, esponendosi al duplice rischio di
una gravidanza indesiderata e di contrarre
una malattia a trasmissione sessuale.
La pericolosa “leggerezza” di tante adolescenti (che causa il fenomeno delle babymamme, prima dei 19 anni) è dovuta a
molti fattori, ma secondo i medici che hanno condotto la ricerca, la causa principale
è il sistema scolastico italiano, che non prevede l’educazione sessuale come materia
obbligatoria (al contrario di quanto accade in altri stati europei).
Dello stesso segno è l’allarme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che rileva
annualmente 340 milioni di nuovi casi di
Malattie Sessualmente Trasmesse (MTS).
Sul totale delle persone che si infettano,
111 milioni sono giovani sotto i 25 anni di
età. Secondo le stime OMS, un adolescente
su 20 contrae ogni anno una malattia a
trasmissione sessuale, e l’età di insorgenza
tende progressivamente ad abbassarsi. Le
patologie più comuni sono la sifilide e la
gonorrea, un tempo note come “malattie
veneree”, ma in forte aumento sono anche diversi altri tipi di infezioni causati da
batteri, virus, funghi o parassiti che si trasmettono principalmente per via sessuale.
Il fatto che siano colpiti molti giovani e giovanissimi dipende dalla loro scarsa consapevolezza dovuta a insufficiente informazione o a condizioni socio-culturali modeste o disagiate. Più a rischio, in questo scenario, sono le ragazze, che oggi scoprono il
sesso molto presto (il 7% già a 13-14 anni)
e che hanno naturalmente più facilità a infettarsi (per conformazione fisiologica). Secondo Susanna Esposito, Presidente della
Società Italiana di Infettivologia Pediatrica,
molte di loro non sanno che anche attraverso un singolo rapporto si può contrarre
una malattia trasmessa sessualmente. E il
rischio aumenta per chi ha rapporti con
partner diversi, soprattutto se occasionali.
La più temibile tra le MTS è indubbiamente l’infezione da HIV, ma disturbi importanti sono causati anche dalle altre patologie, come la gonorrea, l’infezione da
chlamydia, la candida, il trichomonas, l’herpes genitale e il papilloma virus.
Per contenere i rischi, le istituzioni di tutti gli
stati dovrebbero predisporre strumenti di
informazione e di educazione sessuale efficaci, in grado di far capire ai giovani l’importanza della prevenzione, e in particolare del
preservativo, che resta per ora il mezzo più
efficace per evitare di essere contagiati dal
virus HIV e dalla maggior parte delle altre
malattie a trasmissione sessuale.
Fonti: www.quotidianosanita.it;
www.pharmastar.it
USA, allerta per una malattia
sessuale paragonabile all’Aids
Una nuova minaccia sta preoccupando gli infettivologi statunitensi. Si tratta di una forma di gonorrea altamente resistente agli antibiotici, che può minacciare gravemente la
salute pubblica. In un’intervista rilasciata alla NBC, il medico naturopata Alan Christianson ha affermato che il batterio responsabile della malattia potrebbe avere effetti ancora più gravi dell’HIV. L’allerta è stata confermata dal Dr William Smith, direttore della
Coalizione statunitense per le malattie a trasmissione sessuale, che ha parlato di “situazione di emergenza”.
Il batterio incriminato è il ceppo di gonorrea HO41, che non risponde agli antibiotici ed
è molto più aggressivo dell’HIV. La malattia si trasmette attraverso il rapporto sessuale
non protetto ed essendo asintomatica è difficile da diagnosticare nelle prime fasi. Ma se
il trattamento non avviene nello stadio iniziale può causare importanti infezioni all’apparato genitale o infertilità, cancro e complicazioni cardiocircolatorie.
Data la sua aggressività, il ceppo HO41 è stato inserito nella lista dei “superbatteri” e
non sarà facile trovare il modo per debellarlo in tempi rapidi. Non a caso per la ricerca di
un antibiotico mirato e per avviare campagne di informazione pubblica, il Dr Smith ha
chiesto al Congresso degli Stati Uniti di investire 54 milioni di dollari. In attesa di un super-antibiotico all’altezza della situazione, gli esperti raccomandano ai cittadini USA di
prestare particolare attenzione alla profilassi.
La redazione
Invalidità
civile:
molti non
la chiedono
per paura
di scoprirsi
Il timore del pregiudizio è ancora forte.
Tanto che qualcuno preferisce rinunciare
al riconoscimento di invalidità civile pur
di non rendere nota la propria malattia.
È questa la constatazione di INCA CGIL,
che si occupa di assistenza fiscale e da
molti anni assiste le persone sieropositive
nell’iter burocratico necessario per ottenere il riconoscimento di invalidità.
Come ha spiegato in un’intervista Salvatore Marra, responsabile dell’Ufficio
Nuovi Diritti della Cgil Roma e Lazio,
molte persone hanno paura di far sapere
al datore di lavoro la patologia di cui sono affette, forse temendone le conseguenze sul piano professionale. Chi è restio non si sente rassicurato nemmeno
dal fatto che la legge prevede la possibilità di presentare documentazioni in cui
viene oscurato il codice identificativo
della patologia. La paura dello stigma induce a non fidarsi e a rinunciare ai diritti
previsti dalle norme.
Per chi invece porta avanti la richiesta, le
valutazioni tengono conto dei diversi
aspetti che vengono influenzati dalla terapia. Tra questi, lo stato psicologico del
soggetto e il tipo di mansione ricoperto.
Chi ha una percentuale di invalidità superiore al 46%, se disoccupato, può iscriversi nelle liste speciali per l’inserimento
lavorativo in base alla legge 68, mentre
se è occupato serve una percentuale superiore al 60%. Chi supera il 50% ha diritto a 30 giorni di congedo supplementare per cure. Con oltre il 74% e in particolari condizioni di reddito si ha diritto a
un assegno mensile, mentre al di sopra
del 75% si ha diritto a un aumento della
pensione. Infine con il 100% di invalidità
si ha diritto a una pensione vera e propria.
Il basso numero di domande di invalidità,
comunque, non è solo da attribuire alla
reticenza di chi non vuole uscire allo scoperto: l’efficacia delle odierne terapie fa
diminuire il numero delle cellule CD4, su
cui ancora oggi si basa il criterio di valutazione di invalidità. Ma le tabelle tuttora in uso sono del 1992 e non sono più
adatte a misurare correttamente il danno causato dal virus HIV.
Fonte: Anlaids ByMail n. 50, maggio 2013
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Diventare un genitore positivo:
opzioni riproduttive
per le persone con HIV
Poiché i miglioramenti nella terapia antiretrovirale continuano a estendere la durata della vita, come pure a migliorarne la
qualità, sempre più persone HIV positive
sperano e pensano di diventare genitori.
Negli Stati Uniti circa tre quarti dei sieropositivi sono in età riproduttiva, e diversi
studi recenti hanno dimostrato che una
diagnosi di HIV fa poco per smorzare il desiderio di avere un figlio. In base allo studio, i soggetti HIV positivi in età riproduttiva che in futuro vogliono avere un bambino sono tra il 25% e il 45%, a fronte del
35% che si riscontra nella popolazione generale.
I dati più recenti in materia di HIV ed età
fertile darebbero agli aspiranti genitori un
sacco di motivi per essere ottimisti. Con
una terapia ottimale durante la gravidanza e il parto, il rischio di avere un bambino
infettato dall’HIV scende a meno dell’1%.
Recenti studi su donne in gravidanza in
HAART suggeriscono che la gravidanza
non accelera la progressione della malattia da HIV, e in qualche caso può addirittura rallentarne la progressione. E per le
coppie sierodiscordanti, i progressi nella
tecnologia di riproduzione assistita possono aiutare a raggiungere il concepimento
con il minimo rischio di trasmissione del virus al partner sieronegativo.
Nonostante questi promettenti dati, comunque, le persone con HIV devono affrontare sfide importanti sulla strada della
maternità/paternità, tra cui il biasimo e la
resistenza fra gli operatori sanitari e il
pubblico in generale.
«C’è sicuramente un grosso gap tra le persone con Hiv che vogliono procreare e la
realtà», ha detto Deborah Cohan, direttore della Bay Area Perinatale Centro AIDS
(BA-PAC) presso l’Università di California a
San Francisco.
Secondo un sondaggio online condotto
nel 2007 da amfAR, Fondazione per la ricerca sull’AIDS, solo il 14% degli americani
tra i 18 ei 44 anni credono che le donne
sieropositive dovrebbero avere figli, nonostante la terapia antiretrovirale per prevenire la trasmissione da madre a figlio.
Un terzo degli americani ha detto che se
una donna sieropositiva decidesse di rimanere incinta, non approverebbero la sua
decisione.
Sebbene nessuno abbia pubblicato un
analogo sondaggio sul personale sanitario, una recente ricerca mette in evidenza
la necessità di una più aperta e non giudicante discussione su HIV e maternità. In
uno studio su 181 donne HIV positive in
età riproduttiva solo il 31% aveva discusso
i propri personali e futuri progetti di riproduzione con il personale sanitario. Di
tali discussioni, il 64% era stato avviato
dalla donna stessa, non dal personale sanitario.
«Questa è in realtà la migliore delle ipotesi su ciò che sta accadendo nel nostro Paese», ha detto Sarah Finocchario-Kessler, ricercatrice HIV presso l’Università del Kansas e co-autrice dello studio sulla comunicazione con il personale sanitario. «Tenete
presente che questo studio è stato fatto in
un ospedale universitario, dove c’erano
persone che sostengono realmente questo
tipo di discussioni».
Finocchario-Kessler ha aggiunto che gli
operatori sanitari nelle cliniche più piccole
sono anche meno disponibili nel proporre
opzioni per le pratiche riproduttive. Gli
specialisti di malattie infettive possono
non fare domande circa la pianificazione
familiare, come pure i ginecologi o gli specialisti in fertilità possono non avere familiarità con le caratteristiche dell’HIV.
Quando una persona con HIV ha il coraggio e l’iniziativa di intavolare una discussione circa l’intenzione di una gravidanza,
potrebbe accadere che alcuni medici non
siano quindi pronti a discutere questo argomento.
«Anche tra gli assistenti sanitari che hanno rispetto per il diritti alla gravidanza di
pazienti HIV, ci si può trovare di fronte a
persone che non sono a proprio agio con
la consulenza prenatale», ha detto Glenn
Wagner, studioso del comportamento della RAND Corporation, che ha focalizzato
la questione con medici delle cliniche di
Los Angeles specializzate in HIV. «Una parte di loro perché si sentono impreparati o
male addestrati a fare questo tipo di consulenza. E per le incertezze sui rischi, evitano l’argomento».
Le persone che vivono con l’HIV e che sperano di diventare genitori possono tentare di trovare in modo indipendente le informazioni sulle loro opzioni riproduttive
e quindi cercare uno specialista esperto
che li consigli. Questo articolo tratta alcune delle più recenti ricerche su come l’HIV
colpisce la fertilità maschile e femminile,
le opzioni per prevenire la trasmissione
del virus a neonati e a partner negativi, e
come la gravidanza può influenzare la
progressione dell’HIV.
HIV E FERTILITÀ: UNA
DOMANDA COMPLICATA.
Determinare il rapporto tra sieropositività
e fertilità non è un compito facile. La
maggior parte dei dati proviene da studi
basati sulla popolazione eseguiti in paesi
con risorse limitate e con alta presenza di
HIV. In questi paesi, l’infezione da HIV
sembra abbia un forte effetto sulla fertilità.
Per esempio, una relazione sulla fertilità
delle Nazioni Unite del 2002, ha esaminato 8 studi basati sulla popolazione di 6 nazioni e ha evidenziato una diminuzione
tra il 25% e il 40% di fertilità nelle donne
HIV positive rispetto alla popolazione in
generale. Ogni punto percentuale di donne HIV positive in età riproduttiva abbassa
dello 0,4% il tasso di natalità complessivo
di un paese.
Gli studi basati sulla popolazione non raccontano però tutta la faccenda, perché
non riescono a distinguere tra cause comportamentali della diminuzione di fertilità, come il minor numero di incontri sessuali o maggiore uso del preservativo, e
cause mediche, come ad esempio problemi di sperma o di ovulo. Dato che molti
comportamenti che prevengono la trasmissione del dell’HIV prevengono anche
la gravidanza, è difficile estrapolare quanto il calo della fertilità osservato sia direttamente causato dal virus.
Molti dei primi studi sulla fertilità hanno
anche omesso di distinguere tra infezione
asintomatica da HIV e la progressione verso l’AIDS. Diverse infezioni opportunistiche AIDS correlate possono colpire l’apparato riproduttivo e compromettere la fertilità; la
malattia in fase avanzata è stata anche
collegata a disturbi del ciclo mestruale
nelle donne e alla diminuita produzione
di spermatozoi negli uomini.
Ma per quanto riguarda le persone sane
che vivono con l’HIV, essere sieropositivi significa avere più difficoltà a concepire?
«Ci sono alcuni dati che indicano che l’HIV
può avere un impatto negativo sulla fertilità - ha detto Cohan, - ma la maggior parte degli studi ha esaminato specificamente uomini non trattati. E’ più semplice va-
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lutare gli uomini, perché basta fare un
esame dello sperma, mentre è più complicato valutare la fertilità in una donna».
HIV E FERTILITÀ
FEMMINILE
La capacità di una donna di rimanere incinta dipende da una complessa interazione di ormoni e di anatomia. Le ovaie ogni
mese devono rilasciare al momento giusto
un ovulo maturo (ovulazione) che deve essere in grado di arrivare all’utero attraverso canali aperti chiamati le tube di Falloppio. Il rivestimento dell’utero deve quindi
permettere all’ovulo, una volta fecondato, di radicarsi in esso, in un processo chiamato “impianto”.
Che l’HIV abbia un effetto diretto sulla
fertilità femminile o no, è un argomento
di discussione tra i ricercatori e alcuni pensano che il virus possa incidere in molti dei
passaggi sopra descritti. Per esempio, uno
studio su 130 donne sieropositive che volevano concepire, ha rilevato che oltre il
25% aveva un blocco nelle tube di Falloppio, che avrebbe potuto impedire a un
ovulo fecondato di raggiungere l’utero.
Queste cosiddette occlusioni tubariche potrebbero essere un effetto diretto del virus HIV, forse causate da infiammazione, o
potrebbero essere correlate ad altra infezione del tratto genitale, come la chlamydia o la gonorrea. Le donne sieropositive
sono a più alto rischio di contrarre infezioni del tratto genitale, fattore che rende
difficile separare gli effetti dell’HIV dagli
effetti di altre infezioni.
Le donne che vivono con l’HIV segnalano
anche un’incidenza superiore alla media
di irregolarità mestruali, inclusa l’amenorrea prolungata, o assenza del ciclo per più
di sei mesi. Non avere un ciclo normale
spesso indica che una donna non sta ovulando e che potrebbe avere difficoltà a rimanere incinta.
Anche in questo caso, tuttavia, i ricercatori non sono sicuri se la più alta incidenza
di amenorrea è dovuta agli effetti diretti
del virus o a concomitanti fattori, come
l’abuso di sostanze, alti livelli di stress o
basso peso corporeo, che sono più comuni
nelle donne HIV positive rispetto alla popolazione generale. Uno studio su 55 donne sieropositive con ciclo mestruale regolare, ha evidenziato un livello normale di
estrogeni e progesterone, che sono importanti per favorire la gravidanza. Questo
suggerisce che l’HIV può non avere effetto
diretto sugli ormoni, almeno tra le donne
che hanno cicli regolari.
Dati recenti mostrano che, una volta in
gravidanza, le donne HIV positive in buona salute hanno circa lo stesso rischio di
aborto spontaneo delle donne HIV negative. Negli Stati Uniti, circa il 15-20% di tutte le gravidanze terminano in aborto
spontaneo, anche se il vero tasso di interruzione della gravidanza può essere più
alto perché molte donne abortiscono prima di sapere di essere incinte. Uno studio
su 352 gravidanze tra le donne HIV positive ha trovato un tasso di aborto spontaneo del 24%, simile al tasso di aborto
spontaneo in donne HIV negative. Questo
dato è in contrasto con precedenti ricerche (svolte prima che le donne incinte fossero in HAART), che mostravano un aumento della probabilità sia di aborti spontanei sia di aborti pianificati tra le donne
con HIV.
(Parte 1 - continua)
Hadley Leggett, BETA, 2011;
traduzione a cura di Gianluca
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Un nuovo progetto di Asa
finanziato da BNP Paribas
Security Services
Il progetto messo a punto da ASA per concorrere al bando lanciato a inizio anno dal
Gruppo Bancario internazionale è risultato
interessante e convincente e si è quindi aggiudicato il finanziamento messo in palio da
BNP Paribas. “Essere donna: dentro e fuori”
(questo il titolo dell’iniziativa proposta) prevede un ciclo di interventi presso il reparto
femminile di San Vittore. Un percorso che riprende in modo più articolato un’attività
già svolta dall’associazione all’interno del
carcere milanese. «Da vent’anni - spiega la
psicologa Alessandra Bianchi, responsabile
del progetto. - la nostra associazione opera
con Ekotonos nella casa circondariale, sviluppando iniziative che tendono a valorizzare le risorse e le competenze delle persone detenute. L’ambito di cui ci siamo sempre
occupati per missione istituzionale è l’informazione e la prevenzione dell’HIV/Aids, che
ha riguardato principalmente i reparti maschili del III e VI raggio. Negli anni 20092011, però, abbiamo organizzato un ciclo di
incontri anche nella sezione femminile con il
progetto “Mente libera in corpo sano”, finanziato dalla Regione. Forti di questa esperienza, abbiamo voluto riprendere il discorso avviato in precedenza, estendendo le
aree educative da affrontare e coinvolgendo nuove figure professionali che potessero
avere un impatto ancora più forte che in
passato. Il concetto fondamentale che intendiamo trasmettere con questa iniziativa
è che solo avendo cura di sé si può migliorare e andare avanti».
Gli incontri programmati (già iniziati al momento di andare in stampa) si svolgeranno
due volte alla settimana nei mesi di giugno
e luglio 2013. La partecipazione delle detenute è su base volontaria e l’adesione prevista è di circa venti partecipanti. Diversi i professionisti coinvolti (quasi tutti volontari):
uno psicologo parlerà di violenza domestica
e dell’essere vittima o autore di bullismo e di
stalking, mentre un altro psicologo insegnerà alcune tecniche di rilassamento; il ginecologo tratterà di salute femminile e di sessualità, di contraccettivi e di maternità consapevole; l’avvocato affronterà il tema dei diritti
e doveri della donna come madre e moglie,
ma anche come detenuta e/o immigrata;
l’assistente sociale presenterà gli strumenti
socio-assistenziali presenti sul territorio e le
conoscenze basilari per elaborare le pratiche
pensionistiche. Ci sarà anche un esperto di
primo soccorso e di soccorso pediatrico, che
presenterà esempi di situazioni di emergenza, e delle infettivologhe che tratteranno
problemi igienico-sanitari comuni (come pidocchi, prevenzione di epatiti, virus, funghi
ecc) spiegando come comportarsi e quali
“buone pratiche” adottare. Uno specialista
di curriculum, infine, insegnerà alle detenute come presentarsi per un possibile lavoro
quando avranno scontato la pena e dovranno reinserirsi nella vita civile. Un incentivo a
guardare avanti con spirito positivo e strumenti adeguati.
Per valutare le aspettative delle detenute e
l’efficacia del progetto sono previsti appositi
questionari all’inizio e alla fine degli incontri, oltre a un test di verifica sul livello di autostima delle partecipanti. La speranza degli
organizzatori è che si instaurino dinamiche
positive tra operatori e utenti, creando
un’atmosfera coinvolgente capace di lasciare una traccia nella vita delle detenute.
In tempi di crisi economica e di contrazione
del sostegno alle iniziative di solidarietà,
una nota di merito va riconosciuta a chi, come BNP Paribas, mantiene vivo l’impegno in
campo sociale. «Il nostro gruppo bancario spiega Alberto Pezzotti, account manager
della Divisione Securities Services - è presente in 80 paesi ed è in Italia da 40 anni. In
ogni contesto in cui ha sedi e filiali, il Gruppo ha sempre dedicato grande attenzione al
sociale, sia in occasione di eventi drammatici, come il terremoto in Abruzzo e in Emilia
Romagna, sia rispetto all’educazione e alla
promozione di interventi volti a migliorare
la vita dell’intera comunità o di specifiche
categorie svantaggiate».
Pezzotti ha anche spiegato la motivazione
per cui è stato selezionato il progetto di
ASA. «Con il finanziamento messo in palio
- ha detto - si intendeva premiare una proposta di tipo educativo capace di migliorare la qualità della vita dei soggetti a cui si
rivolgeva. Il progetto “Essere donna: dentro e fuori” è stato molto apprezzato soprattutto per il focus posto sulla “persona” e sull’obiettivo di “rafforzare l’autostima”, partendo dalla situazione e dai bisogni delle detenute e offrendo loro strumenti psicologici e pratici per aiutarle a
guardare oltre le sbarre, ossia oltre la fase
attuale della loro esistenza. Trattandosi di
educazione in carcere, la proposta è anche
stata considerata particolarmente coraggiosa e ricca di potenzialità».
Il coinvolgimento della banca, osserva infine
Pezzotti, non si è limitato alla semplice elargizione dei fondi: i responsabili italiani hanno anche presentato agli addetti della Divisione milanese l’attività di ASA riguardo alla
prevenzione/informazione su HIV e Aids e
hanno messo a disposizione del progetto le
competenze specialistiche di tre dipendenti,
che terranno altrettanti incontri con le detenute.
Grecia, diritti
civili negati
alle “categorie
a rischio”
Il 26 giugno 2013, il nuovo ministro della
Salute, Adonis Georgiadis, ha riportato
in vigore un regolamento varato nel
2012 che autorizza la polizia a trattenere
prostitute, tossicodipendenti o migranti
privi di documenti e a sottoporli al test
obbligatorio per l’HIV o per altre malattie infettive. Il regolamento in questione
(n. GY 39A) afferma che saranno necessari esami sanitari obbligatori, e anche l’isolamento e il trattamento forzato per le
malattie infettive che rappresentano un
rischio per la salute pubblica, come l’influenza, la tubercolosi, la malaria, la poliomielite, la sifilide, l’epatite e altre infezioni a trasmissione sessuale, compreso
l’HIV. Per il collaudo della norma sono indicate alcune categorie di persone: chi fa
uso di droghe per via endovenosa, lavoratori del sesso, migranti privi di documenti provenienti da paesi dove tali malattie sono endemiche e chi vive in condizioni che non soddisfano le "norme minime" di igiene (compresi, quindi, i senzatetto). Le misure previste sono l’isolamento, restrizioni di quarantena, il ricovero e il trattamento.
Immediata la reazione di Human Rights
Watch, di UNAIDS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e dell’Ufficio dell’Alto
Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, che hanno preso posizione
contro il test HIV obbligatorio e l’isolamento o la quarantena delle persone sieropositive perché incompatibili con gli
standard dei diritti umani e dei principi
di salute pubblica.
Per chi non avesse seguito la notizia in
passato, ricordiamo che nel 2012, dopo
la prima approvazione del regolamento,
decine di donne, presunte lavoratrici del
sesso risultate positive al test HIV obbligatorio, sono state arrestate con l’accusa
di aver causato intenzionalmente lesioni
personali gravi facendo sesso non protetto con i clienti. La polizia e i media hanno perfino pubblicato i loro nomi, con
tanto di fotografie e cartelle cliniche.
Molte di loro sono state detenute in attesa di giudizio per mesi prima di essere
assolte dai tribunali. Uno scenario desolante che dimostra come sia sempre necessario mantenere alta l’attenzione sui
diritti civili, anche quando sembrano acquisiti una volta per tutte.
La redazione
A. Faggi
Notizie dal Mondo
della ricerca
HPV
A cura di M. Cernuschi
dultegravir è più efficace di raltegravir sull'azzeramento di HivRna (71% verso 64%).
In uno studio effettuato in Costa Rica è stato osservato che in un gruppo di persone vaccinate per
Hpv a quattro anni di distanza la prevalenza dell'infezione da Hpv a livello orale era nettamente
inferiore nel gruppo dei vaccinati. Dato che non
ci sono dati sulla presenza del virus in queste persone prima della vaccinazione, non si può dire
con certezza che il vaccino abbia eradicato Hpv
dal cavo orale, ma che è molto probabile che sia
successo.
La percentuale di resistenza a Nnrti in persone con
Hiv naive (mai state in terapia) è salita negli ultimi
anni negli usa (da 8% a 9%) e nei Paesi europei
più piccoli, come Grecia e Portogallo (da 5% a
13.7%). Nei paesi europei più grandi è rimasta stabile sul 5%.
DOLUTEGRAVIR
In una recente metaanalisi degli studi pubblicati
sulla fragilità ossea viene indicato che l'infezione
da Hiv è associata ad un modesto aumento del ri-
Lo studio Sailing ha stabilito che a 48 settimane
RESISTENZA A NNRTI
FRATTURE
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7-09-2013
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Il trattamento dell'HIV
nei bambini
Alla 7° Conferenza dell’International AIDS Society (IAS 2013), gli esperti di pediatria hanno
lanciato un appello teso a incrementare gli
sforzi per estendere la diagnosi precoce nei
bambini e a mettere a punto farmaci che siano più facili da assumere per i piccoli pazienti.
Le nuove linee guida OMS raccomandano che
tutti i bambini al di sotto dei cinque anni inizino immediatamente il trattamento. La stessa raccomandazione riguarda anche i bambini di età uguale o superiore ai cinque anni
con una conta dei CD4 inferiore alle 500 cellule per mm3.
La difficoltà maggiore per il trattamento precoce dei bambini consiste nella mancata diagnosi dell’infezione nelle prime settimane
dopo la nascita. Secondo gli esperti, un enorme passo avanti per aumentare le diagnosi
sarebbe l’introduzione dei test diagnostici
per l’HIV all’interno dei centri di vaccinazione, dove oltre l’80% delle madri dell’Africa
sub-sahariana porta i figli. Positivo sarebbe
anche un miglioramento dei sistemi informativi sanitari, dato che una mancata diagnosi
di un bambino può essere dovuta al fatto che
non ne è stata segnalata l’esposizione al virus.
Una maggiore integrazione tra servizi di cura
per bambini e quelli per adulti, con più personale specializzato in cure pediatriche, potrebbe consentire un incremento del numero di
bambini che iniziano le terapie anti-HIV. Nei
paesi a basso e medio reddito ci sono due milioni di bambini già eleggibili per il tratta-
mento che ancora non lo ricevono e, con le
nuove linee guida, se ne aggiungeranno altri
750.000.
Per avvicinare sempre più persone al test e al
trattamento, sarebbero utili interventi a livello locale di sensibilizzazione e informazione
su infezione, sintomi e trattamento. Molti genitori, infatti, non sanno che i loro figli possono aver contratto l’HIV anche se ancora non
mostrano segni di malattia.
In tema di trattamento pediatrico dell’HIV, gli
esperti hanno anche convenuto che, per stimolare l’entrata in terapia, sarà fondamentale sviluppare nuovi farmaci pensati appositamente per i bambini. Non tutti gli antiretrovirali, infatti, sono disponibili in formulazioni
adatte; molti sono difficili da assumere; e
inoltre non ci sono combinazioni a dosi fisse
per il trattamento pediatrico. A tale proposito sono già allo studio nuove formulazioni
che si spera siano autorizzate entro il 2015.
Come ha detto il dott. Marc Lallemant, responsabile del programma pediatrico dell’organizzazione Drugs for Neglected Diseases
Initiative, per tradurre in pratica le raccomandazioni delle linee guida OMS e ottenere risultati in termini di accesso al trattamento, sarà necessario tutto il sostegno possibile da
parte di associazioni benefiche, agenzie di
controllo nazionali e internazionali, programmi HIV nazionali, società civile e delle stesse
persone sieropositive.
Fonte: IAS 2013 (Report Lila)
Una miniserie mette in scena
storie di discriminazione
È stata lanciata a fine giugno la miniserie intitolata “VIRUS 4”. Lo ha annunciato Rosaria Iardino, Presidente Onorario di NPS Italia, nel corso dell’evento “Donne & HIV - Una questione di
genere”. VIRUS 4 comprende diversi cortometraggi che raccontano casi di discriminazione
verso le persone sieropositive nelle strutture sanitarie. Una discriminazione ancora diffusa
nonostante la Legge 135 del 1990 (che prescrive norme, comportamenti e precauzioni universali) e le successive circolari ministeriali (l’ultima del maggio 2013 sulla discriminazione nei luoghi di lavoro). I cortometraggi programmati (“corti video”) sono il risultato conclusivo di un
corso di formazione denominato “Verso Relazioni Positive”, rivolto in origine agli operatori
socio-sanitari degli ospedali e dei servizi territoriali. L’dea di avviare azioni formative è nata
dall’osservazione dirette e dai vissuti reali di pazienti con HIV, che hanno segnalato le loro
esperienze all’associazione di pazienti NPS Emilia Romagna. Il nuovo progetto punta ad avere una diffusione su scala nazionale ed è sostenuto da diversi enti tra cui la Direzione Generale Assistenza Ospedaliera di Ravenna, il SerT di Faenza e la Commissione Aids provinciale,
mentre ai finanziamenti contribuisce la Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna.
I corti, realizzati dal regista Andrea Pedna hanno un taglio ironico e sarcastico, da sketch-comedy: i vari casi di “cattivi comportamenti” vengono narrati attraverso un uso particolare della macchina da presa, che diventa lente d’ingrandimento ed evidenzia archetipi e stereotipi.
Nessuna volontà di critica né di giudizi o sentenze, ma una buona dose di ironia e di autoironia, per ridere di se stessi, di un certo malcostume e delle disavventure quotidiane in cui capita di imbattersi. Il tutto con lo spirito più ... politicamente scorretto possibile. La parola virus, si
è detto alla presentazione, è un termine latino che significa tossina, veleno. E velenose sono
le gag inserite nei “corti”. Il virus, inoltre, è qualcosa che contagia, perciò anche la visione dei
filmati dovrà essere “contagiosa”, in modo da attirare un folto pubblico che, tra un sorriso e
una risata, avrà modo di riflettere sulla discriminazione.
Fonte: NPS Emilia-Romagna ONLUS
schio di frattura. Deve quindi essere rivolta
una grande attenzione a questo fattore
(screening periodici, specialmente in pazienti >50 anni) nel follow up dell'infezione da Hiv.
CLAMIDIA
La Clamidia inizia ad avere una diffusione
importante all'interno della comunità gay.
L'abbassamento della guardia rispetto alle
pratiche di sesso protetto sta producendo
un'epidemia di infezione provocata da
questo microorganismo. I sintomi sono come quelli del classico scolo (bruciore e perdite di pus dall'uretra o dall'ano) causato
da un batterio chiamato Neisseria gonor-
rheae, anche se forse meno evidenti, specialmente per quanto riguarda l'infezione
uretrale. Consigli: il sesso sicuro innanzitutto. Ai primi sintomi/bruciori consultare il
proprio medico e quindi avvisare, se noti, i
partner sessuali.
MENINGITE
Nel corso degli ultimi sono stati registrati
diversi casi di meningite da Neisseria meningitidis (un batterio della “famiglia” di
Neisseria gonorrheae che provoca il cosiddetto scolo) in uomini gay, alcuni dei quali
deceduti. L'infezione si trasmette normalmente per via aerea in posti chiusi e affollati, di solito scuole, caserme, mezzi pubbli-
UNA BUONA
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LE AZIENDE
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ci e può essere rapidamente mortale. In
questi casi la trasmissione è avvenuta all'interno di locali gay. Ci sono stati anche
diversi casi di proctite dovuta allo stesso
batterio, dimostrando che può essere trasmessa anche attraverso sesso non protetto (bocca-genitali). Non si tratta di una vera e propria epidemia, ma le autorità sanitarie hanno diffuso dei comunicati che invitano i medici a segnalare prontamente i
casi di meningite. Per il momento si può
giusto consigliare di evitare rapporti non
protetti. La vaccinazione esiste, ma è consigliata in caso di vere e proprie epidemie o
lavori a rischio.
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7-09-2013
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Scritture
IL MONDO DELLE CHAT:
VERE OPPORTUNITÀ O SOLO
FANTASMI?
“Ciao”. Il più delle volte si comincia così, con
un bel ciao. Senza aggiungere altro. Chi riceve
questo messaggio capisce. Capisce che c’è un
certo interesse nei propri riguardi da parte di
chi ha scritto quel ciao. Inoltre è un modo prudente, oltre che conciso, di tentare un approccio. In questo modo chi lancia il saluto per primo non si sbilancia troppo. Un semplice saluto
non vuol dire aver perso la testa per un tipo
solo per aver dato una sbirciatina alle sue foto. E’ solo un modo per avviare una semplice
chiacchierata. Senza impegno. Anche se i più
arditi a volte osano aggiungere un grazioso:
come va? Oppure: sembri carino.
Sto parlando di uno dei cento modi di interpretare e usare uno strumento di comunicazione e socializzazione chiamato chat.
Chat è parola inglese che vuol dire semplicemente: chiacchierata. Quindi chi “chatta”
(storpiatura italiana del verbo inglese to chat),
lo fa, ufficialmente, per chiacchierare. Naturalmente, nei fatti, ciò non è sempre vero. Il senso spesso è un altro. Ma qui bisogna distinguere tra un social forum usato per parlare, condividere, discutere, e una chat usata per abbordare, rimorchiare, “cuccare”.
Tutte queste cose si fanno grazie alla rete.
Mentre scrivo sono consapevole di essere non
davanti a una semplice macchina da scrivere,
ma dentro la rete: sto cioè navigando; e mentre uso un programma di scrittura mi servo di
siti di informazione come Wikipedia e altri,
consulto a più riprese la mia posta elettronica
e rispondo ai messaggi degli amici di Facebook.
Mi trovo immerso nella rete, interconnesso
con altri siti Web di cui ignoro l’esistenza, ma
che sono lì a mia disposizione, pronti a elargire i loro servizi e a scodellarli istantaneamente
sullo schermo del mio PC, se solo decidessi di
premere il dito su un certo tasto. Questo succede a me come ad altre centinaia di milioni di
utenti nel mondo interconnessi tra loro in
questo istante attraverso il loro computer.
Si tratta di una rivoluzione tecnologica e sociologica, di cui modestamente il nostro picchiettare sulla tastiera fa a suo modo parte.
Ho parlato di connessione, ma si potrebbe
parlare anche di “sconnessione” se pensiamo
a quel senso di alienazione che ci prende a
volte quando passiamo molto tempo a navigare “dentro” il nostro pc. Per sconnessione
qui intendo l’essere (o sentirsi) estraniati dalla
realtà. Anche se a volte è in discussione ormai
lo stesso concetto di realtà, come se questo
fosse qualcosa di diverso rispetto alla cosiddetta realtà virtuale. La domanda su cosa sia reale
e cosa sia virtuale è forse un po’ prematura,
ma non deve essere lontano il tempo in cui il
reale e il virtuale non saranno più così distinti.
Il conflitto tra il reale e il virtuale trova una
sua manifesta (e a volte comica) espressione
nei siti di incontri on-line, le cosiddette chat.
Come tutti sanno, ciò che viene pubblicato, dichiarato, mostrato in una chat spesso è solo
parzialmente vero. Le fotografie possono essere vecchie di tre, cinque o dieci anni; il profilo in cui l’utente dichiara le sue preferenze, i
suoi orientamenti e i suoi tratti caratteriali è
spesso pieno di informazioni vaghe se non infondate e contraddittorie o addirittura velleitarie; si sprecano le promesse di serietà e di
onestà, spesso del tutto smentiteal momento
dell’incontro: solo in quel momento, quando
ci si vede in carne e ossa, si saprà la verità, ammesso che ce ne sia una. A questo punto gli incontri possono rivelarsi delle perdite di tempo,
oppure concludersi in piacevoli serate, colloquiali o intime, subito dimenticate, oppure
possono persino dare l’avvio a relazioni durature, cosa quest’ultima di cui sono personalmente testimone.
Quindi il bilancio non è univoco, anche se, a
detta di alcuni, internet è uno strumento
adatto e usato spesso da persone con qualche
problema di timidezza. Dietro il video, camuffate dentro foto improbabili, prodighe di parole edificanti e insincere, di informazioni
campate in aria, nella sorvegliata solitudine
della loro cameretta, queste persone si possono nascondere (letteralmente nascondere)
perché incapaci di intrattenere normali relazioni interpersonali, quasi fossero fantasmi
della rete. E la sensazione che le chat siano
luoghi abitati da fantasmi, avvertita a volte
dopo interminabili performance puramente
discorsive, non è molto gradevole.
Sarà per questo che alcuni preferiscono, dopo
qualche battuta chiarificatrice, imporre un incontro ravvicinato entro un’ora o due al massimo, per non perdere tempo e cogliere in pochi attimi l’estasi che fugge. In questi casi, se
non accetti l’invito a un incontro veloce sei
messo da parte e cancellato per sempre.
Eppure le chat sarebbero degli strumenti
straordinari se usati per conoscere davvero
tante persone che non si potrebbero mai incontrare nella vita di tutti i giorni: sia persone
della stessa città in cui viviamo che persone
abitanti in altre province, anche lontane, o addirittura in altri paesi. Conoscere persone può
essere una forma di arricchimento. Ma in genere non è questo l’uso che se ne fa.
A circa sessant’anni dalla pubblicazione del romanzo “1984”, sembra essersi realizzata, in
un certo senso, la profezia dello scrittore britannico, George Orwell che immaginava un
mondo futuro dominato da dittature totalitarie governate da un partito unico, capeggiato
da un personaggio mediaticamente onnipresente - chiamato Grande Fratello - e capace di
controllare in modo capillare e costante, momento dopo momento, la vita e il pensiero di
ogni singolo individuo.
Il Grande Fratello orwelliano sarebbe oggi la
rete, alla quale affidiamo quasi tutto di noi,
frammenti importanti della nostra identità: i
nostri gusti, i nostri consumi, attraverso le carte fedeltà dei supermercati; i viaggi, le vacanze, gli alberghi; e non solo come, ma quanto
denaro spendiamo, quindi il nostro tenore di
vita; ma anche gli orientamenti politici, culturali, religiosi attraverso i social forum; alla rete
consegniamo informazioni preziose sui nostri
orientamenti sessuali, sulla nostra propensione all’adulterio e persino sulle nostre piccole e
più o meno innocue perversioni. Manca solo
di dare l’indirizzo e le chiavi di casa.
Insomma, che l’uso massificato di internet sia
democrazia in atto o grande fratello è ancora
tutto da stabilire, malgrado il grande dibattito
sul tema in corso nel mondo già da tempo.
Eppure c’è qualcosa che ancora non siamo capaci di consegnare al mondo attraverso la rete
ed è il nostro stato di salute. La cosa sembra
ovvia ma, per esempio (e segnaliamo ancora
una volta il tabù), nei siti di incontri, e precipuamente nelle chat gay, nessuno o quasi ha il
coraggio di dichiarare la propria sieropositività. Chi lo fa, mostra nelle foto solo il busto e
non il volto, ma si tratta comunque di esempi
rarissimi.
Al di là di tutte queste considerazioni, c’è chi
se ne infischia e bada solo al risultato, sempre
tenendo presente che alla fine ciò che conta è
la fortuna personale. Anche nel mondo delle
chat. A questo proposito ecco un aneddoto
che fa al caso nostro. Qualche anno fa un mio
amico gay che vive a Nizza mi ha raccontato di
aver risposto una sera a un invito fattogli su
una chat da un tipo che prometteva di essere
un uomo di colore (nero), di corporatura atletica e virile in tutti i sensi. Il mio amico lo invita
a casa, ma quando dopo un’ora sente suonare
il campanello e apre la porta, si trova davanti
un tipo biondo, grasso, flaccido, bianco di pelle ed effeminato in tutti i sensi. Indovinate come è andata a finire? Ebbene, il mio amico si è
dimostrato disponibile e generoso (o si dice
“di bocca buona”?), e il biondone bugiardo,
consumato l’incontro, se n’è tornato a casa felice e contento, appagato anche dalla prova
evidente che mentire, a volte, paga molto bene.
Gianfranco F.
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6 • MAGGIO - GIUGNO 2013 • NUMERO 3 • ANNO XXII • EssePiù
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7-09-2013
13:21
Pagina 7
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EssePiù • ANNO XXII • NUMERO 3 • MAGGIO - GIUGNO 2013 • 7
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7-09-2013
13:21
Pagina 8
Le attività
dell’ASA
• Centralino informativo: 02/58107084, con il coordinamento dell’ISS/Ministero della Salute (progetto Re.Te.AIDS), lunedì - venerdì, ore 10 - 18.
• ASA Mobile: servizio di accompagnamento rivolto a persone sieropositive che devono recarsi in
ospedale per visite o cure in day hospital.
• Counselling vis-à-vis e consulenza psicologica per
persone sieropositive, partner e parenti.
• Internet: www.asamilano.org, sito istituzionale;
www.testami.it, portale dedicato alla somministrazione del test HIV a Milano e Provincia;
sito
di
e-learning
www.schivami.it,
per conoscere tutte le regole della prevenzione;
facebook, per simpatizzare con noi ed essere
sempre aggiornati sulle le nostre iniziative.
• Gruppo The Names Project: decorare, ricamare,
dipingere una coperta per ricordare un affetto
perduto e superare il dolore insieme agli altri. Le
coperte sono esposte ogni anno durante la Giornata Mondiale contro l’AIDS.
• International AIDS Candlelight Memorial, fiaccolata commemorativa in memoria delle vittime
dell’AIDS, ogni anno a primavera.
• Gruppo scuole: interventi di informazione e prevenzione nelle scuole.
• Banchetti: diffusione di materiale informativo
nei luoghi di aggregazione.
• Gruppo carcere: iniziative di informazione e prevenzione nel carcere di San Vittore.
• EssePiù: bimestrale di informazione e riflessione
rivolto a persone sieropositive e chiunque desideri saperne di più.
• bASAr: mercatino di beneficenza per la raccolta
fondi a sostegno delle attività dell’Associazione:in Via Arena 25, Milano, ogni secondo sabato
del mese dalle 10.00 alle 18.00, e da lunedì a venerdì, ore 14 - 18.
• Asta permanente di ASA su eBay, nell’area Aste
di beneficenza: vendita settimanale di abbigliamento e oggetti per raccogliere fondi a sostegno
di progetti e attività.
• HIV a Quattr’Occhi: serata informativa a cadenza
mensile dedicata soprattutto a chi ha scopertoda
poco di essere sieropositivo, per dialogare e ricevere informazioni da qualcuno che non sia un infettivologo o uno psicologo.
PER MAGGIORI INFORMAZIONI SULLE NOSTRE
ATTIVITÀ: tel 02/58107084; mail:
[email protected] – facebook: Asa Onlus
ASA
IN RETE
Il piacere
di dare
classici, sportivi o
di tendenza
LE DATE DEL bASAr
13 LUGLIO 14 SETTEMBRE
12 OTTOBRE 9 NOVEMBRE
DALLE ORE
10,30
ALLE
18,00
Il bASAr è il mercatino solidale di ASA che serve a
finanziare l’associazione. Puoi trovarci un po’ di
tutto: libri, oggetti per la casa, borse, cappelli,
scarpe e abiti, nuovi e usati, che puoi portare a
casa con una piccola offerta. Ti aspettiamo ogni
secondo sabato del mese in via Arena 25, a
Milano! Aperto anche nei giorni feriali (da lunedì
a venerdì, ore 14-18). E ricorda che il mercatino ha
anche bisogno di generosi donatori. Sostieni ASA
regalando al bASAr libri e oggetti che non ti
servono più o abiti che non metti da tempo!
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([email protected]).
Progetto
Externa
Con il contributo di ViivHealthcare
‘EXTERNA’ è lo sportello
di counselling settimanale,
presso l’ospedale San Raffaele Centro San Luigi per la Cura
e la Ricerca per le patologie HIV
correlate (Via Stamira
D’Ancona 20 – Milano).
Un operatore è a disposizione
dei pazienti che desiderino
confrontarsi e ricevere supporto.
Per informazioni: 02/58107084
(lunedì-venerdì, ore 10 - 18).
ASA
Corsi e benessere
CORSO DI YOGA
Mercoledì e Giovedì ore 19,00
Facciamo di tutto per tenerti sempre
informato sulla prevenzione. Vieni a
conoscerci nel web: puoi dire la tua
postando su facebook e google plus,
visitare virtualmente il basar, cercare
dove si può fare il test a Milano e
partecipare a un divertente corso
online per capire quanto sei informato
sulla prevenzione.
Sul sito ufficiale di ASA
(www.asamilano.org) puoi trovare i
nostri riferimenti in rete.
MASSAGGI SHIATSU
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