Prof. TONINI Breve, addenda, gennaio 2014

PAOLO TONINI
MANUALE BREVE. DIRITTO PROCESSUALE PENALE
8^ ed., Milano, 2013, ed. Giuffrè
Appendice di aggiornamento
dal 20 aprile 2013 al 1° gennaio 2014
Sommario:
1. Le attività successive alla registrazione delle intercettazioni. Ulteriori precisazioni; p. 2
2. Le novità introdotte dalla decretazione d’urgenza; p. 3
3. Misure cautelari personali; presupposti (schema 39 nuovo)
4. Misure alternative applicabili ab initio (schema 105 nuovo)
(versione 31 dicembre 2013)
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P. TONINI – Appendice di aggiornamento al Manuale Breve. Diritto processuale penale, 8 ed. , 2013
1. Le attività successive alla registrazione delle intercettazioni.
Ulteriori precisazioni.
A pag. 273 eliminare dalla riga 38
fino a pagina 274 riga 12 e sostituire come segue.
1.1) Conversazioni di persone vincolate al segreto professionale. Nei confronti
delle persone vincolate da un segreto professionale qualificato sono previsti un divieto
di acquisizione ed un divieto di utilizzazione.
Il divieto di acquisizione è posto dall’art. 103, comma 5 e vale per le intercettazioni
dirette delle «conversazioni o comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati
autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro
ausiliari» e delle conversazioni «tra i medesimi e le persone da loro assistite».
Il divieto di utilizzazione è previsto per le «intercettazioni eseguite in violazione
delle disposizioni precedenti» (art. 103, comma 7) e, più i generale, per le
«intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni delle persone indicate nell’art.
200, comma 1» (art. 271, comma 2), e cioè nei confronti dei soggetti che sono vincolati
da un segreto professionale qualificato. L’inutilizzabilità viene meno quando «le stesse
persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati».
La sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 2013 ha affermato che, in tutti i
predetti casi, il pubblico ministero è tenuto a non depositare le registrazioni e deve
chiedere al giudice la distruzione in segreto, e cioè senza che abbia luogo alcuna
udienza camerale. Un’apertura al contraddittorio, infatti, aggraverebbe la lesione della
segretezza e comporterebbe il rischio di indebite divulgazioni. Il giudice deve disporre
che la documentazione sia distrutta, salvo che costituisca corpo del reato (art. 271,
comma 3).
1.2) Conversazioni del Presidente della Repubblica. Nei medesimi termini la
sentenza della Corte cost. n. 1 del 2013 ha ricostruito la normativa che concerne le
intercettazioni telefoniche nei confronti del Presidente della Repubblica. Dalla
Costituzione è ricavabile il principio della riservatezza delle conversazioni e
comunicazioni del Capo dello Stato. Da tale principio si desume il divieto di utilizzare
tutte le comunicazioni presidenziali anche qualora captate in modo indiretto o casuale,
trattandosi di attività egualmente idonea a lederne la riservatezza.
In modo identico a quanto è previsto per le intercettazioni effettuate in violazione
del segreto professionale qualificato, le registrazioni delle comunicazioni del Presidente
della Repubblica devono essere distrutte dal giudice su richiesta del pubblico ministero
senza il contraddittorio con le parti private (art. 271).
La sentenza della Consulta aggiunge che «l’autorità giudiziaria dovrà tenere conto
della eventuale esigenza di evitare il sacrificio di interessi riferibili a princìpi
costituzionali supremi: tutela della vita e della libertà personale e salvaguardia
dell’integrità costituzionale delle istituzioni della Repubblica (art. 90 Cost.)». La frase è
stata interpretata nel senso che il giudice potrebbe non ordinare la distruzione delle
intercettazioni in ipotesi estreme, come quando dalla registrazione si ricavi la prova
dell’innocenza di un imputato (N. GALANTINI); o anche quando dalla registrazione si
ricavi la notizia di un imminente attentato o di un programmato colpo di Stato che
compromettano la vita o l'integrità costituzionale delle istituzioni della Repubblica (in
tal senso, L. FILIPPI).
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2. LE NOVITÀ INTRODOTTE DALLA DECRETAZIONE D’URGENZA.
A pagina 39 dopo la riga 26 aggiungere quanto segue:
L’art. 2, comma 4-bis, d.l. n. 93 del 2013, conv. nella legge n. 119 del 2013
(sulla violenza di genere) ha sottratto alla competenza del giudice di pace le fattispecie
di lesioni personali perseguibili a querela, qualora il reato sia commesso ai danni del
convivente o di uno dei soggetti indicati nel comma 2 dell’art. 577 c.p. (il coniuge, il
fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, il figlio adottivo, l’affine in linea retta).
A pag. 92 eliminare dalla riga 37 (“Purtroppo”) alla riga 41
e sostituire come segue.
Il legislatore ha inserito nel codice una disposizione che adempie a tale finalità (art. 101,
comma 1, mod. dal decreto-legge n. 93 del 2013, conv. nella legge n. 119 del 2013). Il
pubblico ministero e la polizia giudiziaria, al momento dell’acquisizione della notizia di
reato, devono informare la persona offesa della facoltà di nominare un difensore di
fiducia; inoltre, devono avvisarla che ha la possibilità di accesso al patrocinio a spese
dello Stato, se rientra nei limiti di reddito previsti; ma che può ottenere il patrocinio
anche in deroga ai limiti di reddito se è vittima di determinati reati contro la persona
(art. 76 del testo unico n. 115 del 2002).
A pagina 268 dopo la riga 31, aggiungere quanto segue:
f-ter) delitti previsti dagli articoli 444, 473, 474, 515, 516 e 517-quater del
codice penale». Si tratta dei delitti di commercio di sostanze alimentari nocive;
contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti
industriali; introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi; frode
nell'esercizio del commercio; vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine;
contraffazioni di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti
alimentari (legge n. 9 del 2013);
f-quater) delitto previsto dall’art. 612-bis c.p. (atti persecutori).
Ai sensi dell'art. 266-bis, l'intercettazione del «flusso di comunicazioni relativo a
sistemi informatici o telematici» è consentita nei procedimenti concernenti sia i reati
indicati nell'art. 266, sia i reati «commessi mediante l'impiego di tecnologie
informatiche o telematiche».
Infine, le intercettazioni sono consentite allo scopo di ricercare il latitante (art. 295,
commi 3 e 3-bis).
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A pag. 287 eliminare dalla riga 5 alla riga 12 e sostituire come segue.
Qualora sussistano esigenze di tutela della persona offesa o dei suoi prossimi
congiunti, il giudice può prescrivere obblighi accessori, come il divieto di avvicinarsi ai
luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa (art. 282-bis, comma 2)
o l'obbligo di versare un assegno periodico ai conviventi (art. 282-bis, comma 3).
L’allontanamento è una misura cautelare predisposta con particolare riferimento ai reati
in materia di violenza nelle relazioni familiari, ma non vi è alcuna norma che la riservi a
tale categoria criminologica.
Per i “delitti di violenza contro la persona in ambito familiare”, indicati
espressamente dal comma 6 dell’art. 282-bis, riforme recenti hanno consentito: a) al
giudice di applicare l'allontanamento dalla casa familiare fuori dall’ordinario limite di
pena (superiore nel massimo a tre anni; art. 280) e di accompagnare la misura con il
braccialetto elettronico (art. 275-bis; v. schema n. 40-bis); b) alla polizia giudiziaria di
operare la misura pre-cautelare dell’allontanamento di urgenza su autorizzazione del
pubblico ministero e con successiva convalida del giudice (art. 384-bis; v. infra, Parte
III, cap. 1, § 7.5).
L’allontanamento dalla casa familiare (ed il divieto di avvicinamento ai luoghi
frequentati dalla persona offesa, del quale tratteremo immediatamente) sono comunicati
all'autorità di pubblica sicurezza competente ai fini dell'eventuale adozione dei
provvedimenti in materia di armi e munizioni. Tali provvedimenti sono altresì
comunicati alla persona offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio (art. 282quater, mod. dal d.l. n. 93 del 2013, conv. nella legge n. 119 del 2013).
A pag. 288 eliminare dalla riga 24 alla riga 30 e sostituire come segue.
Inoltre, il giudice deve disporre «il luogo degli arresti domiciliari in modo da
assicurare comunque le prioritarie esigenze di tutela della persona offesa dal reato»,
laddove la vicinanza con quest’ultima potrebbe agevolare l’indagato nel reiterare il
reato o nel compiere delitti più gravi (comma 1-bis, introdotto dal d.l. n. 78 del 2013).
Il braccialetto elettronico (art. 275-bis) non è una misura cautelare, bensì una
modalità di esecuzione di altra misura cautelare: ad esempio, dell’arresto domiciliare
(art. 284) o dell’allontanamento dalla casa familiare (nei casi previsti dall’art. 282-bis,
comma 6). Dal punto di vista tecnico, il braccialetto è uno strumento con il quale è
possibile controllare costantemente gli spostamenti dell'indagato (si tratta di un
rilevatore di presenza che invia periodicamente un segnale ad un ricevitore).
Dal punto di vista giuridico, il braccialetto elettronico è definito dal legislatore
come una procedura «di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici»
(art. 275-bis). Esso permette di evitare una misura cautelare più pesante, e cioè la
custodia in carcere. Poiché lo strumento incide sui diritti fondamentali della persona e
comprime la riservatezza della vita privata, la sua applicazione è subordinata al
consenso dell'indagato (art. 275-bis, comma 2), consenso manifestato con dichiarazione
espressa resa alla polizia giudiziaria che esegue l'ordinanza.
Il codice impone al giudice, una volta che egli ha ordinato l’arresto domiciliare e
quando «abbia accertato la disponibilità (dello strumento) da parte della polizia
giudiziaria», di applicare il braccialetto elettronico; egli può non applicarlo, ma allora
deve motivare perché nel caso concreto non lo ritiene necessario «in relazione alla
natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare» (art. 275-bis, comma 1, mod.
dal decreto-legge n. 146 del 2013, in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione in
Gazzetta della legge di conversione). Con il medesimo provvedimento con cui dispone
il braccialetto elettronico (es., arresto domiciliare o allontanamento dalla casa
familiare), «il giudice prevede l’applicazione della misura della custodia cautelare in
carcere qualora l’imputato neghi il consenso all’adozione dei mezzi e strumenti
anzidetti».
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A pag. 293 eliminare dalla riga 11 alla riga 22 e sostituire come segue.
Nella prima categoria rientrano i delitti punibili nel massimo con la reclusione
fino a tre anni; di regola per tali delitti nessuna misura coercitiva né interdittiva può
essere disposta. Sono, tuttavia, applicabili le misure cautelari reali, e cioè il sequestro
preventivo e quello conservativo.
Nella seconda categoria rientrano i delitti punibili nel massimo con la
reclusione superiore a tre anni, ma inferiore a cinque (art. 280, comma 1, mod. dal d.l.
n. 78 del 2013, conv. nella legge n. 94 del 2013). Per essi sono applicabili, di regola, le
misure cautelari che sono diverse dalla custodia in carcere (e cioè, a partire dal divieto
di espatrio, fino all'arresto domiciliare).
Nella terza categoria rientrano i delitti punibili nel massimo con la reclusione di
almeno cinque anni o con l'ergastolo. Tali delitti consentono l'applicazione anche della
custodia in carcere, oltre che delle altre misure cautelari (art. 280, comma 2). Inoltre, in
base al d.l. n. 78 del 2013, conv. nella legge n. 94 del 2013, la custodia in carcere è
consentita per il delitto di finanziamento illecito dei partiti (art. 7, legge n. 195 del
1974). Segnaliamo infine che nei confronti di quegli imputati, che hanno trasgredito alle
prescrizioni dell’arresto domiciliare concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria
abitazione o da altro luogo di privata dimora, il giudice applica la custodia in carcere
(art. 276, comma 1-ter).
A pag. 296 alla riga 25 eliminare la frase che inizia con «Vi è un ulteriore»
e sostituire come segue.
Vi è un ulteriore limite, che si applica al pericolo di commissione di delitti della
stessa specie di quello addebitato: l’arresto domiciliare può essere disposto soltanto
quando per tali delitti è prevista la pena della reclusione di almeno quattro anni nel
massimo e la custodia in carcere può essere disposta soltanto quando per tali delitti è
prevista la pena della reclusione di almeno cinque anni nel massimo (art. 274, lett. c,
mod. dal d.l. n. 78 dal del 2013, conv. nella legge n. 94 del 2013).
A pag. 308 eliminare dalla riga 7 alla riga 11 e sostituire come segue.
Resta comunque un ostacolo al potere discrezionale di valutazione del giudice
quando permangono i gravi indizi di commissione di uno dei delitti previsti dall'art. 275,
comma 3. Come abbiamo esaminato nel § 2.4, n. 3, per determinati delitti gravi sono
poste sia la presunzione di esistenza di almeno una esigenza cautelare, sia la
presunzione di adeguatezza della custodia in carcere. Quando le presunzioni sono
relative, il giudice può valutare se le prove fornite fanno ritenere idonea una misura più
lieve; per contro, quando la presunzione di adeguatezza della carcerazione cautelare è
assoluta, il giudice non ha tale possibilità. Soltanto il venir meno di tutte le esigenze
cautelari permette di revocare la misura menzionata.
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A pag. 308 dopo la riga 30 inserire quanto segue.
Gli avvisi all’offeso nei delitti commessi con violenza alla persona. In base all’art.
299, commi 3 e 4-bis (modificato dal d.l. n. 93 del 2013, conv. nella legge n. 119 del
2013) deve essere dato avviso alla persona offesa che è stata presentata richiesta di
revoca o di sostituzione in melius di varie misure cautelari il cui venir meno (o la cui
attenuazione) possono incidere sui rapporti personali con l’indagato; si tratta delle
misure previste dagli articoli 282-bis (allontanamento dalla casa), 282-ter (divieto di
avvicinamento), 283 (obblighi di dimora), 284 (arresto domiciliare), 285 e 286 (custodia
in carcere o in luogo di cura) (v. Schema n. 42). L’avviso deve essere dato nei
procedimenti per «delitti commessi con violenza alla persona», e cioè quando la
condotta violenta si caratterizza «per l’esistenza di un pregresso rapporto relazionale tra
autore del reato e vittima, in cui, quindi, la violenza alla persona non è occasionalmente
diretta nei confronti della vittima, ma lo è in modo mirato, in ragione di tali pregressi
rapporti»; per tale interpretazione restrittiva, v. Trib. Torino, ord. 4 novembre 2013, in
Guida dir., 2013, n. 47, 16.
Quando la richiesta di revoca o di sostituzione in melius è stata presentata al di fuori
dell’udienza o situazioni assimilate (es. al di fuori dell’interrogatorio di garanzia), la
parte richiedente deve notificare tale richiesta, contestualmente ed a pena di
inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla
persona offesa (salvo che, in quest’ultimo caso, essa non abbia provveduto a dichiarare
o eleggere domicilio). Il difensore e la persona offesa possono, nei due giorni successivi
alla notifica, presentare memorie ai sensi dell’articolo 121. Decorso il predetto termine
il giudice deve decidere (commi 3 e 4-bis).
In relazione alle medesime misure cautelari per le quali sono imposti gli avvisi di
richiesta di revoca e sostituzione è in ogni caso previsto che l’eventuale provvedimento
emesso dal giudice – d’ufficio o su richiesta di parte – sia immediatamente comunicato,
a cura della polizia giudiziaria, ai servizi socio-assistenziali e al difensore della persona
offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa (comma 2-bis).
A pag. 347 dopo la riga 16 inserire quanto segue.
Le informazioni date dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria in favore
della persona offesa. In base all’art. 101, comma 1, mod. dal decreto-legge n. 93 del
2013, conv. nella legge n. 119 del 2013, al momento dell’acquisizione della notizia di
reato il pubblico ministero e la polizia giudiziaria devono informare la persona offesa
della facoltà di nominare un difensore di fiducia; inoltre, devono avvisarla della
possibilità di accesso al patrocinio a spese dello Stato (si veda supra, Parte II, cap. 1, §
7.1).
In base all’art. 609-decies c.p. (mod. dal decreto-legge n. 93 cit.) quando si procede
per determinati delitti contro la persona in ambito familiare, il procuratore della
repubblica deve darne notizia al tribunale per i minorenni.
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A pag. 349 nella la riga 34 eliminare da “merita” fino alla fine della frase
e inserire quanto segue.
Merita ricordare che la facoltà di rimettere la querela incontra alcuni limiti in
relazione a determinati reati.
a) Nel caso di delitti in materia sessuale la querela proposta è irrevocabile (art. 609septies, comma 3, c.p.); ed è irrevocabile anche quando gli atti persecutori (art. 612-bis,
comma 4, c.p.) sono commessi con modalità gravi (minacce reiterate o mediante armi o
con atti anonimi).
b) Sempre nel caso di atti persecutori, ma nell’ipotesi in cui non ricorra la
circostanza della gravità sopra menzionata, la remissione di querela «può essere soltanto
processuale» (art. 612-bis c.p., comma 4). Ciò comporta che, in negativo, la remissione
di querela non può essere tacita, e cioè con modalità non espresse; in positivo, la
remissione di querela può essere fatta soltanto davanti all’autorità procedente (pubblico
ministero o giudice) o davanti ad un ufficiale di polizia giudiziaria, che deve
trasmetterla immediatamente alla predetta autorità (art. 340, comma 1 c.p.p.). La
formalità ha lo scopo di permette all’autorità procedente di accertare la consapevolezza
dell’atto di remissione e la libertà morale dell’offeso in modo da escludere coartazioni.
A pag. 357 nella riga 28 dopo la parola “libero” aggiungere quanto segue.
(e comunque non sia sottoposto alla misura dell’allontanamento d’urgenza dalla casa
familiare; art. 384-bis).
A pag. 385 nella la riga 37 dalle parole “Ai sensi” fino alla fine della frase
eliminare ed inserire quanto segue.
Di regola, nessun avviso deve essere dato alla persona offesa; fanno eccezione i
procedimenti per i delitti di maltrattamenti contro familiari e di atti persecutori (artt. 572
e 612-bis c.p.) in relazione ai quali l’avviso della conclusione delle indagini deve essere
notificato «anche al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla
persona offesa» (l’art. 415-bis è stato così modificato dal d.l. n. 93 del 2013, conv. nella
legge n. 119 del 2013).
A pag. 387 dopo la riga 25 inserire quanto segue.
Il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. nella legge 15 ottobre 2013, n. 119, ha
introdotto nuovi casi di arresto obbligatorio in flagranza: delitti di maltrattamenti
contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.); delitti di atti persecutori (art. 612-bis
c.p.); delitti di furto di materiale sottratto ad infrastrutture destinate all'erogazione di
energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici (art. 625,
comma 1, n. 7-bis c.p.); delitti di ricettazione aggravata (art. 648, comma 1, ultimo
periodo, c.p.).
A pag. 388 alla riga 32 eliminare la frase che inizia con «le misure»
e sostituire come segue.
Le misure predette hanno efficacia fino al 30 giugno 2016 (d.l. 14 agosto 2013, n. 93,
conv. nella legge 15 ottobre 2013, n. 119).
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A pag. 392 dopo la riga 5 inserire quanto segue.
L’allontanamento d'urgenza dalla casa familiare. Si tratta di una nuova ed
originale misura pre-cautelare (introdotta dal d.l. n. 93 del 2013, conv. in legge n. 119
del 2013) il cui contenuto consiste nell’allontanamento fisico del soggetto dalla casa
familiare (spontaneo o coartato) e nel «divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente
frequentati dalla persona offesa» (art. 384-bis, comma 1). La misura in oggetto è
regolamentata dalle norme dell’arresto e del fermo e dal relativo procedimento di
convalida «in quanto compatibili» (art. 384-bis, comma 2). La disposizione ha posto
gravi problemi di ricostruzione normativa della disciplina, ai quali cerchiamo di dare
risposta in modo sintetico.
Il provvedimento disposto in via di urgenza. L’allontanamento d’urgenza può
essere effettuato dalla polizia giudiziaria nei confronti di chi è «colto in flagranza dei
delitti» di violenza alla persona previsti dall’articolo 282-bis, comma 6. Occorre che
«sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere
reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della
persona offesa». Occorre anche una previa autorizzazione del pubblico ministero,
scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, o per via telematica.
La prima fase del procedimento. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria
avvertono l'indagato della facoltà di nominare un difensore di fiducia. Entro
ventiquattro ore dall'allontanamento trasmettono al pubblico ministero il relativo
verbale, che contiene l'eventuale nomina del difensore di fiducia, l'indicazione del
giorno, dell'ora e del luogo in cui l'allontanamento è stato eseguito e l'enunciazione delle
ragioni che lo hanno determinato.
La seconda fase del procedimento. Entro quarantotto ore dall’allontanamento il
pubblico ministero chiede la convalida al giudice per le indagini preliminari competente
in relazione al luogo dove l'arresto o il fermo è stato eseguito (art. 390). Il giudice fissa
l'udienza di convalida entro le quarantotto ore successive dandone avviso, senza ritardo,
al pubblico ministero e al difensore. Se non ritiene di comparire all’udienza di
convalida, il pubblico ministero trasmette al giudice le richieste con gli elementi su cui
le stesse si fondano.
La terza fase del procedimento. Nell’udienza di convalida la decisione del giudice
ha due oggetti distinti: da un lato, deve decidere se convalidare o meno la misura precautelare; da un altro lato, deve valutare se disporre o meno la misura cautelare richiesta
dal pubblico ministero, o altra meno grave.
Quando risulta che l'allontanamento è stato legittimamente eseguito e sono stati
osservati i termini, il giudice provvede alla convalida con ordinanza (art. 391, comma
4). Quindi, il giudice dispone l'applicazione di una misura coercitiva (art. 391, comma
5).
L'allontanamento cessa di avere efficacia se l'ordinanza di convalida non è
pronunciata o depositata nelle quarantotto ore successive al momento in cui l'indagato è
stato posto a disposizione del giudice.
Segnaliamo che la convalida dell’allontanamento d’urgenza consente al pubblico
ministero di disporre il giudizio direttissimo in base al nuovo comma 5 dell’art. 449 (sul
quale v. infra, Parte IV, cap. 1, § 6).
A pag. 418 alla riga 5 eliminare la frase che inizia con «ma»
e sostituire come segue.
vi sono delitti per i quali la proroga non può essere concessa per più di una volta (es.
maltrattamenti in famiglia e atti persecutori; art. 406, comma 2-ter, mod. da ultimo dal
decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, conv. in legge 15 ottobre 2013, n. 119).
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A pag. 426 eliminare dalla riga 17 alla riga 23
e inserire quanto segue.
Il codice prevede che la pubblica accusa instauri con la persona offesa dal reato un
contraddittorio che ha una ampiezza variabile.
Per i reati comuni il pubblico ministero notifica alla persona offesa dal reato, che
abbia chiesto in precedenza di essere informata, l’avviso che la medesima, nel termine
di dieci giorni, può prendere visione degli atti e presentare opposizione all’archiviazione
(art. 408, comma 2).
Per i «delitti commessi con violenza alla persona» (art. 408, comma 3-bis) il
pubblico ministero deve sempre notificare l’avviso (anche in assenza della richiesta
dell’offeso di essere avvisato) ed il termine per l’opposizione è di venti giorni (v.
Schema 63).
Nell’avviso si precisa che la persona offesa può prendere visione degli atti nel
termine sopra detto e che nell’opposizione deve motivare le ragioni per le quali chiede
la prosecuzione delle indagini (art. 408, comma 3).
A pag. 428 eliminare dalla riga 28 alla riga 31
e inserire quanto segue.
Anche nella presente ipotesi si prevede che la pubblica accusa instauri con la persona
offesa dal reato un contraddittorio che ha un’ampiezza variabile.
Per i reati comuni il pubblico ministero notifica alla persona offesa dal reato, che
abbia chiesto in precedenza di essere informata, l’avviso che la medesima, nel termine
di dieci giorni, può prendere visione degli atti e presentare opposizione all’archiviazione
(art. 408, comma 2).
Per i «delitti commessi con violenza alla persona» il pubblico ministero deve
sempre notificare l’avviso (anche in assenza della richiesta dell’offeso di essere
avvisato) ed il termine per l’opposizione è di venti giorni (art. 408, comma 3-bis)(v.
Schema 64). Nell’avviso si precisa che la persona offesa può prendere visione degli atti
nel termine sopra detto e che nell’opposizione deve motivare le ragioni per le quali
chiede la prosecuzione delle indagini (art. 408, comma 3).
A pag. 504 dopo la riga 2 inserire quanto segue.
Il d.l. n. 93 del 2013, conv. nella legge n. 119 del 2013, ha aggiunto all’art. 498 il
nuovo comma 4-quater, in base al quale «quando si procede per i reati previsti dal
comma 4-ter, se la persona offesa è maggiorenne il giudice assicura che l'esame venga
condotto anche tenendo conto della particolare vulnerabilità della stessa persona
offesa, desunta anche dal tipo di reato per cui si procede e, ove ritenuto opportuno,
dispone, a richiesta della persona offesa o del suo difensore, l'adozione di modalità
protette». La protezione opera anche in questo caso per le sole incriminazioni previste
espressamente dall’art. 498, comma 4-ter, che in sintesi concernono delitti contro la
persona. Le modalità di protezione non sono state determinate dal legislatore, bensì
sono lasciate alla discrezionalità del giudice su richiesta della persona offesa in quanto
ritenuta «vulnerabile».
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P. TONINI – Appendice di aggiornamento al Manuale Breve. Diritto processuale penale, 8 ed. , 2013
A pag. 576 dopo la riga 11 inserire quanto segue.
Il giudizio direttissimo in seguito all’allontanamento d’urgenza dalla casa
familiare. Con la legge 15 ottobre 2013, n. 119, di conversione del decreto-legge 14
agosto 2013, n. 93 in tema di «contrasto della violenza di genere», il Parlamento ha
introdotto un nuovo modulo di giudizio direttissimo nel caso in cui sia stato disposto
l’allontanamento urgente dalla casa familiare di un indagato sorpreso in flagranza di uno
dei delitti contro la persona, espressamente indicati nel comma 6 dell’art. 282-bis. Come
abbiamo visto in precedenza, l’allontanamento urgente è un nuovo tipo di misura precautelare (art. 384-bis) che, in quanto tale, necessita della convalida ad opera del giudice
entro un termine di decadenza (si veda supra, Parte II, cap. 1, § 7).
È stata infelice la scelta legislativa di inserire il nuovo modulo di procedimento
speciale all’interno del comma 5 dell’art. 449, che tratta del giudizio direttissimo a
seguito di confessione: la collocazione potrebbe ingenerare il dubbio che si sia voluto
introdurre una disciplina svincolata dalle regole generali del rito direttissimo. Noi
riteniamo che si debba accogliere una visione sistematica del processo, che induce ad
aderire alla interpretazione, attualmente prevalente, secondo cui al nuovo modulo è
applicabile la disciplina-base del rito direttissimo in quanto compatibile. Andiamo,
dunque, ad esporre la regolamentazione che deriva dall’aver accolto tale principio.
Dopo aver disposto l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare, la polizia
giudiziaria provvede, su ordine del pubblico ministero, a citare l’indagato in
dibattimento perché si svolga la convalida della misura. Questa possibilità è prescelta
quando il pubblico ministero ritiene che il giudizio direttissimo non «pregiudichi
gravemente» le indagini in corso (art. 449, comma 5). Viceversa, se la pubblica accusa
ritiene che si debba lasciare uno spazio più ampio alle indagini, allora sceglie la strada
della convalida dell’allontanamento ad opera del giudice per le indagini preliminari (art.
449, comma 4).
La convalida dell’allontanamento d’urgenza con contestuale rito direttissimo.
Prescelta la strada di procedere immediatamente con il dibattimento, la polizia
giudiziaria su disposizione del pubblico ministero cita l’indagato per la contestuale
convalida della misura entro «quarantotto ore» dall’esecuzione dell’allontanamento (art.
449, comma 5). Nell’udienza il giudice valuta se convalidare l’allontanamento
d’urgenza dalla casa familiare ed eventualmente applicare l’allontanamento stesso come
provvedimento cautelare, oppure altra misura su richiesta del pubblico ministero; in
caso di convalida si procede con il rito direttissimo (art. 449, comma 3). Ma può
accadere che il giudice non convalidi l’allontanamento d’urgenza; in questa evenienza,
si applica la normativa ordinaria, e cioè se pubblico ministero e indagato consentono al
giudizio direttissimo, si procede con tale rito (art. 449, comma 2). Se i medesimi non
consentono al rito direttissimo, gli atti sono restituiti al pubblico ministero, che procede
in altro modo.
La convalida dell’allontanamento d’urgenza senza contestuale rito direttissimo.
Quando il pubblico ministero ritiene che il contestuale rito direttissimo pregiudichi
gravemente le indagini, la polizia giudiziaria deve provvedere comunque «entro il
medesimo termine di quarantotto ore» alla citazione per l’udienza di convalida indicata
dal pubblico ministero (art. 449, comma 5). Nell’udienza di convalida (391) il giudice
per le indagini preliminari decide. Se non convalida l’allontanamento d’urgenza, gli atti
sono restituiti al pubblico ministero, che procede in altro modo. Ma se il giudice per le
indagini preliminari convalida l’allontanamento d’urgenza (eventualmente applicando
una misura coercitiva su richiesta del pubblico ministero) entro trenta giorni l’indagato
è citato a comparire per il giudizio direttissimo (art. 449, comma 4).
10
P. TONINI – Appendice di aggiornamento al Manuale Breve. Diritto processuale penale, 8 ed. , 2013
A pag. 737 prima del § 3 aggiungere quanto segue.
f) Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà
personale. Si tratta di un’authority indipendente che è stata istituita dall’art. 7 del
decreto-legge n. 146 del 2013 (soggetto a conversione) presso il ministero della
giustizia; essa è preposta alla tutela extragiudiziale dei diritti dei soggetti detenuti. Il
Garante nazionale è costituito in collegio, composto dal presidente e da due membri;
essi restano in carica per cinque anni non prorogabili.
Al Garante spettano sia compiti generali di vigilanza sull'esecuzione della custodia
delle persone sottoposte a qualsiasi forma di «limitazione della libertà personale», sia
poteri ispettivi dei luoghi che li ospitano, ai quali può accedere senza autorizzazioni. In
particolare, il Garante può:
1) prendere visione, previo consenso anche verbale dell'interessato, degli atti
contenuti nel fascicolo della persona detenuta o privata della libertà personale e
comunque degli atti riferibili alle condizioni di detenzione o di privazione della libertà;
2) richiedere alle amministrazioni responsabili delle strutture detentive le
informazioni e i documenti necessari; nel caso in cui l'amministrazione non fornisca
risposta nel termine di trenta giorni, il Garante informa il magistrato di sorveglianza
competente e può richiedere l'emissione di un ordine di esibizione;
3) formulare specifiche raccomandazioni all'amministrazione interessata, se accerta
violazioni alle norme dell'ordinamento ovvero la fondatezza delle istanze e dei reclami
proposti ai sensi dell'art. 35 della legge n. 354 del 1975. L'amministrazione interessata,
in caso di diniego, deve comunicare il dissenso motivato nel termine di trenta giorni.
11
P. TONINI – Appendice di aggiornamento al Manuale Breve. Diritto processuale penale, 8 ed. , 2013
A pag. 739 eliminare dalla riga 2
fino a pag. 743 alla riga 29 e sostituire come segue.
b) Le pene detentive brevi: l'eventuale sospensione dell'esecuzione. Occorre
premettere che l’istituto della sospensione dell’esecuzione delle pene detentive “brevi”
(art. 656) vuole evitare la carcerazione di persone che hanno i requisiti per ottenere le
misure alternative e che, quindi, se entrassero in carcere, ne aggraverebbero inutilmente
il sovraffollamento perché dovrebbero uscirne non appena ottenuta la singola misura. Il
decreto-legge 1° luglio 2013, n. 78, convertito nella legge 9 agosto 2013, n. 94, ha reso
più razionale l’istituto della sospensione dell’esecuzione, che era stato introdotto dalla
legge Simeone (n. 165 del 1998), e ne ha ampliato i margini di applicabilità; al tempo
stesso, ha razionalizzato tutto il procedimento che porta il pubblico ministero ad
emettere l’ordine di esecuzione ed, eventualmente, a disporne la sospensione.
La pena detentiva “breve”. L’ordinamento considera breve la pena quando la
detenzione da espiare ammonta in concreto fino a 3 anni in generale, fino a 6 anni se il
condannato è tossicodipendente, fino a 4 anni se al condannato può essere applicata la
detenzione domiciliare, il cui ambito di applicabilità è stato esteso fino a quattro anni
dal decreto-legge n. 78.
Oltre alla detenzione domiciliare, può essere concesso l’affidamento in prova al
servizio sociale se la pena detentiva da espiare è fino a tre anni (art. 47 o.p.); può essere
concessa la semilibertà come misura iniziale se la condanna è fino a sei mesi (art. 50,
comma 1 o.p.); può essere concesso al tossicodipendente l’affidamento in prova in casi
particolari se se la pena detentiva da espiare è fino a sei anni (art. 94 T.U. stupefacenti).
La valutazione del pubblico ministero. Divenuta irrevocabile una condanna ad una
pena detentiva, il pubblico ministero presso il giudice dell’esecuzione deve procedere ad
una serie di operazioni matematiche al fine di accertare l’astratta applicabilità della
sospensione dell’esecuzione delle pene “brevi”, e cioè senza operare una prognosi di
merito su quelle che potranno essere le decisioni del tribunale e del magistrato di
sorveglianza (G. AMATO).
Innanzitutto, il pubblico ministero deve sottrarre dalla pena irrogata dal giudice
della cognizione il quantitativo corrispondente alla limitazione della libertà presofferta
(custodia cautelare) o indebitamente sofferta (pena fungibile) e gli eventuali sconti per
la liberazione anticipata di cui potrebbe godere il condannato (art. 656, comma 4-bis).
I divieti di sospensione dell’esecuzione di pene detentive brevi. Inoltre, il pubblico
ministero «prima di emettere l’ordine di esecuzione» deve valutare se in concreto vi
sono divieti alla sospensione dell’esecuzione delle pene “brevi”. Occorre fare
riferimento al comma 9 dell’art. 656, che prevede i seguenti limiti alla sospensione
dell’esecuzione.
a.1) In primo luogo, l'esecuzione della pena non può essere sospesa nei confronti di
coloro che siano stati condannati per quei delitti più gravi, che non ammettono
comunque misure alternative (art. 4-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354).
a.2) In secondo luogo, l'esecuzione della pena non può essere sospesa nei confronti
di coloro che siano stati condannati per i delitti previsti dall’art. 423-bis c.p. (incendio
boschivo), dall’art. 572, comma 2 c.p. (maltrattamenti in famiglia se dal fatto deriva una
lesione personale grave o gravissima o la morte), dall’art. 624-bis c.p. (furto in
abitazione o con strappo) e dall’art. 612-bis, comma 3 c.p. (atti persecutori aggravati a
danno di minore, donna in stato di gravidanza, persona con disabilità; fatti commessi da
persona con armi o travisata). I predetti delitti non permettono l'applicazione di misure
alternative con il meccanismo della sospensione dell'esecuzione; per essi le misure
possono essere applicate con gli strumenti ordinari, una volta iniziata l'esecuzione, ove
ricorrano i relativi presupposti di ammissibilità.
12
P. TONINI – Appendice di aggiornamento al Manuale Breve. Diritto processuale penale, 8 ed. , 2013
b) In terzo luogo, l'esecuzione della pena non può essere sospesa nei confronti di
coloro che si trovano in custodia cautelare in carcere per lo stesso reato in relazione al
quale è stata irrogata la pena da eseguire, al momento in cui diviene definitiva la
condanna. In tal caso, il pubblico ministero emette ordine di esecuzione e trasmette gli
atti al magistrato di sorveglianza (art. 656, comma 9, lett. b); eventuali misure
alternative saranno applicate nel corso dell’esecuzione.
c) In quarto luogo, il condannato può beneficiare della sospensione una sola volta in
relazione alla medesima condanna (art. 656, comma 7).
L’applicazione della liberazione anticipata. Se non vi sono i predetti divieti di
sospensione, il pubblico ministero deve chiedere al magistrato di sorveglianza di
applicare l’eventuale liberazione anticipata (e cioè, lo sconto di quarantacinque giorni
ogni sei mesi di buona condotta; art. 54 o. p.); può provvedere soltanto «dopo la
decisione del magistrato di sorveglianza» (comma 4-quater).
Ottenuto il provvedimento che abbia applicato lo sconto per liberazione anticipata
(art. 54 ord. pen.), il pubblico ministero deve valutare se la pena residua da applicare
può considerarsi “breve” ai sensi del comma 5, come abbiamo precisato all’inizio.
L’ordine di esecuzione ed il decreto di sospensione della pena detentiva “breve”.
Il pubblico ministero (senza valutare nel merito la concedibilità della singola misura
alternativa, ma quando si rientra matematicamente nell’ammontare sopra indicato) deve
emettere l’ordine di esecuzione ed il decreto di sospensione della pena “breve”. Quindi,
deve notificare ordine di esecuzione e decreto di sospensione al condannato e al
difensore nominato per la fase dell'esecuzione (o, in difetto, al difensore che lo ha
assistito nella fase del giudizio) con avviso della possibilità di chiedere una misura
alternativa entro trenta giorni con istanza al pubblico ministero (art. 656, comma 5).
Se la pena residua non è “breve”, il pubblico ministero emette ordine di esecuzione,
come sopra specificato (art. 656, comma 1).
Il condannato chiede la misura alternativa. Se il condannato chiede una misura
alternativa entro trenta giorni al pubblico ministero (art. 677, comma 2-bis), questi
trasmette l'istanza, con la relativa documentazione, al tribunale di sorveglianza
competente in relazione al luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero stesso. Il
tribunale di sorveglianza (di cui daremo conto infra, § 7), decide nei quarantacinque
giorni dalla ricezione dell'istanza (art. 656, comma 6).
La documentazione utile alla decisione può essere depositata, fino a cinque giorni
prima dell'udienza, nella cancelleria del tribunale di sorveglianza. Tale integrazione,
tuttavia, non è possibile nei casi in cui la mancanza della documentazione comporti
l'inammissibilità della richiesta (art. 656, comma 6).
La decisione del tribunale di sorveglianza. Il tribunale di sorveglianza, se vi sono i
relativi presupposti, concede l’affidamento in prova, o la detenzione domiciliare, o la
semilibertà, o la sospensione per tossicodipendenti (della quale tratteremo
successivamente)
Viceversa, se il condannato non chiede una misura alternativa entro trenta giorni, il
pubblico ministero revoca il decreto di sospensione (art. 656, comma 7). Lo stesso
avviene se il tribunale di sorveglianza respinge l’istanza di misura alternativa o la
dichiara inammissibile.
Come abbiamo anticipato, la sospensione dell'esecuzione è finalizzata ad evitare
l'ingresso in carcere a tutti quei soggetti che verosimilmente potranno usufruire delle
misure alternative. Il meccanismo permette al condannato a pena detentiva breve di non
entrare in contatto con la realtà carceraria, usufruendo fin dall'inizio di una modalità di
espiazione meno afflittiva e più adeguata in vista della rieducazione. Inoltre, l'evitare il
transito in carcere dei soggetti condannati a pena detentiva breve risponde anche ad
evidenti finalità di deflazione della popolazione carceraria. Di conseguenza, l'istituto
della sospensione non può essere invocato dal soggetto che già si trovi in esecuzione di
13
P. TONINI – Appendice di aggiornamento al Manuale Breve. Diritto processuale penale, 8 ed. , 2013
pena per altra causa (Cass., sez. I, 27 gennaio 2005, n. 4845, in CED 230963 e in Cass.
pen., 2006, 2, 601).
La sopravvenienza di un titolo esecutivo detentivo. Viceversa, la sopravvenienza di
un titolo esecutivo durante il corso di una misura cautelare, relativa ad un reato diverso,
non esclude l'operatività della sospensione dell'esecuzione della pena e della
conseguente valutazione nel merito relativa alla concessione di una misura alternativa.
La misura alternativa e quella cautelare possono anche essere applicate contestualmente,
ma è necessario verificarne in concreto l'effettiva compatibilità, attribuendo prevalenza,
nei casi di contrasto, alla misura cautelare. Tale valutazione non spetta al tribunale di
sorveglianza, il quale si occupa solo della verifica dell'esistenza delle condizioni per la
concessione della misura alternativa (Cass., sez. I, 14 giugno 2002, Rigoli, in Cass.
pen., 2003, 2788.).
Il condannato agli arresti domiciliari per il medesimo fatto oggetto della
condanna. La sospensione dell'esecuzione può assumere una ulteriore forma, che
presenta una qualche singolarità (art. 656, comma 10). Nel caso in cui il condannato, in
condizione di beneficiare della sospensione della pena “breve” ai sensi del comma 5, si
trovi agli arresti domiciliari per il medesimo fatto oggetto della condanna da eseguire,
la limitazione della libertà personale perdura nella stessa forma; tuttavia il pubblico
ministero, una volta che ha accertato che la pena residua è “breve”, sospende
l'esecuzione della medesima e trasmette gli atti al tribunale di sorveglianza «perché
provveda alla eventuale applicazione delle misure alternative di cui al comma 5». Il
tempo corrispondente allo stato detentivo fino alla decisione del tribunale è considerato
come pena espiata (art. 656, comma 10).
14
P. TONINI – Appendice di aggiornamento al Manuale Breve. Diritto processuale penale, 8 ed. , 2013
A pag. 750 eliminare dalla riga 13 sino alla fine del § 7
e sostituire come segue.
b) Il tribunale di sorveglianza. È opportuno precisare che il tribunale di
sorveglianza ha sede presso ogni distretto di corte d'appello ed in ciascuna
circoscrizione territoriale di sezione distaccata di corte d'appello. Il tribunale di
sorveglianza è composto da due magistrati ordinari di sorveglianza e da due “esperti”
nominati dal C.S.M.; nel momento in cui decide, l'organo collegiale deve avere come
componente quel magistrato di sorveglianza, sotto la cui giurisdizione è posto il
soggetto sulla cui posizione si deve provvedere (art. 70 ord. pen.).
Il tribunale di sorveglianza svolge le sue funzioni in primo grado oppure in sede di
appello.
In primo grado il tribunale adotta, di regola, le decisioni che concernono le misure
alternative alla detenzione; la concessione e revoca della liberazione condizionale; il
rinvio facoltativo o obbligatorio delle pene detentive e delle sanzioni sostitutive; la
riabilitazione.
In grado di appello, il tribunale di sorveglianza decide in merito ai provvedimenti
del magistrato di sorveglianza relativi alle misure di sicurezza ed alla dichiarazione di
abitualità, professionalità e tendenza a delinquere. Inoltre, nel caso in cui una sentenza
di condanna o di proscioglimento sia impugnata con riferimento alle sole disposizioni
che riguardano misure di sicurezza diverse dalla confisca, la competenza a decidere
spetta al tribunale di sorveglianza (art. 680, comma 2).
c) Il magistrato di sorveglianza. In qualità di organo monocratico, il magistrato di
sorveglianza opera presso l'ufficio di sorveglianza che è istituito in ciascuna delle sedi
di tribunale indicate nella tabella A, allegata alla l. 26 luglio 1975 n. 354.
Il magistrato di sorveglianza ha funzioni amministrative e giurisdizionali. In
particolare, svolge compiti di vigilanza (es. in merito all'organizzazione degli istituti
con particolare riguardo all'attuazione del trattamento rieducativo), consultivi (parere
motivato in merito alla domanda di concessione della grazia), amministrativi (es.
approvazione del programma di trattamento; permessi; prescrizioni comportamentali a
chi è sottoposto a misura alternativa; autorizzazione alla corrispondenza; eliminazioni di
violazioni dei diritti dei condannati e internati) e giurisdizionali (dichiarazione di
abitualità, professionalità o tendenza a delinquere; accertamento e riesame della
pericolosità sociale al fine dell'applicazione delle misure di sicurezza; esecuzione delle
sanzioni sostitutive della semidetenzione e libertà controllata; rateizzazione e
conversione delle pene pecuniarie; ricovero del condannato per sopravvenuta infermità
psichica; remissione del debito; particolari reclami dei detenuti e internati).
In materia di misure alternative, il magistrato di sorveglianza ha una limitata
competenza che gli permette di applicare e revocare, ma soltanto in via provvisoria, le
misure dell'affidamento in prova al servizio sociale e della detenzione domiciliare. La
decisione definitiva è pronunciata dal tribunale di sorveglianza.
La legge 19 dicembre 2002 n. 277, perseguendo lo scopo di snellire il meccanismo
di concessione della liberazione anticipata (lo sconto di pena concesso per ogni semestre
di «partecipazione all'opera di rieducazione»), ne ha trasferito la competenza al
magistrato di sorveglianza, che decide de plano emanando un provvedimento
reclamabile di fronte al tribunale di sorveglianza.
d) Le funzioni del pubblico ministero. Le funzioni della pubblica accusa sono
esercitate, davanti al tribunale di sorveglianza, dal procuratore generale presso la corte
d'appello e, davanti al magistrato di sorveglianza, dal procuratore della repubblica
presso il tribunale della sede dell'ufficio di sorveglianza (art. 678 comma 3). Tuttavia,
qualora un provvedimento del giudice di sorveglianza comporti la carcerazione o
15
P. TONINI – Appendice di aggiornamento al Manuale Breve. Diritto processuale penale, 8 ed. , 2013
scarcerazione del condannato, è competente il pubblico ministero presso il giudice
dell'esecuzione (art. 659 comma 1).
e) La competenza per territorio. Nell'ambito delle rispettive competenze, il
magistrato e il tribunale hanno una competenza territoriale che si differenzia a seconda
che l'interessato sia detenuto o libero. Quando il condannato è detenuto, la competenza
appartiene all'organo che ha giurisdizione sull'istituto in cui si trova il soggetto al
momento della presentazione della richiesta, della proposta o dell'inizio d'ufficio del
procedimento (art. 677 comma 1). Quando il condannato è libero, la competenza si
determina, di regola, in base al luogo di residenza o domicilio. In via suppletiva e nel
caso di più sentenze di condanna o proscioglimento, è competente il tribunale o il
magistrato del luogo in cui è stata pronunciata la sentenza divenuta irrevocabile per
ultima (art. 677 comma 2).
f) Le forme dei procedimenti di competenza del magistrato e del tribunale di
sorveglianza. Al fine di attuare la giurisdizione sul contenuto sanzionatorio del titolo, il
legislatore ha disciplinato differenti modelli di procedimento, che veniamo ad esporre.
1. Il procedimento di sorveglianza. Il procedimento si svolge rispettivamente presso
il tribunale di sorveglianza o presso il magistrato di sorveglianza nelle materie per le
quali è prevista espressamente la competenza del primo o del secondo organo (art. 678,
comma 1). In sintesi, è possibile affermare che il procedimento in esame, che assicura il
contraddittorio, è riservato alle materie nelle quali risultano coinvolti diritti
fondamentali. Per quanto riguarda le formalità processuali, il codice rinvia alle norme
previste per il procedimento di esecuzione (at. 666) con alcune integrazioni dovute
all'oggetto da accertare, che è la personalità dell'autore di un reato. Si tratta di un
procedimento in camera di consiglio, ma con la presenza obbligatoria del pubblico
ministero e del difensore. Nel rinviare a dette norme, già esposte in precedenza,
sottolineiamo le integrazioni previste dal legislatore.
In primo luogo, le giurisdizioni di sorveglianza agiscono anche d'ufficio (art. 678
comma 1), oltre che su richiesta del pubblico ministero, dell'interessato e del difensore.
In secondo luogo, quando si procede nei confronti di una persona sottoposta a
osservazione scientifica della personalità, il giudice deve acquisire la relativa
documentazione e si avvale, se occorre, della consulenza dei tecnici del trattamento (art.
678 comma 2).
2. Provvedimento emesso «senza formalità» ma sottoponibile ad opposizione. In
determinate materie il magistrato ed il tribunale di sorveglianza provvedono «senza
formalità» con ordinanza comunicata al pubblico ministero e notificata all’interessato ai
sensi dell’art. 667, comma 4. Ad esempio, in base al comma 1-bis dell’art. 678,
introdotto dal decreto-legge n. 146 del 2013 (soggetto a conversione), il magistrato di
sorveglianza provvede «senza formalità» nelle materie attinenti alla rateizzazione e alla
conversione delle pene pecuniarie (art. 660); il tribunale di sorveglianza provvede
«senza formalità» nelle materie relative alle richieste di riabilitazione (art. 178 c.p.).
Contro l'ordinanza possono proporre opposizione davanti allo stesso giudice il pubblico
ministero, l'interessato e il difensore; in tal caso si procede con le forme del
procedimento di esecuzione (art. 666). L'opposizione è proposta, a pena di decadenza,
entro quindici giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell'ordinanza.
3. I reclami. Di fronte al magistrato di sorveglianza può poi essere proposto
reclamo contro numerosi provvedimenti che concernono l’esecuzione in concreto della
pena. Esistono due forme di reclamo che hanno una operatività generale ed alcuni
reclami speciali disciplinati da singole norme. Si tratta di una disciplina,
originariamente assai scarna e priva di garanzie che si è arricchita nel tempo a seguito di
numerosi interventi normativi che hanno colmato un vuoto segnalato più volte dalla
Corte costituzionale (per tutte, sentenza n. 26 del 1999).
16
P. TONINI – Appendice di aggiornamento al Manuale Breve. Diritto processuale penale, 8 ed. , 2013
3.1. Il reclamo giurisdizionale dinanzi al magistrato di sorveglianza. Il primo
reclamo con operatività generale è il cd. reclamo giurisdizionale. Si tratta di una
disciplina introdotta dal decreto-legge n. 146 del 2013, soggetto a conversione. Questa
forma di reclamo (art. 35-bis o.p.) ha per oggetto quei provvedimenti
dell’amministrazione penitenziaria che concernono, in sintesi, i diritti fondamentali del
detenuto. In particolare, il reclamo giurisdizionale può essere proposto con riferimento
alle condizioni di esercizio del potere disciplinare ed in relazione all'inosservanza da
parte dell'amministrazione di disposizioni delle norme di ordinamento penitenziario
dalla quale derivi al detenuto o all'internato un attuale e grave pregiudizio all'esercizio
dei diritti (art. 69, comma 6 ord. pen.). Le predette materie devono essere trattate nelle
forme del procedimento di sorveglianza (art. 678) con le integrazioni che seguono.
Salvi i casi di manifesta inammissibilità della richiesta (perchè manifestamente
infondata o costituente mera riproposizione di altra già rigettata; art. 666, comma 2) il
magistrato di sorveglianza fissa la data dell'udienza e ne fa dare avviso anche
all'amministrazione interessata, che ha diritto di comparire ovvero di trasmettere
osservazioni e richieste.
In caso di reclamo avverso un provvedimento disciplinare e altre materie previste
dall’art. 69, comma 6, lettera b ord. pen., il magistrato di sorveglianza, se accoglie la
richiesta dell’interessato, dispone l'annullamento del provvedimento di irrogazione della
sanzione disciplinare.
In caso di reclamo avverso un provvedimento concernente l’attribuzione della
qualifica lavorativa, la mercede, la remunerazione e altre materie previste dall’art. 69,
comma 6, lettera a ord. pen., il magistrato di sorveglianza, se accerta la sussistenza e
l'attualità del pregiudizio, ordina all'amministrazione di porre rimedio. In caso di
mancata esecuzione del provvedimento non più soggetto ad impugnazione, l'interessato
o il suo difensore munito di procura speciale possono chiedere al magistrato di
sorveglianza nelle forme dell’art. 678 che la pubblica amministrazione ottemperi al
provvedimento.
3.2. Altri reclami speciali. L’introduzione da parte del legislatore del reclamo
giurisdizionale ex art. 35-bis, per quanto auspicabile, non ha condotto ad una
unificazione del regime dei reclami che continua ad essere frastagliato tra una
molteplicità di norme. Si ricorda, in particolare, il reclamo al tribunale di sorveglianza
avverso i provvedimenti limitativi della corrispondenza in carcere (art. 18-ter comma 6
ord. pen.), modellato sull’art. 14-ter ord. pen. e sul procedimento di esecuzione.
3.3. Il reclamo generico. In via ormai residuale rispetto a tutte le ipotesi sinora
esaminate opera poi l’art. 35 ord. pen. che prevede un generico «diritto di reclamo». La
doglianza in esame può essere proposta: 1) al direttore dell'istituto, al provveditore
regionale, al direttore dell'ufficio ispettivo, al capo del dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria e al ministro della giustizia; 2) alle autorità
giudiziarie e sanitarie in visita all'istituto; 3) al garante nazionale e ai garanti regionali o
locali dei diritti dei detenuti; 4) al presidente della giunta regionale; 5) al magistrato di
sorveglianza; 6) al Capo dello Stato. Si tratta, tuttavia, di una tutela priva dei caratteri
giurisdizionali che ormai è destinata ad operare in via residuale rispetto al reclamo
giurisdizionale ed alle altre ipotesi disciplinate da singole norme dell’ordinamento
penitenziario.
17
A pag. 328 lo schema 39 è sostituito dal presente.
Misure cautelari personali; presupposti
CONDIZIONI
Gravi indizi di
colpevolezza (co. 1)
GENERALI DI
APPLICABILITÀ
Punibilità in concreto (comma 2)
(273)
Limiti di pena edittale (280 e 287)
ESIGENZE
CAUTELARI
Pericolo di inquinamento della prova (lett. a)
Pericolo di fuga (lett. b)
(274)
Pericolo che l’imputato commetta
determinati delitti (lett. c)
- prima categoria: delitti punibili nel massimo con la reclusione
fino a 3 anni; non è applicabile alcuna misura coercitiva né interdittiva; sono
applicabili soltanto misure cautelari reali (es. sequestro preventivo).
--seconda categoria: delitti punibili nel massimo con la reclusione
superiore a 3 anni, ma inferiore a 5; sono applicabili
misure coercitive diverse dalla custodia in carcere.
---terza categoria: delitti punibili nel massimo con la reclusione di almeno 5 anni
o con l'ergastolo: è possibile l’applicazione anche della custodia in carcere,
oltre che delle altre misure
-- ulteriore limite, che si applica al pericolo di commissione di delitti
della stessa specie di quello addebitato:
-l’arresto domiciliare può essere disposto soltanto quando
per tali delitti è prevista la pena della reclusione
di almeno 4 anni nel massimo.
-la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto
quando per tali delitti è prevista la pena della reclusione
di almeno 5 anni nel massimo
- Principio di adeguatezza (275.1): le misure devono essere indispensabili rispetto alle esigenze cautelari
- Principio di proporzionalità (275.2): rispetto alla gravità del reato e alla sanzione che potrà essere applicata
CRITERI
DI
SCELTA
DELLE
MISURE
(275)
- Principio
di
gradualità
(275.3):
la custodia
in carcere
è la
extrema
ratio.
Di regola
vale il
principio
del
minimo
sacrificio
necessario
(C.cost.
265/2010)
Eccezioni:
A. Per i gravi delitti previsti dall’art. 275 co. 3, quando sono presenti gravi indizi di reità, si presume esistente
almeno una delle esigenze cautelari; la presunzione è RELATIVA, e cioè ammette la prova che non vi è
alcuna esigenza cautelare. La presunzione è ragionevole perché suggerita «da alcuni aspetti ricorrenti di determinati reati».
B. Per i medesimi delitti vigeva la presunzione ASSOLUTA di adeguatezza della carcerazione cautelare; ma in alcuni casi
la Corte cost. l’ha dichiarata illegittima perché non rispondeva «a dati di esperienza generalizzati, essendo agevole formulare
ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa». La situazione è la seguente.
- B. 1. Per i delitti non toccati dalle sentenze della Corte cost.,
la presunzione di adeguatezza della carcerazione cautelare è rimasta ASSOLUTA, nel senso che, attualmente,
non può essere superata neppure se è provato che le esigenze cautelari risultano attenuate:
e cioè, non è mai applicabile l'arresto domiciliare o una misura cautelare non custodiale.
- Ma la Corte cost. (n. 265 del 2010) finora ha riconosciuto legittima la presunzione assoluta espressamente soltanto per
l’associazione mafiosa (416-bis c.p.), perché l'adesione permanente ad un sodalizio criminoso, dotato di particolare forza intimidatrice,
comporta «secondo una regola di esperienza sufficientemente condivisa» che soltanto la misura carceraria è adeguata, mentre altre misure
cautelari “minori” non sono sufficienti a troncare i rapporti tra l'indagato e l'associazione e non neutralizzano la pericolosità del medesimo.
- B. 2. Per i delitti gravi esaminati espressamente, la Corte cost. ha modificato la presunzione di adeguatezza da assoluta in RELATIVA:
e cioè, la presunzione può essere superata se è provato che in concreto le esigenze cautelari possono essere neutralizzate
da misure meno gravi del carcere. In detti casi, è applicabile l'arresto domiciliare o una misura cautelare non custodiale.
- Es. delitti sessuali con minorenni, omicidio volontario, sequestro di persona a scopo estorsione, violenza sessuale di gruppo
A pag 757 lo schema 105
è sostituito dal presente.
Misure alternative alla pena detentiva
applicabili ab initio
Quando il condannato
è in arresti domiciliari
per il fatto oggetto
della condanna
da eseguire,
lo stato detentivo
prosegue
ed è considerato
come pena espiata
(co. 10).
Il PM emette
ordine di esecuzione
e decreto di sospensione
della pena “breve”
e trasmette gli atti
al tribunale
di sorveglianza,
che provvede d’ufficio
(co. 10)
Divenuta irrevocabile una condanna ad una pena detentiva, il PM presso il giudice dell’esecuzione
deve detrarre il quantitativo corrispondente alla custodia cautelare sofferta, alla pena fungibile
ed agli sconti per la liberazione anticipata di cui potrebbe godere il condannato (656 co. 4-bis)
Quando il condannato è libero (co. 5),
il PM deve valutare se, in concreto,
vi sono divieti alla sospensione dell’esecuzione
della pena “breve” (co. 9)
Quando il condannato è in custodia cautelare
in carcere per il medesimo delitto (co. 9.b),
il PM emette ordine di esecuzione e
trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza
Vi sono divieti di
sospensione (co. 9)
Non vi sono divieti di sospensione: «prima di emettere l’ordine di esecuzione»,
il PM deve chiedere al magistrato di sorveglianza di applicare l’eventuale liberazione
anticipata (co. 4-bis); può provvedere soltanto «dopo la decisione del magistrato di
sorveglianza» (co. 4-quater);
quindi deve scomputare gli sconti per liberazione anticipata, la pena fungibile
e la custodia cautelare sofferta e deve valutare se la pena residua è “breve”, e cioè fino a 3
anni, 6 anni se tossico-dipendenti, 4 anni se condannati meritevoli di detenzione domiciliare
La pena residua è “breve”:
il PM emette ordine di esecuzione e decreto di sospensione della pena;
quindi li notifica al condannato e al difensore con avviso della possibilità
di chiedere una misura alternativa entro 30 giorni con istanza al PM (co. 5)
il condannato chiede al PM una
misura alternativa (co. 2-bis)
il condannato non chiede una
misura alternativa
il tribunale di sorveglianza (della sede del PM) decide entro 45 giorni
concede l’affidamento in prova
o la detenzione domiciliare
o la semilibertà
o la sospensione per tossico-dipendenti
respinge l’istanza
o la dichiara inammissibile
(es. perché reiterata
per la medesima condanna)
la pena residua
non è “breve”
il PM emette ordine
di esecuzione (co. 1)
il PM revoca il decreto
di sospensione (co. 7)
È eseguita la pena detentiva;
eventuali misure alternative
sono concesse in quella sede