Rilla di Ingleside - Il Gatto e la Luna

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ISBN: 978-88-96104-75-0
@2014 Il Gatto e la Luna editrice
Anna dai Capelli Rossi – Rilla di Ingleside
Collana: Gatto Verde
di Lucy Maud Montgomery
Titolo originale dell’opera:
Rilla of Ingleside
Prima pubblicazione: Canada, 1921
Traduzione di Ilaria Isaia
Capitolo 1
“Appunti” da Glen e altre faccende
Era un pomeriggio caldo, dalle nuvole dorate, delizioso. Nel grande soggiorno di Ingleside Susan sedeva con una certa cupa soddisfazione che
le aleggiava attorno come un’aura; erano le quattro e Susan, che lavorava incessantemente dalle sei di quel mattino, pensava di essersi meritata
un’ora di riposo e di chiacchiere. In quel momento Susan era perfettamente felice; quel giorno in cucina era andato tutto inspiegabilmente bene.
Il dottor Jekyll non si era trasformato in Mister Hyde e così non le aveva urtato i nervi; da dove sedeva, poteva vedere l’orgoglio del suo cuore:
l’aiola di peonie che lei stessa aveva piantato e coltivato, e che fioriva come nessun’altra coltura di peonie aveva mai o avrebbe mai fiorito a Glen
St. Mary, con peonie cremisi, peonie d’un rosa argentato, peonie bianche come cumuli di neve invernale.
Susan indossava una nuova camicetta di seta nera, più elaborata di qualunque cosa la signora Marshall Elliott avesse mai indossato, e un grembiule
bianco inamidato, bordato con un complicato pizzo lavorato all’uncinetto largo più di cinque pollici, per non parlare degli inserti abbinati. Perciò
Susan aveva tutta la tranquilla consapevolezza di una donna ben vestita quando aprì la sua copia del Daily Enterprise e si preparò a leggere gli
“appunti” da Glen che, come Miss Cornelia l’aveva appena informata, riempiva mezza colonna del giornale e citava quasi tutti gli abitanti di
Ingleside. Sulla prima pagina dell’Enterprise c’era un grande titolo nero che asseriva che un certo Arciduca Ferdinando, o giù di lì, era stato
assassinato in un posto che aveva lo strano nome di Sarajevo, ma Susan non indugiava su faccende irrilevanti, insignificanti come quella; era alla
ricerca di qualcosa di veramente fondamentale. Oh, eccolo qui... “Appunti da Glen St. Mary”. Susan vi ci si applicò con entusiasmo, leggendoli
tutti ad alta voce per estrarne ogni piacere possibile.
La signora Blythe e la sua ospite, Miss Cornelia – alias signora Marshall Elliott – chiacchieravano assieme accanto alla porta aperta che dava sulla
veranda, attraverso la quale soffiava una brezza fresca e deliziosa che portava zaffate di profumi fantasma e affascinanti, allegre eco dall’angolo
coperto di rampicanti dove Rilla, Miss Oliver e Walter ridevano e parlavano. Ovunque ci fosse Rilla, c’erano anche risate.
Nel soggiorno c’era un altro occupante che non andava ignorato, dal momento che era una creatura dalla spiccata personalità e, inoltre, si
distingueva perché era l’unico essere vivente che Susan realmente detestasse.
Tutti i gatti sono misteriosi, ma Dottor-Jekyll-e-Mister-Hyde – “Doc” in breve – lo era tre volte tanto. Era un gatto dalla doppia personalità...
oppure, diceva Susan, era posseduto dal demonio. Per cominciare, era stato decisamente inquietante fin dai primi albori della sua esistenza. Quattro
anni prima Rilla Blythe aveva avuto un gattino amatissimo, bianco come la neve, con un’impertinente punta nera sulla coda, che lei chiamava Jack
Frost. A Susan Jack Frost non piaceva, anche se non avrebbe potuto, o voluto, darne un valido motivo.
“Credetemi sulla parola, cara signora Dottore”, era solita dire, sinistra, “quel gatto combinerà qualcosa di brutto.”
“Ma perché lo pensi?”, le domandava la signora Blythe.
“Io non lo penso... lo so”, era l’unica risposta che Susan concedeva.
Per il resto della gente di Ingleside, Jack Frost era un beniamino; era sempre tanto pulito e ordinato, non lasciava mai che sulla sua bella livrea
candida ci fosse una chiazza o una macchiolina; aveva un modo accattivante di fare le fusa e accovacciarsi; era coscienziosamente schietto.
E poi a Ingleside ebbe luogo una tragedia domestica. Jack Frost ebbe i gattini!
Sarebbe inutile cercare di descrivere il trionfo di Susan. Non aveva sempre affermato con insistenza che quel gatto si sarebbe rivelato una delusione
e un inganno? Ora lo vedevano anche loro!
Rilla tenne uno dei gattini, uno molto grazioso, con una pelliccia particolare liscia e lucente d’un giallo scuro attraversato strisce arancio, e grandi
orecchie setose e dorate. Lei lo chiamò Goldie e il nome sembrò appropriato alla piccola creatura giocherellona che, da gattino, non aveva mai
dato segni della sinistra natura che possedeva in realtà. Susan, naturalmente, avvertì la famiglia che non ci si poteva aspettare nulla di buono dalla
progenie di quel diabolico Jack Frost; ma i gracidii da Cassandra di Susan rimasero inascoltati.
I Blythe erano così abituati a considerare Jack Frost appartenente al sesso maschile che non riuscivano a perdere quell’abitudine. Perciò usavano
sempre il pronome maschile, anche se il risultato era grottesco. Gli ospiti restavano sempre shoccati quando Rilla alludeva distrattamente a “Jack
e il suo gattino”, oppure diceva severa a Goldie: “Va’ da tua mamma e fatti pulire la pelliccia da lui.”
“Non è decente, cara signora Dottore”, diceva aspra la povera Susan. Lei aveva trovato un compromesso riferendosi a Jack come a “il gatto” o
“quella bestia bianca”, e perlomeno un cuore non soffrì quando “quella bestia” venne accidentalmente avvelenata l’inverno seguente.
Nel giro di un anno “Goldie” divenne un nome così evidentemente inadatto per il gattino arancione che Walter, che proprio in quel periodo
stava leggendo la storia di Stevenson, lo cambiò in Dottor-Jekyll-e-Mister-Hyde. Quando era del suo umore dottor Jekyll, il gatto era un micino
sonnacchioso, affettuoso, domestico, amante dei cuscini, a cui piaceva farsi vezzeggiare e che si beava di coccole e carezze. Soprattutto amava
distendersi sulla schiena e farsi accarezzare dolcemente la gola liscia, color crema, facendo le fusa soddisfatto e sonnolento. Era un fuseggiatore
notevole, a Ingleside non c’era mai stato un gatto che facesse le fusa con tanta costanza e tanto trasporto.
“L’unica cosa che invidio ai gatti sono le fusa”, disse una volta il dottor Blythe, ascoltando le fusa sonore di Doc, “È il suono più soddisfatto del
mondo.”
Doc era bellissimo; ogni suo movimento era aggraziato; le sue pose magnifiche. Quando ripiegava la sua lunga coda dagli anelli rosso scuro
attorno alle zampe e si sedeva in veranda per scrutare insistentemente lo spazio davanti a lui per lunghi periodi, i Blythe pensavano che una sfinge
egiziana non sarebbe potuta essere una divinità della soglia più adatta di lui.
Quando gli prendeva l’umore da mister Hyde – cosa che capitava invariabilmente prima che piovesse o si levasse il vento – era una creatura
selvatica con occhi diversi. La trasformazione era sempre improvvisa. Schizzava con violenza da uno stato trasognato con un ringhio feroce e
mordeva ogni mano che cercasse di trattenerlo o di accarezzarlo. La sua pelliccia sembrava scurirsi e i suoi occhi splendevano d’una luce diabolica.
C’era veramente una bellezza ultraterrena in lui. Se il cambiamento avveniva al crepuscolo, tutta Ingleside provava un certo terrore di lui. In quei
momenti era una bestia spaventosa e solo Rilla lo difendeva, affermando che fosse “un bel gatto in agguato”. E sicuramente era in agguato.
Il dottor Jekyll amava il latte; mister Hyde non voleva neppure toccarlo, il latte, e ringhiava sulla sua carne. Il dottor Jekyll scendeva dalle scale
così silenziosamente che nessuno lo sentiva. Mister Hyde aveva passi pesanti come quelli di un uomo. Diverse sere, quando Susan era da sola a
casa, lui l’aveva “spaventata a morte”, come affermava lei, facendo così. Si sedeva nel mezzo del pavimento della cucina, fissandola senza batter
ciglio con quei suoi occhi terribili anche per un’ora di seguito. Questo le scombussolava i nervi, ma la povera Susan aveva veramente troppo timore
di lui per cercare di mandarlo via. Una volta gli aveva lanciato un bastoncino e lui immediatamente le era balzato furiosamente addosso. Susan
era scappata fuori e non aveva mai più tentato di toccare mister Hyde... anche se poi si vendicava dei suoi misfatti sull’innocente dottor Jekyll,
scacciandolo via ignominiosamente dal suo regno ogni volta che lui si azzardava a metterci il naso e negandogli certi manicaretti saporiti che lui
anelava.
“I tanti amici di Miss Faith Meredith, Gerald Meredith e James Blythe”, lesse Susan, lasciandosi rotolare i nomi sotto la lingua come dolci
bocconcini, “sono stati molto lieti, qualche settimana fa, di dar loro il bentornato a casa dal Redmond College. James Blythe, che si era laureato in
lettere nel 1913, ha appena completato il suo primo anno di medicina.”
“Faith Meredith è veramente la creatura più bella che abbia mai visto”, commentò Miss Cornelia da sopra il suo ricamo all’uncinetto, “È straordinario
come quei bambini siano venuti su dopo che Rosemary West è andata in canonica. La gente ha quasi dimenticato che diavoletti maligni erano un
tempo. Anna cara, potrai mai dimenticarti come si comportavano una volta? È veramente sorprendente come sia andata subito d’accordo con loro.
È più un’amica che una matrigna. La amano tutti, e Una l’adora. E quel piccolo Bruce! Una ne è semplicemente schiava. Certo, è un tesoro. Ma
hai mai visto un bambino somigliare tanto a sua zia quanto lui assomiglia a sua zia Ellen? È altrettanto scuro e altrettanto risoluto. Non gli vedo
neanche un tratto di Rosemary. Norman Douglas giura sempre a gran voce che la cicogna intendeva portare Bruce a lui ed Ellen e l’ha portato alla
canonica per errore.”
“Bruce adora Jem”, disse la signora Blythe, “Quando viene da queste parti si mette a seguire Jem silenzioso come un cagnolino fedele, e lo guarda
da sotto le sopracciglia scure. Sono fermamente convinta che farebbe qualunque cosa per Jem.”
“Jem e Faith si metteranno insieme?”
La signora Blythe sorrise. Era risaputo che Miss Cornelia, che un tempo era stata un’accanita odiatrice di uomini, era in effetti diventata una
combinatrice di coppie in vecchiaia.
“Per ora sono ancora soltanto buoni amici, Miss Cornelia.”
“Ottimi amici, credi a me”, disse Miss Cornelia con enfasi, “Io vengo a sapere tutto quello che combinano quei ragazzini.”
“Non ho dubbi che Mary Vance faccia in modo che lo sappiate”, disse Susan, eloquente, “ma penso che sia una vergogna parlare di bambini che
si mettono insieme.”
“Bambini? Jem ha ventun anni e Faith diciannove”, ribatté Miss Cornelia, “Non devi dimenticare, Susan, che noi vecchi non siamo gli unici adulti
al mondo.”
L’offesa Susan, che detestava ogni allusione alla sua età – non per vanità, ma per il terrore assillante che qualcuno potesse cominciare a ritenerla
troppo vecchia per lavorare – tornò ai suoi “Appunti”.
“Carl Meredith e Shirley Blythe venerdì scorso sono tornati a casa dalla Queen’s Academy. Abbiamo saputo che a Carl verrà affidata la scuola di
Harbour Head il prossimo anno, e siamo sicuri che diventerà un insegnante popolare e affermato.”
“Comunque insegnerà ai bambini di lì tutto quel che c’è da sapere sugli insetti”, disse Miss Cornelia, “Ha finito con la Queen’s e il signor Meredith
e Rosemary volevano che andasse subito a Redmond in autunno, ma Carl ha una vena molto indipendente e intende guadagnarsi da solo almeno
parte del college. Per questo sarà ancora più bravo.”
“Walter Blythe, che negli ultimi due anni ha insegnato a Lowbridge, ha rassegnato le dimissioni”, disse Susan, “Intende andare a Redmond
quest’autunno.”
“Walter è già abbastanza in forze per andare a Redmond?”, domandò ansiosa Miss Cornelia.
“Speriamo che lo sia per l’autunno”, disse la signora Blythe, “Un’estate di svago all’aria aperta e al sole gli farà un mucchio di bene.”
“È dura riprendersi dalla febbre tifoidea”, disse con enfasi Miss Cornelia, “specialmente quando uno se l’è cavata per un pelo come Walter. Io
penso che farebbe meglio a rimandare il college ancora per un anno. Ma lui è tanto ambizioso! Ci vanno anche Nan e Di?”
“Sì. Entrambe volevano insegnare ancora per un anno, ma Gilbert pensa che sia meglio che vadano a Redmond quest’autunno.”
“Ne sono felice. Terranno d’occhio Walter e controlleranno che non studi troppo duramente. Immagino”, continuò Miss Cornelia, gettando uno
sguardo obliquo a Susan, “che dopo il rimbrotto ricevuto pochi minuti fa, non sia il caso che io accenni al fatto che Jerry Meredith sta facendo gli
occhi dolci a Nan, vero?”
Susan la ignorò e la signora Blythe rise di nuovo.
“Cara Miss Cornelia, non vedete quanto sono occupata con tutti questi ragazzi e ragazze che mi amoreggiano intorno? Se li prendessi sul serio, mi
distruggerebbero. Ma non lo faccio... è ancora troppo difficile rendersi conto che ormai sono cresciuti. Quando guardo quei miei due ragazzoni alti
mi chiedo come fosse possibile che siano gli stessi bebè grassottelli, dolci, pieni di fossette che solo l’altro giorno baciavo, coccolavo e ninnavo...
solo l’altro giorno, Miss Cornelia. Jem non era un bimbetto delizioso nella vecchia Casa dei Sogni? E adesso è un laureato in lettere accusato di
fare la corte a una ragazza.”
“Stiamo invecchiando tutti”, sospirò Miss Cornelia.
“L’unica parte di me che si sente vecchia”, disse la signora Blythe, “è la caviglia che mi ruppi quando Josie Pye mi sfidò a camminare sulla traversa
del tetto della casa dei Barry all’epoca dei Tetti Verdi. Mi fa male quando soffia il vento da est. Non ammetterò mai che sono reumatismi, ma mi
fa male. E i bambini, i miei e i Meredith, stanno progettando un’estate di divertimenti prima di tornare a studiare in autunno. Sono un gruppetto
amante del divertimento. Con loro questa casa è un perpetuo turbine di allegria.”
“Rilla andrà alla Queen’s quando Shirley torna?”
“Non abbiamo ancora deciso. Io credo di no. Suo padre pensa che non sia abbastanza energica – è cresciuta decisamente troppo per le sue energie
– è davvero assurdamente alta per una ragazza di quindici anni non ancora compiuti. Io in realtà non sono impaziente di lasciarla andare... sarebbe
terribile non avere neanche uno dei miei bambini a casa con me il prossimo inverno. Io e Susan finiremmo con il litigare tra noi solo per spezzare
la monotonia.”
Susan sorrise di questa battuta. Che idea, lei che litigava con la “cara signora Dottore”!
“Ma Rilla ci vuole andare?”, domandò Miss Cornelia.
“No. La verità è che Rilla è l’unica del mio gregge a non avere ambizioni. Vorrei veramente che fosse un po’ più ambiziosa. Non ha veramente
ideali seri... pare che la sua unica ambizione sia divertirsi.”
“E perché non dovrebbe, cara signora Dottore?”, esclamò Susan, che non tollerava di sentire neanche una singola critica contro gli abitanti di
Ingleside, neppure quando erano loro stessi a farla, “Le ragazzine dovrebbero divertirsi, e di questo ne sono convinta. Avrà tutto il tempo, poi, di
pensare al latino e al greco.”
“Vorrei che avesse un po’ più senso di responsabilità, Susan. E lo sai anche tu che è disgustosamente vanitosa.”
“Ha ottimi motivi per essere vanitosa”, ribatté Susan, “È la ragazza più carina di Glen St. Mary. Pensate che tutti quei MacAllister, e Crawford,
ed Elliott potrebbero mai mettere insieme un incarnato come quello di Rilla anche in quattro generazioni? Non ci riuscirebbero. No, cara signora
Dottore, io so qual è il mio posto ma non posso permettervi di sminuire Rilla. Sentite un po’, signora Marshall Elliott.”
Susan aveva trovato un modo per pareggiare i conti con Miss Cornelia per le sue frecciate sulle faccende amorose dei bambini. Lesse l’articolo
con soddisfazione.
“Millar Douglas ha deciso di non trasferirsi all’ovest. Dice che la vecchia Isola del Principe Edward gli basta, e che continuerà a coltivare la terra
per sua zia, la signora Alec Davis.”
Susan guardò intensamente Miss Cornelia.
“Ho saputo, signora Marshall Elliott, che Miller sta facendo la corte a Mary Vance.”
Questa frecciata perforò la corazza di Miss Cornelia. Il suo volto allegro avvampò.
“Non permetterò a Miller Douglas di ronzare attorno a Mary”, disse, brusca, “Viene da una famiglia di bassa estrazione. Suo padre era una specie
di reietto dei Douglas – non l’hanno mai veramente considerato uno dei loro – e sua madre era una di quei terribili Dillon di Harbour Head.”
“Ho sentito dire, signora Marshall Elliott, che neppure i genitori di Mary Vance fossero esattamente quel che definireste aristocratici.”
“Mary Vance ha avuto un’ottima educazione ed è una ragazza intelligente, brava e capace”, replicò Miss Cornelia, “Non si butterà via con Miller
Douglas, credi a me! Sa qual è la mia opinione in proposito e finora Mary non mi ha mai disubbidito.”
“Be’, non penso che dobbiate preoccuparvi, signora Marshall Elliott, perché anche la signora Alec Davis è contraria quanto voi, e dice che nessuno
dei suoi nipoti sposerà mai una signorina nessuno senza nome come Mary Vance.”
Susan tornò ai fatti suoi, convinta d’avere avuto la meglio in quel duello, e lesse un altro “appunto”.
“Siamo lieti di sapere che Miss Oliver è stata assunta come insegnante per un altro anno. Miss Oliver trascorrerà le sue meritate vacanze a casa
sua, a Lowbridge.”
“Sono proprio contenta che Gertrude rimanga”, disse la signora Blythe, “Ci mancherebbe terribilmente. E ha un’ottima influenza su Rilla, che
l’adora. Sono amicone, nonostante la differenza d’età.”
“Pensavo si dicesse in giro che doveva sposarsi.”
“Mi pare se ne sia parlato, ma ho sentito che l’aveva rimandato di un anno.”
“Chi è il giovanotto?”
“Robert Grant. È un giovane avvocato di Charlottetown. Spero che Gertrude sia felice. Ha avuto una vita infelice, con molte amarezze, e risente
delle cose molto intensamente. La sua prima giovinezza è finita ed è praticamente sola al mondo. Questo nuovo amore entrato nella sua vita
le sembra una cosa tanto meravigliosa che penso stenti a credere alla sua stabilità. Quando dovette rimandare il matrimonio quasi si disperò...
anche se sicuramente non era colpa del signor Grant. Lui ha avuto complicazioni nella disposizione dell’eredità di suo padre – suo padre è morto
l’inverno scorso – e lui non può sposarsi fin quando non risolve tutti gli impicci. Ma credo che Gertrude l’abbia preso come un cattivo auspicio,
come se la felicità le stesse sfuggendo.”
“Non va bene, cara signora Dottore, affezionarsi troppo a un uomo”, osservò Susan, solenne.
“Il signor Grant ama Gertrude quanto lei ama lui, Susan. Non è di lui che lei diffida... è del destino. Lei ha una certa vena mistica... immagino che
la gente la definirebbe superstiziosa. Ha un modo strano di credere ai sogni e noi non siamo ancora riusciti di farglielo dimenticare con una risata.
Anch’io devo ammettere che alcuni dei suoi sogni... ma no, non permetterò che Gilbert mi senta fare cenno a cose del genere. Che hai trovato
d’interessante, Susan?”
Susan aveva lanciato un’esclamazione.
“Sentite questa, cara signora Dottore. ‘La signora Sophia Crawford ha lasciato la sua casa di Lowbridge e in futuro prenderà casa con sua nipote,
la signora Albert Crawford’. Ma è mia cugina Sophia, cara signora Dottore. Litigammo da bambine su chi dovesse avere una cartolina della scuola
domenicale con su le parole ‘Dio è Amore’ circondate da una ghirlanda di rose, e da allora non ci parliamo più. E adesso lei viene a vivere proprio
di fronte a noi.”
“Dovrete appianare quel vecchio litigio, Susan. Non sta affatto bene essere ai ferri corti coi propri vicini.”
“Fu la cugina Sophia a cominciare la lite, perciò può anche essere lei a cominciare a far pace, cara signora Dottore”, disse Susan, superba, “Se
lo fa, spero d’essere una cristiana abbastanza buona da venirle incontro a metà strada. Non è una persona allegra, è una guastafeste da una vita.
L’ultima volta che l’ho vista, la sua faccia aveva mille rughe – ruga più, ruga meno – tutte dovute alle preoccupazioni e ai brutti presagi. Gemeva
spaventosamente al funerale del suo primo marito, ma si risposò meno di un anno dopo. Vedo che l’altro appunto descrive la funzione speciale che
c’è stata nella nostra chiesa la scorsa domenica sera e dice che le decorazioni erano molto belle.”
“A proposito, mi viene in mente che il signor Pryor disapprova fortemente i fiori in chiesa”, disse Miss Cornelia, “L’ho sempre detto che ci
sarebbero stati problemi quando quell’uomo si trasferì qui da Lowbridge. Non avremmo mai dovuto prenderlo come anziano1... è stato un errore
e finiremo col pentircene , credi a me! Ho saputo che ha detto che se le ragazze continuano a ‘mettere a soqquadro il pulpito con quell’erbaccia’
lui non andrà più in chiesa.”
“La chiesa andava benissimo prima che quel vecchio ‘Basette-sulla-luna’ venisse a Glen, ed è mia opinione che andrà benissimo anche quando lui
se ne andrà”, disse Susan.
“Ma chi è stato a dargli quel ridicolo soprannome?”, domandò la signora Blythe.
“Mah! I ragazzi di Lowbridge lo chiamano così fin da che ho memoria, cara signora Dottore... immagino che sia perché la sua faccia è tanto
rotonda e rossa, con quell’orlo di basette color sabbia tutt’attorno. Però nessuno si azzarda a chiamarlo così quando lui è a portata d’orecchie, e
su questo ci potete contare. Ma peggio ancora dei suoi favoriti, cara signora Dottore, c’è il fatto che è un uomo irragionevole e ha un mucchio di
idee bizzarre. Adesso è un anziano e dicono che sia molto religioso; ma io ricordo bene, cara signora Dottore, quando, vent’anni fa, lo sorpresero
che faceva pascolare la mucca nel cimitero di Lowbridge. Sì, proprio così, non l’ho dimenticato, e ci penso sempre quando prega alle riunioni.
Bene, questi erano gli appunti, nel giornale non c’era molto altro d’importante. Non mi sono mai interessata molto agli affari esteri. Chi era
quell’Arciduca che hanno assassinato?”
“Che ce ne importa?”, domandò Miss Cornelia, inconsapevole della spaventosa risposta alla sua domanda che il destino stava già preparando,
“Qualcuno uccide sempre, o viene ucciso, in quegli stati balcanici. È la loro condizione abituale, e non credo proprio che i nostri giornali
dovrebbero pubblicare notizie così sconvolgenti. L’Enterprise sta diventando veramente troppo sensazionalista con quei suoi titoloni. Be’, devo
andarmene a casa. No, Anna cara, è inutile chiedermi di fermarmi per cena. Marshall comincia a pensare che se io non sono a casa all’ora dei pasti,
allora non vale la pena mangiare... che roba da uomini! Perciò me ne vado. Santi numi, Anna cara, cos’è preso a quel gatto? Ha le convulsioni?”,
questo perché Doc era improvvisamente balzato sul tappetino ai piedi di Miss Cornelia, aveva tirato indietro le orecchie, le aveva lanciato qualche
insulto e poi era scomparso con un salto violento fuori dalla finestra.
“Oh, no, si sta semplicemente trasformando in mister Hyde... e questo vuol dire che prima del mattino avremo pioggia o venti forti. Doc è un
1
Nella chiesa presbiteriana, gli anziani sono i responsabili della comunità locale e vengono eletti dai suoi membri (NDR)
ottimo barometro.”
“Sono contenta che stavolta sia andato a scatenarsi fuori e non nella mia cucina”, disse Susan, “Vado a badare alla cena. Con la folla che c’è adesso
a Ingleside, è necessario pensare ai pasti per tempo.”
Capitolo 2
La rugiada del mattino
Fuori, il prato di Ingleside era pieno di pozze dorate di luce solare e aree di ombre seducenti.
Rilla Blythe dondolava nell’amaca sotto il grande pino marittimo, Gertrude Oliver sedeva sulle radici sotto e Walter era lungo disteso sull’erba,
perso in un romanzo cavalleresco dove vecchi eroi e bellezze di epoche morte e sepolte rivivevano con intensità per lui.
Rilla era la “piccina” della famiglia Blythe ed era segretamente in uno stato cronico d’indignazione perché nessuno credeva che fosse cresciuta. Era
così vicina ai quindici anni che già si considerava quindicenne, ed era alta quanto Nan e Di; inoltre era anche graziosa quasi quanto la considerava
Susan. Aveva grandi occhi languidi color nocciola, la pelle bianco latte macchiettata da piccole lentiggini dorate, e sopracciglia delicatamente
arcuate a darle uno sguardo riservato e interrogativo che faceva venir voglia alla gente, specialmente ai ragazzi adolescenti, di risponderle. I suoi
capelli erano di un marrone maturo e rossiccio, una piccola ammaccatura sul labbro superiore dava l’idea che una fata buona l’avesse toccata col
dito il giorno del suo battesimo. I migliori amici di Rilla, che non potevano negarne una certa dose di vanità, pensavano che il suo viso fosse a
posto, ma si preoccupavano per la sua figura, e desideravano che sua madre si convincesse a lasciarle portare vestiti lunghi. Lei, che era stata tanto
pienotta, come un bignè, ai vecchi tempi della Valle dell’Arcobaleno, adesso era incredibilmente snella nel suo periodo tutta-braccia-e-gambe.
Jem e Shirley le straziavano l’anima chiamandola “Ragno”. Eppure in un modo o in un altro sfuggiva alla goffaggine. C’era qualcosa nei suoi
movimenti che faceva pensare che lei non camminasse mai, ma danzasse. Era stata molto vezzeggiata ed era un pochino viziata, ma nonostante ciò
l’opinione generale era che Rilla Blythe fosse una ragazza dolcissima, anche se non era in gamba quanto Nan e Di.
Miss Oliver, che quella sera tornava a casa dopo le vacanze, aveva alloggiato per un anno a Ingleside. I Blythe l’avevano presa per accontentare
Rilla, che era profondissimamente innamorata della sua maestra ed era stata perfino disposta a dividere la sua camera con lei, dal momento che non
ce n’erano altre disponibili. Gertrude Oliver aveva ventott’anni e la vita per lei era stata faticosa. Era una ragazza dall’aspetto notevole, con occhi
a mandorla marroni e piuttosto tristi, la parlantina sveglia e piuttosto beffarda, e un’enorme massa di capelli neri attorcigliati attorno alla testa.
Non era graziosa, ma aveva un certo fascino d’interesse e mistero sul volto e Rilla la trovava attraente. Perfino i suoi sporadici momenti di cupezza
e cinismo erano seducenti per Rilla. Questi momenti capitavano solo quando Miss Oliver era stanca. In tutti gli altri momenti era una compagna
stimolante, e l’allegra combriccola di Ingleside non ricordava mai che lei era tanto più grande di loro. Walter e Rilla erano i suoi preferiti e lei era
la confidente dei desideri segreti e delle aspirazioni di entrambi. Lei sapeva che Rilla desiderava ardentemente “uscire”... andare alle feste come
facevano Nan e Di, e avere eleganti abiti da sera, e che voleva – senza mezzi termini – anche degli innamorati! Al plurale, per giunta! Di Walter,
Miss Oliver sapeva che aveva scritto una serie di sonetti “per Rosamond” – vale a dire Faith Meredith – e che aspirava a una cattedra di letteratura
inglese in qualche grande college. Conosceva il suo ardente amore per il bello e il suo altrettanto ardente odio per il brurro; conosceva i suoi punti
di forza e le sue debolezze.
Walter era, come sempre, il più bello dei ragazzi di Ingleside. Miss Oliver provava sempre piacere a guardarlo, per via del suo bell’aspetto... era
esattamente come avrebbe voluto fosse suo figlio. Lucidi capelli neri, luminosi occhi grigio scuro, lineamenti impeccabili. Ed era un poeta fino
alla punta delle dita! Quella serie di sonetti era una cosa veramente notevole, per un ragazzo di vent’anni. Miss Oliver era una critica imparziale e
sapeva che Walter Blythe aveva un dono meraviglioso.
Rilla amava Walter con tutto il suo cuore. Lui non la prendeva mai in giro come facevano Jem e Shirley. Non la chiamava mai “Ragno”. Il
vezzeggiativo che usava per lei era “Rilla-mia-Rilla”, un piccolo gioco di parole sul suo vero nome, Marilla1. Era stata chiamata come zia Marilla
dei Tetti Verdi, ma zia Marilla era morta prima che Rilla fosse abbastanza grande da conoscerla bene e Rilla detestava quel nome perché era
orribilmente antiquato e pudibondo. Perché non potevano chiamarla col suo primo nome, Bertha, che era bello e dignitoso, invece che con quello
stupido “Rilla”? Non le dispiaceva la versione di Walter, ma nessun altro aveva il permesso di chiamarla così, a eccezione di Miss Oliver di tanto
in tanto. “Rilla-mia-Rilla” detto con la voce melodiosa di Walter aveva un bellissimo suono per lei... come il canto e l’incresparsi di un ruscello
argenteo. Sarebbe anche morta per Walter, se questo gli fosse stato d’aiuto, così disse a Miss Oliver. Rilla amava il corsivo, come tutte le ragazze
di quindici anni... e la goccia più amara nella coppa era il sospetto che Walter raccontasse i suoi segreti più a Di che a lei.
“Pensa che io non sia abbastanza grande da capire”, si era lamentata una volta, ribelle, con Miss Oliver, “Ma io sono grande! E non li racconterei
mai ad anima viva... neppure a voi, Miss Oliver. Io racconto a voi tutti i miei segreti – non potrei mai essere felice se avessi dei segreti con voi, mia
cara – ma non tradirei mai i suoi. Io a lui racconto tutto... gli faccio leggere perfino il mio diario. E mi ferisce terribilmente quando lui non racconta
a me i fatti suoi. Però mi fa leggere tutte le sue poesie... sono meravigliose, Miss Oliver. Oh, spero solo che un giorno sarò per Walter quel che per
Wordsworth era sua sorella Dorothy. Wordsworth non ha mai scritto nulla di simile alle poesie di Walter... e neppure Tennyson.”
“Io non direi. Entrambi hanno scritto un gran mucchio di spazzatura”, aveva detto secca Miss Oliver. Poi, pentita nel vedere lo sguardo ferito negli
occhi di Rilla, si era affrettata ad aggiungere: “Ma credo che anche Walter diventerà un grande poeta... un giorno... e quando sarai più grande lui
avrà più fiducia in te.”
“Quando Walter era in ospedale con la febbre tifoidea l’anno scorso io sono quasi impazzita”, aveva sospirato Rilla, dandosi un po’ d’importanza,
“Non mi hanno mai detto quanto stava realmente male finché non è passato tutto... papà non gliel’ha permesso. Sono contenta di non averlo
saputo... non avrei potuto tollerarlo. Già così piangevo tutte le notti fino a sfinirmi. Ma certe volte”, aveva concluso Rilla, aspra – di tanto in tanto
le piaceva parlare con asprezza, per imitare Miss Oliver, “certe volte penso che Walter voglia più bene a Cane Lunedì che a me.”
Cane Lunedì era il cane di Ingleside, così chiamato perché era arrivato in famiglia un lunedì in cui Walter stava leggendo Robinson Crusoe. In
realtà apparteneva a Jem, ma era molto legato anche a Walter. Adesso era disteso accanto a Walter con il naso schiacciato contro il suo braccio, e
agitava la coda rapito ogni volta che Walter gli faceva una carezza distratta. Lunedì non era un collie, né un setter, né un segugio, né un terranova.
Era semplicemente, come diceva Jem, “un cane alla buona”... un cane molto alla buona, aggiungeva la gente impietosa. Certo, l’aspetto di Lunedì
non era il suo punto di forza. Macchie nere erano sparpagliate a casaccio sulla sua carcassa gialla e apparentemente una di quelle gli cancellava
un occhio. Le orecchie erano sbrindellate, perché Lunedì non aveva mai avuto successo nelle questioni d’onore. Ma possedeva un talismano.
Sapeva che non tutti i cani possono essere belli, loquaci o vincenti, ma che tutti i cani possono amare. Nel suo nascondiglio modesto batteva il
cuore più affezionato, leale e fedele che cane abbia mai avuto fin da quando esistono i cani; e dai suoi occhi marroni traspariva qualcosa di più
vicino a un’anima di quanto qualunque teologo avrebbe mai ammesso. A Ingleside gli volevano tutti bene, perfino Susan, anche se la sua unica,
malaugurata pecca consisteva nella propensione a sgattaiolare nella stanza degli ospiti per andare a dormire sul letto, e questo metteva a dura prova
il suo affetto per lui.
1
(NDR)
Il nome Marilla, effettivamente poco diffuso, è di origine irlandese e gaelica e significa “mare scintillante”; è una variante di Muriel
Quel pomeriggio in particolare Rilla non aveva sottomano motivi di lite con le condizioni del momento.
“Giugno è stato un mese delizioso, vero?”, domandò, guardando trasognata lontano, verso le piccole e tranquille nuvole argentate sospese placide
sulla Valle dell’Arcobaleno, “Ci siamo divertiti... e c’è stato un clima splendido. È stato perfetto sotto ogni aspetto.”
“Non lo credo proprio”, disse Miss Oliver, sospirando, “È un brutto presagio... in un certo senso. Una cosa perfetta è un dono degli dei... una sorta
di compensazione per quello che verrà. L’ho visto accadere così spesso che non sopporto quando la gente dice che è stato un periodo perfetto. Però
giugno è stato davvero delizioso.”
“Certo, non è stato molto emozionante”, disse Rilla, “L’unica cosa emozionante capitata a Glen da un anno a questa parte è stata quando la vecchia
Miss Mead è svenuta in chiesa. Qualche volta vorrei che capitasse qualcosa di drammatico, di tanto in tanto.”
“Non desiderarlo. Le cose drammatiche hanno sempre un lato doloroso per qualcuno. Che bella estate avrete voi, creature allegre! E io sarò lì a
deprimermi a Lowbridge!”
“Ma verrete spesso, vero? Ci si divertirà molto quest’estate, anche se penso che io rimarrò al margine di tutto, come al solito. Non è orribile che
la gente ti consideri ancora una bambina quando non lo sei?”
“Avrai un mucchio di tempo per crescere, Rilla. Non desiderare che la tua giovinezza se ne vada. Se ne va già fin troppo rapidamente. Imparerai
presto ad assaporare la vita.”
“Assaporare la vita? Ma io voglio divorarla”, esclamò Rilla, ridendo, “Io voglio tutto... tutto quel che una ragazza possa avere. Fra un mese
avrò quindici anni e allora nessuno potrà continuare a dire che sono una bambina. Una volta ho sentito qualcuno dire che l’età tra i quindici e i
diciannove anni è la migliore per una ragazza. Io voglio renderla perfettamente splendida... riempirla tutta di allegria.”
“È inutile pensare a quel che farai... è praticamente certo che tanto non lo farai.”
“Oh, ma è divertentissimo pensarci”, esclamò Rilla.
“Tu pensi solo a divertirti, scimmietta”, disse Miss Oliver, indulgente, riflettendo sul fatto che il mento di Rilla era una vera meraviglia in fatto di
menti, “E a che altro servono i quindici anni? Ma non hai in mente di andare al college quest’autunno?”
“No... né in questo, né in altri autunni. Non ci voglio andare. Non ho mai sopportato tutte le ‘ologie’ e gli ‘ismi’ per cui vanno matte Nan e Di. E poi
già cinque di noi sono andati al college. Sicuramente basta così. Ogni famiglia è tenuta ad avere almeno un somaro. A me sta bene fare il somaro, se
posso essere un somaro carino, popolare, delizioso. Non posso essere intelligente. Non ho alcun talento, e non immaginate neppure quanto questo
sia comodo. Nessuno si aspetta che io faccia nulla, e perciò nessuno mi assilla perché lo faccia. E non posso essere neppure una donnina di casa
amante della cucina. Detesto cucire e spolverare, e se non c’è riuscita Susan a insegnarmi a fare i biscotti, non può riuscirci nessuno. Papà dice che
non so lavorare né filare. E perciò non posso essere nient’altro che un giglio dei campi2”, concluse Rilla con un’altra risata.
“Sei troppo giovane, Rilla, per abbandonare definitivamente gli studi.”
“Oh, il prossimo inverno la mamma mi infliggerà un corso di lettura. Così rispolvera la sua laurea in lettere. Per fortuna leggere mi piace. Non
guardatemi con tristezza e disapprovazione, carissima. Non posso essere giudiziosa e seria... mi sembra tutto tanto roseo e iridescente. Il mese
prossimo compirò quindici anni... e l’anno dopo sedici... e l’anno dopo ancora diciassette. Cosa può esserci di più incantevole?”
“Un fico secco”, disse Gertrude Oliver, a metà ridendo e a metà seria, “Proprio un fico secco, Rilla-mia-Rilla.”
2
Citazione biblica, dal Vangelo secondo Matteo, 6:28 (NDR)
Capitolo 3
Allegria al chiaro di luna
Rilla, che ancora serrava gli occhi quando andava a dormire in modo che sembrava sempre ridere nel sonno, sbadigliò, si stiracchiò e sorrise a
Gertrude Oliver. Quest’ultima era arrivata da Lowbridge la sera prima ed era stata convinta a rimanere per il ballo al faro dei Quattro Venti la sera
successiva.
“Il nuovo giorno bussa alla finestra. Cosa ci porterà, mi domando?”
Miss Oliver rabbrividì un po’. Lei non salutava mai il nuovo giorno con l’entusiasmo di Rilla. Aveva vissuto abbastanza da sapere che un giorno
può portare cose terribili.
“Io credo che la cosa più bella dei giorni sia la loro imprevedibilità”, continuò Rilla, “È bello svegliarsi così, in una bella mattina dorata, e chiedersi
che pacco di sorprese il giorno ti porgerà. Mi piace sempre sognare a occhi aperti prima di alzarmi, immaginando un mucchio di splendide cose
che potrebbero accadere prima che faccia notte.”
“Spero che oggi capiti qualcosa di veramente inatteso”, disse Gertrude, “Spero che la posta ci porterà la notizia che la guerra tra la Germania e
la Francia è stata scongiurata.”
“Oh... sì”, disse Rilla, vaga, “Sarebbe terribile se così non fosse, credo. Ma a noi non importerebbe più di tanto, no? Io penso che una guerra
sarebbe eccitante. Dicono che la guerra boera lo fu, ma naturalmente io non mi ricordo molto. Miss Oliver, stasera dovrei mettere il vestito bianco
o quello nuovo verde? Il verde è di gran lunga il più carino, certo, ma ho quasi paura di mettermelo per un ballo sulla spiaggia, potrebbe succedergli
qualcosa. E mi pettinate i capelli secondo la nuova moda? Nessun’altra ragazza di Glen ce l’ha, farebbe scalpore.”
“Come hai fatto a convincere tua mamma a lasciarti andare al ballo?”
“Oh, è stato Walter a persuaderla. Lui sapeva che mi si sarebbe spezzato il cuore se non ci fossi andata. È la mia prima festa veramente da grande,
Miss Oliver, da una settimana resto sveglia ogni notte per pensarci. Quando stamattina ho visto splendere il sole, volevo mettermi a saltare per la
gioia. Sarebbe semplicemente terribile se stasera piovesse. Penso che mi metterò il vestito verde e rischierò. Voglio essere al meglio alla mia prima
festa. E poi sono già un pollice troppo alta per quello bianco. E metterò le scarpette argentate. La signora Ford me le ha mandate per Natale scorso
e io non ho ancora avuto l’occasione di mettermele. Sono bellissime. Oh, Miss Oliver, spero che qualcuno dei ragazzi mi chieda di ballare. Morirei
dalla mortificazione, davvero, se nessuno lo facesse e dovessi rimanere a fare da tappezzeria per tutta la sera. Certo, Carl e Jerry non possono
ballare perché sono figli di un sacerdote, altrimenti potrei contare su di loro per salvarmi dalla più completa vergogna.”
“Avrai un mucchio di partner... verranno tutti i ragazzi di oltrebaia... ci saranno più ragazzi che ragazze.”
“Sono contenta di non essere la figlia di un pastore”, rise Rilla, “La povera Faith è furibonda, perché stasera non si azzarderà a ballare. A Una,
naturalmente, non importa. Lei non ha mai agognato la danza. Qualcuno ha detto a Faith che si tireranno i toffee in cucina, per quelli che non
ballano, e avreste dovuto vedere che faccia ha fatto. Immagino che lei e Jem rimarranno seduti sugli scogli per la maggior parte della serata. Lo
sapete che dobbiamo tutti andare a piedi fino alla piccola insenatura sotto la vecchia Casa dei Sogni e poi andremo in barca fino al faro? Non sarà
assolutamente divino?”
“Quando avevo quindici anni anch’io parlavo con i corsivi e i superlativi”, disse Miss Oliver, sarcastica, “Penso che la festa prometta di essere
piacevole per i più giovani. Io mi aspetto di annoiarmi. Nessuno di quei ragazzi si prenderà il disturbo di ballare con una vecchia zitella come
me. Jem e Walter mi faranno fare un giro per pietà. Perciò non puoi aspettarti che io attenda impazientemente questo ballo col tuo stesso giovane,
commovente rapimento.”
“Però non vi divertiste alla vostra prima festa, Miss Oliver?”
“No. Fu insopportabile. Ero sciatta e bruttina e nessuno mi chiese di ballare eccetto un ragazzo, anche più bruttino e sciatto di me. Era così goffo
che lo odiai... e neppure lui mi chiese più di ballare. Io non ho avuto una vera adolescenza, Rilla. È una triste perdita. Ecco perché voglio che tu
abbia un’adolescenza splendida e felice. E spero che la tua prima festa sia una cosa che tu possa ricordare con gioia per tutta la vita.”
“Stanotte ho sognato che ero al ballo, e proprio a metà della serata mi accorgevo che ero in vestaglia e pantofole”, sospirò Rilla, “Mi sono
risvegliata con un rantolo di terrore.”
“A proposito di sogni... ne ho fatto uno strano”, disse Miss Oliver, distratta, “Era uno di quei sogni nitidi che faccio qualche volta... non hanno
quella confusione indistinta dei sogni normali... sono nitidi e veri come la realtà.”
“Che sogno era?”
“Ero in piedi sui gradini della veranda, qui a Ingleside, e guardavo in basso i campi di Glen. All’improvviso, in lontananza, vidi una lunga
onda argentea e scintillante che li travolgeva. Si avvicinava sempre di più... era come una successione di piccole onde bianche come quelle che
ogni tanto si frangono sulla spiaggia. Glen veniva inghiottita tutta. Io pensai ‘Certamente le onde non si avvicineranno a Ingleside’... ma quelle
venivano sempre più vicine... rapidissime... e prima che io potessi muovermi o chiamare qualcuno, quelle si stavano frangendo ai miei piedi... e
poi non c’era più nulla... dove era stata Glen c’era solo una distesa d’acqua in tempesta. Cercai di tirarmi indietro... e mi accorsi che l’orlo del mio
vestito era bagnato di sangue... e mi svegliai, tremando. Non mi piace questo sogno. Aveva un significato sinistro. Quel tipo di sogni realistici si
‘realizzano sempre’, con me.”
“Spero che non voglia dire che verrà un temporale da est a rovinare la festa”, mormorò Rilla.
“Quindicenne incorreggibile!”, disse Miss Oliver, secca, “No, Rilla-mia-Rilla, non credo ci sia pericolo che predicesse una cosa tanto orribile.”
Negli ultimi giorni nella vita di Ingleside c’era stata una tensione strisciante. Solo Rilla, totalmente assorbita dalla sua vita in boccio, non se n’era
accorta. Il dottor Blythe aveva preso a scorrere con preoccupazione il giornale e a parlare poco. Jem e Walter erano smaniosamente interessati alle
notizie che recava. Una sera Jem, eccitato, cercò Walter.
“Oh, gente! La Germania ha dichiarato guerra alla Francia. Questo vuol dire che probabilmente combatterà anche l’Inghilterra, e se lo fa... be’,
vuol dire che alla fine il Pifferaio delle tue vecchie fantasie è arrivato.”
“Non erano fantasie”, disse Walter, lentamente, “Era un presentimento... una visione... Jem, io l’ho visto davvero per un istante, quella sera di tanto
tempo fa. E se l’Inghilterra entra in guerra?”
“Dobbiamo intervenire anche noi e andare ad aiutarla”, esclamò Jem, allegro, “Non possiamo mica lasciare la vecchia madre grigia dei mari del
nord a combattere da sola, no? Ma tu non puoi partire... la febbre tifoidea te ne ha defraudato. Che vergogna, eh?”
Walter non disse se fosse una vergogna o no. Guardò silenziosamente oltre Glen, verso la baia increspata e azzurra dietro.
“Noi siamo i cuccioli... dobbiamo intervenire cacciando fuori unghie e denti se diventa una lite di famiglia”, proseguì allegramente Jem, arruffandosi
i riccioli rossi con la mano scura, forte, magra, sensibile... la mano di un chirurgo nato, aveva pensato spesso suo padre, “Che avventura sarà!
Ma credo che Grey1 o qualcun altro di quei vecchi circospetti aggiusteranno le cose all’ultimo istante. Però sarebbe una maledetta vergogna se
lasciassero la Francia nelle peste. Se non lo faranno, ci divertiremo un po’. Bene, in quest’ottica sarà meglio prepararsi a fare bisboccia.”
Jem si allontanò fischiettando “Wi’ a hundred pipers and a’ and a’”2, e Walter rimase a lungo lì dov’era. Aveva la fronte lievemente increspata. Era
successo tutto con l’oscurità e la subitaneità di una nube temporalesca. Solo fino a pochi giorni prima nessuno pensava a una cosa del genere. Era
assurdo pensarci adesso. Bisognava trovare una via d’uscita. La guerra era una cosa infernale, orribile, detestabile... troppo orribile e detestabile
perché potesse capitare nel ventesimo secolo, tra nazioni civili. Il solo pensiero della guerra era orribile, e con la sua minaccia verso la bellezza
della vita intristiva Walter. Non voleva pensarci... l’avrebbe cacciato fuori dalla mente con decisione. Com’era bella la vecchia Glen nella sua
maturità di agosto, con la sua catena di vecchie case ombrose, di prati dissodati e giardini silenziosi. Il cielo a ovest era come un’enorme perla
dorata. Lontano, più in basso, la baia era glassata dalla luce della luna che si stava levando. L’aria era piena di suoni squisiti... i fischiettii di
assonnati pettirossi, i meravigliosi, mesti, dolci mormorii del vento tra gli alberi al crepuscolo, il fruscio dei pioppi tremuli che pronunciavano i
loro sussurri argentini e agitavano le loro eleganti foglie a forma di cuore, le giovani risate melodiose dalle finestre delle stanze dove le ragazze
si preparavano per il ballo. Il mondo era immerso in una folle bellezza di suoni e colori. Lui avrebbe pensato solo a queste cose e alla profonda,
sottile gioia che gli procuravano. “E comunque nessuno si aspetta che parta”, pensò, “Come ha detto Jem, ci ha pensato la febbre tifoidea.”
Rilla era affacciata alla finestra della sua camera, pronta per il ballo. Una viola del pensiero gialla le scivolò dai capelli e cadde sul davanzale
come una stella cadente d’oro. Cercò di acchiapparla, inutilmente... ne rimanevano comunque abbastanza. Miss Oliver ne aveva intrecciato una
ghirlanda per i capelli della sua pupilla.
“È tutto così bello e tranquillo... non è splendido? Avremo una serata perfetta. Ascoltate, Miss Oliver... sento chiaramente quelle vecchie campanelle
nella Valle dell’Arcobaleno. Sono appese lì da più di dieci anni.”
“Il loro tintinnio aereo mi fa sempre pensare alla musica eterea e celestiale che Adamo ed Eva sentivano nell’Eden di Milton”, rispose Miss Oliver.
“Ci divertivamo tanto da bambini nella Valle dell’Arcobaleno”, disse Rilla, languida.
Adesso nessuno giocava più nella Valle dell’Arcobaleno. Era molto silenziosa nelle sere d’estate. A Walter piaceva andare lì a leggere. Jem e Faith
si davano spesso convegno lì; Jerry e Nan ci andavano per cercare ininterrottamente le incessanti dispute e discussioni su argomenti profondi che
sembravano essere il loro modo preferito di amoreggiare. E Rilla aveva lì una piccola valletta silvana tutta sua dove le piaceva sedersi e sognare.
“Prima di andare devo correre in cucina e farmi vedere da Susan. Se non lo facessi, non mi perdonerebbe mai.”
Rilla turbinò nell’ombrosa cucina di Ingleside, dove Susan stava prosaicamente rammendando calzini, e la illuminò con la sua bellezza. Indossava
il suo vestito verde con le sue piccole ghirlande di margherite rosa, le calze di seta e le scarpette argentate. Aveva viole del pensiero dorate tra i
capelli e sulla gola bianco-panna. Era così graziosa, e giovane, e luminosa, che perfino la cugina Sophia Crawford fu costretta ad ammirarla... e
la cugina Sophia Crawford ammirava pochissime cose terrene e caduche. La cugina Sophia e Susan avevano fatto la pace, o avevano ignorato il
loro vecchio diverbio, da quando la prima era andata a vivere a Glen, e la cugina Sophia spesso arrivava la sera per fare una visita tra vicini. Susan
non l’accoglieva sempre con entusiasmo, perché la cugina Sophia non era quella che si potrebbe definire una compagnia euforizzante. “Certi
ospiti vengono a trovarti, altri a fare un sopralluogo, cara signora Dottore”, aveva detto Susan una volta, lasciando intendere che la cugina Sophia
appartenesse al secondo tipo.
La cugina Sophia aveva una faccia lunga, pallida, rugosa, un naso lungo e sottile, la bocca lunga e sottile, mani molto lunghe, sottili e pallide,
solitamente tenute giunte e rassegnate sul grembo di calicò nero. Tutto in lei sembrava lungo, sottile e pallido. Guardò Rilla con mestizia e disse,
triste:
“Quei capelli sono tutti tuoi?”
“Ma certo!”, esclamò Rilla, indignata.
“Ah, bene!”, sospirò la cugina Sophia, “Forse sarebbe meglio se non lo fossero! Una tale massa di capelli sottrae energie a una persona. Sono
un segno di consunzione, ho sentito dire, ma spero che nel tuo caso non si riveli essere nulla del genere. Immagino che stasera andrete tutti a
ballare... perfino i figli del pastore, probabilmente. Immagino che le ragazze non arriveranno a tanto. Ah, be’, non ho mai approvato i balli. Una
volta conoscevo una ragazza che morì all’improvviso mentre stava ballando. Come faccia la gente a continuare a ballare dopo una punizione divina
simile, è una cosa che non riesco a comprendere.”
“Lei poi ballò ancora?”, domandò Rilla, impertinente.
“Ma se ti ho detto che è morta di schianto! Certo che non ballò mai più, povera creatura. Era una Kirke di Lowbridge. Non te ne andrai così, con
niente sulla gola nuda, no?”
“È una serata calda”, protestò Rilla, “Ma mi metterò una sciarpa quando andremo in barca.”
“Io sapevo di una barca piena di giovani che aveva navigato nella baia quarant’anni fa, in una sera proprio come questa... una sera esattamente
uguale a questa”, disse lugubre la cugina Sophia, “La barca si capovolse e loro annegarono... tutti quanti. Spero che stasera non vi capiti nulla di
simile. Hai mai provato a fare qualcosa per quelle lentiggini? Io trovavo molto buono il succo di piantaggine.”
“Tu dovresti essere sicuramente un ottimo giudice in fatto di lentiggini, cugina Sophia”, disse Susan, correndo in difesa di Rilla, “Da ragazza avevi
più chiazze di un rospo. Quelle di Rilla spuntano solo in estate, ma le tue erano permanenti, in qualunque stagione; e tu dietro non avevi neppure
un colore di base come il suo. Sei bellissima, Rilla, e quell’acconciatura ti sta benissimo. Ma non hai intenzione di andare fino alla baia con quelle
scarpette, no?”
“Oh, no. Metteremo tutti le nostre vecchie scarpe fino alla baia e ci portiamo dietro le scarpine. Ti piace il mio vestito, Susan?”
“Mi ricorda un vestito che portavo da ragazza”, sospirò la cugina Sophia prima che Susan potesse rispondere, “Anche quello era verde con le
violette del pensiero rosa, ed era pieno di balze dalla vita all’orlo. All’epoca non indossavamo quelle cose striminzite che portano le ragazze
oggigiorno. Ah, povera me, i tempi sono cambiati e non certo per il meglio, temo. Io nel mio quella sera ci feci un buco enorme, e qualcuno mi
rovesciò addosso una tazza di tè. Completamente rovinato. Ma spero che al tuo vestito non capiti nulla. Credo che dovrebbe essere un po’ più
lungo... le tue gambe sono terribilmente lunghe e smilze.”
“La signora Blythe non approva che le bambine si vestano come gli adulti”, disse Susan, severa, che aveva semplicemente l’intenzione di umiliare
la cugina Sophia. Ma Rilla si sentì insultata. Una bambina lei? Molto risentita, schizzò fuori dalla cucina. La prossima volta non sarebbe più scesa
per farsi vedere da Susan... Susan, che pensava che nessuno al di sotto dei sessant’anni fosse adulto! E quell’orribile cugina Sophia con le sue
frecciate sulle lentiggini e sulle gambe! Ma che diritto aveva una vecchia... una vecchia pertica come quella di dire a qualcun altro che era lungo
e sottile? A Rilla parve che tutto il piacere che aveva in sé e in quella serata, era stato intorbidito e rovinato. Per la tensione, strinse i denti fino al
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2
Edward Grey, politico liberale inglese, che ebbe un ruolo chiave nella crisi del luglio 1914, che sfociò nella Grande Guerra (NDR)
Brano scozzese, di fine Settecento, molto popolare (NDR)
profondo dell’anima, aveva solo voglia di sedersi e mettersi a piangere.
Ma più tardi si risollevò d’animo quando si ritrovò nell’allegro gruppo diretto al faro dei Quattro Venti.
I Blythe lasciarono Ingleside alla malinconica musica dell’ululato di Cane Lunedì, che era stato chiuso nel fienile per timore che potesse diventare
un ospite non invitato al faro. Raccolsero i Meredith in paese, e altri si unirono a loro mentre percorrevano la vecchia via della baia. Mary Vance,
sfolgorante nel suo crêpe azzurro e nella sopravveste di pizzo, uscì dal cancello di Miss Cornelia e si attaccò a Rilla e a Miss Oliver, che stavano
parlando insieme e che non l’accolsero con eccessivo entusiasmo. A Rilla non piaceva molto Mary Vance. Non aveva mai dimenticato quel giorno
umiliante, quando Mary l’aveva inseguita per tutto il paese con un merluzzo secco. A dire il vero, Mary Vance non era estremamente popolare con
nessuno della sua cerchia. Eppure a loro piaceva la sua compagnia... la sua lingua tagliente era stimolante. “Mary Vance è una nostra abitudine...
non possiamo farne a meno neppure quando siamo infuriati con lei”, aveva detto una volta Di Blythe.
La maggior parte dei membri del gruppo era appaiata alla meglio. Jem camminava con Faith Meredith, naturalmente, e Jerry Meredith con Nan
Blythe. Di e Walter erano insieme, sprofondati in una conversazione riservata che Rilla invidiò.
Carl Meredith camminava con Miranda Pryor, più per dare il tormento a Joe Milgrave che per qualunque altro motivo. Era noto che Joe desiderava
ardentemente la suddetta Miranda, la cui timidezza gli impediva di avere soddisfazione in ogni occasione. Joe poteva radunare abbastanza coraggio
da passeggiare accanto a Miranda se la notte era scura, ma qui, in questo crepuscolo rischiarato dalla luna, semplicemente non poteva farlo.
Perciò seguì stancamente la processione e pensò di Carl Meredith cose che non è lecito riferire. Miranda era la figlia di Basette-sulla-luna; non
condivideva l’impopolarità del padre, ma non era neanche troppo ricercata, essendo una creatura pallida, indefinita, con una certa propensione alle
risatine nervose. Aveva argentei capelli biondi, i suoi occhi erano grandi globi di porcellana azzurra che davano l’impressione che lei da bambina
avesse ricevuto un forte spavento e che non l’avesse mai superato. Avrebbe preferito di gran lunga camminare con Joe che con Carl, col quale
non si sentiva per nulla a suo agio. Però era anche una sorta di onore avere al proprio fianco un ragazzo che aveva frequentato il college, uno dei
ragazzi della canonica per giunta.
Shirley Blythe era con Una Meredith ed entrambi erano piuttosto silenziosi, perché questa era la loro natura. Shirley era un ragazzo di sedici anni,
posato, giudizioso, premuroso, pieno d’un umorismo tranquillo. Era ancora il “bambino moro” di Susan, coi suoi capelli marroni, gli occhi marroni
e la pelle marrone chiaro. Gli piaceva camminare con Una Meredith perché lei non cercava mai di farlo parlare né lo assillava di chiacchiere. Una
era dolce e timida come lo era stata ai tempi della Valle dell’Arcobaleno, e i suoi grandi occhi azzurro scuro erano ancora languidi e nostalgici.
Aveva per Walter Blythe una passione segreta e molto ben nascosta che nessuno sospettava a parte Rilla. Rilla parteggiava per lei e sperava che
Walter la ricambiasse. Una le piaceva più di Faith, la cui bellezza e la cui disinvoltura mettevano in ombra le altre ragazze... e a Rilla non piaceva
sentirsi messa in ombra.
Ma proprio adesso era felice. Era così bello passeggiare con i suoi amici per quella strada buia e scintillante, punteggiata di piccoli abeti che
rendevano l’aria che li circondava odorosa di resina. Distese di luce fioca del tramonto erano dietro, sulle colline a ovest. Davanti a loro c’era
la baia luccicante. Una campana suonava nella piccola chiesa di oltrebaia e le indugianti note da sogno si smorzavano attorno alle scure punte
d’ametista. Il golfo più dietro era ancora d’un azzurro argenteo in quella luce serotina. Oh, era tutto magnifico... l’aria limpida con in suo aroma
di salsedine, il balsamo degli abeti, le risate degli amici. Rilla amava la vita... il suo rigoglio, il suo fulgore; amava la vibrazione della musica,
il brusio delle allegre conversazioni; avrebbe voluto camminare per sempre lungo quella strada d’argento e di ombre. Era la sua prima festa e si
sarebbe divertita tantissimo. Non c’era nulla al mondo di cui preoccuparsi... neppure le lentiggini e le gambe lunghe... nulla, a parte un certo timore
assillante che nessuno le avrebbe chiesto di ballare. Era bello e appagante semplicemente essere viva... avere quindici anni... essere carina. Rilla
trasse un lungo sospiro estatico... e lo bloccò bruscamente a metà. Jem stava raccontando una storia a Faith... una storia capitata durante la Guerra
dei Balcani.
“Il dottore ha perso entrambe le gambe – li hanno massacrati – e l’hanno lasciato a morire sul campo. E lui è strisciato da un uomo a un altro, da
tutti i feriti che lo circondavano, finché ha potuto, e ha fatto di tutto per dare sollievo ai sofferenti – senza mai pensare a se stesso – stava bendando
la gamba di un altro uomo quando è mancato. Li hanno trovati lì, il dottore morto con le mani che stringevano ancora le bende, l’emorragia è stata
bloccata e l’altro uomo ha avuto salva la vita. Che eroe, Faith, vero? Ti dico che quando l’ho letto...”
Jem e Faith si allontanarono, fuori dalla portata d’udito. Gertrude Oliver rabbrividì improvvisamente. Rilla le strinse un braccio, comprensiva.
“Non era spaventoso, Miss Oliver? Non mi sorprende che vi abbia dato i brividi. Io non so perché Jem racconti cose tanto raccapriccianti in
momenti come questi, quando siamo tutti fuori a divertirci.”
“Ti è sembrato spaventoso, Rilla? A me è sembrato meraviglioso... bellissimo. Una storia così ci fa vergognare di aver mai dubitato della natura
umana. L’azione di quell’uomo è stata straordinaria. L’umanità risponde positivamente all’ideale di abnegazione. Non so cos’abbia provocato i
miei brividi. È certamente una serata calda. Forse qualcuno sta camminando sull’angolo buio, illuminato dalle stelle, che sarà la mia tomba. È la
spiegazione che darebbero le vecchie superstizioni. Be’, non ci penserò in questa bella serata. Sai Rilla, che quando scende la notte sono sempre
felice di abitare in campagna. Noi qui conosciamo il vero fascino della notte come la gente di città non lo vedrà mai. In campagna le notti sono tutte
belle... perfino quelle di tempesta. Mi piacciono le burrascose notti di tempesta sulla vecchia spiaggia del golfo. E notti come questa sono perfino
troppo belle... appartengono alla giovinezza e ai sogni, e io ne ho un po’ paura.”
“Mi sento come se ne facessi parte”, disse Rilla.
“Ah, sì, tu sei abbastanza giovane da non temere le cose perfette. Oh, eccoci arrivati alla Casa dei Sogni. Quest’estate sembra deserta. I Ford non
sono venuti?”
“Il signor e la signora Ford e Persis non sono venuti. Kenneth sì... ma si è fermato oltrebaia dai parenti di sua madre. Non l’abbiamo visto spesso
quest’estate. Zoppica un po’, così non va molto in giro.”
“Zoppica? Che gli è successo?”
“Si è rotto una caviglia giocando a football l’autunno scorso ed è rimasto a letto quasi tutto l’inverno. Da allora zoppica un po’, ma continua a
migliorare e si aspetta di guarire completamente a breve. È venuto a Ingleside solo due volte.”
“Ethel Reese è semplicemente pazza di lui”, disse Mary Vance, “Quando si tratta di lui, non ha più il buonsenso con cui è nata. Lui è andato a
casa con lei dalla chiesa oltrebaia la scorsa sera che c’era riunione di preghiera, e le arie che si dà da allora sono veramente sfiancanti. Come se un
ragazzo di Toronto come Kenneth potesse pensare seriamente a una ragazza di campagna come Ethel!”
Rilla arrossì. Non le importava se Kenneth Ford accompagnava a casa Ethel Reese anche una dozzina di volte... non le importava proprio! Non
le importava nulla di quel che lui faceva. Era secoli più vecchio di lei. Lui era amicone di Nan e Di e considerava lei, Rilla, solo una bambina
che neppure notava se non per prenderla in giro. E detestava Ethel Reese, ed Ethel Reese detestava lei... l’aveva sempre detestata fin da quando
Walter aveva preso a pugni Dan tanto ignominiosamente ai tempi della Valle dell’Arcobaleno. Ma perché doveva essere considerata indegna delle
attenzioni di Kenneth Ford solo perché era una ragazza di campagna, di grazia? E Mary Vance stava diventando una pettegola matricolata che non
pensava ad altro che a chi accompagnava a casa la gente!
Sulla via della baia, sotto la Casa dei Sogni, c’era un piccolo molo e lì erano ormeggiate due barche. Una barca venne capitanata da Jem Blythe,
l’altra da Joe Milgrave, che sapeva tutto di barche e non era certo restio a farlo capire a Miranda Pryor. Fecero una gara sulla baia e vinse la
barca di Joe. Altre barche vennero da Harbour Head e da oltrebaia, dalla parte occidentale. C’erano risate ovunque. La grande torre bianca dei
Quattro Venti traboccava di luce, mentre il faro rotante mandava lampi più in alto. Una famiglia di Charlottetown, parenti del guardiano del faro,
trascorreva l’estate al faro e aveva dato il party al quale erano invitati tutti i giovani dei Quattro Venti, di Glen St. Mary e di oltrebaia. Non appena
la barca di Jem arrivò oscillando sotto il faro, Rilla freneticamente si sfilò le scarpe e indossò le scarpine argentate dietro il riparo della schiena di
Miss Oliver. Una sola occhiata le aveva rivelato che i gradini intagliati nella roccia che salivano al faro erano pieni di ragazzi, e illuminati dalle
lanterne cinesi, e lei era decisa a non percorrere quei gradini con gli scarponi pesanti che sua madre aveva insistito per farle mettere in strada. Le
scarpine stringevano in maniera abominevole, ma nessuno lo sospettò quando Rilla percorse i gradini sorridendo, i suoi teneri occhi scuri luminosi
e interrogativi, il colore che si scuriva sulle guance rotonde e bianco-panna. Nello stesso istante in cui arrivò in cima alla scalinata, un ragazzo
di oltrebaia le chiese di ballare e un istante dopo lei era nel padiglione che era stato allestito per il ballo sul lato del faro che dava sul mare. Era
un posto delizioso, con una tettoia di rami di abete e lanterne appesa dappertutto. Sotto c’era il mare, in un fulgore che scintillava e luccicava, a
sinistra le creste e gli avvallamenti delle dune di sabbia illuminate dalla luna, a destra la riva rocciosa con le sue ombre nere come inchiostro e le
sue insenature cristalline. Rilla e il suo partner entrarono oscillando tra i ballerini; lei tirò un lungo sospiro felice; che musica ammaliante Ned Burr
di Upper Glen stava traendo dal suo violino... era davvero come i flauti magici della vecchia storia, che obbligavano chiunque li sentisse a ballare.
Com’era fresca la brezza del golfo; come splendeva bianca e meravigliosa la luna su ogni cosa! Questa era vita... vita incantevole. Rilla si sentì
come se i suoi piedi e la sua anima avessero le ali.
Capitolo 4
Il Pifferaio suona
Il primo party di Rilla fu un trionfo... o così sembrò all’inizio. Ebbe così tanti partner che fu costretta a dividere le danze. Le sue scarpette argentate
sembravano realmente ballare da sole e anche se continuavano a stringerle le dita e a coprirle di vesciche i talloni, questo non interferì affatto col
suo divertimento. Ethel Reese le diede dieci pessimi minuti chiamandola misteriosamente fuori dal padiglione e sussurrandole, con un ghigno
compiaciuto da Reese, che il vestito le si apriva dietro e che aveva una macchia sul volant. Rilla corse disperata nella stanza del faro che era
stata adattata a temporaneo spogliatoio per le signore e scoprì che la macchia era semplicemente un minuscolo sbaffo d’erba e che l’apertura era,
altrettanto minuscola, dove un gancetto s’era allentato. Irene Howard glielo richiuse e le fece qualche complimento iper-dolce e sussiegoso. Rilla
si sentì lusingata da quel sussiego. Lei era una diciannovenne di Upper Glen che sembrava apprezzare la compagnia delle ragazze più giovani... gli
amici più maligni dicevano che era perché così poteva dominare sulle altre senza avere rivali. Ma Rilla pensò che Irene fosse stupenda e l’amò per
il suo atteggiamento di superiorità. Irene era graziosa ed elegante; cantava divinamente e passava ogni inverno a Charlottetown, a prendere lezioni
di musica. Aveva una zia a Montreal che le mandava cose stupende da indossare; si diceva che avesse avuto una triste storia d’amore... nessuno ne
sapeva esattamente qualcosa, ma era proprio il suo mistero a renderla seducente. Rilla pensò che i complimenti di Irene coronavano quella serata.
Corse allegramente di nuovo al padiglione e indugiò un istante al bagliore delle lanterne all’ingresso, guardando i ballerini. Una momentanea
interruzione nella folla turbinante, le diede un’apparizione fuggevole di Kenneth Ford, in piedi dall’altra parte.
Il cuore di Rilla mancò un battito... o, se questo era fisiologicamente impossibile, a lei così parve. Perciò alla fine lui era lì. Era giunta alla
conclusione che non ci sarebbe andato... non che questo le importasse minimamente. Lui l’avrebbe vista? L’avrebbe notata? Naturalmente non le
avrebbe chiesto di ballare... non poteva sperare proprio questo. Lui la considerava solamente una bambina. L’aveva chiamata “Ragno” appena tre
settimane prima, una sera che era stato a Ingleside. In seguito lei ci aveva pianto, al piano di sopra, e l’aveva odiato. Ma il suo cuore mancò un
battito quando vide che lui si stava muovendo lentamente lungo il margine del padiglione verso di lei. Stava andando da lei? Davvero? Davvero?
Sì! La stava cercando... le era accanto... la stava guardando con qualcosa, nei suoi occhi grigio scuro, che Rilla non gli aveva mai visto prima.
Oh, era quasi troppo da sopportare! E tutto andava avanti come prima... i ballerini roteavano, i ragazzi che non riuscivano a trovare una partner
bighellonavano per il padiglione, coppie intente a sbaciucchiarsi sedevano sugli scogli... nessuno sembrava rendersi conto di che cosa meravigliosa
fosse accaduta.
Kenneth era un ragazzo alto, molto bello, con una certa grazia spensierata di portamento che faceva sembrare tutti gli altri ragazzi rigidi e goffi per
contrasto. Si diceva che fosse spaventosamente intelligente, col fascino di una città lontana e di una grande università che gli aleggiava intorno.
Aveva anche la reputazione di essere un po’ un dongiovanni. Ma questo probabilmente derivava dal fatto che possedeva una voce allegra, vellutata,
che nessuna ragazza poteva sentire senza avere il batticuore, e un modo pericoloso di ascoltarla, come se lei stesse dicendo cose che lui desiderava
sentire da una vita.
“Ma questa è Rilla-mia-Rilla?”, le chiese a voce bassa.
“Fì”, disse Rilla, e immediatamente desiderò potersi buttare a testa in giù dagli scogli del faro, o altrimenti svanire da un mondo beffardo.
Rilla aveva avuto la lisca nella sua prima infanzia; ma ormai era cresciuta e l’aveva superato. Solo in caso di stress o quando era sotto pressione
quella tendenza tornava a imporsi. Era da un anno che non aveva più avuto la lisca; e adesso, proprio in questo momento in cui desiderava
particolarmente apparire adulta e sofisticata, doveva mettersi a parlare con la lisca come una bimbetta! Era troppo mortificante. Sentiva che le
salivano le lacrime agli occhi... ancora un istante e si sarebbe messa a frignare... a frignare... sì, proprio a frignare... desiderò che Kenneth se ne
andasse... desiderò che non fosse mai arrivato. La festa era rovinata. Tutto si era mutato in polvere e cenere.
E lui l’aveva chiamata Rilla-mia-Rilla... non “Ragno” o “Bimba” o “Piccina”, come era solito fare quando non la notava minimamente. Non si era
affatto offesa perché l’aveva chiamata col nomignolo di Walter; sembrava bello detto da quella sua voce carezzevole, con solo il minimo accenno
di enfasi sulla parola “mia”. Sarebbe stato bellissimo se lei non si fosse resa ridicola. Non osò alzare lo sguardo per paura di vedere tracce di
divertimento nei suoi occhi. Perciò guardò in basso; e dal momento che le sue ciglia erano molto lunghe e scure e le sue palpebre molto spesse
e candide, l’effetto fu decisamente affascinante e provocante, e Kenneth rifletté che alla fine Rilla sarebbe diventata la più bella tra le ragazze di
Ingleside. Voleva farle alzare gli occhi... cogliere ancora quel piccolo sguardo riservato e interrogativo. Lei era la cosa più graziosa a quel party,
su questo non c’erano dubbi.
Che cosa stava dicendo? Rilla quasi non credeva alle proprie orecchie.
“Balliamo?”
“Sì”, disse Rilla. Lo disse con tanta feroce determinazione a non pronunciarlo con la lisca che quasi sbottò. Poi fremette di nuovo, in spirito.
Sembrava così audace... così impaziente... come se gli fosse saltata addosso! Che cosa avrebbe pensato di lei? Oh, perché capitavano cose tanto
spaventose proprio quando una ragazza cercava di apparire al meglio?
Kenneth la trascinò tra gli altri ballerini.
“Credo che questa mia caviglia menomata sia abbastanza in forma da fare almeno quattro salti”, disse lui.
“Come sta la tua caviglia?”, disse Rilla. Oh, perché non riusciva a pensare a nient’altro da dire? Lo sapeva che lui era stufo di domande sulla sua
caviglia. Gliel’aveva sentito dire a Ingleside... gli aveva sentito dire a Di che voleva mettersi un cartello sul petto che annunciasse a tutti quanti che
la sua caviglia stava migliorando eccetera eccetera. E adesso lei doveva mettersi a fare di nuovo quella domanda trita e ritrita.
Kenneth era effettivamente stanco delle domande sulla sua caviglia. Ma del resto non gli erano state fatte spesso da labbra con quell’adorabile
e tirabaci tacca sopra. Forse fu per questo che rispose molto pazientemente che stava migliorando e che non gli dava molto fastidio, se non
camminava o non rimaneva in piedi troppo a lungo.
“Mi dicono che a breve tornerà forte come prima, ma dovrò rinunciare al football quest’autunno.”
Danzarono insieme e Rilla sapeva che tutte le ragazze che li vedevano la invidiavano. Dopo il ballo scesero dai gradini di pietra e Kenneth trovò
una piccola chiatta, remarono oltre il canale illuminato dalla luna fino alla spiaggia di sabbia; camminarono sulla sabbia finché la caviglia di
Kenneth non cominciò a protestare e poi si sedettero sulle dune. Kenneth le parlò come parlava con Nan e Di. Rilla, sopraffatta da una timidezza
che non riusciva a comprendere, non parlò molto e pensò che lui l’avrebbe considerata spaventosamente stupida; ma nonostante questo tutto andò
meravigliosamente... la deliziosa notte di luna, il mare scintillante, le minuscole onde che scivolavano frusciando sulla sabbia, il vento fresco e
bizzarro nella notte che canticchiava tra l’erba rigida sulle creste delle dune, la musica che risuonava debole e dolce dall’altra parte del canale.
“Un’allegra canzone di chiar di luna per una festa di sirene”, citò dolcemente Kenneth da una delle poesia di Walter.
E solo lui e lei da soli insieme in quell’incantesimo di suoni e scene! Se solo le scarpe non fossero state tanto strette! E se solo lei fosse stata in
grado di fare discorsi intelligenti come Miss Oliver... no, anzi, se solo fosse riuscita a parlare come faceva con gli altri ragazzi! Ma le parole non
uscivano, poteva solo ascoltare e mormorare di tanto in tanto piccole frasi banali. Ma forse i suoi occhi languidi, e le labbra con la tacca, e la gola
sottile parlavano eloquentemente per lei. A ogni modo Kenneth sembrava non aver fretta a proporle di tornare indietro, e quando tornarono indietro
era in corso la cena. Lui le trovò un posto accanto alla finestra della cucina del faro e si sedette sul davanzale accanto mentre lei mangiava i suoi
gelati e i suoi dolci. Rilla si guardò attorno e pensò quanto fosse stata bella la sua prima festa. Non l’avrebbe mai dimenticata. La stanza risuonava
di risate e battute. Begli occhi giovani scintillavano e brillavano. Dal padiglione fuori venivano la melodia del violino e i passi ritmici dei ballerini.
Ci fu una piccola agitazione tra un gruppo di ragazzi che si accalcavano vicino alla porta; un giovane si fece strada a spintoni e si fermò sulla soglia,
guardandosi attorno funereo. Era Jack Elliott di oltrebaia... uno studente di medicina di McGill, un tipo tranquillo, non troppo dedito agli eventi
di società. Era stato invitato alla festa ma nessuno si aspettava che ci andasse, dal momento che quel giorno doveva andare a Charlottetown e non
poteva tornare se non molto tardi. Eppure era qui... e portava in mano un giornale ripiegato.
Gertrude Oliver lo guardò dal suo angolo e rabbrividì di nuovo. Si era goduta il party perché si era ritrovata con un conoscente di Charlottetown
che, essendo un forestiero ed essendo molto più grande della maggior parte degli invitati, si sentiva anche lui un po’ fuori posto ed era stato
contento di imbattersi in questa ragazza intelligente in grado di parlare di questioni mondiali ed eventi esteri con l’interesse e il vigore di un uomo.
Nel piacere della sua compagnia, lei aveva dimenticato alcuni dei suoi cattivi presentimenti di quel giorno. Ora improvvisamente le tornarono tutti
alla memoria. Che notizie portava Jack Elliott? Versi di una vecchia poesia1 le balenarono spontanei in mente... “C’era suono di festa quella notte”
… “Zitto! Ascolta! Un suono profondo batte come un crescente rintocco funebre”... ma perché mai doveva pensarci adesso? Perché Jack Elliott
non parlava... se aveva qualcosa da dire? Perché se ne stava solo fermo lì, con quello sguardo torvo e significativo?
“Chiediglielo... chiediglielo”, disse febbrilmente ad Allan Day. Ma qualcun altro gliel’aveva già chiesto. La stanza ammutolì all’improvviso. Fuori
il violinista si era fermato per riposarsi e c’era silenzio anche lì. Lontano, sentirono il basso gemito del mare... presagio di una tempesta che già
si stava facendo strada dall’Atlantico. La risata di una ragazza si levò dagli scogli e morì, come terrorizzata e uccisa da quel silenzio improvviso.
“Oggi l’Inghilterra ha dichiarato guerra alla Germania2”, disse lentamente Jack Elliott, “La notizia è arrivata col telegrafo proprio quando stavo
lasciando la città”
“Che Dio ci aiuti!”, sussurrò Gertrude Oliver sottovoce, “Il mio sogno... il mio sogno! La prima onda è arrivata.” Guardò Allan Day e cercò di
sorridere.
“È l’Apocalisse?”, gli domandò.
“Temo di sì”, disse lui, serio.
Attorno a loro si era levato un coro di esclamazioni... per la maggior parte di debole sorpresa e di indolente interesse. Pochi colsero la portata di
quel messaggio... ancor meno quelli che si resero conto che potesse significare qualcosa per loro. Ben presto le danze ripresero e il brusio di piacere
fu più alto che mai. Gertrude e Allan Day discussero della notizia con voci basse e preoccupate. Walter Blythe era impallidito e aveva lasciato la
stanza. Fuori incontrò Jem, che risaliva di corsa i gradini di pietra.
“Hai sentito la notizia, Jem?”
“Sì. Il Pifferaio è arrivato. Urrà! Lo sapevo che l’Inghilterra non avrebbe lasciato la Francia nelle peste. Ho cercato di convincere capitan Josiah a
issare la bandiera, ma lui dice che non è un tiro decoroso da fare prima che spunti il sole. Jack dice che domani chiederanno volontari.”
“Quanto trambusto per nulla”, disse Mary Vance, sdegnosa, quando Jem schizzò via. Era fuori, seduta con Miller Douglas su una trappola per
aragoste che era un sedile non solo molto poco romantico, ma anche scomodo. Però là sopra Mary e Miller erano sommamente felici. Miller
Douglas era un ragazzo grosso, gagliardo, semplice, che pensava che la parlantina di Mary Vance fosse eccezionalmente dotata e che gli occhi
bianchi di Mary Vance fossero stelle di prima grandezza; e nessuno di loro aveva il minimo sospetto del perché Jem Blythe volesse issare la
bandiera del faro. “Che ce ne importa se ci sarà una guerra laggiù in Europa? Sono sicura che non ci riguardi.”
Walter la guardò ed ebbe una delle sue visioni profetiche.
“Prima che la guerra sia finita”, disse... o fu qualcosa a dirlo attraverso le sue labbra, “ogni uomo, ogni donna, ogni bambino del Canada ne
risentirà... tu, Mary, ne risentirai... ne risentirai fino al profondo del cuore. Piangerai lacrime di sangue per questa guerra. Il Pifferaio è arrivato...
e suonerà finché ogni angolo della terra non avrà sentito la sua musica terrificante e irresistibile. Ci vorranno anni prima che la danza di morte
finisca... anni, Mary. E in quegli anni milioni di cuori si spezzeranno.”
“Ma figurati!”, disse Mary, che diceva sempre così quando non riusciva a pensare a nient’altro da dire. Non sapeva che intendesse dire Walter ma
si sentiva a disagio. Walter Blythe diceva sempre cose strane. Quel suo vecchio Pifferaio... non ne aveva più sentito parlare fin dai tempi in cui
giocavano nella Valle dell’Arcobaleno... e ora appariva nuovamente all’improvviso. Non le piaceva, e questo era il punto fondamentale.
“Non stai esagerando, Walter?”, domandò Harvey Crawford, appena arrivato, “Questa guerra non durerà per anni... sarà finita tra un paio di mesi.
L’Inghilterra spazzerà via la Germania dalle carte geografiche in meno di niente.”
“Pensi che una guerra che la Germania prepara da vent’anni possa finire in poche settimane?”, disse Walter, con fervore, “Questa non è una
battaglia insignificante in qualche angolo dei Balcani, Harvey. È una lotta mortale. La Germania vuole conquistare o perire. E sai che succederebbe
se dovesse conquistare? Il Canada diventerebbe una colonia tedesca.”
“Be’, scommetto che prima succederanno alcune altre cose”, disse Harvey facendo spallucce, “Per cominciare, dovrebbero sconfiggere la marina
Britannica; e in secondo luogo, io e Miller, qui, adesso, proprio noi, solleveremmo un polverone, vero, Miller? Nessun tedesco vorrà far richiesta
per questa vecchia nazione, eh?”
Harvey corse giù dalle scale ridendo.
“Ma dico, penso che voi ragazzi parliate di cose totalmente folli”, disse Mary Vance, disgustata. Si alzò e trascinò Miller via dalla spiaggia rocciosa.
Non capitava spesso che avessero l’occasione di chiacchierare da soli; Mary era decisa a impedire che questa venisse rovinata dalle chiacchiere
insulse e stupide di Walter Blythe sui Pifferai, sui tedeschi e su altre faccende assurde. Lasciarono Walter da solo sulle scale, a guardare la bellezza
dei Quattro Venti con occhi preoccupati che non la vedevano.
Anche per Rilla la parte migliore della serata era finita. Fin dall’annuncio di Jack Elliott, si era resa conto che Kenneth non pensava più a lei. Si
sentì improvvisamente sola e infelice. Era peggio che se lui non l’avesse notata affatto. La vita era così? Qualcosa di delizioso che succede e poi,
proprio mentre te la stai godendo, scivola via? Rilla si disse, patetica, che si sentiva invecchiata di anni da quando era uscita di casa quella sera.
Forse era così... forse era proprio così. Chi lo sa? Non sta bene ridere dei tormenti giovanili. Sono veramente terribili perché i giovani non hanno
ancora imparato che “anche questa passerà”. Rilla sospirò e desiderò essere già a casa, nel suo letto, a piangere sul suo cuscino.
1
2
Si tratta di “La vigilia di Waterloo”, di Lord Byron (NDR)
È quindi il 4 agosto 1914 (NDR)
“Stanca?”, disse Kenneth, gentile ma assente... oh, tanto assente. In realtà non gl’importava niente se lei fosse stanca o no, pensò Rilla.
“Kenneth”, si azzardò a domandare, “tu non pensi che questa guerra avrà molta importanza per noi in Canada, vero?”
“Importanza? Certo che avrà importanza per quei fortunati che riusciranno ad andare a dare una mano. Io non posso... grazie a questa maledetta
caviglie. Dannata sfortuna, dico io!”
“Io non vedo perché dovremmo combattere noi le battaglie dell’Inghilterra”, esclamò Rilla, “È perfettamente in grado di combattersele da sola.”
“Non è questo il punto. Noi facciamo parte dell’Impero Britannico. È una questione di famiglia. Dobbiamo sostenerci tra di noi. La cosa peggiore,
è che sarà finita prima che io possa rendermi utile.”
“Vuoi dire che veramente ti arruoleresti volontario se non fosse per la tua caviglia?”, domandò Rilla, incredula.
“Certo che ci andrei. Ci andranno a migliaia. Jem ci andrà, ci scommetto quello che vuoi... ma immagino che Walter non sarà ancora abbastanza
in forze. E Jerry Meredith... ci andrà anche lui! E io che mi preoccupavo di dover saltare il football quest’anno!”
Rilla era troppo sbigottita per dire qualcosa. Jem... e Jerry! Sciocchezze! Papà e il signor Meredith non gliel’avrebbero permesso. Non avevano
ancora finito il college. Oh, perché Jack Elliott non aveva tenuto per sé quell’orribile notizia?
Mark Warren arrivò e le chiese di ballare. Rilla ci andò, sapendo che a Kenneth non sarebbe importato se lei fosse andata o rimasta. Un’ora
prima, sulla spiaggia di sabbia, lui l’aveva guardata come se lei fosse stata l’unico essere importante al mondo. E adesso non era più nessuno. I
suoi pensieri erano pieni di questo Grande Gioco che si sarebbe giocato in campi insanguinati, con imperi in palio... un Gioco in cui le donne non
avevano alcun ruolo. Le donne, pensò Rilla infelice, dovevano solo starsene a casa a piangere. Ma era tutta una follia. Kenneth non poteva andare
– l’aveva ammesso lui stesso – e Walter non poteva andare – grazie al Cielo per questo! – e Jem e Jerry avrebbero avuto più giudizio. Non voleva
preoccuparsi... voleva divertirsi. Ma com’era goffo Mark Warren! Come sbagliava maldestramente i passi! Ma perché, per l’amor del Cielo, i
ragazzi che non sapevano l’abc della danza cercavano di ballare? E anche quelli che avevano piedi grandi come barche? Ecco, l’aveva fatta urtare
contro qualcuno! Non avrebbe mai più ballato con lui!
Ballò con altri, anche se non c’era più entusiasmo in quell’esercizio e aveva cominciato a rendersi conto che le scarpe le facevano un male terribile.
La sua prima festa era rovinata, anche se all’inizio era sembrata tanto bella. Le faceva male la testa... le bruciavano i piedi. E il peggio doveva
ancora arrivare. Era scesa con alcuni amici di oltrebaia sulla spiaggia rocciosa, dove tutti si soffermarono mentre le danze proseguivano sopra di
loro. Era fresco e piacevole, lì, ed erano tutti stanchi. Rilla rimase seduta in silenzio, senza prender parte all’allegra conversazione. Fu contenta
quando qualcuno la chiamò per dire che le barche di oltrebaia stavano per partire. Seguì un’allegra corsa su per gli scogli del faro. Qualche coppia
ancora turbinava nel padiglione, ma la folla si era assottigliata. Rilla si guardò attorno, alla ricerca del suo gruppo di Glen. Non vide nessuno.
Corse nel faro. Ancora nessuno in vista. Sgomenta, corse alla scala di pietra, giù per la quale si stavano affrettando gli ospiti di oltrebaia. Vedeva
le barche, giù... dov’era Jem? Dov’era Joe?
“Ehi, Rilla Blythe, pensavo che tu fossi tornata a casa un mucchio di tempo fa”, disse Mary Vance, che stava agitando la sciarpa verso una barca,
capitanata da Miller Douglas, che risaliva il canale.
“Dove sono gli altri?”, annaspò Rilla.
“Se ne sono andati... Jem se n’è andato un’ora fa... Una aveva il mal di testa. E gli altri se ne sono andati con Joe un quarto d’ora fa. Vedi? Ecco
che doppiano Capo Betulla. Io non sono andata perché è agitato e mi verrebbe il mal di mare. Non mi scoccia tornare a casa a piedi da qui. È solo
un miglio e mezzo. Io credevo che te ne fossi andata anche tu. Dov’eri?”
“Giù sugli scogli con Jen e Mollie Crawford. Oh, ma perché non mi hanno cercata?”
“L’hanno fatto... ma non ti trovavano. Sono giunti alla conclusione che tu te ne fossi andata con l’altra barca. Non preoccuparti. Puoi restare la
notte con me, telefoneremo a Ingleside per dire dove sei.”
Rilla si rese conto che non c’era nient’altro da fare. Le tremarono le labbra, le salirono le lacrime agli occhi. Sbatté violentemente le palpebre... non
avrebbe permesso che Mary Vance la vedesse piangere. Ma venire dimenticata così! Pensare che nessuno avesse ritenuto valesse la pena vedere
dov’era... neppure Walter. Poi ebbe un improvviso ricordo sconfortante.
“Le mie scarpe!”, esclamò, “Le avevo lasciate nella barca!”
“Oh, santo Cielo!”, disse Mary, “Sei la bambina più sbadata che abbia mai visto. Dovrai chiedere a Hazel Lewison di prestarti un paio di scarpe.”
“No!”, esclamò Rilla, alla quale la suddetta Hazel non piaceva, “Piuttosto vado scalza.”
Mary fece spallucce.
“Come vuoi. L’orgoglio fa soffrire3. T’insegnerà a essere più accorta. Forza, mettiamoci in marcia.”
Di conseguenza si misero in marcia. Ma “marciare” lungo una strada dai profondi solchi e coperta di sassi, e con un paio di fragili scarpette
argentate dagli alti tacchi francesi, non è un’impresa entusiasmante. Rilla riuscì a zoppicare e barcollare finché non raggiunsero la via della baia;
ma non riuscì ad andare oltre con quelle odiose scarpette. Il dolore era semplicemente intollerabile. Si tolse quelle e le sue amate calze di seta
e camminò a piedi nudi. Anche così non fu piacevole; i suoi piedi erano molto teneri e i sassi e i solchi della strada li ferivano. I talloni con le
vesciche bruciavano. Ma il dolore fisico veniva quasi dimenticato nella trafittura dell’umiliazione. Era una situazione veramente spiacevole. Se
Kenneth Ford l’avesse vista adesso, che zoppicava come una bambina che s’è sbucciata sulle pietre! Oh, che orribile finale per la sua bella festa!
Doveva piangere... era troppo terribile. A nessuno importava di lei... a nessuno importava proprio niente di lei. Bene, se avesse preso freddo per
aver camminato scalza su una strada bagnata di rugiada e si fosse ammalata, forse allora gli sarebbe dispiaciuto. Si asciugò furtivamente le lacrime
con la sciarpa – i fazzoletti sembravano essere scomparsi come le scarpe! – ma non poté impedirsi di tirare su col naso. Sempre peggio!
“Ti sei beccata il raffreddore, vedo!”, disse Mary, “Avresti dovuto saperlo che sarebbe andata così, a sederti al vento su quegli scogli. Tua madre
non ti farà uscire di nuovo tanto presto, te l’assicuro. É stata davvero una bella festa. I Lewison sanno come fare le cose, debbo ammetterlo, anche
se Hazel Lewison non è tra le mie preferite. Mamma mia, era nera quando ti ha visto ballare con Kenneth Ford. E così pure quella piccola impunita
di Ethel Reese. Che cascamorto è Kenneth.”
“Io non credo che sia un cascamorto”, disse Rilla, sprezzante quanto glielo permettessero due disperate tirate su col naso.
“Oh, be’, capirai meglio gli uomini quando sarai grande come me”, disse Mary, con sufficienza, “Bada, non bisogna credere a tutto quello che ti
dicono. Non lasciare che Ken Ford pensi che gli basti lasciar cadere il fazzoletto per tenerti sulla corda. Abbi più carattere, bambina.”
Venire intimidita e trattata con sufficienza da Mary Vance era intollerabile! Ed era intollerabile camminare sulle strade sassose con le vesciche ai
talloni e i piedi nudi! Ed era intollerabile piangere e non avere un fazzoletto, né riuscire a smettere di piangere!
“Io non sto pensando”, sniff, “a Kenneth”, sniff, “Ford”, doppio sniff, “per niente”, esclamò la tormentata Rilla.
“Non c’è bisogno di perdere le staffe, bimba. Dovresti essere disposta ad ascoltare i consigli dei più grandi. Ho visto come sei sgattaiolata sulle
3
Citazione da “La Sirenetta” di Hans Christian Andersen (NDR)
dune di sabbia con Ken e quanto a lungo sei rimasta con lui. Tua mamma non sarebbe contenta se lo sapesse.”
“Io lo racconterò a mia mamma... e a Miss Oliver... e a Walter”, annaspò Rilla tirando su col naso, “Tu sei rimasta seduta per ore con Miller
Douglas su quella trappola per aragoste, Mary Vance! Che cosa ne direbbe la signora Elliott se lo sapesse?”
“Oh, non ho intenzione di litigare con te”, disse Mary, ritirandosi improvvisamente su terreni alti ed elevati, “Dico solo che dovresti aspettare di
essere più grande prima di fare certe cose.”
Rilla rinunciò a ogni tentativo di nascondere il fatto che stava piangendo. Ormai tutto era rovinato... perfino quell’ora bella, sognante, romantica,
illuminata dalla luna che aveva trascorso con Kenneth sulle dune di sabbia era stata svilita e resa volgare. Detestava Mary Vance.
“Be’, che c’è che non va?”, esclamò Mary, disorientata, “Perché piangi?”
“I piedi... mi fanno malissimo”, singhiozzò Rilla aggrappandosi all’ultimo brandello di orgoglio. Era meno umiliante ammettere che stavi
piangendo per via dei piedi che non perché... perché qualcuno si era divertito con te, e i tuoi amici ti avevano dimenticato, e gli altri ti trattavano
con sufficienza.
“Immagino di sì”, disse Mary, non senza gentilezza, “Non ti preoccupare. So dov’è un barattolo di grasso d’oca nella dispensa ordinata di Cornelia,
e quello batte tutte le creme fredde del mondo. Te ne metto un po’ sui talloni prima che andiamo a letto.”
Grasso d’oca sui talloni! Perciò era in questo che sfociavano la tua prima festa, il tuo primo innamorato e il tuo primo idillio al chiaro di luna!
Rilla smise di piangere per puro disgusto dell’inutilità delle lacrime e andò a dormire nel letto di Mary Vance nella quiete della disperazione. Fuori,
l’alba spuntò grigia sulle ali della tempesta; capitan Josiah, mantenendo la parola, issò la Union Jack sul faro dei Quattro Venti, e quella svolazzò
nel vento furioso contro il cielo nuvoloso come un segnale valoroso e inestinguibile.
Capitolo 5
“Un rumore di passi1”
Rilla corse giù nello splendore assolato del bosco di aceri dietro Ingleside, verso il suo angolino preferito nella Valle dell’Arcobaleno. Si sedette su
un masso verde di muschio tra le felci, appoggiò il mento sulle mani e fissò, senza vederlo, l’accecante cielo azzurro del pomeriggio d’agosto... così
azzurro, così sereno, così immutato, arcuato sulla valle come aveva sempre fatto in quei giorni maturi di fine estate da che lei aveva memoria.
Voleva stare da sola... per riflettere sulle cose... per adattarsi, se era possibile, al nuovo mondo nel quale sembrava essere stata trapiantata con una
subitaneità e una totalità che la lasciavano disorientata sulla propria stessa identità. Era – poteva essere – la stessa Rilla Blythe che aveva ballato al
faro dei Quattro Venti sei giorni fa... solo sei giorni fa? A Rilla sembrava di aver vissuto in quei sei giorni più che in tutta la sua vita precedente...
e se è vero che bisognerebbe contare il tempo coi battiti del nostro cuore, era stato proprio così. Quella sera, con le sue speranze e le sue paure, i
suoi trionfi e le sue umiliazioni, adesso sembrava storia antica. Possibile che avesse pianto davvero solo perché era stata dimenticata e aveva dovuto
tornare a casa a piedi con Mary Vance? Ah, pensò Rilla tristemente, come le appariva futile e assurdo adesso il motivo di quelle lacrime. Lei adesso
poteva piangere con giusto zelo... ma non l’avrebbe fatto... non doveva farlo. Cos’è che aveva detto la mamma, con un aspetto, le labbra bianche
e gli occhi afflitti, che Rilla non aveva mai visto prima in sua mamma?
“Quando le nostre donne perdono coraggio,
I nostri uomini saranno ancora impavidi?”
Sì, era questo. Doveva essere coraggiosa... come mamma... come Nan... e Faith... Faith, che aveva esclamato con occhi lucenti “Oh, se solo
fossi un uomo, partirei anch’io!” Solo che quando gli occhi le facevano male e la gola le bruciava così doveva andare a nascondersi nella Valle
dell’Arcobaleno per un po’, soltanto per riflettere sulle cose e ricordarsi che non era più una bambina... era grande, e le donne dovevano affrontare
cose del genere. Ma era... bello, potersi allontanare da sola di tanto in tanto, dove nessuno poteva vederla e dove non temeva che la gente la
considerasse una piccola codarda se le spuntava qualche lacrima suo malgrado.
Com’era dolce e boscoso il profumo delle felci! Come ondeggiavano dolcemente i vaporosi rami degli abeti, che mormoravano sopra di lei! Come
tintinnavano fatate le campanelle sugli Alberi Innamorati... proprio solo un tintinnio di tanto in tanto, quando soffiava la brezza. Com’era purpurea
e sfuggente la bruma dove l’incenso veniva offerto sui molti altari delle colline! Com’erano candide le foglie degli aceri agitandosi al vento fino a
che tutto il bosco sembrava coperto di fiori d’argento pallido! Tutto era esattamente uguale a come lei l’aveva visto centinaia di volte; eppure tutta
la faccia della terra sembrava cambiata.
“Come sono stata cattiva a desiderare che capitasse qualcosa di drammatico!”, pensò, “Oh, se solo potessimo riavere indietro quelle vecchie, care
giornate, monotone e gradevoli! Io non me ne lamenterei mai, mai più.”
Il mondo di Rilla era crollato a pezzi il giorno subito dopo la festa. Mentre si soffermavano attorno alla tavola di Ingleside, a parlare della guerra,
il telefono era squillato. Era una telefonata interurbana da Charlottetown per Jem. Quando ebbe finito di parlare, lui aveva appeso il ricevitore e si
era voltato, col viso arrossato e gli occhi sfavillanti. Prima che potesse dire una sola parola la mamma, Nan e Di erano impallidite. E Rilla per la
prima volta in vita sua si era sentita come se tutti potessero sentire il suo cuore che batteva e che qualcosa le si era bloccato in gola.
“Stanno cercando volontari in città, papà”, aveva detto Jem, “Un mucchio di gente ha già aderito. Io vado ad arruolarmi stasera.”
“Oh... piccolo Jem!”, aveva esclamato la signora Blythe, distrutta. Non lo chiamava così da anni... aveva smesso quando lui si era ribellato a quel
nomignolo, “Oh... no... no... piccolo Jem!”
“Devo, mamma. Ho ragione... vero, papà?”, aveva detto Jem.
Il dottor Blythe si era alzato. Anche lui era molto pallido e aveva la voce roca. Ma non aveva esitato.
“Sì, Jem, sì... se senti che è giusto, sì...”
La signora Blythe si era coperta il volto. Walter si era messo a fissare depresso il piatto. Nan e Di si erano prese per mano. Shirley aveva cercato
di apparire sereno. Susan si era messa a sedere come paralizzata, la fetta di torta rimasta mangiata a metà sul piatto. Susan non finì mai quella fetta
di torta... un fatto che rappresentava un’eloquente testimonianza del suo turbamento interiore, perché Susan considerava un’offesa capitale contro
la società civile cominciare a mangiare una cosa e non finirla. Quello fu uno spreco volontario, malgrado sembrasse il contrario.
Jem era tornato al telefono. “Devo chiamare in canonica. Vorrà partire anche Jerry.”
A questo Nan aveva esclamato “Oh!”, come se l’avessero pugnalata con un coltello, ed era scappata dalla stanza. Di l’aveva seguita. Rilla si era
voltata verso Walter in cerca di conforto, ma Walter si era estraniato da lei, perso dietro a qualche fantasticheria che lei non poteva condividere.
“D’accordo”, stava dicendo Jem, freddo come se stesse organizzando i dettagli di un picnic, “Pensavo che l’avresti fatto... sì, stasera... alle sette.
Ci vediamo in stazione. Ciao.”
“Cara signora Dottore”, aveva detto Susan allontanando la torta, “Vorrei che mi svegliaste. Sto sognando... o sono sveglia? Quel, benedetto
ragazzo si rende conto di cosa sta dicendo? Vuole davvero andare ad arruolarsi come soldato? Non vorrete farmi credere che hanno bisogno di
bambini come lui. Di certo voi e il dottore non glielo permetterete.”
“Non possiamo fermarlo”, aveva detto la signora Blythe, con voce strozzata, “Oh, Gilbert!”
Il dottor Blythe era andato dietro sua moglie e l’aveva presa per mano teneramente, guardando quei dolci occhi grigi che solo una volta prima
d’allora aveva visto pieni come adesso d’una implorante angoscia. Pensavano entrambi a quell’altra volta... quel giorno di tanti anni prima, alla
Casa dei Sogni, quando la piccola Joyce era morta.
“Vorresti che restasse qui, Anna... quando gli altri partono... quando lui pensa che sia suo dovere partire... lo vuoi tanto egoista e meschino?”
“No... no! Ma... oh, è il nostro primogenito... è solo un ragazzo, Gilbert... cercherò di essere coraggiosa... fra un po’.... adesso non posso. È tutto
così improvviso. Dammi tempo.”
Il dottore e sua moglie erano usciti dalla stanza. Jem se n’era andato... Walter se n’era andato... Shirley si era alzato per andarsene. Rilla e Susan
erano rimaste a fissarsi attraverso la tavola deserta. Rilla non aveva ancora pianto... era troppo stupefatta per le lacrime. Poi aveva visto che Susan
stava piangendo... Susan, che lei non aveva mai visto versare una sola lacrima prima d’allora.
“Oh, Susan, partirà davvero?”, le aveva domandato.
“È... è ridicolo, ecco cos’è”, aveva detto Susan.
Si era asciugata le lacrime, le aveva inghiottite risoluta e si era alzata.
“Vado a lavare i piatti. Questo bisogna farlo anche se impazziscono tutti. Andiamo, tesoro, non piangere. Jem partirà, molto probabilmente... ma
1
Citazione biblica. Dal secondo libro di Samuele, 5:24. “Quando udrai un rumore di passi sulle cime dei Balsami, lanciati subito
all’attacco, perché allora il Signore uscirà davanti a te per sconfiggere l’esercito dei Filistei.” (NDR)
la guerra sarà già finita molto prima che lui arrivi da quelle parti. Facciamoci forza e non facciamo preoccupare la tua povera mamma.”
“Sull’Enterprise di oggi scrivevano che Lord Kitchener dice che la guerra durerà tre anni”, aveva detto Rilla, incerta.
“Non conosco Lord Kitchener”, aveva detto Susan, composta, “Ma credo che faccia errori proprio come chiunque altro. Tuo padre dice che finirà
in pochi mesi e io ho più fiducia nella sua opinione che in quella di Lord Vattelappesca. Perciò calmiamoci e confidiamo nell’Onnipotente, e
mettiamo in ordine questo posto. Io ho smesso di piangere, che è una perdita di tempo e demoralizza chiunque.”
Jem e Jerry andarono a Charlottetown quella sera e tornarono due giorni dopo con le divise cachi. Tutta Glen pulsò d’eccitazione. La vita a
Ingleside era improvvisamente diventata una cosa tesa, agitata, elettrizzante.
La signora Blythe e Nan furono coraggiose, sorridenti e meravigliose. La signora Blythe e Miss Cornelia stavano già organizzando la Croce
Rossa. Il dottore e il signor Meredith radunavano gli uomini per costituire un’Associazione Patriottica. Rilla, dopo il primo choc, reagì alla parte
romantica di tutta quella faccenda, nonostante l’afflizione. Jem era certamente splendido nella sua uniforme. Era realmente magnifico pensare
ai ragazzi del Canada che rispondevano rapidamente, impavidi e altruisti al richiamo del loro paese. Rilla teneva la testa alta tra le ragazze i cui
fratelli non avevano così risposto. Nel suo diario scrisse:
“Egli va a fare quel ch’io avrei fatto
Se la figlia di Douglas fosse stata un figlio”2
ed era sicura di dire sul serio. Se fosse stata un ragazzo, ma certo che sarebbe partita anche lei! Non ne aveva il minimo dubbio.
Si chiese se fosse terribile da parte sua essere contenta che Walter non si fosse ancora rimesso in forze dopo la malattia come avrebbero desiderato.
“Non sopporterei se Walter partisse”, scrisse, “Voglio molto bene a Jem, ma Walter per me è più importante di chiunque altro al mondo, e morirei
se lui dovesse partire. Sembra così cambiato in questi giorni. Mi parla a stento. Immagino che voglia partire anche lui, e che soffra perché non può.
Non se ne va affatto dietro a Jem e Jerry. Non dimenticherò mai la faccia di Susan quando Jem è tornato a casa con la divisa cachi. Era agitata e
alterata come se fosse sul punto di piangere, ma poi ha detto soltanto ‘Sembri quasi un uomo con quella, Jem’. E Jem s’è messo a ridere. A lui non
scoccia mai che Susan lo consideri ancora un bambino. Sembrano tutti impegnati tranne me. Vorrei che ci fosse qualcosa che possa fare ma sembra
che non ci sia niente. Mamma, Nan e Di sono sempre affaccendate e io vago come un fantasma solitario. Quello che mi fa un male terribile è che
mamma sorride e Nan da fuori sembra calmissima. Però adesso gli occhi di mamma non sorridono. Mi fa sentire come se non dovessi ridere...
come se fosse da cattivi aver voglia di ridere. Ed è così difficile per me evitare di ridere, anche se Jem diventerà un soldato. Ma anche quando
rido, non me la godo più come un tempo. Dietro c’è sempre qualcosa che continua a farmi male... specialmente quando mi sveglio di notte. Allora
mi metto a piangere perché ho paura che Kitchener o Khartoum abbiano ragione e che la guerra durerà per anni e che Jem potrebbe... ma no, non
voglio scriverlo. Mi farebbe sentire come se stesse per succedere davvero. L’altro giorno Nan ha detto ‘Nulla sarà mai più lo stesso per tutti noi’.
Mi ha fatto sentire ribelle. Perché le cose non possono rimanere uguali... quando tutto sarà finito e Jem e Jerry saranno tornati? Saremo di nuovo
tutti felici e allegri e questo periodo sarà solo come un brutto sogno.
“L’arrivo della posta adesso è l’evento più emozionante della giornata. Papà agguanta il giornale – non avevo mai visto papà agguantare qualcosa
prima – e il resto di noi gli si affolla attorno per leggere i titoli da sopra la sua spalla. Susan giura che lei non crede a una sola parola di quel che
dice il giornale, ma viene sempre alla porta della cucina, ascolta e poi se ne va scuotendo la testa. È sempre terribilmente indignata, ma cucina
tutte le cose che a Jem piacciono particolarmente, e non ha fatto neanche un po’ di storie quando ieri ha trovato Lunedì addormentato sul letto
della stanza degli ospiti, proprio sulla coperta con le foglie di melo della signora Rachel Lynde. ‘Dio solo sa dove dormirà il tuo padrone fra poco,
povera bestia muta’, gli ha detto quando l’ha fatto uscire dolcemente. Ma non s’intenerisce mai nei confronti di Doc. dice che non appena lui ha
visto Jem con la divisa cachi s’è trasformato in mister Hyde all’istante, e lei pensa che questo dovrebbe dimostrare cos’è in realtà. Susan è buffa,
ma è una cara vecchietta. Shirley dice che per metà è un angelo e per l’altra metà una brava cuoca. Ma del resto Shirley è l’unico di noi che lei
non rimprovera mai.
“Faith Meredith è meravigliosa. Credo che lei e Jem adesso siano davvero fidanzati. Se ne va in giro con una luce splendente negli occhi, ma i suoi
sorrisi sono un po’ tesi e rigidi, proprio come quelli di mamma. Mi chiedo se io potrei mai essere coraggiosa come lei, se avessi un innamorato e
lui stesse per andare in guerra. È già abbastanza brutto quando è tuo fratello a farlo. La signora Meredith ha detto che Bruce Meredith ha pianto
tutta la notte quando ha saputo che Jem e Jerry partivano. E voleva sapere se ‘R. di R.’ di cui parlava suo padre era il Re dei Re. È un tesoruccio
di bimbo. Lo adoro... anche se i bambini non mi piacciono molto. I bambini piccoli non mi piacciono neanche un po’... anche se quando lo dico,
la gente mi guarda come se avessi detto qualcosa di assolutamente sconvolgente. Be’, non mi piacciono e debbo essere onesta. Non mi dispiace
guardare un bel bambino pulito se lo regge qualcun altro... ma non lo toccherei per nulla al mondo, e non ci trovo neanche una minima scintilla
d’interesse. Gertrude Oliver dice che per lei è esattamente lo stesso (lei è la persona più onesta che io conosca, non finge mai niente). Lei dice che
i bambini l’annoiano finché non sono abbastanza grandi da parlare e allora le piacciono... ma sempre molto da lontano. Mamma, Nan e Di adorano
i bambini piccoli e pensano che sia innaturale che a me non piacciono.
“Non ho più visto Kenneth dalla sera della festa. È venuto qui una sera dopo che Jem era tornato, ma io ero via. Non credo che abbia affatto parlato
di me... perlomeno, nessuno mi ha detto che l’abbia fatto e io ero decisa a non chiederlo... ma non me ne importa neanche un po’. Non m’importa
assolutamente niente di tutto questo. L’unica cosa importante è che Jem s’è arruolato volontario per il servizio attivo e che fra pochi giorni partirà
per Valcartier... il mio grande, splendido fratello Jem. Oh, sono tanto orgogliosa di lui!
“Credo che anche Kenneth si arruolerebbe se non fosse per la sua caviglia. Penso che questo sia provvidenziale. Lui è l’unico figlio maschio di sua
madre e lei si sentirebbe malissimo se lui partisse. I figli unici non dovrebbero mai pensare di partire!”
Walter arrivò a vagare per la valle mentre Rilla sedeva lì, con la testa china e le mani giunte dietro la testa. Quando vide Rilla si voltò bruscamente;
poi si voltò di nuovo altrettanto bruscamente e tornò da lei.
“Rilla-mia-Rilla, a cosa stai pensando?”
“È cambiato tutto, Walter”, disse Rilla, nostalgica, “Anche tu... tu sei cambiato. Una settimana fa eravamo tutti così felici e... e... adesso non riesco
più a trovarmi. Mi sento smarrita.”
Walter si sedette su una pietra vicina e prese la manina implorante di Rilla.
“Ho paura che il tuo vecchio mondo sia finito, Rilla. Dobbiamo affrontare la realtà.”
“È terribile pensare a Jem”, supplicò Rilla, “Certe volte mi dimentico per un po’ cosa vuol dire davvero e mi sento eccitata e orgogliosa... e poi mi
torna in mente, come un vento freddo.”
“Io invidio Jem”, disse Walter, cupo.
“Invidi Jem? Oh, Walter, ma tu... non vuoi partire anche tu, no?”
2
Citazione da “La Dama del Lago”, di Walter Scott (NDR)
“No”, disse Walter, scrutando davanti a sé le vedute color smeraldo della valle, “No, io non voglio partire. È questo il problema. Rilla, io ho paura
di partire. Sono un codardo.”
“Non è vero!”, proruppe Rilla, arrabbiata, “Chiunque avrebbe paura di partire. Potrebbero... potrebbero ucciderti.”
“Questo non mi preoccuperebbe, se non facesse male”, borbottò Walter, “Non è della morte in sé che ho paura... è del dolore che viene prima della
morte... non sarebbe tanto brutto morire e farla finita... ma morire lentamente! Rilla, io ho sempre avuto paura del dolore... tu lo sai. Non posso
farci niente... mi vengono i brividi quando penso alla possibilità di finire mutilato o... o accecato. Rilla, io non riesco a far fronte a quel pensiero.
Diventare cieco... non vedere mai più la bellezza del mondo... la luna sui Quattro Venti... le stelle che brillano tra gli abeti... la nebbia sul golfo. Io
dovrei partire... dovrei voler partire... ma non voglio... detesto il solo pensiero... e mi vergogno... mi vergogno.”
“Ma Walter, non potresti comunque partire”, disse Rilla, triste. Soffriva per il nuovo terrore che alla fine Walter sarebbe partito, “Non sei abbastanza
in forze.”
“Invece sì. Sono più in forma che mai da un mese a questa parte. Avrei superato la visita... lo so. Tutti credono che non mi sia ancora rimesso in
forze... e io mi nascondo dietro questa convinzione. Io... avrei dovuto essere una ragazza.”
Walter concluse con uno sfogo di ardente asprezza.
“Anche se fossi abbastanza in forze, non dovresti partire lo stesso”, singhiozzò Rilla, “Che farebbe la mamma? Già è straziata per Jem. La
ucciderebbe vedere tutti e due partire.”
“Oh, non parto... non preoccuparti. Te l’ho detto che ho paura di partire... paura. Voglio essere chiaro con me stesso. È un sollievo ammetterlo
anche con te, Rilla. Non lo confesserei a nessun altro... Nan e Di mi disprezzerebbero. Ma detesto tutta questa faccenda... l’orrore, il dolore, la
bruttezza. La guerra non è un’uniforme cachi o una sfilata di esercitazione... tutto quello che ho letto nelle vecchie storie mi perseguita. Di notte
resto sveglio e vedo quello che è successo... vedo il sangue, la sozzura, la sofferenza di tutto ciò. E una carica di baionette! Se anche riuscissi
ad affrontare le altre cose non potrei mai affrontare questo! Mi viene la nausea a pensarci... e mi nausea ancora di più a pensare di infliggere più
che di ricevere... pensare di trafiggere un altro uomo con una baionetta”, Walter si agitò e rabbrividì, “Penso a queste cose continuamente... e mi
sembra che Jem e Jerry non ci pensino mai. Loro ridono e parlano di ‘sparare ai crucchi’! Ma mi fa ammattire vederli con quelle divise cachi. E
loro credono che io sia scontroso perché non sono abile a partire.”
Walter rise con asprezza. Non è bello sentirsi un codardo. Ma Rilla lo cinse con le braccia e gli premette la testa sulla spalla. Era tanto contenta
che lui non volesse partire... per un minuto era stata terribilmente spaventata. Ed era tanto bello che Walter confidasse a lei i suoi problemi... a lei,
non a Di. Non si sentiva più così sola e superflua.
“Non mi disprezzi, Rilla-mia-Rilla?”, domandò Walter, addolorato. In un certo senso, lo feriva pensare che Rilla potesse disprezzarlo... lo feriva
quanto avrebbe potuto farlo se fosse stata Di a disprezzarlo. Improvvisamente si rese conto di quanto bene volesse a questa sua adorante sorellina
piccola, coi suo occhi supplici e il suo volto preoccupato, da ragazzina.
“No. Walter, centinaia di persone si sentono proprio come te. Sai come dice quel verso di Shakespeare nella vecchia antologia del quinto anno...
‘l’uomo coraggioso non è quello che non prova paura’3.”
“No... ma è ‘colui il cui nobile animo le paure doma’. Io non faccio questo. Non possiamo passarci sopra, Rilla. Io sono un codardo.”
“Non lo sei. Pensa a come lottasti contro Dan Reese tanto tempo fa.”
“Uno slancio di coraggio non basta per una vita intera.”
“Walter, una volta ho sentito papà dire che il tuo problema è la tua natura sensibile e una fervida immaginazione. Adesso credo di capire che
intendesse. Tu senti le cose prima che accadano davvero... le percepisci tutto da solo quando non c’è niente che ti aiuti a sopportarle... ad
allontanarle. Non so esprimerlo molto bene... ma so che è questo il problema. Non c’è nulla di cui vergognarsi. Quando tu e Jem vi siete scottati
le mani quando avete bruciato l’erba sulle dune di sabbia, due anni fa, Jem si è lamentato per il dolore molto più di te. E questa orribile guerra...
saranno già in tanti a partire, anche senza di te. Non durerà a lungo.”
“Vorrei poterci credere. Be’, è ora di cena, Rilla. Faresti meglio a correre. Io non voglio niente.”
“Nemmeno io. Non potrei mandar giù neanche un boccone. Fammi rimanere con te, Walter. È un tale conforto discutere di queste cose con
qualcuno. Tutti gli altri pensano che io sia troppo piccola per capire.”
Perciò i due rimasero seduti nella vecchia valle fino a che la stella della sera non brillò attraverso una nuvola di garza grigio pallido sopra il bosco
di aceri e l’oscurità fragrante e rugiadosa riempì la loro valletta silvana. Fu una di quelle sere che Rilla avrebbe custodito come un tesoro tra i suoi
ricordi per tutta la vita... la prima in cui Walter le avesse parlato come a una donna e non come a una bambina. Si confortarono e si fecero forza
l’un l’altro. Walter sentì, perlomeno per il momento, che dopotutto non era una cosa tanto disprezzabile temere gli orrori della guerra; e Rilla era
contenta di essere la confidente dei suoi conflitti interiori... di comprenderlo e incoraggiarlo. Era importante per qualcuno.
Quando tornarono a Ingleside, trovarono ospiti seduti in veranda. Il signor e la signora Meredith erano arrivati dalla canonica e il signor e la
signora Norman Douglas erano arrivati dalla fattoria. C’era anche la cugina Sophia, seduta con Susan sullo sfondo indistinto. La signora Blythe,
Nan e Di erano via, ma il dottor Blythe era in casa e così pure il dottor Jekyll, seduto nella sua maestosità dorata sul gradino più in alto. E
naturalmente stavano parlando tutti della guerra, eccetto il dottor Jekyll che se ne stava sulle difensive e aveva l’aria sprezzante che solo un gatto
sa avere. Quando due persone s’incontravano in quei giorni, parlavano della guerra; e il vecchio Highland Sandy di Harbour Head ne parlava
anche quando era da solo, e lanciava anatemi al Kaiser per tutti gli acri della sua fattoria. Walter scivolò via, non volendo vedere né farsi vedere,
ma Rilla si sedette sui gradini, dove la menta di giardino era rugiadose e intensa. Era una sera molto tranquilla, con una fioca luce serotina dorata
che si irradiava per tutta la valle. Si sentiva più felice che in qualunque altro momento di quell’orribile settimana appena trascorsa. Non era più
assillata dalla paura che Walter potesse partire.
“Partirei anch’io se avessi vent’anni di meno”, stava strillando Norman Douglas. Norman strillava sempre quando era su di giri, “Gliela farei
vedere io al Kaiser! Dicevo che l’inferno non esiste? Certo che esiste l’inferno... dozzine di inferni... centinaia di inferni... ai quali sono destinati
il Kaiser e tutta la sua prole.”
“Io lo sapevo che ci sarebbe stata questa guerra”, disse la signora Norman, trionfante, “Io l’ho vista arrivare chiaramente. Avrei potuto dire a quegli
stupidi inglesi cosa avevano davanti. Te l’avevo detto anni fa, John Meredith, cosa stava combinando il Kaiser, ma tu non hai voluto credermi. Tu
dicesti che non avrebbe mai gettato il mondo in una guerra. Chi aveva ragione sul Kaiser, John? Tu o io? Dimmelo.”
“Tu, lo ammetto”, disse il signor Meredith.
“Ormai è troppo tardi per ammetterlo”, disse la signora Norman scrollando la testa, come a lasciar intendere che se John Meredith l’avesse
ammesso prima, avrebbe potuto non esserci nessuna guerra.
3
Macbeth, Atto V, scena II (NDR)
“Grazie a Dio, la marina Inglese è pronta”, disse il dottore.
“Amen”, annuì la signora Norman, “Per quanto siano quasi tutti ciechi come talpe, qualcuno è stato abbastanza avveduto da capire almeno questo.”
“Forse l’Inghilterra riuscirà a non finire nei guai”, disse mesta la cugina Sophia, “Non lo so. Ma ho molta paura.”
“Qualcuno potrebbe pensare che l’Inghilterra sia già nei guai fino al collo, Sophia Crawford”, disse Susan, “Ma il vostro modo di pensare è al
di là della mia comprensione e lo è sempre stato. Secondo me la marina inglese sconfiggerà la Germania in un batter d’occhio e noi ci stiamo
preoccupando tutti per niente.”
Susan pronunciò con foga quelle parole, come se volesse convincere più se stessa che gli altri. Lei aveva la sua piccola riserva di filosofia domestica
a guidarla nella vita, ma non aveva niente a proteggerla dalle folgori della settimana appena trascorsa. Che poteva fare una vecchia zitella onesta,
lavoratrice, presbiteriana di Glen St. Mary con una guerra che avveniva a migliaia di miglia di distanza? Susan pensava fosse indecente che una
cosa del genere dovesse turbarla.
“L’esercito britannico sconfiggerà la Germania”, strillò Norman, “Aspettate solo che vada al fronte, e il Kaiser scoprirà che la vera guerra è una
cosa ben diversa dallo sfilare per Berlino coi baffi all’insù.”
“La Gran Bretagna non ha un esercito”, disse con enfasi la signora Norman, “Non fissarmi così, Norman. Fissarmi non farà spuntare soldati dalle
code di topo. Centomila uomini saranno solo un boccone per i milioni che hanno in Germania.”
“Ma scommetto che saranno un boccone duro da masticare”, insistette valorosamente Norman, “La Germania ci si spaccherà i denti. Non vorrai
dirmi che un soldato britannico non possa affrontarne dieci stranieri. Io stesso potrei farne fuori a dozzine, anche con le mani legate dietro la
schiena!”
“Mi hanno detto”, disse Susan, “che il signor Pryor non crede in questa guerra. Mi hanno detto che secondo lui l’Inghilterra ci è entrata solo perché
era invidiosa della Germania ma che non le importa niente di quel che è successo al Belgio.”
“Credo che abbia detto davvero stupidaggini del genere”, disse Norman, “Io non l’ho sentito. Se lo sentissi, Basette-sulla-luna non sa cosa
potrebbe capitargli. Quella mia carissima parente, Kitty Alec, sproloquia allo stesso modo, a quel che ho saputo. Però non davanti a me... per
qualche motivo, la gente non si abbandona mai a conversazioni di questo tipo in mia presenza. Benedetto Cielo, hanno una specie di presentimento,
per così dire, che questo non sarebbe salubre per loro.”
“Io ho tanta paura che questa guerra ci sia stata mandata come punizione per i nostri peccati”, disse la cugina Sophia, sciogliendo le mani dal
grembo e tornando a giungerle solennemente sullo stomaco, “‘Il mondo è molto cattivo – i tempi volgono al termine’4.”
“Il prete, qui, ha un po’ la stessa idea”, ridacchiò Norman, “Non è così, prete? Ecco perché l’altra sera avete fatto la predica sul testo ‘Senza
spargimento di sangue non c’è remissione dai peccati’5. Io non ero d’accordo con voi... volevo alzarmi dalla panca e gridarvi che non c’era
neanche una parola sensata in quello che stavate dicendo ma Ellen, qui, mi ha fermato. Da quando mi sono sposato non posso più divertirmi a fare
l’irriverente coi preti.”
“Senza spargimento di sangue non c’è niente”, disse il signor Meredith, in quella sua maniera dolcemente trasognata che aveva sempre l’inatteso
effetto di convincere chi l’ascoltava, “Secondo me tutto va conquistato con il sacrificio di sé. La nostra razza ha segnato ogni passo della sua
dolorosa ascesa col sangue. Che ora dovrà di nuovo scorrere a fiumi. No, signora Crawford, io non credo che la guerra ci sia stata mandata come
punizione per i nostri peccati. Io credo che sia il prezzo che l’umanità deve pagare per qualche benedizione – qualche progresso grande abbastanza
da valere questo prezzo – che noi non arriveremo a vedere, ma che i figli dei nostri figli erediteranno.”
“Se Jerry venisse ucciso vi sentireste ancora così tranquillo?”, domandò Norman, che diceva cose come questa da tutta una vita e non era possibile
fargli capire perché non dovesse farlo, “Non c’è bisogno che mi prendi a calci negli stinchi, Ellen. Voglio solo vedere se il prete crede davvero a
quel che ha detto o se era solo un ornamento da pulpito.”
Il volto del signor Meredith tremò. Aveva passato un momento terribile da solo nel suo studio la sera in cui Jem e Jerry erano andati in città. Ma
rispose con pacatezza.
“Qualunque cosa io provi, non posso alterare il mio convincimento... la mia certezza che una nazione i cui figli sono disposti a dare la vita in sua
difesa, guadagnerà una nuova visione grazie al suo sacrificio.”
“Ci credete, prete. Io lo capisco sempre quando la gente crede in quel che dice. È un dono che ho dalla nascita. Fa di me un terrore per la maggior
parte dei preti! Ma non vi ho mai sorpreso a dire qualcosa in cui non credete. Spero sempre di riuscirci... è per questo che mi rassegno al fatto di
andare in chiesa. Sarebbe una tale consolazione per me... una tale arma per sconfiggere Ellen, qui, quando lei tenta di civilizzarmi. Be’, me ne vado
un minuto a vedere Ab Crawford. Che gli dei vi siano benevoli.”
“Quel vecchio pagano!”, borbottò Susan, quando Norman se ne andò via a lunghe falcate. Non le importava se Ellen Douglas la sentì. Susan non
capiva perché non scendesse un fulmine dal cielo a colpire Norman Douglas quando insultava i sacerdoti come faceva lui. Ma la cosa sconvolgente
era che pareva che al signor Meredith quel suo cognato piacesse davvero.
Rilla desiderò che parlassero anche d’altro oltre che della guerra. Da una settimana non sentiva parlare d’altro e ne era veramente un po’ stufa. Ora
che era stata liberata dalla paura assillante che Walter volesse partire, questi discorsi la irritavano. Ma immaginò – con un sospiro – che ne avrebbe
avuto ancora per tre o quattro mesi.
4
5
Citazione dagli Innari Luterani (NDR)
Dalla lettera di san Paolo agli Ebrei, 9:22 (NDR)
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