scarica PDF - Ruralpini

STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2007)
TRANSUMANZA BOVINA VENETA
di Sergio Varini
1.
COME
E DOVE È STATA PRATICATA
1.1 Premessa
Agli albori della storia l'uomo, dal diecimila al seimila a.C., è cacciatore e raccoglitore di
quanto spontaneamente la natura offre e solo dal settemila al duemila a.C. egli addomestica
prima pecore e capre e poi bovini, cavalli e cammelli. I suoi animali sono transumanti ed egli
beve latte fermentato scoprendo un nuovo cibo, la cagliata, anzi la ‘giuncata’.
Tante e diversificate nel tempo sono le tracce della transumanza arrivate fino a noi, con
l'archeologia, i fossili, le incisioni rupestri, i graffiti, la mitologia, la letteratura, l'arte in tutte
le sue espressioni, il folklore, la toponomastica, ecc. Eccone tre distinti e significativi esempi:
• il bassorilievo detto ‘fregio della latteria’, conservato nel museo di Baghdad (chissà se la
recente guerra l'ha risparmiato!); è di epoca sumera (3.000 a.C.) ed è considerato il più
antico reperto dell'arte casearia, allora praticata solo dai sacerdoti; raffigura inoltre, le
donne che provvedono alla mungitura della mandria transumante.
• l’affresco del tardo XV sec. che decora la cappella della Madonna del Bricchetto a Morozzo
(provincia di Cuneo) e riproduce un gregge transumante, la mungitura e la lavorazione del
formaggio.
•
Le stoan platten, le lastre di pietra calcarea che delimitano le proprietà ed i tratturi della
transumanza. Il particolare è abbastanza comune sull'Altopiano dei Sette Comuni, specialmente a Treschè Conca in comune di Roana.
1.2. La bibliografia
Le uniche fonti bibliografiche sulla transumanza in Veneto documentano unicamente le
migrazioni dei greggi ovini; sulla transumanza bovina non c'è una parola tanto che parrebbe
che nessuno, ad oggi, si sia seriamente impegnato a fare il ‘topo d’archivio’ per scovare documenti riferiti a questo specifico argomento. Bisogna allora chiarire subito che monticare o
smonticare, ovvero l’andare o ritornare a piedi per l’occupazione o il rilascio delle malghe da
parte dei bovini (cargar e scargar montagna), attività come conosciute e praticate nelle nostre
montagne venete, dal punto di vista storico-tecnico-bibliografico, non sono considerate
‘transumanza ’.
Come sarà spiegato in seguito, questa indagine vuole cercare di evidenziare se nel Veneto i
mandriani abbiano svolto effettivamente quella transumanza che presuppone una vita raminga
ed errabonda come da sempre è stato ed è in uso tra i conduttori delle greggi. Un esempio
della bibliografia veneta sulla transumanza la troviamo nel libro di Jacopo Bonetto Le vie armentarie tra Patavium e la montagna, nella cui copertina e retrocopertina sono raffigurate,
rispettivamente, la traccia, ripresa a Piazzola sul Brenta, di un'antica via romana che risaliva
2
VARINI
l'Altopiano e il saleso (strada lastricata in pietrisco levigato) nei boschi tra Crosara di Marostica e Conco.
1.3. Immigrazione: Oltralpe - Altopiano - pedemontana vicentina - praterie in destra
Brenta
L'immigrazione da Oltralpe sull'Altopiano dei cosiddetti cimbri bavaresi è avvenuta tra il
1.100 e il 1.200, ma storici quali Pierantonio Gios e Sante Bortolami sostengono che è continuata per alcuni secoli. Documenta invece Dionigi Rizzolo che, ad iniziare forse già dal 1200,
emigrano nella pedemontana vicentina genti altopianesi e i notai, negli atti di compravendita
(mancando i cognomi), trascrivono i soprannomi cimbri con l'aggiunta ‘todesco’ o ‘teotonico’
se trattatasi di altopianesi già colà residenti mentre, se l'acquirente è di lingua tedesca originario della Germania, è indicato con la dicitura ‘de Alemania’.
Questa emigrazione dall'Altopiano alla pedemontana e pianura è continuata per secoli,
anche se è documentato il percorso inverso di coloro i quali, per i più svariati motivi, ritornavano in Altopiano, o che comunque là trovavano nuova residenza.Passando quasi ai giorni nostri, chi scrive questa memoria può ricorrere alla conoscenza personale delle immigrazioni
avvenute dalla pedemontana vicentina e dall'Altopiano nella fascia delle risorgive in destra
Brenta, luogo conosciuto anche con l'appellativo ‘praterie del destra Brenta’, dove da secoli si
tramandano le irrigazioni con i tradizionali sistemi a scorrimento, con acque gestite attualmente dal Consorzio di bonifica Pedemontano Brenta. La quasi quarantennale attività professionale tra gli allevatori di vacche da latte del sito summenzionato mi ha permesso di consultare documentazione anagrafica e catastale, colloquiare con gli anziani di queste famiglie,
conoscere le malghe dai medesimi utilizzate durante il periodo estivo e dedurre con certezza
che molti, anzi moltissimi di questi allevatori, hanno stretti parenti, avi, o intrecciano parentela, con altopianesi.
La più recente ed importante immigrazione di queste famiglie in questo sito va collocata
tra il 1915-1930, determinata da persone arrivate con il profugato bellico e non più ritornate
ai luoghi d'origine, o richiamate dall'Altopiano perché qui c'erano interessanti aziende agricole
in vendita. Andando a ritroso, un'altra microimmigrazione in questa zona è quella che è avvenuta alla fine del XIX secolo, mentre avvenivano le emigrazioni transoceaniche. Delle famiglie
qui immigrate circa nel 1850 si dovrà parlare ancora, perché protagoniste di quel fenomeno
sconosciuto che è la transumanza bovina veneta.
1.4. Quadro storico ante-post 1850
Prima e dopo il 1850 si concretizza un micromovimento demografico particolare: singole
famiglie altopianesi acquistano, chi prima e chi dopo, case e terreni prevalentemente nella
zona delle risorgive tra l’Astico-Tesina ed il Brenta. I nuovi immigrati si impegnano affinché
nelle loro limitate aziende il prato stabile irriguo diventi coltura pressoché esclusiva, e da
antica data esperti nel fare il formaggio, dall'Altopiano si portano le loro piccole vacche montanare, buone lattifere e brave pascolatici; le conducono sino alle foci dei fiumi, alle valli (in
vae) e lagune venete; a giugno vanno a monticare (cargar montagna) nei paesi d'origine e a
settembre sono pronti a smonticare (scargar montagna) ed avviarsi a piedi, a capo della loro
piccole mandrie, nelle lagune (in vae) proprio come fanno i pastori. Svolgono quello che oggi
possiamo definire la vera, autentica e storica transumanza bovina! Per ipotizzare perché alcu-
3
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2007)
ni allevatori (forse in maniera discontinua ma, sicuramente, sino a circa il 1930) svolgevano
una così difficile ed inusuale attività, bisogna fare riferimento a precisi fatti storici, che sono
stati la bussola per questa loro particolare scelta.
1700: il secolo XVIII si apre per Venezia come era di pace adatta a continuare, anzi a sviluppare all’inverosimile, l’acquisto ‘a suon di ducati’ dell'entroterra: ville, palazzi, terreni,
opifici, magli, segherie, mulini, diritti su traffici. Nello stesso periodo, in Lombardia inizia la
rivoluzione preindustriale della lavorazione del latte che, ristretta nell'ambito aziendale e di
tipo familiare, passa ad una trasformazione in forma artigianale, fuori dalle singole cascine,
ed in veri e propri caseifici. Qui, nel Veneto, i nuovi proprietari terrieri veneziani, vedendo nel
sistema lombardo una diversa ed alternativa fonte di nuova economia, chiedono ai conduttori
dei fondi di mantenere, sì, l'allevamento bovino quale forza lavoro, ma di adeguarsi alla crescente richiesta di carni e formaggi. Simile indirizzo produttivo zootecnico va però direttamente a rinfocolare un'antica diatriba sempre rimasta aperta per i secolari diritti riconosciuti
ai pastori. La Federazione dei Sette Comuni fratelli difendeva per Venezia i confini a nord e
quest'ultima aveva garantito al pastore l'atavico accesso alla ‘posta’ e ‘pensionatico’ (da bisennaghen, pascere il pascolo), dove le greggi si riunivano prima della partenza per i pascoli
invernali o di sussistenza. Al pastore non interessa se i pascoli sono gratuiti o prezzolati, ma
piuttosto difendere l’antico privilegio di libero accesso ai terreni, sia privati che pubblici.
1765: Venezia è costretta ad abolire le storiche concessioni godute dai pastori, che sono la
causa d'infinita litigiosità con i proprietari di terreni privati, perché il mite esercito di
‘pecorelle di Abele’, in realtà, è peggio di un'orda di cavallette e non deve più entrare liberamente nelle proprietà private, anche se il pastore è disposto a prezzolare l’antico privilegio.
Anche se in pianura il transito dei pastori continuerà abusivamente, l'abolizione di queste
concessioni, da sempre riconosciute ai pastori, segna l'inizio della decadenza della pastorizia
veneta che, gravata anche da altre situazioni sfavorevoli, vedrà il patrimonio ovino passare
progressivamente, da circa 150.000, come media espansione, a 17.000 capi circa, all’inizio del
XX secolo.
1797: è l’anno dell’ingloriosa fine della Serenissima, decretata da Napoleone Bonaparte
che, a 13 secoli dalla fondazione di Venezia, le infligge l’umiliazione della prima invasione
straniera.
1807: la Spettabile Reggenza o Lega dei Sette Comuni fratelli, sempre per mano di Napoleone, cessa di esistere e, con l’annessione al Regno d’Italia, la più piccola Federazione d’Europa perde l’amministrazione ed il suo autonomo governo.
1915-1918: sono le date d’inizio e fine del primo evento bellico mondiale, che sconvolge
Stati, famiglie ed economie e, per quanto attiene all’oggetto di questa memoria, è il colpo di
grazia per la pastorizia nata sull’Altopiano. A guerra terminata, in montagna le malghe ricostruite accoglieranno, nei pascoli estivi, un numero sempre crescente di vacche e vitelle provenienti anche dalla pianura, ma sempre più rari saranno i belati delle greggi. Ora, e non a
torto, più volte ho sentito dichiarare dallo scrittore Mario Rigoni Stern che è un danno per
l’uomo e per la natura se i pascoli alti della montagna non vengono raggiunti dagli ovini, ma
l’appello per ora... non ha trovato risposta adeguata e l’alta montagna continua ad inselvati-
4
VARINI
chire!
1.5. La transumanza bovina veneta storica : 1850–1930 circa
E’ credibile che povera gente arrivata dalla montagna in pianura da metà del XIX secolo ed
anni successivi capisca il contesto storico appena descritto e per questo si inventi una coraggiosa e singolare attività? A mio parere, è un’ipotesi suggestiva e reale. Gli avi dei nostri protagonisti sono stati pastori ed il pastore (soprattutto all’epoca) non è mai povero; conduce una
vita essenziale, piena di rinunce e sacrifici, ma questa gente arriva nella fascia delle risorgive
in destra Brenta ed acquista ‘in contanti’ una casa ed un podere; è abituata ad essere proprietaria!
Allora chi vive in campagna è operaio agricolo, qualche volta fittavolo o mezzadro, ma
molti sono addirittura famigli, ricevendo solo il vitto quotidiano, un povero vestiario e nessun
salario e mai tutte queste persone, proprietari terrieri compresi, sarebbero state in grado di
organizzarsi per svolgere una nuova professione, quella del ‘pastore di vacche’; tant’è che
all’inizio, gli ex montanari trasferitisi in pianura vengono quasi scherniti, derisi o considerati
dai locali un po’ svitati. Ben presto però, constateranno che sotto quell’indubbio spirito zingaresco c’è una grande capacità realizzatrice, un naturale senso pratico ed innovativo, al punto
che oggi, con doveroso riconoscimento postumo, dovremmo dire che i nuclei familiari che hanno praticato questo tipo di transumanza hanno avuto un fiuto da veri imprenditori!
Quanto alla conoscenza storico-sociale, i nuovi immigrati sono infatti personaggi che in
montagna individuano la gente che passa per la strada come chi può essere messaggero e ambasciatore; là, la comunità, con grande senso civico, sociale e cooperativistico è abituata a
trovarsi in piazza al suono della campana; sa che le notizie corrono sulle gambe delle persone
ed il tam tam lento e sicuro dalla montagna, alla pianura, al mare, ostacoli non ne trova. Pertanto, che per la pastorizia si prospettino tempi bui, è cosa risaputa! L’allevamento bovino in
Altopiano c’è sempre stato, anche se all’epoca esercitato in forma molto marginale rispetto
alla pastorizia e chi, all’interno dello stesso nucleo familiare, si era già accorto che in pianura
la pastorizia diventava sempre più invisa, differenziava l’allevamento ovino-bovino, aumentando i capi bovini ai quali si destinava un proprio autonomo pascolo alpino, provvedendo in
loco alle scorte di fieno per
l’invernata.
Chi, arrivato in pianura,
si appresta ad iniziare la
transumanza bovina, quale
ex pastore, ha una conoscenza che somma secolari
esperienze sul territorio da
percorrere verso le foci dei
fiumi; non gli è oscura l’economia veneta; ha l’innata
congenialità per l’uso del
pascolo. Intuisce che, per
portare le vacche fino alle
Fig. 1 — Campo Marzio a Marostica: il sito da sempre è “posta” per i
lagune e nelle valli (in vatransumanti; quella in sosta è la mandria dei fratelli Sambugaro da Grossa di
Gazzo
e), bisogna adottare metodi
5
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2007)
diversi rispetto al pastore.
Ecco che i trasferimenti
non sono basati sul pascolo
occasionale o abusivo, ma
sull’acquisto o baratto:
latticini e letame contro
fieno-pascolo ed una tettoia dove svolgere l’attività
casearia; è necessario creare amicizie basate sul fatto
che una piccola mandria
che passa una volta all’anno non può provocare i
Fig. 2 - Settembre 1980 , Malga Melago: la mandria di vacche di razza
disagi del continuo passagRendena che sta lasciando l’alpeggio è dei fratelli Donà di Villalta di Gazzo.
gio di sempre nuove e voracissime greggi. In laguna in
vae dividono i casoni con i
pescatori e i latticini e i formaggi prodotti vengono venduti ai mercati dei paesi vicini. Dunque
una transumanza bovina con uno sguardo al futuro, ma d’estate cargar montagna quale legame con il passato.
Chi ricorda, e proprio parlando di famiglie di ex pastori, mi riferisce che andare in vae con
le vacche, cavalli e maiali significava espressamente ripudiare la pastorizia, ma nello stesso
tempo questa nuova esperienza era vista come ‘una stagione da sfruttare’ per aumentare i
capi di bestiame allevabili, per la convenienza del commercio dei latticini e formaggi che era
immediato, anche se nessuno s’illudeva che il pascolo in valle fosse scelta sicura o che sarebbe durata nel tempo. L’obiettivo che questi immigrati apertamente perseguivano era quello di
consolidare l’azienda agricola nella zona delle praterie del destra Brenta e contare sui pascoli
estivi in montagna molto più conosciuti e sempre più disponibili per l’arretramento dell’attività pastorale.
Dunque nel Veneto, monticare o smonticare, ossia andare o rientrare a piedi dalla malga
con il bestiame, tecnicamente è ‘caricare o scaricare’ la malga, mentre ‘andare in vae’ per
fare ‘il pastore delle vacche’ è - ed è stata - la vera ed autentica transumanza bovina veneta
che, cessata verso il 1930, va storicamente ricordata quale anello di congiunzione tra la pastorizia e l’allevamento bovino d’alpeggio.
1.6. ‘Andare in vae’: mete e protagonisti
Le poche famiglie che arrivando in pianura verso il 1850 iniziano a fare questo tipo di transumanza, salvo la sporadica breve residenza in pedemontana, provengono direttamente dall’Altopiano. Il luogo di partenza più nominato è Foza, ma la rete parentale e l’utilizzo delle
malghe mettono nella condizione i protagonisti di questa vicenda di conoscere tutte le zone
montane dell’intero territorio dell’Altopiano dei Sette Comuni.
Dalla pedemontana al mare questi sono i passaggi e le mete nominati dai ‘pastori delle
vacche’: Valsugana; Valstagna; Bassano del Grappa; Marostica; i paesi della fascia delle risorgive in destra Brenta ed in particolare Carmignano di Brenta e San Pietro in Gù; Villa Marina a
Tremignon di Piazzola sul Brenta; Padova città (Caffè Pedrocchi e Canton del Gallo); Bovolen-
6
VARINI
ta; Pontelongo; Arzergrande; Civè e Corbezzola; Legnaro; Piove di Sacco; Corte di Piove di
Sacco; Lova e Campagna Lupia; Codevigo; Santa Margherita e Conche di Codevigo; Valle Mille
Campi; Valli di Chioggia; Cona; Conetta; Pegolotte; Lendinara; Spinea; periferia di Mestre e
Marghera. I miei testimoni non ricordano i nomi dei fiumiciattoli, canali e specchi d’acqua che
comunque venivano incontrati e dei fiumi vengono nominati il Brenta, l’Adige ed il Bacchiglione. Quanto alle famiglie direttamente protagoniste di questa vicenda, vengono citate le seguenti:
- famiglia Sambugaro, detta Sambugari dea Bisa, proveniente da Gallio;
- famiglia Biasia, forse detta Ori Biasia, che da Foza si trasferisce a Spinea (Ve), poi nelle—
praterie del destra Brenta;
- famiglia Biasia da Foza, forse detta Panegaia, che si trasferisce prima nel sito detto
‘Casona’, tra San Pietro in Gù e Gazzo Padovano, e poi a Grantorto;
- famiglia Biasia detta Biasietta da Foza, emigrata prima a Lisiera di Bolzano Vicentino, poi
a Calonega e a Barche di San Pietro in Gù;
- famiglia Lunardi, detta Scareger a Foza e Scaliera a San Pietro in Gù;
- famiglia Lunardi, detta Scatoin da Foza;
- famiglia Finco, detta Lero da Gallio;
- famiglia Lazzaretti, da Lazzaretti di Foza;
- famiglia Dalla Bona ed in particolare i fratelli detti Peo, Toni e Tan provenienti da Gallio;
- famiglia Agostinelli Agostino, da San Pietro in Gù, con il suo vaccaro Cortese Giovanni;
- famiglia Gheller Virginio e Giovanni originaria da Foza, che da Nove transumava, unita
mente a quella del fratello Andrea, in vae;
- famiglia Gheller Andrea originaria (come quella dei fratelli Virginio e Giovanni) di Foza,
che immigra a Friola di Pozzoleone nel sito denominato Tesa Longa;
- famiglia Tagliaro da Gallio; si trasferisce a Carmignano di Brenta nella proprietà del con
te Negri.
Non è da escludere che vi siano stati anche altri nuclei familiari autentici protagonisti di
questa singolare esperienza e pertanto è auspicabile che la ricerca continui.
Tra chi ricorda ancora questi fatti è diffusa la convinzione che ogni famiglia transumante
fosse collegata, per parentela o reciproci interessi, con più famiglie; per cui la piccola mandria riuniva animali di più proprietari e a comprova m'informano di speciali "poste" di vacche
montanare. Mi viene indicato l'esempio di Contrà Calonega di San Pietro in Gù, dove a settembre arrivano vacche di proprietà di altopianesi che per i più svariati motivi non le possono
accudire durante l'inverno: causa scarsità di scorte foraggere in montagna, oppure perché i
proprietari sono in giro per il mondo a fare lavori stagionali, ma vogliono salvare anche un
singolo capo di bestiame. In quel sito, ricco allora di risaie, c’era chi aveva abbondanti scorte
di fieno per l’inverno ed i proprietari locali ritenevano prezioso come l’oro il ‘burro nero’; così
era chiamato il letame, il solo che poteva mantenere la fertilità dei suoli e per questo a marzo, calcolando il dare e l’avere, si stimava il volume sia del fieno consumato che del letame
prodotto dai capi bovini degli altopianesi. La mandria, prima di tornare in malga, partiva per i
pascoli in vae .
In altra parte di questa mia memoria si fa esplicito riferimento alla vita quotidiana, usi e
costumi delle famiglie appena elencate, all'astuto ricorso del linguaggio cimbro in situazioni
difficoltà, e di come, tra i transumanti, fosse tale l'autostima, da farli esplicitamente dichiara-
7
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2007)
re che per andare in vae bisognava avere ‘una marcia in più’ rispetto a qualsiasi altro allevatore.
1.7. Considerazioni
Vita è un bel romanzo (premio Strega 2003) di Melania G. Mazzucco che racconta di personaggi veri, suoi parenti emigrati in America, proprio mentre qui altri pionieri vanno ad esplorare, per la prima volta, cosa riservi quell'attività che oggi chiamiamo transumanza bovina
veneta. Si lamenta la scrittrice d'aver aperto troppo tardi la valigia dei sogni di questi suoi avi
e si sente costretta a dire: "La storia di una famiglia senza storia, è la sua leggenda" , spiegando che quando i diretti protagonisti non ci sono più, molte domande restano senza risposta e
chi tra i familiari viventi ricorda, non sempre distingue quel che è storia da quel che è leggenda. Oggi per questa nostra vicenda sono preziose le testimonianze, se possono ancora affermare: «Quand'ero bambino, i miei nonni, i miei genitori, i miei familiari portavano le vacche a pascolare in
vae».
La silenziosa lezione di vita che traspare dalle testimonianze che personalmente ho raccolto tra chi ricorda questi fatti, mi fa dire che le loro esperienze, per il dove, come e quando si
sono sviluppate, sono una cosa grande, anzi grandissima; e, tra gli allevatori e quanti altri
considerano i pascoli montani un naturale cordone ombelicale con la pianura sottostante, deve
diffondersi l'idea che questi loro avi, quali ‘padri nobili’, meritano nella bibliografia veneta
della transumanza bovina quel giusto spazio che oggi, ancora, non hanno trovato.
Molto, a mio giudizio, dovrebbe essere fatto da Associazioni, Istituzioni, Enti o privati, perché le umili imprese di questi coraggiosi esploratori venissero riconosciute, non come leggenda
o favola, ma quale autentico fatto storico che incolpevolmente ha chiuso la
Residenze-poste
gloriosa epoca della pastorizia montana ed aperto
Tratturi
quella della zootecnia bovina da latte, progressivamente radicatasi e sviluppatasi nelle prateria del
destra Brenta e poi consolidatasi anche nei soprastanti pascoli montani.
2. LE
TESTIMONIANZE
2.1. La raccolta delle
prime evidenze
Fig. 3 — Geografia della transumanza bovina veneta storica
8
Le prime informazioni sull’autentica ed antica transumanza bovina veneta mi
VARINI
sono state riferite nell’estate del 1987 quando, parlando della pratica della monticazione, si
argomentava che, anche in quella stagione, era stato molto il bestiame che dalla pianura era
stato trasferito in malga.
In quell’anno si prevedeva che, a fine stagione, solo una o al massimo due mandrie sarebbero rientrate a ‘quattro zampe’, e tutto l’altro bestiame, come all’andata, sarebbe tornato
con i camion. Fu in quel momento che il cav. Silvio Frighetto, Presidente della Latteria di Camazzole, con una semplice frase squarciò un velo di assoluto silenzio che era stato posto su
una pratica cessata almeno mezzo secolo prima.
Diceva appunto il mio interlocutore che, una volta, le mandrie non solo a giugno monticavano a piedi, non solo, a fine settembre, smonticavano ridiscendendo a piedi, ma, giunte in
pianura, iniziavano un lungo pellegrinaggio, per andare a pascolare fino al mare, alle foci dei
fiumi, alle lagune venete, in vae. Mai, prima di allora, avevo letto o sentito parlare che il
bestiame bovino nel Veneto avesse praticato la transumanza, tipica, invece, della pastorizia!
A tutti, infatti, era noto il monticare o smonticare cargar e scargar montagna, ma il cav.
Frighetto parlava di una pratica che non prevedeva ben definiti pascoli o fisse dimore, ma di
uno spostamento errabondo di paese in paese, di bovini che arrivavano al mare e poi rientravano nelle stalle poste nella zona dei prati stabili, tra i fiumi Astico-Tesina e Brenta.
Alla mia osservazione che simile pratica poteva sicuramente essere avvenuta mille anni
prima, l’intervistato affermava che si trattava invece di lavoro svolto da sua madre e da
stretti parenti, d’aver visto da ragazzino mandrie transumanti, che a testimoniarlo c’erano
pure gli altri suoi fratelli più anziani e mi snocciolava nomi e cognomi di altre persone viventi,
che potevano ancora ricordare o riferire quanto avevano fatto i loro genitori o nonni.
È così che è avvenuto il mio primo impatto con questa storia; ed avendo effettivamente
trovato conferma anche con altri racconti e testimonianze, volevo che un fatto di costume
così rilevante fosse conosciuto dal pubblico. Era indispensabile, allo scopo, trovare una mandria di vere vacche montanare che, al comando dei mandriani, sapesse camminare per vie e
piazze anche in presenza di persone. Quell’anno Tarquinio Marini, uno dei più vecchi malghesi,
sembrava fosse uno degli unici che rientrava, camminando, a capo del suo bestiame (come
continua a fare tuttora, non per un effettivo motivo di utilità, ma solo per il suo piacere di
mantenere un’antica tradizione). Spiegato al Marini cosa intendevo fare, raccomandavo che
una volta arrivato in azienda a Camazzole di Carmignano di Brenta (Pd) continuasse a mandare
le bestie al pascolo fin tanto che un ben selezionato gruppo di mandriani non avesse trovato
vestiario appropriato, e avesse assimilato gesti e modalità in uso tra gli antichi transumanti
che andavano e venivano dalla laguna. Così quella domenica 13 dicembre 1987 le vacche montanare di Tarquinio Marini ed un gruppo di mandriani, quali consumati attori, proponevano la
rievocazione di un’antica transumanza che nessuno più ricordava.
La rievocazione del 1987 a Camazzole di Carmignano di Brenta (Pd), pur evidenziando le
fatiche e i disagi di un mondo contadino totalmente scomparso, faceva capire che il ricordo si
caricava di poetica bellezza ed era importante, dopo le prime testimonianze, raccogliere altre
informazioni per non dimenticare le origini, le radici di un passato che, se conosciuto, aiuta a
vivere meglio il presente e migliorare il futuro. Restano così memorabili le rievocazioni successive fatte di giorno e di notte attorno, nonché dentro e fuori, le mura medievali di Cittadella (Pd) nei giorni 7-8 ottobre 1990, proponendo nuovi ed autentici particolari degli antichi
tragitti. Di seguito verranno riportate conversazioni avute con coloro i quali ricordano personalmente (o tramite racconti di famiglia) queste vecchie vicende legate alla storia di un quasi
nomadismo.
9
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2007)
2.2. Stagionalità dei
pascoli
nelle
valli
lagunari in vae
La mandria dei Sambugaro
da Camazzole di Carmignano di Brenta (Pd) rientrava
dalla malga all’epoca consuetudinaria dello scarico
della montagna (fine settembre) ma, dopo breve
sosta a Camazzole, proseguiva fino ad arrivare alle
Valli di Chioggia e toccare
poi Pegolotte, Cona, Conetta, tutte in provincia di
Fig. 4 - Tarquinio Marini, uno dei più vecchi malghesi dell’Altopiano di
Asiago, sta dicendo al figlio Raffaele che, per fare un buon formaggio di
Venezia, fino a Lendinara
malga, servono solo «latte, fuoco e caglio».
(Ro). A fine dicembre, questa famiglia originaria di
Gallio rientrava nell’azienda di Camazzole per ripartire in giugno, per il carico della malga.
La famiglia dei Biasia, già allevatori di bovini in Foza, circa nel 1850 aveva aperto un secondo centro aziendale a Spinea (Ve), praticando il pascolo fino all’attuale periferia di Mestre
e Marghera. Allora la zona non era completamente bonificata, e numerose erano le valli e le
zone lacustri, adatte ad un pascolo autunno-invernale e comunque fino all’epoca del ritorno in
malga. I Biasia, ogni mattina da Spinea, con la barca, portavano i prodotti freschi per venderli
a Venezia in piazza San Marco: latte, burro, panna, ricotta, formaggio. Un anno, proprio questa mandria, in sosta nei pascoli a Spinea, è stata colpita da carbonchio e le autorità sanitarie
hanno imposto il suo intero abbattimento.
Un’altra mandria di bestiame, quella dei Lunardi, partiva da Grantorto a fine marzo e restava nelle Valli di Codevigo tutta la primavera. I mandriani andavano a pescare in laguna, con
le barche dei guardiapesca, ed il pescato veniva consumato con gli stessi guardiani, ai quali
doveva essere passata ogni informazione circa l’avvistamento di eventuali pescatori di frodo.
Per la verità, i guardiapesca gustavano molto più volentieri i prodotti della caseificazione! In
giugno questa mandria andava ad utilizzare i pascoli di malga Moline.
2.3. Trasferimenti e stazzi della transumanza bovina
Quando il bestiame partiva per le valli della laguna (andare in vae), o nel rientro alla stalla
di origine, veniva fatto camminare molto piano quando il percorso incrociava rive e fossi pascolabili e solo occasionalmente (essendo vietato dall’autorità idraulica) con passaggio veloce
e furtivo, lungo gli argini dei fiumi, badando, in ogni caso, di evitare o precedere il cammino
dei pastori o scegliendo, all’occorrenza, percorsi alternativi rispetto alle greggi. Il bestiame
bovino, infatti, non sopporta i tipici ed intensi odori ircini rilasciati dagli ovini!
Era invece caratteristico della transumanza bovina andare di casa in casa a consumare le
mee, ovvero il fieno sciolto ammucchiato nelle mete, le tipiche formazioni coniche con un
palo di legno, lo stollo, infisso per terra che va a sovrastare i cumuli di fieno ed il suo consumo
10
VARINI
era stimato in metri cubi. Il
tutto veniva barattato con
burro, formaggio o acquistato con denaro contante.
Durante il tragitto, per o
dalle lagune, molte erano le
incombenze, ma indispensabile era trovare legna da
ardere, pascoli o fieno,
stazzi per le soste notturne
delle bestie, tetti di ospitali
case padronali, baracche o
Fig. 5 - Mete di fieno: prima di arrivare nella laguna veneta (in vae), se
casoni dove, pressoché
non si trovavano pascoli, il bestiame veniva foraggiato con il fieno sciolto
quotidianamente, fare il
delle mete, che i transumanti barattavano con burro o formaggio, oppure
veniva acquistato ‘in contanti’. Foto G. Grava – G. Tomasi.
formaggio.
Mentre avvenivano questi
spostamenti, i cani assumevano un’importanza strategica nel mantenere uniti i capi bovini o nella custodia degli stazzi
notturni. Al collo portavano un collare chiodato con le punte sporgenti esternamente cosicché,
se attaccati dai loro simili o da animali selvatici, potevano aggredire il collo nudo dell’avversario ed avere una valida difesa contro i morsi altrui.
Ai comandi, ognuno di questi ‘guardiani’ attribuiva la massima attenzione, se dati dal
padrone (uomo, donna, ragazzo che fosse) che principalmente lo aveva istruito o alla persona
che nel tempo meglio l’aveva curato, coccolato o più semplicemente perché, com’è istinto
per i canidi addomesticati, ‘fido’, da quando è diventato nostro compagno per guardia e difesa, nomina una determinata persona il suo ‘capobranco’, al quale assicura fedeltà, obbedienza
e sottomissione assoluta.
Al calar della notte, per
terra si piantava il bastone
di ogni singolo vaccaio, apponendovi sopra il rispettivo
cappello e ciascun cane, ad
un preciso comando, andava
ad accucciarsi proprio sotto
il bastone e cappello del
‘padrone-capobranco’. I
bastoni venivano collocati
alla giusta distanza di modo
che ogni singolo ‘caneguardiano’, dalla propria
postazione, poteva vedere
sia il proprio compagno di
destra che di sinistra, eraFig. 6 - La mandria sta monticando o smonticando? Gli antichi transumanti
no sistemati cioè in modo
questa domanda non l’avrebbero capita e poiché, consideravano i pascoli
da disegnare un cerchio o
alpini il cordone ombelicale della pianura, avrebbero risposto che loro,
come sempre, stavano cercando un pascolo per le loro vacche.
comunque una figura geo-
11
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2007)
metrica chiusa entro la
quale la mandria giaceva e
ruminava tranquillamente.
La circonferenza di questo
cerchio o lati di questo
stazzio venivano dai mandriani percorsi e calpestati
per tutta la loro lunghezza
in andata e ritorno sicché
alla fine quelli erano diventati pista con scia odorosa
e linea virtuale, ma invalicabile sia dall’armento che
Fig. 7 — Stampo per burro che alla fine del XIX secolo, durante la
transumanza, era usato dalla famiglia Sambugaro.
da animali randagi, persone
sconosciute o malintenzionate .
Le ‘attente sentinelle’ rintuzzavano e sospingevano verso l’interno del cerchio le vacche
che avessero tentato d’avvicinarsi o superare questo confine e richiamavano i proprietari ringhiando e ferocemente latrando contro animali o soggetti sconosciuti in avvicinamento, o magari intenzionati a trovare un varco nella già nominata immaginaria, ma ben presieduta, frontiera. Messi alla prova da eventuali invasori, tutti abbaiavano non muovendosi disordinatamente dalla loro iniziale posizione, ma avanzando verso la fonte del pericolo uno, due o tre alla
volta e ritirandosi cosicché mentre avanzava il cane di destra, quello di sinistra arretrava. Gli
allevatori, svegliati dal frastuono e dal trambusto, accorrevano: gli invasori normalmente sparivano con il favore della notte, e tutti gli uomini e i loro ‘fedeli alleati’ ritornavano nei rispettivi giacigli fino all’albeggiare, quando i padroni spostavano i quadrupedi, permettendo ai
cani di rompere il sistema di guardianìa di massima allerta.
Qualche volta però l’intruso o gli intrusi non arretravano e se lo scontro diventava inevitabile, all’attacco partivano tutti i ‘guardiani notturni’ che, nel loro raggio di visuale, inquadravano il teatro della battaglia che si stava profilando. Questa testimonianza l’ho raccolta direttamente nella mia famiglia ed è stata confermata dai miei primissimi informatori, come la
famiglia Frighetto ed altri, ma quel che sorprende è la similitudine con un racconto scritto da
Pietro (Piero per gli amici) Cappellaro da Grantorto, che come i Frighetto, ho elencato tra le
famiglie testimoni di questa storia.
Dov’è allora la stranezza?… è che Piero parla espressamente dei cani dei pastori altopianesi; nessun allevatore di vacche, sia in pianura che in montagna, usava o usa ammaestrare questi ‘vigilantes’ come sopra descritto, modalità invece un tempo tipica proprio del mondo pastorale indigeno. Evidentemente ‘i pastori delle vacche’, così come possono essere appellati i
praticanti della vecchia transumanza bovina, spergiurando di non conoscere o di non aver nulla a che fare con i pastori di greggi, volevano semplicemente negare l’evidenza… Dunque questi ed i progenitori stessi erano stati pastori altopianesi ed avendone ereditato le usanze, le
adottavano con i bovini, soprattutto nell’avvicinarsi o nell’allontanarsi dalle valli lagunari,
considerate mete critiche se non addirittura pericolose. Il cane, allora, quale sicuro deterrente per contrastare l’abigeato? Non sempre le cose si concludevano come nelle note appena
riportate, e succedeva l’irreparabile, con ferimento, abbattimento o furti di animali, ma pastori e vaccari mai hanno smesso di credere in un vero amico dell’uomo, il cane!
12
VARINI
Curioso e ripetuto episodio è quello successo poi con alcuni di questi pur ‘fedelissimi compagni’ che, non vedendo alcuni dei padroni al seguito dell’armento, si allontanavano andando
a ritroso dalla sede di valle a quella di pianura e da questa fino alla malga salvo poi rifare nuovamente la strada, fino a ritrovare la mandria ed il padrone che prima era assente. Evidentemente qualcuno di questi cani soffriva di nostalgia o forse bisogna dar credito alla teoria del
‘padrone capobranco’
Sia all’andata che al ritorno, era un classico per uno di questi armenti fermarsi a Villa Marina a Tremignon di Piazzola sul Brenta (Pd). Poteva sostare anche una settimana e mentre
sotto i portici della villa padronale si svolgeva l’attività quotidiana e si faceva il formaggio, le
vacche pascolavano nei dintorni degli argini del Brenta o consumavano le mee. Questa sosta,
per gli abitanti locali, si trasformava in una festa, in un vero e proprio mercato: i contadini dei
dintorni barattavano legna e fieno, pascolo nei loro campi in cambio di latticini freschi, e chi
tra loro era produttore di latte, partendo anche da contrade molto lontane, lo portava a Villa
Marina perché quegli abili casari lo trasformassero in prodotti freschi. Il sito funzionava da
latteria ambulante e come al mulino, il nolo si pagava in natura. Il siero veniva dato ai maiali,
scrofe e lattonzoli che gli allevatori facevano marciare a piedi, al seguito di tutta una singolare processione di quadrupedi.
Per consuetudine una di queste mandrie passava per il centro di Padova, proprio davanti al
Caffè Pedrocchi, ed attraversava Canton del Gallo all’imbrunire, proprio quando l’addetto alla
pubblica illuminazione andava ad accendere le torce o le lampade ad olio. La mandria incrociava poi il Bacchiglione il cui corso indicava la direzione del mare.
La parte più critica dei trasferimenti erano i paesi a sud di Padova, forse perché era difficoltoso acquistare fieno o perché immediatamente al piede degli argini il terreno era coltivato
ed il bestiame, assai spesso, sconfinava. Succedeva così che le bestie affamate erano inseguite
da persone inferocite ed armate di forche e bastoni, anche se le liti a nulla approdavano, perché gli ex montanari si mettevano a parlare inframmezzando termini della loro antica lingua –
la cosiddetta parlata cimbra – ed i contadini locali dovevano desistere concludendo che era
inutile parlare con quella gente che ciauscava ovvero che si esprimeva con un linguaggio incomprensibile. Superato Piove di Sacco (PD), gli allevatori trovavano campi di stoppie di mais
dove pascolare.
Dietro compenso in danaro acquistavano, prenotandolo già l’anno prima, il
raccolto di interi campi
marginali coltivati a mais,
spannocchiando dove la
granella era completamente matura per trasformarla
poi in farina per la loro
polenta, ma lasciando tutte
le altre pannocchie, le
foglie, i fusti e gli stocchi
al pascolo della mandria,
anticipando con ciò, e di
Fig. 8 — Villa Marina a Tremignon di Piazzola sul Brenta; al loro passaggio i
gran lunga, un moderno
transumanti trasformavano i portici delle ospitali case padronali, come
questa, in latterie ambulanti.
sistema di foraggiamento
13
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2007)
del bestiame.
Per il piccolo armento dei Lazzaretti da San Pietro in Gù (ma la circostanza valeva anche
per tutti gli altri) l’approssimarsi della laguna era annunciato da sempre più frequenti specchi
d’acqua e canali, ma il bestiame, attratto dall’odore dell’erba e dalle nuove possibilità di pascolo, guadava i canali dando l’esempio ai cavalli e maiali, che mai abbandonavano la
‘squadra’. Gli ex-montanari, non sapendo nuotare, guadavano attaccandosi alle code delle
vacche.
A Lendinara, ad una certa Lunardi, maritata a Sambugaro, che andava a far acqua nell’Adige, sfuggiva di mano la piccola figlia, che in quelle acque annegava. Il fatto è confermato da
diverse testimonianze che discordano però sul luogo dell’avvenimento, da collocarsi comunque
durante uno dei trasferimenti dagli acquitrini nei pressi della foce del Brenta, alla zona di
Lendinara, bagnata dall’Adige.
Dalla montagna al mare queste famiglie conoscevano tutte le banche e nei loro transiti
lasciavano un po’ ovunque qualche soldino da ritirare a tempo debito. Dopo la Grande Guerra,
quando i signori e proprietari di grandi tenute, verso il 1925, hanno iniziato a venderle, questi
seminomadi hanno acquistato per sé, o segnalato a loro parenti, terreni ed aziende agricole in
vendita. A Camazzole, legata a quest’epoca e circostanza, c’è stata una vendita di oltre mille
campi (400 ettari) di proprietà dell’ex Amministrazione Breda di Padova.
2.4. Quotidianità di una vita nomade
Il tabacco e la grappa non venivano acquistati nei pubblici esercizi: per il primo, fornitori
erano i pastori che, passando per la Valsugana, conoscevano i produttori e, sotto i tabarri od
altrove, le foglie di tabacco sfuggivano a qualsiasi controllo della Finanza; per la grappa, si
conosceva il metodo della distillazione ed i giorni di nebbia tenevano lontani occhi indiscreti…
Acquistavano invece, ed avevano in abbondanza, il sale per la salatura del formaggio ed il
sale pastorizio per il bestiame. Alcune famiglie di questo eterogeneo corteo ripetevano un
loro singolare proverbio:
Vaee più un San Micee (29 settembre)
Che sento Madone (25 marzo)
… e spiegavano il motto ricordando che a settembre era una gioia pensare che s’andava verso
le valli della laguna, mentre a marzo era con dispiacere che si approssimava il tempo per ritornare in montagna (tra l’altro, terra delle loro origini!).
Durante tutto il trasferimento in valle e ritorno, loro commerciavano tutti i giorni, incontravano persone, trasformavano immediatamente il frutto del loro lavoro in soldini, dormivano
quasi sempre al coperto nei casoni delle valli, o nei fienili (preferiti erano quelli sopra le scuderie dei cavalli perché, notoriamente, gli equini non sviluppano quell’intenso vapore acqueo
che, nella stagione autunno-invernale, normalmente ristagna nelle stalle dei bovini).
Alcuni di loro, oppure loro amici o conoscenti altopianesi, durante questo periodo, erano
chiamati presso famiglie per preparare, con speciali tecniche (droghe e salatura), carne suina,
bovina, equina, asinina, ovina, oppure si cimentavano nel preparare carne essiccata o affumicata; sapevano scegliere i migliori legnami per utensili ed attrezzi agricoli, conoscevano la
tecnica della forgia e tempra del metallo con il sapiente uso dell’urina di cavallo e la tecnica
della piegatura dei manici o attrezzi di legno, con una speciale stufatura ottenuta con il natu-
14
VARINI
rale calore dei cumuli di letame, ed affinando il processo con l’immersione del legno
nel siero caldo.
Quando ho raccolto queste testimonianze, quasi per un confronto, sono andato a
rileggermi Arboreto salvatico di Mario Rigoni
Stern e per una conferma di un’unica ereditata matrice culturale, voglio qui riportare il
piccolo e semplice passaggio di come lo
scrittore descrive un possibile utilizzo del
legno di faggio:
Da particolari tronchi, dovevano essere diritti
e a venatura compatta, venivano conservati i
pezzi vicino alla base che poi, spaccati con
precisione lungo la venatura, venivano messi
a stagionare sotto il portico appesi ad uno
spago. Da questi pezzi uscivano i manici per
ogni uso: scuri, mazze, martelli, picconi,
scalpelli perché il faggio è il legno che meglio
di ogni altro si adatta alla mano dell’uomo e
ben lo sapevano i Veneziani che saggiamente
amministravano le faggete per avere gli alberi
da remi per le loro navi.
Fig. 9 — “Bronzina” per la vacca regina o capomandria
che gli avi della famiglia Sambugaro da Gallio usavano
durante la loro transumanza, che sembra arrivasse fino
a Landinara (RO); come si può vedere alla sua base,
questo cimelio è stato fabbricato nel 1769.
I conterranei di Mario Rigoni Stern, emigrati circa nel 1850 nella fascia delle risorgive e praterie del destra Brenta, sicuramente non
sapevano legare i segni astrali a singole piante di bosco, né citare la classificazione botanica
delle varie conifere, ma le testimonianze provano che, come lo scrittore, del larice, dell’abete, del pino cembro e di tutte le essenze arboree che il ‘cantore dell’Altopiano’ descrive, avevano un’antica e pratica conoscenza di quale fosse il loro migliore uso.
Non era fuori luogo se, lungo le vie della transumanza bovina, al detto «montanaro: scarpe
grosse e cervello fino», s’accompagnava una sincera stima per queste persone che, con sicurezza, delle piante del bosco sapevano indicare, ad esempio, dove e come gli zatterieri del
Brenta le facevano arrivare; quale fosse, a seconda dell’uso,il criterio di scelta del legname
più pregiato; di come e chi, quali veri maestri d’ascia e pialla, chiamare per trarre dal legno
attrezzi pronti a sfidare qualsiasi usura ed accompagnare, sollevandole, le fatiche degli uomini
e degli animali.
Questa gente affermava che, in montagna, per loro la vita era molto più dura: non c’erano
contatti o commerci quotidiani, spesso non esistevano stalle, la vita per lo più era all’aperto,
esposti così alle intemperie se non all’addiaccio perché gli eventi bellici avevano distrutto
tutto.
Qualcuno di loro aveva l’abitudine di portare sia in malga che in valle i conigli, salvo liberarli appena costruite delle sedi di rifugio con rami e tronchi. Al momento della partenza i
conigli erano catturati, ma all’occorrenza impallinando gli ultimi renitenti.
Con l’armento camminava anche il toro a cui, se era il caso, veniva posta una tela penden-
15
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2007)
te dal ventre perché non fecondasse vacche e vitelle fora stajion.
Nei frequenti cambi di stazzi, era facile avere possibilità di pascolo da quei proprietari
che, pur chiedendo un compenso generalmente in natura, apprezzavano che il terreno fosse
concimato da deiezioni bovine e, nei percorsi stradali, era consuetudine essere inseguiti dai
ragazzini che raccoglievano invece, le deiezioni dei cavalli. Era perfino ricordato che le deiezioni spettavano (quasi una prelazione) ai frontisti.
La bestia che per qualsivoglia motivo avesse avuto bisogno di controlli, portava al collo la
canagoea, una cattura di legno atta a fermare l’animale in qualsiasi momento.
Anche nei trasferimenti da e per le valli lacustri le bestie erano bardate con un piccolo
campionario di campane, campanacci, bronzine, campanelli e quando gli allevatori dai pascoli
lagunari rientravano nelle loro case agricole in destra Brenta, dove ora i loro prati era diventati coltura prevalente, mettevano sul cappello l’infiorescenza maschile del mais, el penacio,
per far capire che loro erano andati a pascolare anche nei campi di mais del veneziano, rodigino o bassa padovana. Incitavano il bestiame con la parola ramontagna, ramontagna, che per
loro significava quasi dire alle vacche «su belle, camminate nuovamente verso la montagna!».
2.5. Usi e costumi di un presepio ambulante
Come si può leggere in altra parte di questa memoria, per queste genti, che verso il 1850
erano immigrate nelle praterie del destra Brenta, il cambio epocale era già avvenuto in Altopiano quando tra l'allevamento ovino o bovino avevano optato per quest'ultimo migrando in
piano con le loro piccole vacche montanare, brave a pascolare, ma a differenza di quelle di
pianura allevate apposta per la triplice attitudine (lavoro, carne e latte), loro erano scelte
solo se buone produttrici di latte.
I proprietari di questi piccoli armenti erano individui orgogliosi che in pianura non volevano
essere confusi con i pastori (anche se quella era stata la loro professione e di tutti i loro antenati), considerandoli infatti una categoria che non aveva raggiunto un riscatto sociale e si ritenevano superiori agli stessi semplici e stanziali allevatori di bestiame e perfino a quelli che,
pur non andando in vae, monticavano.
Fare la transumanza bovina voleva dire perciò, sapersela cavare in qualsiasi circostanza ed
ogni persona che seguiva queste bestie sapeva fare cento mestieri.
Nel loro gergo chiamavano gaburi, ovvero gente allocca, inbaucà, o comunque che «non
sapeva fare cento mestieri», tutti quelli che incontravano nel loro cammino. Questo nel loro
intimo, ma furbescamente se dovevano parlare con le persone incontrate per strada mostravano iniziale umiltà facendosi commiserare perché erano costretti a passare e dicevano «siamo
dei poveri ‘ciussetti’ pelleossa che dobbiamo camminare proprio di qua per proseguire nella
nostra strada».
Al loro passaggio nelle località a sud di Padova e nelle zone vallive era in uso dire dai locali
che stavano transitando i omeni dee gobe grande, perché vedevano sul basto del cavallo sistemata la grande caldaia per fare il formaggio. Evidentemente la gobba piccola poteva essere,
invece, quella del paiolo per fare la polenta. Venivano pure chiamati ciussi forse quale storpiatura del verbo dialettale veneto ciauscare, ovvero parlare in maniera incomprensibile.
Con sé portavano: le suppellettili indispensabili per la vita quotidiana, un sacco di farina
per la polenta, uno di fagioli, un altro di patate e tutto il necessario per fare il formaggio.
Tutto era caricato sui basti dei numerosi cavalli, che non erano tenuti alla cavezza ma fatti
camminare liberi con il resto del bestiame; i carretti erano pochi perché era difficoltoso farli
16
VARINI
transitare quando incontravano l’acqua. Le persone andavano a piedi, non essendo previsto
montare a sella il cavallo, ma eventualmente, scambiarsi alla guida dei carretti. Nel vestiario
non si differenziavano dai pastori: in mano la bagolina, o nodoso bastone; in testa sempre un
cappello di panno; a tracolla un grande ombrello; ai fianchi una tasca di cuoio, el salaro, contenente il sale pastorizio; pantaloni, giacca e gilet di fustagno; camicia di lana; tabarro sulle
spalle; calzettoni di lana e scarponi pesanti ai piedi; le donne fazzolettone in testa, gonne
lunghe e scialle sulle spalle. Diversamente dai pastori, agli asini o muli preferivano cavalli;
oltre ai maiali, portavano con sé qualche pecora per la lana e qualche capra apprezzandone il
latte da bere caldo, animali da cortile da liberare dalle stie, quando il carretto si fermava per
la sosta. In taluni momenti e circostanze, nel loro insieme, il corteo ambulante era un vero e
proprio presepio vivente: uomini, donne, bambini, vacche, vitelli, maiali, tacchini, conigli,
galline, oche, qualche pecora e capra, il tutto sotto gli sguardi di cani fedeli.
La mandria, com’era abitudine per l’utilizzo della malga, poteva essere composta anche di
animali, in parte presi in affitto da altri allevatori, ma più frequente era il caso della collaborazione tra nuclei della stessa parentela che, oltre a riunire il rispettivo bestiame, condividevano gli sforzi e le fatiche di un viaggio dove non tutto era previsto e scontato. Era facile così
facendo, incaricare, di volta in volta, un familiare di fare contemporaneamente il
‘messaggero-carrettiere-trasportatore’ per assicurare i collegamenti tra chi non faceva la
transumanza e restava nelle fattorie di pianura e chi, invece, andava in laguna (in vae). Questa collaborazione avveniva anche con la parentela, con amici e conoscenti che risiedevano
nell’Altopiano dei Sette Comuni, al punto che, a queste famiglie, ora residenti in pianura,
poteva essere temporaneamente affidato il bestiame di altopianesi che, a piedi, emigravano
per andare a lavorare nei paesi dell’ex impero austroungarico. Si verificava, cioè, una smonticazione al contrario: vacche di proprietà di montanari che svernavano in pianura!
La presente ricerca è appena all’inizio e non pretende di essere già riuscita a trovare tutti
i protagonisti, i loro usi e costumi ed i luoghi dove nel Veneto è stata esercitata la transumanza bovina, perciò quanto sinora esposto si riferisce alla vita vissuta dalla stretta parentela
delle famiglie Sambugaro, tre distinti nuclei Biasia, Lazzaretti, Lunardi detti ScalieraScareger, Lunardi detti Scatoin, Finco, Dalla Bona, Agostinelli, due distinte famiglie Gheller,
Tagliaro, proprietarie di distinte e personali mandrie, ad iniziare forse da prima del 1850 e
fino all’inizio della Grande Guerra e, dalla fine di questa, fino a circa il 1930, tutti nuclei familiari che, provenienti direttamente dall’Altopiano di Asiago, hanno preso normalmente residenza in piccole aziende agricole nelle praterie del destra Brenta, andando in vae nel periodo
autunno – invernale – primaverile per poi, all’inizio dell’estate, ritornare nei paesi d’origine, e
rioccupare i più noti e familiari pascoli montani. Questi nuclei familiari, per rendere l’idea,
potrebbero essere definiti ‘pastori di vacche’ perché andando in vae bisognava veramente
svolgere una vita seminomade, sempre alla ricerca di nuovi pascoli nelle aree demaniali, accontentarsi di provvisori ripari nei casoni, con sistemi di sopravvivenza oggi impensabili. Per
memoria storica, questa e solo questa esperienza di vita seminomade va chiamata ‘autentica
(o storica) transumanza bovina veneta’.
In questa iniziale indagine sulle famiglie altopianesi trasferitesi in pianura mancano dettagliate informazioni sul come fosse abitualmente esercitata la pratica religiosa parrocchiale o
comunque comunitaria, dal momento che chi seguiva il bestiame con i luoghi poteva avere
solo un legame stagionale od occasionale.
La prova di un connubio tra interessi materiali, continuità con l’economia familiare e sentimenti religiosi, la si può intuire in una particolare testimonianza.
17
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2007)
La transumanza bovina era considerata un’attività piena d’imprevisti e rischiosa perché, ad
esempio, le reazioni dei privati che, a torto o a ragione, lamentavano danni, potevano sfociare
in liti violentissime. Infatti, se in transumanza ci fosse stato personalmente il capofamiglia,
cosciente di questa ed altre situazioni di pericolo come malattie, ma soprattutto, il rischio
d’annegamento per essere rimasti isolati da improvvise ‘brentane’, egli partiva dalla propria
residenza lasciando intendere, almeno verbalmente, quali erano le sue ultime volontà o, più
concretamente, poteva lasciare il proprio testamento ed inoltre, quale gesto augurale e liberatorio, poteva egli, ancor prima, essersi inginocchiato davanti ad un frate confessore.
Tali accorgimenti erano forse adottati anche da qualsiasi altro componente la transumanza, quando possedeva proprietà o beni di qualsivoglia genere e, se nullatenente, sentirsi
sollevato ricorrendo alla confessione ed alle raccomandazioni per la salvezza della sua anima.
Erano soprattutto le donne dei transumanti, le nonne o madri, le figlie o sorelle, che insistevano perché chiunque andava in vae, uomini, donne e ragazzi, partisse con la pace spirituale
dell'anima e sembra... venissero comunemente ascoltate.
CONCLUSIONE
Oggi chiamiamo impropriamente transumanza bovina quello che in realtà è lo scarico delle
malghe (scargar montagna, ovvero smonticare), così come fanno, in omaggio alla tradizione,
alcuni coraggiosi allevatori padovani e vicentini, quando in settembre, a capo delle loro mandrie, rientrano a piedi dai pascoli montani, per arrivare nelle stalle poste nelle praterie del
destra Brenta.
Bisogna incoraggiare e tangibilmente premiare chi, con giustificato orgoglio, fa ancora la
smonticazione a piedi.
La ‘singolare processione’, che ancora oggi con uno spettacolare e folcloristico corteo va a
riabbracciare la pianura, deve essere una occasione per commemorare le oscure gesta compiute da altri allevatori ‘nostri
nobili progenitori’ che, dal
1850 al 1930 circa, per
temporanea necessità, si
sono spinti con le loro vacche montanare fino alle
lagune venete, in vae, praticando una transumanza
oggi irripetibile perché
concepita come vita nomade, raminga ed errabonda.
Questi ex pastori o allevatori altopianesi si sono indissolubilmente legati alla
pianura avendo scelto, già
da allora, residenza e loro
Fig. 10 — Bressanvido, terza domenica di settembre: la mandria dei fratelli
stanziale sede aziendale
Pagiusco, partendo da ‘Malga V lotto’ di Mercesina (Enego), dopo aver
agricola il territorio delle
percorso circa 80 km, viene accolta tutti gli anni dalla grande ‘Festa della
Transumanza’.
risorgive tra l’Astico-Tesina
18
VARINI
ed il Brenta… e proprio là… iniziando ad essere protagonisti e testimoni di una singolare ed
epocale trasformazione che ci ha consegnato, infine, un’area con le attuali peculiarità, riconosciute uniche nel Veneto!
Tutta questa vicenda della transumanza bovina veneta ha ancora molti perché, come, dove
e quando, che non hanno risposta; e stranamente, di un fenomeno veneto così singolare, anche se si conosce qualche sporadico vecchio documento, non esiste bibliografia. Sarebbe utile,
allora, completare questo studio e sarei grato a chi volesse contattarmi per informazioni o
indicarmi persone, luoghi, date o inediti documenti legati a tale avvenimento.
La già menzionata zona dei prati stabili del destra Brenta, ha il diritto, anzi il dovere, di
capire se, quanto, come e perché è tributaria delle capacità imprenditoriali espresse dagli ex
montanari, qui immigrati. La vicenda storicamente non è di secondaria importanza se si pensa
che è solo nell’ultimo secolo e mezzo che quest’area è andata via via assumendo una tale specializzazione da essere chiamata ‘piccola Olanda’, perché proprio qui il binomio prato stabilevacca da latte è stato esaltato all’inverosimile.
È infatti proprio di quel periodo l’adozione di alcune innovative strategie per la conduzione
delle aziende agricole che daranno al sito il volto che oggi conosciamo, come:
la massima espansione dei prati stabili irrigui (anche se negli ultimi decenni si sta registrando una loro regressione), grazie alla disponibilità d’acqua del fiume Brenta e delle risorgive (pure queste, tuttavia, oggi in preoccupante, grave crisi);
il passaggio allo specifico e specializzato allevamento delle vacche da latte;
la scelta della caseificazione in loco ed in forma cooperativistica;
l’uso delle malghe di montagna considerate, addirittura, cordone ombelicale delle aziende
di pianura.
Frequentare gli allevatori di questa zona significa mentalmente immergersi in una “piccola
enclave zootecnica” che merita essere esplorata studiata e capita per stabilire se le sue radici
affondano anche nelle vicende della storica transumanza.
L'autore ritiene che questa ricerca sia incompleta e spera che la pubblicazione di questi
primi dati contribuisca a trovare utili contatti per scoprire altri protagonisti, luoghi, date o
documenti legati a questo evento.
ABSTRACT
Several published studies deal with sheep transhumance in Veneto but there is any bibliography about the bovine transhumance. The study presented herein aims to establish whether in
this region herdsmen like shepherds were used to a wandering and rambling life.
The present paper describes the seasonal movement of the herdsmen who used to travel
across the Veneto towards the pasture of the lagoons (in vae), how they organized the transfers,
their daily life, as well as the habits and the costumes of this peculiar ‘wandering crib’. Nowadays in Veneto, the nomadic bovine transhumance does not exist any more, but some of the best
stockbreeders in the lowlands around Padua and Vicenza yet come down on foot with their herds
from the mountains after the summering on mountain pasture at the end of September.
In the first part of work the author analyzes the history of this transhumance that started at
the middle of the XIX century as a consequence of the sheep farming crisis. Some families from
the Asiago’s plateau (Altopiano dei Sette Comuni), once involved in sheep transhumance, settled
19
STUDI SULLA
TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO
1 (2007)
in the plain at the border between the province of Padua and Vicenza, on the right side of the
river Brenta.
They went on transferring their cows to the plateau for summering by their huts
(malghe) and started to move also to the Veneto’s lagoon (in vae) looking for winter pasture. The
winter transfer stopped in the thirties of the last century.
In the second part of this paper the author presents the testimonies gathered by himself since
1987 when for the first time he discovered evidences of the Veneto’s bovine transhumance. The
author regards this paper as a preliminary one and hopes it could stimulate the searching for
other protagonists, places, dates or documents linked to this experience.
RIASSUNTO
Nel Veneto non esiste nessuna bibliografia sulla transumanza bovina e questa ricerca vuol
stabilire se in questa Regione sia effettivamente esistita questa pratica caratterizzata da vita
raminga ed errabonda come quella condotta dai pastori delle greggi.
Nel lavoro vengono descritti i periodi nei quali i pastori delle vacche, attraversando il Veneto
per tutta la sua lunghezza, andavano a pascolare fino alle lagune venete (in vae), come
organizzavano i trasferimenti, com'era la vita quotidiana di questi nomadi, nonché gli usi e
costumi del loro particolare ‘presepe ambulante’. Oggi nel Veneto la storica ed errabonda
transumanza bovina non esiste più, ma alcuni coraggiosi allevatori padovani e vicentini a fine
settembre smonticano a piedi, quando dopo l'alpeggio rientrano nelle loro aziende stanziali situate
in pianura.
Nella prima parte del lavoro (‘Come e dove è stata praticata’) l'autore analizza la storia di
questa vicenda che, tra il 1850 e il 1930 circa, vede l'affermarsi in Veneto di questa pratica,
quando, per la crisi della pastorizia, alcune famiglie altopianesi, trasferitesi in pianura (e
precisamente ai confini tra Padova e Vicenza, in destra Brenta), iniziano a portare le loro vacche
fino alle lagune venete, in vae. D'estate questo bestiame veniva portato ad alpeggiare nelle
malghe dell'Altopiano dei Sette Comuni.
Nella seconda parte della ricerca (‘Le testimonianze’), infine, l'autore riporta le testimonianze
da lui direttamente raccolte a partire dal 1987, quando per la prima volta è venuto a conoscenza
della transumanza bovina veneta.
BIBLIOGRAFIA
AA.VV., 2003. Il Brenta, Cierre Edizioni, Sommacampagna (Vr).
BONETTO J., 1997. Le vie armentarie tra Patavium e la montagna, Zappellli s.r.l. , Dosson (Tv).
RIGONI STERN M., 1997. Arboreto salvatico, Einaudi, Torino.
CACCIAVILLANI I., 1984. Leggi veneziane sul territorio, 1471-1789: boschi, fiumi, bonifiche e
irrigazioni, Signum, Limena (Pd).
C O MU N IT À
MONTANA
S P ET T A B I L E
R E GG E N ZA
DEI
SETTE
COMUNI
S C A G G IA R I
A., STEFANI A. 1998. Storia illustrata dei Sette Comuni, Bonomo, Asiago (Vi).
CONFEDERAZIONE ITALIANA AGRICOLTORI, 2002, La nostra Brenta, Andrea Mazzanti e C. , s.n.c. Mestre (Ve).
CONZ M., NIZZERO E., RARIS F., RONCOLATO G., 1999. Il formaggio veneto: itinerari per il palato,
Papergraf, Piazzola sul Brenta (Pd).
20
VARINI
FINCATI GIRARDI A., 2000. Andar per malghe sull'Altopiano di Asiago, Demetra srl,
Colognola ai Colli (Vr).
GOLIN A., 1988. Cenni storici su Camazzole: Parrocchia di Camazzole (Diocesi di Vicenza), Litotipografia Ongaro V. , Carmignano di Brenta (Pd).
ISTITUTO CULTURA CIMBRA - ROANA (Vi) , Quaderni di cultura cimbra, Edizione dello stesso Istituto.
MAZZUCCO M.G., 2003, Vita, Rizzoli, Milano.
MENATO O., SCREMIN T., 1986. Civiltà contadina romanense: aspetti della cultura veneta,
Tip. Moro, Cassola (Vi).
PAOLINI D., 2002. Guida agli itinerari dei formaggi d'Italia: in viaggio alle scoperte del formaggio di qualità, Il Sole 24 ore , Ed agricole, Bologna.
REGIONE VENETO - CORTELLAZZO M., 2001, Noi Veneti, Cierre Edizioni -Sommacampagna (Vr).
RIZZOLO D., 1996. Asiago e le sue contrade nei nomi di luogo di origine timbra e venetoitaliana: toponomastica storica del comune di Asiago, Istituto di cultura timbra, Roana
(Vi).
VIZZARDI M., MAFFEIS P., 1999,. Formaggi italiani, Edagricole, Bologna.
ZUNICA M., 1981, Il territorio della Brenta, Cleup,Padova.
RINGRAZIAMENTI
Anche se questa ricerca è solo agli inizi, il mio primo ringraziamento va alle famiglie che
sinora sono riuscito ad intervistare: infatti, se la transumanza bovina diventerà patrimonio
della cultura veneta, il merito sarà di chi, di queste vicende, ha conservato memoria storica!
Dopo questo primo grazie, c’è quello agli Enti che mi hanno sinora aiutato (spero lo faranno anche per il prosieguo di questa mia ricerca) come: la biblioteca di Carmignano di Brenta,
Grantorto, Bressanvido, Marostica; il Consorzio di bonifica Pedemontano Brenta di Cittadella,
nel cui territorio ricade l’area ripetutamente richiamata delle praterie del destra Brenta; la
Federazione Provinciale Coltivatori Diretti di Piazzola sul Brenta, Cittadella, Piove di Sacco,
Sandrigo; l’Istituto di Cultura cimbra di Roana; l’Associazione Allevatori di Padova e Vicenza;
Stefano Fabbro, Elena ed Elisa Varini, Grazia Capra, Matteo Milani, Giulia Campagnolo ed infine la brava studentessa Monica Baldisseri.
21