17 APPROFONDIMENTO Normativa doganale, zone franche e di libero scambio: strategie UE e opportunità d’investimento per le imprese di Piero Bertolaso e Alessandro Pasut() Una volta identificato il quadro normativo di riferimento e le relative fonti legislative, l’articolo si propone di definire il ruolo assunto dalle zone franche differenziandole, quanto a finalità e caratteristiche, dalle zone di libero scambio. Verranno così individuati i principali vantaggi, connessi all’istituzione di branch in tali zone, fornendo una mappa di alcune aree geografiche, in ambito europeo, meritevoli d’attenzione. Obiettivo è quello di consentire al professionista italiano un inquadramento sistematico di tale problematica e al contempo qualificare il regime che caratterizza tali zone, individuando i principali vantaggi concessi all’insediamento dell’investitore estero in esse. l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona 1. Il Trattato di Lisbona ha emendato il Trattato istitutivo della Comunità Europea (noto anche come Trattato di Roma del 1957 e abbreviato in TCE), ora denominato Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (di seguito TfUE), e il Trattato sull’Unione Europea che mantiene lo stesso nome, sostituendosi di fatto alla Costituzione europea2. In particolare l’art. 113 del TfUE pone le basi giuridiche, seppur limitatamente alle imposte indirette3, per adottare le disposizioni fi1 R. Adam-A. Tizzano, Lineamenti di diritto dell’Unione Europea, Giappichelli, 2010, cap. 1. Ai sensi dell’art. 6, par. 1, del Trattato di Lisbona o “Trattato di riforma” firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007, si prevede che “il presente trattato entra in vigore il 1° gennaio 2009, se tutti gli strumenti di ratifica sono stati depositati, altrimenti il primo giorno del mese successivo all’avvenuto deposito dello strumento di ratifica da parte dello Stato firmatario che procede per ultimo a tale formalità”. L’allargamento dell’Unione europea porta con sé l’esigenza di creare un unico strumento giuridico, un nuovo e unico Trattato; nel Trattato di Lisbona …. 2 L. Daniele, “Diritto del europeo”, Milano ed., 2006, cap. 1. 3 P. Valente, “Fiscalità sovranazionale”, ed. Il Sole 24 Ore, 2006, pagg. 126 e seguenti. In particolare a pag. 134 l’Autore osserva che da tale progetto di armonizzazione rimangono escluse le imposte dirette che sarebbero quindi estranee al progetto di armonizzazione. Attualmente, le imprese europee devono confrontarsi con 27 differenti regimi fiscali. Il Mercato unico europeo è cioè pieno di ostacoli fiscali quali la 1. Premessa Costruito formalmente intorno alla prospettiva economico-commerciale di un mercato comune, oggi identificato dall’Unione Europea, il processo d’integrazione tra gli Stati europei viene avviato il 1° gennaio 1952 con il Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio e trova (CECA) trovando il suo completamento politico con () Gli Autori sono iscritti rispettivamente all’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Verona e di Udine. 19/2010 fascicolo 1 mercato unico ATTUALITÀ il fisco n. 36/2007 1 8 scali necessarie ad assicurare “l’armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d’affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno ed evitare le distorsioni di concorrenza”. L’attività diretta al ravvicinamento delle legislazioni nazionali risulta quindi essere il principale mezzo a diposizione della UE per promuovere, mediante l’istituzione di un mercato comune, i propri obiettivi istituzionali. In base all’art. 28 del TfUE “L’Unione comprende un’unione doganale che si estende al complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali all’importazione e all’esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l’adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi”. Nel suo ambito i dazi doganali tra gli Stati membri, tanto all’importazione, quanto all’esportazione, sono interamente soppressi (art. 30 TfUE), trovando tali principi fiscali fondamento giuridico nella libera circolazione delle merci all’interno del mercato comune. L’area all’interno dell’unione doganale diviene così un unico mercato nel quale, non esistendo alcun confine, è consentita la libera circolazione delle merci4. Gli Stati membri dell’Unione Europea devono senza riserve accogliere l’acquis comunitario5 inteso quale insieme dei diritti, degli obblighi giuridici e politici che accomunano e vincolano i Paesi che ne fanno parte6. doppia tassazione, costi amministrativi molto alti, costi fiscali per le ristrutturazioni delle imprese e in generale misure fiscali che inducono le società ad investire ed operare nel mercato domestico piuttosto che nel Mercato unico. La Common Consolidated Corporate Tax Base rappresenta un’eccellente opportunità di semplificare i sistemi fiscali, migliorare la competitività dell’UE quale luogo per fare impresa e quindi per offrire un importante contributo al raggiungimento degli obiettivi di Lisbona di crescita, occupazione e competitività. Obiettivi che sono condivisi all’interno dell’UE. Qualche ipotesi in merito all’unificazione fiscale, anche ai fini delle imposte dirette è stata ventilata si veda L. Kovacs, Le prospettive della CCCTB, in “Rassegna tributaria” n. 3/2008, pagg. 699 e seguenti. La novità, attuata con il regolamento n. 450/2008, rappresenta il momento d’arrivo di un lungo processo di elaborazione della 4 T. Lambert, Les aides fiscales nationales au sein de l’Union européenne ou la liberté sous surveillance, in “il fisco” n. 24/2005, fascicolo n. 1, pag. 3748. 5 L’acquis comunitario [dalla locuzione francese “(droit) acquis communautaire” ovvero “(diritto) acquisito comunitario”] è l’insieme dei diritti e degli obblighi giuridici e degli obiettivi politici che accomunano e vincolano gli stati membri dell’Unione Europea e che devono essere accolti senza riserve dai paesi che vogliano entrare a farne parte. I paesi candidati devono 18 2. Guida normativa in materia doganale La creazione all’interno dell’Unione Europea di un’“Unione doganale” comporta che in materia doganale le fonti normative siano di rango comunitario7. La normativa doganale di base per l’Italia è perciò rappresentata da: a) il Codice Doganale Comunitario (CDC) istituito dal Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 23 aprile 2008 n. 450/2008/CE (Gazzetta Ufficiale UE n. L 145 del 4 giugno 2008) che definisce i presupposti oggettivi e soggettivi dell’imposizione; gli elementi di base dell’obbligazione doganale (quantità, qualità, origine e valore delle merci); gli aspetti procedurali per introdurre nel territorio comunitario dei prodotti e per l’assegnazione della destinazione doganale prescelta; i diversi regimi tecnici delle diverse destinazioni doganali; b) le Disposizioni di applicazione del Codice Doganale Comunitario (DAC), Regolamento CEE 2454/93, in cui trovano definizione i dettagli di funzionamento degli istituti fondamentali; c) Testo unico delle leggi doganali (TULD) D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43. accettare l’“acquis” per poter aderire all’Unione europea e per una piena integrazione nell’unione devono accoglierlo nei rispettivi ordinamenti nazionali, adattandoli e riformandoli in funzione di esso; devono poi applicarlo a partire dalla data in cui divengono membri della UE a tutti gli effetti. L’Unione mantiene integro l’“acquis” comunitario e tende a svilupparlo ulteriormente. Ci sono tuttavia, per alcuni paesi, delle deroghe all’acquis, deroghe che sono però eccezionali e limitate: ad esempio alcuni paesi (Gran Bretagna, Danimarca e Svezia) non hanno adottato l’euro, riservandosi di farlo eventualmente in seguito; altri (Irlanda e Gran Bretagna) non hanno aderito agli Accordi di Schengen. 6 E. Nuzzo, Le incentivazioni fiscali e le attività economiche in ambito CEE, in “Rassegna Tributaria” n. 5/1998, pag. 1211. 7 L. Tosi-R. Baggio, “Lineamenti di diritto tributario internazionale”, Padova, 2009, pagg. 125 e seguenti. fascicolo n. 1 ATTUALITÀ il fisco n. 36/2007 normativa, decollato con il regolamento del Consiglio n. 2913 del 12 ottobre 1992, che è stato nel tempo sempre più adattato all’esigenza, condivisa dagli operatori economici e dalle autorità doganali, di omogeneizzare le procedure doganali dei vari Paesi (dotati di propria autonomia fin dagli anni ottanta). Pur non esaurendosi l’attuale funzione delle dogane in compiti di carattere strettamente fiscale l’appartenenza all’Unione Europea determina che il gettito sia interamente devoluto a quest’ultima, rappresentando i tributi doganali una “risorsa propria”8 di stretta pertinenza comunitaria. Nell’ambito del codice aggiornato le Autorità doganali9 non sono chiamate a presidiare, in via esclusiva, la corretta applicazione della normativa doganale, ma assumono la “responsabilità primaria della supervisione degli scambi internazionali”, in modo da contribuire a garantire la libertà e la lealtà negli scambi commerciali nonché l’attuazione della politica commerciale comune e la sicurezza dell’intera “catena logistica” (art. 2). 3. Le zone franche Il CDC ha puntualmente definito la configurazione giuridica delle zone franche nell’ambito dei regimi doganali speciali di deposito. Nelle suddette zone le merci non comunitarie, e a certe condizioni anche quelle comunitarie, possono essere depositate senza essere soggette ai dazi all’importazione, altri oneri e misure di politica commerciale. All’interno delle zone franche doganali è possibile svolgere, a condizioni agevolate, non soltanto il magazzinaggio ma anche attività industriali, commerciali e di servizi, soprattutto quelle di trasformazione delle merci che transitano lungo le rotte internazionali, grazie alla possibilità di vincolare queste ultime ad altri regimi doganali che consentono tali usi10. Il Reg. (CE) n. 450 del 2008 ha eliminato il riferimento ai depositi franchi limitandosi a regolamentare unicamente l’istituto della zona 8 Sul punto P. Valente, op. cit., pag. 127; L. Tosi-R. Baggio, op. cit., pag. 126. 9 F. Cerioni, Entrato in vigore il “codice doganale aggiornato”, in “Corriere tributario” n. 32/2008, pag. 2575. 10 A. Amoroso, Regimi doganali e regimi speciali nel nuovo codice doganale comunitario, in “il fisco” n. 38/2009, fascicolo n. 1, pag. 6279. fascicolo n. 1 1 9 franca, alla quale viene attribuita espressamente la qualifica di “regime doganale”. Ai sensi dell’art. 155 “1. Gli Stati membri possono destinare talune parti del territorio doganale della Comunità a zona franca. Per ogni zona franca, lo Stato membro stabilisce l’area interessata e i punti di entrata e di uscita. 2. Le zone franche sono intercluse. Il perimetro e i punti di entrata e di uscita delle zone franche sono sottoposti a vigilanza doganale. 3. Le persone, le merci e i mezzi di trasporto che entrano in una zona franca o ne escono possono essere sottoposti a controlli doganali”. La qualificazione della zona franca, quale regime doganale, comporta la soggezione delle merci, in essa introdotte, a vigilanza doganale obbligatoria per tutto il periodo di permanenza entro tale spazio11. Nella pratica, l’espressa configurazione della zona franca quale regime doganale comporta che: le merci in essa introdotte saranno soggette a vigilanza doganale durante tutto il periodo di permanenza entro tale spazio; la vigilanza dovrà essere esercitata obbligatoriamente sul perimetro e i punti d’entrata e d’uscita. Ai sensi dell’art. 156 del CDC all’interno della zona franca è possibile effettuare la costruzione di immobili, previa approvazione delle autorità doganali, nonché lo svolgimento di qualsiasi attività di natura industriale o commerciale e qualsiasi tipo di prestazione di servizi, anche se l’esercizio delle attività deve essere preventivamente notificato all’autorità doganale, che può disporre alcuni divieti o alcune limitazioni, in particolare nei confronti delle persone che non offrono le garanzie necessarie alla corretta applicazione delle disposizioni del Codice aggiornato12. Una zona franca rappresenta un’area limitata del territorio doganale della Comunità 13. Le attività produttive svolte al suo interno beneficiano di un particolare regime di favo11 M. Peirolo, Esonero dall’obbligo delle garanzie doganali, in “Corriere tributario” n. 8/2005, pag. 658. 12 F. Cerioni, Rimborso e sgravio nel codice doganale aggiornato, in “Corriere tributario” n. 24/2009, pag. 1960. 13 F. Rapisarda, Giurisprudenza della Corte di Giustizia europea: i nuovi possibili indirizzi in materia di recupero a posteriori dei diritti doganali, in “il fisco” n. 46/2007, fascicolo n. 1, pag. 6713; M. Scuffi, Diritto doganale e delle accise: gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, in allegato alla Rivista “il fisco” n. 19/2008. 19 ATTUALITÀ re, in materia doganale e fiscale, così da esercitare una forte attrattività in termini di investimenti in infrastrutture e servizi logistici, con conseguente crescita dei territori che le ospitano in termini di valore aggiunto, occupazione, esportazioni e trasferimento tecnologico. Nell’attuale contesto di globalizzazione dei mercati, le attività svolte nelle zone franche appaiono inserite in contesti caratterizzati da filiere produttive e distributive internazionali. 4. Le zone di libero scambio La costituzione dell’Unione doganale garantisce la circolazione delle merci all’interno di un mercato comune in cui non sussistono confini di carattere economico. Contrariamente a quanto avviene nell’Unione doganale generalmente caratterizzata da una politica tariffaria comune nel caso della zona di libero scambio ciascuno Stato aderente, tramite un Accordo di associazione, può applicare direttamente gli strumenti di politica commerciale stabilendo i dazi doganali, le quote di importazione. I relativi controlli continuano a essere svolti direttamente alle frontiere di ciascun Paese aderente all’accordo, al fine di stabilire se alle merci importate possa esser applicato il trattamento (preferenziale), in quanto originarie dei Paesi aderenti. La zona di libero scambio sostanzialmente rappresenta un’area geografica sorta attraverso la statuizione tra più Stati che intendono rafforzare gli obiettivi di partenariato attraverso una progressiva liberalizzazione degli scambi “fermo restando che i confini geografici tra gli Stati aderenti alla zona conservano la natura di confini economici e che, quindi, i governi dei Paesi aderenti sono liberi di imporre limitazioni qualora si verifichino determinati eventi”14. In questa prospettiva la Conferenza di Barcellona ha gettato le basi di un processo volto a istituire un quadro di dialogo e cooperazione, c.d. euro mediterraneo, fondato sul partenariato politico e di sicurezza, sul partenariato economico e finanziario e sul partenariato sociale e culturale. La realizzazione di tale strategia prende le mosse dalla convocazione a Barcellona da 14 L. Tosi-R. Baggio, op. cit., pag. 126. 20 il fisco n. 36/2007 2 0 parte della Presidenza spagnola dell’Unione Europea il 27 e 28 novembre 1995 di una conferenza Ministeriale Euro-Mediterranea, cui hanno partecipato, oltre ai Paese aderenti alla UE, anche dodici Paesi della riva a Sud e ad Est del Mediterraneo (tra i quali Algeria, Tunisia, Marocco, Egitto, Israele, Giordania, Territorio Autonomo Palestinese, Libano, Siria, Turchia Cipro e Malta15). Nell’ambito del partenariato economico e finanziario è stata decisa la creazione di una zona di libero scambio, da realizzarsi entro il 2010, basata su singoli Accordi di libero scambio contenenti norme sull’origine con l’elaborazione di un prototipo di Protocollo origine, c.d. Pan Euro Mediterraneo (Gazz. Uff. UE serie C 18 del 25 gennaio 2006). L’Agenzia delle Dogane nella circ. n. 44/D del 1° dicembre 200616 ha affrontato in chiave esplicativa gli aspetti relativi all’origine preferenziale, relativamente all’applicazione dei nuovi Protocolli “origine” Pan Euro Mediterranei. In base al cumulo Pan Euro Mediterraneo, un prodotto originario, ai sensi di un Accordo di libero scambio, può subire un processo di lavorazione e trasformazione in diversi Paesi aderenti all’Accordo, senza per questo perdere il relativo trattamento preferenziale. L’Unione Europea intende realizzare delle politiche commerciali, fiscali e doganali volte alla creazione, entro il 2010, di un’area di libero scambio Euro-Mediterranea che attragga investimenti diretti nell’area, in particolare da investitori europei, e acceleri lo sviluppo sociale17. La cooperazione tra i Paesi aderenti, pur ponendo le basi per una futura cooperazione tra l’Unione Europea e i Paesi terzi del Mediterraneo, non persegue esclusivamente obiettivi di carattere commerciale ma, in particolare, ha quale obiettivo primario la creazione di una zona di dialogo, di scambi e di cooperazione che garantisca la pace e la prosperità nell’area del Mediterraneo18. 15 16 17 Malta e Cipro sono entrati nel frattempo nell’UE dal 1° gennaio 2004, la Turchia ha avviato i negoziati nel 2005 per entrarvi a far parte. In banca dati “fisconline”. Si veda l’interessante contributo di C. Melillo, La creazione della zona di libero scambio Euro-Mediterranea: aspetti di politica commerciale, fiscale e doganale, in “Diritto e pratica tributaria internazionale” n. 3/2009, pagg. 1321 e seguenti. fascicolo n. 1 il fisco n. 36/2007 Il processo di transizione verso economie sempre più liberalizzate determina il sostenimento, da parte dei Paesi meno sviluppati del Mediterraneo, di costi rilevanti a causa dalla perdita delle entrate derivanti dall’eliminazione dei dazi doganali, dal probabile aumento delle importazioni con conseguente peggioramento del deficit commerciale e, infine, dalle difficoltà dei settori industriali protetti, a fronte dell’avvio del processo di liberalizzazione. In questa prospettiva il sostegno di natura finanziaria assume un ruolo strategico nella realizzazione di un’area di prosperità comune. 5. Piani d’azione UE e ruolo delle istituzioni finanziarie nella creazione di una zona di libero scambio Euro-Med Nella fattiva realizzazione dell’accordo di Barcellona ha pesato il sostegno di natura finanziaria fornito dalla Banca Europea degli Investimenti, in particolare con l’inaugurazione di uno specifico strumento rappresentato dal Fondo Euro Mediterraneo di Investimento e Partenariato (FEMIP), volto a stimolare l’attrazione degli investimenti diretti esteri e più in generale lo sviluppo economico sociale. Il FEMIP è al servizio di tutti gli ambiziosi obiettivi dell’Unione Europea per l’area mediterranea, compresi quelli delineati dalla nuova Politica Europea di vicinato, e ha il fine di sostenere i Paesi partner del Mediterraneo nel difficile processo di modernizzazione economica e sociale, nella realizzazione di una più intensa integrazione regionale, in particolare nel percorso verso la creazione di un’area di libero scambio con l’Unione Europea entro il 2010. A seguito di discussioni con i paesi partner mediterranei, durante la riunione ministeriale svoltasi in giugno a Tunisi e la consultazione delle parti interessate al FEMIP, la Commissione è giunta alla conclusione che il 18 C. Melillo, op. cit.; sostiene l’A. che “la ragione per cui i Paesi aderenti all’accordo di Barcellona hanno raggiunto i risultati più rilevanti sul piano economico e finanziario è riconducibile al fatto che, sui temi economici, i Paesi Euro-Mediterranei si trovano più facilmente d’accordo rispetto a quanto non lo siano sulle questioni politiche, sociali e culturali dove invece i governi nazionali tendono a essere più gelosi del loro spazio di manovra”, pag. 1327. fascicolo n. 1 ATTUALITÀ 2 1 Fondo può fare di più per stimolare lo sviluppo del settore privato e delle PMI, che rappresentano oltre il 95% di tutte le imprese e il 50-70% dell’occupazione in molti paesi mediterranei. Per rendere possibile un aumento sensibile delle operazioni con le imprese private, i governi del Mediterraneo dovranno fornire un quadro adeguato e la BEI dovrà diversificare la propria gamma di strumenti. Tra le opzioni riguardanti il futuro del FEMIP, nel contesto della politica europea di vicinato, quella proposta dalla Commissione e dalla BEI prevede il rafforzamento del FEMIP per: soddisfare meglio le esigenze del settore privato e in particolar modo delle PMI, adeguando la gamma di strumenti del FEMIP; aumentare l’impegno dei paesi interessati istituendo un comitato consultivo permanente, composto da rappresentanti dei paesi partner del Mediterraneo e degli Stati membri della UE, in cui si discutano le priorità operative e i risultati; identificare e soddisfare meglio le esigenze dei paesi mediterranei rafforzando la presenza del FEMIP a livello locale. La Commissione ritiene che l’opzione più efficace, sotto il profilo sia dei costi che dei tempi, sia quella di procedere a ulteriori adeguamenti del FEMIP, nell’ambito dell’attuale quadro istituzionale (ossia mantenendo il FEMIP come fondo all’interno della BEI), apportando consistenti miglioramenti agli strumenti finanziari, all’interazione locale e all’orientamento strategico. 6. Strategie UE e problematiche di sviluppo industriale ed economico nell’area dei Balcani L’allargamento prospettico della UE richiede – oltre all’armonizzazione all’acquis comunitario – una presenza di istituzioni in grado di gestire la transizione e lo sviluppo dei Paesi in fase di adesione: in tale prospettiva il 9 dicembre 2009, la Commissione europea, la Banca europea degli investimenti (BEI), la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) e la Banca per lo sviluppo del Consiglio d’Europa hanno dato il via libera al Western Balkans Investment Framework (WBIF), per 21 ATTUALITÀ finanziare i progetti più importanti nei Balcani occidentali. L’obbiettivo è di mettere insieme e coordinare diversi fondi e prestiti concessi per realizzare i progetti di primaria importanza nei Paesi dei Balcani occidentali. Inizialmente, il supporto sarà focalizzato al settore delle infrastrutture, per poi espandersi alle piccole e medie imprese, al miglioramento dell’efficienza energetica e ad altri settori. Il WBIF adotta la formula dei joint grant facility and a joint lending facility per finanziare i principali progetti. In particolare, joint grant facility serviranno per contribuire a finanziamenti per la preparazione e realizzazione dei progetti di primaria importanza in Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Macedonia, Montenegro e Serbia. I progetti saranno scelti in base alla effettiva importanza per il Paese e alla capacità di sostenere le priorità stabilite dall’Unione Europea all’interno del processo di adesione. L’importanza di questa iniziativa è duplice: in primis per ciò che quell’area può rappresentare per l’evoluzione economica, sociale e politica dell’Unione e secondariamente perché dimostra la capacità delle diverse istituzioni coinvolte di condividere esperienze e risorse per offrire un sostegno a tali Paesi. Sette paesi balcanici aspirano ad aderire all’UE. La Croazia e l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia sono già paesi candidati all’adesione. L’UE considera gli altri cinque paesi dei Balcani occidentali come potenziali candidati: Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Montenegro e Serbia. Sebbene il Kosovo si sia dichiarato indipendente dalla Serbia nel 2008, non è stato ancora raggiunto un accordo internazionale sul suo status. L’UE è impegnata a trovare una soluzione diplomatica e provvede nel frattempo a fornire assistenza pratica. Ha infatti inviato 1.900 tra esperti giudiziari e forze di polizia per contribuire a rafforzare lo Stato di diritto. L’ingresso nella UE si accompagna ad un processo di omogeneizzazione e armonizzazione delle politiche fiscali a quelle degli altri Stati UE. Soffermiamoci in particolare su due di tali Paesi, la Croazia e la Serbia, per analizzare gli aspetti determinanti per l’ingresso nella UE. Per quanto concerne la Croazia la Commissione europea ha seguito con grande atten- 22 il fisco n. 36/2007 2 2 zione l’adeguamento della legislazione fiscale all’acquis comunitario: si trattava, ad esempio, di rafforzare l’amministrazione fiscale e l’interconnessione dei sistemi informatici in modo da poter attuare e applicare l’acquis nel settore fiscale. Secondo i termini della Commissione l’acquis nel settore della fiscalità copre essenzialmente la fiscalità indiretta, ovvero l’imposta sul valore aggiunto (Iva) e i diritti di accise. Esso enuncia le definizioni e i principi dell’Iva. Le accise sugli oli minerali, sui prodotti del tabacco e sulle bevande alcoliche sono regolamentate da diverse direttive comunitarie, per quanto attiene alla struttura delle accise, al livello dei tassi minimi e al possesso e alla circolazione di merci soggette ad accise. Nel settore della fiscalità diretta, l’acquis copre taluni aspetti della fiscalità applicata alle imprese e mira principalmente ad eliminare gli ostacoli alle attività transfrontaliere delle imprese. Infine, la legislazione comunitaria relativa alla cooperazione amministrativa e alla reciproca assistenza fornisce gli strumenti per la lotta contro l’evasione e la frode fiscale intracomunitaria, sia per la fiscalità diretta che per quella indiretta19. 7. Effettuazione di investimenti in Croazia: la zona franca di Osijek Facciamo ora un esempio pratico relativo ad un insediamento produttivo in una zone franca, ad esempio quella di Osijek in Croazia20. Ebbene la parte finanziaria potrebbe essere anche supportata da Fondi di Rotazione della Comunità Europea che sono a disposizione dello Stato italiano per le aziende italiane che desiderano operare in uno Stato extra-europeo. Questi fondi hanno condizioni 19 Si vedano quali riferimenti il parere della Commissione [COM(2004) 257 def. – Non pubblicato nella Gazzetta ufficiale]; Relazione della Commissione [COM(2005) 561 def. – SEC(2005) 1424 – Non pubblicata nella Gazzetta ufficiale]; Relazione della Commissione [COM(2006) 649 def. – SEC(2006) 1385 – Non pubblicata nella Gazzetta ufficiale]; Relazione della Commissione [COM(2007) 663 def. – SEC(2007) 1431 – Non pubblicata nella Gazzetta ufficiale]; Relazione della Commissione [COM(2008) 674 – SEC(2008) 2694 – Non pubblicata nella Gazzetta ufficiale]. 20 Scheda predisposta dalla Pasut AG, International Corporate Advisors. fascicolo n. 1 ATTUALITÀ il fisco n. 36/2007 molto vantaggiose, possono finanziare Studi di Fattibilità, coprendo il 100% delle spese (max euro 361.000 da restituire in 3 anni e 6 mesi ad un tasso attuale dello 0,67% fisso) e Programmi di Penetrazione Commerciale, coprendo l’85% delle spese (max euro 2.065.000 da restituire in 7 anni, con i primi due di solo preammortamento, ad un tasso attuale dell’ 1,08% fisso) che includono spese commerciali, ovvero per la costruzione di un deposito, di un ufficio, di un negozio, eccetera. Viene data all’investitore straniero l’opportunità di una maggiore integrazione con la Zona Franca tramite la possibilità di utilizzare questi strumenti finanziari non solo per la costruzione del nuovo complesso aziendale, ma anche per la partecipazione alla costruzione di un Centro Servizi Locale in ampliamento all’attuale Zona Franca pagando le rate del finanziamento concesso con i proventi dell’affitto dei locali. Inoltre, questi investimenti potranno essere oggetto di rimborso da parte dei futuri bandi di finanziamento a Fondo Perduto della Comunità Europea, che potrebbero coprire le spese effettuate dal 50% al 100% in base ai bandi, così come è accaduto in Romania, Repubblica Ceca, Polonia. L’azienda italiana che richiede il finanziamento agevolato deve naturalmente avere una buona situazione patrimoniale, deve essere solvibile e la consistenza deve essere tale da poter sopportare l’investimento. Successivamente all’insediamento dell’investitore verranno applicate le seguenti facilitazioni: le importazioni e le esportazioni nella e dalla zona franca non saranno soggette ad alcuna restrizione e saranno esenti da dazio; i beni introdotti, usati o consumati nella Zona Franca sono esenti da diritti di dogana e Iva e non vengono applicate altre eventuali misure protettive dello stato Croato; i beni stoccati nella zona franca sono esenti da dazi doganali, fino al momento della loro spedizione all’esterno. esenzione fiscale quinquennale dall’imposta sul reddito delle società per le imprese che investono più di un milione di kune (circa 136.000,00 euro) in infrastrutture sul territorio della zona franca, fino a pareggiare quanto investito; fascicolo n. 1 2 3 riduzione d’imposta sugli utili del 50%: attualmente la pressione fiscale in Croazia è del 20%, nella Zona Franca diventa il 10%; sui beni prodotti nelle zone franche e successivamente importati nella Repubblica di Croazia vengono applicate le tariffe doganali e l’Iva sul valore delle materie prime che hanno concorso alla realizzazione del bene e non sul valore commerciale del prodotto finito. 8. Realizzazione di investimenti in Serbia La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo ha disposto un prestito di 150 milioni di euro per la Serbia, per il finanziamento della costruzione della sezione dell’autostrada transeuropea sul Corridoio 10, da Nis a Dimitrovgrad21. Tale opera che rappresenta uno dei dieci corridoi transeuropei strategicamente importanti, consentirà alla Serbia di accedere in maniera più agevole agli scambi internazionali che interessano il Paese. La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo ha finora investito in Serbia più di 1.5 miliardi di euro. Le zone franche sono aree realizzate nel territorio della Repubblica Serba con l’obiettivo istituzionale di favorire gli investimenti, stimolare la produzione, l’entrata di capitali e tecnologia straniera, nonché di creare nuove opportunità di lavoro. La creazione delle zone franche 22 rappresenta specifica forma di agevolazione per gli investitori esteri. In Serbia23 sono state create 14 zone franche in prossimità di grandi città o in aree ben collegate, all’interno delle quali esistono diversi vantaggi per l’avvio di un’attività produttiva. Alcune delle zone franche più conosciute sono: Subotica, Novi Sad, Pirot, Zrenjanin e Kragujevac. In generale, ogni tipo di attività può essere svolta in queste aree, non solo quella industriale e commerciale ma anche attività a valenza bancaria, finanziaria e assicurativa. I principali vantaggi offerti dall’operare nelle zone franche sono i seguenti: 21 Scheda predisposta dalla Pasut AG, International Corporate Advisors. 22 In merito alle suddette zone si rinvia a specifica legge della Repubblica Serba: Law on Free Zones, R.S. Official Gazette, n. 62/2006. 23 Si veda in particolare il documento dell’Istituto Nazionale del Commercio Estero, aggiornato al 1° semestre 2009, relativo alla Serbia. 23 ATTUALITÀ le merci importate sono esenti da Iva; le importazioni e le esportazioni da e verso una zona franca non sono soggette alle normali procedure di controllo doganale, né a possibili quote e limitazioni imposte al commercio estero; macchinari, materiali da costruzione e materie prime (se usate per produrre beni finiti per l’esportazione) possono essere importate senza dazio; all’interno della zona è possibile utilizzare liberamente la valuta estera ottenuta attraverso le operazioni di importazione-esportazione; le zone franche sono considerate extraterritoriali, quindi occorre sottoporsi alle normali procedure e pagare il dazio per poter vendere in Serbia i beni prodotti al loro interno. Questa regola non si applica qualora almeno il 50% del valore del bene sia stato prodotto all’interno della zona franca (nel qual caso il bene viene considerato serbo a tutti gli effetti, e può liberamente circolare nel paese) ovvero qualora il prodotto venga trasportato temporaneamente al di fuori della suddetta zona (per esempio, per completare un passaggio della lavorazione) e successivamente vi ritorni. 9. Conclusioni La costituzione delle zone franche e il relativo insediamento da parte dell’investitore in tali zone, alla luce della precedente disamina, conducono allo sviluppo di alcune considerazioni di ordine sistematico. In primis la realizzazione di tali zone, nell’ambito di un progetto di sviluppo nazionale o sovranazionale, non ha solo ed esclusivamente finalità interne di politica economica, ma va qualificata come un’opportunità offerta all’investitore estero, in un mercato sempre più orientato alla globalizzazione. Il processo di sviluppo dell’impresa, in ambito internazionale, parte anche dall’analisi di tali opportunità perseguite attraverso un reale insediamento produttivo nelle zone che possono a pieno titolo accedere, per effetto di politiche governative e/o di sostegno finanziario di derivazione comunitaria, a un particolare status giuridico. In secondo luogo il nostro legislatore attraverso un articolato iter normativo, avviato con le disposizioni sulle controlled foreign com- 24 il fisco n. 36/2007 2 4 panies (CFC), ex artt. 167 e 168 del Tuir, e culminato con l’art. 13 comma 1, lettera c), del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, ha sempre più disincentivato il ricorso alle “società senza impresa”24, caratterizzate dal conseguire passive income (derivanti da attività di puro godimento) e da un insediamento puramente artificioso, dettato esclusivamente dalla volontà di conseguire un indebito vantaggio fiscale, sottraendo a tassazione redditi prodotti in un determinato Paese, mediante il loro trasferimento fittizio oltre confine. In buona sostanza il legislatore – per armonizzarsi agli altri ordinamenti europei – tende a contrastare e prevenire quei comportamenti – finalizzati a sottrarre (e delocalizzare) materia imponibile a vantaggio di Paesi aventi regimi fiscali più favorevoli – attraverso la costituzione di partecipate estere ubicate in territori aventi fiscalità privilegiata, senza lo svolgimento di un’effettiva attività economica. Dalla lettura dell’art. 13 del citato decreto emerge la ricerca di un’“effettività sostanziale”, “Per analogia e armonizzazione con quanto già disposto in altri ordinamenti europei, allo scopo di evitare indebiti arbitraggi fiscali l’accesso a regimi che possono favorire disparità di trattamento, con particolare riferimento ad operazioni infragruppo, è sottoposto ad una verifica di effettività sostanziale”25. Dunque, internazionalizzazione dell’impresa e costituzione di un insediamento produttivo all’estero, in alcune aree geografiche (zone franche) – seppur dettate da legittime scelte imprenditoriali – potranno anche permettere il perseguimento di determinati vantaggi fiscali, ma in un’ottica di effettività sostanziale. 24 La ratio della legislazione CFC è quella di contrastare situazioni di tipo abusivo, in cui le società partecipate estere, ubicate in paradisi fiscali, non svolgono un’attività effettiva, ma vengono costituite elusivamente allo scopo di delocalizzare redditi facenti capo sostanzialmente a soggetti residenti in uno Stato a regime fiscale ordinario. Sul punto si veda G. Ingrao, D.L. anticrisi e “stretta” sulla normativa CFC: contrasto agli abusi fiscali o miopia del legislatore?, in “Rassegna tributaria” n. 1/2010, pagg. 87 e seguenti. 25 Si veda il contributo di E. Lo Presti Ventura-N. Montuori, La delocalizzazione di comodo. Inasprimento della disciplina CFC e opportunità dello scudo fiscale ter, in “il fisco” n. 40/2009, fascicolo n. 1, pag. 6609. fascicolo n. 1
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